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    4 SULL’ISOLA 
 Lasciarono l’isola il
  mattino seguente, dopo aver saccheggiato la Texel
  ed averla incendiata. Dalla nave Felipe guardò i cadaveri stesi sulla riva: gli
  uccelli stavano divorando ciò che gli animali notturni avevano lasciato.
  Anche i resti dell’ultimo pirata della Texel,
  spolpato da bestie ben più feroci degli uccelli, erano stati gettati insieme
  a quelli degli altri. Navigarono due giorni, in
  cui Felipe cercò di rimanere da solo il più possibile. Non partecipò alle
  orge notturne, chiuso in una rabbia cupa. Non si occupò della divisione del
  bottino, che il Gallego rimandò per motivi che Felipe non cercò di conoscere. La sera del secondo giorno
  raggiunsero un’isola che appariva di grandi dimensioni. Era molto brulla, ma
  presto si aprì un’insenatura dove la vegetazione era rigogliosa. Rufus gli si avvicinò: - Scendiamo a prendere
  acqua. Su quell’isola c’è una fonte che ci serve come rifornimento. È
  conosciuta da tutti i naviganti. Bisogna fare attenzione, perché talvolta le
  navi da guerra spagnole sono ormeggiate qui vicino, in attesa delle navi
  corsare. Una volta siamo sfuggiti per un pelo. Scesero a terra in sei: il
  Gallego, il Toro, Pedro, Rufus, Indigo
  e Felipe stesso. Felipe e Rufus furono inviati a
  fare da sentinelle in due punti da cui si poteva controllare l’area, mentre
  gli altri si occupavano di riempire le botti.  Raggiunto il suo punto di
  osservazione, su un piccolo promontorio, Felipe segnalò che non c’erano né
  imbarcazioni nella piccola baia oltre la punta, né uomini nelle vicinanze. Rufus fece lo stesso dal suo punto di osservazione, sulla
  cresta opposta, e gli altri si misero al lavoro. Felipe si sedette a terra,
  tra i cespugli, e cominciò a pensare. Si chiedeva se allontanarsi, ma
  sembrava un’impresa disperata. L’isola era grande, ma non appariva abitata:
  nessuna traccia di coltivazioni, benché lì fosse disponibile l’acqua. Non
  aveva cibo, nulla. Non gli sarebbe stato facile nascondersi in un’isola che
  gli altri conoscevano e lui no. E se anche fosse riuscito a sfuggire ai suoi
  compagni, sarebbe presto morto di fame. Era meglio cercare un’occasione
  migliore. Prima o poi la nave si sarebbe avvicinata ad una città o ad una
  delle grandi isole abitate. Era immerso in quei
  pensieri, quando si accorse che, non molto lontano da lui, c’erano due
  uomini. Senza riflettere sguainò la spada e lanciò un grido per avvisare i
  suoi compagni. Più tardi, a mente fredda, si chiese perché mai avesse svolto
  con tanta cura la sua parte: sarebbe stato molto più saggio rimanere
  nascosto, cercare di capire chi erano i due uomini e magari unirsi a loro,
  avvisandoli della presenza dei pirati. Ma sul momento non ragionò, si limitò
  a svolgere il compito di sentinella che gli era stato assegnato.  Uno dei due uomini disse
  qualcosa ed avanzò verso di lui, mentre l’altro uomo scivolava via veloce. Felipe si scagliò
  sull’uomo, che era disarmato e lo fissava, tranquillo. Il secondo uomo era
  già scomparso.  Era un uomo sui
  trent’anni, con un viso largo, dai lineamenti molto regolari. Una lunga
  cicatrice gli attraversava la guancia sinistra e proseguiva sul sopracciglio,
  ma nonostante questo era un gran bel viso, in cui spiccavano due occhi di un
  azzurro intensissimo. L’uomo portava in testa un fazzoletto di un rosso
  squillante, da cui non sporgevano capelli, e non portava né barba, né baffi,
  ma le sopracciglia erano di un biondo grano. Felipe non sapeva bene che
  fare. Cercando di darsi un contegno, gli puntò la sciabola alla gola.  - Che cosa stai facendo,
  qui? E dove è finito l’uomo che era con te? L’uomo non aprì bocca, ma
  lo guardò. A Felipe parve che sorridesse in modo beffardo: si prendeva gioco
  di lui. Appoggiò la punta della spada sulla pelle e ingiunse: - Ti ho chiesto due cose.
  Rispondimi o ti ammazzo! L’uomo non smise di
  sorridere. La sua risposta fu laconica: - Piantala, rompicoglioni.
   Felipe si sentì prendere
  dalla rabbia e la punta della sua spada avanzò: un rivolo di sangue cominciò
  a colare dalla gola dell’uomo, scendendogli sul torace. L’uomo rimase
  impassibile e continuò a fissarlo. Si limitò a deglutire, mentre aspettava
  che Felipe aumentasse la pressione e gli affondasse la lama nel collo. Felipe
  vide il grande pomo d’Adamo alzarsi ed abbassarsi. La rabbia svanì e lasciò
  il posto ad un senso di ammirazione per la tranquillità con cui quell’uomo
  affrontava la morte. Esitò. L’uomo parlò nuovamente: - Forza, ragazzo. Ci vuole
  tanto a infilzarmi? Felipe fissò l’uomo negli
  occhi. Aveva uno sguardo penetrante. Non ce la faceva, non era
  in grado di farlo. Non voleva farlo. Non aveva mai ucciso un uomo a sangue
  freddo e non l’avrebbe fatto solo perché rifiutava di rispondere. Lui non era
  un assassino, non era mica come quelli della Black
  Gull.  Felipe si stava chiedendo se non lasciare
  andare l’uomo, quando il Gallego lo tolse dall’imbarazzo, arrivando in quel
  momento. Felipe rinfoderò la spada.  - Guarda chi si vede! Fantastico! Felipe,
  hai catturato Porco-fottutissimo!!! PORCO-FOTTUTISSIMO Poi il
  Gallego si rivolse all’uomo, che lo fissava, apparentemente impassibile. Si
  avvicinò a lui e gli disse: - È un
  vero piacere vederti, figlio di una troia. L’uomo lo
  guardò negli occhi e sorrise beffardo. - Non
  posso dire altrettanto, fratello. Il
  Gallego gli mollò un potente ceffone, che gli aprì uno squarcio sul labbro e
  lo fece barcollare. Felipe sussultò. Poi il
  Gallego si voltò verso i compagni che stavano arrivando e cominciò ad urlare. - Amici,
  venite a vedere che bel pesce ha catturato Felipe. Il gruppo
  di compagni che stava arrivando in quel momento, dimostrò un grande
  entusiasmo per la cattura dell’uomo. Il Toro, Indigo
  e Pedro gli si misero davanti ed espressero tutta la loro contentezza nel
  ritrovare l’uomo, che evidentemente tutti conoscevano bene.  - Porco-fottutissimo! Era un anno che aspettavamo questo
  momento. - Non
  vedevo l’ora di metterti le mani addosso. Il Toro
  gli vibrò un pugno nello stomaco e l’uomo si piegò in due e cadde
  ginocchioni. Indigo ne approfittò per tirargli un
  calcio ai testicoli e se l’uomo non avesse messo le mani a conca a parare il
  colpo, dei suoi attributi non sarebbe rimasto molto.  Pedro  gli mollò due ceffoni formidabili, mentre
  il Gallego parlò nuovamente: - Bene,
  figlio di puttana, sei arrivato a destinazione. Questa volta non ci scappi
  più. E ti prometto che la tua esecuzione sarà memorabile. Il Toro
  aggiunse, ridendo: - Anche
  se tu non potrai ricordartela, noi ce la ricorderemo a lungo Poi
  scoppiò in una grassa risata, mentre Pedro, che era passato alle spalle
  dell’uomo, lo fece cadere a terra con un calcio nella schiena. Felipe
  provava un disagio crescente a vedere i suoi compagni armati colpire in
  quattro quell’uomo indifeso. L’uomo non reagiva, evidentemente conscio che a
  nulla sarebbe servito, si limitava a cercare di limitare i danni. Non aveva
  detto una parola da quando avevano cominciato a malmenarlo e non sembrava
  aver paura. Felipe avrebbe voluto intervenire, ma sapeva che i suoi compagni
  non gli avrebbero dato retta. Non ci aveva messo molto a conoscerli o,
  piuttosto, si erano fatti conoscere in fretta. Fortunatamente
  il Gallego decise che per il momento era abbastanza. - Ora
  basta, ragazzi, se facciamo fuori subito Porco-fottutissimo,
  il divertimento finisce. E questo pezzo di merda ci divertirà per un po’, non
  è vero? Mentre
  parlava, il Gallego si chinò, afferrò l’uomo per il collo e tirò. L’uomo fu
  costretto a rimettersi in ginocchio, con una smorfia di dolore sul viso.
  Felipe lo guardò in faccia. Un filo di sangue gli colava dal naso ed un altro
  dall’angolo della bocca. Aveva sangue anche sul dorso di una mano.  Felipe
  sapeva che avrebbe dovuto dire che l’uomo non era solo, che lì vicino ci
  doveva essere qualcun altro, ma dopo la scena a cui aveva assistito, non aveva
  nessuna intenzione di esporre qualcun altro alla furia dei suoi compagni. Porco-fottutissimo poteva anche essersi meritato il
  trattamento che subiva, se conosceva quelli della Black
  Gull doveva essere della loro stessa forza, ma
  non era il caso che lui, Felipe, si impicciasse della faccenda. Aveva già
  fatto fin troppo. Sì, aveva fatto troppo, di questo aveva perfettamente
  coscienza. Qualunque cosa avesse fatto quell’uomo, non era contento di averlo
  consegnato al Gallego.    Il
  Gallego e Rufus, che aveva raggiunto i compagni,
  legarono le mani dietro la schiena dell’uomo, poi gli ordinarono di alzarsi e
  cominciarono a percorrere il sentiero che portava alla cala. Guardando
  l’uomo, Felipe si rese conto che stare diritto era per lui uno sforzo. Sforzo
  continuamente vanificato perché una serie di pugni alla schiena e di calci in
  culo lo proiettavano in avanti, facendolo cadere più volte a terra. Felipe
  cercò di guardare altrove. Non reggeva più a vedere quelle violenze, anche se
  certamente l’uomo doveva averne combinata qualcuna di molto grossa.
  Arrivarono alla barca e vi salirono. Quando furono a fianco della nave, il
  Gallego slegò le mani del prigioniero, in modo che potesse salire. Il suo
  arrivo fu accolto da una salva di urrà da parte degli uomini rimasti sulla
  nave, che lo avevano visto arrivare. Tutti i pirati esultavano per la
  cattura, lo insultavano mentre saliva e non appena mise piede sul ponte più
  d’uno gli espresse la sua gioia nel rivederlo: quando Felipe salì, l’uomo era
  disteso a terra. Vedendolo senza più il fazzoletto in testa. Felipe notò che
  era calvo, anche se gli era sembrato piuttosto giovane, sui trenta o poco
  più. Il
  Gallego bloccò le manifestazioni di affetto. Fece spogliare completamente il
  prigioniero, poi diede ordine di legargli di nuovo le mani dietro la schiena. - Alzati,
  Porco-fottutissimo! L’uomo si
  alzò, con evidente fatica. Ora che era in piedi, Felipe poteva vedere i
  risultati dell’accoglienza: l’uomo aveva diverse escoriazioni e piccole ferite
  sulle gambe, soprattutto alle ginocchia, e su una spalla. Dalla piccola
  ferita che aveva aperto Felipe, un rivolo di sangue era sceso fino
  all’ombelico. Altro sangue colava dal naso, dalle labbra e da uno squarcio
  sul capo. Guardandolo
  in viso, Felipe notò anche che l’uomo, pur non avendo capelli, in realtà non
  era calvo: sulla testa c’era una peluria bionda, appena visibile: l’uomo
  doveva semplicemente essersi raso i capelli quel mattino stesso, ma stavano
  già ricrescendo.  Felipe
  provava rimorso. Piuttosto che consegnarlo al Gallego, avrebbe fatto meglio
  ad ucciderlo subito. Si disse che non poteva prevedere la reazione dei
  pirati, ma era una cazzata (il suo linguaggio stava decisamente peggiorando,
  ma si sa, chi va con lo zoppo…): li aveva già visti
  all’opera, solo due giorni prima. UN’ESECUZIONE MEMORABILE Mentre
  Felipe si dava dello stupido, udì la voce del Gallego:   - Adesso
  silenzio. Abbiamo una decisione importante da prendere: dobbiamo decidere che
  cosa fare di Porco-fottutissimo. Che cosa fare, lo
  sappiamo benissimo. Ma dobbiamo stabilire in che modo farlo partire per un
  viaggio di sola andata.  Le
  proposte non mancarono. La prima fu di Ormeño: - Direi di
  fare quello che dovevamo fare ai due Molina. Lo
  tagliamo a pezzetti, a partire dal cazzo. E magari cuociamo i pezzetti e ce
  li mangiamo, mentre lui ci guarda. Un pezzetto per volta. Io voglio i
  coglioni.  Scimmia
  lanciò un’altra idea: - Perché
  non lo leghiamo ad un albero, gli apriamo un po’ di ferite e non lo facciamo
  divorare dalle formiche carnivore? È uno spettacolo affascinante: se dai un
  colpo all’albero dove hanno il nido, escono a centinaia, a migliaia. E se lo
  divorano vivo, pezzo per pezzo. Sta lì a contorcersi ed urlare, tutto coperto
  di formiche.  Rufus non era d’accordo. - No, troppo
  lungo. Appendiamolo per i coglioni, poi quando si staccano lo appendiamo per
  il collo. Belzebù,
  un pirata molto corpulento, con i capelli grigi ed una lunga barba dello
  stesso colore, propose:      - Soffochiamolo con i suoi stessi
  coglioni. Gli infiliamo in gola i coglioni e poi il cazzo e lo guardiamo
  diventare viola. Oppure affoghiamolo nella nostra merda. La seconda
  idea di Belzebù ebbe un certo successo, ma emersero anche numerose altre
  proposte, che spaziavano dall’impalamento alla crocifissione sull’albero
  della nave. Tutte prevedevano la castrazione dell’uomo, in modi più o meno
  rapidi. Nessun
  suggerimento però suscitava davvero entusiasmo: rapidamente tutti venivano
  respinti o ignorati. Ad un certo punto però Sbatti-culo
  lanciò la sua idea:  - Io direi
  di riempirgli il culo di polvere da sparo, di infilargli una miccia e farlo
  esplodere. La
  proposta di Sbatti-culo suscitò un coro di grida di
  approvazione.  La voce
  del Gallego sovrastò le altre: - Allora
  siamo tutti d’accordo?  Un coro di
  sì accolse la domanda. Il Gallego annuì con un ghigno soddisfatto e concluse: - Bene,
  allora domani divertimento assicurato per tutti. Prima lo riempiamo di
  sborro, poi lo spediamo all’inferno. Felipe non
  capiva perché lo spettacolo fosse rimandato al giorno successivo, ma era
  contento che l’esecuzione non si svolgesse subito. Gli pareva di avere tempo.
  Per che cosa, non sapeva. Forse solo per capire che cosa fare.  Su ordine
  del Gallego, due pirati presero l’uomo e gli legarono anche i piedi, poi lo
  trascinarono fino ad una botola che si apriva sul ponte. Lo gettarono dentro
  come un sacco di patate. La botola era poco profonda, non più di un metro, ma
  l’uomo era legato e poteva attutire la caduta solo in misura minima. Felipe
  sentì il rumore sordo del corpo che batteva contro il legno. Poi la botola
  venne chiusa e l’apertura bloccata con un’assicella messa di traverso. I pirati
  si dispersero, parlando dell’esecuzione. Erano tutti eccitati e anticipavano
  il gran divertimento che avrebbero ricavato dallo spettacolo. Il pensiero li
  rese ancora più infoiati del solito e ben presto, mentre calava il buio, ebbe
  inizio una nuova grande orgia. Felipe si
  disse che non era il momento di starsene in disparte. Voleva sapere. UN’OFFESA IMPERDONABILE Come le
  sere precedenti, Paulo gli si avvicinò. Al bel portoghese Felipe piaceva e
  anche Felipe conservava un ricordo gradevole di quel culo peloso, in cui
  aveva intinto il biscotto. Ma le sere precedenti, sconvolto dal massacro a
  cui aveva assistito, Felipe si era isolato e non aveva accolto l’offerta di
  Paulo. Quella sera però non poteva isolarsi.  Quando
  Felipe si lasciò avvicinare, il portoghese sorrise. Si spogliò in fretta e
  Felipe fece altrettanto. Quando Paulo si mise a quattro zampe, Felipe era già
  sull’attenti e l’arma affondò nella carne salda del portoghese con grande
  soddisfazione di entrambi.  Quando
  ebbero finito, Felipe trattenne Paulo e gli chiese di Porco-fottutissimo. - Come mai
  lo odiate tanto? Che cosa ha fatto? - Quel
  figlio di un porco e di una puttana ci ha fatto scappare sotto il naso due
  prigionieri, e che prigionieri! Erano i figli del governatore dell’Havana.
  Avevamo chiesto un riscatto e sai che cosa ci dice quel bastardo del
  governatore? Che la cifra che chiediamo è troppo grossa e che non poteva
  pagare. Ci dava la metà. La metà! Puah!.  Paulo
  sputò. - Noi
  decidiamo di dargli una lezione. Poteva pagare solo metà? E noi gli diamo
  solo metà dei figli. Il resto ce lo teniamo. -
  Pensavate di renderne uno solo? - No,
  neanche per idea. Metà dell’uno e metà dell’altra, che so, dalla testa al
  culo della femmina, dal culo ai piedi del maschio.   Felipe
  sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Sì, sarebbero stati capaci di
  farlo. - E
  allora, che cosa successe? - Succede
  che abbiamo stabilito tutto. Quando arrivano i soldi del mezzo riscatto, ci
  divertiamo un po’ con i due, la ragazza è un bel pezzo di fica, il ragazzino
  ha tredici anni ed un culetto da baciarlo. Poi li tagliamo a pezzi, un po’
  per volta, a partire uno dalle dita dei piedi, l’altra dalle dita delle mani,
  tutto davanti al messaggero del governatore. Quando arriviamo a metà gli
  diamo quel che gli spetta e lo mandiamo via. Un gran divertimento. Metà
  riscatto, metà prigionieri. No? Felipe non
  espresse il suo punto di vista. Non sarebbe stato consigliabile. Commentò
  soltanto: - Bella
  idea. Del Gallego, vero? - Esatto,
  non c’è nessuno come lui. Felipe si
  disse che come emerito figlio di puttana, effettivamente nessuno poteva stare
  al pari con il Gallego, ma evitò di esprimere il suo pensiero.  - Avevamo
  concordato il tutto e quel fottutissimo porco manda all’aria tutto il piano.
  I prigionieri li aveva lui, perché li avevamo catturati insieme. E quello che
  cosa fa? Dice: va bene, va bene e poi scompare nel nulla con i due. Li ha
  liberati, tutti e due, senza riscatto! Felipe non
  disse nulla. - È stato
  un emerito coglione: sapeva che non ce ne dimenticavamo e che prima o poi ci
  incontravamo di nuovo. Quello che ha fatto è stata un’offesa imperdonabile.
  Ci ha smerdati tutti. E pagherà. Ora pagherà. Felipe
  annuì. Sì, quell’uomo sapeva i rischi che correva, ma non era tipo da tirarsi
  indietro. Quel pomeriggio aveva fatto in modo da coprire qualche compagno. E lui
  l’aveva catturato. Lui! Era colpa sua se quell’uomo era nelle loro mani! Ora doveva
  fare qualche cosa, ma non sapeva che cosa. Paulo
  avrebbe voluto fare un bis, ma Felipe non ne aveva voglia, per cui il
  portoghese si mise in cerca di altre picche più disponibili a mettersi al
  lavoro. Spadaccino gli piaceva, ma non si dava molto da fare. Era un peccato,
  davvero un talento sprecato! OLTRE LA BOTOLA Felipe
  aspettò. L’orgia, accompagnata da grandi bevute per festeggiare, proseguì a
  lungo, ma pian piano i pirati incominciarono a cadere addormentati. Da
  diverse ore era buio pesto. In
  silenzio, Felipe si avvicinò alla botola. Non c’era
  sentinella: Porco-fottutissimo era legato ed i
  marinai sapevano come fare un nodo: l’uomo non era certo in condizioni di
  scappare. Inoltre la botola era chiusa dall’esterno. Aprì la
  botola e si calò nel piccolo spazio. Toccò con il piede il corpo dell’uomo e
  si spostò, in modo da scendere in un punto libero. All’interno
  era buio pesto. Felipe non sapeva che dire. - Mi
  dispiace. - Sei tu,
  ragazzo? - Sì, sono
  io. Mi dispiace, non sapevo nulla della faccenda. Se avessi saputo non ti
  avrei catturato, ti avrei lasciato scappare.  Esitò un
  attimo. Poi riprese: - Hai
  fatto una cosa bellissima, con quei due ragazzi. Ti ammiro molto. Ci fu un
  momento di silenzio. Felipe non sapeva più che cosa dire. Si disse che quello
  che stava facendo non aveva nessun senso: che cosa era venuto a fare?
  Quell’uomo sarebbe stato assassinato il giorno dopo, non aveva bisogno di
  parole. Ma lui, che cosa poteva fare? La domanda
  dell’uomo lo colse di sorpresa. - Che ci
  fa uno come te su questa nave? Rimase
  disorientato. Non era quella la domanda che si poneva. Ma ora aveva trovato
  la risposta alla propria domanda. Allungò
  una mano, che incontrò il corpo dell’uomo. Fece scorrere la mano sulla pelle.
  Sentì il capezzolo. Era il torace. Passò su un braccio e si sporse in avanti,
  per seguirne la curva, fino a che trovò la corda che teneva legate le mani
  dietro la schiena. La sua testa ora sfiorava la spalla dell’uomo. Tenendo la
  corda con la destra, si spostò in modo da poter manovrare liberamente. Prese
  la corda con la sinistra, con la destra estrasse il coltello dalla cintura e
  cominciò a tagliare.  Sentì
  nuovamente la voce dell’uomo. - Quello
  che stai facendo è pericoloso. Se lo scoprono, ti fanno a pezzi. Felipe non
  disse niente. Anche far scappare i due ragazzi era stato pericoloso. Quando
  ebbe finito con la corda che legava le mani, si spostò nuovamente davanti ed
  allungò la mano per cercare le gambe. Trovò nuovamente il torace e questa
  volta fece scendere le dita lungo il ventre. Esitò un attimo. La sensazione
  delle sue dita che scorrevano sulla pelle nuda di quell’uomo lo turbava.
  Spostò la mano verso l’esterno, in modo che passasse lungo il fianco e le
  gambe del prigioniero. Arrivò ai piedi. Felipe cominciò a tagliare anche la
  seconda corda e cercò di concentrarsi su quello che stava facendo, di non
  pensare alle sensazioni che lo assalivano. Ora era dolorosamente conscio
  dell’odore dell’uomo, un odore non spiacevole, ma intenso. Un odore che gli
  saliva alla testa.  Quando
  ebbe finito ripose il coltello e parlò: - Non
  chiuderò il fermo della botola. Più tardi puoi cercare di uscire e di calarti
  in acqua. Sono già quasi tutti ubriachi, tra un po’ nessuno potrà accorgersi
  di nulla. Non so se riuscirai a raggiungere la riva, ma te lo auguro. Domani
  ti cercheranno, ma mi sembra che l’isola sia abbastanza grande, dovresti
  riuscire a nasconderti. Aveva
  l’impressione di non riuscire a respirare. L’odore di quell’uomo gli
  penetrava nei polmoni, lo soffocava. Gli mancavano le forze. - Spero
  che tu ce la faccia. Doveva
  alzarsi ed uscire. Doveva. Ma non riusciva ad alzarsi. Ci fu un lungo
  silenzio. Sentì una
  mano che gli sfiorava la spalla, saliva fino alla sua guancia. Poi l’altra
  guancia ricevette la stessa carezza e le due mani gli strinsero il viso,
  mentre Felipe avvertiva che l’uomo era più vicino. Non sapeva che cosa
  sarebbe successo, ma lo voleva, con tutte le sue forze. Sentì le
  labbra dell’uomo che si posavano sulla sua fronte, poi su un occhio, sull’altro
  ed infine raggiungevano le sue labbra, che si erano aperte. Il calore delle
  due mani che gli stringevano la testa gli dava il capogiro, ma la sensazione
  di quelle labbra era più forte, molto più forte. Non aveva mai baciato un
  uomo, non sapeva che si potesse baciare un uomo. Nessun uomo lo aveva mai
  baciato. Molti lo avevano scopato, ma nessuno lo aveva mai baciato. Ebbe un
  capogiro. Non sapeva che un bacio potesse dare sensazioni così forti. Era privo
  di forza e volontà. Senza capire, si ritrovò a terra. L’uomo doveva essere
  sopra di lui, perché le sue labbra percorrevano ancora il suo viso, le mani
  lo accarezzavano, ma non ne avvertiva il peso. Alzò le braccia e incontrò il
  corpo. Affondò le dita in quella carne. 
   Le mani
  dell’uomo nei suoi pantaloni. Le mani dell’uomo. Forti, calde, potenti,
  avvolgenti, sicure. Nessun uomo lo aveva mai toccato così, nessun uomo,
  nessuna donna. Non aveva mai provato nulla del genere. L’ultima notte con
  Barbanera il piacere lo aveva fatto urlare, ma non era coinvolto come lo era
  adesso. La sua mente ed il suo corpo. Dal suo membro, dai testicoli che
  l’uomo sfiorava ed accarezzava, stringeva e stuzzicava, salivano brividi di
  piacere del tutto nuovi. Non pensava che si potesse godere così. Le mani di
  quell’uomo, le mani, le dita. Intorno al suo cazzo, i suoi coglioni, il suo
  cazzo teso allo spasimo, la sensazione di sprofondare sempre di più, di
  scomparire. Non sapeva più dov’era, che cosa faceva. Non esisteva nulla, se
  non quella carezza, quella stretta, quel solleticare, quel martoriare. Le
  dita di quell’uomo sul suo cazzo, la sensazione di peso nei suoi coglioni. Il
  corpo che sembrava ardere. La mano dell’uomo che gli percorreva il corpo. La
  carezza era ormai intollerabile, il cazzo gli doleva per la tensione, il contatto
  delle dita sui coglioni era doloroso, un dolore più forte, un’esplosione da
  dentro, dalle profondità, che saliva, saliva, lo squassava tutto ed infine
  usciva, in alto, sempre più in alto. Urlò, ma la mano dell’uomo gli chiuse la
  bocca. Il suo corpo si contorceva in uno spasimo che era un’agonia, mentre
  ondate su ondate di piacere lo abbattevano, lasciandolo sfibrato e
  boccheggiante. Lentamente,
  con fatica, emerse dal gorgo dove era sprofondato. Si mise a sedere. Nella
  destra sentì il freddo di una lama. - Questo è
  tuo. Felipe
  capì che l’uomo gli stava rendendo il suo coltello.  - Mi avevi
  preso il coltello!? - Era per
  quando viene il Gallego. Ma vedrò di cavarmela senza. Se si accorgono che non
  hai più il coltello e capiscono che l’avevo io, per te è finita. - Vuoi
  ammazzare il Gallego? Come pensi di cercarlo sulla nave, senza che nessuno si
  accorga di te? - Verrà a
  trovarmi lui, tra non molto, lo conosco bene. Uno dei due non uscirà vivo da
  questo buco, quando si accorgerà che non sono legato. - Perché
  pensi che verrà?  - Lo
  spettacolo di domani non gli basta di certo, vuole un supplemento di
  divertimento, per quello l’ha rinviato a domani. - Che cosa
  vuole fare? - Ha i
  suoi gusti. Ma tu non mi sembri il tipo da divertirsi a sentire queste cose. Felipe
  esitò un attimo, ma fu solo un’esitazione del corpo. Aveva già deciso. Cercò
  le mani dell’uomo e gli diede il coltello. Potevano fargli quello che
  volevano. Voleva che quell’uomo si salvasse. Ad ogni costo. L’uomo
  prese il coltello, dopo un attimo di indecisione. - Grazie,
  ragazzo. Grazie. Rimani nelle vicinanze. Te lo renderò, ad ogni buon conto.
  Chiudi la botola. Il Gallego verrà tra poco e non deve sospettare di niente. UN VECCHIO CONTO Felipe si
  issò fuori dalla botola. La chiuse, mise il fermo e si spostò poco lontano,
  nascondendosi di fianco ad una scialuppa. Era notte, ma la luce delle stelle
  era sufficiente a distinguere ciò che avveniva. Si sentiva ancora una voce di
  ubriaco che cantava, ma gli altri pirati dovevano essere a dormire, ormai. Forse il
  Gallego non sarebbe venuto. Forse era meglio che aprisse la botola e facesse
  uscire l’uomo. Stava meditando se farlo, quando vide un’ombra avvicinarsi.
  Era il Gallego.  Il
  Gallego tolse il fermo, aprì la botola e si calò dentro. Felipe si
  avvicinò strisciando alla botola ed accostò l’orecchio. Poteva sentire
  benissimo: i due uomini erano a nemmeno un metro da lui. Fu il
  Gallego a parlare: - Sono
  venuto a salutarti, Porco-fottutissimo, figlio di
  porco. La voce
  del Gallego era allegra, di un’allegria crudele. - Sapevo
  che saresti venuto, papà. L’allegria
  nella voce dell’uomo era diversa, meno feroce. Ma c’era altrettanta
  determinazione. - Niente
  ti fa abbassare la cresta, eh? - Tu no
  di certo. - Invece
  credo che tra poco sarai molto meno arzillo, mio caro galletto, anzi:
  cappone! - Tu sei
  tanto arzillo solo perché hai le mani libere ed il coltello. - Sì e
  adesso lo assaggerai. Abbiamo un conto in sospeso, noi due ed oggi lo
  saldiamo. Dovevi sapere che non potevi andartene senza pagare il conto.
  Adesso lo paghi. Sai, ho pensato che se crepi domani, i coglioni non ti
  servono più. Perciò adesso te li taglierò, poi credo proprio che te li farò
  assaggiare. Te li infilerò in gola, uno per uno. - Non ti
  sarà così facile, Gallego. - Merda!
  Come hai… Non
  completò la frase. Un rumore sordo ed un urlo strozzato, di animale
  abbattuto. Ancora un rumore sordo ed un nuovo urlo. Ed ancora lo stesso
  rumore, ma solo più un gemito ad accompagnarlo e poi un rantolo.  Poi
  silenzio. Di nuovo
  un rumore secco, prolungato.  Poi
  silenzio. Felipe si
  guardò intorno. Non si vedeva nessuno. Il Gallego era morto, ma tutti i
  pirati dormivano. Sarebbe stato un risveglio amaro, quello dell’indomani. L’uomo
  mise la testa fuori dalla botola. Felipe sussurrò:  - Non c’è
  nessuno. Puoi uscire. In un
  attimo l’uomo fu fuori. Aveva un coltello in mano ed uno in bocca, che si
  tolse e porse a Felipe. - Questo
  è il tuo coltello. Io ho quello del Gallego, a cui non serve più. Grazie. - Pensi
  di farcela? - Dovrei
  riuscire a calarmi in acqua ed a nuotare fino a riva, anche se sono un po’
  malconcio. Se tocco terra prima che si accorgano della mia scomparsa, nessuno
  più mi ritroverà, te lo garantisco. Mentre
  parlava, l’uomo aveva afferrato una corda, l’aveva assicurata alla fiancata e
  l’aveva lanciata in acqua. La rapidità e la sicurezza con cui aveva
  effettuato l’operazione, senza neppure posare il coltello, stupì Felipe.
  L’uomo sarebbe arrivato a riva, questo era certo. L’uomo chiuse la botola e mise
  il fermo. -
  Lasciamo tutto così. Penseranno che il Gallego è venuto e che io l’ho
  disarmato ed ucciso con il suo coltello. UNA PROPOSTA 
 Felipe
  annuì, anche se al buio l’uomo non poteva vederlo. - Buona
  fortuna, allora. - Vieni
  con me, ragazzo. Le parole
  dell’uomo lo presero di sorpresa. - Che cosa
  dici? - Tu non
  hai nulla a che vedere con questa banda di assassini. Vieni via con me. Ti
  garantisco che ti farò arrivare sano e salvo dove vuoi, a Port-Royal
  o all’Havana. Su quell’isola c’è un nascondiglio dove nessuno può trovarci e
  quando questi saranno andati via, raggiungeremo un posto sicuro. A Felipe
  mancò il respiro. Pensò alle mani di quell’uomo e fece un passo indietro.
  Senza neppure rendersene conto, rispose: - No. Non
  posso. Non posso. - Mi
  dispiace, ragazzo. Sei sicuro?  Cercando
  di non pensare, Felipe rispose: - Sì.
  Buona fortuna… Avrebbe
  voluto salutarlo chiamandolo per nome, ma si rese conto che non sapeva il suo
  nome. Non poteva certo dirgli: - Addio, Porco-fottutissimo. - Buona
  fortuna, ragazzo. Su questa nave ne hai più bisogno tu di me. Passò la
  sinistra dietro la nuca di Felipe e lo attirò a sé, baciandolo sulla bocca.
  Un bacio lieve, ma per Felipe fu un’altra scossa. Poi si mise il coltello tra
  i denti e scomparve oltre la murata.   Sporgendosi,
  Felipe poté sentire il gorgoglio dell’acqua: l’uomo si era immerso. Era
  troppo buio per vedere. Quando fu
  sicuro che l’uomo doveva aver raggiunto la riva, Felipe si allontanò e si
  stese sul ponte: come alcuni altri, preferiva dormire all’aperto, quando non
  c’era rischio di pioggia. Il legno era meno comodo di un’amaca, ma almeno si
  risparmiava gli odori e l’aria pesante che regnavano sottocoperta. E,
  soprattutto, si risparmiava la compagnia degli altri pirati. Cercò di
  addormentarsi, ma non ci riusciva. Erano successe troppe cose. La cattura
  dell’uomo, le mani di quell’uomo, la morte del Gallego, che ancora nessun
  altro sapeva.    Ma a
  tormentarlo era una domanda, che ritornava più volte nella sua testa. Perché
  non aveva accettato di andarsene da quella nave maledetta? Che cosa lo aveva
  bloccato? Andarsene era quello che voleva. Era la cosa che aveva deciso di
  fare, che aveva bisogno di fare. Un’occasione come quella non l’avrebbe mai
  più avuta. Perché
  allora aveva detto di no? Di quell’uomo si poteva fidare, ne era sicuro. Non sapeva
  nulla di quell’uomo, nulla, se non che aveva impedito che i pirati della Black Gull
  assassinassero due ragazzi. Nulla, se non che era coraggioso e deciso. Nulla,
  se non che le mani e la bocca di quell’uomo incendiavano il suo corpo. Era stato
  quel fatto a bloccarlo. Quell’uomo lo attraeva troppo. Aveva paura di quello
  che provava. Sapeva,
  con assoluta sicurezza, che si sarebbe pentito di non aver accettato la
  proposta. Ne era già pentito. Ma era troppo tardi. Eppure era contento che
  quell’uomo fosse lontano. Perché se quell’uomo fosse stato al suo fianco, non
  sarebbe riuscito a mettere al mondo dei piccoli Llera. Non
  l’avrebbe mai più rivisto, per fortuna. Per sua fortuna, anche
  questa previsione era sbagliata. CAMBIAMENTO
  DI PROGRAMMA
  Felipe si
  addormentò molto tardi e fu uno degli ultimi a svegliarsi. I suoi compagni
  erano tutti allegri: pregustavano una grande giornata. A vederli
  così allegri, a Felipe venne da sorridere. Avrebbero avuto una bella
  delusione. - To’,
  finalmente anche Spadaccino è di buon umore.  Felipe
  sorrise a Rufus e si disse che doveva fare
  attenzione. Se qualcuno avesse sospettato, la sua fine sarebbe stata
  memorabile come avrebbe dovuto essere quella di Porco-Fottutissimo. Non ci
  teneva proprio. È vero che era stato lui a catturare Porco-Fottutissimo, ma
  il Sanguinario diffidava di lui. E fu
  proprio il Sanguinario ad avvicinarsi a loro ed a dire: - Dov’è il
  Gallego? Rufus alzò le spalle e Felipe lo imitò. Alle
  spalle di Felipe, Pedro disse: - Non è
  nella cabina? Secondo me dorme attaccato al tesoro della Texel,
  ha paura che qualcuno gli frega un doblone. Il
  Sanguinario scosse la testa. - No, la
  cabina è chiusa, ho bussato, ma non risponde. - Dormirà. - Piantala
  di sparare cazzate, Pedro. Sai che il Gallego ha il sonno leggero. - Allora
  sarà andato a trovare Porco-fottutissimo.  - No, la
  botola è chiusa, con il fermo. - Senti,
  Sanguinario, non lo so e non me ne fotte un cazzo di te e di lui. Non mi
  rompere i coglioni.  - Va’ a farti
  fottere, Pedro. Il
  Sanguinario si girò e se ne andò. Era nervoso. Doveva aver intuito che c’era
  qualche cosa che non andava. Nessuno
  sapeva nulla del Gallego, tranne Felipe, che ovviamente si guardò bene dal
  dire che bastava aprire la botola per trovarlo. Intanto i
  pirati cominciavano a chiedere di mettere in scena lo spettacolo previsto.
  Fermarsi da quelle parti, frequentate dalle navi militari spagnole, non
  conveniva. Toccava al Gallego dare l’ordine, ma tutti erano impazienti.  -
  Cominciamo a tirarlo fuori, così ci divertiamo un po’. Il
  Sanguinario annuì. - Sì,
  tiriamolo fuori. Forse… Il
  Sanguinario doveva aver intuito qualche cosa. Si
  diressero tutti alla botola ed il Sanguinario la aprì. La luce del sole
  illuminava il piccolo locale e tutti coloro che erano in prima fila poterono
  vedere: sul fondo giaceva il corpo di un uomo massiccio, a torso nudo, i
  pantaloni abbassati. L’uomo aveva il ventre squarciato da due coltellate. Un
  terzo colpo, al cuore, aveva concluso l’opera, ma l’assassino non si era
  fermato lì: tra le gambe il morto non aveva più nulla, se non un’altra
  lacerazione rossa. Tutti
  avevano capito. Il Sanguinario si calò nella botola e sollevò il corpo,
  porgendolo ai compagni. Mentre lo tiravano fuori, Felipe poté vedere che il
  Gallego stringeva tra i denti quel che gli mancava tra le gambe. - Porco-fottutissimo l’ha ucciso e castrato. Rufus mormorò, sconsolato: - Quel
  figlio di puttana è imbattibile. Ci ha fottuti tutti. Come al solito. Ormeño commentò: - Avevamo
  in programma un bello spettacolo e ci ritroviamo a fare un funerale. Porco-fottutissimo è proprio un rompicoglioni. - Di’ pure
  un taglia-coglioni! La battuta
  del Lobo suscitò le risate di diversi compagni. Nessuno di loro sembrava
  affranto per la morte del capo. Il
  Sanguinario li raggelò: - Dobbiamo
  trovare quel fottuto bastardo. Scimmia
  replicò:           - Non possiamo fermarci ancora qui. Siamo
  rimasti fin troppo. È pericoloso. E quel bastardo non lo scoviamo facilmente.
  Ha le sue tane, in cui si rimpiatta, il figlio di puttana. 
  -
  Scimmia ha ragione, Sanguinario. È come cercare un ago nel pagliaio!
  Il
  Sanguinario guardò l’isola. Era furente, ma Felipe capì che si rendeva conto
  anche lui della situazione.
  -
  Partiamo. All’isola dei serpenti sceglieremo il nuovo capo e divideremo il
  bottino. 
  La nave
  salpò. Non c’era più nessuna allegria, ora. Tutti erano irritati, anche se
  non sofferenti. Felipe nascose la propria contentezza. 
  Lontano
  dall’isola, il Gallego ebbe diritto al solito funerale: gli tolsero i
  pantaloni e lo gettarono in mare. Felipe vide la pinna di uno squalo
  avvicinarsi al punto in cui il Gallego era stato gettato. 
  Degna
  fine per il Gallego, pensò.
  IL DUELLO
  
 Giunsero
  all’isola dei serpenti la sera del giorno successivo e scesero subito a
  terra. Tra i pirati c’era una certa tensione, perché ora si trattava di
  dividere un tesoro enorme. Erano una quarantina, ma c’era tanto di quell’oro
  che avrebbero potuto spassarsela per alcuni anni. La divisione però li
  innervosiva, tanto più che non c’era più il comandante che si erano scelti.
  Dividere le monete era facile, c’era un regolamento preciso. Ma l’oro e i
  gioielli? Come stimarne il valore reale? Ognuno temeva di essere ingannato. Felipe era
  del tutto indifferente. Di quel tesoro non voleva una moneta. Scesi a
  terra, tutti i pirati si misero a sedere in cerchio. Il
  Sanguinario, che era il capo in seconda, disse: -
  Eleggiamo il capo, poi dividiamo il bottino. È più facile se c’è un capo. Il Toro
  replicò, secco: - Al capo
  spetta una parte maggiore del bottino, ma il capo che avevamo quando abbiamo
  conquistato questo tesoro è morto. Il nuovo capo non può avere nulla in più
  degli altri.  Il
  Sanguinario lanciò al Toro un’occhiata furente, ma i pirati aderirono
  immediatamente alla proposta del Toro. Felipe si
  era seduto un po’ indietro: di quella discussione non gli importava nulla. Ma ci fu
  tirato per i capelli. Fu il Lobo
  di Siviglia a parlare. Felipe aveva già notato che il pirata ce l’aveva con
  lui, perché lo aveva sconfitto in duello. -
  Spadaccino è escluso dalla divisione. Non ha partecipato all’azione e non ne
  era nemmeno al corrente. La seconda
  affermazione era vera, la prima no, perché Felipe era stato con il
  Sanguinario a bordo della Texel. Comunque Felipe
  non esitò. Rispose, ad alta voce: - Sono
  d’accordo. Tutti
  approvarono Spadaccino, ben contenti di avere senza discussione un
  concorrente in meno. La remissività di Felipe infuriò il Lobo.  - E
  Spadaccino mi rende anche la spada che gli ho dato. In un
  attimo Felipe fu in piedi, la mano sull’elsa. - Se la
  vuoi, te la devi guadagnare in duello, come me la sono guadagnata io. Il Lobo
  digrignò i denti. Era rabbioso, ma Felipe vide che non se la sentiva di
  affrontarlo. I pirati però, privati del divertimento che avrebbe dovuto
  assicurare Porco-fottutissimo, non si lasciarono
  sfuggire l’opportunità di godersi un altro spettacolo. - Ben
  detto, Spadaccino! Avanti, Lobo, se hai i coglioni, fatti sotto! - Non mi
  dire che fai il galletto e sei solo un cappone? - Ti si è
  gelata la lingua o te la stai facendo sotto? - Puah, sento la puzza da qua! Ti sei cagato addosso! Ormai il
  Lobo non poteva tirarsi indietro. Felipe vide che aveva paura, una paura
  dannata. Sapeva di non essere un avversario all’altezza di Felipe e temeva di
  finire male. Felipe
  invece non aveva paura. Era in grado di difendersi e poi gli importava ben
  poco di morire. Entrambi
  si tolsero la camicia. I pirati allargarono il cerchio, delimitando un’ampia
  area in cui i due combattenti si sarebbero affrontati. Il Lobo si
  scagliò su Felipe con irruenza, ma Felipe parò tutti gli attacchi. Poi
  incominciò ad incalzarlo. Il Lobo fu costretto ad arretrare e ben presto si
  trovò al bordo del cerchio, tra le risate ed i lazzi dei compagni, che lo
  deridevano. Il Lobo
  avrebbe voluto avanzare, ma Felipe non gli dava tregua. Cercando
  di spostarsi, il Lobo di Siviglia inciampò e cadde per terra. Felipe gli
  puntò la spada alla gola.  -
  Arrenditi, Lobo. Il Lobo lo
  guardò, un’espressione di odio in faccia. Poi aprì la mano e lasciò cadere la
  spada. - Mi
  arrendo. Il
  Sanguinario disse: - Bene,
  Spadaccino, hai dimostrato che la spada te la sei meritata. Felipe
  rimise la spada nel fodero e si voltò per allontanarsi ed andarsi a
  rivestire. In quel momento sentì Scimmia urlare. - Ehi,
  Lobo. Si voltò
  in tempo per vedere che il Lobo aveva ripreso l’arma, l’aveva sollevata e si
  preparava a calarla sulla sua testa. Con un salto all’indietro, Felipe riuscì
  a schivare il colpo. Mentre
  Felipe sguainava la propria spada, preparandosi a riprendere il duello, si
  fece avanti Scimmia. - Lobo,
  hai violato le norme del duello. Il Lobo
  rise, un riso furente, quasi folle: probabilmente si rendeva conto di essersi
  cacciato in un pasticcio da cui non sarebbe uscito vivo. Poi, con un
  movimento brusco, immerse la lama nello stomaco di Scimmia.  In un
  attimo, prima che il Lobo potesse estrarre l’arma dal corpo di Scimmia, il
  Sanguinario gli fu addosso da dietro e lo afferrò.  Il Sanguinario
  era una bestia, un metro e novanta abbondanti, un corpo da peso massimo. Le
  sue braccia imprigionavano il Lobo in una morsa e gli impedivano di muoversi. Il
  Sanguinario si rivolse a Gerald: - Fa’ il
  cappio, Gerald, e legalo a quell’albero, lì, dove sta Sbatti-culo.
  Il Lobo sarà impiccato. Il Lobo
  urlò: - No,
  bastardi, no! Il
  Sanguinario gli rispose, senza mollarlo: - Sei un
  assassino e non c’è bisogno di processo. Abbiamo visto tutti. Gerald era
  già sull’albero e stava appendendo il cappio. - Più
  corto, Gerald, più corto.  Poi il
  Sanguinario si rivolse a Rufus, sempre tenendo
  bloccato il Lobo, che si dibatteva tanto disperatamente quanto inutilmente. - Mettici
  la botte sotto, Rufus, e tienila ferma. Rufus fece rotolare fin sotto il cappio la
  botte di vino che si erano portati per bere e la tenne ben ferma. Il
  Sanguinario ci mise un piede sopra, senza mollare il Lobo, poi mise anche
  l’altro piede sulla botte e spostò il corpo del Lobo in modo da infilargli la
  testa nel cappio. - Molla, Rufus. Rufus lasciò la presa, ma non successe niente:
  la botte non si mosse. - Pronto,
  Lobo? Ora ci divertiamo! Il
  Sanguinario scoppiò a ridere, una risata che lo squassava tutto. Con un piede
  fece rotolare via la botte e rimase aggrappato al Lobo. La corda
  era corta e l’agonia sarebbe stata lunga, ma il peso del corpo del
  Sanguinario trascinava in basso anche il Lobo, che si dibatteva, stretto
  nella morsa delle braccia del Sanguinario.  Felipe
  guardò la scena, incapace di distogliere gli occhi. Aveva già visto alcuni impiccati,
  ma non aveva mai assistito ad un’impiccagione. Il Lobo scalciava
  disperatamente ed agitava le braccia, ma la morsa del Sanguinario non gli
  permetteva di raggiungere la corda per allentarla. Il collo
  del Lobo si allungava e gli occhi si dilatavano. Dalla bocca scendeva un filo
  di saliva e ad un certo punto la lingua guizzò fuori e si fermò tra i denti. Il Lobo si
  agitò ancora un momento, mentre il Sanguinario continuava a ridere, ma i
  movimenti erano sempre più lenti e finirono per cessare del tutto.  I due
  dondolarono ancora un buon momento, poi il Sanguinario mollò la presa, ancora
  scosso dalla risata. Le sue mani si afferrarono ai pantaloni del Lobo e in un
  attimo il Sanguinario fu a terra. Il Lobo rimase appeso nudo, i pantaloni
  impigliati nei piedi, e Felipe poté vedere l’uccello proteso verso l’alto.
  Non aveva mai visto un impiccato nudo. Sapeva che spesso agli impiccati
  veniva duro, l’aveva sentito dire, ma era la prima volta che aveva modo di
  verificarlo. UN COMPITO PER SPADACCINO Il Sanguinario
  rideva ancora, soddisfatto della sua prodezza. Come sempre, uccidere lo
  rendeva allegro. Non solo allegro, qualche cosa di più, molto di più: il
  rigonfio dei pantaloni non lasciava dubbi. La morte
  di Lobo e di Scimmia aveva eliminato altri due concorrenti per la spartizione
  del bottino, ma tra i pirati serpeggiava il malcontento. Del Lobo, era
  evidente che non importava nulla a nessuno. Ma tutti parlavano di Scimmia,
  che aveva tirato le cuoia mentre il Lobo veniva impiccato.  - E che
  facciamo adesso, senza Scimmia?  - Proprio
  ora che c’è da dividere il bottino! - Merda,
  proprio ora! Quel figlio di puttana del Lobo! Felipe si
  stupì: non gli era sembrato che Scimmia fosse così amato. E non capì il senso
  della domanda che il Sanguinario gli porse a bruciapelo: -
  Spadaccino, sai scrivere? Felipe lo
  guardò, perplesso. - Certo! Il
  Sanguinario gli fece il verso: - Certo!  Felipe si
  morse il labbro. Ovviamente non poteva pensare che sulla Black
  Gull molti avessero frequentato l’università.
  Non aveva riflettuto che saper scrivere su quella nave doveva essere
  appannaggio di pochi o, come capì subito dopo, solo del defunto Scimmia.  Il
  Sanguinario riprese: - Ci avrei
  giurato che eri un damerino. Buon per te. Ci serve qualcuno per sostituire
  Scimmia. Era l’unico che sapeva scrivere. Devi segnare quello che spetta del
  bottino a ognuno di noi. Scimmia in
  effetti aveva il compito di registrare quanto toccava a ciascuno nella
  spartizione della preda e si era portato a terra una specie di registro e
  l’occorrente per scrivere. Il tesoro
  venne diviso tra tutti, dando materialmente ad ognuno le monete che gli
  spettavano. Poi vennero spartiti anche alcuni gioielli, tra grandi
  discussioni. Altri pezzi, che sembravano di maggior valore, non vennero
  assegnati a nessuno: sarebbero stati venduti a Port-Royal
  ed il ricavato sarebbe stato diviso.  Al termine
  dell’operazione quasi tutti i pirati rimisero nei sacchi i gioielli e le
  monete: preferivano che tutto venisse custodito in un luogo sicuro, non
  fidandosi dei compagni. Qui veniva il turno di Felipe, che doveva segnare con
  cura tutto ciò che veniva dato in consegna, per essere poi restituito quando
  fossero giunti a terra. Il Sanguinario gli disse: - Bada a
  non sbagliare, Spadaccino. Un errore lo paghi con la pelle. Felipe registrò
  con cura, indicando il numero ed il tipo di monete e le caratteristiche dei
  gioielli assegnati ad ogni marinaio. Terminata
  l’operazione, tutti i pirati erano allegri: si erano arricchiti ed avevano in
  vista di incrementare il loro bottino con la vendita di quanto non era ancora
  stato diviso. Molti pezzi dovevano valere una bella cifra.  Alcuni
  proposero di mettersi a mangiare, ma il Sanguinario disse: - Prima
  dobbiamo scegliere il nuovo comandante. I pirati approvarono
  e subito venne fatto il nome del Sanguinario. Era la scelta più naturale: era
  il vice del Gallego ed aveva l’appoggio della maggioranza degli uomini. Non
  del Toro: i due si detestavano. Ma agli altri il Sanguinario piaceva. Ed in
  effetti il Sanguinario divenne il nuovo capo, per acclamazione. Quella
  sera, dopo che tutti ebbero bevuto e si fu svolta la solita ammucchiata,
  Felipe si mise in disparte a pensare.   Doveva
  andarsene, andarsene in fretta. Aveva fatto male a non accettare la proposta
  di Porco-fottutissimo. Ripensò a quell’uomo. Era
  contento che fosse in salvo. Ma il pensiero lo turbò. Si disse che stava
  esagerando. Che cosa era successo, in fondo? Niente, un bacio ed una sega.
  Tutto lì.  Nel buio
  Felipe sorrise. Sapeva benissimo che stava mentendo a se stesso, che
  quell’uomo lo aveva sconvolto come mai nessuno. Definire una sega quello che
  c’era stato tra loro era una cazzata. Ma Felipe non voleva dare troppa
  importanza a qualche cosa che già gli ritornava in testa in continuazione.
  Cercò di non pensare all’uomo e di concentrarsi sulle possibilità di fuggire. Doveva
  andarsene prima che la Black Gull si trovasse coinvolta in un arrembaggio. Perché
  di combattere con i suoi compagni, lui non se la sentiva proprio. E non ci
  teneva neppure a finire impiccato.  Guardò il
  cadavere del Lobo che penzolava ancora, illuminato dalla luce lunare. No, non
  ci teneva proprio. Doveva andarsene. E in fretta. Andarsene
  sarebbe stato possibile, forse, se Felipe avesse avuto più tempo, ma il tempo
  che rimaneva era proprio poco. Tre giorni
  dopo la Black Gull
  incontrò la Madre de Dios e la Santiago.
  Che cosa può fare un povero gabbiano nero contro la Madonna e contro san
  Giacomo, detto, non a caso, Matamoros per la sua
  partecipazione in battaglia contro i Mori? Nell’impari lotta, il gabbiano
  nero ebbe la peggio. L’ULTIMA BATTAGLIA DELLA BLACK GULL 
 La Black Gull
  avanzava in direzione della Giamaica, dove i pirati contavano di vendere i
  gioielli.  Quel
  pomeriggio la nave procedeva al largo della costa meridionale di Hispaniola, quando dalla costa si staccò una nave
  militare spagnola, una goletta da guerra, che cercò di tagliare loro la
  strada. La Black Gull,
  più veloce, riuscì ad evitare di essere intercettata, ma la goletta si mise
  all’inseguimento. Sulla Black Gull
  nessuno sembrava molto preoccupato. - Ma cosa
  credono di fare quei coglioni? Stanno perdendo terreno a vista d’occhio. Tra
  due ore al massimo non ci vedranno più neanche.  - Poveri
  fessi, con quella balena pensano di raggiungerci. Felipe era
  ben contento che l’inseguimento fallisse: a Port-Royal
  poteva avere qualche possibilità di scappare, ma in uno scontro aveva solo la
  scelta tra morire combattendo e morire impiccato. Nessuna delle due
  possibilità gli sembrava attraente. E di combattere a fianco dei pirati della
  Black Gull
  non aveva proprio voglia. La Black Gull
  avanzava veloce, ma l’inseguitrice non rinunciava, benché la distanza
  aumentasse, come i pirati avevano previsto.  Erano ormai quasi giunti all’isola Beata, all’estremità meridionale di Hispaniola, quando da dietro l’isola sbucò una seconda goletta da guerra spagnola. Non sarebbero riusciti ad evitarla: erano ormai troppo vicini. Invertire la rotta non era possibile, perché sarebbero finiti nelle braccia degli inseguitori. Felipe
  vide il terrore sul volto dei suoi compagni. 
   Antón, un bel giovane, nero di capelli e scuro
  di carnagione, disse quello che pensavano tutti: - Siamo
  fottuti! Il
  Sanguinario digrignò i denti. - Dobbiamo
  riuscire a fottere quella nave prima che arrivi l’altra. È la nostra unica
  possibilità. La nave
  che bloccava la loro avanzata era la Santiago. Affrontarla era chiaramente
  una lotta ad armi impari, perché la goletta era molto meglio armata. In uno
  scontro tra gli equipaggi, avrebbero avuto maggiori possibilità, ma prima di
  arrivarci avrebbero dovuto reggere il fuoco della Santiago. Felipe si
  disse che la sua ora era arrivata. Gli spiaceva di morire in quel modo, a
  fianco di quei pirati che erano la feccia dell’umanità. Non avrebbe
  combattuto per loro, di certo, ma questo non sarebbe servito a salvarlo.
  Tutto ciò in cui poteva sperare era di contribuire alla vittoria degli
  spagnoli e all’eliminazione di quei pirati dalla faccia della Terra. La Black Gull manovrò in modo da
  poter sparare con i cannoni, ma la bordata della Santiago arrivò prima che i
  pirati fossero pronti al tiro e fu subito evidente che la situazione era
  disperata: l’albero maestro venne abbattuto di netto e diversi uomini furono
  spazzati via. Felipe vide una palla di cannone portare via la testa e parte
  del torace del Barbiere, che stava vicino a lui: quello che rimaneva del
  corpo cadde a terra, in un lago di sangue, mentre il resto scompariva con il
  proiettile. La bordata
  sbilanciò la Black Gull,
  che riuscì a sparare solo dopo un buon momento. Anche il colpo dei pirati fu
  efficace, provocando diversi danni alla nave avversaria.  Ci fu
  ancora uno scambio di colpi. Anche questa volta la Santiago fu seriamente
  danneggiata, ma la Black Gull
  ebbe nuovamente la peggio: fu colpita lungo la linea di galleggiamento, perse
  il timone e incominciò ad imbarcare acqua. Il
  Sanguinario correva sul ponte dando ordini frenetici. I pirati sapevano
  benissimo di non avere nessuna possibilità di scampo, ma erano ben decisi a
  vendere cara la pelle. La Santiago si avvicinò alla Black
  Gull ed i pirati si prepararono all’arrembaggio.
  Intanto anche la Madre de Dios si stava
  avvicinando, togliendo ogni speranza di salvezza ai pirati. LO SCONTRO FINALE Quando la
  Santiago fu a lato della Black Gull, i pirati lanciarono i ganci che dovevano tenere
  unite le due navi, permettendo l’abbordaggio. Mentre la manovra era in corso,
  alcuni pirati si slanciarono a bordo della goletta, ingaggiando battaglia.
  Una manovra del timoniere sulla Santiago, o forse solo il movimento delle
  onde, allontanò la Black Gull, prima
  che i ganci venissero fissati. Questo impedì agli altri pirati di raggiungere
  i loro compagni e Belzebù, che si era appena slanciato verso la goletta,
  cadde in acqua. Una terza
  scarica di cannoni abbatté l’albero di trinchetto della Black Gull e spazzò via diversi uomini.    I pochi
  che erano riusciti a saltare sulla nave avversaria si trovarono di fronte un
  equipaggio molto più numeroso e ben addestrato e fu subito evidente che non
  avevano molte possibilità, se non quella di morire combattendo. Felipe,
  che era rimasto sulla Black Gull, seguì
  il combattimento. Il primo a
  venire colpito fu Volpe, che ricevette un colpo di pistola in faccia e cadde
  stecchito. Ramón lo seguì quasi subito: un marinaio
  si avventò su di lui e lo colpì al braccio, quasi tagliandolo. Mentre Ramón si portava l’altra mano alla ferita, lo spagnolo
  gli infilò la spada nel cuore. La morte
  di Rufus fu meno rapida. Felipe vide un marinaio
  molto alto scagliarsi su di lui. Malgrado la sua mole, Rufus
  si muoveva con agilità e riuscì a parare il colpo. A sua volta attaccò,
  lanciandosi sull’avversario, ma questi schivò il colpo e prima che Rufus riuscisse a rimettersi in guardia, gli immerse la
  picca nel ventre. Felipe vide Rufus strabuzzare gli
  occhi e fissare quasi incredulo il marinaio. Rufus
  lasciò andare la spada, che cadde al suolo. Il suo avversario estrasse la
  picca insanguinata e sul viso sudato di Rufus passò
  uno spasimo acuto. Lo spagnolo portò indietro il braccio e poi lo spinse
  avanti di colpo, immergendo nuovamente la picca nel ventre del pirata. Rufus barcollò. Il marinaio lo guardò un attimo, poi
  spinse ancora con forza e la picca proseguì nel suo percorso, trapassando il
  pirata. Quando il marinaio estrasse l’arma, Rufus
  cadde al suolo. Concentrato
  nel seguire il duello di Rufus, Felipe aveva perso
  di vista gli altri. Ne rimanevano pochi ancora in piedi ed il loro numero
  calava rapidamente. Sbatti-culo fu colpito da un
  proiettile alla coscia e cadde al suolo, incapace di reggersi ancora. La
  spada di un marinaio decapitò di netto Alonso: la testa cadde a terra, il
  corpo rimase in piedi un attimo, poi seguì la testa. Juancho
  intanto era stato sospinto contro la murata ed uno spagnolo gli aveva messo
  le mani intorno al collo: lo stava strangolando e Juancho
  cercava disperatamente di allontanare quelle mani che gli toglievano il
  respiro, ma era senz’armi, come il suo più robusto avversario. Felipe lo vide
  boccheggiare, mentre il marinaio stringeva sempre di più. La resistenza di Juancho venne meno e Felipe vide il suo corpo scivolare
  all’indietro, fino a che si afflosciò senza vita, rimanendo sospeso sul
  parapetto della murata. Con un colpo, il suo avversario lo fece cadere in
  acqua. Sulla Santiago erano rimasti in tre ancora
  in piedi: il Toro, Antón e Pedro. Felipe sentì il
  comandante della nave urlare di prenderli vivi, ma i tre lottavano con tutte
  le loro forze e non si sarebbero certo lasciati catturare. Essi avanzavano
  senza paura, come se dietro di loro avessero avuto l’intera ciurma della Black Gull.
  Sembravano creare il vuoto intorno a sé ed infatti ci fu un momento in cui si
  trovarono da soli sul ponte, mentre gli uomini della Santiago cercavano tutti di allontanarsi. Nessuno
  dei tre capì in tempo.  Felipe si
  accorse che su un albero della nave, proprio sopra ai tre, c’erano due
  spagnoli con una grande rete. Questa venne lanciata e finì sui tre pirati,
  imprigionandoli ed impedendo loro di difendersi. In un attimo i marinai
  furono su di loro, li disarmarono e li catturarono.  L’arrembaggio
  alla Santiago si era concluso con
  la sconfitta dei pirati, anche se molti spagnoli erano morti nella difesa
  della nave. UNA FINE INGLORIOSA Intanto la
  Black Gull
  continuava ad imbarcare acqua e divenne evidente che la nave sarebbe presto
  affondata. Il Sanguinario decise di far calare le scialuppe, in cui mise
  anche il tesoro. L’isola Beata non era lontana e forse il Sanguinario pensava
  di raggiungerla in barca, mentre sulla Santiago si combatteva.  Era una
  manovra disperata e infatti la Madre de
  Dios fu su di loro molto prima che i pirati
  fossero riusciti ad allontanarsi dalla nave.  Dalla Madre de Dios
  intimarono di arrendersi, ma la replica del Sanguinario non fu molto
  conciliante:  - Andate
  tutti a farvi fottere, figli di puttana. Non ci avrete. La
  risposta che giunse dalla Madre de Dios fu altrettanto conciliante, ma molto più
  incisiva: una cannonata centrò una delle due scialuppe, uccidendo buona parte
  degli uomini. Alcuni riuscirono a raggiungere l’altra imbarcazione, benché
  fossero feriti. Altri furono meno veloci dei pescecani. Sovrastata
  dalla Madre de Dios,
  la scialuppa dei pirati aveva le stesse possibilità di salvarsi di un agnello
  di fronte ad un leone. Il
  Sanguinario sembrava un leone in gabbia, ma questa volta aveva la parte
  dell’agnello.  - Siamo
  fottuti, Sanguinario. Dobbiamo arrenderci. - Per
  finire impiccati? Che cazzo dici, Ormeño? -
  Impiccati o agli squali, non cambia molto. O hai qualche idea? La Madre de Dios
  era vicinissima. Calarono una fune.  - Salite a
  bordo o vi fuciliamo tutti. Il
  Sanguinario rispose con il solito tono accomodante: - Merda!  Dalla nave
  spararono solo due colpi di fucile. L’Asturiano si
  accasciò con un foro nel petto e Prudencio lanciò
  un urlo quando la pallottola gli trapassò la gamba. - È
  inutile, Sanguinario. Io vado. La corda
  era proprio sopra la barca e Lapo l’afferrò, cominciando ad issarsi. Il
  Sanguinario gli puntò la pistola per ucciderlo, ma un nuovo sparo lo ferì
  alla mano destra, costringendolo a lasciar cadere l’arma. Qualcuno doveva
  avere una mira maledettamente precisa, su quella nave. Lapo fu
  seguito dagli altri pirati, tra cui Felipe. Man mano
  che arrivavano sul ponte della nave, venivano bloccati, spogliati
  completamente e legati con le mani dietro la schiena. Nessuno oppose
  resistenza: sapevano benissimo che era del tutto inutile. Alla fine
  sulla scialuppa rimase solo il Sanguinario, che cercò di afferrare la cassa
  del tesoro per gettarla in acqua, con l’intenzione di seguirla. La cassa però
  era molto pesante ed il Sanguinario poteva usare una sola mano.  Mentre
  trafficava, fu raggiunto da quattro marinai. Ne scagliò uno in acqua con un
  calcio, ma gli altri gli furono addosso, mentre dalla nave si sentiva la voce
  del comandante: - Quello
  lo voglio vivo! Vivo! Il
  marinaio che era stato lanciato fuori bordo riuscì a risalire sulla
  scialuppa. Il Sanguinario, saldamente legato, venne issato sulla nave e
  subito dopo venne issato anche il tesoro. Il Sanguinario smaniava ed
  insultava tutti: i compagni che si erano arresi ed i marinai spagnoli, il
  comandante della nave ed il re di Spagna, la Madonna ed il Padreterno, senza
  fare distinzione di parte, classe e sesso, con una vocazione democratica che
  una settantina d’anni dopo Robespierre avrebbe molto apprezzato. FERITI E PRIGIONIERI 
 Felipe,
  nudo e con le mani saldamente legate dietro la schiena, vide caricare sulla
  nave il Sanguinario e poi il tesoro della Texel. Felipe pensò che quel
  tesoro non aveva portato fortuna a nessuno: né ai legittimi proprietari, né
  ai pirati della Texel, né a quelli della Black Gull.   Guardando
  la Black Gull, che
  stava inclinandosi e presto sarebbe affondata, si disse anche che almeno quel
  flagello era stato eliminato dal mondo. Lui non aveva contribuito, a
  differenza di quanto era avvenuto con Barbanera, ma era contento che fosse
  avvenuto.  La Madre de Dios
  raggiunse la Santiago, che era
  gravemente danneggiata. Le due navi vennero affiancate e tutti i prigionieri
  vennero trasferiti sulla Santiago.  Felipe
  guardò i compagni. Erano in diciotto. Undici senza nessuna grave ferita, il
  Sanguinario con la mano che perdeva sangue, altri sei feriti in modo più o
  meno grave. Vicino a
  lui i capitani delle due navi si stavano consultando. - Ci
  aspettavamo la Liberté
  ed invece di Testapelata ci siamo trovati la Black Gull.   - Non ci
  lasceremo scappare neanche la Liberté e faremo piazza pulita in un colpo solo degli
  ultimi pirati che ancora infestano queste acque. Vediamo la situazione. Sa
  quanti sono i morti ed i feriti? - Circa
  trenta morti e forse quaranta feriti.   - I pirati
  superstiti non sono più in grado di nuocere. Allora, questa nave è molto
  danneggiata, ma la Madre de Dios è a posto. Carichiamola con il grosso degli
  uomini e saremo in grado di affrontare la Liberté. Testapelata
  non ci sfuggirà. Qui rimangono uomini a sufficienza per procedere
  all’esecuzione. - Agli
  uomini dispiacerà non assistere all’impiccagione di questi figli di puttana,
  ma potranno rifarsi con quella dei pirati della Liberté.  - Prima di
  sera avremo raggiunto Testapelata e domani, mentre
  impiccheremo questi, anche lui penzolerà dalla corda. Il
  comandante della Santiago, che era
  il capo della spedizione, diede ordine di buttare in mare i corpi dei pirati
  morti nell’arrembaggio. I marinai
  cominciarono a scaraventare fuori bordo i cadaveri dei compagni di Felipe.
  Ben presto gli squali arrivarono a contendersi i corpi. - Bene,
  passiamo agli altri. Escluso quello. Con un
  cenno del capo, il comandante indicò il Sanguinario. Gli uomini
  presero i feriti e cominciarono a gettarli in mare, nella festa furibonda dei
  pescecani. Alcuni non erano più in grado di reagire, ma quelli che erano
  coscienti si dibattevano.  Felipe
  vide Sbatti-culo cercare disperatamente di
  allontanarsi a nuoto, ma il sangue che perdeva attirava gli squali. Quando
  Felipe sentì il suo urlo, mentre l’acqua si arrossava, non ne fu dispiaciuto.
  Sarebbe morto tra pochissimo, per colpa di quel fottuto bastardo: vederlo
  crepare era la sua ultima soddisfazione. Felipe
  pensò che li avrebbero gettati tutti in mare, ma non fu così. Il Sanguinario
  e loro, che non avevano avuto ferite profonde, furono rinchiusi nella stiva,
  in uno spazio in cui quasi non potevano stare in piedi, perché il soffitto
  era basso. Ad uno ad uno li condussero sotto e poi legarono loro le caviglie.
  Andandosene, uno dei soldati disse: -
  L’impiccagione è per domani. Passate bene la notte. Fu il Toro
  a rispondere: - Che tu
  possa crepare, bastardo! Il soldato
  rise e chiuse il portello.  Nel locale
  scese il buio.  IN ATTESA DEL CAPPIO Ci fu un
  momento di silenzio. Antón aveva la schiena contro
  la parete. I polsi gli dolevano, perché i marinai avevano stretto molto la
  corda, pizzicandogli la pelle e lacerandola. Come i suoi compagni, sapeva che
  era finita. Sentì la
  voce del Toro, tranquilla, come se stesse parlando del più e del meno. - Bene, è
  finita. Domani ci impiccheranno.   Il
  Sanguinario rispose rabbioso: - Vi siete
  fatti catturare, coglioni che non siete altro. Vi siete consegnati nelle mani
  degli spagnoli! Antón avrebbe voluto saltare addosso al
  Sanguinario. Quello stronzo non aveva neanche lottato e si permetteva di
  parlare. Per fortuna ci pensò il Toro a metterlo a posto: - Noi
  abbiamo combattuto, tu hai solo cercato di scappare con il tesoro. Piantala
  di rompere i coglioni, Sanguinario. Ne ho più che abbastanza di te. Sei uno
  stronzo, buono soltanto a scoreggiare cazzate con quella bocca di merda. Pedro
  intervenne: - Inutile
  litigare, adesso. Tanto non cambia nulla. Che ne direste di divertirci un
  po’, visto che abbiamo una notte da passare? È vero che domani sborriamo, ma
  magari oggi, senza la corda al collo, viene meglio.  Antón rise. Non sarebbe stato facile, con le
  mani ed i piedi legati, ma Pedro aveva ragione. - Ehi,
  prima di fottere, se avete da pisciare, venite da questa parte. L’invito
  di Lapo fece nuovamente ridere Antón. La voce di
  Tricheco risuonò vicinissima al suo orecchio, appena un sussurro.  -
  Stenditi. Quelle
  parole accesero il suo desiderio. Con le caviglie legate non sarebbe stato
  facile, ma non aveva importanza. Antón si spostò e cercò di distendersi,
  scansando i corpi dei compagni. Si trovò con la testa sulle gambe di Indigo, che si spostò verso di lui. Ora Antón aveva il sesso del giamaicano sulla faccia. Lo
  prese in bocca.  Tricheco
  si stese su di lui ed Antón ne avvertì il peso:
  Tricheco aveva una pancia pari a quella di Rufus ed
  ora tutto quel ventre debordante schiacciava la sua schiena ed un carbone
  ardente premeva contro la porta posteriore. Ma in quella posizione la porta
  posteriore si apriva male. Una spinta decisa gli provocò una fitta
  intollerabile. Guizzò in avanti. - No, non
  ce la faccio, Tricheco.  Tricheco
  si sollevò. Poi Antón ne sentì la lingua tra le
  cosce. Quella lingua che si infilava nel solco lo frastornò. Cominciò a
  succhiare la carne calda che aveva in bocca e la sentì divenire turgida.  Tricheco
  passò ancora una volta la lingua, poi si appoggiò nuovamente ed Antón sentì l’alabarda premere, forzare l’ingresso ed
  entrare in un colpo solo. Il dolore gli fece spalancare la bocca in un urlo.  - No,
  Tricheco, no! Non lo
  reggeva, non riusciva a reggerlo. -
  Finiscila, Antón. Tricheco
  spingeva senza nessuna pietà ed il dolore che saliva dal culo martoriato
  avvolgeva Antón. Eppure quel dolore intollerabile,
  che lo faceva singhiozzare, che gli impediva di proseguire l’opera avviata
  con Indigo, quel dolore che cresceva dentro di lui,
  infiammava i suoi sensi. La violenza del dolore lo stordiva, ma non avrebbe
  più voluto che Tricheco smettesse. No, voleva dentro quella picca, sempre più
  dentro, sempre più a fondo, a martirizzare il suo culo.  Ora
  l’eccitazione saliva. Riprese in bocca l’uccello di Indigo
  e si mise a lavorarlo con la lingua. Lo avviluppò tutto, lo ingoiò. Sentì il
  gusto, leggermente amaro, della scarica. Ingoiò fino all’ultima goccia, poi lasciò
  la sua preda. Le spinte di Tricheco erano sempre più forti ed anche il suo
  piacere saliva vorticosamente. Sentì la scarica dentro di sé, il rapido
  ritirarsi dell’arma. Svuotato, provò un senso di perdita, di smarrimento.
  Malgrado il dolore al culo, voleva ancora quelle spinte, quel carbone ardente
  che lo infiammava.  -
  Tricheco! - Che c’è? - Domani
  mattina, prima che ci impicchino, mi chiavi ancora. La festa
  proseguì e dovevano essere passate circa due ore dal momento in cui erano
  stati rinchiusi, quando la botola si riaprì e sulla scala apparve il
  sacerdote. Scese due gradini e cominciò, assumendo una posa solenne: -
  Domani...  Il cielo
  era di un azzurro cupo e presto sarebbe arrivata la notte, ma la fioca luce
  che entrava dalla botola era ancora sufficiente per vedere quello che stava
  avvenendo. Il sacerdote si bloccò, senza parole. Poi la sua voce salì di
  tono, diventando aspra, furente:       - Infami
  peccatori, altri peccati aggiungete a quelli già commessi! Non pensate alle
  vostre anime?  La risposta
  non si fece attendere. La voce di Ormeño si levò
  alta e chiara: - Va’ a
  cagare, prete fottuto! - O
  piuttosto vieni qui, che te lo metto in culo. La replica
  del Toro li fece ridere tutti. Il
  sacerdote salì i due gradini e la botola si richiuse con un rumore secco. I pirati
  continuarono i loro passatempi, aggiungendo altro materiale per l’ultima
  confessione. Che ovviamente non ci fu. UNA FINE DA PIRATI 
 Felipe non
  partecipò all’orgia notturna. Non poté impedire che Paulo si sedesse contro
  di lui, che lo accarezzasse fino a che non gli diventò duro e che poi si
  infilzasse come su un palo. Ma rimase indifferente, mentre il suo corpo
  godeva un’ultima volta. Poi Paulo
  andò a cercare altre picche più disponibili, materiale di cui non c’era certo
  penuria. Felipe rimase in un angolo, vicino alla scala. Pensava
  alla morte che l’aspettava e provava un senso di nausea all’idea di morire
  insieme a quegli uomini che disprezzava, che odiava. Eppure quella sarebbe
  stata la sua morte. Desiderava
  solo che tutto finisse in fretta. Avrebbe voluto che fosse già mattina.  La mattina
  venne. L’orgia si era ormai calmata. Tutti erano sazi ed ora aspettavano.
  Solo Antón si faceva infilzare ancora una volta da
  Tricheco. I marinai
  aprirono lo sportello. Scesero in
  due. Felipe era
  il più vicino alla botola. I due gli tagliarono la corda che gli legava le
  caviglie, lo sollevarono e lo spinsero lungo la scaletta. Con un po' di
  fatica, dopo le ore in cui le corde lo avevano costretto a rimanere piegato,
  mosse i primi passi. Sul ponte
  la luce lo accecò. Socchiuse le palpebre, mentre i suoi occhi si abituavano
  al sole. Davanti a
  lui vide i dodici cappi, già pronti, lungo il pennone dell’albero maestro.
  Era finita davvero. Il destino si era preso gioco di lui fino all’ultimo e
  gli aveva permesso di sfuggire al plotone di esecuzione o alle mani di
  Barbanera solo per finire impiccato. Ormai nessuno sarebbe riuscito a
  salvarlo, nemmeno la Madonna. Non
  bisogna mai sottovalutare la Madonna, ma non anticipiamo. Sarebbe
  stato il primo a morire.  Il primo o
  l’ultimo, per quello che importava! - Siediti
  lì. Felipe non
  capì.  - Muoviti.  I due
  marinai lo forzarono a sedersi. Felipe si accovacciò e li guardò. I due
  ritornarono sottocoperta.  Uno dopo
  l’altro portarono sul ponte tutti i prigionieri, facendoli sedere vicino alla
  murata. Quando i
  due marinai risalirono con l’ultimo dei prigionieri, Tricheco, non lo
  portarono dove erano seduti loro. Si diressero direttamente verso il primo
  cappio, quello più vicino alla botola. Tricheco
  fece una bella risata sonora, che scosse la grande pancia pelosa, e si
  rivolse ai suoi compagni: - Bene,
  ragazzi, vi do spettacolo. Ed anche gratis. Buon divertimento. Sollevare
  un colosso come Tricheco non era facile ed il marinaio grasso sacramentava,
  mentre lo issava. Con il viso congestionato dallo sforzo, parlò al compagno: - Muoviti,
  ché non ce la faccio. Questo barile di lardo… La voce
  beffarda del pirata lo interruppe: - Senti
  chi parla, il magrolino. Se avevi più muscoli e meno grasso, non eri qui a
  lamentarti tanto. Il
  marinaio grasso digrignò i denti, mentre Felipe ed i suoi compagni
  scoppiarono a ridere. Il
  marinaio con il tatuaggio aveva finito di passare il cappio intorno al collo
  di Tricheco e l’aveva stretto. Fece un passo indietro ed il grassone mollò
  Tricheco. Il corpo scese di poco, un salto brevissimo, e rimase sospeso a due
  palmi da terra. -
  Divertiti, barile di lardo. Il ghigno
  sul viso di Tricheco sparì lentamente, mentre la bocca si apriva nello sforzo
  di catturare un po’ d’aria. Per un momento Tricheco rimase immobile, poi il
  corpo cominciò a muoversi, piccole scosse che dalle spalle scendevano alle
  gambe, mentre il torso si inarcava. Tricheco sollevò le gambe, allargandole,
  e cominciò a scalciare. Felipe sentì le risate di alcuni dei suoi compagni,
  ma una sensazione confusa si impadroniva di lui. Quel corpo grosso e peloso
  che si agitava davanti a lui lo affascinava. Tra poco anche lui si sarebbe agitato,
  nell’ultimo ballo con la morte. Eppure non era paura, quello che provava. Non
  avrebbe potuto distogliere gli occhi da Tricheco, che continuava a scalciare,
  ora più debolmente. Il sesso gli si stava drizzando e Felipe lo guardava
  ammaliato. Cresceva, vigoroso e deciso, la cappella emergeva, una fiamma
  guizzante. Felipe alzò lo sguardo sul viso stravolto di Tricheco, deformato
  in una maschera, la bocca spalancata, la lingua che si infilava tra i denti,
  la saliva che colava sul mento e scendeva sul torace, perdendosi tra i peli.
  I movimenti divennero più lenti, il corpo dondolava appena, ora, e le gambe
  si giravano verso l’esterno, senza allontanarsi molto l’una dall’altra. Il
  movimento si ripeté tre, quattro, cinque volte. Il sesso era tanto turgido che
  sembrava un grosso palo nodoso, la grande vena in rilievo sul fianco. E, di
  colpo, il movimento si arrestò ed un getto di seme salì verso l’alto, per poi
  ricadere sul ventre, sulle gambe, sul ponte. Il sesso pulsava ed il seme
  continuava a sgorgare, ma con meno forza, ora: appena usciva scivolava lungo
  la cappella rossa e colava sull’asta, fino a perdersi tra i peli che
  coprivano i coglioni. Ora Felipe
  non aveva più dubbi sulla sensazione che provava. Il suo uccello, teso come
  quello di Tricheco, ne era la prova inequivocabile. Lo spettacolo lo
  affascinava e non riusciva a distogliere gli occhi da quel corpo che ancora,
  ma sempre più lentamente, muoveva le gambe verso l’esterno. Il marinaio
  tatuato si avvicinò a Tricheco, gli afferrò i coglioni e tirò con forza.
  Felipe fissò il viso del suo compagno, ma gli occhi erano spenti ed i tratti
  ormai fissati nell’immobilità della morte. Felipe si
  guardò intorno. Sul viso dei marinai spagnoli, seduti alcuni davanti ed altri
  dietro la fila dei capestri, poteva leggere lo stesso oscuro desiderio che si
  era impadronito di lui. I due
  marinai si avvicinarono ad Ormeño, che era il più
  vicino alla fila dei cappi. Si chinarono e lo forzarono ad alzarsi. - Avanti,
  tocca a te, bocciolo di rosa. Avrai mica paura? Non ti facciamo niente di
  male. Sborri persino, come il tuo amico. Quel
  bastardo si divertiva a fare il suo lavoro. Rideva soddisfatto. Ormeño fece i pochi passi che lo separavano dal
  cappio senza mostrare paura, ma senza la spavalderia di Tricheco. Sembrava
  concentrato su se stesso, quasi indifferente a quello che accadeva intorno a
  lui.     Mentre il
  grassone lo sollevava, uno degli uomini seduti dall’altra parte gridò: - Ehi,
  voltalo di qua. Vogliamo vedere anche noi. Mica solo il culo. Il grassone
  rise. - Di
  questi il culo è la parte migliore. Un altro
  seduto dietro replicò: - Ehi, non
  è mica giusto.  Il
  marinaio tatuato ridacchiò e rispose: - Va bene,
  ragazzi, ma il prossimo.  Nell’attimo
  in cui il grassone si staccò da Ormeño, lasciandolo
  penzolare nel vuoto, Felipe sentì una mano sfiorargli il sesso. Sussultò. Indigo, seduto davanti a lui, aveva proteso le mani ed
  ora stava afferrando il palo. Anche lui doveva essere in calore, come tutti,
  pirati e marinai. Indigo strisciò il culo indietro,
  mentre Felipe allargava le gambe per permettergli di avvicinarsi fino a
  toccarlo. Poi Indigo sollevò leggermente il culo e
  diresse il membro di Felipe nella giusta posizione. Felipe guardava il suo
  corpo chiaro contro quello scuro del nero. Non aveva mai scopato un nero. Indigo si infilzò con un movimento brusco. Felipe guardò
  affascinato il suo candido palo trapassare quella carne nera. Indigo mosse il culo leggermente, quattro volte, poi un
  sordo gemito avvertì Felipe che il nero aveva raggiunto il suo obiettivo.
  Anche Felipe sapeva di essere vicino. Diede alcune spinte ed il suo sguardo
  si sollevò, incontrando il viso di Ormeño. Quella
  faccia che conosceva bene ora era completamente alterata nello spasimo di
  un’agonia ormai vicina alla fine ed aveva assunto un colore rosso intenso.
  Per un momento, la visione dell’agonia di Ormeño
  assorbì interamente l’attenzione di Felipe, poi una sensazione più forte gli
  salì dai testicoli al membro e con una serie di spinte venne nel culo di Indigo.  Il
  marinaio con il tatuaggio si avvicinò ad Ormeño,
  che ora era quasi completamente immobile, e lo afferrò per i coglioni, come
  aveva fatto con Tricheco, tirando deciso. Ormeño
  ebbe ancora un guizzo violento, ma il marinaio non mollò la presa. Lentamente
  il corpo ritornò immobile. Solo allora il marinaio tolse la mano e si voltò.
  Aveva un sorriso feroce sulle labbra. - Lurido
  bastardo. Gode a tirarci i coglioni. Sentendo
  il commento di Black Jack, Felipe voltò lo sguardo
  verso di lui e vide che Antón si era infilzato sulla
  picca del nero come Indigo aveva fatto con la sua.
  Viste le dimensioni della picca, doveva essere davvero come avere un palo in
  culo. Felipe non poteva vedere il viso di Antón,
  che era voltato dalla parte opposta, ma la tensione che percorreva la schiena,
  la rigidità del collo proteso verso l’alto, i movimenti convulsi delle mani
  strette dalla corda non lasciavano dubbi: nel godimento di Antón c’era il dolore violento di quella massa che gli
  scavava le viscere. Sentì che dentro il culo di Indigo,
  il suo arnese si metteva nuovamente in posizione di tiro.   L’ULTIMO COLPO DEL
  SANGUINARIO Era il
  turno del Sanguinario, ora, e Felipe si disse che era contento di veder
  crepare quel figlio di puttana.  Quando
  furono sotto il cappio, il grassone si chinò per sollevare il Sanguinario,
  mentre l’altro gli si metteva davanti per passargli la corda al collo. Allora
  il Sanguinario di scatto sollevò il ginocchio. Felipe non poté vedere il
  punto colpito, ma l’urlo di belva ferita che lanciò il marinaio tatuato non
  lasciò nessun dubbio: la ginocchiata aveva centrato i coglioni, con la
  violenza di una martellata. Il marinaio tatuato si piegò in due portandosi le
  mani ai coglioni ed in quel momento si sentì un altro urlo: era stato il
  grassone a lanciarlo, mentre balzava all’indietro. Guardandolo in faccia
  Felipe capì che cosa era successo: il Sanguinario aveva approfittato del
  momento in cui il grassone, dovendolo sollevare, si era chinato e gli aveva
  infilato le unghie nella carne e negli occhi.  Felipe non
  poté fare a meno di ammirare la feroce abilità del Sanguinario. Il marinaio
  tatuato era piegato in due, in ginocchio davanti al Sanguinario, l’altro era
  in piedi, a tre passi, le mani a coprire il viso insanguinato. Il grassone
  bestemmiava ed urlava. L’altro marinaio sembrava non avere voce ed era
  chiaramente intontito dalla furia del dolore.  - Bravo,
  Sanguinario! Mentre
  Pedro urlava, diversi marinai si erano alzati per avventarsi sul Sanguinario,
  ma questi in tre salti raggiunse i suoi compagni. Felipe si chiese che cosa
  volesse fare: non avrebbero certo potuto difenderlo. Poi capì. Il Sanguinario
  li stava superando per lanciarsi in mare: preferiva crepare affogato o
  dilaniato dagli squali, piuttosto che subire la vendetta dei marinai. Il
  Sanguinario aveva fatto bene i conti, ma aveva trascurato un particolare: il
  grande amore che aveva per lui il Toro. Mentre lo scavalcava, il Toro spostò
  le braccia e lo fece inciampare. Il Sanguinario perse l’equilibrio e cadde su
  Pedro, bestemmiando. Prima che potesse rialzarsi, i marinai gli furono
  addosso. Ci fu un
  momento confuso in cui Felipe non riuscì a vedere nulla, perché i marinai si
  accalcavano. Indigo ricevette uno spintone e si
  staccò da lui, rotolando per terra. Ora
  stavano trascinando il Sanguinario verso la corda e su di lui si abbatteva
  una gragnola di colpi. Il pestaggio però fu interrotto dalla voce del
  marinaio tatuato: - Fermi!
  Non se la deve cavare con così poco. Il
  marinaio era pallido, ma avanzò deciso verso il Sanguinario. Il passo era
  sicuro, ma i lineamenti tesi del viso dimostravano quanta fatica gli costasse
  camminare. L’altro marinaio continuava a bestemmiare Dio, Cristo e la
  Madonna. Felipe riuscì a vedergli la faccia: era una maschera di sangue. Il
  Sanguinario aveva colpito bene. - Voi due
  tenetegli le gambe e tu, Ramón, le mani. Voi
  tornate a godervi lo spettacolo. Gli altri
  marinai tornarono a sedersi, ghignando. I due che tenevano le gambe si
  accovacciarono, bloccando ognuno una caviglia. Il terzo teneva le mani.
  Quello tatuato si avvicinò fino a che fu ad una spanna dal Sanguinario. - Ora ci
  divertiamo, figlio di puttana. Il
  marinaio mollò una ginocchiata violenta. Sulla faccia del Sanguinario i
  muscoli si irrigidirono. Strinse i denti e le labbra si socchiusero, mentre
  cercava di dominare la smorfia di dolore che gli si stava stampando in
  faccia. Lo spagnolo mollò un secondo colpo. Il Sanguinario impallidì, la
  bocca gli si aprì, gli occhi si chiusero e l’intera faccia si contrasse in
  uno spasimo. Al terzo
  colpo il Sanguinario non fu più in grado di ostentare indifferenza. Riuscì a
  non urlare per il dolore bestiale, ma un sussulto violento lo scosse, mentre
  il capo gli si reclinava e se l’uomo che gli teneva le mani non lo avesse
  sostenuto, il Sanguinario sarebbe forse stramazzato sul ponte. Il pirata
  recuperò il controllo di sé e guardò il marinaio con un sorriso di scherno.
  Il volto era madido di sudore e la sofferenza era ben visibile, ma il
  Sanguinario contava di aver vinto: non aveva urlato. Ancora una
  volta, aveva sbagliato i calcoli.  Il
  marinaio si voltò verso i compagni. - Questo
  lo impicchiamo dopo. Lasciamolo un po’ a marcire lì.  Poi si
  voltò di nuovo verso il Sanguinario e con un sorriso, vibrò un’altra
  ginocchiata violenta. Quando il colpo lo raggiunse, il Sanguinario, preso di
  sorpresa, urlò, alzando la testa. Urlò a bocca spalancata, senza ritegno.    I marinai
  lo spinsero ghignando tra i suoi compagni e lo forzarono a sedersi.  Impiccarono
  ancora Lapo e poi il Toro, che ci mise un sacco di tempo a crepare. Gli
  spagnoli ora lavoravano in tre. Quello tatuato continuava a mettere il cappio
  e poi a tirare i coglioni del pirata agonizzante: anche se muoversi gli dava
  dolore, non voleva rinunciare al piacere che gli procurava fare il boia. Il
  grassone era invece seduto: gli avevano lavato la faccia, ma dai tagli
  profondi continuava ad uscire sangue. Di fianco al marinaio tatuato si erano
  messi altri due: uno piuttosto alto e ben piantato, con un torace coperto da
  una fittissima peluria nera; l’altro più magro ed agile, decisamente più
  giovane.   Dopo Lapo
  ed il Toro, il marinaio disse: - Bene,
  adesso prendiamo il pezzo di merda. Il pezzo
  di merda era ovviamente il Sanguinario. Il marinaio gli si mise davanti e gli
  mollò un calcio ai coglioni, o a quanto ne rimaneva. Il Sanguinario aveva
  previsto il colpo, ma non poteva impedirlo. Felipe lo vide rovesciare la
  testa indietro, barcollare e svenire. I tre allora lo sollevarono e
  trascinarono verso il cappio che lo aspettava.  - Questo
  dorme. Dobbiamo svegliarlo. Una
  carezza ai coglioni ridestò il Sanguinario. Felipe vide il lampo d’odio nei
  suoi occhi, ma ormai non era più in grado di fare nulla: anche se non lo
  avessero tenuto in tre, non sarebbe stato in grado di difendersi.  Lo
  impiccarono con la schiena rivolta contro di loro e la danza si ripeté, meno
  violenta e lunga di quella del Toro. FESTA GRANDE SULLA SANTIAGO Erano
  ancora in sette. Verdugo si disse che lo aspettava
  un bel divertimento. Ma quei corpi nudi accendevano in lui un altro
  desiderio. Da quanto non scopava? Su quella nave del cazzo, con gli ufficiali
  superiori sempre a sorvegliare e quel figlio di puttana del prete, manco una
  sega uno riusciva a farsi. Ora ce l’aveva duro da crepare e voleva infilarlo
  al caldo, dentro uno di quei culi. C’era quel ragazzo che non sembrava
  neanche un pirata, ma più ancora gli piaceva quello di fianco, quello che
  aveva sentito chiamare Paulo, il portoghese. Era un bell’uomo, con un corpo
  piuttosto peloso. Gli piaceva l’idea di fotterlo. Sì, se li sarebbe fatti
  tutti e due. Prima l’uno e poi l’altro. Nessuno avrebbe detto niente. Tranne
  il prete. Quello doveva farlo secco. Poco male. Sarebbe andato nel suo
  paradiso. Verdugo si avvicinò e diede un’occhiata ai
  prigionieri, come se volesse scegliere quello da impiccare per primo. Guardò
  un po’ i pirati, godendo della loro attesa. Tutti si chiedevano chi sarebbe
  stato il prossimo. Poi si rivolse verso i compagni e disse:  - Prima di impiccare questi, godiamoceli un
  po’. Ho voglia di carne fresca. Gutiérrez, che ora lo aiutava a impiccarli, aderì
  subito alla proposta: c’era da aspettarselo, quello ce l’aveva sempre duro. - Ben
  detto, Verdugo. Perché devono godere solo loro?  - Sì, Verdugo ha ragione. Questi sborrano e noi qui a guardare.
   Il
  marinaio che aveva parlato, uno della Madre de Dios che
  lui conosceva appena, e diversi altri si stavano avvicinando, quando furono
  interrotti dalla voce del prete. - Ma che
  cosa dite? Quale bestemmia è mai uscita dalla vostra bocca? Quale infame
  peccato volete commettere?  Verdugo gli si rivolse. - Sta’
  zitto, uccellaccio! Il prete
  rimase sbalordito.  - Come
  osi? Ti denuncerò ai tuoi superiori. Sarai punito per questo. Poi,
  alzando la voce, il prete proseguì. - Tornate
  ai vostri posti. Non precipiterete nel peccato in mia presenza.  Verdugo bestemmiò a bassa voce e poi disse,
  forte: - Infatti,
  peccheremo senza di te… Poi si
  avvicinò al sacerdote. Quel fottuto prete di merda stava per fare una brutta
  fine. Lo vide impallidire: aveva capito, ma troppo tardi per tornare
  indietro. Quando fu ad una spanna dalla sua faccia, gli sibilò:  - Tu non denuncerai nessuno. Con un
  movimento rapido gli infilò il coltello nel ventre. Il prete strabuzzò gli
  occhi, mentre un gemito gli usciva dalla bocca. Un secondo ed un terzo colpo
  al ventre gli strapparono un urlo strozzato, da bestia macellata. Verdugo sentì il sangue che gli scorreva copioso sulla
  mano. Gli piaceva quella sensazione di calore. Diede
  un’occhiata ai compagni. Qualcuno era stupito, ma i più erano divertiti. Quel
  prete fottuto stava sui coglioni a tutti. Prese il prete, che non era più in
  grado di difendersi e lo gettò in acqua. Rivolgendosi ai suoi, disse: - Diremo
  che lo hanno ucciso questi bastardi, quando è sceso nella botola. Ed ora
  possiamo divertirci. Io prendo questo. Afferrò
  Paulo, gli mise una mano dietro il collo e lo forzò a sollevarsi e a mettersi
  con il torace sul parapetto della murata ed il culo in aria. I suoi
  compagni si diedero da fare anche loro. Verdugo li
  guardò che forzavano i pirati a sollevare il culo e, senza tanti complimenti,
  li infilzavano. Guardò il
  culo del portoghese. Una peluria leggera lo copriva, ma non tanto da
  nascondere il buco. Avvicinò
  la punta e premé fino a che l’arma entrò nel fodero. Spinse più
  volte, gustando la sensazione della carne calda che cedeva. Presto si rese
  conto che stava per venire. Era troppo eccitato. Si fermò.  Estrasse il
  laccio dalla tasca e lo passò intorno al collo di Paulo. Poi cominciò a
  tirare, tenendo una mano sulla nuca di Paulo. Vide che il portoghese
  sollevava la testa, alla ricerca di un po’ d’aria da respirare, ma il laccio
  si stringeva, penetrando nella carne. Il viso di Paulo stava diventando
  rosso, come era successo ad alcuni dei pirati impiccati.   Tra poco
  Paulo sarebbe morto. Con il laccio si faceva in fretta. Spinse a fondo, con
  tutte le sue forze, e sentì la scarica. Continuò a spingere, sempre più deciso,
  mentre con la mano tirava.   Il
  portoghese era un cadavere. Estrasse il cazzo. Ora avrebbe preso anche quello
  a fianco, quello più giovane che adesso Gutiérrez
  stava inculando. C’erano altri in coda, i pirati non erano abbastanza per
  tutti, ma andava bene. Non aveva fretta. Con quello voleva andarci piano,
  godersi bene le ultime contorsioni. In quel
  momento però sentì l’urlo di Molina: - La Madre de Dios!
  Stanno tornando. Si voltò a
  guardare. La nave era appena spuntata dietro l’isola. Era ancora lontana, ma
  il vento era favorevole e non ci avrebbe messo molto a raggiungerli. Merda!
  Divertimento rovinato. Dovevano fare in fretta a sistemare tutto.   - Presto,
  impicchiamo questi, prima che arrivino i nostri compagni. Se
  qualcuno dei pirati avesse parlato, per vendicarsi, sarebbero finiti anche
  loro impiccati, con il cazzo duro e la lingua fuori. Non ci teneva. IL TURNO DI
  FELIPE
  
 Il
  marinaio che lo stava inculando venne in una serie di scariche e si ritirò.
  Era stato violento e rapido e per Felipe il dolore era stato più forte di
  ogni altra sensazione.  C’era una
  grande confusione, ora, di gente che correva. Molti bestemmiavano, avevano
  paura di essere scoperti, non avevano fatto in tempo a combinare niente,
  mentre gli altri se l’erano goduta ed ora rischiavano tutti. Felipe guardò il
  marinaio, quello che avevano chiamato Verdugo. Verdugo, boia: un nome quanto mai adatto. Lo aveva visto
  uccidere Paulo. Godeva ad uccidere. Il cadavere di Paulo era reclinato,
  appoggiato alla murata, il viso congestionato, il cazzo duro. Non era venuto.
  Due uomini presero Paulo e lo trascinarono verso i capestri. Era tutto un
  correre avanti e indietro, un rivestirsi, un sistemare rapidi i corpi nei
  cappi. In breve rimasero solo Felipe e Pedro. Gli altri
  erano tutti appesi al pennone dell'albero maestro, dieci corpi nudi,
  immobili, molti con il cazzo duro, la faccia stravolta in una smorfia
  grottesca, per alcuni sollevata dalla corda, per altri rivolta verso il
  basso.  Gli uomini
  afferrarono gli ultimi due superstiti e cominciarono a trascinarli verso il
  laccio. Pedro si dibatteva furiosamente, mentre lo strattonavano verso il
  cappio. Felipe non reagiva, si lasciava condurre indifferente. A che cosa
  serviva lottare?   Ora erano
  arrivati. Uno dei marinai gli si rivolse: - Pronto
  per l'ultima sborrata? Vedrai che godere! Avevano recuperato la
  tranquillità, ora: gli altri erano tutti morti o stavano agonizzando e lui e
  Pedro avrebbero avuto la corda al collo prima di riuscire a parlare con
  quelli dell’altra nave, che si stava affiancando. Era effettivamente la Madre
  de Diós, di ritorno dalla sua spedizione contro
  Testapelata. In tempo per vedere il finale dello
  spettacolo. Ora era esattamente a lato
  della Santiago e Felipe poteva vedere ufficiali e soldati che fissavano
  i corpi penzolanti. Avrebbe dato spettacolo anche a loro. Distolse lo
  sguardo, ma nell’attimo in cui girò il viso, gli parve di aver visto qualche
  cosa di strano, qualche cosa che non era possibile. Guardò nuovamente davanti
  a sé, verso l’altra nave. Non si era sbagliato: a bordo, tra gli ufficiali
  della seconda nave, una divisa da tenente addosso, vi era l’uomo che aveva
  catturato e poi salvato, quello che sulla Black
  Gull chiamavano Porco-fottutissimo.
   Lo fissò, sbalordito,
  incapace di distogliere lo sguardo, incapace di spiegarsi che cosa stava
  succedendo. Era un ufficiale spagnolo che si fingeva pirata? Era un corsaro
  che aveva tradito? Ma come poteva essere diventato ufficiale?       Si sentì sollevare, ma non
  perse di vista l’uomo. Lo vide alzare il braccio. A quel gesto tutti i
  soldati della Madre de Dios imbracciarono il
  fucile e spararono. Cadde a terra. I due uomini
  che lo tenevano lo avevano lasciato. Il più grasso si contorceva a terra, una
  ferita al torace, l’altro cercava di liberarsi del compagno che cadendo si
  era afferrato ai suoi pantaloni e li aveva abbassati. Steso a terra Felipe
  poteva vedere il culo dell’uomo, una peluria fine sulle natiche, più densa
  nella parte interna.  Un uomo li raggiunse
  immediatamente. Affrontò il marinaio e prima che potesse reagire gli infilò
  la spada nel cuore. Poi si chinò su Felipe e tagliò la corda che lo teneva
  legato. Felipe cercò di alzarsi, ma l’uomo gli mise una mano sulla spalla e
  lo forzò a rimanere disteso. - Tu stai giù fino a che è
  finito tutto. Ordini superiori. E il tutto finì molto in
  fretta, in pochissimi minuti. La battaglia era impari. La maggioranza degli
  uomini validi della Santiago erano stati imbarcati sulla Madre de Dios e dovevano ormai avere incontrato la loro sorte.
  Sulla Santiago erano rimasti molti feriti e non più di una trentina di
  uomini in grado di combattere, che stavano assistendo all’esecuzione e non
  erano pronti per affrontare uno scontro del tutto inatteso. Si arresero quasi
  senza difendersi. Porco-fottutissimo si avvicinò a Felipe e gli sorrise.
  Sembrava molto soddisfatto. - Appena in tempo! L’uomo che teneva Felipe a
  terra lo lasciò libero. Felipe si alzò. - Non proprio in tempo.
  Sono morti tutti. L’uomo lo guardò ghignando. - Esattamente in tempo. Non
  un minuto troppo tardi, non un minuto troppo presto. O pensi che ci tenessi a
  salvare qualcun altro dell’equipaggio di quella fottutissima nave? Non ho
  molte prove che Dio esista, anzi nessuna, ma il fatto che la Black Gull sia
  stata affondata e che gli spagnoli abbiano deciso di impiccarti per ultimo mi
  sembrano due buoni motivi per crederci. Potrei perfino convertirmi.  UN ADDIO
        Poi
  Porco-fottutissimo si rivolse a Pedro, che lo
  guardava, le mani ancora legate dietro la schiena. Lo fissò, senza dire
  nulla. Anche Pedro lo guardava e Felipe non avrebbe saputo dire che cosa
  c’era in quello sguardo. Pedro era uno di quelli che si erano accaniti di più
  contro l’uomo, quando lo avevano catturato. Eppure non c’era odio, ma qualche
  cosa di indefinibile.       Fu Pedro a parlare:        -
  Muoviti, Porco-fottutissimo. Sai anche tu che è
  l’unica soluzione. Il cappio è già pronto. Non puoi lasciarmi a terra con gli
  spagnoli. Lo farebbero loro e sarebbe peggio.        L’uomo
  annuì:       -
  Sì, ma posso tenerti prigioniero sulla nave fino a che arriviamo a Port-Royal o da qualche altra parte. Libero no, di te non
  mi fido.       -
  E hai ragione. Fallo, Porco-fottutissimo. È meglio
  per te.       -
  Quello che è meglio per me lo decido io.       La
  voce di Porco-fottutissimo era tranquilla, ma con una
  forte dose di determinazione. Pedro chinò la testa. Poi la rialzò. La sua
  voce era diversa, ora. Più profonda, senza più traccia di sfida, ma risoluta.       -
  Fallo, perché è quello che voglio.       -
  Vuoi andartene con loro?       Porco-fottutissimo accennò appena con il capo ai pirati
  impiccati.       -
  Con loro, come loro. Sono uno di loro. Ho scelto di esserlo, Porco-fottutissimo.        Questa
  volta fu Porco-fottutissimo a chinare il capo un
  attimo.       -
  Come vuoi. Ti faccio fare un bel salto, così chiudi subito.       La
  voce di Porco-fottutissimo era priva di
  espressione, ma a Felipe sembrò che fosse cupa.          
  Pedro riprese:       -
  C’è ancora un cappio libero. Non lasciarlo vuoto.       Felipe
  sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Perché Pedro voleva che lui
  morisse? L’idea di morire proprio ora, che riteneva di essere scampato, lo
  sgomentò.        Porco-fottutissimo rispose, con voce ferma:       -
  Il ragazzo non lo impicco neanche morto. Mi sono precipitato qui, quando ho
  saputo che vi impiccavano, solo per salvarlo.       Pedro
  scosse la testa.       -
  No, non lui. Che me ne fotte di Spadaccino? Tientelo
  e facci quel che vuoi. Impicca il marinaio tatuato, quel figlio di puttana
  godeva a tirarci i coglioni.       -
  No, non è un motivo sufficiente.       
  - Ha ammazzato il prete che voleva impedirgli di incularci e l’ha
  sbattuto in mare. Si è divertito a strangolare Paulo, che poi ha impiccato
  già morto.        Porco-fottutissimo
  si voltò verso Felipe.       -
  È vero?       -
  Sì.       Porco-fottutissimo si rivolse ad alcuni uomini che erano
  in piedi a qualche metro di distanza e sembravano aspettare ordini. Con un
  cenno del capo indicò il marinaio tatuato, che, come tutti gli spagnoli,
  aveva le mani legate dietro la schiena.       -
  Prendete quell’uomo, quello tatuato e portatelo qui.       Il
  marinaio si lasciò accompagnare davanti al cappio senza mostrare paura. Porco-fottutissimo gli si rivolse:           -
  Bene, per quanto mi riguarda ammazzare un prete non mi sembra per niente
  brutto: se era come tutti quelli che ho conosciuto, sarà volato dritto dritto all’inferno. Ma un marinaio spagnolo che lo fa
  solo per non essere denunciato, merita davvero la morte. Hai qualche cosa da
  dire?       Il
  marinaio alzò le spalle.        Porco-fottutissimo fece un cenno ai suoi uomini.       Un
  pirata gigantesco, che doveva possedere una forza erculea, afferrò il marinaio
  da dietro e gli infilò la testa nell’ultimo cappio. Tenendolo con un solo
  braccio, sistemò il cappio, poi mollò il marinaio.         Felipe
  guardò il corpo dell’uomo, prima immobile, poi agitato da una serie di
  movimenti scomposti. Non gli dispiaceva vedere crepare quel bastardo, ma
  aveva visto troppi impiccati, ne aveva la nausea. Voltò la testa ed in quel
  momento sentì la voce di Pedro.       -
  Ora tocca a me. Ci ritroveremo all’inferno, Porco-fottutissimo.
         Porco-fottutissimo sorrise, un sorriso amaro.       -
  Non ci tengo a finire all’inferno. Non ho nessuna voglia di ritrovarvi tutti.
  Buon viaggio, Pedro.       Un
  pirata si arrampicò sull’albero e sciolse la corda con il cappio, in modo da
  liberarne un tratto più lungo. Gros-Jean si caricò
  Pedro in spalla, come fosse un sacco, e salì anche lui. Stando sull’albero
  gli misero il cappio intorno al collo, con il nodo davanti. Gros-Jean gli sibilò qualche cosa, che Felipe non udì.
  Sembrava odiare Pedro. Poi gli mollò un calcio.       Pedro
  cadde. Il cappio arrestò la sua caduta, spezzandogli l’osso del collo ed
  assicurandogli una morte immediata. Era stato più fortunato dei suoi
  compagni. IL FUNERALE DEI PIRATI
  
 Felipe guardò l’uomo che
  chiamavano Porco-fottutissimo. Sembrava
  impassibile, ma il suo viso aveva perso l’allegria di prima. Era una
  maschera. Che cosa c’era stato tra quell’uomo e Pedro? Erano stati amici,
  amanti? Forse, ma Pedro doveva averlo tradito, in qualche modo, e erano
  diventati nemici. Quello era un uomo che era meglio non avere per nemico.  C’era agitazione: mentre
  prima tutti erano rimasti ad osservare lo spettacolo degli ultimi due
  impiccati, ora si muovevano rapidi. Sapevano che cosa fare. Alcuni erano
  scesi sottocoperta per saccheggiare, altri stavano portando i marinai
  spagnoli feriti sulla Madre de Dios.
  Guardandoli, Felipe si accorse che una terza nave si stava avvicinando
  rapidamente, una fregata senza insegne. Probabilmente era la nave dei pirati,
  quella di Porco-fottutissimo, che aveva atteso la
  conclusione dello scontro per intervenire.  La fregata si affiancò e Porco-fottutissimo
  si rivolse a Felipe: - Sali su quella nave. Tra
  poco arrivo anch’io. Per un bel momento ci fu
  un andirivieni di uomini tra le tre navi. La Santiago venne spogliata
  di tutto quanto aveva un valore o poteva essere utile. I prigionieri vennero
  sistemati tutti sulla Madre de Dios. Al
  termine delle operazioni, sulla Santiago rimasero solo Porco-fottutissimo e pochi altri pirati, che scesero
  sottocoperta. La Santiago si staccò dalla Madre de Dios e si allontanò. Porco-fottutissimo
  ed i suoi riemersero sul ponte di coperta. Porco-fottutissimo
  aveva in mano una torcia, gli uomini portavano del legname, che misero sotto
  i corpi degli impiccati.  Porco-fottutissimo accese la torcia e la avvicinò al
  cordame arrotolato sul ponte e poi alle corde che reggevano le vele. Quando
  il fuoco cominciò a divampare, Porco-fottutissimo
  avvicinò la fiamma al legname messo sotto gli impiccati. Infine gettò la
  torcia sottocoperta e passò sulla nave dove si trovava Felipe. Si mise al suo
  fianco, ma non disse una parola, guardando fisso la Santiago. La nave stava lentamente
  prendendo fuoco. Dal cordame le fiamme si levavano già alte ed un fumo scuro
  ne saliva. Dalle sartie il fuoco si propagò ad una vela, che incominciò a
  bruciare. Ma lo sguardo di tutti era
  puntato sulla fila di cadaveri. Felipe li osservò per l’ultima volta. Dodici
  corpi appesi, immobili, i grandi cazzi tesi, i visi stravolti dall’agonia. Il
  fumo cominciava ad avvolgerli. Erano stati uomini robusti, con la pelle
  scurita dal sole: ora penzolavano inerti e le fiamme stavano raggiungendoli.
  I piedi del marinaio spagnolo e quello di Pedro già ardevano, le fiamme
  salivano lungo le gambe, il fumo si alzava nero e denso, un odore immondo
  invadeva l’aria.  Felipe sussultò: il
  cadavere di Pedro aveva dato un guizzo, un altro: era vivo! Vivo! La voce di Porco-fottutissimo lo ricondusse alla realtà:  - Non sono vivi. È un
  effetto delle fiamme. Uno dopo l’altro, tutti i
  cadaveri ebbero ancora un’ultima scossa, mentre le fiamme li incenerivano ed
  il fumo li avvolgeva. Poi, ad un cenno di Porco-fottutissimo,
  la nave su cui si trovavano cominciò ad allontanarsi, fino a fermarsi ad una
  notevole distanza. Felipe guardò ancora la Santiago, trasformata in
  un’immensa pira. Ora tutte le vele erano in fiamme ed il fumo formava una
  grande colonna. L’esplosione lo sorprese e
  lo fece sussultare. Dovevano aver lasciato della polvere da sparo nella
  santabarbara. La nave si spezzò in due ed i due tronconi cominciarono ad
  affondare. Le fiamme si spegnevano a contatto con l’acqua e ben presto i
  resti della Santiago furono interamente nascosti da un’immensa nuvola
  di fumo che sembrava salire direttamente dall’acqua. Quando Felipe distolse lo
  sguardo dal punto in cui i resti della Santiago erano stati inghiottiti dal
  mare, Porco-fottutissimo parlò: - Bene, ora che abbiamo
  fatto un grandioso funerale per la ciurma della Black
  Gull e siamo tornati a casa, possiamo occuparci
  di noi. Come ti chiami? - Felipe. Felipe Llera. - Bene, io sono Testapelata.
                                        Felipe rimase a bocca
  aperta dallo stupore. Testapelata se ne accorse. - Beh, che c’è? Pensavi
  mica che mi chiamassi Porco-fottutissimo? Che razza
  di nome per un pirata! In quel modo mi chiamavano quelli della Black Gull, ma se
  provi a chiamarmi così, ti sbatto in mare.  L’uomo scoppiò a ridere.
  Una risata allegra. Felipe si disse che non l’avrebbe buttato a mare, neanche
  se lo avesse chiamato davvero così.  Naturalmente si sbagliava. Felipe si stava lentamente riprendendo dalla sorpresa. Così quell’uomo era il famoso Testapelata. Come aveva fatto a non rendersene conto? Avrebbe dovuto capirlo la prima volta, solo a vederlo senza capelli e senza barba. Ma allora aveva in mente l’uomo che aveva spiato nel bordello. Certo, l’uomo che aveva davanti a sé era Testapelata. Coraggio e generosità erano le caratteristiche che distinguevano Testapelata in tutte le sue imprese e quell’uomo ne aveva dato ampiamente prova. Con una certa fatica, riuscì ad articolare: - Ho sentito parlare molto
  di te. Testapelata sorrise: - Spero che tu abbia
  sentito parlare bene, ma comunque non importa. Se ti va, però, preferirei che
  mi chiamassi Michel. Felipe annuì, ancora
  stupefatto. - Va bene, Michel. Testapelata, il grande Testapelata.
  Il più grande, il più eroico, il più umano dei pirati. Lì, davanti a lui.
  Proprio come se l’era immaginato, prima di vedere quella bestia nel bordello.
  Avrebbe dovuto capire subito che quell’animale non poteva essere Testapelata. Il grande Testapelata,
  l’uomo con cui aveva fatto l’amore una settimana prima. A Felipe la testa
  girava.  |