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SULL’ISOLA

 

Promessa20

 

Lasciarono l’isola il mattino seguente, dopo aver saccheggiato la Texel ed averla incendiata. Dalla nave Felipe guardò i cadaveri stesi sulla riva: gli uccelli stavano divorando ciò che gli animali notturni avevano lasciato. Anche i resti dell’ultimo pirata della Texel, spolpato da bestie ben più feroci degli uccelli, erano stati gettati insieme a quelli degli altri.

Navigarono due giorni, in cui Felipe cercò di rimanere da solo il più possibile. Non partecipò alle orge notturne, chiuso in una rabbia cupa. Non si occupò della divisione del bottino, che il Gallego rimandò per motivi che Felipe non cercò di conoscere.

La sera del secondo giorno raggiunsero un’isola che appariva di grandi dimensioni. Era molto brulla, ma presto si aprì un’insenatura dove la vegetazione era rigogliosa.

Rufus gli si avvicinò:

- Scendiamo a prendere acqua. Su quell’isola c’è una fonte che ci serve come rifornimento. È conosciuta da tutti i naviganti. Bisogna fare attenzione, perché talvolta le navi da guerra spagnole sono ormeggiate qui vicino, in attesa delle navi corsare. Una volta siamo sfuggiti per un pelo.

Scesero a terra in sei: il Gallego, il Toro, Pedro, Rufus, Indigo e Felipe stesso. Felipe e Rufus furono inviati a fare da sentinelle in due punti da cui si poteva controllare l’area, mentre gli altri si occupavano di riempire le botti.

Raggiunto il suo punto di osservazione, su un piccolo promontorio, Felipe segnalò che non c’erano né imbarcazioni nella piccola baia oltre la punta, né uomini nelle vicinanze. Rufus fece lo stesso dal suo punto di osservazione, sulla cresta opposta, e gli altri si misero al lavoro.

Felipe si sedette a terra, tra i cespugli, e cominciò a pensare. Si chiedeva se allontanarsi, ma sembrava un’impresa disperata. L’isola era grande, ma non appariva abitata: nessuna traccia di coltivazioni, benché lì fosse disponibile l’acqua. Non aveva cibo, nulla. Non gli sarebbe stato facile nascondersi in un’isola che gli altri conoscevano e lui no. E se anche fosse riuscito a sfuggire ai suoi compagni, sarebbe presto morto di fame. Era meglio cercare un’occasione migliore. Prima o poi la nave si sarebbe avvicinata ad una città o ad una delle grandi isole abitate.

Era immerso in quei pensieri, quando si accorse che, non molto lontano da lui, c’erano due uomini. Senza riflettere sguainò la spada e lanciò un grido per avvisare i suoi compagni. Più tardi, a mente fredda, si chiese perché mai avesse svolto con tanta cura la sua parte: sarebbe stato molto più saggio rimanere nascosto, cercare di capire chi erano i due uomini e magari unirsi a loro, avvisandoli della presenza dei pirati. Ma sul momento non ragionò, si limitò a svolgere il compito di sentinella che gli era stato assegnato.

Uno dei due uomini disse qualcosa ed avanzò verso di lui, mentre l’altro uomo scivolava via veloce.

Felipe si scagliò sull’uomo, che era disarmato e lo fissava, tranquillo. Il secondo uomo era già scomparso.

Era un uomo sui trent’anni, con un viso largo, dai lineamenti molto regolari. Una lunga cicatrice gli attraversava la guancia sinistra e proseguiva sul sopracciglio, ma nonostante questo era un gran bel viso, in cui spiccavano due occhi di un azzurro intensissimo. L’uomo portava in testa un fazzoletto di un rosso squillante, da cui non sporgevano capelli, e non portava né barba, né baffi, ma le sopracciglia erano di un biondo grano.

Felipe non sapeva bene che fare. Cercando di darsi un contegno, gli puntò la sciabola alla gola.

- Che cosa stai facendo, qui? E dove è finito l’uomo che era con te?

L’uomo non aprì bocca, ma lo guardò. A Felipe parve che sorridesse in modo beffardo: si prendeva gioco di lui. Appoggiò la punta della spada sulla pelle e ingiunse:

- Ti ho chiesto due cose. Rispondimi o ti ammazzo!

L’uomo non smise di sorridere. La sua risposta fu laconica:

- Piantala, rompicoglioni.

Felipe si sentì prendere dalla rabbia e la punta della sua spada avanzò: un rivolo di sangue cominciò a colare dalla gola dell’uomo, scendendogli sul torace. L’uomo rimase impassibile e continuò a fissarlo. Si limitò a deglutire, mentre aspettava che Felipe aumentasse la pressione e gli affondasse la lama nel collo. Felipe vide il grande pomo d’Adamo alzarsi ed abbassarsi. La rabbia svanì e lasciò il posto ad un senso di ammirazione per la tranquillità con cui quell’uomo affrontava la morte. Esitò. L’uomo parlò nuovamente:

- Forza, ragazzo. Ci vuole tanto a infilzarmi?

Felipe fissò l’uomo negli occhi. Aveva uno sguardo penetrante.

Non ce la faceva, non era in grado di farlo. Non voleva farlo. Non aveva mai ucciso un uomo a sangue freddo e non l’avrebbe fatto solo perché rifiutava di rispondere. Lui non era un assassino, non era mica come quelli della Black Gull.

 Felipe si stava chiedendo se non lasciare andare l’uomo, quando il Gallego lo tolse dall’imbarazzo, arrivando in quel momento. Felipe rinfoderò la spada.

 - Guarda chi si vede! Fantastico! Felipe, hai catturato Porco-fottutissimo!!!

 

PORCO-FOTTUTISSIMO

 

Poi il Gallego si rivolse all’uomo, che lo fissava, apparentemente impassibile. Si avvicinò a lui e gli disse:

- È un vero piacere vederti, figlio di una troia.

L’uomo lo guardò negli occhi e sorrise beffardo.

- Non posso dire altrettanto, fratello.

Il Gallego gli mollò un potente ceffone, che gli aprì uno squarcio sul labbro e lo fece barcollare. Felipe sussultò.

Poi il Gallego si voltò verso i compagni che stavano arrivando e cominciò ad urlare.

- Amici, venite a vedere che bel pesce ha catturato Felipe.

Il gruppo di compagni che stava arrivando in quel momento, dimostrò un grande entusiasmo per la cattura dell’uomo. Il Toro, Indigo e Pedro gli si misero davanti ed espressero tutta la loro contentezza nel ritrovare l’uomo, che evidentemente tutti conoscevano bene.

- Porco-fottutissimo! Era un anno che aspettavamo questo momento.

- Non vedevo l’ora di metterti le mani addosso.

Il Toro gli vibrò un pugno nello stomaco e l’uomo si piegò in due e cadde ginocchioni. Indigo ne approfittò per tirargli un calcio ai testicoli e se l’uomo non avesse messo le mani a conca a parare il colpo, dei suoi attributi non sarebbe rimasto molto.

Pedro  gli mollò due ceffoni formidabili, mentre il Gallego parlò nuovamente:

- Bene, figlio di puttana, sei arrivato a destinazione. Questa volta non ci scappi più. E ti prometto che la tua esecuzione sarà memorabile.

Il Toro aggiunse, ridendo:

- Anche se tu non potrai ricordartela, noi ce la ricorderemo a lungo

Poi scoppiò in una grassa risata, mentre Pedro, che era passato alle spalle dell’uomo, lo fece cadere a terra con un calcio nella schiena.

Felipe provava un disagio crescente a vedere i suoi compagni armati colpire in quattro quell’uomo indifeso. L’uomo non reagiva, evidentemente conscio che a nulla sarebbe servito, si limitava a cercare di limitare i danni. Non aveva detto una parola da quando avevano cominciato a malmenarlo e non sembrava aver paura. Felipe avrebbe voluto intervenire, ma sapeva che i suoi compagni non gli avrebbero dato retta. Non ci aveva messo molto a conoscerli o, piuttosto, si erano fatti conoscere in fretta.

Fortunatamente il Gallego decise che per il momento era abbastanza.

- Ora basta, ragazzi, se facciamo fuori subito Porco-fottutissimo, il divertimento finisce. E questo pezzo di merda ci divertirà per un po’, non è vero?

Mentre parlava, il Gallego si chinò, afferrò l’uomo per il collo e tirò. L’uomo fu costretto a rimettersi in ginocchio, con una smorfia di dolore sul viso. Felipe lo guardò in faccia. Un filo di sangue gli colava dal naso ed un altro dall’angolo della bocca. Aveva sangue anche sul dorso di una mano.

Felipe sapeva che avrebbe dovuto dire che l’uomo non era solo, che lì vicino ci doveva essere qualcun altro, ma dopo la scena a cui aveva assistito, non aveva nessuna intenzione di esporre qualcun altro alla furia dei suoi compagni. Porco-fottutissimo poteva anche essersi meritato il trattamento che subiva, se conosceva quelli della Black Gull doveva essere della loro stessa forza, ma non era il caso che lui, Felipe, si impicciasse della faccenda. Aveva già fatto fin troppo. Sì, aveva fatto troppo, di questo aveva perfettamente coscienza. Qualunque cosa avesse fatto quell’uomo, non era contento di averlo consegnato al Gallego.  

Il Gallego e Rufus, che aveva raggiunto i compagni, legarono le mani dietro la schiena dell’uomo, poi gli ordinarono di alzarsi e cominciarono a percorrere il sentiero che portava alla cala.

Guardando l’uomo, Felipe si rese conto che stare diritto era per lui uno sforzo. Sforzo continuamente vanificato perché una serie di pugni alla schiena e di calci in culo lo proiettavano in avanti, facendolo cadere più volte a terra.

Felipe cercò di guardare altrove. Non reggeva più a vedere quelle violenze, anche se certamente l’uomo doveva averne combinata qualcuna di molto grossa. Arrivarono alla barca e vi salirono. Quando furono a fianco della nave, il Gallego slegò le mani del prigioniero, in modo che potesse salire.

Il suo arrivo fu accolto da una salva di urrà da parte degli uomini rimasti sulla nave, che lo avevano visto arrivare. Tutti i pirati esultavano per la cattura, lo insultavano mentre saliva e non appena mise piede sul ponte più d’uno gli espresse la sua gioia nel rivederlo: quando Felipe salì, l’uomo era disteso a terra. Vedendolo senza più il fazzoletto in testa. Felipe notò che era calvo, anche se gli era sembrato piuttosto giovane, sui trenta o poco più.

Il Gallego bloccò le manifestazioni di affetto. Fece spogliare completamente il prigioniero, poi diede ordine di legargli di nuovo le mani dietro la schiena.

- Alzati, Porco-fottutissimo!

L’uomo si alzò, con evidente fatica. Ora che era in piedi, Felipe poteva vedere i risultati dell’accoglienza: l’uomo aveva diverse escoriazioni e piccole ferite sulle gambe, soprattutto alle ginocchia, e su una spalla. Dalla piccola ferita che aveva aperto Felipe, un rivolo di sangue era sceso fino all’ombelico. Altro sangue colava dal naso, dalle labbra e da uno squarcio sul capo.

Guardandolo in viso, Felipe notò anche che l’uomo, pur non avendo capelli, in realtà non era calvo: sulla testa c’era una peluria bionda, appena visibile: l’uomo doveva semplicemente essersi raso i capelli quel mattino stesso, ma stavano già ricrescendo.

Felipe provava rimorso. Piuttosto che consegnarlo al Gallego, avrebbe fatto meglio ad ucciderlo subito. Si disse che non poteva prevedere la reazione dei pirati, ma era una cazzata (il suo linguaggio stava decisamente peggiorando, ma si sa, chi va con lo zoppo…): li aveva già visti all’opera, solo due giorni prima.

 

UN’ESECUZIONE MEMORABILE

 

Mentre Felipe si dava dello stupido, udì la voce del Gallego: 

- Adesso silenzio. Abbiamo una decisione importante da prendere: dobbiamo decidere che cosa fare di Porco-fottutissimo. Che cosa fare, lo sappiamo benissimo. Ma dobbiamo stabilire in che modo farlo partire per un viaggio di sola andata.

Le proposte non mancarono. La prima fu di Ormeño:

- Direi di fare quello che dovevamo fare ai due Molina. Lo tagliamo a pezzetti, a partire dal cazzo. E magari cuociamo i pezzetti e ce li mangiamo, mentre lui ci guarda. Un pezzetto per volta. Io voglio i coglioni.

Scimmia lanciò un’altra idea:

- Perché non lo leghiamo ad un albero, gli apriamo un po’ di ferite e non lo facciamo divorare dalle formiche carnivore? È uno spettacolo affascinante: se dai un colpo all’albero dove hanno il nido, escono a centinaia, a migliaia. E se lo divorano vivo, pezzo per pezzo. Sta lì a contorcersi ed urlare, tutto coperto di formiche.

Rufus non era d’accordo.

- No, troppo lungo. Appendiamolo per i coglioni, poi quando si staccano lo appendiamo per il collo.

Belzebù, un pirata molto corpulento, con i capelli grigi ed una lunga barba dello stesso colore, propose:

     - Soffochiamolo con i suoi stessi coglioni. Gli infiliamo in gola i coglioni e poi il cazzo e lo guardiamo diventare viola. Oppure affoghiamolo nella nostra merda.

La seconda idea di Belzebù ebbe un certo successo, ma emersero anche numerose altre proposte, che spaziavano dall’impalamento alla crocifissione sull’albero della nave. Tutte prevedevano la castrazione dell’uomo, in modi più o meno rapidi.

Nessun suggerimento però suscitava davvero entusiasmo: rapidamente tutti venivano respinti o ignorati. Ad un certo punto però Sbatti-culo lanciò la sua idea:

- Io direi di riempirgli il culo di polvere da sparo, di infilargli una miccia e farlo esplodere.

La proposta di Sbatti-culo suscitò un coro di grida di approvazione.

La voce del Gallego sovrastò le altre:

- Allora siamo tutti d’accordo?

Un coro di sì accolse la domanda. Il Gallego annuì con un ghigno soddisfatto e concluse:

- Bene, allora domani divertimento assicurato per tutti. Prima lo riempiamo di sborro, poi lo spediamo all’inferno.

Felipe non capiva perché lo spettacolo fosse rimandato al giorno successivo, ma era contento che l’esecuzione non si svolgesse subito. Gli pareva di avere tempo. Per che cosa, non sapeva. Forse solo per capire che cosa fare.

Su ordine del Gallego, due pirati presero l’uomo e gli legarono anche i piedi, poi lo trascinarono fino ad una botola che si apriva sul ponte. Lo gettarono dentro come un sacco di patate. La botola era poco profonda, non più di un metro, ma l’uomo era legato e poteva attutire la caduta solo in misura minima. Felipe sentì il rumore sordo del corpo che batteva contro il legno. Poi la botola venne chiusa e l’apertura bloccata con un’assicella messa di traverso.

I pirati si dispersero, parlando dell’esecuzione. Erano tutti eccitati e anticipavano il gran divertimento che avrebbero ricavato dallo spettacolo. Il pensiero li rese ancora più infoiati del solito e ben presto, mentre calava il buio, ebbe inizio una nuova grande orgia.

Felipe si disse che non era il momento di starsene in disparte. Voleva sapere.

 

UN’OFFESA IMPERDONABILE

 

Come le sere precedenti, Paulo gli si avvicinò. Al bel portoghese Felipe piaceva e anche Felipe conservava un ricordo gradevole di quel culo peloso, in cui aveva intinto il biscotto. Ma le sere precedenti, sconvolto dal massacro a cui aveva assistito, Felipe si era isolato e non aveva accolto l’offerta di Paulo. Quella sera però non poteva isolarsi.

Quando Felipe si lasciò avvicinare, il portoghese sorrise. Si spogliò in fretta e Felipe fece altrettanto. Quando Paulo si mise a quattro zampe, Felipe era già sull’attenti e l’arma affondò nella carne salda del portoghese con grande soddisfazione di entrambi.

Quando ebbero finito, Felipe trattenne Paulo e gli chiese di Porco-fottutissimo.

- Come mai lo odiate tanto? Che cosa ha fatto?

- Quel figlio di un porco e di una puttana ci ha fatto scappare sotto il naso due prigionieri, e che prigionieri! Erano i figli del governatore dell’Havana. Avevamo chiesto un riscatto e sai che cosa ci dice quel bastardo del governatore? Che la cifra che chiediamo è troppo grossa e che non poteva pagare. Ci dava la metà. La metà! Puah!.

Paulo sputò.

- Noi decidiamo di dargli una lezione. Poteva pagare solo metà? E noi gli diamo solo metà dei figli. Il resto ce lo teniamo.

- Pensavate di renderne uno solo?

- No, neanche per idea. Metà dell’uno e metà dell’altra, che so, dalla testa al culo della femmina, dal culo ai piedi del maschio. 

Felipe sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Sì, sarebbero stati capaci di farlo.

- E allora, che cosa successe?

- Succede che abbiamo stabilito tutto. Quando arrivano i soldi del mezzo riscatto, ci divertiamo un po’ con i due, la ragazza è un bel pezzo di fica, il ragazzino ha tredici anni ed un culetto da baciarlo. Poi li tagliamo a pezzi, un po’ per volta, a partire uno dalle dita dei piedi, l’altra dalle dita delle mani, tutto davanti al messaggero del governatore. Quando arriviamo a metà gli diamo quel che gli spetta e lo mandiamo via. Un gran divertimento. Metà riscatto, metà prigionieri. No?

Felipe non espresse il suo punto di vista. Non sarebbe stato consigliabile. Commentò soltanto:

- Bella idea. Del Gallego, vero?

- Esatto, non c’è nessuno come lui.

Felipe si disse che come emerito figlio di puttana, effettivamente nessuno poteva stare al pari con il Gallego, ma evitò di esprimere il suo pensiero.

- Avevamo concordato il tutto e quel fottutissimo porco manda all’aria tutto il piano. I prigionieri li aveva lui, perché li avevamo catturati insieme. E quello che cosa fa? Dice: va bene, va bene e poi scompare nel nulla con i due. Li ha liberati, tutti e due, senza riscatto!

Felipe non disse nulla.

- È stato un emerito coglione: sapeva che non ce ne dimenticavamo e che prima o poi ci incontravamo di nuovo. Quello che ha fatto è stata un’offesa imperdonabile. Ci ha smerdati tutti. E pagherà. Ora pagherà.

Felipe annuì. Sì, quell’uomo sapeva i rischi che correva, ma non era tipo da tirarsi indietro. Quel pomeriggio aveva fatto in modo da coprire qualche compagno.

E lui l’aveva catturato. Lui! Era colpa sua se quell’uomo era nelle loro mani!

Ora doveva fare qualche cosa, ma non sapeva che cosa.

Paulo avrebbe voluto fare un bis, ma Felipe non ne aveva voglia, per cui il portoghese si mise in cerca di altre picche più disponibili a mettersi al lavoro. Spadaccino gli piaceva, ma non si dava molto da fare. Era un peccato, davvero un talento sprecato!

 

OLTRE LA BOTOLA

 

Felipe aspettò. L’orgia, accompagnata da grandi bevute per festeggiare, proseguì a lungo, ma pian piano i pirati incominciarono a cadere addormentati. Da diverse ore era buio pesto.

In silenzio, Felipe si avvicinò alla botola.

Non c’era sentinella: Porco-fottutissimo era legato ed i marinai sapevano come fare un nodo: l’uomo non era certo in condizioni di scappare. Inoltre la botola era chiusa dall’esterno.

Aprì la botola e si calò nel piccolo spazio. Toccò con il piede il corpo dell’uomo e si spostò, in modo da scendere in un punto libero.

All’interno era buio pesto. Felipe non sapeva che dire.

- Mi dispiace.

- Sei tu, ragazzo?

- Sì, sono io. Mi dispiace, non sapevo nulla della faccenda. Se avessi saputo non ti avrei catturato, ti avrei lasciato scappare.

Esitò un attimo. Poi riprese:

- Hai fatto una cosa bellissima, con quei due ragazzi. Ti ammiro molto.

Ci fu un momento di silenzio. Felipe non sapeva più che cosa dire. Si disse che quello che stava facendo non aveva nessun senso: che cosa era venuto a fare? Quell’uomo sarebbe stato assassinato il giorno dopo, non aveva bisogno di parole. Ma lui, che cosa poteva fare?

La domanda dell’uomo lo colse di sorpresa.

- Che ci fa uno come te su questa nave?

Rimase disorientato. Non era quella la domanda che si poneva. Ma ora aveva trovato la risposta alla propria domanda.

Allungò una mano, che incontrò il corpo dell’uomo. Fece scorrere la mano sulla pelle. Sentì il capezzolo. Era il torace. Passò su un braccio e si sporse in avanti, per seguirne la curva, fino a che trovò la corda che teneva legate le mani dietro la schiena. La sua testa ora sfiorava la spalla dell’uomo. Tenendo la corda con la destra, si spostò in modo da poter manovrare liberamente. Prese la corda con la sinistra, con la destra estrasse il coltello dalla cintura e cominciò a tagliare.

Sentì nuovamente la voce dell’uomo.

- Quello che stai facendo è pericoloso. Se lo scoprono, ti fanno a pezzi.

Felipe non disse niente. Anche far scappare i due ragazzi era stato pericoloso.

Quando ebbe finito con la corda che legava le mani, si spostò nuovamente davanti ed allungò la mano per cercare le gambe. Trovò nuovamente il torace e questa volta fece scendere le dita lungo il ventre. Esitò un attimo. La sensazione delle sue dita che scorrevano sulla pelle nuda di quell’uomo lo turbava. Spostò la mano verso l’esterno, in modo che passasse lungo il fianco e le gambe del prigioniero. Arrivò ai piedi. Felipe cominciò a tagliare anche la seconda corda e cercò di concentrarsi su quello che stava facendo, di non pensare alle sensazioni che lo assalivano. Ora era dolorosamente conscio dell’odore dell’uomo, un odore non spiacevole, ma intenso. Un odore che gli saliva alla testa.

Quando ebbe finito ripose il coltello e parlò:

- Non chiuderò il fermo della botola. Più tardi puoi cercare di uscire e di calarti in acqua. Sono già quasi tutti ubriachi, tra un po’ nessuno potrà accorgersi di nulla. Non so se riuscirai a raggiungere la riva, ma te lo auguro. Domani ti cercheranno, ma mi sembra che l’isola sia abbastanza grande, dovresti riuscire a nasconderti.

Aveva l’impressione di non riuscire a respirare. L’odore di quell’uomo gli penetrava nei polmoni, lo soffocava. Gli mancavano le forze.

- Spero che tu ce la faccia.

Doveva alzarsi ed uscire. Doveva. Ma non riusciva ad alzarsi. Ci fu un lungo silenzio.

Sentì una mano che gli sfiorava la spalla, saliva fino alla sua guancia. Poi l’altra guancia ricevette la stessa carezza e le due mani gli strinsero il viso, mentre Felipe avvertiva che l’uomo era più vicino. Non sapeva che cosa sarebbe successo, ma lo voleva, con tutte le sue forze.

Sentì le labbra dell’uomo che si posavano sulla sua fronte, poi su un occhio, sull’altro ed infine raggiungevano le sue labbra, che si erano aperte. Il calore delle due mani che gli stringevano la testa gli dava il capogiro, ma la sensazione di quelle labbra era più forte, molto più forte. Non aveva mai baciato un uomo, non sapeva che si potesse baciare un uomo. Nessun uomo lo aveva mai baciato. Molti lo avevano scopato, ma nessuno lo aveva mai baciato. Ebbe un capogiro. Non sapeva che un bacio potesse dare sensazioni così forti.

Era privo di forza e volontà. Senza capire, si ritrovò a terra. L’uomo doveva essere sopra di lui, perché le sue labbra percorrevano ancora il suo viso, le mani lo accarezzavano, ma non ne avvertiva il peso. Alzò le braccia e incontrò il corpo. Affondò le dita in quella carne. 

Le mani dell’uomo nei suoi pantaloni. Le mani dell’uomo. Forti, calde, potenti, avvolgenti, sicure. Nessun uomo lo aveva mai toccato così, nessun uomo, nessuna donna. Non aveva mai provato nulla del genere. L’ultima notte con Barbanera il piacere lo aveva fatto urlare, ma non era coinvolto come lo era adesso. La sua mente ed il suo corpo. Dal suo membro, dai testicoli che l’uomo sfiorava ed accarezzava, stringeva e stuzzicava, salivano brividi di piacere del tutto nuovi. Non pensava che si potesse godere così. Le mani di quell’uomo, le mani, le dita. Intorno al suo cazzo, i suoi coglioni, il suo cazzo teso allo spasimo, la sensazione di sprofondare sempre di più, di scomparire. Non sapeva più dov’era, che cosa faceva. Non esisteva nulla, se non quella carezza, quella stretta, quel solleticare, quel martoriare. Le dita di quell’uomo sul suo cazzo, la sensazione di peso nei suoi coglioni. Il corpo che sembrava ardere. La mano dell’uomo che gli percorreva il corpo. La carezza era ormai intollerabile, il cazzo gli doleva per la tensione, il contatto delle dita sui coglioni era doloroso, un dolore più forte, un’esplosione da dentro, dalle profondità, che saliva, saliva, lo squassava tutto ed infine usciva, in alto, sempre più in alto. Urlò, ma la mano dell’uomo gli chiuse la bocca. Il suo corpo si contorceva in uno spasimo che era un’agonia, mentre ondate su ondate di piacere lo abbattevano, lasciandolo sfibrato e boccheggiante.

Lentamente, con fatica, emerse dal gorgo dove era sprofondato. Si mise a sedere. Nella destra sentì il freddo di una lama.

- Questo è tuo.

Felipe capì che l’uomo gli stava rendendo il suo coltello.

- Mi avevi preso il coltello!?

- Era per quando viene il Gallego. Ma vedrò di cavarmela senza. Se si accorgono che non hai più il coltello e capiscono che l’avevo io, per te è finita.

- Vuoi ammazzare il Gallego? Come pensi di cercarlo sulla nave, senza che nessuno si accorga di te?

- Verrà a trovarmi lui, tra non molto, lo conosco bene. Uno dei due non uscirà vivo da questo buco, quando si accorgerà che non sono legato.

- Perché pensi che verrà?

- Lo spettacolo di domani non gli basta di certo, vuole un supplemento di divertimento, per quello l’ha rinviato a domani.

- Che cosa vuole fare?

- Ha i suoi gusti. Ma tu non mi sembri il tipo da divertirsi a sentire queste cose.

Felipe esitò un attimo, ma fu solo un’esitazione del corpo. Aveva già deciso. Cercò le mani dell’uomo e gli diede il coltello. Potevano fargli quello che volevano. Voleva che quell’uomo si salvasse. Ad ogni costo.

L’uomo prese il coltello, dopo un attimo di indecisione.

- Grazie, ragazzo. Grazie. Rimani nelle vicinanze. Te lo renderò, ad ogni buon conto. Chiudi la botola. Il Gallego verrà tra poco e non deve sospettare di niente.

 

UN VECCHIO CONTO

 

Felipe si issò fuori dalla botola. La chiuse, mise il fermo e si spostò poco lontano, nascondendosi di fianco ad una scialuppa. Era notte, ma la luce delle stelle era sufficiente a distinguere ciò che avveniva. Si sentiva ancora una voce di ubriaco che cantava, ma gli altri pirati dovevano essere a dormire, ormai.

Forse il Gallego non sarebbe venuto. Forse era meglio che aprisse la botola e facesse uscire l’uomo. Stava meditando se farlo, quando vide un’ombra avvicinarsi. Era il Gallego.

Il Gallego tolse il fermo, aprì la botola e si calò dentro.

Felipe si avvicinò strisciando alla botola ed accostò l’orecchio. Poteva sentire benissimo: i due uomini erano a nemmeno un metro da lui.

Fu il Gallego a parlare:

- Sono venuto a salutarti, Porco-fottutissimo, figlio di porco.

La voce del Gallego era allegra, di un’allegria crudele.

- Sapevo che saresti venuto, papà.

L’allegria nella voce dell’uomo era diversa, meno feroce. Ma c’era altrettanta determinazione.

- Niente ti fa abbassare la cresta, eh?

- Tu no di certo.

- Invece credo che tra poco sarai molto meno arzillo, mio caro galletto, anzi: cappone!

- Tu sei tanto arzillo solo perché hai le mani libere ed il coltello.

- Sì e adesso lo assaggerai. Abbiamo un conto in sospeso, noi due ed oggi lo saldiamo. Dovevi sapere che non potevi andartene senza pagare il conto. Adesso lo paghi. Sai, ho pensato che se crepi domani, i coglioni non ti servono più. Perciò adesso te li taglierò, poi credo proprio che te li farò assaggiare. Te li infilerò in gola, uno per uno.

- Non ti sarà così facile, Gallego.

- Merda! Come hai…

Non completò la frase. Un rumore sordo ed un urlo strozzato, di animale abbattuto. Ancora un rumore sordo ed un nuovo urlo. Ed ancora lo stesso rumore, ma solo più un gemito ad accompagnarlo e poi un rantolo.

Poi silenzio.

Di nuovo un rumore secco, prolungato.

Poi silenzio.

Felipe si guardò intorno. Non si vedeva nessuno. Il Gallego era morto, ma tutti i pirati dormivano. Sarebbe stato un risveglio amaro, quello dell’indomani.

L’uomo mise la testa fuori dalla botola. Felipe sussurrò:

- Non c’è nessuno. Puoi uscire.

In un attimo l’uomo fu fuori. Aveva un coltello in mano ed uno in bocca, che si tolse e porse a Felipe.

- Questo è il tuo coltello. Io ho quello del Gallego, a cui non serve più. Grazie.

- Pensi di farcela?

- Dovrei riuscire a calarmi in acqua ed a nuotare fino a riva, anche se sono un po’ malconcio. Se tocco terra prima che si accorgano della mia scomparsa, nessuno più mi ritroverà, te lo garantisco.

Mentre parlava, l’uomo aveva afferrato una corda, l’aveva assicurata alla fiancata e l’aveva lanciata in acqua. La rapidità e la sicurezza con cui aveva effettuato l’operazione, senza neppure posare il coltello, stupì Felipe. L’uomo sarebbe arrivato a riva, questo era certo. L’uomo chiuse la botola e mise il fermo.

- Lasciamo tutto così. Penseranno che il Gallego è venuto e che io l’ho disarmato ed ucciso con il suo coltello.

 

UNA PROPOSTA

 

Promessa19 copia

 

Felipe annuì, anche se al buio l’uomo non poteva vederlo.

- Buona fortuna, allora.

- Vieni con me, ragazzo.

Le parole dell’uomo lo presero di sorpresa.

- Che cosa dici?

- Tu non hai nulla a che vedere con questa banda di assassini. Vieni via con me. Ti garantisco che ti farò arrivare sano e salvo dove vuoi, a Port-Royal o all’Havana. Su quell’isola c’è un nascondiglio dove nessuno può trovarci e quando questi saranno andati via, raggiungeremo un posto sicuro.

A Felipe mancò il respiro. Pensò alle mani di quell’uomo e fece un passo indietro. Senza neppure rendersene conto, rispose:

- No. Non posso. Non posso.

- Mi dispiace, ragazzo. Sei sicuro?

Cercando di non pensare, Felipe rispose:

- Sì. Buona fortuna…

Avrebbe voluto salutarlo chiamandolo per nome, ma si rese conto che non sapeva il suo nome. Non poteva certo dirgli: - Addio, Porco-fottutissimo.

- Buona fortuna, ragazzo. Su questa nave ne hai più bisogno tu di me.

Passò la sinistra dietro la nuca di Felipe e lo attirò a sé, baciandolo sulla bocca. Un bacio lieve, ma per Felipe fu un’altra scossa. Poi si mise il coltello tra i denti e scomparve oltre la murata. 

Sporgendosi, Felipe poté sentire il gorgoglio dell’acqua: l’uomo si era immerso. Era troppo buio per vedere.

Quando fu sicuro che l’uomo doveva aver raggiunto la riva, Felipe si allontanò e si stese sul ponte: come alcuni altri, preferiva dormire all’aperto, quando non c’era rischio di pioggia. Il legno era meno comodo di un’amaca, ma almeno si risparmiava gli odori e l’aria pesante che regnavano sottocoperta. E, soprattutto, si risparmiava la compagnia degli altri pirati.

Cercò di addormentarsi, ma non ci riusciva. Erano successe troppe cose. La cattura dell’uomo, le mani di quell’uomo, la morte del Gallego, che ancora nessun altro sapeva.  

Ma a tormentarlo era una domanda, che ritornava più volte nella sua testa. Perché non aveva accettato di andarsene da quella nave maledetta? Che cosa lo aveva bloccato? Andarsene era quello che voleva. Era la cosa che aveva deciso di fare, che aveva bisogno di fare. Un’occasione come quella non l’avrebbe mai più avuta.

Perché allora aveva detto di no? Di quell’uomo si poteva fidare, ne era sicuro.

Non sapeva nulla di quell’uomo, nulla, se non che aveva impedito che i pirati della Black Gull assassinassero due ragazzi. Nulla, se non che era coraggioso e deciso. Nulla, se non che le mani e la bocca di quell’uomo incendiavano il suo corpo.

Era stato quel fatto a bloccarlo. Quell’uomo lo attraeva troppo. Aveva paura di quello che provava.

Sapeva, con assoluta sicurezza, che si sarebbe pentito di non aver accettato la proposta. Ne era già pentito. Ma era troppo tardi. Eppure era contento che quell’uomo fosse lontano. Perché se quell’uomo fosse stato al suo fianco, non sarebbe riuscito a mettere al mondo dei piccoli Llera.

Non l’avrebbe mai più rivisto, per fortuna.

Per sua fortuna, anche questa previsione era sbagliata.

 

CAMBIAMENTO DI PROGRAMMA

 

Felipe si addormentò molto tardi e fu uno degli ultimi a svegliarsi. I suoi compagni erano tutti allegri: pregustavano una grande giornata.

A vederli così allegri, a Felipe venne da sorridere. Avrebbero avuto una bella delusione.

- To’, finalmente anche Spadaccino è di buon umore.

Felipe sorrise a Rufus e si disse che doveva fare attenzione. Se qualcuno avesse sospettato, la sua fine sarebbe stata memorabile come avrebbe dovuto essere quella di Porco-Fottutissimo. Non ci teneva proprio. È vero che era stato lui a catturare Porco-Fottutissimo, ma il Sanguinario diffidava di lui.

E fu proprio il Sanguinario ad avvicinarsi a loro ed a dire:

- Dov’è il Gallego?

Rufus alzò le spalle e Felipe lo imitò. Alle spalle di Felipe, Pedro disse:

- Non è nella cabina? Secondo me dorme attaccato al tesoro della Texel, ha paura che qualcuno gli frega un doblone.

Il Sanguinario scosse la testa.

- No, la cabina è chiusa, ho bussato, ma non risponde.

- Dormirà.

- Piantala di sparare cazzate, Pedro. Sai che il Gallego ha il sonno leggero.

- Allora sarà andato a trovare Porco-fottutissimo.

- No, la botola è chiusa, con il fermo.

- Senti, Sanguinario, non lo so e non me ne fotte un cazzo di te e di lui. Non mi rompere i coglioni.

- Va’ a farti fottere, Pedro.

Il Sanguinario si girò e se ne andò. Era nervoso. Doveva aver intuito che c’era qualche cosa che non andava.

Nessuno sapeva nulla del Gallego, tranne Felipe, che ovviamente si guardò bene dal dire che bastava aprire la botola per trovarlo.

Intanto i pirati cominciavano a chiedere di mettere in scena lo spettacolo previsto. Fermarsi da quelle parti, frequentate dalle navi militari spagnole, non conveniva. Toccava al Gallego dare l’ordine, ma tutti erano impazienti.

- Cominciamo a tirarlo fuori, così ci divertiamo un po’.

Il Sanguinario annuì.

- Sì, tiriamolo fuori. Forse…

Il Sanguinario doveva aver intuito qualche cosa.

Si diressero tutti alla botola ed il Sanguinario la aprì. La luce del sole illuminava il piccolo locale e tutti coloro che erano in prima fila poterono vedere: sul fondo giaceva il corpo di un uomo massiccio, a torso nudo, i pantaloni abbassati. L’uomo aveva il ventre squarciato da due coltellate. Un terzo colpo, al cuore, aveva concluso l’opera, ma l’assassino non si era fermato lì: tra le gambe il morto non aveva più nulla, se non un’altra lacerazione rossa.

Tutti avevano capito. Il Sanguinario si calò nella botola e sollevò il corpo, porgendolo ai compagni. Mentre lo tiravano fuori, Felipe poté vedere che il Gallego stringeva tra i denti quel che gli mancava tra le gambe.

- Porco-fottutissimo l’ha ucciso e castrato.

Rufus mormorò, sconsolato:

- Quel figlio di puttana è imbattibile. Ci ha fottuti tutti. Come al solito.

Ormeño commentò:

- Avevamo in programma un bello spettacolo e ci ritroviamo a fare un funerale. Porco-fottutissimo è proprio un rompicoglioni.

- Di’ pure un taglia-coglioni!

La battuta del Lobo suscitò le risate di diversi compagni. Nessuno di loro sembrava affranto per la morte del capo.

Il Sanguinario li raggelò:

- Dobbiamo trovare quel fottuto bastardo.

Scimmia replicò:

          - Non possiamo fermarci ancora qui. Siamo rimasti fin troppo. È pericoloso. E quel bastardo non lo scoviamo facilmente. Ha le sue tane, in cui si rimpiatta, il figlio di puttana.

- Scimmia ha ragione, Sanguinario. È come cercare un ago nel pagliaio!

Il Sanguinario guardò l’isola. Era furente, ma Felipe capì che si rendeva conto anche lui della situazione.

- Partiamo. All’isola dei serpenti sceglieremo il nuovo capo e divideremo il bottino.

La nave salpò. Non c’era più nessuna allegria, ora. Tutti erano irritati, anche se non sofferenti. Felipe nascose la propria contentezza.

Lontano dall’isola, il Gallego ebbe diritto al solito funerale: gli tolsero i pantaloni e lo gettarono in mare. Felipe vide la pinna di uno squalo avvicinarsi al punto in cui il Gallego era stato gettato.

Degna fine per il Gallego, pensò.

 

IL DUELLO

 

Promessa 22

 

Giunsero all’isola dei serpenti la sera del giorno successivo e scesero subito a terra. Tra i pirati c’era una certa tensione, perché ora si trattava di dividere un tesoro enorme. Erano una quarantina, ma c’era tanto di quell’oro che avrebbero potuto spassarsela per alcuni anni. La divisione però li innervosiva, tanto più che non c’era più il comandante che si erano scelti. Dividere le monete era facile, c’era un regolamento preciso. Ma l’oro e i gioielli? Come stimarne il valore reale? Ognuno temeva di essere ingannato.

Felipe era del tutto indifferente. Di quel tesoro non voleva una moneta.

Scesi a terra, tutti i pirati si misero a sedere in cerchio.

Il Sanguinario, che era il capo in seconda, disse:

- Eleggiamo il capo, poi dividiamo il bottino. È più facile se c’è un capo.

Il Toro replicò, secco:

- Al capo spetta una parte maggiore del bottino, ma il capo che avevamo quando abbiamo conquistato questo tesoro è morto. Il nuovo capo non può avere nulla in più degli altri.

Il Sanguinario lanciò al Toro un’occhiata furente, ma i pirati aderirono immediatamente alla proposta del Toro.

Felipe si era seduto un po’ indietro: di quella discussione non gli importava nulla.

Ma ci fu tirato per i capelli.

Fu il Lobo di Siviglia a parlare. Felipe aveva già notato che il pirata ce l’aveva con lui, perché lo aveva sconfitto in duello.

- Spadaccino è escluso dalla divisione. Non ha partecipato all’azione e non ne era nemmeno al corrente.

La seconda affermazione era vera, la prima no, perché Felipe era stato con il Sanguinario a bordo della Texel. Comunque Felipe non esitò. Rispose, ad alta voce:

- Sono d’accordo.

Tutti approvarono Spadaccino, ben contenti di avere senza discussione un concorrente in meno. La remissività di Felipe infuriò il Lobo.

- E Spadaccino mi rende anche la spada che gli ho dato.

In un attimo Felipe fu in piedi, la mano sull’elsa.

- Se la vuoi, te la devi guadagnare in duello, come me la sono guadagnata io.

Il Lobo digrignò i denti. Era rabbioso, ma Felipe vide che non se la sentiva di affrontarlo. I pirati però, privati del divertimento che avrebbe dovuto assicurare Porco-fottutissimo, non si lasciarono sfuggire l’opportunità di godersi un altro spettacolo.

- Ben detto, Spadaccino! Avanti, Lobo, se hai i coglioni, fatti sotto!

- Non mi dire che fai il galletto e sei solo un cappone?

- Ti si è gelata la lingua o te la stai facendo sotto?

- Puah, sento la puzza da qua! Ti sei cagato addosso!

Ormai il Lobo non poteva tirarsi indietro. Felipe vide che aveva paura, una paura dannata. Sapeva di non essere un avversario all’altezza di Felipe e temeva di finire male.

Felipe invece non aveva paura. Era in grado di difendersi e poi gli importava ben poco di morire.

Entrambi si tolsero la camicia. I pirati allargarono il cerchio, delimitando un’ampia area in cui i due combattenti si sarebbero affrontati.

Il Lobo si scagliò su Felipe con irruenza, ma Felipe parò tutti gli attacchi. Poi incominciò ad incalzarlo. Il Lobo fu costretto ad arretrare e ben presto si trovò al bordo del cerchio, tra le risate ed i lazzi dei compagni, che lo deridevano.

Il Lobo avrebbe voluto avanzare, ma Felipe non gli dava tregua.

Cercando di spostarsi, il Lobo di Siviglia inciampò e cadde per terra. Felipe gli puntò la spada alla gola.

- Arrenditi, Lobo.

Il Lobo lo guardò, un’espressione di odio in faccia. Poi aprì la mano e lasciò cadere la spada.

- Mi arrendo.

Il Sanguinario disse:

- Bene, Spadaccino, hai dimostrato che la spada te la sei meritata.

Felipe rimise la spada nel fodero e si voltò per allontanarsi ed andarsi a rivestire. In quel momento sentì Scimmia urlare.

- Ehi, Lobo.

Si voltò in tempo per vedere che il Lobo aveva ripreso l’arma, l’aveva sollevata e si preparava a calarla sulla sua testa. Con un salto all’indietro, Felipe riuscì a schivare il colpo.

Mentre Felipe sguainava la propria spada, preparandosi a riprendere il duello, si fece avanti Scimmia.

- Lobo, hai violato le norme del duello.

Il Lobo rise, un riso furente, quasi folle: probabilmente si rendeva conto di essersi cacciato in un pasticcio da cui non sarebbe uscito vivo. Poi, con un movimento brusco, immerse la lama nello stomaco di Scimmia.

In un attimo, prima che il Lobo potesse estrarre l’arma dal corpo di Scimmia, il Sanguinario gli fu addosso da dietro e lo afferrò.

Il Sanguinario era una bestia, un metro e novanta abbondanti, un corpo da peso massimo. Le sue braccia imprigionavano il Lobo in una morsa e gli impedivano di muoversi.

Il Sanguinario si rivolse a Gerald:

- Fa’ il cappio, Gerald, e legalo a quell’albero, lì, dove sta Sbatti-culo. Il Lobo sarà impiccato.

Il Lobo urlò:

- No, bastardi, no!

Il Sanguinario gli rispose, senza mollarlo:

- Sei un assassino e non c’è bisogno di processo. Abbiamo visto tutti.

Gerald era già sull’albero e stava appendendo il cappio.

- Più corto, Gerald, più corto.

Poi il Sanguinario si rivolse a Rufus, sempre tenendo bloccato il Lobo, che si dibatteva tanto disperatamente quanto inutilmente.

- Mettici la botte sotto, Rufus, e tienila ferma.

Rufus fece rotolare fin sotto il cappio la botte di vino che si erano portati per bere e la tenne ben ferma. Il Sanguinario ci mise un piede sopra, senza mollare il Lobo, poi mise anche l’altro piede sulla botte e spostò il corpo del Lobo in modo da infilargli la testa nel cappio.

- Molla, Rufus.

Rufus lasciò la presa, ma non successe niente: la botte non si mosse.

- Pronto, Lobo? Ora ci divertiamo!

Il Sanguinario scoppiò a ridere, una risata che lo squassava tutto. Con un piede fece rotolare via la botte e rimase aggrappato al Lobo.

La corda era corta e l’agonia sarebbe stata lunga, ma il peso del corpo del Sanguinario trascinava in basso anche il Lobo, che si dibatteva, stretto nella morsa delle braccia del Sanguinario.

Felipe guardò la scena, incapace di distogliere gli occhi. Aveva già visto alcuni impiccati, ma non aveva mai assistito ad un’impiccagione. Il Lobo scalciava disperatamente ed agitava le braccia, ma la morsa del Sanguinario non gli permetteva di raggiungere la corda per allentarla.

Il collo del Lobo si allungava e gli occhi si dilatavano. Dalla bocca scendeva un filo di saliva e ad un certo punto la lingua guizzò fuori e si fermò tra i denti.

Il Lobo si agitò ancora un momento, mentre il Sanguinario continuava a ridere, ma i movimenti erano sempre più lenti e finirono per cessare del tutto.

I due dondolarono ancora un buon momento, poi il Sanguinario mollò la presa, ancora scosso dalla risata. Le sue mani si afferrarono ai pantaloni del Lobo e in un attimo il Sanguinario fu a terra. Il Lobo rimase appeso nudo, i pantaloni impigliati nei piedi, e Felipe poté vedere l’uccello proteso verso l’alto. Non aveva mai visto un impiccato nudo. Sapeva che spesso agli impiccati veniva duro, l’aveva sentito dire, ma era la prima volta che aveva modo di verificarlo.

 

UN COMPITO PER SPADACCINO

 

Il Sanguinario rideva ancora, soddisfatto della sua prodezza. Come sempre, uccidere lo rendeva allegro. Non solo allegro, qualche cosa di più, molto di più: il rigonfio dei pantaloni non lasciava dubbi.

La morte di Lobo e di Scimmia aveva eliminato altri due concorrenti per la spartizione del bottino, ma tra i pirati serpeggiava il malcontento. Del Lobo, era evidente che non importava nulla a nessuno. Ma tutti parlavano di Scimmia, che aveva tirato le cuoia mentre il Lobo veniva impiccato.

- E che facciamo adesso, senza Scimmia?

- Proprio ora che c’è da dividere il bottino!

- Merda, proprio ora! Quel figlio di puttana del Lobo!

Felipe si stupì: non gli era sembrato che Scimmia fosse così amato. E non capì il senso della domanda che il Sanguinario gli porse a bruciapelo:

- Spadaccino, sai scrivere?

Felipe lo guardò, perplesso.

- Certo!

Il Sanguinario gli fece il verso:

- Certo!

Felipe si morse il labbro. Ovviamente non poteva pensare che sulla Black Gull molti avessero frequentato l’università. Non aveva riflettuto che saper scrivere su quella nave doveva essere appannaggio di pochi o, come capì subito dopo, solo del defunto Scimmia.

Il Sanguinario riprese:

- Ci avrei giurato che eri un damerino. Buon per te. Ci serve qualcuno per sostituire Scimmia. Era l’unico che sapeva scrivere. Devi segnare quello che spetta del bottino a ognuno di noi.

Scimmia in effetti aveva il compito di registrare quanto toccava a ciascuno nella spartizione della preda e si era portato a terra una specie di registro e l’occorrente per scrivere.

Il tesoro venne diviso tra tutti, dando materialmente ad ognuno le monete che gli spettavano. Poi vennero spartiti anche alcuni gioielli, tra grandi discussioni. Altri pezzi, che sembravano di maggior valore, non vennero assegnati a nessuno: sarebbero stati venduti a Port-Royal ed il ricavato sarebbe stato diviso.

Al termine dell’operazione quasi tutti i pirati rimisero nei sacchi i gioielli e le monete: preferivano che tutto venisse custodito in un luogo sicuro, non fidandosi dei compagni. Qui veniva il turno di Felipe, che doveva segnare con cura tutto ciò che veniva dato in consegna, per essere poi restituito quando fossero giunti a terra. Il Sanguinario gli disse:

- Bada a non sbagliare, Spadaccino. Un errore lo paghi con la pelle.

Felipe registrò con cura, indicando il numero ed il tipo di monete e le caratteristiche dei gioielli assegnati ad ogni marinaio.

Terminata l’operazione, tutti i pirati erano allegri: si erano arricchiti ed avevano in vista di incrementare il loro bottino con la vendita di quanto non era ancora stato diviso. Molti pezzi dovevano valere una bella cifra.

Alcuni proposero di mettersi a mangiare, ma il Sanguinario disse:

- Prima dobbiamo scegliere il nuovo comandante.

I pirati approvarono e subito venne fatto il nome del Sanguinario. Era la scelta più naturale: era il vice del Gallego ed aveva l’appoggio della maggioranza degli uomini. Non del Toro: i due si detestavano. Ma agli altri il Sanguinario piaceva.

Ed in effetti il Sanguinario divenne il nuovo capo, per acclamazione.

Quella sera, dopo che tutti ebbero bevuto e si fu svolta la solita ammucchiata, Felipe si mise in disparte a pensare. 

Doveva andarsene, andarsene in fretta. Aveva fatto male a non accettare la proposta di Porco-fottutissimo. Ripensò a quell’uomo. Era contento che fosse in salvo. Ma il pensiero lo turbò. Si disse che stava esagerando. Che cosa era successo, in fondo? Niente, un bacio ed una sega. Tutto lì.

Nel buio Felipe sorrise. Sapeva benissimo che stava mentendo a se stesso, che quell’uomo lo aveva sconvolto come mai nessuno. Definire una sega quello che c’era stato tra loro era una cazzata. Ma Felipe non voleva dare troppa importanza a qualche cosa che già gli ritornava in testa in continuazione. Cercò di non pensare all’uomo e di concentrarsi sulle possibilità di fuggire.

Doveva andarsene prima che la Black Gull si trovasse coinvolta in un arrembaggio. Perché di combattere con i suoi compagni, lui non se la sentiva proprio. E non ci teneva neppure a finire impiccato.

Guardò il cadavere del Lobo che penzolava ancora, illuminato dalla luce lunare. No, non ci teneva proprio. Doveva andarsene. E in fretta.

Andarsene sarebbe stato possibile, forse, se Felipe avesse avuto più tempo, ma il tempo che rimaneva era proprio poco.

Tre giorni dopo la Black Gull incontrò la Madre de Dios e la Santiago. Che cosa può fare un povero gabbiano nero contro la Madonna e contro san Giacomo, detto, non a caso, Matamoros per la sua partecipazione in battaglia contro i Mori? Nell’impari lotta, il gabbiano nero ebbe la peggio.

 

L’ULTIMA BATTAGLIA DELLA BLACK GULL

 

Promessa23

 

La Black Gull avanzava in direzione della Giamaica, dove i pirati contavano di vendere i gioielli.

Quel pomeriggio la nave procedeva al largo della costa meridionale di Hispaniola, quando dalla costa si staccò una nave militare spagnola, una goletta da guerra, che cercò di tagliare loro la strada. La Black Gull, più veloce, riuscì ad evitare di essere intercettata, ma la goletta si mise all’inseguimento.

Sulla Black Gull nessuno sembrava molto preoccupato.

- Ma cosa credono di fare quei coglioni? Stanno perdendo terreno a vista d’occhio. Tra due ore al massimo non ci vedranno più neanche.

- Poveri fessi, con quella balena pensano di raggiungerci.

Felipe era ben contento che l’inseguimento fallisse: a Port-Royal poteva avere qualche possibilità di scappare, ma in uno scontro aveva solo la scelta tra morire combattendo e morire impiccato. Nessuna delle due possibilità gli sembrava attraente. E di combattere a fianco dei pirati della Black Gull non aveva proprio voglia.

La Black Gull avanzava veloce, ma l’inseguitrice non rinunciava, benché la distanza aumentasse, come i pirati avevano previsto.

Erano ormai quasi giunti all’isola Beata, all’estremità meridionale di Hispaniola, quando da dietro l’isola sbucò una seconda goletta da guerra spagnola. Non sarebbero riusciti ad evitarla: erano ormai troppo vicini. Invertire la rotta non era possibile, perché sarebbero finiti nelle braccia degli inseguitori.

Felipe vide il terrore sul volto dei suoi compagni. 

Antón, un bel giovane, nero di capelli e scuro di carnagione, disse quello che pensavano tutti:

- Siamo fottuti!

Il Sanguinario digrignò i denti.

- Dobbiamo riuscire a fottere quella nave prima che arrivi l’altra. È la nostra unica possibilità.

La nave che bloccava la loro avanzata era la Santiago. Affrontarla era chiaramente una lotta ad armi impari, perché la goletta era molto meglio armata. In uno scontro tra gli equipaggi, avrebbero avuto maggiori possibilità, ma prima di arrivarci avrebbero dovuto reggere il fuoco della Santiago.

Felipe si disse che la sua ora era arrivata. Gli spiaceva di morire in quel modo, a fianco di quei pirati che erano la feccia dell’umanità. Non avrebbe combattuto per loro, di certo, ma questo non sarebbe servito a salvarlo. Tutto ciò in cui poteva sperare era di contribuire alla vittoria degli spagnoli e all’eliminazione di quei pirati dalla faccia della Terra.

La Black Gull manovrò in modo da poter sparare con i cannoni, ma la bordata della Santiago arrivò prima che i pirati fossero pronti al tiro e fu subito evidente che la situazione era disperata: l’albero maestro venne abbattuto di netto e diversi uomini furono spazzati via. Felipe vide una palla di cannone portare via la testa e parte del torace del Barbiere, che stava vicino a lui: quello che rimaneva del corpo cadde a terra, in un lago di sangue, mentre il resto scompariva con il proiettile.

La bordata sbilanciò la Black Gull, che riuscì a sparare solo dopo un buon momento. Anche il colpo dei pirati fu efficace, provocando diversi danni alla nave avversaria.

Ci fu ancora uno scambio di colpi. Anche questa volta la Santiago fu seriamente danneggiata, ma la Black Gull ebbe nuovamente la peggio: fu colpita lungo la linea di galleggiamento, perse il timone e incominciò ad imbarcare acqua.

Il Sanguinario correva sul ponte dando ordini frenetici. I pirati sapevano benissimo di non avere nessuna possibilità di scampo, ma erano ben decisi a vendere cara la pelle. La Santiago si avvicinò alla Black Gull ed i pirati si prepararono all’arrembaggio. Intanto anche la Madre de Dios si stava avvicinando, togliendo ogni speranza di salvezza ai pirati.

 

LO SCONTRO FINALE

 

Quando la Santiago fu a lato della Black Gull, i pirati lanciarono i ganci che dovevano tenere unite le due navi, permettendo l’abbordaggio. Mentre la manovra era in corso, alcuni pirati si slanciarono a bordo della goletta, ingaggiando battaglia. Una manovra del timoniere sulla Santiago, o forse solo il movimento delle onde, allontanò la Black Gull, prima che i ganci venissero fissati. Questo impedì agli altri pirati di raggiungere i loro compagni e Belzebù, che si era appena slanciato verso la goletta, cadde in acqua.

Una terza scarica di cannoni abbatté l’albero di trinchetto della Black Gull e spazzò via diversi uomini.  

I pochi che erano riusciti a saltare sulla nave avversaria si trovarono di fronte un equipaggio molto più numeroso e ben addestrato e fu subito evidente che non avevano molte possibilità, se non quella di morire combattendo.

Felipe, che era rimasto sulla Black Gull, seguì il combattimento.

Il primo a venire colpito fu Volpe, che ricevette un colpo di pistola in faccia e cadde stecchito. Ramón lo seguì quasi subito: un marinaio si avventò su di lui e lo colpì al braccio, quasi tagliandolo. Mentre Ramón si portava l’altra mano alla ferita, lo spagnolo gli infilò la spada nel cuore.

La morte di Rufus fu meno rapida. Felipe vide un marinaio molto alto scagliarsi su di lui. Malgrado la sua mole, Rufus si muoveva con agilità e riuscì a parare il colpo. A sua volta attaccò, lanciandosi sull’avversario, ma questi schivò il colpo e prima che Rufus riuscisse a rimettersi in guardia, gli immerse la picca nel ventre. Felipe vide Rufus strabuzzare gli occhi e fissare quasi incredulo il marinaio. Rufus lasciò andare la spada, che cadde al suolo. Il suo avversario estrasse la picca insanguinata e sul viso sudato di Rufus passò uno spasimo acuto. Lo spagnolo portò indietro il braccio e poi lo spinse avanti di colpo, immergendo nuovamente la picca nel ventre del pirata. Rufus barcollò. Il marinaio lo guardò un attimo, poi spinse ancora con forza e la picca proseguì nel suo percorso, trapassando il pirata. Quando il marinaio estrasse l’arma, Rufus cadde al suolo.

Concentrato nel seguire il duello di Rufus, Felipe aveva perso di vista gli altri. Ne rimanevano pochi ancora in piedi ed il loro numero calava rapidamente. Sbatti-culo fu colpito da un proiettile alla coscia e cadde al suolo, incapace di reggersi ancora. La spada di un marinaio decapitò di netto Alonso: la testa cadde a terra, il corpo rimase in piedi un attimo, poi seguì la testa. Juancho intanto era stato sospinto contro la murata ed uno spagnolo gli aveva messo le mani intorno al collo: lo stava strangolando e Juancho cercava disperatamente di allontanare quelle mani che gli toglievano il respiro, ma era senz’armi, come il suo più robusto avversario. Felipe lo vide boccheggiare, mentre il marinaio stringeva sempre di più. La resistenza di Juancho venne meno e Felipe vide il suo corpo scivolare all’indietro, fino a che si afflosciò senza vita, rimanendo sospeso sul parapetto della murata. Con un colpo, il suo avversario lo fece cadere in acqua.

Sulla Santiago erano rimasti in tre ancora in piedi: il Toro, Antón e Pedro. Felipe sentì il comandante della nave urlare di prenderli vivi, ma i tre lottavano con tutte le loro forze e non si sarebbero certo lasciati catturare. Essi avanzavano senza paura, come se dietro di loro avessero avuto l’intera ciurma della Black Gull. Sembravano creare il vuoto intorno a sé ed infatti ci fu un momento in cui si trovarono da soli sul ponte, mentre gli uomini della Santiago cercavano tutti di allontanarsi.

Nessuno dei tre capì in tempo.

Felipe si accorse che su un albero della nave, proprio sopra ai tre, c’erano due spagnoli con una grande rete. Questa venne lanciata e finì sui tre pirati, imprigionandoli ed impedendo loro di difendersi. In un attimo i marinai furono su di loro, li disarmarono e li catturarono.

L’arrembaggio alla Santiago si era concluso con la sconfitta dei pirati, anche se molti spagnoli erano morti nella difesa della nave.

 

UNA FINE INGLORIOSA

 

Intanto la Black Gull continuava ad imbarcare acqua e divenne evidente che la nave sarebbe presto affondata. Il Sanguinario decise di far calare le scialuppe, in cui mise anche il tesoro. L’isola Beata non era lontana e forse il Sanguinario pensava di raggiungerla in barca, mentre sulla Santiago si combatteva.

Era una manovra disperata e infatti la Madre de Dios fu su di loro molto prima che i pirati fossero riusciti ad allontanarsi dalla nave.

Dalla Madre de Dios intimarono di arrendersi, ma la replica del Sanguinario non fu molto conciliante:

- Andate tutti a farvi fottere, figli di puttana. Non ci avrete.

La risposta che giunse dalla Madre de Dios fu altrettanto conciliante, ma molto più incisiva: una cannonata centrò una delle due scialuppe, uccidendo buona parte degli uomini. Alcuni riuscirono a raggiungere l’altra imbarcazione, benché fossero feriti. Altri furono meno veloci dei pescecani.

Sovrastata dalla Madre de Dios, la scialuppa dei pirati aveva le stesse possibilità di salvarsi di un agnello di fronte ad un leone.

Il Sanguinario sembrava un leone in gabbia, ma questa volta aveva la parte dell’agnello.

- Siamo fottuti, Sanguinario. Dobbiamo arrenderci.

- Per finire impiccati? Che cazzo dici, Ormeño?

- Impiccati o agli squali, non cambia molto. O hai qualche idea?

La Madre de Dios era vicinissima. Calarono una fune.

- Salite a bordo o vi fuciliamo tutti.

Il Sanguinario rispose con il solito tono accomodante:

- Merda!

Dalla nave spararono solo due colpi di fucile. L’Asturiano si accasciò con un foro nel petto e Prudencio lanciò un urlo quando la pallottola gli trapassò la gamba.

- È inutile, Sanguinario. Io vado.

La corda era proprio sopra la barca e Lapo l’afferrò, cominciando ad issarsi. Il Sanguinario gli puntò la pistola per ucciderlo, ma un nuovo sparo lo ferì alla mano destra, costringendolo a lasciar cadere l’arma. Qualcuno doveva avere una mira maledettamente precisa, su quella nave.

Lapo fu seguito dagli altri pirati, tra cui Felipe.

Man mano che arrivavano sul ponte della nave, venivano bloccati, spogliati completamente e legati con le mani dietro la schiena. Nessuno oppose resistenza: sapevano benissimo che era del tutto inutile.

Alla fine sulla scialuppa rimase solo il Sanguinario, che cercò di afferrare la cassa del tesoro per gettarla in acqua, con l’intenzione di seguirla. La cassa però era molto pesante ed il Sanguinario poteva usare una sola mano.

Mentre trafficava, fu raggiunto da quattro marinai. Ne scagliò uno in acqua con un calcio, ma gli altri gli furono addosso, mentre dalla nave si sentiva la voce del comandante:

- Quello lo voglio vivo! Vivo!

Il marinaio che era stato lanciato fuori bordo riuscì a risalire sulla scialuppa. Il Sanguinario, saldamente legato, venne issato sulla nave e subito dopo venne issato anche il tesoro. Il Sanguinario smaniava ed insultava tutti: i compagni che si erano arresi ed i marinai spagnoli, il comandante della nave ed il re di Spagna, la Madonna ed il Padreterno, senza fare distinzione di parte, classe e sesso, con una vocazione democratica che una settantina d’anni dopo Robespierre avrebbe molto apprezzato.

 

FERITI E PRIGIONIERI

 

Promessa23

 

Felipe, nudo e con le mani saldamente legate dietro la schiena, vide caricare sulla nave il Sanguinario e poi il tesoro della Texel. Felipe pensò che quel tesoro non aveva portato fortuna a nessuno: né ai legittimi proprietari, né ai pirati della Texel, né a quelli della Black Gull. 

Guardando la Black Gull, che stava inclinandosi e presto sarebbe affondata, si disse anche che almeno quel flagello era stato eliminato dal mondo. Lui non aveva contribuito, a differenza di quanto era avvenuto con Barbanera, ma era contento che fosse avvenuto.

La Madre de Dios raggiunse la Santiago, che era gravemente danneggiata. Le due navi vennero affiancate e tutti i prigionieri vennero trasferiti sulla Santiago.

Felipe guardò i compagni. Erano in diciotto. Undici senza nessuna grave ferita, il Sanguinario con la mano che perdeva sangue, altri sei feriti in modo più o meno grave.

Vicino a lui i capitani delle due navi si stavano consultando.

- Ci aspettavamo la Liberté ed invece di Testapelata ci siamo trovati la Black Gull. 

- Non ci lasceremo scappare neanche la Liberté e faremo piazza pulita in un colpo solo degli ultimi pirati che ancora infestano queste acque. Vediamo la situazione. Sa quanti sono i morti ed i feriti?

- Circa trenta morti e forse quaranta feriti. 

- I pirati superstiti non sono più in grado di nuocere. Allora, questa nave è molto danneggiata, ma la Madre de Dios è a posto. Carichiamola con il grosso degli uomini e saremo in grado di affrontare la Liberté. Testapelata non ci sfuggirà. Qui rimangono uomini a sufficienza per procedere all’esecuzione.

- Agli uomini dispiacerà non assistere all’impiccagione di questi figli di puttana, ma potranno rifarsi con quella dei pirati della Liberté.

- Prima di sera avremo raggiunto Testapelata e domani, mentre impiccheremo questi, anche lui penzolerà dalla corda.

Il comandante della Santiago, che era il capo della spedizione, diede ordine di buttare in mare i corpi dei pirati morti nell’arrembaggio.

I marinai cominciarono a scaraventare fuori bordo i cadaveri dei compagni di Felipe. Ben presto gli squali arrivarono a contendersi i corpi.

- Bene, passiamo agli altri. Escluso quello.

Con un cenno del capo, il comandante indicò il Sanguinario.

Gli uomini presero i feriti e cominciarono a gettarli in mare, nella festa furibonda dei pescecani. Alcuni non erano più in grado di reagire, ma quelli che erano coscienti si dibattevano.

Felipe vide Sbatti-culo cercare disperatamente di allontanarsi a nuoto, ma il sangue che perdeva attirava gli squali. Quando Felipe sentì il suo urlo, mentre l’acqua si arrossava, non ne fu dispiaciuto. Sarebbe morto tra pochissimo, per colpa di quel fottuto bastardo: vederlo crepare era la sua ultima soddisfazione.

Felipe pensò che li avrebbero gettati tutti in mare, ma non fu così. Il Sanguinario e loro, che non avevano avuto ferite profonde, furono rinchiusi nella stiva, in uno spazio in cui quasi non potevano stare in piedi, perché il soffitto era basso. Ad uno ad uno li condussero sotto e poi legarono loro le caviglie. Andandosene, uno dei soldati disse:

- L’impiccagione è per domani. Passate bene la notte.

Fu il Toro a rispondere:

- Che tu possa crepare, bastardo!

Il soldato rise e chiuse il portello.

Nel locale scese il buio.

 

IN ATTESA DEL CAPPIO

 

Ci fu un momento di silenzio. Antón aveva la schiena contro la parete. I polsi gli dolevano, perché i marinai avevano stretto molto la corda, pizzicandogli la pelle e lacerandola. Come i suoi compagni, sapeva che era finita.

Sentì la voce del Toro, tranquilla, come se stesse parlando del più e del meno.

- Bene, è finita. Domani ci impiccheranno. 

Il Sanguinario rispose rabbioso:

- Vi siete fatti catturare, coglioni che non siete altro. Vi siete consegnati nelle mani degli spagnoli!

Antón avrebbe voluto saltare addosso al Sanguinario. Quello stronzo non aveva neanche lottato e si permetteva di parlare. Per fortuna ci pensò il Toro a metterlo a posto:

- Noi abbiamo combattuto, tu hai solo cercato di scappare con il tesoro. Piantala di rompere i coglioni, Sanguinario. Ne ho più che abbastanza di te. Sei uno stronzo, buono soltanto a scoreggiare cazzate con quella bocca di merda.

Pedro intervenne:

- Inutile litigare, adesso. Tanto non cambia nulla. Che ne direste di divertirci un po’, visto che abbiamo una notte da passare? È vero che domani sborriamo, ma magari oggi, senza la corda al collo, viene meglio.

Antón rise. Non sarebbe stato facile, con le mani ed i piedi legati, ma Pedro aveva ragione.

- Ehi, prima di fottere, se avete da pisciare, venite da questa parte.

L’invito di Lapo fece nuovamente ridere Antón.

La voce di Tricheco risuonò vicinissima al suo orecchio, appena un sussurro.

- Stenditi.

Quelle parole accesero il suo desiderio. Con le caviglie legate non sarebbe stato facile, ma non aveva importanza.

Antón si spostò e cercò di distendersi, scansando i corpi dei compagni. Si trovò con la testa sulle gambe di Indigo, che si spostò verso di lui. Ora Antón aveva il sesso del giamaicano sulla faccia. Lo prese in bocca.

Tricheco si stese su di lui ed Antón ne avvertì il peso: Tricheco aveva una pancia pari a quella di Rufus ed ora tutto quel ventre debordante schiacciava la sua schiena ed un carbone ardente premeva contro la porta posteriore. Ma in quella posizione la porta posteriore si apriva male. Una spinta decisa gli provocò una fitta intollerabile. Guizzò in avanti.

- No, non ce la faccio, Tricheco.

Tricheco si sollevò. Poi Antón ne sentì la lingua tra le cosce. Quella lingua che si infilava nel solco lo frastornò. Cominciò a succhiare la carne calda che aveva in bocca e la sentì divenire turgida.

Tricheco passò ancora una volta la lingua, poi si appoggiò nuovamente ed Antón sentì l’alabarda premere, forzare l’ingresso ed entrare in un colpo solo. Il dolore gli fece spalancare la bocca in un urlo.

- No, Tricheco, no!

Non lo reggeva, non riusciva a reggerlo.

- Finiscila, Antón.

Tricheco spingeva senza nessuna pietà ed il dolore che saliva dal culo martoriato avvolgeva Antón. Eppure quel dolore intollerabile, che lo faceva singhiozzare, che gli impediva di proseguire l’opera avviata con Indigo, quel dolore che cresceva dentro di lui, infiammava i suoi sensi. La violenza del dolore lo stordiva, ma non avrebbe più voluto che Tricheco smettesse. No, voleva dentro quella picca, sempre più dentro, sempre più a fondo, a martirizzare il suo culo.

Ora l’eccitazione saliva. Riprese in bocca l’uccello di Indigo e si mise a lavorarlo con la lingua. Lo avviluppò tutto, lo ingoiò. Sentì il gusto, leggermente amaro, della scarica. Ingoiò fino all’ultima goccia, poi lasciò la sua preda. Le spinte di Tricheco erano sempre più forti ed anche il suo piacere saliva vorticosamente. Sentì la scarica dentro di sé, il rapido ritirarsi dell’arma. Svuotato, provò un senso di perdita, di smarrimento. Malgrado il dolore al culo, voleva ancora quelle spinte, quel carbone ardente che lo infiammava.

- Tricheco!

- Che c’è?

- Domani mattina, prima che ci impicchino, mi chiavi ancora.

 

La festa proseguì e dovevano essere passate circa due ore dal momento in cui erano stati rinchiusi, quando la botola si riaprì e sulla scala apparve il sacerdote. Scese due gradini e cominciò, assumendo una posa solenne:

- Domani...

Il cielo era di un azzurro cupo e presto sarebbe arrivata la notte, ma la fioca luce che entrava dalla botola era ancora sufficiente per vedere quello che stava avvenendo. Il sacerdote si bloccò, senza parole. Poi la sua voce salì di tono, diventando aspra, furente:     

- Infami peccatori, altri peccati aggiungete a quelli già commessi! Non pensate alle vostre anime?

La risposta non si fece attendere. La voce di Ormeño si levò alta e chiara:

- Va’ a cagare, prete fottuto!

- O piuttosto vieni qui, che te lo metto in culo.

La replica del Toro li fece ridere tutti.

Il sacerdote salì i due gradini e la botola si richiuse con un rumore secco.

I pirati continuarono i loro passatempi, aggiungendo altro materiale per l’ultima confessione. Che ovviamente non ci fu.

 

UNA FINE DA PIRATI

 

Promessa24 copia

 

Felipe non partecipò all’orgia notturna. Non poté impedire che Paulo si sedesse contro di lui, che lo accarezzasse fino a che non gli diventò duro e che poi si infilzasse come su un palo. Ma rimase indifferente, mentre il suo corpo godeva un’ultima volta.

Poi Paulo andò a cercare altre picche più disponibili, materiale di cui non c’era certo penuria. Felipe rimase in un angolo, vicino alla scala.

Pensava alla morte che l’aspettava e provava un senso di nausea all’idea di morire insieme a quegli uomini che disprezzava, che odiava. Eppure quella sarebbe stata la sua morte.

Desiderava solo che tutto finisse in fretta. Avrebbe voluto che fosse già mattina.

La mattina venne. L’orgia si era ormai calmata. Tutti erano sazi ed ora aspettavano. Solo Antón si faceva infilzare ancora una volta da Tricheco.

I marinai aprirono lo sportello.

Scesero in due.

Felipe era il più vicino alla botola. I due gli tagliarono la corda che gli legava le caviglie, lo sollevarono e lo spinsero lungo la scaletta. Con un po' di fatica, dopo le ore in cui le corde lo avevano costretto a rimanere piegato, mosse i primi passi.

Sul ponte la luce lo accecò. Socchiuse le palpebre, mentre i suoi occhi si abituavano al sole.

Davanti a lui vide i dodici cappi, già pronti, lungo il pennone dell’albero maestro. Era finita davvero. Il destino si era preso gioco di lui fino all’ultimo e gli aveva permesso di sfuggire al plotone di esecuzione o alle mani di Barbanera solo per finire impiccato. Ormai nessuno sarebbe riuscito a salvarlo, nemmeno la Madonna.

Non bisogna mai sottovalutare la Madonna, ma non anticipiamo.

Sarebbe stato il primo a morire.

Il primo o l’ultimo, per quello che importava!

- Siediti lì.

Felipe non capì.

- Muoviti.

I due marinai lo forzarono a sedersi. Felipe si accovacciò e li guardò. I due ritornarono sottocoperta.

Uno dopo l’altro portarono sul ponte tutti i prigionieri, facendoli sedere vicino alla murata.

Quando i due marinai risalirono con l’ultimo dei prigionieri, Tricheco, non lo portarono dove erano seduti loro. Si diressero direttamente verso il primo cappio, quello più vicino alla botola.

Tricheco fece una bella risata sonora, che scosse la grande pancia pelosa, e si rivolse ai suoi compagni:

- Bene, ragazzi, vi do spettacolo. Ed anche gratis. Buon divertimento.

Sollevare un colosso come Tricheco non era facile ed il marinaio grasso sacramentava, mentre lo issava. Con il viso congestionato dallo sforzo, parlò al compagno:

- Muoviti, ché non ce la faccio. Questo barile di lardo…

La voce beffarda del pirata lo interruppe:

- Senti chi parla, il magrolino. Se avevi più muscoli e meno grasso, non eri qui a lamentarti tanto.

Il marinaio grasso digrignò i denti, mentre Felipe ed i suoi compagni scoppiarono a ridere.

Il marinaio con il tatuaggio aveva finito di passare il cappio intorno al collo di Tricheco e l’aveva stretto. Fece un passo indietro ed il grassone mollò Tricheco. Il corpo scese di poco, un salto brevissimo, e rimase sospeso a due palmi da terra.

- Divertiti, barile di lardo.

Il ghigno sul viso di Tricheco sparì lentamente, mentre la bocca si apriva nello sforzo di catturare un po’ d’aria. Per un momento Tricheco rimase immobile, poi il corpo cominciò a muoversi, piccole scosse che dalle spalle scendevano alle gambe, mentre il torso si inarcava. Tricheco sollevò le gambe, allargandole, e cominciò a scalciare. Felipe sentì le risate di alcuni dei suoi compagni, ma una sensazione confusa si impadroniva di lui. Quel corpo grosso e peloso che si agitava davanti a lui lo affascinava. Tra poco anche lui si sarebbe agitato, nell’ultimo ballo con la morte. Eppure non era paura, quello che provava. Non avrebbe potuto distogliere gli occhi da Tricheco, che continuava a scalciare, ora più debolmente. Il sesso gli si stava drizzando e Felipe lo guardava ammaliato. Cresceva, vigoroso e deciso, la cappella emergeva, una fiamma guizzante. Felipe alzò lo sguardo sul viso stravolto di Tricheco, deformato in una maschera, la bocca spalancata, la lingua che si infilava tra i denti, la saliva che colava sul mento e scendeva sul torace, perdendosi tra i peli. I movimenti divennero più lenti, il corpo dondolava appena, ora, e le gambe si giravano verso l’esterno, senza allontanarsi molto l’una dall’altra. Il movimento si ripeté tre, quattro, cinque volte. Il sesso era tanto turgido che sembrava un grosso palo nodoso, la grande vena in rilievo sul fianco. E, di colpo, il movimento si arrestò ed un getto di seme salì verso l’alto, per poi ricadere sul ventre, sulle gambe, sul ponte. Il sesso pulsava ed il seme continuava a sgorgare, ma con meno forza, ora: appena usciva scivolava lungo la cappella rossa e colava sull’asta, fino a perdersi tra i peli che coprivano i coglioni.

Ora Felipe non aveva più dubbi sulla sensazione che provava. Il suo uccello, teso come quello di Tricheco, ne era la prova inequivocabile. Lo spettacolo lo affascinava e non riusciva a distogliere gli occhi da quel corpo che ancora, ma sempre più lentamente, muoveva le gambe verso l’esterno. Il marinaio tatuato si avvicinò a Tricheco, gli afferrò i coglioni e tirò con forza. Felipe fissò il viso del suo compagno, ma gli occhi erano spenti ed i tratti ormai fissati nell’immobilità della morte.

 

Felipe si guardò intorno. Sul viso dei marinai spagnoli, seduti alcuni davanti ed altri dietro la fila dei capestri, poteva leggere lo stesso oscuro desiderio che si era impadronito di lui.

I due marinai si avvicinarono ad Ormeño, che era il più vicino alla fila dei cappi. Si chinarono e lo forzarono ad alzarsi.

- Avanti, tocca a te, bocciolo di rosa. Avrai mica paura? Non ti facciamo niente di male. Sborri persino, come il tuo amico.

Quel bastardo si divertiva a fare il suo lavoro. Rideva soddisfatto.

Ormeño fece i pochi passi che lo separavano dal cappio senza mostrare paura, ma senza la spavalderia di Tricheco. Sembrava concentrato su se stesso, quasi indifferente a quello che accadeva intorno a lui.   

Mentre il grassone lo sollevava, uno degli uomini seduti dall’altra parte gridò:

- Ehi, voltalo di qua. Vogliamo vedere anche noi. Mica solo il culo.

Il grassone rise.

- Di questi il culo è la parte migliore.

Un altro seduto dietro replicò:

- Ehi, non è mica giusto.

Il marinaio tatuato ridacchiò e rispose:

- Va bene, ragazzi, ma il prossimo.

Nell’attimo in cui il grassone si staccò da Ormeño, lasciandolo penzolare nel vuoto, Felipe sentì una mano sfiorargli il sesso. Sussultò. Indigo, seduto davanti a lui, aveva proteso le mani ed ora stava afferrando il palo. Anche lui doveva essere in calore, come tutti, pirati e marinai. Indigo strisciò il culo indietro, mentre Felipe allargava le gambe per permettergli di avvicinarsi fino a toccarlo. Poi Indigo sollevò leggermente il culo e diresse il membro di Felipe nella giusta posizione. Felipe guardava il suo corpo chiaro contro quello scuro del nero. Non aveva mai scopato un nero. Indigo si infilzò con un movimento brusco. Felipe guardò affascinato il suo candido palo trapassare quella carne nera. Indigo mosse il culo leggermente, quattro volte, poi un sordo gemito avvertì Felipe che il nero aveva raggiunto il suo obiettivo. Anche Felipe sapeva di essere vicino. Diede alcune spinte ed il suo sguardo si sollevò, incontrando il viso di Ormeño. Quella faccia che conosceva bene ora era completamente alterata nello spasimo di un’agonia ormai vicina alla fine ed aveva assunto un colore rosso intenso. Per un momento, la visione dell’agonia di Ormeño assorbì interamente l’attenzione di Felipe, poi una sensazione più forte gli salì dai testicoli al membro e con una serie di spinte venne nel culo di Indigo.

Il marinaio con il tatuaggio si avvicinò ad Ormeño, che ora era quasi completamente immobile, e lo afferrò per i coglioni, come aveva fatto con Tricheco, tirando deciso. Ormeño ebbe ancora un guizzo violento, ma il marinaio non mollò la presa. Lentamente il corpo ritornò immobile. Solo allora il marinaio tolse la mano e si voltò. Aveva un sorriso feroce sulle labbra.

- Lurido bastardo. Gode a tirarci i coglioni.

Sentendo il commento di Black Jack, Felipe voltò lo sguardo verso di lui e vide che Antón si era infilzato sulla picca del nero come Indigo aveva fatto con la sua. Viste le dimensioni della picca, doveva essere davvero come avere un palo in culo. Felipe non poteva vedere il viso di Antón, che era voltato dalla parte opposta, ma la tensione che percorreva la schiena, la rigidità del collo proteso verso l’alto, i movimenti convulsi delle mani strette dalla corda non lasciavano dubbi: nel godimento di Antón c’era il dolore violento di quella massa che gli scavava le viscere. Sentì che dentro il culo di Indigo, il suo arnese si metteva nuovamente in posizione di tiro. 

 

L’ULTIMO COLPO DEL SANGUINARIO

 

Era il turno del Sanguinario, ora, e Felipe si disse che era contento di veder crepare quel figlio di puttana.

Quando furono sotto il cappio, il grassone si chinò per sollevare il Sanguinario, mentre l’altro gli si metteva davanti per passargli la corda al collo. Allora il Sanguinario di scatto sollevò il ginocchio. Felipe non poté vedere il punto colpito, ma l’urlo di belva ferita che lanciò il marinaio tatuato non lasciò nessun dubbio: la ginocchiata aveva centrato i coglioni, con la violenza di una martellata. Il marinaio tatuato si piegò in due portandosi le mani ai coglioni ed in quel momento si sentì un altro urlo: era stato il grassone a lanciarlo, mentre balzava all’indietro. Guardandolo in faccia Felipe capì che cosa era successo: il Sanguinario aveva approfittato del momento in cui il grassone, dovendolo sollevare, si era chinato e gli aveva infilato le unghie nella carne e negli occhi.

Felipe non poté fare a meno di ammirare la feroce abilità del Sanguinario. Il marinaio tatuato era piegato in due, in ginocchio davanti al Sanguinario, l’altro era in piedi, a tre passi, le mani a coprire il viso insanguinato. Il grassone bestemmiava ed urlava. L’altro marinaio sembrava non avere voce ed era chiaramente intontito dalla furia del dolore.

- Bravo, Sanguinario!

Mentre Pedro urlava, diversi marinai si erano alzati per avventarsi sul Sanguinario, ma questi in tre salti raggiunse i suoi compagni. Felipe si chiese che cosa volesse fare: non avrebbero certo potuto difenderlo. Poi capì. Il Sanguinario li stava superando per lanciarsi in mare: preferiva crepare affogato o dilaniato dagli squali, piuttosto che subire la vendetta dei marinai.

Il Sanguinario aveva fatto bene i conti, ma aveva trascurato un particolare: il grande amore che aveva per lui il Toro. Mentre lo scavalcava, il Toro spostò le braccia e lo fece inciampare. Il Sanguinario perse l’equilibrio e cadde su Pedro, bestemmiando. Prima che potesse rialzarsi, i marinai gli furono addosso.

Ci fu un momento confuso in cui Felipe non riuscì a vedere nulla, perché i marinai si accalcavano. Indigo ricevette uno spintone e si staccò da lui, rotolando per terra.

Ora stavano trascinando il Sanguinario verso la corda e su di lui si abbatteva una gragnola di colpi. Il pestaggio però fu interrotto dalla voce del marinaio tatuato:

- Fermi! Non se la deve cavare con così poco.

Il marinaio era pallido, ma avanzò deciso verso il Sanguinario. Il passo era sicuro, ma i lineamenti tesi del viso dimostravano quanta fatica gli costasse camminare. L’altro marinaio continuava a bestemmiare Dio, Cristo e la Madonna. Felipe riuscì a vedergli la faccia: era una maschera di sangue. Il Sanguinario aveva colpito bene.

- Voi due tenetegli le gambe e tu, Ramón, le mani. Voi tornate a godervi lo spettacolo.

Gli altri marinai tornarono a sedersi, ghignando. I due che tenevano le gambe si accovacciarono, bloccando ognuno una caviglia. Il terzo teneva le mani. Quello tatuato si avvicinò fino a che fu ad una spanna dal Sanguinario.

- Ora ci divertiamo, figlio di puttana.

Il marinaio mollò una ginocchiata violenta. Sulla faccia del Sanguinario i muscoli si irrigidirono. Strinse i denti e le labbra si socchiusero, mentre cercava di dominare la smorfia di dolore che gli si stava stampando in faccia. Lo spagnolo mollò un secondo colpo. Il Sanguinario impallidì, la bocca gli si aprì, gli occhi si chiusero e l’intera faccia si contrasse in uno spasimo.

Al terzo colpo il Sanguinario non fu più in grado di ostentare indifferenza. Riuscì a non urlare per il dolore bestiale, ma un sussulto violento lo scosse, mentre il capo gli si reclinava e se l’uomo che gli teneva le mani non lo avesse sostenuto, il Sanguinario sarebbe forse stramazzato sul ponte. Il pirata recuperò il controllo di sé e guardò il marinaio con un sorriso di scherno. Il volto era madido di sudore e la sofferenza era ben visibile, ma il Sanguinario contava di aver vinto: non aveva urlato.

Ancora una volta, aveva sbagliato i calcoli.

Il marinaio si voltò verso i compagni.

- Questo lo impicchiamo dopo. Lasciamolo un po’ a marcire lì.

Poi si voltò di nuovo verso il Sanguinario e con un sorriso, vibrò un’altra ginocchiata violenta. Quando il colpo lo raggiunse, il Sanguinario, preso di sorpresa, urlò, alzando la testa. Urlò a bocca spalancata, senza ritegno.  

I marinai lo spinsero ghignando tra i suoi compagni e lo forzarono a sedersi.

Impiccarono ancora Lapo e poi il Toro, che ci mise un sacco di tempo a crepare.

Gli spagnoli ora lavoravano in tre. Quello tatuato continuava a mettere il cappio e poi a tirare i coglioni del pirata agonizzante: anche se muoversi gli dava dolore, non voleva rinunciare al piacere che gli procurava fare il boia. Il grassone era invece seduto: gli avevano lavato la faccia, ma dai tagli profondi continuava ad uscire sangue. Di fianco al marinaio tatuato si erano messi altri due: uno piuttosto alto e ben piantato, con un torace coperto da una fittissima peluria nera; l’altro più magro ed agile, decisamente più giovane.

Dopo Lapo ed il Toro, il marinaio disse:

- Bene, adesso prendiamo il pezzo di merda.

Il pezzo di merda era ovviamente il Sanguinario. Il marinaio gli si mise davanti e gli mollò un calcio ai coglioni, o a quanto ne rimaneva. Il Sanguinario aveva previsto il colpo, ma non poteva impedirlo. Felipe lo vide rovesciare la testa indietro, barcollare e svenire. I tre allora lo sollevarono e trascinarono verso il cappio che lo aspettava.

- Questo dorme. Dobbiamo svegliarlo.

Una carezza ai coglioni ridestò il Sanguinario. Felipe vide il lampo d’odio nei suoi occhi, ma ormai non era più in grado di fare nulla: anche se non lo avessero tenuto in tre, non sarebbe stato in grado di difendersi.

Lo impiccarono con la schiena rivolta contro di loro e la danza si ripeté, meno violenta e lunga di quella del Toro.

 

FESTA GRANDE SULLA SANTIAGO

 

Erano ancora in sette. Verdugo si disse che lo aspettava un bel divertimento. Ma quei corpi nudi accendevano in lui un altro desiderio. Da quanto non scopava? Su quella nave del cazzo, con gli ufficiali superiori sempre a sorvegliare e quel figlio di puttana del prete, manco una sega uno riusciva a farsi. Ora ce l’aveva duro da crepare e voleva infilarlo al caldo, dentro uno di quei culi. C’era quel ragazzo che non sembrava neanche un pirata, ma più ancora gli piaceva quello di fianco, quello che aveva sentito chiamare Paulo, il portoghese. Era un bell’uomo, con un corpo piuttosto peloso. Gli piaceva l’idea di fotterlo. Sì, se li sarebbe fatti tutti e due. Prima l’uno e poi l’altro. Nessuno avrebbe detto niente. Tranne il prete. Quello doveva farlo secco. Poco male. Sarebbe andato nel suo paradiso.

Verdugo si avvicinò e diede un’occhiata ai prigionieri, come se volesse scegliere quello da impiccare per primo. Guardò un po’ i pirati, godendo della loro attesa. Tutti si chiedevano chi sarebbe stato il prossimo. Poi si rivolse verso i compagni e disse:

 - Prima di impiccare questi, godiamoceli un po’. Ho voglia di carne fresca.

Gutiérrez, che ora lo aiutava a impiccarli, aderì subito alla proposta: c’era da aspettarselo, quello ce l’aveva sempre duro.

- Ben detto, Verdugo. Perché devono godere solo loro?

- Sì, Verdugo ha ragione. Questi sborrano e noi qui a guardare.

Il marinaio che aveva parlato, uno della Madre de Dios che lui conosceva appena, e diversi altri si stavano avvicinando, quando furono interrotti dalla voce del prete.

- Ma che cosa dite? Quale bestemmia è mai uscita dalla vostra bocca? Quale infame peccato volete commettere?

Verdugo gli si rivolse.

- Sta’ zitto, uccellaccio!

Il prete rimase sbalordito.

- Come osi? Ti denuncerò ai tuoi superiori. Sarai punito per questo.

Poi, alzando la voce, il prete proseguì.

- Tornate ai vostri posti. Non precipiterete nel peccato in mia presenza.

Verdugo bestemmiò a bassa voce e poi disse, forte:

- Infatti, peccheremo senza di te…

Poi si avvicinò al sacerdote. Quel fottuto prete di merda stava per fare una brutta fine. Lo vide impallidire: aveva capito, ma troppo tardi per tornare indietro. Quando fu ad una spanna dalla sua faccia, gli sibilò:

 - Tu non denuncerai nessuno.

Con un movimento rapido gli infilò il coltello nel ventre. Il prete strabuzzò gli occhi, mentre un gemito gli usciva dalla bocca. Un secondo ed un terzo colpo al ventre gli strapparono un urlo strozzato, da bestia macellata. Verdugo sentì il sangue che gli scorreva copioso sulla mano. Gli piaceva quella sensazione di calore.

Diede un’occhiata ai compagni. Qualcuno era stupito, ma i più erano divertiti. Quel prete fottuto stava sui coglioni a tutti. Prese il prete, che non era più in grado di difendersi e lo gettò in acqua. Rivolgendosi ai suoi, disse:

- Diremo che lo hanno ucciso questi bastardi, quando è sceso nella botola. Ed ora possiamo divertirci. Io prendo questo.

Afferrò Paulo, gli mise una mano dietro il collo e lo forzò a sollevarsi e a mettersi con il torace sul parapetto della murata ed il culo in aria.

I suoi compagni si diedero da fare anche loro. Verdugo li guardò che forzavano i pirati a sollevare il culo e, senza tanti complimenti, li infilzavano.

Guardò il culo del portoghese. Una peluria leggera lo copriva, ma non tanto da nascondere il buco.

Avvicinò la punta e premé fino a che l’arma entrò nel fodero.

Spinse più volte, gustando la sensazione della carne calda che cedeva. Presto si rese conto che stava per venire. Era troppo eccitato. Si fermò.

Estrasse il laccio dalla tasca e lo passò intorno al collo di Paulo. Poi cominciò a tirare, tenendo una mano sulla nuca di Paulo. Vide che il portoghese sollevava la testa, alla ricerca di un po’ d’aria da respirare, ma il laccio si stringeva, penetrando nella carne. Il viso di Paulo stava diventando rosso, come era successo ad alcuni dei pirati impiccati. 

Tra poco Paulo sarebbe morto. Con il laccio si faceva in fretta. Spinse a fondo, con tutte le sue forze, e sentì la scarica. Continuò a spingere, sempre più deciso, mentre con la mano tirava. 

Il portoghese era un cadavere. Estrasse il cazzo. Ora avrebbe preso anche quello a fianco, quello più giovane che adesso Gutiérrez stava inculando. C’erano altri in coda, i pirati non erano abbastanza per tutti, ma andava bene. Non aveva fretta. Con quello voleva andarci piano, godersi bene le ultime contorsioni.

In quel momento però sentì l’urlo di Molina:

- La Madre de Dios! Stanno tornando.

Si voltò a guardare. La nave era appena spuntata dietro l’isola. Era ancora lontana, ma il vento era favorevole e non ci avrebbe messo molto a raggiungerli. Merda! Divertimento rovinato. Dovevano fare in fretta a sistemare tutto. 

- Presto, impicchiamo questi, prima che arrivino i nostri compagni.

Se qualcuno dei pirati avesse parlato, per vendicarsi, sarebbero finiti anche loro impiccati, con il cazzo duro e la lingua fuori. Non ci teneva.

 

IL TURNO DI FELIPE

 

Promessa25c

 

Il marinaio che lo stava inculando venne in una serie di scariche e si ritirò. Era stato violento e rapido e per Felipe il dolore era stato più forte di ogni altra sensazione.

C’era una grande confusione, ora, di gente che correva. Molti bestemmiavano, avevano paura di essere scoperti, non avevano fatto in tempo a combinare niente, mentre gli altri se l’erano goduta ed ora rischiavano tutti. Felipe guardò il marinaio, quello che avevano chiamato Verdugo. Verdugo, boia: un nome quanto mai adatto. Lo aveva visto uccidere Paulo. Godeva ad uccidere. Il cadavere di Paulo era reclinato, appoggiato alla murata, il viso congestionato, il cazzo duro. Non era venuto. Due uomini presero Paulo e lo trascinarono verso i capestri. Era tutto un correre avanti e indietro, un rivestirsi, un sistemare rapidi i corpi nei cappi. In breve rimasero solo Felipe e Pedro.

Gli altri erano tutti appesi al pennone dell'albero maestro, dieci corpi nudi, immobili, molti con il cazzo duro, la faccia stravolta in una smorfia grottesca, per alcuni sollevata dalla corda, per altri rivolta verso il basso.

Gli uomini afferrarono gli ultimi due superstiti e cominciarono a trascinarli verso il laccio. Pedro si dibatteva furiosamente, mentre lo strattonavano verso il cappio. Felipe non reagiva, si lasciava condurre indifferente. A che cosa serviva lottare? 

Ora erano arrivati. Uno dei marinai gli si rivolse:

- Pronto per l'ultima sborrata? Vedrai che godere!

Avevano recuperato la tranquillità, ora: gli altri erano tutti morti o stavano agonizzando e lui e Pedro avrebbero avuto la corda al collo prima di riuscire a parlare con quelli dell’altra nave, che si stava affiancando. Era effettivamente la Madre de Diós, di ritorno dalla sua spedizione contro Testapelata. In tempo per vedere il finale dello spettacolo.

Ora era esattamente a lato della Santiago e Felipe poteva vedere ufficiali e soldati che fissavano i corpi penzolanti. Avrebbe dato spettacolo anche a loro. Distolse lo sguardo, ma nell’attimo in cui girò il viso, gli parve di aver visto qualche cosa di strano, qualche cosa che non era possibile. Guardò nuovamente davanti a sé, verso l’altra nave. Non si era sbagliato: a bordo, tra gli ufficiali della seconda nave, una divisa da tenente addosso, vi era l’uomo che aveva catturato e poi salvato, quello che sulla Black Gull chiamavano Porco-fottutissimo.

Lo fissò, sbalordito, incapace di distogliere lo sguardo, incapace di spiegarsi che cosa stava succedendo. Era un ufficiale spagnolo che si fingeva pirata? Era un corsaro che aveva tradito? Ma come poteva essere diventato ufficiale?     

Si sentì sollevare, ma non perse di vista l’uomo. Lo vide alzare il braccio. A quel gesto tutti i soldati della Madre de Dios imbracciarono il fucile e spararono.

Cadde a terra. I due uomini che lo tenevano lo avevano lasciato. Il più grasso si contorceva a terra, una ferita al torace, l’altro cercava di liberarsi del compagno che cadendo si era afferrato ai suoi pantaloni e li aveva abbassati. Steso a terra Felipe poteva vedere il culo dell’uomo, una peluria fine sulle natiche, più densa nella parte interna.

Un uomo li raggiunse immediatamente. Affrontò il marinaio e prima che potesse reagire gli infilò la spada nel cuore. Poi si chinò su Felipe e tagliò la corda che lo teneva legato. Felipe cercò di alzarsi, ma l’uomo gli mise una mano sulla spalla e lo forzò a rimanere disteso.

- Tu stai giù fino a che è finito tutto. Ordini superiori.

E il tutto finì molto in fretta, in pochissimi minuti. La battaglia era impari. La maggioranza degli uomini validi della Santiago erano stati imbarcati sulla Madre de Dios e dovevano ormai avere incontrato la loro sorte. Sulla Santiago erano rimasti molti feriti e non più di una trentina di uomini in grado di combattere, che stavano assistendo all’esecuzione e non erano pronti per affrontare uno scontro del tutto inatteso. Si arresero quasi senza difendersi.

Porco-fottutissimo si avvicinò a Felipe e gli sorrise. Sembrava molto soddisfatto.

- Appena in tempo!

L’uomo che teneva Felipe a terra lo lasciò libero. Felipe si alzò.

- Non proprio in tempo. Sono morti tutti.

L’uomo lo guardò ghignando.

- Esattamente in tempo. Non un minuto troppo tardi, non un minuto troppo presto. O pensi che ci tenessi a salvare qualcun altro dell’equipaggio di quella fottutissima nave? Non ho molte prove che Dio esista, anzi nessuna, ma il fatto che la Black Gull sia stata affondata e che gli spagnoli abbiano deciso di impiccarti per ultimo mi sembrano due buoni motivi per crederci. Potrei perfino convertirmi.

 

UN ADDIO

 

      Poi Porco-fottutissimo si rivolse a Pedro, che lo guardava, le mani ancora legate dietro la schiena. Lo fissò, senza dire nulla. Anche Pedro lo guardava e Felipe non avrebbe saputo dire che cosa c’era in quello sguardo. Pedro era uno di quelli che si erano accaniti di più contro l’uomo, quando lo avevano catturato. Eppure non c’era odio, ma qualche cosa di indefinibile.

      Fu Pedro a parlare:

      - Muoviti, Porco-fottutissimo. Sai anche tu che è l’unica soluzione. Il cappio è già pronto. Non puoi lasciarmi a terra con gli spagnoli. Lo farebbero loro e sarebbe peggio.

      L’uomo annuì:

      - Sì, ma posso tenerti prigioniero sulla nave fino a che arriviamo a Port-Royal o da qualche altra parte. Libero no, di te non mi fido.

      - E hai ragione. Fallo, Porco-fottutissimo. È meglio per te.

      - Quello che è meglio per me lo decido io.

      La voce di Porco-fottutissimo era tranquilla, ma con una forte dose di determinazione. Pedro chinò la testa. Poi la rialzò. La sua voce era diversa, ora. Più profonda, senza più traccia di sfida, ma risoluta.

      - Fallo, perché è quello che voglio.

      - Vuoi andartene con loro?

      Porco-fottutissimo accennò appena con il capo ai pirati impiccati.

      - Con loro, come loro. Sono uno di loro. Ho scelto di esserlo, Porco-fottutissimo.

      Questa volta fu Porco-fottutissimo a chinare il capo un attimo.

      - Come vuoi. Ti faccio fare un bel salto, così chiudi subito.

      La voce di Porco-fottutissimo era priva di espressione, ma a Felipe sembrò che fosse cupa.

         Pedro riprese:

      - C’è ancora un cappio libero. Non lasciarlo vuoto.

      Felipe sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Perché Pedro voleva che lui morisse? L’idea di morire proprio ora, che riteneva di essere scampato, lo sgomentò.

      Porco-fottutissimo rispose, con voce ferma:

      - Il ragazzo non lo impicco neanche morto. Mi sono precipitato qui, quando ho saputo che vi impiccavano, solo per salvarlo.

      Pedro scosse la testa.

      - No, non lui. Che me ne fotte di Spadaccino? Tientelo e facci quel che vuoi. Impicca il marinaio tatuato, quel figlio di puttana godeva a tirarci i coglioni.

      - No, non è un motivo sufficiente.

      - Ha ammazzato il prete che voleva impedirgli di incularci e l’ha sbattuto in mare. Si è divertito a strangolare Paulo, che poi ha impiccato già morto.

       Porco-fottutissimo si voltò verso Felipe.

      - È vero?

      - Sì.

      Porco-fottutissimo si rivolse ad alcuni uomini che erano in piedi a qualche metro di distanza e sembravano aspettare ordini. Con un cenno del capo indicò il marinaio tatuato, che, come tutti gli spagnoli, aveva le mani legate dietro la schiena.

      - Prendete quell’uomo, quello tatuato e portatelo qui.

      Il marinaio si lasciò accompagnare davanti al cappio senza mostrare paura. Porco-fottutissimo gli si rivolse:   

      - Bene, per quanto mi riguarda ammazzare un prete non mi sembra per niente brutto: se era come tutti quelli che ho conosciuto, sarà volato dritto dritto all’inferno. Ma un marinaio spagnolo che lo fa solo per non essere denunciato, merita davvero la morte. Hai qualche cosa da dire?

      Il marinaio alzò le spalle.

      Porco-fottutissimo fece un cenno ai suoi uomini.

      Un pirata gigantesco, che doveva possedere una forza erculea, afferrò il marinaio da dietro e gli infilò la testa nell’ultimo cappio. Tenendolo con un solo braccio, sistemò il cappio, poi mollò il marinaio. 

      Felipe guardò il corpo dell’uomo, prima immobile, poi agitato da una serie di movimenti scomposti. Non gli dispiaceva vedere crepare quel bastardo, ma aveva visto troppi impiccati, ne aveva la nausea. Voltò la testa ed in quel momento sentì la voce di Pedro.

      - Ora tocca a me. Ci ritroveremo all’inferno, Porco-fottutissimo.

      Porco-fottutissimo sorrise, un sorriso amaro.

      - Non ci tengo a finire all’inferno. Non ho nessuna voglia di ritrovarvi tutti. Buon viaggio, Pedro.

      Un pirata si arrampicò sull’albero e sciolse la corda con il cappio, in modo da liberarne un tratto più lungo. Gros-Jean si caricò Pedro in spalla, come fosse un sacco, e salì anche lui. Stando sull’albero gli misero il cappio intorno al collo, con il nodo davanti. Gros-Jean gli sibilò qualche cosa, che Felipe non udì. Sembrava odiare Pedro. Poi gli mollò un calcio.

      Pedro cadde. Il cappio arrestò la sua caduta, spezzandogli l’osso del collo ed assicurandogli una morte immediata. Era stato più fortunato dei suoi compagni.

 

IL FUNERALE DEI PIRATI

 

Promessa 26ter

 

Felipe guardò l’uomo che chiamavano Porco-fottutissimo. Sembrava impassibile, ma il suo viso aveva perso l’allegria di prima. Era una maschera. Che cosa c’era stato tra quell’uomo e Pedro? Erano stati amici, amanti? Forse, ma Pedro doveva averlo tradito, in qualche modo, e erano diventati nemici. Quello era un uomo che era meglio non avere per nemico.

C’era agitazione: mentre prima tutti erano rimasti ad osservare lo spettacolo degli ultimi due impiccati, ora si muovevano rapidi. Sapevano che cosa fare. Alcuni erano scesi sottocoperta per saccheggiare, altri stavano portando i marinai spagnoli feriti sulla Madre de Dios. Guardandoli, Felipe si accorse che una terza nave si stava avvicinando rapidamente, una fregata senza insegne. Probabilmente era la nave dei pirati, quella di Porco-fottutissimo, che aveva atteso la conclusione dello scontro per intervenire.

La fregata si affiancò e Porco-fottutissimo si rivolse a Felipe:

- Sali su quella nave. Tra poco arrivo anch’io.

Per un bel momento ci fu un andirivieni di uomini tra le tre navi. La Santiago venne spogliata di tutto quanto aveva un valore o poteva essere utile. I prigionieri vennero sistemati tutti sulla Madre de Dios. Al termine delle operazioni, sulla Santiago rimasero solo Porco-fottutissimo e pochi altri pirati, che scesero sottocoperta. La Santiago si staccò dalla Madre de Dios e si allontanò. Porco-fottutissimo ed i suoi riemersero sul ponte di coperta. Porco-fottutissimo aveva in mano una torcia, gli uomini portavano del legname, che misero sotto i corpi degli impiccati.

Porco-fottutissimo accese la torcia e la avvicinò al cordame arrotolato sul ponte e poi alle corde che reggevano le vele. Quando il fuoco cominciò a divampare, Porco-fottutissimo avvicinò la fiamma al legname messo sotto gli impiccati. Infine gettò la torcia sottocoperta e passò sulla nave dove si trovava Felipe. Si mise al suo fianco, ma non disse una parola, guardando fisso la Santiago.

La nave stava lentamente prendendo fuoco. Dal cordame le fiamme si levavano già alte ed un fumo scuro ne saliva. Dalle sartie il fuoco si propagò ad una vela, che incominciò a bruciare.

Ma lo sguardo di tutti era puntato sulla fila di cadaveri. Felipe li osservò per l’ultima volta. Dodici corpi appesi, immobili, i grandi cazzi tesi, i visi stravolti dall’agonia. Il fumo cominciava ad avvolgerli. Erano stati uomini robusti, con la pelle scurita dal sole: ora penzolavano inerti e le fiamme stavano raggiungendoli. I piedi del marinaio spagnolo e quello di Pedro già ardevano, le fiamme salivano lungo le gambe, il fumo si alzava nero e denso, un odore immondo invadeva l’aria.

Felipe sussultò: il cadavere di Pedro aveva dato un guizzo, un altro: era vivo! Vivo!

La voce di Porco-fottutissimo lo ricondusse alla realtà:

- Non sono vivi. È un effetto delle fiamme.

Uno dopo l’altro, tutti i cadaveri ebbero ancora un’ultima scossa, mentre le fiamme li incenerivano ed il fumo li avvolgeva. Poi, ad un cenno di Porco-fottutissimo, la nave su cui si trovavano cominciò ad allontanarsi, fino a fermarsi ad una notevole distanza. Felipe guardò ancora la Santiago, trasformata in un’immensa pira. Ora tutte le vele erano in fiamme ed il fumo formava una grande colonna.

L’esplosione lo sorprese e lo fece sussultare. Dovevano aver lasciato della polvere da sparo nella santabarbara. La nave si spezzò in due ed i due tronconi cominciarono ad affondare. Le fiamme si spegnevano a contatto con l’acqua e ben presto i resti della Santiago furono interamente nascosti da un’immensa nuvola di fumo che sembrava salire direttamente dall’acqua.

Quando Felipe distolse lo sguardo dal punto in cui i resti della Santiago erano stati inghiottiti dal mare, Porco-fottutissimo parlò:

- Bene, ora che abbiamo fatto un grandioso funerale per la ciurma della Black Gull e siamo tornati a casa, possiamo occuparci di noi. Come ti chiami?

- Felipe. Felipe Llera.

- Bene, io sono Testapelata.                                     

Felipe rimase a bocca aperta dallo stupore. Testapelata se ne accorse.

- Beh, che c’è? Pensavi mica che mi chiamassi Porco-fottutissimo? Che razza di nome per un pirata! In quel modo mi chiamavano quelli della Black Gull, ma se provi a chiamarmi così, ti sbatto in mare.

L’uomo scoppiò a ridere. Una risata allegra. Felipe si disse che non l’avrebbe buttato a mare, neanche se lo avesse chiamato davvero così.

Naturalmente si sbagliava.

Felipe si stava lentamente riprendendo dalla sorpresa. Così quell’uomo era il famoso Testapelata. Come aveva fatto a non rendersene conto? Avrebbe dovuto capirlo la prima volta, solo a vederlo senza capelli e senza barba. Ma allora aveva in mente l’uomo che aveva spiato nel bordello. Certo, l’uomo che aveva davanti a sé era Testapelata. Coraggio e generosità erano le caratteristiche che distinguevano Testapelata in tutte le sue imprese e quell’uomo ne aveva dato ampiamente prova. Con una certa fatica, riuscì ad articolare:

- Ho sentito parlare molto di te.

Testapelata sorrise:

- Spero che tu abbia sentito parlare bene, ma comunque non importa. Se ti va, però, preferirei che mi chiamassi Michel.

Felipe annuì, ancora stupefatto.

- Va bene, Michel.

Testapelata, il grande Testapelata. Il più grande, il più eroico, il più umano dei pirati. Lì, davanti a lui. Proprio come se l’era immaginato, prima di vedere quella bestia nel bordello. Avrebbe dovuto capire subito che quell’animale non poteva essere Testapelata. Il grande Testapelata, l’uomo con cui aveva fatto l’amore una settimana prima. A Felipe la testa girava.

 

 

 

 

 

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