1. Parte
I - Barbanera IN VISTA DEL NUOVO MONDO Felipe dormì male e si
svegliò presto, benché il mare fosse abbastanza tranquillo: come tutti era
eccitato al pensiero di avvistare terra, dopo tanti giorni di viaggio. I
marinai avevano detto che probabilmente la costa dell’America sarebbe stata
visibile fin dal primo mattino e Felipe, appena capì che l’alba era vicina,
decise di salire in coperta. Era ancora notte e nel
cielo si vedevano sprazzi di stelle, tra le macchie scure delle nubi, ma ad
oriente il cielo era già di un blu più chiaro. Felipe guardò verso occidente,
ma nel buio era impossibile distinguere alcunché. Rimase un po’ con gli occhi
puntati nel nero pece, poi ci rinunciò e volse nuovamente lo sguardo nella
direzione opposta: ad oriente appariva una striscia biancastra e lentamente
anche il cielo sulla sua testa si stava trasformando in un manto di un
azzurro cupo, in cui le stelle si facevano sempre più pallide. Stava per
sorgere il sole. Impaziente Felipe guardò
ancora verso occidente, ma non riuscì a vedere nulla. Percorse una parte del
ponte ed andò a mettersi il più vicino possibile alla prua. La nave Queen
Sophia avanzava veloce, spinta da un vento abbastanza favorevole e
sostenuto, ma non burrascoso: condizioni ideali per la navigazione, a
differenza della prima settimana di traversata, quando le tempeste avevano
sbatacchiato il vascello come un’assicella e tutti avevano più volte temuto
per la propria vita. Tutti, salvo lui: allora a
Felipe l’idea di morire non pesava. Un tempo aveva desiderato la morte, che
lo avrebbe riunito a tutta la sua famiglia, e solo la promessa fatta un tempo
a suo padre gli aveva impedito di uccidersi. La promessa fatta a suo padre ed
il pensiero di Luís. Poi, con il passare degli
anni, il dolore acuto si era trasformato in una sofferenza profonda, che
abitualmente rimaneva nascosta sotto la superficie. Bastava però un nulla,
una parola, un’associazione di idee, un ricordo improvviso, perché quella
sofferenza salisse, superasse ogni argine e lo sommergesse. Così era in quel momento,
ora che stava per raggiungere l’America. Era stato suo padre a decidere che
lui avrebbe dovuto andare in America e cercare di costruirsi una vita in quel
continente. E lui era partito. Era riuscito ad imbarcarsi
su una nave inglese, quattro anni prima, con l’intenzione di raggiungere
Londra, per poi cercare un passaggio per il Nuovo Mondo, ma a Londra era
stato derubato di tutti i suoi averi e si era ritrovato da solo, senza
denaro, in una città sconosciuta, senza neppure conoscere l’inglese. Aveva sedici anni e
nessuna esperienza di lavoro. Lavorare, lui, un Llera di Barbastro,
antichissima nobiltà catalana. In quanto nobile possedeva una buona cultura,
sapeva cavalcare ed usare le armi. Conosceva lo spagnolo, il francese, il
catalano, il latino e qualche parola di italiano: tutto molto utile a Londra! Il ricordo delle sue
peregrinazioni alla ricerca di un lavoro a Londra ora lo faceva sorridere, ma
era un sorriso amaro. Era stato sul punto di mettersi a mendicare e più di
una volta aveva pensato di mancare alla promessa fatta a suo padre e di
uccidersi. In quell’osteria di infimo
livello in cui infine aveva trovato lavoro, con un salario che gli permetteva
appena di sopravvivere, si era detto che non aveva senso continuare così e
che tanto valeva farla finita. Poi aveva sentito la conversazione di quel
gruppo di spagnoli. Si avvicinava sempre ai
tavoli dove qualcuno parlava spagnolo. Cercava di sentire brandelli di
conversazione, sperava di avere notizie del suo paese. E così era stato. Un
giorno aveva sentito due marinai spagnoli che parlavano con un uomo, il
servitore di qualche signore. Felipe si era chiesto che cosa faceva in quella
bettola un uomo che aveva un lavoro decente ed una dignità da difendere.
L’aveva capito più tardi: ne finivano tanti, in quel quartiere malfamato,
alla ricerca di carne per soddisfare le loro voglie. Carne di tutti i tipi e
per tutti i gusti, per quattro soldi. Il quartiere offriva di tutto e bastava
avere due monete per procurarselo. Felipe aveva visto madri vendere i figli
ancora bambini per pagarsi una serata all’osteria. Quella sera aveva sentito
l’uomo nominare i Llera e si era subito avvicinato. - Li hanno fucilati tutti,
compreso il ragazzo. Felipe non aveva compreso,
aveva pensato di essersi sbagliato. Non c’era nessun ragazzo tra i suoi
familiari: i suoi due fratelli avevano dieci anni in più di lui e l’unico
cugino maschio era il bimbo che suo zio aveva messo in salvo in Francia, se
era riuscito ad arrivarci. I fucilati erano suo padre, i suoi due zii, i suoi
due fratelli e due cugini del padre. Il pensiero di quella
morte gli aveva dato una tale fitta che aveva dovuto appoggiarsi al tavolo.
L’uomo l’aveva notato ed aveva detto: - Un ragazzo che doveva
avere l’età di questo qui, ma che ha affrontato la morte con coraggio, da
vero Llera. Quella era gente con i coglioni, anche quel ragazzo, un bel
ragazzo, con una piccola cicatrice sulla guancia. E di colpo Felipe aveva
capito chi era quel ragazzo: Luís, il figlio del maggiordomo di suo padre!
Aveva quattro figli ed il minore aveva esattamente la sua età. In qualche
modo suo padre aveva convinto il maggiordomo a fare quello scambio, se non
era stato il maggiordomo stesso, nella sua totale dedizione, a proporlo. Suo
padre non gli aveva detto nulla, sospettando che Felipe avrebbe rifiutato di
salvare la propria vita a spese di un altro. Felipe era rimasto
paralizzato al pensiero di quello scambio orrendo e solo il contatto di una
mano, che si era posata sulla sua, lo aveva scosso dal suo torpore. - E tu, ragazzo, che ne
diresti di guadagnare una bella moneta d’argento? L’uomo gli aveva stretto
il polso con la destra, mentre nella sinistra mostrava una moneta luccicante. Felipe aveva capito ed una
rabbia cieca lo aveva invaso. Aveva liberato la mano con uno strattone e si
era scagliato sull’uomo, gettandolo a terra. Gli si era seduto sopra e gli
aveva stretto le mani intorno al collo. Non si era reso conto di quello che
stava facendo, aveva soltanto provato il desiderio irrefrenabile di uccidere
quell’uomo. I clienti dell’osteria
erano intervenuti, ma solo quando uno aveva rotto la brocca sulla testa di
Felipe, questi, stordito e sanguinante, aveva lasciato la presa. Felipe era stato gettato
in mezzo alla strada ed aveva perso il lavoro. Per due giorni aveva vagato,
ossessionato dal pensiero di Luís, morto perché lui potesse salvarsi. Aveva
pensato di lasciarsi morire di fame, poi si era detto che Luís era morto per
salvarlo e che non aveva il diritto di rendere vano quel sacrificio. Dopo l’osteria era
riuscito a trovare lavoro in una locanda meno squallida. Qui la sua
conoscenza delle lingue era stata notata da un gentiluomo, che lo aveva preso
al suo servizio perché insegnasse il francese e lo spagnolo a suo figlio. Nella dimora di lord
Stonefence aveva ritrovato un ambiente simile a quello che aveva lasciato in
Spagna, ma non poteva rimanere in Inghilterra per tutta la vita. Aveva
giurato a suo padre che avrebbe cercato di raggiungere l’America spagnola e
che si sarebbe creato una famiglia, per continuare la loro stirpe. Così
aveva, faticosamente, messo da parte di che pagarsi un passaggio ed era
partito. I ricordi lo avevano
assorbito completamente e quando riemerse dal suo torpore si accorse che il
cielo era più chiaro. Guardò ancora nella direzione in cui si muoveva la nave
e gli parve di distinguere una linea più scura contro il cielo, che
finalmente stava cambiando colore anche a occidente. No, non si stava
sbagliando. Quella era la costa dell’America. Quel giorno avrebbero navigato
lungo la costa ed il giorno dopo sarebbero sbarcati a Norfolk, nelle colonie
inglesi. Qualcuno si avvicinò.
Felipe si voltò. Era il signor Redbrick. Anche lui guardava verso occidente.
Lo vide sorridere. - L’America! Felipe annuì. Non gli era
simpatico il signor Redbrick: passeggero ricco, comodamente alloggiato nella
sua cabina, lo trattava con una familiarità che gli dava fastidio. Lui era
povero, viaggiava nei posti meno costosi, ma non era un servitore di
Redbrick. - Finalmente rivedrò la
mia famiglia. L’angoscia lo assalì di
nuovo, ma Felipe cercò di resistere. Si sforzò di concentrarsi su quello che
doveva fare. Se l’era detto mille volte, durante il viaggio. Sapeva che la
vita per lui non sarebbe stata facile. Nessuno lo aspettava, non conosceva
nessuno e possedeva ben poco, forse neppure di che pagarsi un passaggio
all’Havana. Possedeva anche documenti falsi, in cui risultava il suo vero
nome, ma i dati relativi alla nascita erano stati alterati, in modo che
nessuno potesse collegarlo ai Llera di Barbastro. Che cosa avrebbe fatto?
Cercare un passaggio subito era rischioso: avrebbe speso tutto il denaro che
possedeva e sarebbe arrivato a Cuba senza nulla. Era più saggio trovare lavoro
in una locanda o in un’osteria: una soluzione provvisoria, che gli avrebbe
consentito di studiare la situazione ed individuare il modo meno costoso di
arrivare a Cuba. Magari sarebbe riuscito a trovare lavoro su una nave diretta
nell’isola. E poi… E poi il futuro era nelle mani di Dio. Che evidentemente aveva
altri progetti. UNA NAVE SI AVVICINA La voce di Redbrick lo
scosse. Nelle parole dell’uomo d’affari sentì vibrare la paura. - Felipe, che cos’è quella
macchia bianca laggiù? Redbrick era spaventato.
Con il braccio indicava una nave in lontananza ed il braccio tremava, come la
voce. - È una nave, signor
Redbrick. Felipe non capiva. Che
cosa c’era di strano? Avevano già incontrato altre navi nei giorni precedenti
ed ora che erano vicini alla costa sicuramente ne avrebbero trovate
parecchie. - Che Dio ci protegga. - Perché? Che cosa la
preoccupa? Redbrick si volse verso di
lui, esasperato dal fatto che Felipe non capisse. - Ma Felipe, non ti rendi
conto? Questa costa è infestata dai pirati. Quella potrebbe essere una nave
pirata. Felipe alzò le spalle.
Certo, di pirati e corsari si parlava molto. Nei due anni in cui a Londra
aveva lavorato all’osteria ed alla locanda, ne aveva sentito raccontare le
imprese molte volte ed alcune lo avevano affascinato. Anche sulla nave se
n’era parlato, spesso, con un misto di curiosità e timore. Felipe sapeva
tutto dello spietato Barbanera, che spesso viaggiava con il demonio;
dell’audace Testapelata, tanto coraggioso quanto generoso; dell’infame
Gallego, la cui nave seminava il terrore nei Caraibi. Se in quel momento
qualcuno gli avesse detto che avrebbe avuto modo di conoscerli molto da
vicino tutti e tre, probabilmente Felipe, per quanto coraggioso e poco
attaccato alla vita, sarebbe rabbrividito.
Ma per il momento gli
unici pirati che aveva visto in vita sua erano il capitano Dolzell e due dei
suoi uomini e quelli non apparivano minacciosi, no, per nulla: appesi sul
molo delle esecuzioni a Londra, quasi tre anni prima, avevano ballonzolato un
po’ prima di tirare le cuoia e poi erano rimasti a marcire per giorni e
giorni, preda dei corvi e dei vermi. In realtà, quando lavorava
nell’osteria, doveva aver visto qualche pirata, in incognito: giravano certe
facce da galera, con i corpi segnati da cicatrici di ogni genere, spesso
privi di un occhio, del naso, di qualche dito o di un’orecchio. Più d’uno si
era anche dimostrato interessato a lui ed aveva cercato di portarselo a
letto, ma Felipe aveva sempre fatto lo gnorri. Non che la cosa non lo
interessasse. Sapeva benissimo quali erano i suoi gusti, fin da quando, a
quindici anni, aveva sorpreso nella scuderia lo zio Enrique che si faceva
infilzare dallo stalliere. Lo zio si era accorto di lui e lo aveva invitato a
partecipare: Felipe non si era tirato indietro ed aveva dato il cambio allo
stalliere sopra lo zio. Aveva così scoperto di desiderare i maschi, di godere
possedendoli o anche solo accarezzandoli. Ma non aveva mai accettato di farsi
possedere e diffidava di quei pirati che giravano per l’osteria del porto.
Una sola volta aveva avuto un rapporto con uno di loro, un ragazzo della sua
età, senza una gamba. Il ricordo del giovane Jim lo fece sorridere, ma in
quel momento la voce di Redbrick lo riportò al presente: - Che Dio ci protegga! Redbrick aveva certamente
bisogno di protezione, con tutti i soldi che aveva. Sulla nave si diceva che
finanziasse la tratta degli schiavi e che possedesse diverse navi negriere:
lui non si sporcava le mani, lasciando fare quel lurido lavoro ai suoi
capitani, ma si arricchiva. Probabilmente erano storie, anche quelle. Quanto
a lui, Felipe, potevano prendergli ben poco, oltre la vita. Ma di quella non
gli importava molto. - Si sta avvicinando,
Felipe! Si sta avvicinando. Era vero, la nave stava
avvicinandosi. Felipe era in grado di scorgere meglio di prima le vele. La
nave si muoveva in modo da incrociare la Queen Sophia. Brutto segno. A bordo cominciava ad
esserci una certa agitazione. Il nocchiero aveva segnalato la presenza della
nave ed i marinai cercavano di accelerare il movimento del loro battello. Ma
il vento era solo in parte favorevole: la nave sconosciuta prendeva il vento
assai meglio della loro e si muoveva più velocemente. Ora potevano già vederla
piuttosto bene. La nave non aveva una
bandiera, ma ad un certo punto venne issata. Era una bandiera nera, con uno
scheletro che reggeva una lancia ed un cuore sanguinante. Malgrado la sua
indifferenza alla vita, Felipe sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Avrebbe venduto cara la
pelle. Altro non poteva fare. L’ARREMBAGGIO Altri avevano visto la
bandiera e tra i marinai della nave c’era molta agitazione. Anche diversi
passeggeri erano saliti sul ponte ed il panico si era rapidamente diffuso:
una donna era svenuta, altre avevano cominciato a pregare. Un mercante di
pelli imprecava ad alta voce contro la sua sfortuna ed uno scozzese nerboruto
cominciò a bestemmiare. Il capitano aveva dato
alcuni ordini ai marinai, poi aveva intimato a tutte le donne di ritornare
sotto coperta. Gli uomini vennero invitati ad armarsi ed a prepararsi alla
difesa della nave. Redbrick sgattaiolò via
insieme ad altri, che finsero di assentarsi solo per accompagnare le loro
mogli e figlie, ma non fecero più ritorno. Anche lo scozzese scese sotto
coperta, ma ritornò poco dopo. Si era tolto la giacca ed era rimasto con la
camicia, di cui aveva rimboccato le maniche. Aveva una pistola ed una spada e
si piazzò sul ponte, a braccia conserte, fissando la nave pirata. Felipe lo guardò. Era un
bell’uomo, con i capelli rossi che gli scendevano fino al collo, una fitta
barba che portava corta ed un viso lentigginoso in cui spiccavano due occhi
di un azzurro molto intenso. Era molto alto, più di qualunque altro uomo sulla
nave, ed aveva un corpo vigoroso. Le braccia, coperte da un velo rossiccio,
erano due colonne e le mani dalle grandi dita dovevano avere una forza
poderosa. Felipe si disse che contro
i pirati la forza di quell’uomo non sarebbe servita a molto. Erano in pochi
sul ponte, i passeggeri erano scomparsi quasi tutti ed anche tra i marinai
era evidente che il desiderio di scamparla era più forte di quello di
difendere la nave. Per loro i pirati potevano prendersi i bagagli dei
passeggeri, le donne, i ragazzi: purché loro potessero portare a casa la
pelle. Felipe sentì la rabbia
assalirlo, poi si disse che forse quei marinai avevano una famiglia, una
madre, una moglie, dei figli che li aspettavano. Che la loro vita era cara a
qualcuno. Forse avevano ragione. Quanto a lui, sarebbe morto senza che
nessuno, assolutamente nessuno, potesse sentire la sua mancanza o soffrire
per la sua morte. Ora la nave viaggiava al
massimo della sua velocità, cercando di sfuggire al destino che la
minacciava, ma era perfettamente inutile. La nave pirata era molto più veloce
e la distanza tra i due velieri andava continuamente diminuendo. Ormai si potevano vedere
gli uomini sul ponte dell’altra nave ed un grido di terrore si alzò tra i
marinai. In piedi davanti a tutti gli altri, grande e minaccioso, stava un
uomo con un’immensa barba nera e lunghi capelli neri. Felipe capì, come tutti
gli altri, e si sentì gelare. Uno dei marinai cadde in ginocchio: - È Barbanera. Siamo perduti. I marinai guardarono il
capitano. Felipe vide che era impallidito. - Venderemo cara la nostra
pelle! Felipe guardò gli uomini
intorno a lui. Pochi avrebbero combattuto. Erano terrorizzati. Solo lo
scozzese non batté ciglio e rimase con le braccia conserte a fissare la nave
che si avvicinava. La nave arrivò di fianco a
loro. Da sotto il cappello di Barbanera si alzavano due volute di fumo e
Felipe si chiese se quell’uomo fosse davvero, come si diceva, il diavolo. La
sua voce, una voce forte e profonda, ma roca per il troppo rhum bevuto,
risuonò terribile: - O vi arrendete subito, o
morirete tutti. I marinai erano
paralizzati, ma il capitano reagì. - Forza, vigliacchi,
difendete il vostro onore. Puntò la pistola e sparò
ed insieme a lui sparò anche lo scozzese. L’uomo alla destra di Barbanera
lanciò un urlo e cadde, una pallottola in fronte, ma nessuno dei marinai si
mosse e Felipe non aveva la pistola. I pirati scaricarono le
loro pistole, colpendo tre marinai ed il capitano, che venne ferito ad un
braccio. Poi lanciarono i ganci per unire le due navi e si slanciarono sulla Queen
Sophia, senza incontrare resistenza, se non quella di Felipe e dello
scozzese. Due pirati si avventarono
sullo scozzese, che sguainò la spada e con un colpo violento disarmò il primo
avversario e gli infilò la lama nel fegato. L’altro pirata cercò di colpirlo
mentre la lama era bloccata nel corpo del suo compagno, ma lo scozzese si
girò ed il colpo del pirata trafisse l’uomo ferito, poi estrasse la spada e
la infilò nel ventre del secondo pirata. Altri tre uomini gli furono addosso,
ma Felipe non poté seguire la scena, perché doveva difendere la sua vita. Felipe sapeva usare bene
la spada, ma i pirati erano in tre e per Felipe era impossibile parare tutti
i loro colpi. Ferì un uomo ad un braccio e ne uccise un altro con un colpo al
cuore. Altri pirati si scagliarono su di lui e lo costrinsero ad arretrare. I
suoi piedi inciamparono in una corda arrotolata e Felipe cadde a terra. Un
pirata si scagliò su di lui, ma Felipe parò il colpo ed immerse la spada
nello stomaco dell’uomo. L’uomo cadde su Felipe e la lama gli uscì dalla
schiena. Felipe si liberò del corpo, ma non riuscì ad estrarre la spada. Un altro pirata davanti a
lui alzò la sciabola, impugnandola con entrambe le mani, e si preparò a
vibrare un fendente che avrebbe staccato la testa di Felipe dal collo. Una voce potente risuonò
in quel momento. - Fermati, Gamba-corta! L’uomo si volse verso il
suo capitano: era stato Barbanera in persona a parlare. - Quello lo voglio vivo.
Mi piacciono gli uomini che hanno fegato. A Felipe il ghigno con cui
Barbanera aveva pronunciato la battuta non piacque, proprio per niente, ma
nella sua situazione non poteva certo lamentarsi che Gamba-corta fosse stato
fermato. Felipe lanciò un’occhiata
tutt’intorno. I pirati si erano impadroniti della nave e solo lo scozzese
resisteva ancora. Attorno a lui c’erano i corpi di quattro pirati, ma l’uomo
era stato ferito alla spalla ed al torace. La camicia era ridotta a brandelli
e dalla spalla e dal taglio che aveva lacerato un capezzolo scendeva un
fiotto di sangue che inzuppava i lembi della camicia ed i pantaloni. Il viso
dell’uomo, su cui gocciolava il sudore, era stravolto dallo sforzo, ma la sua
difesa era inutile. Un pirata gli calò la spada sul braccio e lo scozzese
perse la propria arma, mentre altro sangue sgorgava a fiotti dalla nuova
ferita. L’uomo ora era inerme. Felipe vide che uno dei pirati, un uomo basso e tarchiato, gli si avvicinava. Il pirata era a torso nudo ed aveva braccia, torace e schiena ricoperti da un vello nero. Ghignava, la spada in mano, davanti all’uomo disarmato. Quando fu davanti allo scozzese, gli puntò la spada sull’ombelico. Lo scozzese lo fissò senza mostrare paura. Il pirata immerse lentamente la spada, godendosi gli spasimi di sofferenza nel volto dello scozzese. Quando ebbe immerso la spada di un palmo, l’estrasse con un movimento brusco. Lo scozzese si afflosciò contro il corpo del pirata. Questi prese il corpo, lo sollevò e lo gettò in mare. Dai pirati si alzò un
urlo: - Bravo, Tre-coglioni! Il pirata si voltò
trionfante verso i compagni, che lo applaudivano. IL BOTTINO La voce di Barbanera
riportò tutti ai loro compiti. - Avanti, portate tutti
qui. In un attimo i pirati
scesero sotto coperta e risalirono trascinando con sé i passeggeri
terrorizzati. Guardavano sgomenti i corpi dei pirati morti, il capitano
ferito, Felipe a terra, sotto la minaccia di una spada. - Consegnate tutto quello
che avete, se non volete finire infilzati. La voce di Barbanera
sarebbe stata persuasiva anche senza le armi spianate che minacciavano i
passeggeri. Tutti consegnarono quello che avevano addosso, mentre altri
pirati ritornavano dalle cabine portando ciò che avevano trovato. In quel momento uno dei
pirati lanciò un urlo. - Due navi militari. Barbanera apparve
contrariato, ma non spaventato. - Merda! Muovetevi a
trovare quello che vale la pena di prendere. E tu, figlio di puttana, perché
hai sorriso? La frase era rivolta al
signor Badwall, un ricco uomo d’affari di Boston. L’uomo impallidì. - Io? Io non ho sorriso. - Figlio di una puttana
merdosa e di un caprone, vuoi dirmi che mento? Barbanera alzò il braccio
e puntò la pistola contro l’uomo. Badwall divenne ancora più bianco.
Balbettò: - No…io…io… La pallottola lo prese
esattamente in mezzo alla fronte. L’uomo cadde a terra senza un gemito. - Capitano, abbiamo
raccolto tutto, solo nella cabina di questo pezzo di merda non c’era nulla. Il pezzo di merda era Redbrick,
che si gettò in ginocchio davanti a Barbanera. - Non ho nulla, giuro, non
ho nulla. - Hai frugato bene tra la
roba di questo cagasotto? Il pirata annuì. - Sì! Non c’è niente! - Niente, allora tanto
vale farlo fuori subito. Barbanera alzò la spada e
Redbrick lanciò un urlo. - No, no, ho del denaro.
Molto denaro. E gioielli. Barbanera lo afferrò per
la gola con la sinistra e Felipe vide la faccia di Redbrick deformarsi nello
sforzo di respirare. - Dov’è che stanno? Redbrick continuava ad
ansimare e, nonostante gli sforzi, non riusciva a parlare. Barbanera dovette
allentare un po’ la stretta. Il poveretto riuscì a spiccicare: - Nel baule, nel doppio
fondo del baule. Barbanera si rivolse
all’uomo che aveva frugato nella cabina di Redbrick. - Porta qui il baule. Barbanera mollò Redbrick,
che cadde come un sacco sul ponte e chiuse gli occhi, portandosi la mano alla
gola. L’uomo tornò con un
pesante baule. - Non c’è niente,
capitano, niente. Rovesciò sul ponte il
contenuto del baule: abiti, biancheria e cianfrusaglie varie. - Taci, coglione! Barbanera mollò un
vigoroso calcio al fondo del baule, che si spaccò. Dal doppio fondo uscirono
alcuni sacchetti. Barbanera ne prese uno, lo aprì e ne rovesciò il contenuto:
una massa di monete d’oro si sparse per il ponte. - Non c’è niente, eh,
coglione? L’uomo era pallido come
uno straccio. - Mi spiace, capitano,
perdono. Io… Non finì la sua frase.
Barbanera aveva puntato la pistola e con un colpo preciso gli trapassò la
fronte. Felipe pensò che colpiva sempre in fronte, gli doveva piacere vedere
il buco rosso. L’uomo girò su se stesso,
ondeggiò un attimo, poi cadde stecchito. Barbanera si rivolse a
Redbrick. - Quanto a te, lurido
figlio di puttana, ti meriteresti che ti tagliassi a pezzetti per aver
cercato di toglierci il frutto della nostra giornata, ma non abbiamo tempo da
perdere. Barbanera si rivolse ai
suoi uomini. - Voi due, spogliatelo.
Intanto, voi, portate il bottino sulla nave. In quattro e quattr’otto
Redbrick si ritrovò nudo come un verme. Tremava e supplicava, ma Barbanera lo
prese per il collo, lo gettò su alcuni sacchi che stavano sul ponte, lo mise
a pancia in giù e lo tenne fermo facendo pressione sulla nuca. - Adesso sentirai il cazzo
di un pirata. Felipe si chiese se
davvero Barbanera avrebbe violentato il povero Redbrick, che a quel punto gli
faceva pena. Barbanera infilò la punta
della pistola in culo al malcapitato. - No, no! Ti… Redbrick non fece in tempo
a finire la frase. Lo sparo risuonò. Redbrick lanciò un urlo lacerante,
portando le mani al ventre. Barbanera lo mollò e l’uomo scivolò per terra,
contorcendosi, mentre dal culo colava un po’ di sangue. Evidentemente Barbanera
non colpiva solo in fronte. - Io mi prendo la mia
preda. Via, via tutti! Con quelle parole, Barbanera afferrò Felipe e saltò sulla sua nave, che si staccò dal Queen Sophia e si allontanò rapidamente. Senza potersi opporre,
senza neppure il tempo per rendersene conto, Felipe si trovò sulla nave di
Barbanera, portato come un sacco sulla spalla del pirata. E per la prima
volta, Felipe sentì il forte odore di quell’uomo. Ma la sua mente era
altrove. Felipe pensava che stava per morire, perché certamente Barbanera lo
portava con sé per ucciderlo, torturandolo a morte: tutti sapevano che spesso
il terribile pirata infieriva sui prigionieri con inaudita ferocia. A TU PER TU CON BARBANERA Barbanera mollò Felipe a
due uomini, che lo spogliarono completamente, gli legarono le mani dietro
la schiena e lo chiusero in una
cabina, uscendo subito. Nella cabina c’era un
odore intenso, lo stesso che Felipe aveva sentito quando Barbanera lo aveva
afferrato. Era un odore che prendeva alla gola. Felipe era abituato a tutti
gli odori: non erano tempi in cui la gente si lavasse molto ed i
frequentatori delle bettole di Londra non profumavano certo di lillà. Su una
nave che attraversava l’Atlantico, poi, la pulizia era quello che era. Ma l’odore che sentiva era
di un tale vigore da rendere difficoltoso il respiro: era odore di sudore, un
sudore acre, di uomo che fa un’attività fisica intensa e non si cambia, non
si lava; era un pungente odore di piscio, come se la stanza fosse stata usata
come latrina; era, meno forte, un miscuglio di zolfo, di tabacco, di merda;
più di tutto era odore di maschio, di sborro profuso in abbondanza, come se
decine di maschi in calore avessero sparso il loro seme da poco. Felipe si sollevò da terra
ed analizzò la situazione. Era in una cabina, arredata con semplicità, con
un’unica cuccetta. Era relativamente grande, quindi doveva essere quella del
capitano, cioè di Barbanera. Mentre si guardava intorno, cercando di capire
come avrebbe potuto liberarsi dalle corde, Felipe si chiese che cosa poteva
fare. Non molto, certamente: anche se si fosse liberato, lo avrebbero ripreso
non appena avesse messo il naso fuori dalla cabina. Anche se avesse trovato
un’arma, - non ne vedeva, ma probabilmente ce n’erano - si sarebbe solo fatto
ammazzare. A meno di riuscire a lanciarsi in acqua. Anche in questo caso
però, le probabilità di arrivare alla Queen Sophia erano minime: gli
avrebbero sparato prima che riuscisse a buttarsi o lo avrebbero colpito in
acqua. Ed anche se fosse sfuggito ai colpi, ci avrebbero pensato gli squali.
O sarebbe morto annegato. Avrebbe però potuto
cercare un’arma ed attendere Barbanera, per ammazzarlo non appena fosse
arrivato: sì, questo avrebbe fatto. Gli altri pirati lo avrebbero fatto a
pezzi, ma almeno avrebbe liberato il mondo da quel … Non ebbe il tempo di
completare le sue riflessioni, né tanto meno di liberarsi dalle corde e di
cercare un’arma: Barbanera entrò dopo un minuto. Una zaffata di quell’odore
che impregnava la cabina lo assalì. Barbanera lo guardò e ghignò. - Mi piacciono gli uomini
che hanno fegato. Godo molto di più quando li inculo. Con il suo coltello
Barbanera tagliò la corda che legava le mani di Felipe. Era più alto di lui
di una spanna, un vero gigante, e sembrava forte come un toro. Anche ora che
aveva le mani libere, Felipe non aveva molte possibilità di difendersi e
tanto meno di uccidere il pirata. Barbanera si mise la lama
del coltello tra i denti e, senza distogliere lo sguardo da Felipe, cominciò
a spogliarsi. Quando si tolse la giacca
e la camicia, emersero un paio di spalle possenti e due braccia da lottatore,
segnate da numerose cicatrici. La folta barba nera gli ricadeva sul petto,
coprendolo in buona parte e nascondendo altre eventuali tracce delle numerose
battaglie in cui Barbanera si era distinto. Quando Barbanera si sfilò
stivali e pantaloni, Felipe rimase a bocca aperta. Sul ventre del pirata
batteva, allarmante per dimensioni, un membro degno di un cavallo. - Quando combatto, il
cazzo mi viene sempre duro. Per tutto il tempo. Ho bisogno di carne fresca,
dopo. Felipe si dispose a
lottare, ma si rendeva conto che era perfettamente inutile. Quell’uomo era in
grado di spezzarlo come un fuscello. Barbanera lo afferrò,
bloccandogli le braccia, lo sbatté sulla cuccetta e lo voltò senza nessuno
sforzo. Probabilmente non si accorse nemmeno che Felipe cercava di liberarsi.
Gli si stese addosso e Felipe si ritrovò schiacciato contro il pagliericcio. Qui l’odore che impregnava
la stanza era ancora più intenso. Felipe sentì la mano di
Barbanera che gli passava tra le natiche, lasciando una traccia umida. Due
dita bagnate forzarono l’apertura del culo ed a fatica Felipe soffocò il
gemito che gli venne alle labbra. Cercò di scrollarsi di dosso il corpo che
lo inchiodava al pagliericcio, ma il gigante pesava un quintale. Un mano si
appoggiò sul suo collo, bloccandolo. Poi un’altra sensazione
cancellò il dolore della stretta intorno al collo, del peso che lo
schiacciava, dell’odore acre di maschio. Una massa calda si apriva la strada
tra i suoi fianchi, forzando l’ingresso, lacerando e dilaniando: un dolore
violento esplose nel culo di Felipe e dalla sua bocca uscì un grido
soffocato. Barbanera rise ed urlò,
anche se la sua bocca era vicina all’orecchio di Felipe: - Un cazzo così non l’hai
mai provato! Barbanera dava una spinta
e poi si fermava, ritraendosi un po’, e ad ogni spinta il dolore sembrava
moltiplicarsi. Felipe non riusciva a tollerare quella spada che gli apriva le
viscere, ma non poteva liberarsi dalla stretta. Le sue contorsioni, i suoi
sforzi disperati per sfuggire al palo, sembravano eccitare ancora di più Barbanera,
che rideva ed immergeva l’arma. Barbanera non sembrava
avere fretta. A lungo continuò ad avanzare e Felipe si chiese se mai sarebbe
giuntò alla fine: sembrava che la spada lo penetrasse sempre più a fondo ed
il dolore cresceva, sommergendolo. Barbanera assaporava il
piacere che gli procurava il corpo di Felipe e le sue mani cominciarono a
percorrere le spalle del giovane. Ma non erano carezze: le unghie scavavano
nella carne e le dita a tratti stringevano, martoriando la pelle. Era un
nuovo tormento, ma, nonostante il sangue che colava, il dolore che quelle
mani procuravano a Felipe era irrisorio rispetto a quello che saliva dal suo
culo. Poi Felipe sentì Barbanera
grugnire ed improvvisamente il pirata cominciò a spingere con violenza,
avanti e indietro. A Felipe sembrò che le viscere gli si aprissero e per un
attimo perse coscienza. Riemerse dal buio mentre ancora Barbanera spingeva
freneticamente, lacerandolo. Sembrava che non finisse mai. Poi di colpo il pirata
smise di spingere e si afflosciò su di lui. Un attimo dopo Felipe lo sentì
russare, un rombo di tuono che risuonava nelle sue orecchie. Felipe sentiva in culo il
palo ancora piantato, ma ridotto ormai a dimensioni più tollerabili. Man mano
che il dolore si attenuava, recuperava la lucidità e ritrovava le sensazioni.
Il pagliericcio era bagnato. Felipe si rese conto di aver perso il controllo
della vescica durante la violenza. Lentamente, molto
lentamente Felipe riprese il contatto con la realtà e si sentì soffocare
dall’odio nei confronti di Barbanera. Quell’uomo, di cui poteva sentire il
membro ancora in culo, lo aveva violentato. Barbanera lo schiacciava
con il proprio peso, impedendogli di muoversi, ma Felipe aveva il braccio
destro libero ed il coltello di Barbanera era posato ai piedi della cuccetta.
Se fosse riuscito a prenderlo, Barbanera non si sarebbe mai svegliato: gli
avrebbe squarciato la gola. Tese il braccio in
direzione del coltello. Le sue dita ora quasi toccavano la lama. Se fosse
riuscito ad allungare il braccio ancora un po’, avrebbe potuto prendere il
coltello. Cercò di spostarsi, avvicinandosi al bordo, ma la grande massa che
premeva su di lui rendeva difficile il movimento. E doveva fare attenzione a
non svegliare Barbanera. Ora le sue dita toccavano
il manico. Ancora un piccolo movimento… D’improvviso una morsa
d’acciaio gli strinse la gola ed il respiro gli mancò. Barbanera gli stava
stringendo il collo con una mano. Una mano sola, ma Felipe capì che stava per
morire. - Che cosa credevi di
fare? Felipe non avrebbe potuto rispondere neanche se avesse voluto: la stretta gli bloccava il fiato e la parola. Ora sapeva come si era sentito Redbrick e non era una sensazione piacevole. Si chiese se Barbanera gli avrebbe fatto fare la stessa fine: in culo non sentiva più la spranga del pirata. No, lo stava soffocando.
Felipe non riusciva più a respirare. Con le mani cercò di allentare la
stretta, ma era un’impresa impossibile. Emise un gemito appena udibile. Aveva
i polmoni in fiamme. Gli sembrò che la stanza svanisse in una nebbia. Barbanera rise e di colpo
lo mollò. Felipe aspirò rumorosamente l’aria, due, tre volte. La gola gli
faceva male e respirava con fatica. - Hai fegato, ragazzo. Hai
fegato ed un bel culo. Ti meriti un premio. Felipe capì qual era il
premio. Lo capì perché contro il culo sentiva la vigorosa pressione del palo
che con un’unica spinta violenta forzò l’ingresso, squarciandolo. Il dolore fu ancora più
intenso della volta precedente e nuovamente la vista gli si annebbiò. Questa
volta però non svenne. Barbanera fece penetrare fino in fondo la sua arma e
Felipe non riuscì a trattenere il gemito che gli premeva in gola. Poi Barbanera estrasse
quasi completamente l’attrezzo, lasciandone soltanto la punta. Felipe sentì
la sensazione di dolore arretrare, mentre rimaneva solo il fastidio di quella
pressione che allargava il suo sfintere più di quanto non fosse mai avvenuto.
Con una rapida spinta,
Barbanera fece un nuovo ingresso trionfale e Felipe sentì la lacerazione
della propria carne, mentre un palo si faceva strada nelle sue viscere. Il
palo continuava ad avanzare, martoriandogli il culo, e Felipe gemette
nuovamente. Barbanera rise, una risata rintronante. - Ti devi abituare,
ragazzo. Avrai modo di gustarlo, questo cazzo. Con il culo e con la bocca. Barbanera sollevò il culo,
estraendo lo sperone, ma immediatamente lo infilzò nuovamente. Felipe ebbe la
sensazione di uno spiedo che lo trafiggesse e sperò soltanto di morire,
presto, per sfuggire a quel dolore. Ma Barbanera prese a muoversi, avanti ed
indietro, ed ogni volta che avanzava, Felipe si lamentava, prima flebilmente,
poi più forte: non era più in grado di controllarsi, sprofondava in un dolore
sempre più violento che saliva dal suo culo perforato ed i suoi gemiti eccitavano
ancora di più Barbanera. Avanti e indietro, avanti
e indietro, Barbanera spingeva e arretrava con decisione, senza smettere un
attimo, senza lasciare un secondo di tregua a Felipe. Dopo un tempo che a Felipe
sembrò interminabile, le spinte divennero più violente e rapide ed allora
Felipe urlò, un urlo scomposto, interrotto da singhiozzi, senza più ritegno.
Disperatamente Felipe cercò di sfuggire alla spada che lo infilzava, ma il
peso di Barbanera lo appiattiva sulla cuccetta. Sentì la scarica nella
viscere, mentre lanciava un ultimo urlo. Barbanera si abbandonò su
di lui come un corpo morto e lentamente, molto lentamente, Felipe sentì che
la spada perdeva consistenza ed il dolore divenne meno violento. Quando però Barbanera si
alzò, estraendo il membro dal culo di Felipe, vi fu una nuova lacerazione. Con la vista annebbiata
dalle lacrime, Felipe guardò il pirata al suo fianco. Il grande membro era
coperto di sangue. UN ATTIMO DI PAUSA Barbanera lo sollevò e lo
portò fuori dalla cabina. Lo depositò sul cordame e si rivolse ai suoi
uomini: - Sistematemi questo. Felipe rimase disteso sul
cordame, incapace di muoversi. Si chiese se l’avrebbero ammazzato e si disse
che sarebbe stata la soluzione migliore. La sofferenza era ancora violenta e l’umiliazione
subita lo schiacciava. Un uomo gli si avvicinò e
lo guardò. - Allora, ti è piaciuto il
cazzo di Barbanera? Felipe guardò l’uomo.
Avrebbe voluto ucciderlo, ma era svuotato di ogni forza. L’uomo ghignò, poi
riprese: - Ma eri ancora vergine?
Alla tua età… Una voce lo interruppe: - Piantala, Topo. Lascialo
in pace. - Sei il solito
guastafeste, Mancino. Mancino si avvicinò. Era
un uomo alto e magro, che non doveva avere più di venticinque anni. Aveva i
capelli di un castano chiaro, quasi biondo, ed un viso scurito dal sole.
Teneva in mano una bottiglietta con un liquido scuro. Si mise di fianco a
lui, lo voltò sulla pancia, senza che Felipe riuscisse ad opporsi, e si versò
un po’ di liquido su due dita. - Dammi una mano, Topo.
Aprigli il culo. Topo si chinò su Felipe,
poggiò le mani sulle natiche e le divaricò. Felipe ebbe un sussulto,
ma Mancino gli parlò: - Tranquillo, ragazzo, non
voglio farti male. È per il tuo bene, se no la ferita marcisce. Felipe non era in grado di
reagire. Lasciò che Mancino gli infilasse due dita nell’apertura. Poi Mancino
tolse le dita ed infilò il collo della bottiglia, versandogli il liquido in
culo. Raddrizzò la bottiglia,
togliendola. - Rimani così, ragazzo.
Cerca di tenere. Felipe rimase disteso. Non
sarebbe riuscito ad alzarsi neanche se avesse voluto. Era esausto. Ora però
il dolore al culo andava attenuandosi. Non si rese conto di
essersi addormentato. Solo quando si sentì scuotere, si svegliò di
soprassalto. - Come va, ragazzo? Mancino era vicino a lui.
Gli sorrideva con cordialità. Felipe si sentiva la bocca
impastata, ma cercò di trovare le parole. - Meglio, grazie. - Ora puoi alzarti, se te
la senti. Felipe mosse le braccia,
intorpidite dall’aver dormito in una posizione anomala. Quando si sollevò,
una fitta al culo gli strappò un gemito. - Ti farà male per alcuni
giorni. Almeno per oggi e domani, devi evitare di farti inculare di nuovo. Felipe lo guardò, senza
capire. Mancino pensava mica che avesse scelto di farsi infilzare allo spiedo
per divertimento? Mancino colse il suo
dubbio e proseguì: - Quando ti riprende nella
cabina, fa’ quello che ti dice. Felipe non aveva un’idea
di quello che Barbanera avrebbe potuto chiedergli, ma il solo pensiero lo
fece rabbrividire. Mancino continuò, a voce bassa. - Non puoi prendertelo
ancora in culo. Creperesti. Una volta, un ragazzo non ce la fece a fare
quello che Barbanera gli chiedeva. Allora lui lo inculò di nuovo. Per tre
giorni non uscirono dalla cabina. Noi sentivamo le urla del ragazzo, sempre
più deboli. Poi Barbanera ci chiamò perché portassimo fuori il ragazzo.
Perdeva sangue dal culo, tanto di quel sangue che era impossibile fermarlo.
Non ci fu verso di salvarlo. Morì dissanguato. Lo gettammo ai pescecani. Barbanera uscì in quel
momento dalla sua cabina. Si era infilato soltanto i pantaloni e la fitta
barba nera giungeva fino oltre la cintura, senza nascondere completamente un
minaccioso rigonfio dei pantaloni. Barbanera guardò Felipe e
si rivolse direttamente a lui: - Dentro, ragazzo. Mancino gli sussurrò: - Fa’ quello che vuole. È
meglio per te. Felipe fece un passo, ma
una fitta al culo lo inchiodò sul posto. Non voleva dare a Barbanera e a
nessuno dei suoi compari la soddisfazione di vederlo soffrire. Si diresse con
passo fermo alla cabina del comandante, cercando di non dare a vedere quanta
fatica gli costasse ogni passo. Barbanera non distolse lo
sguardo dalla sua faccia nemmeno un secondo. Quando Felipe fu di fianco a
lui, sul viso di Barbanera apparve un sogghigno. - Bravo ragazzo. Così si
fa! Una brutale pacca sul culo
quasi fece perdere l’equilibrio a Felipe, che si trovò proiettato nella
cabina. Il brusco movimento e lo sforzo per rimanere in piedi provocarono una
fitta violenta. SECONDO FACCIA A FACCIA CON BARBANERA - Bravo ragazzo. Adesso
mettiti in ginocchio davanti a me e calami i pantaloni. Felipe esitò. Che cosa
poteva fare? Poteva rifiutare e farsi ammazzare, va bene. Sarebbe morto senza
essersi vendicato. Morire per morire, voleva almeno cercare di uccidere
Barbanera. Tanto valeva cedere ed aspettare: magari gli sarebbe capitata
un’occasione di liberare la Terra da quel maledetto. Si avvicinò a Barbanera e
si mise in ginocchio. Sentì nuovamente, fortissima, la puzza di sudore, di
piscio e di sborro. - Su, calami i pantaloni. Felipe passò le mani sotto
la barba e cominciò ad aprire la fibbia della cintura. Quando ebbe aperto la
fibbia, mise le mani sui fianchi del pirata e calò i pantaloni. Appena la
verga del pirata fu libera dalla costrizione del tessuto, si protese in
avanti e Felipe se la trovò quasi contro le labbra. L’odore di sborro divenne
talmente forte da stordire Felipe. Sulla cappella, di un
colore rosso quasi violaceo, c’erano tracce di sangue. - Bene, ragazzo, ora
passaci la lingua sopra. Felipe esitò nuovamente.
L’idea di leccare la cappella di Barbanera lo disgustava, ma sapeva di non
avere scelta. E la visione di quell’enorme membro aveva su di lui un effetto
strano. Non avrebbe saputo spiegare che cosa provava, ma si sentiva turbato. - Muoviti. Felipe aprì la bocca e
protese la lingua, fino a che toccò la cappella. Fece scorrere la punta della
lingua due o tre volte sull’apertura. - Tutto intorno. Felipe cominciò a passare
la lingua sulla pelle. - Scendi giù. Felipe percorse il grande
membro con la punta della lingua, fino ad arrivare alla base, là dove la
pelle formava un incavo, prima di tendersi nelle due voluminose sfere. - Leccami i coglioni. Felipe scese e sentì sotto
la lingua la pelle più ruvida ed i peli spessi che coprivano gli attributi
del pirata. Il pensiero di quello che stava facendo era disgustoso, eppure le
sensazioni che la sua lingua gli trasmetteva non erano spiacevoli. - Bene, ora prendimelo in
bocca. Felipe rimase sgomento,
poi aprì la bocca e si avvicinò alla grande punta. Dovette spalancare ancora
di più la bocca per accoglierla tutta. Un’idea lo prese:
stringere con i denti, ora, castrando Barbanera. Barbanera lo avrebbe ucciso,
ma anche lui sarebbe probabilmente morto dissanguato e comunque non avrebbe
più violentato nessuno. Una mano si strinse
intorno al suo collo, togliendogli il respiro. - Non ti fare venire idee
strane, ragazzo. Le idee strane scomparvero
immediatamente e Felipe si dimenticò di avere i denti. - Avanti e indietro,
ragazzo, inghiotti e poi lasci andare. Felipe eseguì l’ordine.
Non gli era possibile inghiottire più di tanto, perché le dimensioni del
piatto erano davvero eccessive, ma fece del suo meglio. - No, così non va. Non ci
sai fare. Barbanera gli mise una
mano sulla nuca, bloccandolo completamente e con una spinta decisa portò il
suo ariete fino in fondo alla gola di Felipe. Poi arretrò e nuovamente
avanzò. Ogni volta che toccava il fondo,
Felipe si sentiva soffocare e veniva assalito da conati di vomito, ma
l’arretrare dell’ariete gli permetteva di riprendere il fiato. Le spinte durarono diversi
minuti, fino a che Felipe sentì un liquido denso e vischioso riempirgli la
bocca. Cercò di sputare, ma era ovviamente impossibile. Cominciò a tossire. - Inghiotti, testa di
cazzo, inghiotti! Felipe cercò di farlo, ma
ci riuscì solo in parte. Quando infine Barbanera
ebbe finito ed estrasse il suo arnese. Felipe smise di tossire e riuscì a
tirare nuovamente il fiato. Era paonazzo. Barbanera si sedette sul
suo giaciglio. - Hai molte cose da
imparare, ragazzo. Felipe non disse nulla.
Fece per alzarsi, ma Barbanera lo bloccò: - Mettiti seduto. Facciamo
una pausa, ma con te non ho finito. Felipe si sedette a terra. Barbanera lo guardò fisso
e Felipe si sentì a disagio. - Nell’attacco alla Queen
Sophia ho perso sette uomini, ti rendi conto? Sette uomini? Ed eravate in
tre a difendervi! Felipe non sapeva che cosa
dire. E probabilmente quello che avrebbe potuto dire, a Barbanera non sarebbe
interessato neanche un po’. - Mio caro, non si trovano
più uomini, con i coglioni, intendo. Il tempo dei pirati è alla fine. Ormai
ce ne sono pochi che valgono la corda per impiccarli. A parte me medesimo e
Testapelata, non c’è un vero pirata di qui ai mari della Cina. Ripensando a quanto aveva
sentito, a Felipe venne da chiedere: - Ed il Gallego? - Il Gallego? Quelli della
Black Gull sono la merda del mare, il mare li ha cagati fuori in una
notte di tempesta dopo aver fatto indigestione di velieri e di marinai.
Merda, nient’altro che merda! No, l’unico altro pirata che vale è
Testapelata. Quello sì che è un maschio, con i coglioni. Barbanera proseguì: - Prima o poi vado nei Caraibi
e lo faccio fuori. Potrei tagliarlo a pezzetti, oppure impalarlo sull’albero
di bompresso. - Ma non hai detto che è
un vero pirata? - Certo! Proprio per
quello! Di veri pirati ce ne deve essere uno solo. Non c’è posto per un
altro. Testapelata lo scuoio vivo, come facevano i turchi, e gli mangio i
coglioni, mentre lo guardo crepare. Ho voglia di mangiargli i coglioni. I
coglioni di un vero maschio sono buoni. Ma sono rari. Anche tu potresti
venire fuori con i coglioni, se non ti ammazzo prima. Prometti bene: sulla Queen
Sophia ti sei dato da fare. Come ti chiami? - Felipe. - Felipe? Felipe?! No, è
un nome del cazzo. Ti chiamerò Philip. Adesso vieni qui, Philip, che vediamo
se quello che abbiamo fatto prima viene meglio. Non venne molto meglio, ma
almeno Felipe riuscì ad inghiottire senza che gli andasse di traverso. FESTA GRANDE Quando Felipe uscì dalla
cabina, Mancino lo accolse con un sorriso di simpatia. Felipe si mise di
fianco a lui, in silenzio. Non aveva voglia di parlare. Si appoggiò alla
murata e si mise a guardare verso terra, come aveva fatto quella mattina, su
un’altra nave. Cercò di non pensare a quello che era successo. Avrebbe avuto
tempo per pensare. Era quasi sera: il sole
era molto basso all’orizzonte, sulla costa americana, e presto sarebbe
scomparso in un denso strato di nuvole. La nave di Barbanera, l’Adventure,
puntava verso nord. Osservando a babordo la striscia di terra, distante poche
miglia, Felipe si accorse che era continuamente interrotta: non doveva essere
la costa vera e propria, ma un cordone di piccole isole. Il sole stava ormai
tramontando, quando l’Adventure virò verso la terra e si infilò in una
piccola baia, dove i pirati gettarono l’ancora. Quella sera scesero tutti
a terra. Qui accesero un gran fuoco e mangiarono in abbondanza, poi Barbanera
procedette alla spartizione del bottino. Non ci furono discussioni e nessuno
obiettò: tutti gli uomini sembravano temere Barbanera e nessuno osava
criticare le sue decisioni. Infine Barbanera diede
ordine di distribuire la riserva di liquore: dall’Adventure vennero
calate almeno dodici botti, che vennero prese d’assalto dai marinai. Infatti
dopo ogni arrembaggio riuscito tutto il liquore presente sulla nave depredata
veniva bevuto e le provviste consumate rapidamente. In seguito si acquistava
ciò che l’arrembaggio non aveva fornito. Felipe aveva lavorato in
un’osteria, ma di rado aveva visto qualcuno bere tanto quanto i pirati dell’Adventure:
molti si attaccavano alle botti e bevevano senza smettere, senza neppure
tirare il fiato. Ben presto furono tutti
talmente ubriachi da far fatica a stare in piedi. Crollavano distesi sulla
spiaggia, nelle posizioni più assurde, e quando si risvegliavano riprendevano
a bere. La grande festa andò
avanti per tre giorni, durante i quali l’Adventure rimase ancorata
nella baia. Camminare sulla spiaggia significava scavalcare corpi distesi ed
era difficile vedere qualcuno in grado di reggersi in piedi senza ciondolare.
Il secondo giorno, i pirati erano tanto ubriachi, che alcuni non si
preoccupavano nemmeno di slacciarsi i pantaloni per i loro bisogni: molti
giacevano in pozze di piscio e quando si avvicinava, talvolta Felipe sentiva
l’odore di vomito e di merda. Tutti pensavano solo a bere. Tutti, tranne Barbanera.
Barbanera beveva quanto gli altri, anzi: molto di più. Ma rimaneva
perfettamente saldo sulle sue gambe e non pensava solo a bere. Il mattino,
quando si svegliava, chiamava Felipe ed iniziava regolarmente la giornata
dandogli da bere (non rhum, ovviamente) almeno tre volte. Poi gli ricordava
che presto avrebbero ripreso a darsi da fare sul serio e lo mandava via. Fino
al giorno dopo non si occupava più di lui. La sera del terzo giorno
di festa, dopo altre colossali bevute, Barbanera guardò i suoi uomini stesi
ovunque sulla sabbia. Scosse la testa. Poi guardò Felipe, che non aveva
bevuto quasi nulla. - Avanti, Philip. Seguimi. Felipe ubbidì. Non aveva
molta scelta, ma non era particolarmente preoccupato: sapeva, dal suo lavoro
alla taverna e poi alla locanda, che gli ubriachi sono di solito impotenti ed
infatti anche nelle sere precedenti Barbanera, pur rimanendo ben saldo sulle
gambe, non aveva fatto sesso. Anche se adesso a Felipe il culo faceva meno
male e non perdeva più sangue, il nostro eroe non aveva nessuna intenzione di
ripetere l’esperienza del primo giorno sulla nave, se solo poteva evitarlo. Barbanera si sedette su
una roccia. Adesso ai soliti odori si mescolava quello del rhum: il pirata
puzzava come una botte di acquavite. Barbanera si spogliò.
Questa volta il leone era a riposo e questo tranquillizzò Felipe, anche se le
dimensioni della bestia rimanevano allarmanti. - In ginocchio, Philip.
Qui, davanti a me. A Barbanera non sarebbe
diventato duro. Aveva bevuto troppo. Ma era meglio non contrariarlo. Felipe
si mise in posizione. Barbanera gli mise una
mano sulla nuca e gli avvicinò la bocca al sesso. Felipe aprì la bocca, che
fu riempita dalla massa. - Oggi hai bevuto poco.
Ora tocca a te, Philip, bevi. Bevi o soffochi. Felipe intuì e cercò di
tirare indietro la testa, ma la destra di Barbanera la bloccava. La sinistra
invece gli strinse la gola, ad impedire una reazione violenta. Sentì il getto caldo che
scendeva direttamente in gola. Il fiotto continuava,
sembrava non avere mai fine e Felipe si sentì soffocare. Cercò di respirare
ed il piscio di Barbanera gli andò di traverso. Cominciò a tossire e
Barbanera si interruppe. Felipe tossiva, sforzandosi di far entrare aria,
mentre il piscio gli colava sul mento. - Sei una testa di cazzo,
Philip. Non ci sai proprio fare. Barbanera aspettò che
Felipe si fosse ripreso, poi gli avvicinò nuovamente la testa e riprese
l’attività interrotta. Felipe si chiese se quel getto si sarebbe mai
arrestato, ma sembrava senza fine. Quando infine la cascata si esaurì, Felipe
sentì la voce di Barbanera: - Ed ora succhia. Felipe eseguì, continuando
a pensare che gli ubriachi sono impotenti. Ma o Barbanera era un’eccezione o
non era ubriaco: in pochi minuti l’animale caldo che la sua bocca avvolgeva
si drizzò in piedi. - Ed ora stenditi qui. Si
riprende a fare sul serio. Felipe si stese sulla
sabbia, ancora calda per il sole. Una mano umida gli passò tra le natiche e
la bestia entrò trionfante, vincendo ogni resistenza. Felipe riuscì a soffocare
l’urlo che gli veniva alle labbra. Non avrebbe dato a Barbanera la
soddisfazione di urlare di nuovo. Quella sera Felipe scoprì
che Barbanera non diventava impotente quando beveva. Il pirata glielo
dimostrò tre volte e quando infine si addormentò, schiacciandolo sulla sabbia
con il suo peso, Felipe aveva il culo in fiamme. Sentiva dentro di sé la
spada di Barbanera, non più sguainata, ma ancora tanto voluminosa da essere
dolorosa. Con il passare del tempo, la massa che gli ostruiva il culo avrebbe
dovuto ridursi, ma invece riprese a crescere. Felipe cercò di spostarsi un
po’ in avanti, per sfuggire a quello spiedo, ma era impossibile scivolare
sotto Barbanera senza svegliarlo. E quando Barbanera si svegliò, Felipe ebbe
esattamente quello che aveva cercato di evitare: una nuova dose di colpi
violenti, che sembravano aprirgli completamente il culo, altro liquido caldo
nelle viscere, che si mescolava al sangue. Era la prima volta che
Felipe trascorreva l’intera notte insieme a Barbanera, cioè, per essere più esatti,
sotto Barbanera: il primo giorno il pirata lo aveva mandato a dormire con gli
altri, quando aveva finito con lui, ed i suoi compagni gli avevano detto che
il loro capo dormiva sempre da solo. Passare la notte sotto
Barbanera non era una sensazione piacevole, visto il peso del gigante e
l’ingombro nel culo, che non diminuiva. Barbanera russava ormai da diverse
ore, quando Felipe riuscì infine ad addormentarsi. Il giorno seguente si aprì
com’era finita la sera precedente: una tripla incursione in profondità, tanto
in profondità che a Felipe parve di sentire lo spiedo di Barbanera fin nello
stomaco. Poi Barbanera si alzò, borbottando, e si allontanò. Con cautela, anche Felipe
si alzò, ma ogni movimento gli provocava uno spasimo. Si chiese se tentare la
fuga, ora che Barbanera non era in vista e gli altri pirati erano tutti
ubriachi. Vincendo il dolore,
avrebbe potuto camminare sulla sabbia, ma dove sarebbe arrivato? La striscia
sabbiosa non era continua: loro erano nella baia di un’isola, per cui prima o
poi Felipe si sarebbe trovato di fronte il mare. La costa vera e propria era
lontana, Felipe non sarebbe mai riuscito ad arrivarci a nuoto. Lo avrebbero raggiunto
facilmente, i pirati o i pescecani. È vero che i pirati erano ubriachi, ma
sfuggire a Barbanera gli sembrava un’impresa impossibile. Felipe decise di
aspettare. Prima o poi si sarebbero mossi e lui avrebbe potuto farsi un’idea
più precisa della costa e quindi delle possibilità di fuga. SULLA NAVE DI BARBANERA
Nei giorni successivi
incominciarono a spostarsi. Prima ci fu un viaggio, in buona parte notturno,
di cui Felipe non seppe mai la destinazione. Altri spostamenti avvennero di
giorno e permisero a Felipe di farsi un’idea precisa della regione. L’isola presso la quale
erano ormeggiati faceva parte di una serie di isolette sabbiose, che
formavano una linea quasi continua e delimitavano un’ampia laguna, il Pamlico
Sound. Tra un’isola e l’altra vi erano passaggi non sempre percorribili in
nave: con la bassa marea questi canali spesso non potevano essere
attraversati neppure da navi di piccole dimensioni e solo una barca poteva
spingervisi. La costa interna della
laguna era piuttosto frastagliata e ricca di ottimi nascondigli, tanto più
che buona parte del litorale era paludoso e disabitato. L’unica cittadina
situata all’interno del Pamlico Sound era Bathtown, dove i pirati si recarono
poco dopo l’attacco al Queen Sophia. Da come ne parlavano sulla nave,
Felipe dedusse che dovevano avere buoni rapporti con gli abitanti, almeno con
alcuni di loro. A Bathtown Felipe non ebbe
mai modo di andare, ma in diverse occasioni Barbanera lo mandò con altri
pirati a caccia di uccelli, a procurarsi l’acqua e ad acquistare o barattare
qualche cosa con piccoli gruppi di indiani o di coloni. In queste spedizioni
Felipe non riceveva mai un’arma: remava, manovrava il timone, riempiva le
botti d’acqua, ma se c’era da sparare, era compito degli altri. Sulla nave Felipe non
aveva nessuna funzione precisa, a parte quella di soddisfare Barbanera.
Qualcuno ogni tanto si faceva aiutare da lui in qualche compito, ma non gli
venivano assegnati né turni di guardia, né altre mansioni. Girava sulla nave,
osservava i pirati giocare a dadi, litigare o scopare. Nessuno sembrava avere
il minimo pudore, ma tutti si tenevano di solito lontano dal cassero, dove
alloggiava Barbanera. Non che Barbanera avesse niente da ridire se due dei
suoi uomini scopavano, ma era sempre meglio essere fuori portata, nel caso
Barbanera fosse di cattivo umore: questo Felipe lo scoprì presto, ma a lui
non era dato di essere fuori portata. Così spesso Felipe si
imbatteva in due pirati impegnati ad infilzarsi, mentre qualcun altro assisteva,
incoraggiando o commentando. Inizialmente lo spettacolo lo infastidiva, ma
poi ci fece l’abitudine e cominciò anche a prenderci gusto, soprattutto
quando a cavalcare era Tre-coglioni, che la natura aveva dotato di un
elemento in più e di una resistenza degna di Barbanera. Nessuno però gli fece
mai una proposta: tutti sapevano che Felipe era proprietà di Barbanera. Quando si muovevano con la
nave, Felipe osservava con attenzione le terre vicine: ad interessarlo non
erano solo le possibilità di fuggire, ma anche l’ambiente di quel nuovo
continente. Nelle paludi si muovevano
alligatori, piccoli mammiferi e soprattutto un gran numero di uccelli.
Talvolta era possibile vedere qualche indiano, ma di solito essi scomparivano
prima che la barca su cui viaggiava Felipe si avvicinasse. Solo quelli che
commerciavano con Barbanera aspettavano l’imbarcazione, senza allontanarsi. Una parte delle isole era
ricoperta dalla foresta, ma Felipe notò che talvolta la duna stava ricoprendo
alberi che sotto la sabbia deperivano e si seccavano. Non aveva mai pensato
che le dune si spostassero, eppure doveva capitare proprio così. Glielo
confermò Mancino, che era un buon osservatore: - Le dune si muovono. Più
in là la sabbia sta lasciando libero il terreno ed appare una foresta morta,
che deve essere stata inghiottita molto tempo fa. Movendosi con la nave o in
barca, Felipe imparò rapidamente a destreggiarsi in quell’intrico di
isolette, paludi, canali e baie segrete, che costituivano il regno di
Barbanera. Però finse sempre di non sapere dove andare e lasciava che fossero
i compagni a dirgli dove doveva dirigersi: non voleva che sospettassero le
sue intenzioni. Felipe voleva fuggire, ma
le possibilità di riuscire ad arrivare in un porto gli sembravano
minime. UNA CACCIA SFORTUNATA
Circa un mese dopo la
cattura della Queen Sophia, cominciarono ad uscire quasi ogni giorno a
caccia di altre navi. Superata la barriera delle
isole, l’oceano riaffermava la sua potenza: le correnti erano tanto forti da
trascinare la nave e bastava un errore di manovra per rischiare un naufragio.
I marinai chiamavano quel tratto di mare “il cimitero dell’Atlantico” ed il
nome era ben meritato. Il terzo giorno
avvistarono un veliero e si misero al suo inseguimento. Felipe si disse che
era arrivato ad un punto cruciale della sua esistenza: se avessero raggiunto
il veliero, avrebbe dovuto partecipare all’arrembaggio. Ma sapeva che se gli
avessero dato un’arma, avrebbe combattuto contro i suoi compagni. Sarebbe
stato inutile: tutti avevano troppa paura di Barbanera perché l’equipaggio
delle navi attaccate opponesse resistenza. Però forse lui avrebbe potuto
uccidere Barbanera, vendicandosi e liberando il mondo da quel flagello. Il veliero era molto
veloce e la distanza tra le due navi non accennava a diminuire. Felipe pensò
che forse per quel giorno se la sarebbe cavata. Ed in effetti, dopo aver
inseguito ancora per un buon tratto la nave, Barbanera rinunciò all’impresa,
coprendo di improperi tutta la ciurma.
Nessuno disse nulla, ma
Barbanera si rinchiuse furente nella sua cabina e gli uomini sembravano tutti
tesi e spaventati. Mentre tornavano verso la
base, Felipe vide che in un’ampia area l’acqua si sollevava in grandi onde.
La spuma biancastra si alzava ad almeno trenta piedi sul livello del mare.
Felipe non riusciva a capire che cosa fosse. Chiese: - Ci sono degli scogli? Mano-di-ferro scoppiò a ridere e si rivolse a Mancino: - Philip chiede se il
Diamond Shoal sono degli scogli. Mancino rispose: - No, sono due correnti
che si scontrano, quella calda che si dirige verso nord e quella fredda che
va a sud. Felipe non riusciva a
capacitarsi. Ma conosceva poco il mare: la sua non era una famiglia di
navigatori. Avrebbe dovuto dire: la sua non era stata una famiglia di
navigatori. Perché ora di quella famiglia non rimaneva più nessuno, a parte
lui e forse un cugino. Barbanera uscì dalla sua
cabina mentre Felipe completava quel pensiero. - Vieni qui, Philip. Mano-di-ferro ghignò e
commentò: - Mi sa che ora ti tocca
lo scoglio più grosso. Barbanera era di pessimo
umore: il fallimento dell’inseguimento lo aveva innervosito. Mentre si
spogliava, continuava ad imprecare: - Merda, Philip, merda! Su
questa nave di merda nessuno sa manovrare. È una ciurma di merda! Non siamo
neanche riusciti ad avvicinarci. Nonostante il fallimento
dell’impresa, la bestia era in piena forma. Barbanera rimaneva però di
pessimo umore e di colpo, senza nessun preavviso, mollò un ceffone a Felipe,
che finì per terra. Un violento calcio al costato lo spinse ad alzarsi
immediatamente, ringraziando che Barbanera si fosse già tolto gli stivali. Barbanera avanzò verso di
lui. Imprecava e bestemmiava. Aveva gli occhi iniettati di sangue e Felipe
pensò che l’avrebbe ucciso. Felipe arretrò fino a che fu con la schiena
contro la parete ed allora Barbanera, proprio davanti a lui, gli mollò un
terribile pugno al ventre. Felipe ebbe la sensazione che una cannonata lo
avesse trapassato. Non fece in tempo ad afflosciarsi, che un secondo colpo,
subito sotto, moltiplicò il dolore. Perse il controllo degli sfinteri. Quando fu a terra, un
calcio lo prese nuovamente al torace, poi un secondo, ma Felipe non riusciva
ad alzarsi. Allora Barbanera gli afferrò la testa per i capelli e cominciò a
tirare. Felipe fu sollevato e poi gettato contro la parete. Batté la testa e
rimase intontito. Allora Barbanera lo acciuffò nuovamente per i capelli e lo
gettò a pancia in giù sulla cuccetta. Incurante della merda che
sporcava il culo di Felipe, Barbanera lo trapassò direttamente, come avrebbe
fatto con uno spiedo ed a Felipe parve che fosse proprio uno spiedo quello
che gli attraversava le viscere, penetrandolo e ritirandosi, più e più volte,
fino a lasciarlo dolorante ed esausto. Quando ebbe finito,
Barbanera si alzò, afferrò Felipe con le due mani possenti e lo sbatté a
terra. Felipe riuscì appena ad attenuare l’urto contro il pavimento, mettendo
avanti le mani, ma sentì un dolore violento al ginocchio. Barbanera gli sputò
addosso, poi cominciò a prenderlo a calci, in faccia, al ventre, alle gambe.
Felipe si rannicchiò per parare i colpi, ma Barbanera proseguiva. Un colpo ai
coglioni gli annebbiò la vista, mentre le lacrime presero a scendere. Poi
Barbanera lo ghermì per il collo e lo costrinse a stendersi sul pavimento
della cabina, per una nuova cavalcata, che fu violenta quanto la prima ed
altrettanto dolorosa. Terminata la cavalcata,
Barbanera si alzò. Con un calcio al costato, costrinse Felipe ad alzarsi e
poi gli pisciò in faccia. Felipe girò la testa, ma era impossibile sfuggire
al getto che lo inondava. Dalla faccia Barbanera passò al corpo. Quando ebbe
finito, appoggiò il piede sul ventre di Felipe, facendo pressione. A Felipe
pareva di avere un masso sullo stomaco, un masso che lo stritolava. Barbanera
alzò l’altro piede e, mentre tutto il suo peso poggiava sul ventre di Felipe,
con il piede liberò gli mollò un nuovo calcio ai coglioni. Felipe non riuscì
a trattenere l’urlo. Allora Barbanera scese, lo voltò di nuovo con un calcio
e gli si stese sopra, trapassandolo una terza volta. Solo allora Barbanera si
calmò e lasciò che Felipe, dolorante e con un occhio gonfio, uscisse
zoppicando dalla sua cabina. Mano-di-ferro ghignava, ma Mancino lo fece
stendere e lo aiutò a lavarsi, versandogli addosso l’acqua. Per diverse settimane Felipe portò i lividi
di quella notte, in viso, alle braccia, alle gambe e al ventre. DICERIE
Con il passare del tempo, Felipe cominciò a conoscere meglio i suoi compagni ed a parlare con alcuni di loro. Mancino, Gamba-corta e Spugna erano quelli con cui gli capitava più spesso di chiacchierare, anche se solo per Mancino provava una certa simpatia. Come tutti sulla nave, e non solo sulla nave, quei tre avevano una paura dannata di Barbanera. Qualche giorno dopo l’inseguimento
del veliero, Felipe parlava con Mancino e Gamba-corta sul ponte. A loro si
era unito Mano-di-ferro, che a Felipe non piaceva per nulla: avvertiva che
era un individuo meschino ed infido. - Più di una volta ha
ucciso uno dei suoi uomini. Basta il minimo errore, se ha la luna di
traverso. E la luna di traverso ce l’ha spesso. Felipe aveva ben presente
quanto era avvenuto sulla Queen Sophia, per non parlare delle botte
ricevute pochi giorni prima. Non si stupì più di tanto. - Fosse solo quello, Mancino.
Non è quello che mi fa venire la pelle d’oca. Felipe era incuriosito.
Chiese: - E cos’altro c’è? - La notte, nella sua
cabina, certe volte lo sentiamo parlare. - Che cosa c’è di strano
se parla da solo? - Non parla da solo: se
presti attenzione si sente un’altra voce, molto bassa, ma si sente. - Cazzate, Gamba-corta. - Merda, non sono cazzate,
Mancino. Lo sai benissimo. Come sai che il mattino c’è sempre odore di zolfo,
in quella fottuta cabina. Felipe aveva notato
l’odore di zolfo più volte, ma non si era mai chiesto quale ne fosse
l’origine. Mano-di-ferro intervenne: - Non parla soltanto. Le
hai viste anche tu le ombre, quella fottuta notte, Mancino. Mancino non disse nulla.
Felipe era sempre più incuriosito. - Quali ombre? Mancino tacque e
Gamba-corta guardava da un’altra parte. Non avevano nessuna voglia di
parlare. Mano-di-ferro riprese. - Una fottuta sera, era la
fine di ottobre… - Era la notte di
Ognissanti, lo sai benissimo, Mano-di-ferro! - Forse, non teniamo mica
tanto il conto dei giorni, qui… Insomma, quella fottuta notte Barbanera
lanciò un urlo. Philip, l’abbiamo sentito urlare spesso negli attacchi e non
siamo donnicciole, non ci spaventiamo certo per un urletto. Ma quell’urlo… Mano-di-ferro tacque un
momento. - Ci avvicinammo alla
finestra della sua cabina. Non lo facciamo mai. Se ci becca, ci ammazza:
nessuno può curiosare nella sua cabina. Nessuno ci entra, se non lo dice lui.
E non lo dice quasi mai a nessuno… Mano-di-ferro si fermò ed
un ghigno gli si disegnò in faccia. - Se non a quelli che gli
piacciono, come te, Philip. Felipe avrebbe voluto
saltargli al collo, ma era disarmato. E poi, che senso aveva? A Barbanera
piaceva per davvero e non se l’era cercato lui, di sicuro. Ma Spugna, che era
appena arrivato, lo vendicò, con un intervento che Felipe non si aspettava. E
Mano-di-ferro neppure. - Quando avevi due mani,
ci sei entrato anche tu in quella cabina, Mano-di-ferro. Parli solo per
invidia. Mano-di-ferro si voltò
verso Spugna come se fosse stato morso da un cane rabbioso. Alzò l’uncino,
pronto a colpire, ma nella destra di Spugna già scintillava una lama. Gamba-corta intervenne: - Piantatela, se si
accorge che volete menarvi a bordo, vi ammazza tutti e due. Mano-di-ferro abbassò
l’uncino, la lama scomparve rapidamente com’era apparsa. Mano-di-ferro
riprese, come se niente fosse accaduto: - Ci chiedevamo se non
stava male, se aveva bisogno di qualche cosa. Non arrivammo fino alla
finestra. Non si vedeva Barbanera, ma sulla parete vedevamo la sua ombra. E
non solo la sua. Mano-di-ferro tacque di
nuovo. Felipe ebbe l’impressione che il suo corpo fosse percorso da un
leggero tremito. Mano-di-ferro respirò a fondo e riprese: - C’erano due ombre,
quella di Barbanera ed un’altra. Barbanera era steso sul tavolo, a pancia in
giù. Era lui, non c’era dubbio, i capelli, la barba, l’ombra era
perfettamente riconoscibile. Sopra di lui era distesa un’altra ombra.
Un’ombra più sottile. Su di lui. Mano-di-ferro abbassò la
voce. Ora le parole uscivano in un sussurro appena udibile. - Lo stava inculando,
capisci, Philip? Con un cazzo come neppure Barbanera ce l’ha. Un palo. Qualcuno più dotato di
Barbanera? La proboscide di un elefante, forse? A Felipe sembrava
impossibile. E tutta la storia era assurda. - Sarà entrato qualcuno e
voi non ve ne siete accorti. Era notte, no? Qualcuno che è salito a bordo
senza che ve ne accorgeste. - In alto mare? E poi
eravamo rimasti sul ponte dopo che Barbanera era andato nella sua cabina. Non
era entrato nessuno, Philip, nessuno. E… Si interruppe, perché in
quel momento Barbanera uscì dalla sua cabina. Era completamente nudo e, teso
verso l’alto, il suo membro non lasciava dubbi sulle sue intenzioni. - Philip, vieni qui. Mano-di-ferro ridacchiò: - Buona fortuna, Philip.
Ti va bene che non è quell’altro… UNA PROMESSA
Barbanera ci dava dentro e
non passava giorno che non prendesse Felipe, almeno due o tre volte, in bocca
o in culo (o in entrambi i modi). Il pirata non dimostrava molta fantasia, ma
certamente una grande energia. Giorno dopo giorno, il
corpo di Felipe si abituava a quei rapporti violenti. L’ingresso del colosso
rimaneva doloroso, ma non provocava più lacerazioni. Le spinte frenetiche lo
lasciavano dolorante, ma la sensazione di essere riempito diventava ogni
giorno meno fastidiosa. Con stupore, Felipe si rese conto che l’esperienza
poteva essere persino piacevole, che il sentire quel palo caldo che si
muoveva dentro di lui gli trasmetteva una serie di stimolazioni gradevoli,
che il peso del grande corpo di Barbanera su di lui non gli spiaceva, che il
suo stesso corpo cominciava a reagire. All’inizio aveva
attribuito la sensazione piacevole soltanto al sollievo dal dolore, quando
Barbanera smetteva di sconquassarlo con le sue spinte selvagge. Ma con il
passare del tempo si rese conto che l’essere penetrato accendeva anche il suo
desiderio e che perfino i colpi del grande ariete lo infiammavano, invece di
spegnere il piacere. Ora desiderava quei colpi, quella presenza dolorosa, ma
calda, al suo interno. Ormai, quando Barbanera si
ritirava, Felipe avvertiva che anche il suo uccello spesso aveva alzato la
testa. Rimaneva disteso, senza dire nulla, in attesa che abbassasse le ali,
ma Barbanera aveva intuito. Felipe poteva capirlo dal ghigno con cui lo
guardava. Un giorno, dopo averlo
posseduto come al solito, Barbanera si ritirò e Felipe sentì una nuova
pressione tra le cosce. Questa volta però non era la solita massa calda, ma
una superficie metallica e fredda. - Ti piace questo cazzo,
Philip? Forse può farti godere. Che ne dici della mia pistola? Felipe tacque, mentre la
pressione della canna aumentava. L’estremità della pistola trovò l’apertura,
ben dilatata dal mastodonte che si era appena ritirato ed ampiamente
lubrificata dalla grande quantità di sborro, e si introdusse. - Mi piaci troppo, Philip.
Non posso lasciarti vivere. Ora Felipe sentiva le dita
di Barbanera premere contro il suo culo. La canna era tutta dentro di lui. Felipe si irrigidì. Barbanera
l’avrebbe ucciso così? In quel momento, in quel modo? La morte non gli faceva
paura, ma in quel modo infame… Si disse che in fondo, se doveva morire ucciso
da Barbanera, un modo valeva un altro, ma lo turbava il pensiero che non
avrebbe potuto vendicarsi. Barbanera riprese: - Non ancora, Felipe, non
ancora. Quando finalmente ti avrò fatto urlare per il piacere. Perché tu
urlerai per il piacere, perché ti piace, Felipe. Ormai è quello che desideri.
Presto verrai anche tu ed allora ti ucciderò. Te lo prometto, Felipe. Ed io
mantengo sempre le mie promesse. Barbanera rise, una risata
assordante, ma non allegra. Poi si alzò. Anche Felipe
si alzò. Non cercò di nascondere la propria erezione. Era inutile. Guardò Barbanera in
faccia. E gli disse: - Se non mi ucciderai tu,
ti ucciderò io. Barbanera scoppiò in
un’altra delle sue roboanti risate. - Bravo, Philip. È per
questo che mi piaci. Perché hai i coglioni. Te li mangerò, i coglioni, dopo
averti ucciso. Barbanera lo guardò, un
riso beffardo stampato in faccia. Felipe gli avrebbe volentieri spaccato la
faccia e fatto sputare quei denti, ma Barbanera era troppo più forte di lui. - Stenditi, Felipe. Si
ricomincia. Tu me lo fai sempre venire duro. Di nuovo la spada
sguainata che entrava nel suo fodero. La sensazione di pienezza, di calore.
Il peso del corpo su di lui. Il piacere che cresceva, più forte della
sofferenza. La tensione che saliva dai testicoli. E, poco prima del culmine,
le spinte più forti ed il venire meno di quella pressione, l’afflosciarsi del
piacere incompiuto. Quando ebbe finito il
secondo turno, Barbanera ribadì: - Ti ucciderò, Philip, non
appena godrai anche tu. E sarà presto, molto presto. Forse poteva essere
anche oggi, se solo volevo. Ma non ho fretta di mangiarti i coglioni. Rise ancora rumorosamente,
ma era una risata che gelava il sangue. UN UOMO IN MENO
Il sole era ormai basso all’orizzonte. Ora di partire. Mancino si avvicinò a
Felipe. - Buona fortuna, Felipe.
Spero che riesci a scappare. Mi spiace che non puoi venire a Bathtown, ma
Barbanera di certo non ti lascia. Mancino vide che Felipe lo
guardava perplesso. Probabilmente aveva intuito le sue intenzioni, ma non
disse nulla. A Mancino spiaceva lasciarlo lì, su quella nave di merda, ma non
poteva farci nulla. Non poteva farlo salire sulla zattera senza che
Mano-di-ferro se ne accorgesse e quella lurida spia l’avrebbe subito
denunciato a Barbanera, come aveva fatto quando Fortebraccio aveva cercato di
andarsene. E lui di finire castrato ed impalato come Fortebraccio non aveva
nessuna voglia. Se non aveva voglia di
finire così, doveva fare attenzione. Perché quella sera si giocava la pelle e
le palle. Ma di fare ancora quella vita da cani, non aveva nessuna
intenzione. Non aveva scelto di fare il pirata, lui. L’avevano catturato ed
arruolato a forza. Si era detto che era una vita come un’altra, per sfuggire
alla miseria, ma sulla nave di Barbanera non era una vita come un’altra: era
una vita di merda. Lui di rischiare ogni volta la pelle con quell’assatanato
non aveva nessuna voglia. Piuttosto che continuare con Barbanera, meglio
morto… Di morire non aveva
nessuna intenzione. Voleva vivere, vivere con Jimmy. Pensò a Jimmy, ai suoi
capelli biondo-grano, ai suoi occhi azzurri, ai suoi sedici anni, a quel
corpo adolescente, a quel culo di sogno… Gli era diventato duro, duro come
l’acciaio. Scendere per la scaletta di corda gli costò una certa fatica, con
quel cazzo duro e gocciolante. Salito sulla zattera, cercò di pensare ad
altro, ma era difficile togliersi il culo di Jimmy dalla testa. Mentre la grande zattera
scivolava veloce verso Bathtown, ripensò alle tappe dell’operazione. Arrivati
in città, si sarebbero divisi. Lui e Spugna avrebbero pensato alle provviste:
rhum, munizioni, cibo e così via. Avevano i loro soliti fornitori, che la
notte, dopo aver chiuso le loro botteghe, aprivano per loro, ad un segnale
convenuto. Mano-di-ferro e Tre-coglioni si sarebbero occupati di piazzare il
bottino dell’ultimo arrembaggio, la parte comune. Dovevano muoversi sempre in
coppia: uno sorvegliava l’altro e rispondeva con la sua pelle anche per
l’altro. Poi, prima di ritirare la
merce, si sarebbero presi due ore di libertà. Mano-di-ferro e Tre-coglioni al
casino, lui da Jimmy e Spugna all’osteria. Così era stato ogni volta e così
sarebbe stato anche questa, ma lui non si sarebbe limitato a scopare per due
ore con Jimmy. Non avrebbe scopato per nulla: sarebbero fuggiti via. A
Bathtown Barbanera aveva troppi amici e per essere al sicuro doveva
allontanarsi dalla città almeno di un cinquantina di miglia. Dopo aver saputo
della sua scomparsa, Mano-di-ferro avrebbe mobilitato tutti gli amici di
Barbanera, per cercare di catturarlo e per riportarlo sulla nave legato,
pronto a dare spettacolo per la ciurma. Il sole era tramontato da
un buon momento e stava diventando sempre più buio. Presto sarebbero stati in
vista di Bathtown e la luce dell’osteria li avrebbe guidati nell’ultimo
tratto. Nessuno li avrebbe visti arrivare. Precauzione forse inutile: nessuno
a Bathtown voleva mettersi contro Barbanera. Una volta sbarcati, lui
avrebbe fatto la sua parte. Poi avrebbe lasciato Spugna all’osteria ed
avrebbe raggiunto la fattoria dove lavorava Jimmy. Avrebbero preso i due
cavalli che Jimmy doveva aver comprato e sarebbero fuggiti via, verso la libertà.
Quello dell’acquisto dei
cavalli era un problema. Se si fosse saputo, qualcuno avrebbe potuto
sospettare e se Mano-di-ferro lo fosse venuto a sapere, per lui era finita.
Ma non voleva rubare i cavalli: lo avrebbero inseguito dalla fattoria. Non ci
teneva a finire impiccato. Jimmy era un ragazzo sveglio. Certamente aveva
fatto tutto in modo da non correre rischi. Aveva consegnato a Jimmy
quello che gli era toccato del bottino ed aveva ancora la quota dell’ultimo
arrembaggio. Si era fidato ciecamente di Jimmy. E se Jimmy era scappato
con i suoi soldi? Era una bella cifra, per un ragazzo di quell’età poteva
essere una tentazione. Mancino ci pensò un buon momento. No, non era
possibile. Jimmy teneva a lui. Ora vedevano la luce.
Diressero la zattera verso il pontile, attraccarono, legarono la zattera,
senza dire una parola si divisero. Fecero il solito giro dei
fornitori. Discussero sul prezzo del rhum, che quel bastardo di Rabbit voleva
fargli pagare più del dovuto. Conclusero tutto quello che dovevano e
stabilirono, come al solito, che sarebbero passati due ore dopo per ritirare
il tutto. Spugna entrò all’osteria.
A Mancino un po’ spiaceva l’idea che Spugna rischiasse di finire male. Spugna
era una carogna, un vigliacco pronto a denunciare chiunque pur di cavarsela
lui, ma a Mancino non piaceva l’idea che crepasse per causa sua. In un quarto d’ora
raggiunse la fattoria dove lavorava Jimmy. Fece tre fischi. Il solito
segnale. E se nessuno rispondeva? Se Jimmy era scappato con i soldi? Cazzate. Jimmy non era
scappato. Ed infatti udì due fischi
di risposta. Fischiò tre volte ancora e si diresse verso la porta della
scuderia, dove dormiva Jimmy. Jimmy era sulla soglia,
un’ombra scura, appena visibile. Mancino entrò e sentì l’abbraccio di Jimmy.
Lo strinse vigorosamente. Jimmy era a torso nudo e le mani di Mancino
scivolarono rapidamente lungo la schiena, poi le sue dita strizzarono il culo
attraverso la stoffa ruvida dei pantaloni. Dovevano andare. Prima
partivano, meglio era. Ma nell’oscurità della scuderia quel corpo caldo che
premeva contro il suo gli toglieva il respiro, l’odore acre lo prendeva ai
coglioni, non poteva ragionare. Aprì i pantaloni di Jimmy
e spinse il ragazzo contro la parete. Si slacciò la cintura. Si inumidì il
cazzo già perfettamente in tiro e, cercando di non essere troppo irruente,
infilzò quel bel culo. Sentì i gemiti di piacere di Jimmy, che moltiplicavano
il suo desiderio. Erano quindici giorni che non scopava. Quindici giorni. In
culo a Mano-di-ferro, Barbanera e tutto il resto. Venne e sentì il gemito
più forte di Jimmy. Rimase appoggiato al corpo
di Jimmy, stordito. Poi si tirò indietro. Si
tirò su i pantaloni e disse: - Presto. Non abbiamo
tempo da perdere. - È tutto pronto.
Provviste, munizioni. Ho già sellato i cavalli. Sapevo che venivi questa sera
o la prossima. Jimmy portò i due cavalli
fuori, salirono in sella e partirono. Jimmy conosceva la strada. Tagliò per
prati, paludi e boschi radi, in modo da far perdere le proprie tracce.
Cavalcarono tutta la notte. Alle prime luci dell’alba
Mancino seppe che era al sicuro. Pensò allo spagnolo sulla nave, quello che
chiamavano Philip. Gli augurò di riuscire a scappare. E poi decise che non
avrebbe mai più pensato a quella nave di merda. In culo a Barbanera ed a
tutta quella ciurma. UN ALTRO UOMO IN MENO
Il mattino dopo, Felipe
aspettava la barca, scrutando il mare in direzione di Bathtown. Voleva vedere
se Mancino sarebbe tornato con gli altri. Più pensava al suo saluto, più era
sicuro che intendesse scappare. Felipe sperava che ci fosse riuscito, anche
se avrebbe perso l’unica persona che gli ispirasse un minimo di fiducia e di
simpatia. La barca rientrò molto
tardi, quasi a mezzogiorno, mentre avrebbe dovuto essere di ritorno di prima
mattina. Sulla barca erano solo in tre: Mancino non era con loro. Felipe fece
fatica a nascondere la sua allegria. Perché i visi torvi di Mano-di-ferro e
Tre-coglioni ed il pallore di Spugna dicevano che Mancino era davvero scappato,
che loro non erano riusciti a fermarlo. Davanti a Barbanera,
Spugna raccontò tremando che lui e Mancino erano andati a fare rifornimento
di rhum, ma, mentre lui beveva un bicchiere per sincerarsi che il liquore
fosse di buona qualità, Mancino se n’era andato dicendo che doveva pisciare.
Non era più tornato. Lo sguardo di Barbanera
avrebbe raggelato il sangue nelle vene a chiunque. - Le giuro, comandante,
che è andata così. Ho bevuto solo un bicchierino. - Merda, Spugna, ti sei
ubriacato e non ti sei accorto che quello ti faceva fesso. - No, comandante, no, le
assicuro. Spugna tremava come una
foglia, anche se era grande e grosso. - E voi due, che avete da
dire? Spugna guardò
Mano-di-ferro, lanciandogli un’occhiata supplichevole. Ma Mano-di-ferro non
lo guardò neppure, mentre rispondeva: - L’abbiamo trovato
addormentato all’osteria. Quando l’abbiamo svegliato, quasi non si reggeva in
piedi. Felipe maledisse
mentalmente Mano-di-ferro, anche se non provava nessuna simpatia per Spugna. Tre-coglioni confermò le
parole di Mano-di-ferro. Barbanera mollò un
terribile ceffone a Mano-di-ferro, facendolo cadere a terra, ed un calcio
alle parti basse di Tre-coglioni, che si piegò in due dal dolore. Felipe si
disse che se quel colpo era davvero andato a segno, Tre-coglioni avrebbe
perso il suo soprannome. Forse lo avrebbero chiamato Un-coglione o
Mezzo-coglione. Vedere quei due a terra non gli dispiaceva per niente: erano
due luridi figli di puttana. E poi era meglio che Barbanera si sfogasse un
po’: non voleva finire come quella volta del fallito inseguimento. Ne portava
ancora i lividi. Dopo aver guardato i suoi
due uomini a terra, Barbanera sputò e diede loro le spalle. Poi tirò fuori il
coltello e si avvicinò a Spugna. A Felipe passò la voglia di scherzare. Intuiva
che lo spettacolo che stava per vedere non doveva essere divertente. No, per
niente. Tutti gli uomini si erano
allontanati da Spugna, che cadde in ginocchio, tremando. - Comandante, la prego,
comandante, no, comandante. Barbanera appoggiò la lama
del coltello sul collo di Spugna, dove l’arteria pulsava. - E tu saresti un pirata?
Te la fai sotto come un poppante. Barbanera aveva ragione:
terrorizzato da Barbanera, Spugna aveva perso il controllo degli sfinteri.
Aveva i pantaloni bagnati e l’odore di merda riempiva l’aria. - Comandante, comandante… Spugna stava piangendo.
Felipe provò disgusto per quel vigliacco, sempre pronto a denunciare gli
altri, ma anche pena. - Non meriti neanche il
coltello. Barbanera si infilò il
coltello nella cintura e con la mano destra afferrò il collo di Spugna.
Cominciò a stringere e sul viso di Spugna comparve una smorfia di terrore.
Afferrò con entrambe le mani il polso di Barbanera e cercò disperatamente di
allontanare la mano che lo soffocava, ma la presa di Barbanera era d’acciaio.
Spugna stava diventando
paonazzo ed un tremito lo percorreva. Gli occhi sembravano voler uscire dalle
orbite. La bocca era spalancata, ma l’aria non entrava più. Di colpo, ogni resistenza
cessò, le braccia ripiombarono inerti ed il corpo si afflosciò, sostenuto
solo dalla stretta di ferro di Barbanera. Barbanera sollevò il
cadavere, sempre tenendolo solo con la destra, e senza sforzo apparente lo
issò oltre la murata e lo lasciò cadere in acqua. Poi si voltò verso i suoi
uomini. La sua rabbia non si era placata con la morte di Spugna e Felipe
pensò che ne avrebbero fatto tutti le spese, lui per primo. Per sua fortuna c’era una
grande novità. |