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   1. Parte
  I - Barbanera 
 IN VISTA DEL NUOVO MONDO Felipe dormì male e si
  svegliò presto, benché il mare fosse abbastanza tranquillo: come tutti era
  eccitato al pensiero di avvistare terra, dopo tanti giorni di viaggio. I
  marinai avevano detto che probabilmente la costa dell’America sarebbe stata
  visibile fin dal primo mattino e Felipe, appena capì che l’alba era vicina,
  decise di salire in coperta.  Era ancora notte e nel
  cielo si vedevano sprazzi di stelle, tra le macchie scure delle nubi, ma ad
  oriente il cielo era già di un blu più chiaro. Felipe guardò verso occidente,
  ma nel buio era impossibile distinguere alcunché. Rimase un po’ con gli occhi
  puntati nel nero pece, poi ci rinunciò e volse nuovamente lo sguardo nella
  direzione opposta: ad oriente appariva una striscia biancastra e lentamente
  anche il cielo sulla sua testa si stava trasformando in un manto di un
  azzurro cupo, in cui le stelle si facevano sempre più pallide. Stava per
  sorgere il sole.  Impaziente Felipe guardò
  ancora verso occidente, ma non riuscì a vedere nulla. Percorse una parte del
  ponte ed andò a mettersi il più vicino possibile alla prua. La nave Queen
  Sophia avanzava veloce, spinta da un vento abbastanza favorevole e
  sostenuto, ma non burrascoso: condizioni ideali per la navigazione, a
  differenza della prima settimana di traversata, quando le tempeste avevano
  sbatacchiato il vascello come un’assicella e tutti avevano più volte temuto
  per la propria vita. Tutti, salvo lui: allora a
  Felipe l’idea di morire non pesava. Un tempo aveva desiderato la morte, che
  lo avrebbe riunito a tutta la sua famiglia, e solo la promessa fatta un tempo
  a suo padre gli aveva impedito di uccidersi. La promessa fatta a suo padre ed
  il pensiero di Luís. Poi, con il passare degli
  anni, il dolore acuto si era trasformato in una sofferenza profonda, che
  abitualmente rimaneva nascosta sotto la superficie. Bastava però un nulla,
  una parola, un’associazione di idee, un ricordo improvviso, perché quella
  sofferenza salisse, superasse ogni argine e lo sommergesse. Così era in quel momento,
  ora che stava per raggiungere l’America. Era stato suo padre a decidere che
  lui avrebbe dovuto andare in America e cercare di costruirsi una vita in quel
  continente. E lui era partito.  Era riuscito ad imbarcarsi
  su una nave inglese, quattro anni prima, con l’intenzione di raggiungere
  Londra, per poi cercare un passaggio per il Nuovo Mondo, ma a Londra era
  stato derubato di tutti i suoi averi e si era ritrovato da solo, senza
  denaro, in una città sconosciuta, senza neppure conoscere l’inglese. Aveva sedici anni e
  nessuna esperienza di lavoro. Lavorare, lui, un Llera di Barbastro,
  antichissima nobiltà catalana. In quanto nobile possedeva una buona cultura,
  sapeva cavalcare ed usare le armi. Conosceva lo spagnolo, il francese, il
  catalano, il latino e qualche parola di italiano: tutto molto utile a Londra! Il ricordo delle sue
  peregrinazioni alla ricerca di un lavoro a Londra ora lo faceva sorridere, ma
  era un sorriso amaro. Era stato sul punto di mettersi a mendicare e più di
  una volta aveva pensato di mancare alla promessa fatta a suo padre e di
  uccidersi.  In quell’osteria di infimo
  livello in cui infine aveva trovato lavoro, con un salario che gli permetteva
  appena di sopravvivere, si era detto che non aveva senso continuare così e
  che tanto valeva farla finita. Poi aveva sentito la conversazione di quel
  gruppo di spagnoli.  Si avvicinava sempre ai
  tavoli dove qualcuno parlava spagnolo. Cercava di sentire brandelli di
  conversazione, sperava di avere notizie del suo paese. E così era stato. Un
  giorno aveva sentito due marinai spagnoli che parlavano con un uomo, il
  servitore di qualche signore. Felipe si era chiesto che cosa faceva in quella
  bettola un uomo che aveva un lavoro decente ed una dignità da difendere.
  L’aveva capito più tardi: ne finivano tanti, in quel quartiere malfamato,
  alla ricerca di carne per soddisfare le loro voglie. Carne di tutti i tipi e
  per tutti i gusti, per quattro soldi. Il quartiere offriva di tutto e bastava
  avere due monete per procurarselo. Felipe aveva visto madri vendere i figli
  ancora bambini per pagarsi una serata all’osteria. Quella sera aveva sentito
  l’uomo nominare i Llera e si era subito avvicinato. - Li hanno fucilati tutti,
  compreso il ragazzo. Felipe non aveva compreso,
  aveva pensato di essersi sbagliato. Non c’era nessun ragazzo tra i suoi
  familiari: i suoi due fratelli avevano dieci anni in più di lui e l’unico
  cugino maschio era il bimbo che suo zio aveva messo in salvo in Francia, se
  era riuscito ad arrivarci. I fucilati erano suo padre, i suoi due zii, i suoi
  due fratelli e due cugini del padre. Il pensiero di quella
  morte gli aveva dato una tale fitta che aveva dovuto appoggiarsi al tavolo.
  L’uomo l’aveva notato ed aveva detto: - Un ragazzo che doveva
  avere l’età di questo qui, ma che ha affrontato la morte con coraggio, da
  vero Llera. Quella era gente con i coglioni, anche quel ragazzo, un bel
  ragazzo, con una piccola cicatrice sulla guancia. E di colpo Felipe aveva
  capito chi era quel ragazzo: Luís, il figlio del maggiordomo di suo padre!
  Aveva quattro figli ed il minore aveva esattamente la sua età. In qualche
  modo suo padre aveva convinto il maggiordomo a fare quello scambio, se non
  era stato il maggiordomo stesso, nella sua totale dedizione, a proporlo. Suo
  padre non gli aveva detto nulla, sospettando che Felipe avrebbe rifiutato di
  salvare la propria vita a spese di un altro. Felipe era rimasto
  paralizzato al pensiero di quello scambio orrendo e solo il contatto di una
  mano, che si era posata sulla sua, lo aveva scosso dal suo torpore. - E tu, ragazzo, che ne
  diresti di guadagnare una bella moneta d’argento? L’uomo gli aveva stretto
  il polso con la destra, mentre nella sinistra mostrava una moneta luccicante. Felipe aveva capito ed una
  rabbia cieca lo aveva invaso. Aveva liberato la mano con uno strattone e si
  era scagliato sull’uomo, gettandolo a terra. Gli si era seduto sopra e gli
  aveva stretto le mani intorno al collo. Non si era reso conto di quello che
  stava facendo, aveva soltanto provato il desiderio irrefrenabile di uccidere
  quell’uomo.  I clienti dell’osteria
  erano intervenuti, ma solo quando uno aveva rotto la brocca sulla testa di
  Felipe, questi, stordito e sanguinante, aveva lasciato la presa.  Felipe era stato gettato
  in mezzo alla strada ed aveva perso il lavoro. Per due giorni aveva vagato,
  ossessionato dal pensiero di Luís, morto perché lui potesse salvarsi. Aveva
  pensato di lasciarsi morire di fame, poi si era detto che Luís era morto per
  salvarlo e che non aveva il diritto di rendere vano quel sacrificio. Dopo l’osteria era
  riuscito a trovare lavoro in una locanda meno squallida. Qui la sua
  conoscenza delle lingue era stata notata da un gentiluomo, che lo aveva preso
  al suo servizio perché insegnasse il francese e lo spagnolo a suo figlio. Nella dimora di lord
  Stonefence aveva ritrovato un ambiente simile a quello che aveva lasciato in
  Spagna, ma non poteva rimanere in Inghilterra per tutta la vita. Aveva
  giurato a suo padre che avrebbe cercato di raggiungere l’America spagnola e
  che si sarebbe creato una famiglia, per continuare la loro stirpe. Così
  aveva, faticosamente, messo da parte di che pagarsi un passaggio ed era
  partito. I ricordi lo avevano
  assorbito completamente e quando riemerse dal suo torpore si accorse che il
  cielo era più chiaro. Guardò ancora nella direzione in cui si muoveva la nave
  e gli parve di distinguere una linea più scura contro il cielo, che
  finalmente stava cambiando colore anche a occidente. No, non si stava
  sbagliando. Quella era la costa dell’America. Quel giorno avrebbero navigato
  lungo la costa ed il giorno dopo sarebbero sbarcati a Norfolk, nelle colonie
  inglesi. Qualcuno si avvicinò.
  Felipe si voltò. Era il signor Redbrick. Anche lui guardava verso occidente.
  Lo vide sorridere. - L’America!  Felipe annuì. Non gli era
  simpatico il signor Redbrick: passeggero ricco, comodamente alloggiato nella
  sua cabina, lo trattava con una familiarità che gli dava fastidio. Lui era
  povero, viaggiava nei posti meno costosi, ma non era un servitore di
  Redbrick. - Finalmente rivedrò la
  mia famiglia. L’angoscia lo assalì di
  nuovo, ma Felipe cercò di resistere. Si sforzò di concentrarsi su quello che
  doveva fare. Se l’era detto mille volte, durante il viaggio. Sapeva che la
  vita per lui non sarebbe stata facile. Nessuno lo aspettava, non conosceva
  nessuno e possedeva ben poco, forse neppure di che pagarsi un passaggio
  all’Havana. Possedeva anche documenti falsi, in cui risultava il suo vero
  nome, ma i dati relativi alla nascita erano stati alterati, in modo che
  nessuno potesse collegarlo ai Llera di Barbastro.  Che cosa avrebbe fatto?
  Cercare un passaggio subito era rischioso: avrebbe speso tutto il denaro che
  possedeva e sarebbe arrivato a Cuba senza nulla. Era più saggio trovare lavoro
  in una locanda o in un’osteria: una soluzione provvisoria, che gli avrebbe
  consentito di studiare la situazione ed individuare il modo meno costoso di
  arrivare a Cuba. Magari sarebbe riuscito a trovare lavoro su una nave diretta
  nell’isola. E poi… E poi il futuro era nelle mani di Dio. Che evidentemente aveva
  altri progetti. UNA NAVE SI AVVICINA 
 La voce di Redbrick lo
  scosse. Nelle parole dell’uomo d’affari sentì vibrare la paura. - Felipe, che cos’è quella
  macchia bianca laggiù? Redbrick era spaventato.
  Con il braccio indicava una nave in lontananza ed il braccio tremava, come la
  voce. - È una nave, signor
  Redbrick. Felipe non capiva. Che
  cosa c’era di strano? Avevano già incontrato altre navi nei giorni precedenti
  ed ora che erano vicini alla costa sicuramente ne avrebbero trovate
  parecchie. - Che Dio ci protegga. - Perché? Che cosa la
  preoccupa? Redbrick si volse verso di
  lui, esasperato dal fatto che Felipe non capisse. - Ma Felipe, non ti rendi
  conto? Questa costa è infestata dai pirati. Quella potrebbe essere una nave
  pirata. Felipe alzò le spalle.
  Certo, di pirati e corsari si parlava molto. Nei due anni in cui a Londra
  aveva lavorato all’osteria ed alla locanda, ne aveva sentito raccontare le
  imprese molte volte ed alcune lo avevano affascinato. Anche sulla nave se
  n’era parlato, spesso, con un misto di curiosità e timore. Felipe sapeva
  tutto dello spietato Barbanera, che spesso viaggiava con il demonio;
  dell’audace Testapelata, tanto coraggioso quanto generoso; dell’infame
  Gallego, la cui nave seminava il terrore nei Caraibi. Se in quel momento
  qualcuno gli avesse detto che avrebbe avuto modo di conoscerli molto da
  vicino tutti e tre, probabilmente Felipe, per quanto coraggioso e poco
  attaccato alla vita, sarebbe rabbrividito. 
   Ma per il momento gli
  unici pirati che aveva visto in vita sua erano il capitano Dolzell e due dei
  suoi uomini e quelli non apparivano minacciosi, no, per nulla: appesi sul
  molo delle esecuzioni a Londra, quasi tre anni prima, avevano ballonzolato un
  po’ prima di tirare le cuoia e poi erano rimasti a marcire per giorni e
  giorni, preda dei corvi e dei vermi. In realtà, quando lavorava
  nell’osteria, doveva aver visto qualche pirata, in incognito: giravano certe
  facce da galera, con i corpi segnati da cicatrici di ogni genere, spesso
  privi di un occhio, del naso, di qualche dito o di un’orecchio. Più d’uno si
  era anche dimostrato interessato a lui ed aveva cercato di portarselo a
  letto, ma Felipe aveva sempre fatto lo gnorri. Non che la cosa non lo
  interessasse. Sapeva benissimo quali erano i suoi gusti, fin da quando, a
  quindici anni, aveva sorpreso nella scuderia lo zio Enrique che si faceva
  infilzare dallo stalliere. Lo zio si era accorto di lui e lo aveva invitato a
  partecipare: Felipe non si era tirato indietro ed aveva dato il cambio allo
  stalliere sopra lo zio. Aveva così scoperto di desiderare i maschi, di godere
  possedendoli o anche solo accarezzandoli. Ma non aveva mai accettato di farsi
  possedere e diffidava di quei pirati che giravano per l’osteria del porto.
  Una sola volta aveva avuto un rapporto con uno di loro, un ragazzo della sua
  età, senza una gamba. Il ricordo del giovane Jim lo fece sorridere, ma in
  quel momento la voce di Redbrick lo riportò al presente: - Che Dio ci protegga! Redbrick aveva certamente
  bisogno di protezione, con tutti i soldi che aveva. Sulla nave si diceva che
  finanziasse la tratta degli schiavi e che possedesse diverse navi negriere:
  lui non si sporcava le mani, lasciando fare quel lurido lavoro ai suoi
  capitani, ma si arricchiva. Probabilmente erano storie, anche quelle. Quanto
  a lui, Felipe, potevano prendergli ben poco, oltre la vita. Ma di quella non
  gli importava molto.  - Si sta avvicinando,
  Felipe! Si sta avvicinando. Era vero, la nave stava
  avvicinandosi. Felipe era in grado di scorgere meglio di prima le vele. La
  nave si muoveva in modo da incrociare la Queen Sophia. Brutto segno. A bordo cominciava ad
  esserci una certa agitazione. Il nocchiero aveva segnalato la presenza della
  nave ed i marinai cercavano di accelerare il movimento del loro battello. Ma
  il vento era solo in parte favorevole: la nave sconosciuta prendeva il vento
  assai meglio della loro e si muoveva più velocemente. Ora potevano già vederla
  piuttosto bene.  La nave non aveva una
  bandiera, ma ad un certo punto venne issata. Era una bandiera nera, con uno
  scheletro che reggeva una lancia ed un cuore sanguinante. Malgrado la sua
  indifferenza alla vita, Felipe sentì un brivido corrergli lungo la schiena.  Avrebbe venduto cara la
  pelle. Altro non poteva fare. L’ARREMBAGGIO Altri avevano visto la
  bandiera e tra i marinai della nave c’era molta agitazione. Anche diversi
  passeggeri erano saliti sul ponte ed il panico si era rapidamente diffuso:
  una donna era svenuta, altre avevano cominciato a pregare. Un mercante di
  pelli imprecava ad alta voce contro la sua sfortuna ed uno scozzese nerboruto
  cominciò a bestemmiare.  Il capitano aveva dato
  alcuni ordini ai marinai, poi aveva intimato a tutte le donne di ritornare
  sotto coperta. Gli uomini vennero invitati ad armarsi ed a prepararsi alla
  difesa della nave. Redbrick sgattaiolò via
  insieme ad altri, che finsero di assentarsi solo per accompagnare le loro
  mogli e figlie, ma non fecero più ritorno. Anche lo scozzese scese sotto
  coperta, ma ritornò poco dopo. Si era tolto la giacca ed era rimasto con la
  camicia, di cui aveva rimboccato le maniche. Aveva una pistola ed una spada e
  si piazzò sul ponte, a braccia conserte, fissando la nave pirata.              Felipe lo guardò. Era un
  bell’uomo, con i capelli rossi che gli scendevano fino al collo, una fitta
  barba che portava corta ed un viso lentigginoso in cui spiccavano due occhi
  di un azzurro molto intenso. Era molto alto, più di qualunque altro uomo sulla
  nave, ed aveva un corpo vigoroso. Le braccia, coperte da un velo rossiccio,
  erano due colonne e le mani dalle grandi dita dovevano avere una forza
  poderosa. Felipe si disse che contro
  i pirati la forza di quell’uomo non sarebbe servita a molto. Erano in pochi
  sul ponte, i passeggeri erano scomparsi quasi tutti ed anche tra i marinai
  era evidente che il desiderio di scamparla era più forte di quello di
  difendere la nave. Per loro i pirati potevano prendersi i bagagli dei
  passeggeri, le donne, i ragazzi: purché loro potessero portare a casa la
  pelle. Felipe sentì la rabbia
  assalirlo, poi si disse che forse quei marinai avevano una famiglia, una
  madre, una moglie, dei figli che li aspettavano. Che la loro vita era cara a
  qualcuno. Forse avevano ragione. Quanto a lui, sarebbe morto senza che
  nessuno, assolutamente nessuno, potesse sentire la sua mancanza o soffrire
  per la sua morte. Ora la nave viaggiava al
  massimo della sua velocità, cercando di sfuggire al destino che la
  minacciava, ma era perfettamente inutile. La nave pirata era molto più veloce
  e la distanza tra i due velieri andava continuamente diminuendo. Ormai si potevano vedere
  gli uomini sul ponte dell’altra nave ed un grido di terrore si alzò tra i
  marinai. In piedi davanti a tutti gli altri, grande e minaccioso, stava un
  uomo con un’immensa barba nera e lunghi capelli neri. Felipe capì, come tutti
  gli altri, e si sentì gelare. Uno dei marinai cadde in ginocchio: - È Barbanera. Siamo perduti. I marinai guardarono il
  capitano. Felipe vide che era impallidito.  - Venderemo cara la nostra
  pelle!     Felipe guardò gli uomini
  intorno a lui. Pochi avrebbero combattuto. Erano terrorizzati. Solo lo
  scozzese non batté ciglio e rimase con le braccia conserte a fissare la nave
  che si avvicinava. La nave arrivò di fianco a
  loro. Da sotto il cappello di Barbanera si alzavano due volute di fumo e
  Felipe si chiese se quell’uomo fosse davvero, come si diceva, il diavolo. La
  sua voce, una voce forte e profonda, ma roca per il troppo rhum bevuto,
  risuonò terribile: - O vi arrendete subito, o
  morirete tutti. I marinai erano
  paralizzati, ma il capitano reagì. - Forza, vigliacchi,
  difendete il vostro onore. Puntò la pistola e sparò
  ed insieme a lui sparò anche lo scozzese. L’uomo alla destra di Barbanera
  lanciò un urlo e cadde, una pallottola in fronte, ma nessuno dei marinai si
  mosse e Felipe non aveva la pistola. I pirati scaricarono le
  loro pistole, colpendo tre marinai ed il capitano, che venne ferito ad un
  braccio. Poi lanciarono i ganci per unire le due navi e si slanciarono sulla Queen
  Sophia, senza incontrare resistenza, se non quella di Felipe e dello
  scozzese. Due pirati si avventarono
  sullo scozzese, che sguainò la spada e con un colpo violento disarmò il primo
  avversario e gli infilò la lama nel fegato. L’altro pirata cercò di colpirlo
  mentre la lama era bloccata nel corpo del suo compagno, ma lo scozzese si
  girò ed il colpo del pirata trafisse l’uomo ferito, poi estrasse la spada e
  la infilò nel ventre del secondo pirata. Altri tre uomini gli furono addosso,
  ma Felipe non poté seguire la scena, perché doveva difendere la sua vita. Felipe sapeva usare bene
  la spada, ma i pirati erano in tre e per Felipe era impossibile parare tutti
  i loro colpi. Ferì un uomo ad un braccio e ne uccise un altro con un colpo al
  cuore. Altri pirati si scagliarono su di lui e lo costrinsero ad arretrare. I
  suoi piedi inciamparono in una corda arrotolata e Felipe cadde a terra. Un
  pirata si scagliò su di lui, ma Felipe parò il colpo ed immerse la spada
  nello stomaco dell’uomo. L’uomo cadde su Felipe e la lama gli uscì dalla
  schiena. Felipe si liberò del corpo, ma non riuscì ad estrarre la spada. Un altro pirata davanti a
  lui alzò la sciabola, impugnandola con entrambe le mani, e si preparò a
  vibrare un fendente che avrebbe staccato la testa di Felipe dal collo. Una voce potente risuonò
  in quel momento. - Fermati, Gamba-corta! L’uomo si volse verso il
  suo capitano: era stato Barbanera in persona a parlare. - Quello lo voglio vivo.
  Mi piacciono gli uomini che hanno fegato. A Felipe il ghigno con cui
  Barbanera aveva pronunciato la battuta non piacque, proprio per niente, ma
  nella sua situazione non poteva certo lamentarsi che Gamba-corta fosse stato
  fermato. Felipe lanciò un’occhiata
  tutt’intorno. I pirati si erano impadroniti della nave e solo lo scozzese
  resisteva ancora. Attorno a lui c’erano i corpi di quattro pirati, ma l’uomo
  era stato ferito alla spalla ed al torace. La camicia era ridotta a brandelli
  e dalla spalla e dal taglio che aveva lacerato un capezzolo scendeva un
  fiotto di sangue che inzuppava i lembi della camicia ed i pantaloni. Il viso
  dell’uomo, su cui gocciolava il sudore, era stravolto dallo sforzo, ma la sua
  difesa era inutile. Un pirata gli calò la spada sul braccio e lo scozzese
  perse la propria arma, mentre altro sangue sgorgava a fiotti dalla nuova
  ferita.   L’uomo ora era inerme. Felipe vide che uno dei pirati, un uomo basso e tarchiato, gli si avvicinava. Il pirata era a torso nudo ed aveva braccia, torace e schiena ricoperti da un vello nero. Ghignava, la spada in mano, davanti all’uomo disarmato. Quando fu davanti allo scozzese, gli puntò la spada sull’ombelico. Lo scozzese lo fissò senza mostrare paura. Il pirata immerse lentamente la spada, godendosi gli spasimi di sofferenza nel volto dello scozzese. Quando ebbe immerso la spada di un palmo, l’estrasse con un movimento brusco. Lo scozzese si afflosciò contro il corpo del pirata. Questi prese il corpo, lo sollevò e lo gettò in mare. Dai pirati si alzò un
  urlo: - Bravo, Tre-coglioni! Il pirata si voltò
  trionfante verso i compagni, che lo applaudivano.   IL BOTTINO 
 La voce di Barbanera
  riportò tutti ai loro compiti. - Avanti, portate tutti
  qui. In un attimo i pirati
  scesero sotto coperta e risalirono trascinando con sé i passeggeri
  terrorizzati. Guardavano sgomenti i corpi dei pirati morti, il capitano
  ferito, Felipe a terra, sotto la minaccia di una spada.         - Consegnate tutto quello
  che avete, se non volete finire infilzati. La voce di Barbanera
  sarebbe stata persuasiva anche senza le armi spianate che minacciavano i
  passeggeri. Tutti consegnarono quello che avevano addosso, mentre altri
  pirati ritornavano dalle cabine portando ciò che avevano trovato. In quel momento uno dei
  pirati lanciò un urlo. - Due navi militari. Barbanera apparve
  contrariato, ma non spaventato. - Merda! Muovetevi a
  trovare quello che vale la pena di prendere. E tu, figlio di puttana, perché
  hai sorriso? La frase era rivolta al
  signor Badwall, un ricco uomo d’affari di Boston. L’uomo impallidì. - Io? Io non ho sorriso. - Figlio di una puttana
  merdosa e di un caprone, vuoi dirmi che mento? Barbanera alzò il braccio
  e puntò la pistola contro l’uomo. Badwall divenne ancora più bianco.
  Balbettò: - No…io…io… La pallottola lo prese
  esattamente in mezzo alla fronte. L’uomo cadde a terra senza un gemito. - Capitano, abbiamo
  raccolto tutto, solo nella cabina di questo pezzo di merda non c’era nulla. Il pezzo di merda era Redbrick,
  che si gettò in ginocchio davanti a Barbanera. - Non ho nulla, giuro, non
  ho nulla. - Hai frugato bene tra la
  roba di questo cagasotto? Il pirata annuì. - Sì! Non c’è niente! - Niente, allora tanto
  vale farlo fuori subito. Barbanera alzò la spada e
  Redbrick lanciò un urlo. - No, no, ho del denaro.
  Molto denaro. E gioielli. Barbanera lo afferrò per
  la gola con la sinistra e Felipe vide la faccia di Redbrick deformarsi nello
  sforzo di respirare. - Dov’è che stanno? Redbrick continuava ad
  ansimare e, nonostante gli sforzi, non riusciva a parlare. Barbanera dovette
  allentare un po’ la stretta. Il poveretto riuscì a spiccicare: - Nel baule, nel doppio
  fondo del baule. Barbanera si rivolse
  all’uomo che aveva frugato nella cabina di Redbrick. - Porta qui il baule. Barbanera mollò Redbrick,
  che cadde come un sacco sul ponte e chiuse gli occhi, portandosi la mano alla
  gola. L’uomo tornò con un
  pesante baule. - Non c’è niente,
  capitano, niente. Rovesciò sul ponte il
  contenuto del baule: abiti, biancheria e cianfrusaglie varie. - Taci, coglione! Barbanera mollò un
  vigoroso calcio al fondo del baule, che si spaccò. Dal doppio fondo uscirono
  alcuni sacchetti. Barbanera ne prese uno, lo aprì e ne rovesciò il contenuto:
  una massa di monete d’oro si sparse per il ponte. - Non c’è niente, eh,
  coglione? L’uomo era pallido come
  uno straccio. - Mi spiace, capitano,
  perdono. Io… Non finì la sua frase.
  Barbanera aveva puntato la pistola e con un colpo preciso gli trapassò la
  fronte. Felipe pensò che colpiva sempre in fronte, gli doveva piacere vedere
  il buco rosso. L’uomo girò su se stesso,
  ondeggiò un attimo, poi cadde stecchito. Barbanera si rivolse a
  Redbrick. - Quanto a te, lurido
  figlio di puttana, ti meriteresti che ti tagliassi a pezzetti per aver
  cercato di toglierci il frutto della nostra giornata, ma non abbiamo tempo da
  perdere.  Barbanera si rivolse ai
  suoi uomini. - Voi due, spogliatelo.
  Intanto, voi, portate il bottino sulla nave. In quattro e quattr’otto
  Redbrick si ritrovò nudo come un verme. Tremava e supplicava, ma Barbanera lo
  prese per il collo, lo gettò su alcuni sacchi che stavano sul ponte, lo mise
  a pancia in giù e lo tenne fermo facendo pressione sulla nuca. - Adesso sentirai il cazzo
  di un pirata. Felipe si chiese se
  davvero Barbanera avrebbe violentato il povero Redbrick, che a quel punto gli
  faceva pena.  Barbanera infilò la punta
  della pistola in culo al malcapitato. - No, no! Ti… Redbrick non fece in tempo
  a finire la frase. Lo sparo risuonò. Redbrick lanciò un urlo lacerante,
  portando le mani al ventre. Barbanera lo mollò e l’uomo scivolò per terra,
  contorcendosi, mentre dal culo colava un po’ di sangue. Evidentemente Barbanera
  non colpiva solo in fronte. - Io mi prendo la mia
  preda. Via, via tutti! Con quelle parole, Barbanera afferrò Felipe e saltò sulla sua nave, che si staccò dal Queen Sophia e si allontanò rapidamente. Senza potersi opporre,
  senza neppure il tempo per rendersene conto, Felipe si trovò sulla nave di
  Barbanera, portato come un sacco sulla spalla del pirata. E per la prima
  volta, Felipe sentì il forte odore di quell’uomo. Ma la sua mente era
  altrove. Felipe pensava che stava per morire, perché certamente Barbanera lo
  portava con sé per ucciderlo, torturandolo a morte: tutti sapevano che spesso
  il terribile pirata infieriva sui prigionieri con inaudita ferocia. A TU PER TU CON BARBANERA Barbanera mollò Felipe a
  due uomini, che lo spogliarono completamente, gli legarono le mani dietro
  la  schiena e lo chiusero in una
  cabina, uscendo subito.  Nella cabina c’era un
  odore intenso, lo stesso che Felipe aveva sentito quando Barbanera lo aveva
  afferrato. Era un odore che prendeva alla gola. Felipe era abituato a tutti
  gli odori: non erano tempi in cui la gente si lavasse molto ed i
  frequentatori delle bettole di Londra non profumavano certo di lillà. Su una
  nave che attraversava l’Atlantico, poi, la pulizia era quello che era.  Ma l’odore che sentiva era
  di un tale vigore da rendere difficoltoso il respiro: era odore di sudore, un
  sudore acre, di uomo che fa un’attività fisica intensa e non si cambia, non
  si lava; era un pungente odore di piscio, come se la stanza fosse stata usata
  come latrina; era, meno forte, un miscuglio di zolfo, di tabacco, di merda;
  più di tutto era odore di maschio, di sborro profuso in abbondanza, come se
  decine di maschi in calore avessero sparso il loro seme da poco.  Felipe si sollevò da terra
  ed analizzò la situazione. Era in una cabina, arredata con semplicità, con
  un’unica cuccetta. Era relativamente grande, quindi doveva essere quella del
  capitano, cioè di Barbanera. Mentre si guardava intorno, cercando di capire
  come avrebbe potuto liberarsi dalle corde, Felipe si chiese che cosa poteva
  fare. Non molto, certamente: anche se si fosse liberato, lo avrebbero ripreso
  non appena avesse messo il naso fuori dalla cabina. Anche se avesse trovato
  un’arma, - non ne vedeva, ma probabilmente ce n’erano - si sarebbe solo fatto
  ammazzare. A meno di riuscire a lanciarsi in acqua. Anche in questo caso
  però, le probabilità di arrivare alla Queen Sophia erano minime: gli
  avrebbero sparato prima che riuscisse a buttarsi o lo avrebbero colpito in
  acqua. Ed anche se fosse sfuggito ai colpi, ci avrebbero pensato gli squali.
  O sarebbe morto annegato.  Avrebbe però potuto
  cercare un’arma ed attendere Barbanera, per ammazzarlo non appena fosse
  arrivato: sì, questo avrebbe fatto. Gli altri pirati lo avrebbero fatto a
  pezzi, ma almeno avrebbe liberato il mondo da quel …  Non ebbe il tempo di
  completare le sue riflessioni, né tanto meno di liberarsi dalle corde e di
  cercare un’arma: Barbanera entrò dopo un minuto. Una zaffata di quell’odore
  che impregnava la cabina lo assalì. Barbanera lo guardò e ghignò. - Mi piacciono gli uomini
  che hanno fegato. Godo molto di più quando li inculo. Con il suo coltello
  Barbanera tagliò la corda che legava le mani di Felipe. Era più alto di lui
  di una spanna, un vero gigante, e sembrava forte come un toro. Anche ora che
  aveva le mani libere, Felipe non aveva molte possibilità di difendersi e
  tanto meno di uccidere il pirata. Barbanera si mise la lama
  del coltello tra i denti e, senza distogliere lo sguardo da Felipe, cominciò
  a spogliarsi.  Quando si tolse la giacca
  e la camicia, emersero un paio di spalle possenti e due braccia da lottatore,
  segnate da numerose cicatrici. La folta barba nera gli ricadeva sul petto,
  coprendolo in buona parte e nascondendo altre eventuali tracce delle numerose
  battaglie in cui Barbanera si era distinto.  Quando Barbanera si sfilò
  stivali e pantaloni, Felipe rimase a bocca aperta. Sul ventre del pirata
  batteva, allarmante per dimensioni, un membro degno di un cavallo. - Quando combatto, il
  cazzo mi viene sempre duro. Per tutto il tempo. Ho bisogno di carne fresca,
  dopo. Felipe si dispose a
  lottare, ma si rendeva conto che era perfettamente inutile. Quell’uomo era in
  grado di spezzarlo come un fuscello. Barbanera lo afferrò,
  bloccandogli le braccia, lo sbatté sulla cuccetta e lo voltò senza nessuno
  sforzo. Probabilmente non si accorse nemmeno che Felipe cercava di liberarsi.
  Gli si stese addosso e Felipe si ritrovò schiacciato contro il pagliericcio. Qui l’odore che impregnava
  la stanza era ancora più intenso.  Felipe sentì la mano di
  Barbanera che gli passava tra le natiche, lasciando una traccia umida. Due
  dita bagnate forzarono l’apertura del culo ed a fatica Felipe soffocò il
  gemito che gli venne alle labbra. Cercò di scrollarsi di dosso il corpo che
  lo inchiodava al pagliericcio, ma il gigante pesava un quintale. Un mano si
  appoggiò sul suo collo, bloccandolo. Poi un’altra sensazione
  cancellò il dolore della stretta intorno al collo, del peso che lo
  schiacciava, dell’odore acre di maschio. Una massa calda si apriva la strada
  tra i suoi fianchi, forzando l’ingresso, lacerando e dilaniando: un dolore
  violento esplose nel culo di Felipe e dalla sua bocca uscì un grido
  soffocato. Barbanera rise ed urlò,
  anche se la sua bocca era vicina all’orecchio di Felipe: - Un cazzo così non l’hai
  mai provato! Barbanera dava una spinta
  e poi si fermava, ritraendosi un po’, e ad ogni spinta il dolore sembrava
  moltiplicarsi. Felipe non riusciva a tollerare quella spada che gli apriva le
  viscere, ma non poteva liberarsi dalla stretta. Le sue contorsioni, i suoi
  sforzi disperati per sfuggire al palo, sembravano eccitare ancora di più Barbanera,
  che rideva ed immergeva l’arma. Barbanera non sembrava
  avere fretta. A lungo continuò ad avanzare e Felipe si chiese se mai sarebbe
  giuntò alla fine: sembrava che la spada lo penetrasse sempre più a fondo ed
  il dolore cresceva, sommergendolo. Barbanera assaporava il
  piacere che gli procurava il corpo di Felipe e le sue mani cominciarono a
  percorrere le spalle del giovane. Ma non erano carezze: le unghie scavavano
  nella carne e le dita a tratti stringevano, martoriando la pelle. Era un
  nuovo tormento, ma, nonostante il sangue che colava, il dolore che quelle
  mani procuravano a Felipe era irrisorio rispetto a quello che saliva dal suo
  culo.  Poi Felipe sentì Barbanera
  grugnire ed improvvisamente il pirata cominciò a spingere con violenza,
  avanti e indietro. A Felipe sembrò che le viscere gli si aprissero e per un
  attimo perse coscienza. Riemerse dal buio mentre ancora Barbanera spingeva
  freneticamente, lacerandolo. Sembrava che non finisse mai. Poi di colpo il pirata
  smise di spingere e si afflosciò su di lui. Un attimo dopo Felipe lo sentì
  russare, un rombo di tuono che risuonava nelle sue orecchie. Felipe sentiva in culo il
  palo ancora piantato, ma ridotto ormai a dimensioni più tollerabili. Man mano
  che il dolore si attenuava, recuperava la lucidità e ritrovava le sensazioni.
  Il pagliericcio era bagnato. Felipe si rese conto di aver perso il controllo
  della vescica durante la violenza. Lentamente, molto
  lentamente Felipe riprese il contatto con la realtà e si sentì soffocare
  dall’odio nei confronti di Barbanera. Quell’uomo, di cui poteva sentire il
  membro ancora in culo, lo aveva violentato.  Barbanera lo schiacciava
  con il proprio peso, impedendogli di muoversi, ma Felipe aveva il braccio
  destro libero ed il coltello di Barbanera era posato ai piedi della cuccetta.
  Se fosse riuscito a prenderlo, Barbanera non si sarebbe mai svegliato: gli
  avrebbe squarciato la gola.  Tese il braccio in
  direzione del coltello. Le sue dita ora quasi toccavano la lama. Se fosse
  riuscito ad allungare il braccio ancora un po’, avrebbe potuto prendere il
  coltello. Cercò di spostarsi, avvicinandosi al bordo, ma la grande massa che
  premeva su di lui rendeva difficile il movimento. E doveva fare attenzione a
  non svegliare Barbanera.  Ora le sue dita toccavano
  il manico. Ancora un piccolo movimento… D’improvviso una morsa
  d’acciaio gli strinse la gola ed il respiro gli mancò. Barbanera gli stava
  stringendo il collo con una mano. Una mano sola, ma Felipe capì che stava per
  morire. - Che cosa credevi di
  fare? Felipe non avrebbe potuto rispondere neanche se avesse voluto: la stretta gli bloccava il fiato e la parola. Ora sapeva come si era sentito Redbrick e non era una sensazione piacevole. Si chiese se Barbanera gli avrebbe fatto fare la stessa fine: in culo non sentiva più la spranga del pirata. No, lo stava soffocando.
  Felipe non riusciva più a respirare. Con le mani cercò di allentare la
  stretta, ma era un’impresa impossibile. Emise un gemito appena udibile. Aveva
  i polmoni in fiamme. Gli sembrò che la stanza svanisse in una nebbia. Barbanera rise e di colpo
  lo mollò. Felipe aspirò rumorosamente l’aria, due, tre volte. La gola gli
  faceva male e respirava con fatica. - Hai fegato, ragazzo. Hai
  fegato ed un bel culo. Ti meriti un premio. Felipe capì qual era il
  premio. Lo capì perché contro il culo sentiva la vigorosa pressione del palo
  che con un’unica spinta violenta forzò l’ingresso, squarciandolo.  Il dolore fu ancora più
  intenso della volta precedente e nuovamente la vista gli si annebbiò. Questa
  volta però non svenne. Barbanera fece penetrare fino in fondo la sua arma e
  Felipe non riuscì a trattenere il gemito che gli premeva in gola.  Poi Barbanera estrasse
  quasi completamente l’attrezzo, lasciandone soltanto la punta. Felipe sentì
  la sensazione di dolore arretrare, mentre rimaneva solo il fastidio di quella
  pressione che allargava il suo sfintere più di quanto non fosse mai avvenuto.
   Con una rapida spinta,
  Barbanera fece un nuovo ingresso trionfale e Felipe sentì la lacerazione
  della propria carne, mentre un palo si faceva strada nelle sue viscere. Il
  palo continuava ad avanzare, martoriandogli il culo, e Felipe gemette
  nuovamente. Barbanera rise, una risata rintronante. - Ti devi abituare,
  ragazzo. Avrai modo di gustarlo, questo cazzo. Con il culo e con la bocca.  Barbanera sollevò il culo,
  estraendo lo sperone, ma immediatamente lo infilzò nuovamente. Felipe ebbe la
  sensazione di uno spiedo che lo trafiggesse e sperò soltanto di morire,
  presto, per sfuggire a quel dolore. Ma Barbanera prese a muoversi, avanti ed
  indietro, ed ogni volta che avanzava, Felipe si lamentava, prima flebilmente,
  poi più forte: non era più in grado di controllarsi, sprofondava in un dolore
  sempre più violento che saliva dal suo culo perforato ed i suoi gemiti eccitavano
  ancora di più Barbanera. Avanti e indietro, avanti
  e indietro, Barbanera spingeva e arretrava con decisione, senza smettere un
  attimo, senza lasciare un secondo di tregua a Felipe.  Dopo un tempo che a Felipe
  sembrò interminabile, le spinte divennero più violente e rapide ed allora
  Felipe urlò, un urlo scomposto, interrotto da singhiozzi, senza più ritegno.
  Disperatamente Felipe cercò di sfuggire alla spada che lo infilzava, ma il
  peso di Barbanera lo appiattiva sulla cuccetta. Sentì la scarica nella
  viscere, mentre lanciava un ultimo urlo.  Barbanera si abbandonò su
  di lui come un corpo morto e lentamente, molto lentamente, Felipe sentì che
  la spada perdeva consistenza ed il dolore divenne meno violento. Quando però Barbanera si
  alzò, estraendo il membro dal culo di Felipe, vi fu una nuova lacerazione. Con la vista annebbiata
  dalle lacrime, Felipe guardò il pirata al suo fianco. Il grande membro era
  coperto di sangue. UN ATTIMO DI PAUSA Barbanera lo sollevò e lo
  portò fuori dalla cabina. Lo depositò sul cordame e si rivolse ai suoi
  uomini: - Sistematemi questo. Felipe rimase disteso sul
  cordame, incapace di muoversi. Si chiese se l’avrebbero ammazzato e si disse
  che sarebbe stata la soluzione migliore. La sofferenza era ancora violenta e l’umiliazione
  subita lo schiacciava. Un uomo gli si avvicinò e
  lo guardò. - Allora, ti è piaciuto il
  cazzo di Barbanera? Felipe guardò l’uomo.
  Avrebbe voluto ucciderlo, ma era svuotato di ogni forza. L’uomo ghignò, poi
  riprese: - Ma eri ancora vergine?
  Alla tua età… Una voce lo interruppe: - Piantala, Topo. Lascialo
  in pace. - Sei il solito
  guastafeste, Mancino. Mancino si avvicinò. Era
  un uomo alto e magro, che non doveva avere più di venticinque anni. Aveva i
  capelli di un castano chiaro, quasi biondo, ed un viso scurito dal sole.
  Teneva in mano una bottiglietta con un liquido scuro. Si mise di fianco a
  lui, lo voltò sulla pancia, senza che Felipe riuscisse ad opporsi, e si versò
  un po’ di liquido su due dita.  - Dammi una mano, Topo.
  Aprigli il culo.     Topo si chinò su Felipe,
  poggiò le mani sulle natiche e le divaricò. Felipe ebbe un sussulto,
  ma Mancino gli parlò: - Tranquillo, ragazzo, non
  voglio farti male. È per il tuo bene, se no la ferita marcisce. Felipe non era in grado di
  reagire. Lasciò che Mancino gli infilasse due dita nell’apertura. Poi Mancino
  tolse le dita ed infilò il collo della bottiglia, versandogli il liquido in
  culo.    Raddrizzò la bottiglia,
  togliendola. - Rimani così, ragazzo.
  Cerca di tenere.  Felipe rimase disteso. Non
  sarebbe riuscito ad alzarsi neanche se avesse voluto. Era esausto. Ora però
  il dolore al culo andava attenuandosi. Non si rese conto di
  essersi addormentato. Solo quando si sentì scuotere, si svegliò di
  soprassalto. - Come va, ragazzo? Mancino era vicino a lui.
  Gli sorrideva con cordialità. Felipe si sentiva la bocca
  impastata, ma cercò di trovare le parole. - Meglio, grazie. - Ora puoi alzarti, se te
  la senti. Felipe mosse le braccia,
  intorpidite dall’aver dormito in una posizione anomala. Quando si sollevò,
  una fitta al culo gli strappò un gemito. - Ti farà male per alcuni
  giorni. Almeno per oggi e domani, devi evitare di farti inculare di nuovo. Felipe lo guardò, senza
  capire. Mancino pensava mica che avesse scelto di farsi infilzare allo spiedo
  per divertimento? Mancino colse il suo
  dubbio e proseguì: - Quando ti riprende nella
  cabina, fa’ quello che ti dice.  Felipe non aveva un’idea
  di quello che Barbanera avrebbe potuto chiedergli, ma il solo pensiero lo
  fece rabbrividire. Mancino continuò, a voce bassa. - Non puoi prendertelo
  ancora in culo. Creperesti. Una volta, un ragazzo non ce la fece a fare
  quello che Barbanera gli chiedeva. Allora lui lo inculò di nuovo. Per tre
  giorni non uscirono dalla cabina. Noi sentivamo le urla del ragazzo, sempre
  più deboli. Poi Barbanera ci chiamò perché portassimo fuori il ragazzo.
  Perdeva sangue dal culo, tanto di quel sangue che era impossibile fermarlo.
  Non ci fu verso di salvarlo. Morì dissanguato. Lo gettammo ai pescecani. Barbanera uscì in quel
  momento dalla sua cabina. Si era infilato soltanto i pantaloni e la fitta
  barba nera giungeva fino oltre la cintura, senza nascondere completamente un
  minaccioso rigonfio dei pantaloni.  Barbanera guardò Felipe e
  si rivolse direttamente a lui: - Dentro, ragazzo. Mancino gli sussurrò: - Fa’ quello che vuole. È
  meglio per te. Felipe fece un passo, ma
  una fitta al culo lo inchiodò sul posto. Non voleva dare a Barbanera e a
  nessuno dei suoi compari la soddisfazione di vederlo soffrire. Si diresse con
  passo fermo alla cabina del comandante, cercando di non dare a vedere quanta
  fatica gli costasse ogni passo.   Barbanera non distolse lo
  sguardo dalla sua faccia nemmeno un secondo. Quando Felipe fu di fianco a
  lui, sul viso di Barbanera apparve un sogghigno.  - Bravo ragazzo. Così si
  fa! Una brutale pacca sul culo
  quasi fece perdere l’equilibrio a Felipe, che si trovò proiettato nella
  cabina. Il brusco movimento e lo sforzo per rimanere in piedi provocarono una
  fitta violenta. SECONDO FACCIA A FACCIA CON BARBANERA - Bravo ragazzo. Adesso
  mettiti in ginocchio davanti a me e calami i pantaloni. Felipe esitò. Che cosa
  poteva fare? Poteva rifiutare e farsi ammazzare, va bene. Sarebbe morto senza
  essersi vendicato. Morire per morire, voleva almeno cercare di uccidere
  Barbanera. Tanto valeva cedere ed aspettare: magari gli sarebbe capitata
  un’occasione di liberare la Terra da quel maledetto. Si avvicinò a Barbanera e
  si mise in ginocchio. Sentì nuovamente, fortissima, la puzza di sudore, di
  piscio e di sborro. - Su, calami i pantaloni.  Felipe passò le mani sotto
  la barba e cominciò ad aprire la fibbia della cintura.  Quando ebbe aperto la
  fibbia, mise le mani sui fianchi del pirata e calò i pantaloni. Appena la
  verga del pirata fu libera dalla costrizione del tessuto, si protese in
  avanti e Felipe se la trovò quasi contro le labbra. L’odore di sborro divenne
  talmente forte da stordire Felipe.  Sulla cappella, di un
  colore rosso quasi violaceo, c’erano tracce di sangue. - Bene, ragazzo, ora
  passaci la lingua sopra. Felipe esitò nuovamente.
  L’idea di leccare la cappella di Barbanera lo disgustava, ma sapeva di non
  avere scelta. E la visione di quell’enorme membro aveva su di lui un effetto
  strano. Non avrebbe saputo spiegare che cosa provava, ma si sentiva turbato. - Muoviti. Felipe aprì la bocca e
  protese la lingua, fino a che toccò la cappella. Fece scorrere la punta della
  lingua due o tre volte sull’apertura. - Tutto intorno. Felipe cominciò a passare
  la lingua sulla pelle.  - Scendi giù. Felipe percorse il grande
  membro con la punta della lingua, fino ad arrivare alla base, là dove la
  pelle formava un incavo, prima di tendersi nelle due voluminose sfere.  - Leccami i coglioni. Felipe scese e sentì sotto
  la lingua la pelle più ruvida ed i peli spessi che coprivano gli attributi
  del pirata. Il pensiero di quello che stava facendo era disgustoso, eppure le
  sensazioni che la sua lingua gli trasmetteva non erano spiacevoli.  - Bene, ora prendimelo in
  bocca. Felipe rimase sgomento,
  poi aprì la bocca e si avvicinò alla grande punta. Dovette spalancare ancora
  di più la bocca per accoglierla tutta. Un’idea lo prese:
  stringere con i denti, ora, castrando Barbanera. Barbanera lo avrebbe ucciso,
  ma anche lui sarebbe probabilmente morto dissanguato e comunque non avrebbe
  più violentato nessuno.  Una mano si strinse
  intorno al suo collo, togliendogli il respiro. - Non ti fare venire idee
  strane, ragazzo. Le idee strane scomparvero
  immediatamente e Felipe si dimenticò di avere i denti. - Avanti e indietro,
  ragazzo, inghiotti e poi lasci andare.  Felipe eseguì l’ordine.
  Non gli era possibile inghiottire più di tanto, perché le dimensioni del
  piatto erano davvero eccessive, ma fece del suo meglio. - No, così non va. Non ci
  sai fare. Barbanera gli mise una
  mano sulla nuca, bloccandolo completamente e con una spinta decisa portò il
  suo ariete fino in fondo alla gola di Felipe. Poi arretrò e nuovamente
  avanzò. Ogni volta che toccava il fondo,
  Felipe si sentiva soffocare e veniva assalito da conati di vomito, ma
  l’arretrare dell’ariete gli permetteva di riprendere il fiato.   Le spinte durarono diversi
  minuti, fino a che Felipe sentì un liquido denso e vischioso riempirgli la
  bocca. Cercò di sputare, ma era ovviamente impossibile. Cominciò a tossire. - Inghiotti, testa di
  cazzo, inghiotti! Felipe cercò di farlo, ma
  ci riuscì solo in parte. Quando infine Barbanera
  ebbe finito ed estrasse il suo arnese. Felipe smise di tossire e riuscì a
  tirare nuovamente il fiato. Era paonazzo. Barbanera si sedette sul
  suo giaciglio. - Hai molte cose da
  imparare, ragazzo. Felipe non disse nulla.
  Fece per alzarsi, ma Barbanera lo bloccò: - Mettiti seduto. Facciamo
  una pausa, ma con te non ho finito. Felipe si sedette a terra. Barbanera lo guardò fisso
  e Felipe si sentì a disagio. - Nell’attacco alla Queen
  Sophia ho perso sette uomini, ti rendi conto? Sette uomini? Ed eravate in
  tre a difendervi! Felipe non sapeva che cosa
  dire. E probabilmente quello che avrebbe potuto dire, a Barbanera non sarebbe
  interessato neanche un po’. - Mio caro, non si trovano
  più uomini, con i coglioni, intendo. Il tempo dei pirati è alla fine. Ormai
  ce ne sono pochi che valgono la corda per impiccarli. A parte me medesimo e
  Testapelata, non c’è un vero pirata di qui ai mari della Cina. Ripensando a quanto aveva
  sentito, a Felipe venne da chiedere: - Ed il Gallego? - Il Gallego? Quelli della
  Black Gull sono la merda del mare, il mare li ha cagati fuori in una
  notte di tempesta dopo aver fatto indigestione di velieri e di marinai.
  Merda, nient’altro che merda! No, l’unico altro pirata che vale è
  Testapelata. Quello sì che è un maschio, con i coglioni. Barbanera proseguì: - Prima o poi vado nei Caraibi
  e lo faccio fuori. Potrei tagliarlo a pezzetti, oppure impalarlo sull’albero
  di bompresso.  - Ma non hai detto che è
  un vero pirata? - Certo! Proprio per
  quello! Di veri pirati ce ne deve essere uno solo. Non c’è posto per un
  altro. Testapelata lo scuoio vivo, come facevano i turchi, e gli mangio i
  coglioni, mentre lo guardo crepare. Ho voglia di mangiargli i coglioni. I
  coglioni di un vero maschio sono buoni. Ma sono rari. Anche tu potresti
  venire fuori con i coglioni, se non ti ammazzo prima. Prometti bene: sulla Queen
  Sophia ti sei dato da fare. Come ti chiami? - Felipe. - Felipe? Felipe?! No, è
  un nome del cazzo. Ti chiamerò Philip. Adesso vieni qui, Philip, che vediamo
  se quello che abbiamo fatto prima viene meglio. Non venne molto meglio, ma
  almeno Felipe riuscì ad inghiottire senza che gli andasse di traverso. FESTA GRANDE Quando Felipe uscì dalla
  cabina, Mancino lo accolse con un sorriso di simpatia. Felipe si mise di
  fianco a lui, in silenzio. Non aveva voglia di parlare. Si appoggiò alla
  murata e si mise a guardare verso terra, come aveva fatto quella mattina, su
  un’altra nave. Cercò di non pensare a quello che era successo. Avrebbe avuto
  tempo per pensare. Era quasi sera: il sole
  era molto basso all’orizzonte, sulla costa americana, e presto sarebbe
  scomparso in un denso strato di nuvole. La nave di Barbanera, l’Adventure,
  puntava verso nord. Osservando a babordo la striscia di terra, distante poche
  miglia, Felipe si accorse che era continuamente interrotta: non doveva essere
  la costa vera e propria, ma un cordone di piccole isole.  Il sole stava ormai
  tramontando, quando l’Adventure virò verso la terra e si infilò in una
  piccola baia, dove i pirati gettarono l’ancora.  Quella sera scesero tutti
  a terra. Qui accesero un gran fuoco e mangiarono in abbondanza, poi Barbanera
  procedette alla spartizione del bottino. Non ci furono discussioni e nessuno
  obiettò: tutti gli uomini sembravano temere Barbanera e nessuno osava
  criticare le sue decisioni. Infine Barbanera diede
  ordine di distribuire la riserva di liquore: dall’Adventure vennero
  calate almeno dodici botti, che vennero prese d’assalto dai marinai. Infatti
  dopo ogni arrembaggio riuscito tutto il liquore presente sulla nave depredata
  veniva bevuto e le provviste consumate rapidamente. In seguito si acquistava
  ciò che l’arrembaggio non aveva fornito. Felipe aveva lavorato in
  un’osteria, ma di rado aveva visto qualcuno bere tanto quanto i pirati dell’Adventure:
  molti si attaccavano alle botti e bevevano senza smettere, senza neppure
  tirare il fiato. Ben presto furono tutti
  talmente ubriachi da far fatica a stare in piedi. Crollavano distesi sulla
  spiaggia, nelle posizioni più assurde, e quando si risvegliavano riprendevano
  a bere. La grande festa andò
  avanti per tre giorni, durante i quali l’Adventure rimase ancorata
  nella baia. Camminare sulla spiaggia significava scavalcare corpi distesi ed
  era difficile vedere qualcuno in grado di reggersi in piedi senza ciondolare.
  Il secondo giorno, i pirati erano tanto ubriachi, che alcuni non si
  preoccupavano nemmeno di slacciarsi i pantaloni per i loro bisogni: molti
  giacevano in pozze di piscio e quando si avvicinava, talvolta Felipe sentiva
  l’odore di vomito e di merda. Tutti pensavano solo a bere. Tutti, tranne Barbanera.
  Barbanera beveva quanto gli altri, anzi: molto di più. Ma rimaneva
  perfettamente saldo sulle sue gambe e non pensava solo a bere. Il mattino,
  quando si svegliava, chiamava Felipe ed iniziava regolarmente la giornata
  dandogli da bere (non rhum, ovviamente) almeno tre volte. Poi gli ricordava
  che presto avrebbero ripreso a darsi da fare sul serio e lo mandava via. Fino
  al giorno dopo non si occupava più di lui. La sera del terzo giorno
  di festa, dopo altre colossali bevute, Barbanera guardò i suoi uomini stesi
  ovunque sulla sabbia. Scosse la testa. Poi guardò Felipe, che non aveva
  bevuto quasi nulla. - Avanti, Philip. Seguimi. Felipe ubbidì. Non aveva
  molta scelta, ma non era particolarmente preoccupato: sapeva, dal suo lavoro
  alla taverna e poi alla locanda, che gli ubriachi sono di solito impotenti ed
  infatti anche nelle sere precedenti Barbanera, pur rimanendo ben saldo sulle
  gambe, non aveva fatto sesso. Anche se adesso a Felipe il culo faceva meno
  male e non perdeva più sangue, il nostro eroe non aveva nessuna intenzione di
  ripetere l’esperienza del primo giorno sulla nave, se solo poteva evitarlo. Barbanera si sedette su
  una roccia. Adesso ai soliti odori si mescolava quello del rhum: il pirata
  puzzava come una botte di acquavite.  Barbanera si spogliò.
  Questa volta il leone era a riposo e questo tranquillizzò Felipe, anche se le
  dimensioni della bestia rimanevano allarmanti.  - In ginocchio, Philip.
  Qui, davanti a me. A Barbanera non sarebbe
  diventato duro. Aveva bevuto troppo. Ma era meglio non contrariarlo. Felipe
  si mise in posizione. Barbanera gli mise una
  mano sulla nuca e gli avvicinò la bocca al sesso. Felipe aprì la bocca, che
  fu riempita dalla massa. - Oggi hai bevuto poco.
  Ora tocca a te, Philip, bevi. Bevi o soffochi. Felipe intuì e cercò di
  tirare indietro la testa, ma la destra di Barbanera la bloccava. La sinistra
  invece gli strinse la gola, ad impedire una reazione violenta. Sentì il getto caldo che
  scendeva direttamente in gola.  Il fiotto continuava,
  sembrava non avere mai fine e Felipe si sentì soffocare. Cercò di respirare
  ed il piscio di Barbanera gli andò di traverso. Cominciò a tossire e
  Barbanera si interruppe. Felipe tossiva, sforzandosi di far entrare aria,
  mentre il piscio gli colava sul mento. - Sei una testa di cazzo,
  Philip. Non ci sai proprio fare. Barbanera aspettò che
  Felipe si fosse ripreso, poi gli avvicinò nuovamente la testa e riprese
  l’attività interrotta. Felipe si chiese se quel getto si sarebbe mai
  arrestato, ma sembrava senza fine. Quando infine la cascata si esaurì, Felipe
  sentì la voce di Barbanera:  - Ed ora succhia. Felipe eseguì, continuando
  a pensare che gli ubriachi sono impotenti. Ma o Barbanera era un’eccezione o
  non era ubriaco: in pochi minuti l’animale caldo che la sua bocca avvolgeva
  si drizzò in piedi.  - Ed ora stenditi qui. Si
  riprende a fare sul serio. Felipe si stese sulla
  sabbia, ancora calda per il sole. Una mano umida gli passò tra le natiche e
  la bestia entrò trionfante, vincendo ogni resistenza. Felipe riuscì a soffocare
  l’urlo che gli veniva alle labbra. Non avrebbe dato a Barbanera la
  soddisfazione di urlare di nuovo. Quella sera Felipe scoprì
  che Barbanera non diventava impotente quando beveva. Il pirata glielo
  dimostrò tre volte e quando infine si addormentò, schiacciandolo sulla sabbia
  con il suo peso, Felipe aveva il culo in fiamme. Sentiva dentro di sé la
  spada di Barbanera, non più sguainata, ma ancora tanto voluminosa da essere
  dolorosa. Con il passare del tempo, la massa che gli ostruiva il culo avrebbe
  dovuto ridursi, ma invece riprese a crescere. Felipe cercò di spostarsi un
  po’ in avanti, per sfuggire a quello spiedo, ma era impossibile scivolare
  sotto Barbanera senza svegliarlo. E quando Barbanera si svegliò, Felipe ebbe
  esattamente quello che aveva cercato di evitare: una nuova dose di colpi
  violenti, che sembravano aprirgli completamente il culo, altro liquido caldo
  nelle viscere, che si mescolava al sangue.  Era la prima volta che
  Felipe trascorreva l’intera notte insieme a Barbanera, cioè, per essere più esatti,
  sotto Barbanera: il primo giorno il pirata lo aveva mandato a dormire con gli
  altri, quando aveva finito con lui, ed i suoi compagni gli avevano detto che
  il loro capo dormiva sempre da solo.  Passare la notte sotto
  Barbanera non era una sensazione piacevole, visto il peso del gigante e
  l’ingombro nel culo, che non diminuiva. Barbanera russava ormai da diverse
  ore, quando Felipe riuscì infine ad addormentarsi. Il giorno seguente si aprì
  com’era finita la sera precedente: una tripla incursione in profondità, tanto
  in profondità che a Felipe parve di sentire lo spiedo di Barbanera fin nello
  stomaco. Poi Barbanera si alzò, borbottando, e si allontanò. Con cautela, anche Felipe
  si alzò, ma ogni movimento gli provocava uno spasimo. Si chiese se tentare la
  fuga, ora che Barbanera non era in vista e gli altri pirati erano tutti
  ubriachi. Vincendo il dolore,
  avrebbe potuto camminare sulla sabbia, ma dove sarebbe arrivato? La striscia
  sabbiosa non era continua: loro erano nella baia di un’isola, per cui prima o
  poi Felipe si sarebbe trovato di fronte il mare. La costa vera e propria era
  lontana, Felipe non sarebbe mai riuscito ad arrivarci a nuoto.  Lo avrebbero raggiunto
  facilmente, i pirati o i pescecani. È vero che i pirati erano ubriachi, ma
  sfuggire a Barbanera gli sembrava un’impresa impossibile. Felipe decise di
  aspettare. Prima o poi si sarebbero mossi e lui avrebbe potuto farsi un’idea
  più precisa della costa e quindi delle possibilità di fuga. SULLA NAVE DI BARBANERA
  Nei giorni successivi
  incominciarono a spostarsi. Prima ci fu un viaggio, in buona parte notturno,
  di cui Felipe non seppe mai la destinazione. Altri spostamenti avvennero di
  giorno e permisero a Felipe di farsi un’idea precisa della regione. L’isola presso la quale
  erano ormeggiati faceva parte di una serie di isolette sabbiose, che
  formavano una linea quasi continua e delimitavano un’ampia laguna, il Pamlico
  Sound. Tra un’isola e l’altra vi erano passaggi non sempre percorribili in
  nave: con la bassa marea questi canali spesso non potevano essere
  attraversati neppure da navi di piccole dimensioni e solo una barca poteva
  spingervisi. La costa interna della
  laguna era piuttosto frastagliata e ricca di ottimi nascondigli, tanto più
  che buona parte del litorale era paludoso e disabitato. L’unica cittadina
  situata all’interno del Pamlico Sound era Bathtown, dove i pirati si recarono
  poco dopo l’attacco al Queen Sophia. Da come ne parlavano sulla nave,
  Felipe dedusse che dovevano avere buoni rapporti con gli abitanti, almeno con
  alcuni di loro.  A Bathtown Felipe non ebbe
  mai modo di andare, ma in diverse occasioni Barbanera lo mandò con altri
  pirati a caccia di uccelli, a procurarsi l’acqua e ad acquistare o barattare
  qualche cosa con piccoli gruppi di indiani o di coloni. In queste spedizioni
  Felipe non riceveva mai un’arma: remava, manovrava il timone, riempiva le
  botti d’acqua, ma se c’era da sparare, era compito degli altri.   Sulla nave Felipe non
  aveva nessuna funzione precisa, a parte quella di soddisfare Barbanera.
  Qualcuno ogni tanto si faceva aiutare da lui in qualche compito, ma non gli
  venivano assegnati né turni di guardia, né altre mansioni. Girava sulla nave,
  osservava i pirati giocare a dadi, litigare o scopare. Nessuno sembrava avere
  il minimo pudore, ma tutti si tenevano di solito lontano dal cassero, dove
  alloggiava Barbanera. Non che Barbanera avesse niente da ridire se due dei
  suoi uomini scopavano, ma era sempre meglio essere fuori portata, nel caso
  Barbanera fosse di cattivo umore: questo Felipe lo scoprì presto, ma a lui
  non era dato di essere fuori portata. Così spesso Felipe si
  imbatteva in due pirati impegnati ad infilzarsi, mentre qualcun altro assisteva,
  incoraggiando o commentando. Inizialmente lo spettacolo lo infastidiva, ma
  poi ci fece l’abitudine e cominciò anche a prenderci gusto, soprattutto
  quando a cavalcare era Tre-coglioni, che la natura aveva dotato di un
  elemento in più e di una resistenza degna di Barbanera. Nessuno però gli fece
  mai una proposta: tutti sapevano che Felipe era proprietà di Barbanera. Quando si muovevano con la
  nave, Felipe osservava con attenzione le terre vicine: ad interessarlo non
  erano solo le possibilità di fuggire, ma anche l’ambiente di quel nuovo
  continente.   Nelle paludi si muovevano
  alligatori, piccoli mammiferi e soprattutto un gran numero di uccelli.
  Talvolta era possibile vedere qualche indiano, ma di solito essi scomparivano
  prima che la barca su cui viaggiava Felipe si avvicinasse. Solo quelli che
  commerciavano con Barbanera aspettavano l’imbarcazione, senza allontanarsi. Una parte delle isole era
  ricoperta dalla foresta, ma Felipe notò che talvolta la duna stava ricoprendo
  alberi che sotto la sabbia deperivano e si seccavano. Non aveva mai pensato
  che le dune si spostassero, eppure doveva capitare proprio così. Glielo
  confermò Mancino, che era un buon osservatore: - Le dune si muovono. Più
  in là la sabbia sta lasciando libero il terreno ed appare una foresta morta,
  che deve essere stata inghiottita molto tempo fa.   Movendosi con la nave o in
  barca, Felipe imparò rapidamente a destreggiarsi in quell’intrico di
  isolette, paludi, canali e baie segrete, che costituivano il regno di
  Barbanera. Però finse sempre di non sapere dove andare e lasciava che fossero
  i compagni a dirgli dove doveva dirigersi: non voleva che sospettassero le
  sue intenzioni.  Felipe voleva fuggire, ma
  le possibilità di riuscire ad arrivare in un porto gli sembravano
  minime.   UNA CACCIA SFORTUNATA
  
 Circa un mese dopo la
  cattura della Queen Sophia, cominciarono ad uscire quasi ogni giorno a
  caccia di altre navi. Superata la barriera delle
  isole, l’oceano riaffermava la sua potenza: le correnti erano tanto forti da
  trascinare la nave e bastava un errore di manovra per rischiare un naufragio.
  I marinai chiamavano quel tratto di mare “il cimitero dell’Atlantico” ed il
  nome era ben meritato. Il terzo giorno
  avvistarono un veliero e si misero al suo inseguimento. Felipe si disse che
  era arrivato ad un punto cruciale della sua esistenza: se avessero raggiunto
  il veliero, avrebbe dovuto partecipare all’arrembaggio. Ma sapeva che se gli
  avessero dato un’arma, avrebbe combattuto contro i suoi compagni. Sarebbe
  stato inutile: tutti avevano troppa paura di Barbanera perché l’equipaggio
  delle navi attaccate opponesse resistenza. Però forse lui avrebbe potuto
  uccidere Barbanera, vendicandosi e liberando il mondo da quel flagello. Il veliero era molto
  veloce e la distanza tra le due navi non accennava a diminuire. Felipe pensò
  che forse per quel giorno se la sarebbe cavata. Ed in effetti, dopo aver
  inseguito ancora per un buon tratto la nave, Barbanera rinunciò all’impresa,
  coprendo di improperi tutta la ciurma.     
   Nessuno disse nulla, ma
  Barbanera si rinchiuse furente nella sua cabina e gli uomini sembravano tutti
  tesi e spaventati. Mentre tornavano verso la
  base, Felipe vide che in un’ampia area l’acqua si sollevava in grandi onde.
  La spuma biancastra si alzava ad almeno trenta piedi sul livello del mare.
  Felipe non riusciva a capire che cosa fosse. Chiese: - Ci sono degli scogli? Mano-di-ferro scoppiò a ridere e si rivolse a Mancino: - Philip chiede se il
  Diamond Shoal sono degli scogli. Mancino rispose: - No, sono due correnti
  che si scontrano, quella calda che si dirige verso nord e quella fredda che
  va a sud. Felipe non riusciva a
  capacitarsi. Ma conosceva poco il mare: la sua non era una famiglia di
  navigatori. Avrebbe dovuto dire: la sua non era stata una famiglia di
  navigatori. Perché ora di quella famiglia non rimaneva più nessuno, a parte
  lui e forse un cugino. Barbanera uscì dalla sua
  cabina mentre Felipe completava quel pensiero.  - Vieni qui, Philip. Mano-di-ferro ghignò e
  commentò: - Mi sa che ora ti tocca
  lo scoglio più grosso. Barbanera era di pessimo
  umore: il fallimento dell’inseguimento lo aveva innervosito. Mentre si
  spogliava, continuava ad imprecare: - Merda, Philip, merda! Su
  questa nave di merda nessuno sa manovrare. È una ciurma di merda! Non siamo
  neanche riusciti ad avvicinarci. Nonostante il fallimento
  dell’impresa, la bestia era in piena forma. Barbanera rimaneva però di
  pessimo umore e di colpo, senza nessun preavviso, mollò un ceffone a Felipe,
  che finì per terra. Un violento calcio al costato lo spinse ad alzarsi
  immediatamente, ringraziando che Barbanera si fosse già tolto gli stivali. Barbanera avanzò verso di
  lui. Imprecava e bestemmiava. Aveva gli occhi iniettati di sangue e Felipe
  pensò che l’avrebbe ucciso. Felipe arretrò fino a che fu con la schiena
  contro la parete ed allora Barbanera, proprio davanti a lui, gli mollò un
  terribile pugno al ventre. Felipe ebbe la sensazione che una cannonata lo
  avesse trapassato. Non fece in tempo ad afflosciarsi, che un secondo colpo,
  subito sotto, moltiplicò il dolore. Perse il controllo degli sfinteri. Quando fu a terra, un
  calcio lo prese nuovamente al torace, poi un secondo, ma Felipe non riusciva
  ad alzarsi. Allora Barbanera gli afferrò la testa per i capelli e cominciò a
  tirare. Felipe fu sollevato e poi gettato contro la parete. Batté la testa e
  rimase intontito. Allora Barbanera lo acciuffò nuovamente per i capelli e lo
  gettò a pancia in giù sulla cuccetta.  Incurante della merda che
  sporcava il culo di Felipe, Barbanera lo trapassò direttamente, come avrebbe
  fatto con uno spiedo ed a Felipe parve che fosse proprio uno spiedo quello
  che gli attraversava le viscere, penetrandolo e ritirandosi, più e più volte,
  fino a lasciarlo dolorante ed esausto. Quando ebbe finito,
  Barbanera si alzò, afferrò Felipe con le due mani possenti e lo sbatté a
  terra. Felipe riuscì appena ad attenuare l’urto contro il pavimento, mettendo
  avanti le mani, ma sentì un dolore violento al ginocchio. Barbanera gli sputò
  addosso, poi cominciò a prenderlo a calci, in faccia, al ventre, alle gambe.
  Felipe si rannicchiò per parare i colpi, ma Barbanera proseguiva. Un colpo ai
  coglioni gli annebbiò la vista, mentre le lacrime presero a scendere. Poi
  Barbanera lo ghermì per il collo e lo costrinse a stendersi sul pavimento
  della cabina, per una nuova cavalcata, che fu violenta quanto la prima ed
  altrettanto dolorosa. Terminata la cavalcata,
  Barbanera si alzò. Con un calcio al costato, costrinse Felipe ad alzarsi e
  poi gli pisciò in faccia. Felipe girò la testa, ma era impossibile sfuggire
  al getto che lo inondava. Dalla faccia Barbanera passò al corpo. Quando ebbe
  finito, appoggiò il piede sul ventre di Felipe, facendo pressione. A Felipe
  pareva di avere un masso sullo stomaco, un masso che lo stritolava. Barbanera
  alzò l’altro piede e, mentre tutto il suo peso poggiava sul ventre di Felipe,
  con il piede liberò gli mollò un nuovo calcio ai coglioni. Felipe non riuscì
  a trattenere l’urlo. Allora Barbanera scese, lo voltò di nuovo con un calcio
  e gli si stese sopra, trapassandolo una terza volta.  Solo allora Barbanera si
  calmò e lasciò che Felipe, dolorante e con un occhio gonfio, uscisse
  zoppicando dalla sua cabina. Mano-di-ferro ghignava, ma Mancino lo fece
  stendere e lo aiutò a lavarsi, versandogli addosso l’acqua.  Per diverse settimane Felipe portò i lividi
  di quella notte, in viso, alle braccia, alle gambe e al ventre. DICERIE
  Con il passare del tempo, Felipe cominciò a conoscere meglio i suoi compagni ed a parlare con alcuni di loro. Mancino, Gamba-corta e Spugna erano quelli con cui gli capitava più spesso di chiacchierare, anche se solo per Mancino provava una certa simpatia. Come tutti sulla nave, e non solo sulla nave, quei tre avevano una paura dannata di Barbanera. Qualche giorno dopo l’inseguimento
  del veliero, Felipe parlava con Mancino e Gamba-corta sul ponte. A loro si
  era unito Mano-di-ferro, che a Felipe non piaceva per nulla: avvertiva che
  era un individuo meschino ed infido. - Più di una volta ha
  ucciso uno dei suoi uomini. Basta il minimo errore, se ha la luna di
  traverso. E la luna di traverso ce l’ha spesso. Felipe aveva ben presente
  quanto era avvenuto sulla Queen Sophia, per non parlare delle botte
  ricevute pochi giorni prima. Non si stupì più di tanto.  - Fosse solo quello, Mancino.
  Non è quello che mi fa venire la pelle d’oca.  Felipe era incuriosito.
  Chiese: - E cos’altro c’è? - La notte, nella sua
  cabina, certe volte lo sentiamo parlare. - Che cosa c’è di strano
  se parla da solo? - Non parla da solo: se
  presti attenzione si sente un’altra voce, molto bassa, ma si sente. - Cazzate, Gamba-corta. - Merda, non sono cazzate,
  Mancino. Lo sai benissimo. Come sai che il mattino c’è sempre odore di zolfo,
  in quella fottuta cabina. Felipe aveva notato
  l’odore di zolfo più volte, ma non si era mai chiesto quale ne fosse
  l’origine. Mano-di-ferro intervenne: - Non parla soltanto. Le
  hai viste anche tu le ombre, quella fottuta notte, Mancino. Mancino non disse nulla.
  Felipe era sempre più incuriosito. - Quali ombre? Mancino tacque e
  Gamba-corta guardava da un’altra parte. Non avevano nessuna voglia di
  parlare. Mano-di-ferro riprese. - Una fottuta sera, era la
  fine di ottobre… - Era la notte di
  Ognissanti, lo sai benissimo, Mano-di-ferro! - Forse, non teniamo mica
  tanto il conto dei giorni, qui… Insomma, quella fottuta notte Barbanera
  lanciò un urlo. Philip, l’abbiamo sentito urlare spesso negli attacchi e non
  siamo donnicciole, non ci spaventiamo certo per un urletto. Ma quell’urlo… Mano-di-ferro tacque un
  momento.   - Ci avvicinammo alla
  finestra della sua cabina. Non lo facciamo mai. Se ci becca, ci ammazza:
  nessuno può curiosare nella sua cabina. Nessuno ci entra, se non lo dice lui.
  E non lo dice quasi mai a nessuno…  Mano-di-ferro si fermò ed
  un ghigno gli si disegnò in faccia. - Se non a quelli che gli
  piacciono, come te, Philip.  Felipe avrebbe voluto
  saltargli al collo, ma era disarmato. E poi, che senso aveva? A Barbanera
  piaceva per davvero e non se l’era cercato lui, di sicuro. Ma Spugna, che era
  appena arrivato, lo vendicò, con un intervento che Felipe non si aspettava. E
  Mano-di-ferro neppure. - Quando avevi due mani,
  ci sei entrato anche tu in quella cabina, Mano-di-ferro. Parli solo per
  invidia. Mano-di-ferro si voltò
  verso Spugna come se fosse stato morso da un cane rabbioso. Alzò l’uncino,
  pronto a colpire, ma nella destra di Spugna già scintillava una lama.  Gamba-corta intervenne: - Piantatela, se si
  accorge che volete menarvi a bordo, vi ammazza tutti e due. Mano-di-ferro abbassò
  l’uncino, la lama scomparve rapidamente com’era apparsa. Mano-di-ferro
  riprese, come se niente fosse accaduto: - Ci chiedevamo se non
  stava male, se aveva bisogno di qualche cosa. Non arrivammo fino alla
  finestra. Non si vedeva Barbanera, ma sulla parete vedevamo la sua ombra. E
  non solo la sua. Mano-di-ferro tacque di
  nuovo. Felipe ebbe l’impressione che il suo corpo fosse percorso da un
  leggero tremito. Mano-di-ferro respirò a fondo e riprese: - C’erano due ombre,
  quella di Barbanera ed un’altra. Barbanera era steso sul tavolo, a pancia in
  giù. Era lui, non c’era dubbio, i capelli, la barba, l’ombra era
  perfettamente riconoscibile. Sopra di lui era distesa un’altra ombra.
  Un’ombra più sottile. Su di lui. Mano-di-ferro abbassò la
  voce. Ora le parole uscivano in un sussurro appena udibile. - Lo stava inculando,
  capisci, Philip? Con un cazzo come neppure Barbanera ce l’ha. Un palo. Qualcuno più dotato di
  Barbanera? La proboscide di un elefante, forse? A Felipe sembrava
  impossibile. E tutta la storia era assurda. - Sarà entrato qualcuno e
  voi non ve ne siete accorti. Era notte, no? Qualcuno che è salito a bordo
  senza che ve ne accorgeste. - In alto mare? E poi
  eravamo rimasti sul ponte dopo che Barbanera era andato nella sua cabina. Non
  era entrato nessuno, Philip, nessuno. E… Si interruppe, perché in
  quel momento Barbanera uscì dalla sua cabina. Era completamente nudo e, teso
  verso l’alto, il suo membro non lasciava dubbi sulle sue intenzioni. - Philip, vieni qui.  Mano-di-ferro ridacchiò: - Buona fortuna, Philip.
  Ti va bene che non è quell’altro… UNA PROMESSA
  
 Barbanera ci dava dentro e
  non passava giorno che non prendesse Felipe, almeno due o tre volte, in bocca
  o in culo (o in entrambi i modi). Il pirata non dimostrava molta fantasia, ma
  certamente una grande energia.  Giorno dopo giorno, il
  corpo di Felipe si abituava a quei rapporti violenti. L’ingresso del colosso
  rimaneva doloroso, ma non provocava più lacerazioni. Le spinte frenetiche lo
  lasciavano dolorante, ma la sensazione di essere riempito diventava ogni
  giorno meno fastidiosa. Con stupore, Felipe si rese conto che l’esperienza
  poteva essere persino piacevole, che il sentire quel palo caldo che si
  muoveva dentro di lui gli trasmetteva una serie di stimolazioni gradevoli,
  che il peso del grande corpo di Barbanera su di lui non gli spiaceva, che il
  suo stesso corpo cominciava a reagire.  All’inizio aveva
  attribuito la sensazione piacevole soltanto al sollievo dal dolore, quando
  Barbanera smetteva di sconquassarlo con le sue spinte selvagge. Ma con il
  passare del tempo si rese conto che l’essere penetrato accendeva anche il suo
  desiderio e che perfino i colpi del grande ariete lo infiammavano, invece di
  spegnere il piacere. Ora desiderava quei colpi, quella presenza dolorosa, ma
  calda, al suo interno. Ormai, quando Barbanera si
  ritirava, Felipe avvertiva che anche il suo uccello spesso aveva alzato la
  testa. Rimaneva disteso, senza dire nulla, in attesa che abbassasse le ali,
  ma Barbanera aveva intuito. Felipe poteva capirlo dal ghigno con cui lo
  guardava. Un giorno, dopo averlo
  posseduto come al solito, Barbanera si ritirò e Felipe sentì una nuova
  pressione tra le cosce. Questa volta però non era la solita massa calda, ma
  una superficie metallica e fredda. - Ti piace questo cazzo,
  Philip? Forse può farti godere. Che ne dici della mia pistola? Felipe tacque, mentre la
  pressione della canna aumentava. L’estremità della pistola trovò l’apertura,
  ben dilatata dal mastodonte che si era appena ritirato ed ampiamente
  lubrificata dalla grande quantità di sborro, e si introdusse.  - Mi piaci troppo, Philip.
  Non posso lasciarti vivere. Ora Felipe sentiva le dita
  di Barbanera premere contro il suo culo. La canna era tutta dentro di lui.  Felipe si irrigidì. Barbanera
  l’avrebbe ucciso così? In quel momento, in quel modo? La morte non gli faceva
  paura, ma in quel modo infame… Si disse che in fondo, se doveva morire ucciso
  da Barbanera, un modo valeva un altro, ma lo turbava il pensiero che non
  avrebbe potuto vendicarsi.  Barbanera riprese: - Non ancora, Felipe, non
  ancora. Quando finalmente ti avrò fatto urlare per il piacere. Perché tu
  urlerai per il piacere, perché ti piace, Felipe. Ormai è quello che desideri.
  Presto verrai anche tu ed allora ti ucciderò. Te lo prometto, Felipe. Ed io
  mantengo sempre le mie promesse. Barbanera rise, una risata
  assordante, ma non allegra. Poi si alzò. Anche Felipe
  si alzò. Non cercò di nascondere la propria erezione. Era inutile. Guardò Barbanera in
  faccia. E gli disse: - Se non mi ucciderai tu,
  ti ucciderò io. Barbanera scoppiò in
  un’altra delle sue roboanti risate. - Bravo, Philip. È per
  questo che mi piaci. Perché hai i coglioni. Te li mangerò, i coglioni, dopo
  averti ucciso.   Barbanera lo guardò, un
  riso beffardo stampato in faccia. Felipe gli avrebbe volentieri spaccato la
  faccia e fatto sputare quei denti, ma Barbanera era troppo più forte di lui. - Stenditi, Felipe. Si
  ricomincia. Tu me lo fai sempre venire duro. Di nuovo la spada
  sguainata che entrava nel suo fodero. La sensazione di pienezza, di calore.
  Il peso del corpo su di lui. Il piacere che cresceva, più forte della
  sofferenza. La tensione che saliva dai testicoli. E, poco prima del culmine,
  le spinte più forti ed il venire meno di quella pressione, l’afflosciarsi del
  piacere incompiuto. Quando ebbe finito il
  secondo turno, Barbanera ribadì: - Ti ucciderò, Philip, non
  appena godrai anche tu. E sarà presto, molto presto. Forse poteva essere
  anche oggi, se solo volevo. Ma non ho fretta di mangiarti i coglioni. Rise ancora rumorosamente,
  ma era una risata che gelava il sangue. UN UOMO IN MENO
  Il sole era ormai basso all’orizzonte. Ora di partire. Mancino si avvicinò a
  Felipe. - Buona fortuna, Felipe.
  Spero che riesci a scappare. Mi spiace che non puoi venire a Bathtown, ma
  Barbanera di certo non ti lascia.  Mancino vide che Felipe lo
  guardava perplesso. Probabilmente aveva intuito le sue intenzioni, ma non
  disse nulla. A Mancino spiaceva lasciarlo lì, su quella nave di merda, ma non
  poteva farci nulla. Non poteva farlo salire sulla zattera senza che
  Mano-di-ferro se ne accorgesse e quella lurida spia l’avrebbe subito
  denunciato a Barbanera, come aveva fatto quando Fortebraccio aveva cercato di
  andarsene. E lui di finire castrato ed impalato come Fortebraccio non aveva
  nessuna voglia. Se non aveva voglia di
  finire così, doveva fare attenzione. Perché quella sera si giocava la pelle e
  le palle. Ma di fare ancora quella vita da cani, non aveva nessuna
  intenzione. Non aveva scelto di fare il pirata, lui. L’avevano catturato ed
  arruolato a forza. Si era detto che era una vita come un’altra, per sfuggire
  alla miseria, ma sulla nave di Barbanera non era una vita come un’altra: era
  una vita di merda. Lui di rischiare ogni volta la pelle con quell’assatanato
  non aveva nessuna voglia. Piuttosto che continuare con Barbanera, meglio
  morto… Di morire non aveva
  nessuna intenzione. Voleva vivere, vivere con Jimmy. Pensò a Jimmy, ai suoi
  capelli biondo-grano, ai suoi occhi azzurri, ai suoi sedici anni, a quel
  corpo adolescente, a quel culo di sogno… Gli era diventato duro, duro come
  l’acciaio. Scendere per la scaletta di corda gli costò una certa fatica, con
  quel cazzo duro e gocciolante. Salito sulla zattera, cercò di pensare ad
  altro, ma era difficile togliersi il culo di Jimmy dalla testa. Mentre la grande zattera
  scivolava veloce verso Bathtown, ripensò alle tappe dell’operazione. Arrivati
  in città, si sarebbero divisi. Lui e Spugna avrebbero pensato alle provviste:
  rhum, munizioni, cibo e così via. Avevano i loro soliti fornitori, che la
  notte, dopo aver chiuso le loro botteghe, aprivano per loro, ad un segnale
  convenuto. Mano-di-ferro e Tre-coglioni si sarebbero occupati di piazzare il
  bottino dell’ultimo arrembaggio, la parte comune. Dovevano muoversi sempre in
  coppia: uno sorvegliava l’altro e rispondeva con la sua pelle anche per
  l’altro. Poi, prima di ritirare la
  merce, si sarebbero presi due ore di libertà. Mano-di-ferro e Tre-coglioni al
  casino, lui da Jimmy e Spugna all’osteria. Così era stato ogni volta e così
  sarebbe stato anche questa, ma lui non si sarebbe limitato a scopare per due
  ore con Jimmy. Non avrebbe scopato per nulla: sarebbero fuggiti via. A
  Bathtown Barbanera aveva troppi amici e per essere al sicuro doveva
  allontanarsi dalla città almeno di un cinquantina di miglia. Dopo aver saputo
  della sua scomparsa, Mano-di-ferro avrebbe mobilitato tutti gli amici di
  Barbanera, per cercare di catturarlo e per riportarlo sulla nave legato,
  pronto a dare spettacolo per la ciurma. Il sole era tramontato da
  un buon momento e stava diventando sempre più buio. Presto sarebbero stati in
  vista di Bathtown e la luce dell’osteria li avrebbe guidati nell’ultimo
  tratto. Nessuno li avrebbe visti arrivare. Precauzione forse inutile: nessuno
  a Bathtown voleva mettersi contro Barbanera. Una volta sbarcati, lui
  avrebbe fatto la sua parte. Poi avrebbe lasciato Spugna all’osteria ed
  avrebbe raggiunto la fattoria dove lavorava Jimmy. Avrebbero preso i due
  cavalli che Jimmy doveva aver comprato e sarebbero fuggiti via, verso la libertà.
   Quello dell’acquisto dei
  cavalli era un problema. Se si fosse saputo, qualcuno avrebbe potuto
  sospettare e se Mano-di-ferro lo fosse venuto a sapere, per lui era finita.
  Ma non voleva rubare i cavalli: lo avrebbero inseguito dalla fattoria. Non ci
  teneva a finire impiccato. Jimmy era un ragazzo sveglio. Certamente aveva
  fatto tutto in modo da non correre rischi. Aveva consegnato a Jimmy
  quello che gli era toccato del bottino ed aveva ancora la quota dell’ultimo
  arrembaggio. Si era fidato ciecamente di Jimmy.   E se Jimmy era scappato
  con i suoi soldi? Era una bella cifra, per un ragazzo di quell’età poteva
  essere una tentazione. Mancino ci pensò un buon momento. No, non era
  possibile. Jimmy teneva a lui. Ora vedevano la luce.
  Diressero la zattera verso il pontile, attraccarono, legarono la zattera,
  senza dire una parola si divisero. Fecero il solito giro dei
  fornitori. Discussero sul prezzo del rhum, che quel bastardo di Rabbit voleva
  fargli pagare più del dovuto. Conclusero tutto quello che dovevano e
  stabilirono, come al solito, che sarebbero passati due ore dopo per ritirare
  il tutto. Spugna entrò all’osteria.
  A Mancino un po’ spiaceva l’idea che Spugna rischiasse di finire male. Spugna
  era una carogna, un vigliacco pronto a denunciare chiunque pur di cavarsela
  lui, ma a Mancino non piaceva l’idea che crepasse per causa sua.  In un quarto d’ora
  raggiunse la fattoria dove lavorava Jimmy. Fece tre fischi. Il solito
  segnale. E se nessuno rispondeva? Se Jimmy era scappato con i soldi? Cazzate. Jimmy non era
  scappato. Ed infatti udì due fischi
  di risposta. Fischiò tre volte ancora e si diresse verso la porta della
  scuderia, dove dormiva Jimmy. Jimmy era sulla soglia,
  un’ombra scura, appena visibile. Mancino entrò e sentì l’abbraccio di Jimmy.
  Lo strinse vigorosamente. Jimmy era a torso nudo e le mani di Mancino
  scivolarono rapidamente lungo la schiena, poi le sue dita strizzarono il culo
  attraverso la stoffa ruvida dei pantaloni. Dovevano andare. Prima
  partivano, meglio era. Ma nell’oscurità della scuderia quel corpo caldo che
  premeva contro il suo gli toglieva il respiro, l’odore acre lo prendeva ai
  coglioni, non poteva ragionare.         Aprì i pantaloni di Jimmy
  e spinse il ragazzo contro la parete. Si slacciò la cintura. Si inumidì il
  cazzo già perfettamente in tiro e, cercando di non essere troppo irruente,
  infilzò quel bel culo. Sentì i gemiti di piacere di Jimmy, che moltiplicavano
  il suo desiderio. Erano quindici giorni che non scopava. Quindici giorni. In
  culo a Mano-di-ferro, Barbanera e tutto il resto. Venne e sentì il gemito
  più forte di Jimmy.  Rimase appoggiato al corpo
  di Jimmy, stordito. Poi si tirò indietro. Si
  tirò su i pantaloni e disse: - Presto. Non abbiamo
  tempo da perdere. - È tutto pronto.
  Provviste, munizioni. Ho già sellato i cavalli. Sapevo che venivi questa sera
  o la prossima. Jimmy portò i due cavalli
  fuori, salirono in sella e partirono. Jimmy conosceva la strada. Tagliò per
  prati, paludi e boschi radi, in modo da far perdere le proprie tracce.
  Cavalcarono tutta la notte.  Alle prime luci dell’alba
  Mancino seppe che era al sicuro. Pensò allo spagnolo sulla nave, quello che
  chiamavano Philip. Gli augurò di riuscire a scappare. E poi decise che non
  avrebbe mai più pensato a quella nave di merda. In culo a Barbanera ed a
  tutta quella ciurma. UN ALTRO UOMO IN MENO
  Il mattino dopo, Felipe
  aspettava la barca, scrutando il mare in direzione di Bathtown. Voleva vedere
  se Mancino sarebbe tornato con gli altri. Più pensava al suo saluto, più era
  sicuro che intendesse scappare. Felipe sperava che ci fosse riuscito, anche
  se avrebbe perso l’unica persona che gli ispirasse un minimo di fiducia e di
  simpatia. La barca rientrò molto
  tardi, quasi a mezzogiorno, mentre avrebbe dovuto essere di ritorno di prima
  mattina. Sulla barca erano solo in tre: Mancino non era con loro. Felipe fece
  fatica a nascondere la sua allegria. Perché i visi torvi di Mano-di-ferro e
  Tre-coglioni ed il pallore di Spugna dicevano che Mancino era davvero scappato,
  che loro non erano riusciti a fermarlo. Davanti a Barbanera,
  Spugna raccontò tremando che lui e Mancino erano andati a fare rifornimento
  di rhum, ma, mentre lui beveva un bicchiere per sincerarsi che il liquore
  fosse di buona qualità, Mancino se n’era andato dicendo che doveva pisciare.
  Non era più tornato. Lo sguardo di Barbanera
  avrebbe raggelato il sangue nelle vene a chiunque. - Le giuro, comandante,
  che è andata così. Ho bevuto solo un bicchierino. - Merda, Spugna, ti sei
  ubriacato e non ti sei accorto che quello ti faceva fesso.  - No, comandante, no, le
  assicuro. Spugna tremava come una
  foglia, anche se era grande e grosso.  - E voi due, che avete da
  dire? Spugna guardò
  Mano-di-ferro, lanciandogli un’occhiata supplichevole. Ma Mano-di-ferro non
  lo guardò neppure, mentre rispondeva: - L’abbiamo trovato
  addormentato all’osteria. Quando l’abbiamo svegliato, quasi non si reggeva in
  piedi. Felipe maledisse
  mentalmente Mano-di-ferro, anche se non provava nessuna simpatia per Spugna.  Tre-coglioni confermò le
  parole di Mano-di-ferro. Barbanera mollò un
  terribile ceffone a Mano-di-ferro, facendolo cadere a terra, ed un calcio
  alle parti basse di Tre-coglioni, che si piegò in due dal dolore. Felipe si
  disse che se quel colpo era davvero andato a segno, Tre-coglioni avrebbe
  perso il suo soprannome. Forse lo avrebbero chiamato Un-coglione o
  Mezzo-coglione. Vedere quei due a terra non gli dispiaceva per niente: erano
  due luridi figli di puttana. E poi era meglio che Barbanera si sfogasse un
  po’: non voleva finire come quella volta del fallito inseguimento. Ne portava
  ancora i lividi.  Dopo aver guardato i suoi
  due uomini a terra, Barbanera sputò e diede loro le spalle. Poi tirò fuori il
  coltello e si avvicinò a Spugna. A Felipe passò la voglia di scherzare. Intuiva
  che lo spettacolo che stava per vedere non doveva essere divertente. No, per
  niente. Tutti gli uomini si erano
  allontanati da Spugna, che cadde in ginocchio, tremando. - Comandante, la prego,
  comandante, no, comandante. Barbanera appoggiò la lama
  del coltello sul collo di Spugna, dove l’arteria pulsava. - E tu saresti un pirata?
  Te la fai sotto come un poppante. Barbanera aveva ragione:
  terrorizzato da Barbanera, Spugna aveva perso il controllo degli sfinteri.
  Aveva i pantaloni bagnati e l’odore di merda riempiva l’aria. - Comandante, comandante… Spugna stava piangendo.
  Felipe provò disgusto per quel vigliacco, sempre pronto a denunciare gli
  altri, ma anche pena. - Non meriti neanche il
  coltello. Barbanera si infilò il
  coltello nella cintura e con la mano destra afferrò il collo di Spugna.
  Cominciò a stringere e sul viso di Spugna comparve una smorfia di terrore.
  Afferrò con entrambe le mani il polso di Barbanera e cercò disperatamente di
  allontanare la mano che lo soffocava, ma la presa di Barbanera era d’acciaio.
   Spugna stava diventando
  paonazzo ed un tremito lo percorreva. Gli occhi sembravano voler uscire dalle
  orbite. La bocca era spalancata, ma l’aria non entrava più. Di colpo, ogni resistenza
  cessò, le braccia ripiombarono inerti ed il corpo si afflosciò, sostenuto
  solo dalla stretta di ferro di Barbanera. Barbanera sollevò il
  cadavere, sempre tenendolo solo con la destra, e senza sforzo apparente lo
  issò oltre la murata e lo lasciò cadere in acqua. Poi si voltò verso i suoi
  uomini. La sua rabbia non si era placata con la morte di Spugna e Felipe
  pensò che ne avrebbero fatto tutti le spese, lui per primo.  Per sua fortuna c’era una
  grande novità.  |