2. NOVITÀ
Quando Barbanera si voltò,
guardando torvo i suoi uomini, Mano-di-ferro giocò
la sua carta, dando la notizia che avevano avuto a Bathtown: - Capitano, c’è una
notizia importante. Abbiamo saputo che Nasone ha raccolto un equipaggio, per
lo più di ex-pirati, ed ha ottenuto una nave, la Revenge.
Vuole catturarci per guadagnarsi la ricompensa! Si sta dirigendo da questa
parte. Prima di sera dovrebbe essere qui. La notizia ottenne
l’effetto desiderato: l’ira di Barbanera si dileguò e la sua ritrovata
allegria si espresse in una roboante risata. - Questa sì che è una
bella notizia. Finalmente ci divertiremo un po’. Partiamo subito, incontro a
quel coglione. Tutti ai vostri posti! In un attimo i pirati si
misero al lavoro, ben felici di essersela cavata a buon mercato: che cos’era
mai uno scontro con una nave, di fronte alla collera di Barbanera? Meglio,
mille volte meglio rischiare la pelle sotto le cannonate. Rapidamente l’ancora venne
levata, le vele sciolte e la nave cominciò a muoversi, uscendo dalla baia e
dirigendosi verso il mare aperto. Quando ebbero lasciato
alle loro spalle la baia, Barbanera ritornò nella sua cabina e tutti si
rivolsero a Mano-di-ferro e Tre-coglioni,
che avevano portato la notizia. I due non avevano molto da aggiungere a
quello che avevano già detto, se non che Nasone aveva progettato la
spedizione da tempo, ma non era mai riuscito a trovare uomini disposti a
sfidare Barbanera. Di recente però si erano uniti a lui alcuni pirati
graziati dal re. La taglia era molto alta e faceva gola. L’equipaggio dell’Adventure non appariva molto preoccupato. - Poveri fessi, con Nasone
contro Barbanera! Faranno una brutta fine! - La taglia se la godono
all’inferno. - Nasone si è bevuto il
cervello! - È sempre stato un
coglione. - Non vorrei essere al suo
posto, quando Barbanera lo farà fuori. Quando il gruppo si fu
disperso, Felipe si rivolse a Tre-coglioni, che si
stava massaggiando con il palmo della mano le sue preziose proprietà: - Chi è Nasone? Tre-coglioni fece una smorfia, mentre la mano toccava
un punto dolente, e gli rispose: - Un pirata che ha
navigato con noi, per quasi un anno. Poi, quando ha saputo che poteva
ottenere il perdono, è scappato come un coniglio. Adesso ha deciso di
organizzare una spedizione per catturare Barbanera ed intascare la taglia che
c’è sulla sua testa. Ma ti rendi conto, Philip? Pensa di fottere Barbanera! È
una testa di cazzo! Conosce le acque che frequentiamo e d’altronde Barbanera
non intende certo scappare. Come hai sentito, gli andiamo incontro. E ci sarà
da divertirsi. Pensare di catturare Barbanera con una ciurma di rinnegati.
Neanche la marina inglese ci riesce, figurati quei quattro cagasotto! Tacque un buon momento,
mentre continuava a massaggiarsi, poi riprese: - Tra Barbanera e Nasone
non corre buon sangue, anche se si conoscono da molto tempo. Nasone non
sopportava Barbanera, perché Barbanera decide sempre da solo, senza chiedere
niente a nessuno. E sai benissimo che con Barbanera non si discute. Nasone se
n’è andato. E invece di ringraziare che se n’è potuto andare senza guai,
quello stronzo si mette in testa di fottere Barbanera! Ci sarà da divertirsi. Felipe era molto scettico
sul divertimento che avrebbe ricavato, ma per il momento gli bastava aver
scampato un incontro a tu per tu con il Barbanera furioso. Non che la
situazione fosse piacevole: Barbanera non lo avrebbe picchiato, come dopo il
fallito inseguimento, ma se lui fosse venuto, lo avrebbe ucciso e Felipe
sapeva che presto, molto presto, il desiderio che ogni volta si ergeva
impetuoso sarebbe sgorgato. L’idea della canna della pistola di Barbanera nel
suo culo lo fece rabbrividire. Forse erano meglio le botte. L’ARREMBAGGIO
L’Adventure
navigava verso nord, spinta da un vento favorevole che gonfiava le vele. Il
cielo era terso ed il sole caldo, ma il mare era agitato dal vento e grandi
ondate facevano rollare la nave. Nel primo pomeriggio
Scimmia, che era di vedetta, avvistò una nave che veniva nella loro
direzione. Barbanera puntò il
cannocchiale sulla nave. - Sono loro! Barbanera rideva e Felipe
sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Non avrebbe voluto essere al
posto di Nasone. In realtà non avrebbe voluto essere neanche al posto di
Felipe Llera, ma su questo non poteva farci niente.
Si trovava di nuovo nella
situazione del fallito inseguimento di alcuni giorni prima: certamente non
avrebbe combattuto con Barbanera, ma se solo gli si fosse presentata
un’occasione, lo avrebbe ucciso. Barbanera sembrò intuire i
suoi pensieri, perché lo guardò, poi si rivolse a Topo e Mano-di-ferro: - Legatelo all’albero. Felipe si lasciò legare
senza opporre resistenza. In ogni caso non avrebbe potuto fare molto, senza
un’arma. Con il vento forte ed il
mare agitato, la manovra d’avvicinamento non fu facile per nessuno dei due
battelli, ma per l’Adventure il vento era
più favorevole e la ciurma di Barbanera era formata da uomini più esperti e
capaci, anche se il loro capitano non la pensava così: essi riuscirono a
portare l’Adventure in una posizione
vantaggiosa ed a sparare una prima bordata, colpendo la Revenge. Le cannonate falciarono
tre uomini sul ponte della Revenge, ma non
fecero grandi danni alla nave. La bordata della Revenge
mancò quasi completamente il bersaglio. Una seconda bordata dell’Adventure, uccise il timoniere e spezzò un albero
della Revenge, che cadde sul ponte,
travolgendo due uomini ed impigliandone altri nella grande vela. Il battello
di Nasone rimase in balia delle onde, fino a che gli uomini non riuscirono a
liberarsi della vela e raggiungere il timone. Senza un albero, manovrare era
alquanto più difficile e l’Adventure riuscì
ad avvicinarsi alla Revenge senza esporsi
troppo ai colpi. Appena i due battelli
furono affiancati, Barbanera prese l’iniziativa e si slanciò sulla nave
avversaria, seguito dai suoi uomini, che lanciavano grida selvagge. Alla vista di quel
colosso, con la grande barba nera fumante, molti marinai della Revenge furono presi dal terrore. Non Nasone,
però. Felipe lo distinse subito: un uomo molto grande, di corporatura
massiccia, capelli di un nero di pece, come la barba, che portava molto
corta. A renderlo immediatamente riconoscibile era il grande naso aquilino,
che troneggiava al centro di quel viso. Nasone urlò: - A noi due! Nasone si lanciò contro
Barbanera ed ebbe inizio un duello, mentre gli equipaggi delle due navi si
affrontavano. Presto altri combattenti si frapposero tra Felipe ed i due
comandanti, impedendogli di seguirne il duello: superato il terrore iniziale,
molti uomini della Revenge si erano lanciati
nella lotta con coraggio. Un colpo di pistola prese
di striscio Mano-di-ferro, che rispose con la sua
arma, fulminando l’uomo che aveva sparato. Poi sguainò la spada e si scagliò
su un altro marinaio, che aveva messo alle strette lo Sfregiato. Gli infilò
la spada nella schiena, trapassandolo da parte a parte. Mentre estraeva la spada
dalla schiena del morto, Mano-di-ferro venne
assalito da un terzo marinaio, ma si accorse dell’assalto. Mollò la spada,
ancora infilzata nel corpo, e si chinò, schivando il colpo. Poi, mentre il
marinaio cercava di recuperare l’equilibrio, lo colpì con il braccio
sinistro: il gancio si infilò nel collo del marinaio ed il sangue cominciò a
schizzare da tutte le parti. Tre-coglioni fu meno fortunato di Mano-di-ferro.
Uccise un marinaio, calandogli la spada sul collo e staccandogli quasi
completamente la testa. In quel momento però, un altro marinaio si avventò su
di lui e, prima che Tre-coglioni riuscisse a
liberare la spada, il marinaio gliela immerse nel ventre. Felipe poté vedere
la spada che entrava nella carne, all’altezza dell’ombelico e si immergeva
sempre più a fondo, mentre Tre-coglioni apriva la
bocca in una smorfia di dolore. Quando il marinaio
estrasse la spada, Tre-coglioni cadde al suolo, in
ginocchio, le mani sul ventre. Felipe vide che le mani si coprivano di
sangue. Il marinaio colpì nuovamente. Tre-coglioni
spalancò la bocca in un urlo. Il marinaio lo colpì in faccia con un calcio e Tre-coglioni cadde riverso all’indietro. In quel momento
però un altro pirata, Lepre, arrivò alle spalle del marinaio, lo bloccò con
il braccio e gli aprì il collo con il coltello. Quando Lepre lasciò andare il
corpo, questi cadde a terra e, dopo un ultimo sussulto, rimase immobile al
suolo. Lepre venne a sua volta raggiunto da un altro marinaio, che balzò su
di lui, una gamba protesa in avanti, colpendolo allo stomaco e mandandolo a
terra. Prima che Lepre avesse fatto in tempo ad alzarsi, il marinaio gli
trapassò il cuore. Felipe ammirò il marinaio
coraggioso che aveva vendicato il compagno, ma lo vide cadere subito dopo,
colpito alla schiena dalla pistola di Mano-di-ferro. La morte del marinaio
segnò la fine della battaglia: i pirati di Barbanera avevano avuto il
sopravvento ed ormai gli uomini della Revenge
erano stati uccisi o si erano arresi. La battaglia era conclusa, anche se i
due capi si stavano ancora affrontando. Topo, che era rimasto sull’Adventure per la manovra, liberò Felipe dalle
corde. - Ora puoi goderti lo
spettacolo. Un duello così non è da tutti i giorni. UN DUELLO
Nasone e Barbanera, molto
simili per corporatura, sembravano pari di forza. Ognuno dei due vibrava
grandi fendenti, che l’avversario parava senza difficoltà. Barbanera aveva
una ferita al fianco destro, che sanguinava, e Nasone un taglio alla spalla
sinistra. Tutti seguivano con
attenzione lo scontro. Era difficile dire chi avrebbe vinto. Felipe sperava
con tutto se stesso che vincesse Nasone. Voleva vedere Barbanera morto, lo
voleva più di ogni altra cosa al mondo. Non per salvarsi, ma perché lo
odiava. Nasone era più impetuoso
di Barbanera, si lanciava in attacchi più decisi, che però Barbanera
respingeva senza difficoltà. Barbanera prendeva di rado l’iniziativa:
sembrava aspettare che Nasone si scoprisse in uno dei suoi attacchi, per
poterlo colpire. E per due volte la sua spada sfiorò il corpo di Nasone,
senza però raggiungere la carne. I due contendenti erano
sudati: Felipe poteva vederne la fronte madida e le gocce che colavano lungo
il viso. Le camicie erano inzuppate ed aderivano ai corpi, lasciando
intravvedere la peluria scura che copriva il torace e le braccia dei due
rivali. Ad un certo punto,
Barbanera cominciò ad avanzare, incalzando Nasone e costringendolo ad
arretrare verso gli altri pirati. Ed allora avvenne qualche cosa che Felipe
non si aspettava: con un movimento rapido, Mano-di-ferro
si mise a quattro zampe dietro Nasone. Quando questi arretrò per schivare un
affondo di Barbanera, inciampò e cadde al suolo. Guercio gli mise il piede
sul braccio che stringeva la spada e Mano-di-ferro
gli premette la punta del pugnale sul polso, costringendolo a lasciare
l’arma. Barbanera era già addosso a Nasone e gli puntava la spada alla gola,
ridendo beffardamente. Il duello era finito. Nasone lo fissava: - Sei il solito traditore.
Non hai avuto i coglioni di affrontarmi in un duello leale. Barbanera rise. - Ti aspettavi un duello
leale da me? Sei un povero coglione, Nasone. Hai fatto la tua ultima cazzata.
Nasone era nelle mani di
Barbanera, ora, ma non sembrava avere paura. - Mano-di-ferro,
Bretone, spogliatelo. I due cominciarono a
spogliare Nasone. Felipe osservava Nasone,
che non opponeva resistenza. Era un uomo imponente, con un fisico atletico:
spalle larghe, braccia vigorose, gambe nerborute, un ventre prominente su cui
si distribuiva una peluria nera piuttosto fitta intorno ai capezzoli e sopra
al sesso. Quando fu completamente nudo, Nasone si alzò. Felipe vide che era
dotato quasi quanto Barbanera. Barbanera si mise di fronte a lui, ghignando. A vederli uno davanti
all’altro, la loro somiglianza era impressionante. A Felipe sfuggì: - Sembrano fratelli. Gamba-corta lo zittì, a
voce bassa: - Taci, Philip. Se
Barbanera ti sente, ti ammazza. Poi, abbassando ancora la
voce, fino a che divenne un sussurro appena udibile, proseguì: - Sono fratelli.
Fratellastri. Figli della stessa madre. Sono cresciuti insieme ed hanno incominciato
insieme. Barbanera rideva, senza
dire niente, il viso a pochi centimetri da quello di Nasone. Questi lo
guardava impassibile, ma ad un tratto gli sputò in faccia. Barbanera rise di nuovo,
mentre con il dorso della mano si puliva il viso, poi si rivolse ai suoi
uomini: - Preparatelo. Mentre gli uomini legavano
Nasone, Barbanera fece un giro della nave: nell’equipaggio della Revenge c’erano diversi feriti e solo tre uomini
incolumi. Due di loro chiesero a Barbanera di potersi unire a lui, ma l’unica
risposta che ricevettero fu una risata roboante. Della ciurma dell’Adventure, tre pirati erano morti, tra cui Lepre,
e due agonizzavano: Smilzo aveva perso un braccio ed aveva una ferita al
torace, Tre-coglioni al ventre. Smilzo vide venire il
capitano verso di lui ed annuì. Barbanera gli puntò la spada al cuore e la
immerse. Smilzo reclinò appena la testa, da cui uscì un fiotto di sangue. Quando Barbanera fu
davanti a lui, gli occhi di Tre-coglioni si
dilatarono per la paura. Il ventre era completamente coperto di sangue, che
formava un’ampia pozza sotto di lui. - No, no… - È inutile. Tanto
crepi. - No, no… La voce di Barbanera era
secca ora: - Piantala. Cerca di
morire da uomo. E senza lasciare a Tre-coglioni il tempo di replicare, infilzò anche a lui
la spada nel cuore. L’ESECUZIONE DEL CACCIATORE DI TAGLIE
Sfregiato e Mano-di-ferro gli legarono le mani dietro la schiena.
Strinsero con tutta la loro forza. Temevano che cercasse di reagire, ma
Nasone non aveva intenzione di farlo. Voleva anche lui morire. Ora veniva l’ultima parte.
Quando si era gettato in quell’impresa, sapeva benissimo a che cosa andava
incontro. Ma doveva farlo. O lui, o Barbanera. Non poteva continuare a
vivere, sapendolo vivo. Avrebbe voluto ucciderlo, ma se non poteva farlo,
allora meglio la morte. Brutalmente lo spinsero a
terra e gli legarono le caviglie. Poi Topo gli piegò le gambe, in modo che i
piedi poggiassero sul culo e Sfregiato tirò la corda che gli legava le mani,
forzandolo ad alzare le spalle e la testa. La corda che legava le mani venne
fatta passare attorno ai piedi e tirata, fino a che piedi e mani furono
uniti. La corda venne poi fissata, in modo che non potesse liberare le
caviglie ed i polsi, legati insieme. Ora il suo corpo formava
un arco, perché la corda teneva in una posizione innaturale gli arti. Non aveva paura, anche se
si rendeva conto di sudare abbondantemente. Sentiva le goccioline di sudore
scorrergli sul viso e perdersi tra la barba. Topo e Sfregiato
sistemarono un anello in cima ad una trave di legno e poi fecero passare la
corda che lo legava attraverso il gancio. Legarono la corda alla murata,
lasciando un buon tratto sciolto. A quel punto spinsero la trave in modo che
sporgesse sul mare e la fissarono al ponte. Nasone sapeva che avrebbe
dato spettacolo, ma non gli importava. Barbanera gli si avvicinò. Non disse nulla, ma
estrasse il coltello. Nasone sentì la punta del
coltello che gli scorreva lungo il torace. La sentì fermarsi vicino
all’ombelico. Intuì che cosa lo aspettava e si tese. Sentì la punta del
pugnale premere e poi la lacerazione della lama che gli tagliava la carne. Non era un taglio
profondo, anche se il sangue colava sul ponte della nave. Nasone sapeva bene
che serviva solo ad attirare gli squali. Ormai aveva capito che cosa lo
aspettava. Poi, ad un cenno di
Barbanera, Topo e Sfregiato lo afferrarono e lo sollevarono, lanciandolo
oltre la murata. Cadde, ma la corda bloccò la sua caduta. Il brusco strattone
gli slogò le spalle, provocandogli una fitta acuta. Il dolore alle braccia
era insostenibile, ma cercò di dominare l’espressione della sua faccia. Non
voleva dare a Barbanera il piacere di vederlo soffrire. Ora era sospeso a
mezz’aria, a forse due metri dall’acqua. Quando vide la pinna di un
pescecane avvicinarsi alla nave, capì che la sua ora era arrivata. Il sangue che colava dallo
squarcio al ventre scendeva in acqua ed attirava i pescecani. Ben presto ce
ne furono due, poi tre. Allora sentì Barbanera
dare ordine di gettare in mare i feriti. Vide i corpi dei suoi compagni
cadere in acqua, completamente nudi. Sentì le loro urla, prima di paura, poi
di dolore, mentre i pescecani si gettavano sui corpi. Vide le loro braccia
sollevarsi ancora, come cercando un’impossibile salvezza. L’acqua si
arrossava, mentre nuovi pescecani arrivavano. Ben presto tutta l’acqua fu un
ribollire frenetico di pescecani che banchettavano, mentre i corpi sparivano
dilaniati. L’ultimo urlo si spense e rimase solo il rumore dei pescecani che
sbranavano e si scontravano, contendendosi i pezzi di carne. Dopo i feriti, fu il turno
dei prigionieri, anch’essi nudi: l’intero equipaggio della Revenge finì in pasto ai pescecani. Gli uomini non
erano stati legati, senz’altro per far durare il divertimento, ed alcuni
cercarono di allontanarsi a nuoto, ma era un tentativo risibile: non si
sfuggiva alla furibonda festa degli squali e Paul, l’unico che era riuscito a
portarsi ad una certa distanza, fu rapidamente raggiunto da un pescecane che
gli troncò le gambe, prima di rimpinzarsi del resto del suo corpo. Nuovamente, le voci si
spensero una ad una, mentre i pescecani sguazzavano nel mare di sangue. Ci fu un buon momento in
cui non successe niente. Nasone aspettava il suo turno, sapendo che ormai non
mancava più molto. Anche lui sarebbe finito come i suoi compagni, divorato
vivo dagli squali. Prima era, meglio era. Il dolore alle spalle era feroce. Sentiva le voci sul ponte,
ma nessuno sembrava occuparsi di lui: dovevano essere indaffarati in altro. Poco dopo, la nave
cominciò a muoversi rapidamente: le vele erano state issate e l’Adventure si allontanava dal relitto del Revenge, puntando verso la costa. I pescecani
seguivano. Ora che si muoveva, la
nave era sbatacchiata dalle onde, che si alzavano, coprendo una parte della
fiancata. Nasone si rese conto che
stavano manovrando la corda. Sapeva che cosa significava. Vide che la
superficie del mare si avvicinava. Ora a tratti l’acqua
saliva fin quasi a lambire il suo corpo. Questo era lo spettacolo che avrebbe
dato e tutti i pirati se lo stavano godendo. Sentiva le loro grida, i lazzi
osceni. I pescecani lo sfioravano
e ad un certo punto Nasone sentì la pinna di uno squalo colpirlo al ventre.
La corda fu ancora allentata e Nasone sentì i denti che affondavano nella sua
carne, lacerando. Urlò, incapace di contenersi. Dalla nave gli rispose un
urlo di gioia. Lo tirarono un po’ in su,
in modo che l’agonia non finisse subito. Scrollarono un po’ la corda,
provocandogli nuove fitte alle spalle. Poi, di colpo si sentì cadere e fu sul
pelo dell’acqua. Un nuovo squarcio gli aprì
il ventre. Sentì gli squali che gli erano addosso, i loro morsi, poi più
nulla. LA PICCOLA VIRGINIA
Quella sera si diressero
verso nord, rimanendo all’interno del Pamlico
Sound, la grande laguna ai margini della quale correva il cordone di isole.
Barbanera voleva raggiungere una piccola laguna posta più a nord, quasi al
confine con la Virginia. Spesso navigavano di
notte, per non essere avvistati: Barbanera preferiva che nessuno conoscesse i
suoi movimenti. Quando era cacciatore, non voleva che le prede si tenessero
alla larga; quando era preda, come capitava di rado, non ci teneva a far
conoscere i suoi nascondigli al cacciatore. Una sera, dopo due ore
trascorse nella cabina di Barbanera, Felipe uscì, dolorante eppure eccitato.
Era stato vicino a venire e solo la violenza della conclusione, moltiplicando
il dolore, aveva tenuto a freno il piacere. Ma aveva ancora l’arma in
posizione di tiro. Si appoggiò alla murata,
di fianco a Gamba-corta e Guercio. Non disse nulla. Il sesso con Barbanera lo
turbava sempre di più e non riusciva a capire, a leggere dentro di sé. Sapeva
che presto, molto presto, il piacere lo avrebbe sopraffatto. Sarebbe venuto e
Barbanera lo avrebbe ucciso. Era certo che Barbanera avrebbe tenuto fede alla
sua promessa. Anche i suoi due compagni
tacevano, ma ad un certo punto Gamba-corta lanciò un grido: - Lì, lì, guardate davanti
a voi. Guercio girò la testa
dall’altra parte. Felipe si stupì della sua reazione, ma guardò nella
direzione indicata. Non vide nulla. - Che cosa c’è? - Non la vedi? Non la
vedi? Gamba-corta era
angosciato. - Philip, non la vedi? - No, non vedo proprio
nulla. Gamba-corta si fece il
segno della croce. - Che cosa hai visto? - La piccola Virginia. La voce di Gamba-corta era
spenta, ora, come se gli avessero dato una randellata in testa. - Una bambina? Gamba-corta scosse la
testa e non disse nulla. Si allontanò ed andò a sedersi sul cordame. Sembrava
sconvolto. Felipe si rivolse a
Guercio. - Ma che ha? - È una vecchia storia,
Felipe. Una vecchia, fottuta storia. Oltre cent’anni fa su un’isola, Roanoke, sbarcarono i primi coloni inglesi, che
costruirono un forte. Nacque una bambina, Virginia. Dicono che fu la prima
bambina bianca a nascere in queste terre. Ma quando una nave inglese ritornò
per portare rifornimenti, il forte era deserto: non c’era nessuno. Bada bene:
il forte era intatto, non era stato distrutto, ma sembrava abbandonato.
Nessuno ha mai saputo che cosa successe a quei coloni. - Forse vennero attaccati
dagli indiani. - Forse, ma avrebbero
distrutto o almeno danneggiato il forte. - Un’epidemia. - Avrebbero trovato i
cadaveri, almeno gli scheletri. - Un bel mistero. - Sì, un bel mistero. Guercio proseguì ed a
Felipe sembrò che la sua voce divenisse più cupa. - Dicono che lo spettro
della piccola Virginia si aggiri da queste parti. Chi lo vede morirà entro
l’anno. - È per questo che tu hai
voltato la testa dall’altra parte? - Sì ed è per questo che
Gamba-corta ci ha chiamato. Voleva che guardassimo e vedessimo, perché così
forse sarebbe morto uno di noi e non lui. Ma se tu non hai visto niente, è
perché la piccola Virginia ha chiamato lui. Dentro di sé Felipe rise
di quella superstizione: con la vita che facevano, tutti loro avrebbero
potuto morire in qualsiasi momento. E la sua morte era sicuramente la più
vicina. Le previsioni di Felipe
non erano sempre azzeccate. IL TIFONE
Il giorno dopo, quando si
svegliarono c’era una calma innaturale. Non sembrava di essere su una nave,
ma su un ponte: non c’era il minimo beccheggio. Felipe si rese conto che non
soffiava un alito di vento, nulla. Il mondo sembrava immobile. Il cielo era grigio, di un
grigio uniforme, su cui ogni tanto passavano grandi stormi di uccelli. Tutti
si dirigevano verso l’interno. Sulle rive non si vedeva
un animale, non si sentiva un suono: la costa sembrava essere priva di vita. Mano-di-ferro era pallido. - Che succede, Mano-di-ferro? - Un tifone è in arrivo. - Che cos’è un tifone? Mano-di-ferro lo guardò, con una smorfia in faccia,
come se lui avesse sparato una cazzata. - Un tifone è una tempesta
come chi vive in Europa non può neanche immaginarsi. Una tempesta in grado di
buttare giù una casa di legno, di sollevare una nave e sbatterla a riva. - Non sarebbe meglio
allontanarsi dalla zona? - E come, senza vento?
Pensi che remando arriviamo molto lontano? Qui l’acqua è poco profonda e corriamo
meno rischi che in mare aperto. Se il tifone ci passa al largo, bene. Se ci
prende di striscio, possiamo ancora cavarcela. Se ci becca in pieno, Satana
ci aspetta. Sentiamo che cosa decide Barbanera, ma penso che rimarremo qui. Infatti Barbanera decise
di fermarsi nella baia. Fece ammainare e legare tutte le vele. Non c’era
altro da fare che aspettare. Barbanera non aveva
problemi a passare il tempo e così anche Felipe fu molto occupato. Nella notte i venti
ripresero a soffiare. Il mattino il cielo era plumbeo e ad occidente grandi
nuvole nere andavano avvicinandosi, sempre più velocemente. Man mano che il tempo
passava, la luce diminuiva e a mezzogiorno il cielo era una cappa nera. Il
vento soffiava senza smettere, con tanta violenza che divenne difficile
camminare sul ponte della nave in direzione contraria a quella del vento. Di colpo, nel primo
pomeriggio il vento calò. Felipe tirò un sospiro di sollievo e si disse che i
suoi compagni dovevano essersi preoccupati per nulla: un vento davvero molto
forte, ma non era certo stato quel gran pericolo. I suoi compagni però erano
ancora scuri in volto. - Ma che avete. Si è
calmato il vento, no? - Piantala di sparare
cazzate, Philip. Ed infatti nel tardo
pomeriggio il vento riprese violentissimo, portando nuvole sempre più scure,
tanto scure che ci si vedeva appena. Ben presto fu buio quasi
come se fosse notte, anche se il sole non era ancora tramontato. Il cielo si illuminò per
un grande fulmine, che unì la terra al cielo dalla parte del mare, ramificandosi
in cento rivoli. Il tuono che seguì sembrò esplodere di fianco a loro, come
se fosse saltata in aria la santabarbara, e li fece sobbalzare. Alla luce di
un altro fulmine, Felipe poté vedere i visi pallidi dei suoi compagni. Ora il vento urlava e le
raffiche erano sempre più forti. Era impossibile stare in piedi. Alcuni erano
già scesi sottocoperta e gli altri cominciarono a strisciare sul ponte, per
raggiungerli. Felipe decise di imitarli,
ma la voce di Barbanera lo bloccò: - Rimani qui, Philip. Barbanera era in piedi,
contro l’albero maestro. Felipe ne vedeva appena la sagoma. - Vieni qui, Philip! In quel momento la nave
guizzò, sollevandosi sulle onde e prese a muoversi: il vento doveva aver
provocato la rottura degli ormeggi. Felipe si aggrappò alla
murata, cercando di non farsi scagliare in mare. Un altro fulmine illuminò
Barbanera, che avanzava carponi ed era ormai a pochi passi da lui. Con un balzo Barbanera fu
su di lui e lo afferrò, costringendolo a lasciare la presa. Entrambi
rotolarono sul ponte, mentre la nave avanzava ad una velocità che a Felipe
parve folle. Forse era solo il vento a creare quell’effetto, perché le vele
erano state ammainate ed il vento e l’acqua non potevano spingerla così
rapidamente. Barbanera cominciò a
strappargli i vestiti. Violente raffiche d’acqua li investivano e Felipe
sarebbe stato trascinato in mare, se il corpo di Barbanera, pesando su di
lui, non gli avesse impedito qualunque movimento autonomo. Ma Barbanera
sembrava inchiodato al ponte. Ora si era steso su di lui
e Felipe sentì l’ormai familiare massa farsi strada tra i suoi fianchi. E
nuovamente, sentì il desiderio affiorare ed invaderlo. Barbanera entrò dentro di
lui e come sempre quell’ingresso gli procurò una fitta, che per un momento
cancellò il desiderio. Ma la sensazione di quella torcia accesa che gli
trapassava il culo ridestò nuovamente la voglia. Barbanera spinse
vigorosamente, più e più volte. Felipe si tese, cercando di tenere a freno il
desiderio che cresceva impetuoso. Non voleva, non voleva. Ma quel corpo che
lo schiacciava, che lo riempiva, che lo stringeva, quel corpo lo incendiava.
Stava per venire. Sentì le spinte più
violente di Barbanera e il dolore smorzò il piacere. Era riuscito a
resistere. Ma Barbanera non uscì da
lui. E Felipe sentì che nuovamente il membro si irrigidiva dentro di lui. - Ancora, Philip. Ancora. Un fulmine illuminò la
nave a giorno e Felipe vide, a pochi passi dalla sua faccia, boccheggiare un
pesce, che un’onda aveva sospinto sulla nave. Un tuono lo assordò. Barbanera
urlò: - Più forte, più forte,
fratello Satana! Sono tutte lì le tue scoregge? Quasi il diavolo l’avesse
ascoltato, un nuovo tuono esplose di fianco a loro, rintronando Felipe. Barbanera rise e la sua
risata era più assordante dei tuoni. - Questa è la notte,
Philip, la grande notte. Fratello Satana ha preparato una grande festa per
noi. La tua ultima notte, Philip. Buia come il buco del culo di Satana. Ora dentro di lui la massa
calda aveva ripreso a muoversi ed il dolore sembrava sfilacciarsi e svanire,
mentre un piacere sempre più forte lo travolgeva. Sì, voleva quel tizzone
ardente, quella spada, quella picca. Voleva sentirla dentro di sé, sempre più
forte, sempre più dentro. Barbanera spingeva,
squassandolo, ma Felipe sentiva che il suo desiderio era ormai troppo forte,
che ogni spinta che martoriava la carne non faceva che aggiungere piacere e
quando infine Barbanera venne nuovamente, con una serie di colpi che
sembravano volerlo dilaniare, sentì il proprio piacere salire, salire
incontenibile e spandersi sul ponte. Non riuscì a trattenere il
gemito che gli salì dal ventre, gli riempì la gola e forzò la via nell’urlo
della tempesta. - Finalmente, godi anche
tu, Philip! Sapevo che prima ti avrei fatto godere. Ora ti ammazzerò. Ti
strangolerò e poi ti mangerò i coglioni, Philip. Felipe sapeva che la sua
ultima ora era arrivata. Non avrebbe avuto vendetta. Barbanera lo schiacciava
contro il ponte della nave e già le sue mani gli stringevano il collo. IN FUGA
In quel
momento avvenne l’urto. La nave, spinta dall’acqua e dal vento, si incagliò
su un basso fondale e la sua corsa finì bruscamente. Barbanera e Felipe
furono proiettati in avanti e rotolarono, separandosi. Felipe sentì uscire la
massa che gli riempiva il culo, poi il peso del corpo che lo schiacciava
scomparve e per ultime le mani che gli stringevano il collo si
staccarono. Felipe
si ritrovò contro la murata. Quando il movimento si arrestò, si alzò e saltò
oltre. Non sapeva che cosa sarebbe successo. Sarebbe certamente morto
affogato, ma non voleva dare a Barbanera la soddisfazione di ucciderlo. Finì in
acqua, ma toccò il fondo. L’acqua gli arrivava al collo. Cercò di
allontanarsi dalla nave e si accorse che il terreno risaliva. In pochi passi
si ritrovò fuori dall’acqua. In quel
momento sentì, quasi coperto dal vento, l’urlo di Barbanera. -
Philip! Non
doveva rispondere. Doveva tacere. Quell’infima possibilità di sopravvivere
che aveva dipendeva dal suo silenzio. Ma la rabbia era più forte. Si disse
che tanto Barbanera non sarebbe riuscito a trovarlo in quel buio infernale.
Urlò: - Ti
ucciderò, Barbanera, ti ucciderò! Si
chiese se Barbanera poteva sentirlo, ma la risposta non si fece attendere:
una colossale risata, che gli sembrò dominare anche la furia del vento, i
tuoni, le onde. Il
lampo successivo gli mostrò Barbanera ritto sul ponte della nave, il grande
sesso eretto, il fucile in mano. Al suo fianco un uomo nero gli indicava con
il dito il punto in cui si trovava Felipe. Nell’attimo di luce, Barbanera
prese la mira e tirò. Gettandosi a terra, nel buio che aveva nuovamente
avvolto il mondo, Felipe sentì la pallottola sfiorargli la testa. Si alzò e
cominciò a correre, spinto da una paura ben più grande del terrore della
morte. La
visione di quell’uomo nero gli era rimasta negli occhi. Quell’uomo non era
uno della ciurma, non poteva esserlo. Quell’uomo aveva il braccio puntato già
prima che il lampo l’illuminasse. Lo vedeva nelle tenebre. Quell’uomo… Quale uomo? Se quello era un uomo, lui era lo
Spirito Santo. Man
mano che si allontanava dalla nave, rallentò il passo. Correre era un
suicidio: non vedeva nulla, non sapeva dove stava andando. Sarebbe stato più
saggio fermarsi ed aspettare, ma non poteva permetterselo, non aveva altra
possibilità, se voleva avere qualche speranza di sfuggire a Barbanera. E
Barbanera era una minaccia mortale, più ancora del tifone. Si
accorse di essere entrato in acqua. Sferzato dal vento, bagnato dalla
pioggia, non aveva realizzato subito. Ora aveva l’acqua fino oltre le
ginocchia. Cercò di ritornare indietro, ma sembrava che l’acqua fosse
dappertutto. Se non fosse riuscito a ritornare a terra, non ce l’avrebbe
fatta. Con quel buio ed il vento, impossibile nuotare. E poi, nuotare in che
direzione? Al
terzo tentativo ritrovò la terra. Riprese a camminare, ma non aveva la più
pallida idea della direzione in cui stava andando. Magari stava ritornando
verso la nave. Si fermò. Un nuovo lampo illuminò la terra e prima che il
tuono la facesse tremare, fece in tempo a vedere davanti a sé una striscia di
sabbia che si allargava, fino a diventare un promontorio coperto di alberi.
In quella direzione poteva andare. Camminò
ancora un po’. Ogni tanto un lampo lo aiutava a ritrovare la strada.
Guardando indietro, quando un lampo squarciò nuovamente le tenebre, non vide
traccia della nave. Doveva
essere abbastanza distante, ormai. E forse ora era più opportuno fermarsi.
Era arrivato al bosco. Sentì al tatto il tronco di un grande albero, con rami
che giungevano quasi fino al suolo. Meglio salire, sedersi su un ramo e
passare la notte lì. Cominciò ad arrampicarsi. Non era facile, al buio. I
rami gli laceravano la pelle. D’improvviso si rese conto che sentiva un
rumore sordo, come il ringhiare di un cane. Si fermò. Sì, non si era
sbagliato. Restò immobile fino a che un lampo illuminò, sul ramo di un
albero, un animale simile ad un grande gatto, che gli mostrava le zanne. Rimase
un attimo paralizzato, poi cominciò a scendere, sperando che la bestia non
gli saltasse addosso. Aveva sentito parlare di grandi animali feroci, simili
alle tigri: si chiamavano giaguari ed erano in grado di divorare un uomo. Non
ci teneva a finire sbranato. Si
addentrò nel bosco, fermandosi ancora ogni tanto ad aspettare che un lampo
gli mostrasse la strada. Ad un certo punto si rese conto che non ce la faceva
più. Si inginocchiò a terra, poi si sdraiò. Non avrebbe più potuto camminare
neanche se Barbanera fosse stato alle sue spalle. Era sfinito. Si
addormentò, malgrado i tuoni che scuotevano la terra. UN MONDO DESERTO
Si
svegliò che era giorno pieno. Aveva dormito a lungo, nonostante il suo
giaciglio di foglie, rami e sassi non fosse certo molto comodo. Si mise a
sedere. Era coperto di fango e pieno di graffi, sentiva un cerchio alla testa
ed era indolenzito e stordito. Ma era libero. Non era più prigioniero di
Barbanera. Si disse che non l’avrebbe rivisto mai più e, come al solito,
sbagliò. Il
cielo era ancora grigio ed il vento forte, ma era un vento normale, che non
impediva di camminare. Ora poteva esaminare la situazione. Si alzò e si
guardò intorno. Era in un boschetto, su un pendio vicino alla costa. Decise
di salire lungo il fianco della collinetta, alla ricerca di un punto da cui
potesse vedere dove si trovava. Il
punto più alto della collina non era molto elevato, ma offriva una vista
sufficiente. Sufficiente a scoprire che intorno non c’era segno di vita. Né
della nave di Barbanera, e questo era una fortuna, né di qualsiasi altra
presenza umana. E questo era un bel guaio. Era nudo, senza un’arma, senza uno
strumento, in un continente di cui non conosceva nulla. Come sarebbe
sopravvissuto? Doveva assolutamente trovare un paese, un’abitazione in cui
chiedere aiuto. Doveva cercare un villaggio di coloni. Dovevano essercene
parecchi. E se
avesse trovato un accampamento indiano? Sapeva poco degli indiani. Alcuni li
descrivevano come selvaggi, altri invece dicevano che spesso aiutavano i
bianchi. La cosa
migliore era comunque cercare di muoversi senza perdere di vista la costa. Se
c’erano paesi, non dovevano essere molto lontani dalla costa. E se avesse
trovato un villaggio indiano, avrebbe visto il da farsi. Cercò
un ramo di un albero da usare come bastone. Non sarebbe servito a molto
contro un giaguaro o un alligatore, ma l’idea di essere del tutto disarmato
non gli andava. Camminò
tutto il giorno, senza vedere traccia di presenza umana: né abitazioni, né
sentieri, né campi coltivati, né alberi tagliati, né fumo in lontananza.
Trovò un ruscello, a cui bevve a lungo, calmando la sete e rinfrescando la
gola riarsa, ma nulla da mangiare. Le
pietre, i rami secchi, i rovi gli graffiavano le gambe e la pianta dei piedi
gli doleva per le mille piccole ferite. La stanchezza diventava sempre più
forte, ma Felipe continuava a camminare, alla ricerca di qualche segno di
vita. A sera,
ormai esausto, raccolse un po’ di foglie secche e se ne fece un giaciglio ai
piedi di un albero, un po’ nascosto dai cespugli. Si
svegliò il mattino dopo, riposato, ma assetato e con una fame da lupi: si
disse che se avesse incontrato il giaguaro, lo avrebbe sbranato senza neppure
cuocerlo. Riprese la marcia, cercando di dirigersi sempre verso nord. Una
vasta insenatura lo costrinse però a spingersi verso l’interno. La fame
lo tormentava e cominciava a sentirsi debole, ma continuava a non vedere
traccia di vita umana. Che cosa poteva fare? Cercare di catturare un animale
per mangiarlo? Senza un coltello, una corda per fabbricare un laccio, nulla? Cercare
un nido per mangiare le uova? Come se fosse così facile trovare i nidi! Nutrirsi
di frutti selvatici non era pensabile. Quei pochi che aveva avuto modo di
vedere non sembravano commestibili. Il giorno dopo, magari, piuttosto che
morire di fame, ne avrebbe assaggiato qualcuno. I piedi
erano sempre più indolenziti e le gambe reggevano appena. Per quanto tempo
avrebbe potuto proseguire? Quando
giunse la sera, si chiese che senso avesse continuare così. Boschi e paludi e
nient’altro. Lungo quella costa non abitava nessuno. Era sfuggito a Barbanera
per morire di fame. E di sete: non aveva più incontrato un ruscello ed aveva
preferito non bere l’acqua delle paludi. Ma che cos’altro poteva fare? Si
stese e si addormentò, rassegnato alla sua sorte. UNO STRANO INCONTRO
Quando
finalmente vide il cavallo, sul fianco della collina, Peter Jefferson lanciò
un urlo di gioia: il giorno precedente aveva quasi rinunciato a ritrovarlo.
La tempesta di tre giorni prima aveva abbattuto una parte del recinto e lo stallone
era fuggito via, terrorizzato. Era il terzo giorno che lo cercava. La sera
prima aveva finalmente trovato alcune tracce, ma era ormai buio. Si era
accampato vicino alle tracce e non appena era ritornata la luce, aveva
ripreso la sua ricerca. Ora poteva vedere il cavallo, che brucava tranquillo.
Spinse
la propria cavalcatura sul fianco della collina ed arrivò vicino allo
stallone. Gli si mise a fianco, gli accarezzò la criniera. Il cavallo nitrì.
Jefferson scese, e cominciò a mettere i finimenti allo stallone. Poi prese in
mano le briglie, risalì sul proprio cavallo e cominciò a dirigersi verso la
fattoria. Non era
ancora arrivato al fondo del pendio quando lo vide. Era un corpo umano,
disteso vicino ad un cespuglio. Era nudo. Una
vittima della tempesta? Un
indiano? Un pirata? Jefferson
si diresse verso il corpo. Arrivato vicino all’uomo, legò i due cavalli ad un
albero, poi percorse gli ultimi metri. Non era
un indiano. Era un europeo, un colono, forse. Era un uomo, giovane. Doveva
avere qualche anno in meno di lui, una ventina, non di più. Aveva graffi e
piccole ferite. Respirava, sì, sicuramente respirava. Che ci faceva lì, in
quelle condizioni? Si
avvicinò ancora e lo osservò. Capelli nerissimi, come la corta barba.
Sopracciglia folte e lunghe ciglia, colorito un po’ scuro. Uno spagnolo,
forse? Non era molto alto. Di viso non era bello, ma di corpo sì. Peter sentì
una sensazione oscura nel ventre. Si
chinò su di lui. La sua ombra si proiettò sull’uomo, che si risvegliò di
scatto e si alzò a sedere, uno sguardo spaventato. Aveva gli occhi lucidi,
doveva essere febbricitante. Jefferson
gli sorrise e disse: - Chi
sei? L’uomo
lo guardò un attimo e rispose, a fatica: - Felipe… sete… ho sete. Peter
prese la borraccia e gliela porse. Mentre lo aiutava a tenerla in alto, sentì
il calore del suo corpo. Sì, aveva la febbre, la febbre alta. Felipe beveva a
grandi sorsi. Aveva le labbra secche e spaccate. Doveva aver sofferto la
sete. E forse anche la fame. - Va
meglio ora? Felipe
annuì. - Che
ti è successo? - I pirati… mi hanno catturato… in
mare, sulla Queen Sophia. Il tifone… sono scappato. Sono due giorni che giro… cerco qualcuno. Faceva
fatica a parlare, ma sembrava conoscere l’inglese molto bene, Jefferson
avrebbe potuto crederlo inglese, ma il nome era spagnolo. Catturato dai
pirati? Era vero? Pirati ce n’erano, soprattutto quel Barbanera. Ne dicevano
di tutti i colori su di lui. E di nuovo Jefferson avvertì una sensazione di
calore al basso ventre. Felipe
parlò ancora: - Dove
sono? - Sei
ad una trentina di miglia da Norfolk ed a dieci dalla fattoria dove vive la
mia famiglia. Io mi chiamo Peter Jefferson e sono un colono. Felipe
annuì. Era stremato. Come portarlo fino alla fattoria? Era debole per la
febbre, probabilmente non aveva mangiato da quando era partito. - Hai
fame? Felipe
annuì. Peter andò al cavallo e prese dalla sacca un po’ di carne secca e le
gallette che aveva portato con sé. Felipe mangiò avidamente, ma dopo pochi
bocconi non riuscì più a trangugiare. Peter gli diede di nuovo da bere. - Da
quand’è che non mangi? - Sono
tre giorni. Sì,
doveva essere vero, a vedere come si era avventato sul cibo. Poveretto. - Alla
fattoria potrai mangiare a sazietà. Sai cavalcare? - Sì,
certo. Felipe
si alzò, ma Peter lo vide barcollare. Lo sostenne. - Sono
debole... È la fame. Non solo… Credo di avere la
febbre. - Certo
che ce l’hai, sei caldissimo. Devi metterti a letto. Ma bisogna che arriviamo
alla fattoria. Meglio che andiamo tutti e due sullo stesso cavallo. Difficilmente
Felipe sarebbe riuscito a cavalcare, perciò Peter legò le briglie dello
stallone alla propria sella, poi salì a cavallo e fece salire Felipe davanti
a lui. Felipe era davvero molto debole e Peter dovette quasi issarlo a forza. Gli
passò il braccio intorno alla vita per sostenerlo. -
Appoggiati pure a me. Sentì
che Felipe si lasciava andare. Cominciarono a cavalcare. Felipe non diceva
nulla, doveva essere intontito dalla febbre, dalla fatica, dal sonno. Quel
corpo nudo e caldo appoggiato contro il suo gli trasmetteva sensazioni forti,
che divenivano ad ogni momento più precise. Lasciò che la mano libera
scendesse in basso ed accarezzò il sesso del giovane. Non ci fu nessuna reazione.
Aveva perso coscienza. Peter avrebbe voluto fermarsi, stendere il giovane per
terra e prenderlo. L’idea gli tornava ossessivamente in mente, ma il ragazzo
aveva bisogno di cure, di acqua, di cibo. Si
sentì sollevato quando arrivarono alla fattoria. Non
c’era un dottore nei paraggi, ovviamente, ma sua madre sapeva curare e, dopo
aver controllato le condizioni del ragazzo, concluse che qualche infuso
sarebbe stato sufficiente per fargli passare la febbre. Poi, mangiando e
bevendo a sazietà, si sarebbe rimesso in sesto in quattro e quattr’otto. Lo
misero nel letto di Peter, che avrebbe dormito su un pagliericcio. In quel
giorno Felipe si svegliò ogni tanto, ma delirava e non fu possibile
parlargli. La febbre era ulteriormente salita. Quando
tutti andarono a dormire, Peter si fermò a fianco del letto e guardò Felipe.
Agitandosi nel sonno, Felipe si era scoperto completamente ed ora era disteso
sulla pancia, le gambe leggermente allargate. Peter
sapeva che avrebbe dovuto coricarsi sul pagliericcio, ma il suo desiderio si
drizzava. Si spogliò, come per dormire, ma si sedette sul letto, di fianco a
Felipe. Ne toccò la pelle, caldissima. E quel contatto bruciò ogni
resistenza. Non
aveva mai avuto rapporti. Tre mesi dopo si sarebbe sposato con Anne, ma in quel
momento provava un unico, incontenibile desiderio. Allargò
le gambe di Felipe, avvicinò un dito a quella promettente apertura, spinse
leggermente, provocando un gemito. La resistenza dell’anello di carne lo
lasciò incerto, si sputò sulle dita e inumidì l’area intorno all’anello.
Sputò ancora e fece lo stesso con la punta della propria vigorosa arma. Poi
non fu più in grado di contenersi. Premendo
leggermente sulle natiche, le divaricò, quel tanto da permettere alla
cappella di toccare il suo obiettivo. Poi spinse con delicatezza. Entrò senza
fatica e la sensazione di calore che avvolse il suo sperone lo stordì. Dalla
punta dell’arma mille carezze risalivano lungo il suo corpo, facendolo
tremare dal piacere. Spinse
più a fondo la picca e vederla scomparire per intero tra quei fianchi, che le
sue mani stringevano, aggiunse nuovo piacere a quello che già provava. Si
stese sul corpo e ne assaporò il calore. Poi sentì la violenza del desiderio
travolgere ogni resistenza e cominciò ad incalzare la preda, sempre più
forte, spingendosi sempre più all’interno, fino a che l’ondata del piacere lo
sbaragliò, in un’estasi che non aveva mai provato, che non credeva possibile,
che sembrava non finire mai. Crollò
esausto e tremante su quel corpo ed in un impeto di riconoscenza lo abbracciò
e lo baciò sulla nuca. Era
stato troppo bello. Rimase steso su Felipe, gustando ogni attimo di quel
contatto. E
nuovamente sentì il desiderio affluire verso il ventre e lo sperone
drizzarsi. Era già dentro, ma uscì, per assaporare nuovamente il momento
magico dell’ingresso, la sensazione della carne che cedeva, della caverna
umida che lo accoglieva. Questa
volta il desiderio era meno incalzante ed il piacere crebbe a lungo, fino a
bruciarsi in una nuova serie di spinte, che lo lasciarono nuovamente
boccheggiante e felice. Con
riluttanza si staccò da quel corpo caldo e vide la sua sciabola, ancora
turgida, uscire dal fodero che l’aveva accolta così calorosamente. Si mise in
piedi, guardando ancora una volta le natiche sode del giovane, poi si stese
sul pagliericcio. Si
addormentò quasi immediatamente, ma, svegliandosi nel cuore della notte,
ritornò due volte ad esplorare il meraviglioso territorio che aveva scoperto. NELLA FATTORIA DEI JEFFERSON
Felipe
ricordava vagamente che qualcuno gli aveva dato da bere e da mangiare. Tutto
il resto era composto da frammenti incoerenti. Ricordava le pareti di una
stanza, quella in cui ora si era risvegliato, una voce di donna, calda e
dolce. E poi la sensazione violenta che ancora Barbanera lo possedesse, più e
più volte, una sensazione dolorosa e piacevole. Delirio: lì Barbanera non
c’era. Non l’avrebbe mai più rivisto. - Ti
sei svegliato? Come ti senti? Il
giovane che gli sorrideva aveva una faccia vagamente familiare, sì, era lui
che l’aveva salvato. Gli aveva detto il suo nome, ma non se lo ricordava. - Bene,
molto bene. Ho l’impressione di aver dormito per giorni e giorni. Il
giovane rise. - Mica
solo un’impressione. Sono quattro giorni che non fai altro che dormire e
delirare. Ma adesso la febbre è calata e sembri stare bene. - Sì,
mi sento davvero bene. Grazie. Mi hai salvato. Il
giovane alzò le spalle. Felipe insistette. - Ti
devo la vita. Non so come potrei sdebitarmi. Gli
parve che il giovane arrossisse leggermente. Lo stava mettendo in imbarazzo.
Meglio che cambiasse argomento. Fu il giovane a fornirgli un altro tema: -
Raccontami come hai fatto a finire ai margini della palude, dove non avrei
mai pensato di trovare un uomo bianco. Felipe
raccontò la sua storia: il viaggio, la cattura da parte di Barbanera, la fuga
durante il tifone, il disperato vagare alla ricerca di un’abitazione, un
viandante, un aiuto. Non disse nulla, ovviamente, sui suoi rapporti con
Barbanera, limitandosi a dire che lo teneva prigioniero e lo faceva lavorare
sulla nave. Peter
prestò a Felipe il suo secondo paio di pantaloni ed una camicia, così la sera
Felipe poté scendere ed incontrare la madre e la sorella di Peter. Il padre
ed i fratelli rientravano tardi: si era in autunno e c’erano molti lavori da
fare nella fattoria; lo stesso Peter si era fermato a casa solo per badare al
bestiame, ma abitualmente passava le giornate nei campi. La
madre di Peter era una donna forte, decisa e gioviale, che a Felipe fece
un’ottima impressione. La sorella era una biondina esile, timida e
sorridente. Quella
sera Felipe conobbe il padre di Peter ed i suoi tre fratelli maggiori, due
dei quali erano molto alti e forti, mentre il terzo assomigliava di più a
Peter, anche lui ben piantato, ma meno alto e massiccio. Felipe
si offrì di dare una mano nei lavori alla fattoria, ma quando il padre scoprì
che non aveva mai lavorato nei campi, gli disse di lasciar perdere: - Tra
noi e gli schiavi, siamo abbastanza. Piuttosto, che progetti hai? - Conto
di raggiungere la città più vicina e cercarmi un lavoro, non mi è rimasto
nulla, nemmeno gli abiti. - A
Norfolk lavoro per chi ha voglia e braccia non manca. Non ti possiamo aiutare
molto, ma non ti lasceremo partire come sei arrivato. Felipe
ottenne una vecchia giacca di uno dei fratelli di Peter ed un paio di
pantaloni ridotti in condizioni pietose: erano della sua misura, ma avevano
tanti di quei buchi che coprivano assai meno del minimo richiesto dalla
decenza. La giacca invece doveva essere la giacca di Ercole, perché addosso a
Felipe faceva da cappotto. Con il vantaggio, non indifferente, di nascondere
quanto i pantaloni non rivestivano. L’effetto
totale era al limite del ridicolo, ma meglio il ridicolo che l’indecenza.
Comunque, prima della sua partenza, la madre di Peter rammendò i pantaloni,
strinse un po’ la giacca, gli diede un po’ di cibo e due monete. -
Norfolk è a venti miglia da qui. Peter ti accompagnerà a cavallo nella prima
parte del cammino, in modo che non ti stanchi troppo. Non può portarti fino a
Norfolk, perché qui c’è molto da fare. Buona fortuna. Peter
lo accompagnò per un bel pezzo e Felipe si stupì di vedere un paesaggio del
tutto diverso da quello che ricordava: ampie distese di campi coltivati,
molti a grano ed alcuni a tabacco, si alternavano a boschi. Peter
gli indicò la strada che doveva percorrere e lo salutò, tornando indietro con
i due cavalli. Felipe si avviò. UN LAVORO COME UN ALTRO
A
Norfolk si sistemò a dormire in una vecchia barca: non voleva sprecare per
una locanda le due monete che costituivano il suo tesoro. Il tesoro comunque
si ridusse drasticamente il giorno dopo, a mezzogiorno, non appena Felipe,
che aveva saltato la colazione, si comprò un po’ di pane. Per
tutto il giorno bussò a diverse botteghe alla ricerca di un lavoro, ma
nonostante quel che gli avevano detto i Jefferson, non riusciva a trovare
nulla. Si rendeva conto che molta gente, vedendolo vestito di stracci,
diventava diffidente. La
sera, dopo una lunga meditazione, diede fondo al suo tesoro per mangiare
ancora qualche cosa, prima di tornare a dormire nella barca. Il
mattino dopo Felipe si risvegliò senza un quattrino. Il suo unico patrimonio
era costituito da un paio di pantaloni rattoppati e da una giacca che
sembrava un cappotto. Si
disse che in fondo era vivo e non era più tra le grinfie di Barbanera e
questo era già un risultato. Riprese la ricerca di lavoro, senza maggiore
fortuna rispetto al giorno precedente. Nel
primo pomeriggio era stanco ed aveva nuovamente fame. Si chiese perché mai lo
stomaco avesse così tante pretese: in fondo aveva mangiato ancora il giorno
prima. Avrebbe dovuto accontentarsi, quel voler mangiare tutti i giorni era
davvero una richiesta eccessiva. Cercava
di scherzare, ma cominciava ad essere preoccupato. Se il suo abbigliamento
allontanava i datori di lavoro, non avrebbe mai avuto il denaro necessario
per migliorarlo. E se continuava a saltare i pasti, presto non avrebbe avuto
le forze per guadagnarseli, anche se qualcuno si fosse dimostrato disponibile
a dargli un lavoro. Gli
sembrava di aver esaurito le botteghe della cittadina e cominciò a chiedere
alla gente per strada, ma il suo aspetto rendeva tutti diffidenti. Finalmente
una donna gli disse: - So
che cercano qualcuno … là in fondo. La
donna sorrise mentre lo diceva e Felipe si disse che in quel sorriso c’era un
po’ di presa in giro, ma non di cattiveria. Tanto valeva provare. “Là in
fondo” era ai margini della cittadina, una casa dall’aspetto dignitoso. Non
c’era insegna, solo un lume alla finestra. Avrebbe potuto essere una locanda,
ma nulla lo indicava. E la porta era chiusa. Era strano: erano solo le tre
del pomeriggio. Bussò. La
donna che venne ad aprire non gli diede nemmeno il tempo di dire una parola: - Siamo
chiusi. Apriamo alle sei. Non ce la fai più ad aspettare? Poi lo
squadrò e scoppiò a ridere. - Chi
ti ha vestito? Lo spaventapasseri? E che cosa vuoi, tu, qui? Soldi certo non
ne hai e gratis non te la danno. Felipe
intuì il tipo di attività che si svolgeva in quell’edificio. Si disse che non
era in condizione di fare lo schizzinoso. - Cerco
lavoro. Mi hanno detto che qui avete bisogno di qualcuno. Ho bisogno di
lavorare. Non
avrebbe saputo dire perché aveva aggiunto quell’ultima frase, non era nel suo
carattere umiliarsi, ma la donna gli aveva ispirato simpatia. La
donna annuì, con un sorriso di comprensione. - Sì,
direi proprio di sì. Chiamo la padrona. Vieni dentro. Lo
introdusse in una saletta il cui arredamento pretenzioso confermò la prima
impressione di Felipe. Il nostro eroe si sedette, contento di potersi
riposare un po’. Quando era arrivato a Londra, la sola idea di lavorare in un
posto del genere lo avrebbe fatto inorridire, ma ora non si preoccupava di
questo. La
padrona gli espose le sue esigenze: cercava qualcuno che sapesse stare zitto,
non dare nell’occhio, ma essere presente e controllare che tutto andasse
bene, sbattere fuori il cliente che aveva bevuto troppo e pretendeva più del
dovuto o che non rispettava i patti, separare quelli che litigavano, ma con
il tatto necessario. Felipe
accettò. Ricevette
subito un paio di pantaloni, una camicia ed una giacca decenti e fu messo
all’opera. Quella sera stessa ebbe modo di conoscere le tre ragazze di Miss Harriett e Patrick, fratello di Miss Harriett,
che gli avrebbe dato una mano nei casi più difficili. Che
Patrick, un bel mulatto, dalla pelle molto chiara, fosse il fratello, sia
pure fratellastro, della matura Miss Harriett,
Felipe non l’avrebbe creduto neanche se gliel’avessero dimostrato documenti
alla mano. Se davvero lo era, in quella casa si consumava un incesto ogni
notte. Ma non erano affari suoi. Il
lavoro non era davvero difficile e le prime volte che ci furono problemi,
Felipe si dimostrò all’altezza della situazione. Nei casi più gravi, gli
servì la sua abitudine a maneggiare le armi, che gli permetteva di disarmare
l’avversario senza ferirlo. La sua educazione di gentiluomo spagnolo gli serviva
davvero nel bordello di Miss Harriett. Certo che
non avrebbe mai pensato di usarla così, ma non importava: era vestito e
nutrito, guadagnava poco, ma i suoi bisogni erano ridottissimi e riusciva a
mettere da parte qualche cosa. Prima o poi avrebbe trovato un altro lavoro e
sarebbe riuscito a raggiungere Cuba. Era abituato a ripartire da zero. IL PIRATA TESTAPELATA
Una
notte, molto tardi, quando i clienti se n’erano ormai andati tutti, qualcuno
bussò alla porta. Andò ad aprire Anne, a cui spettava questo compito:
conosceva i clienti e sapeva, anche fuori orario, chi era il caso di far
entrare e chi invece doveva mandare a stendere. Dopo l’ora di chiusura,
Felipe la accompagnava sempre, per essere pronto ad intervenire se qualcuno
avesse voluto entrare con la forza. Il
visitatore venne fatto accomodare subito con grandi salamelecchi. Era un uomo
molto alto, una spanna più di Felipe, ma soprattutto era largo. Nella giacca
con cui Felipe era arrivato forse non sarebbe nemmeno entrato: il torace
sembrava il pilastro di una cattedrale. Aveva grandi mani, con dita corte e
tozze, ricoperte da una peluria nerissima. In compenso la testa era
completamente priva di barba e capelli: gli unici peli erano quelli della
sopracciglia, folte, che si congiungevano sopra il naso. Felipe
non lo aveva mai visto prima. Dava un’impressione di potenza, ma anche di
brutalità. Quando
l’uomo fu accompagnato nella camera di Georgette, la ragazza che aveva
scelto, Patrick si rivolse a Felipe: - Sai
chi è quello, Felipe? Felipe
guardò perplesso Patrick, che gli avvicinò la bocca all’orecchio e gli
sussurrò: - Il
famoso Testapelata. Felipe
rimase stupito. Aveva sentito parlare di Testapelata,
molto. Ma se l’era immaginato completamente diverso. Testapelata
era un grande corsaro, poi, quando la guerra era finita, aveva proseguito
come pirata. I racconti delle sue gesta lo avevano spesso fatto sognare,
perché Testapelata era diverso da tutti gli altri:
leale, generoso, un animo nobile. -
Guardarlo mentre scopa è uno spettacolo: la padrona ha paura, gli lascia fare
tutto quello che vuole e lui si dà da fare. Ti consiglio di dare un’occhiata. Ognuna
delle camere aveva qualche apertura da cui era possibile controllare quello
che avveniva: una precauzione utile per la sicurezza delle ragazze. Felipe si
era abituato, su richiesta della padrona, a controllare periodicamente
qualche cliente nuovo o poco fidabile. Adesso
che non c’era nessuno, avrebbe potuto spiare Testapelata.
L’idea lo stuzzicava e decise di seguire il consiglio di Patrick. Testapelata si spogliò rapidamente, rivelando un
corpo tanto muscoloso quanto peloso. Quando si calò i pantaloni, Felipe vide
che il pirata era già pronto e le dimensioni dell’arma erano davvero
notevoli, anche se, per chi aveva conosciuto Barbanera, non stupefacenti. Testapelata si mise su Georgette e la infilzò
rapidamente, facendola gemere. Poi si mise a spingere ed in pochi minuti
venne. Si tirò fuori e si mise su di un fianco. Il grande sesso era ancora
turgido, anche se non più rigido. Testaspelata
sgranocchiò una mela che era sul comodino, guardando Georgette. Felipe
si disse che lo spettacolo non era stato davvero granché, anche se la visione
di quel gigante non lo aveva lasciato del tutto indifferente. Lo
spettacolo non era finito, però. Testapelata ruttò
rumorosamente, poi disse: - Non
ne potevo più. Adesso riprendiamo. E,
senza tanti complimenti, si rimise su Georgette. Era di nuovo pronto e questa
volta la manovra fu assai più lunga. Dopo la
seconda volta, Testapelata si alzò per pisciare,
bevve un po’ di vino, finì di mangiare la mela, ruttò ancora e si rimise al
lavoro. Georgette faceva la sua parte, con lodi e gridolini che Felipe le
aveva sentito fare più volte, ma che forse in questa occasione erano più sinceri.
Concluso
il terzo round, Testapelata si mise a russare,
rimanendo sopra Georgette. Felipe stava per andarsene, ma Testapelata
si risvegliò, passò al quarto round, seguito da una pausa più lunga, in cui
bevve nuovamente e, dopo i soliti rutti, disse: -
Adesso voltati, che te lo metto in culo. Georgette
lo guardò quasi con terrore: - No, Testapelata. Ti prego. Ce l’hai troppo grosso, mi fai
male, ti prego, non in culo. - Taci
e voltati. Mentre
parlava, Testapelata le mollò un ceffone.
Georgette, piagnucolando, obbedì. Felipe
era stato sul punto di intervenire, ma le istruzioni ricevute dalla padrona
erano state precise: l’ospite poteva fare quello che voleva, lui non doveva
impicciarsi. E con ogni probabilità i lamenti di Georgette facevano parte
dell’esibizione. Infine Testapelata si alzò e, dopo un ultimo spuntino, si
rivestì, pisciò ancora una volta e se ne andò. Felipe risalì nel sottotetto sentendosi
triste. Quello era il celebre Testapelata,
protagonista di tanti racconti che avevano fatto sognare Felipe? L’uomo che
attaccava le navi negriere e liberava gli schiavi, che aveva espugnato la
fortezza di Maracaibo per liberare alcuni dei suoi uomini, che aveva sfidato
una tempesta per salvare un’imbarcazione in pericolo, che si era sempre
dimostrato clemente con i nemici sconfitti, che rideva mentre stavano per
impiccarlo? Che delusione! Quell’uomo non aveva nulla dell’eroe generoso e
cavalleresco di cui tutti parlavano. Poteva essere coraggioso, ma non era
altro che una bestia. Sapeva che Testapelata poteva
essere feroce, ma l’ottusa brutalità di quell’animale che aveva appena spiato
era mille miglia lontana dai suoi sogni su Testapelata.
Sogni, aveva detto bene: nient’altro che sogni. Ripensando al giudizio di
Barbanera, Felipe non si stupì dell’apprezzamento: Testapelata
sembrava lo stesso tipo di uomo, o forse sarebbe stato meglio dire lo stesso
tipo di bestia, di Barbanera. CACCIA AL PIRATA
Felipe lavorava al
bordello da quasi un mese, quando sentì la conversazione di due clienti, che
fumavano dopo la consumazione. Uno dei due, il mercante Bullcock,
gli aveva ordinato di portargli il pitale ed ora stava pisciando. Felipe
guardava nel vuoto, come faceva sempre quando doveva reggere il pitale a
qualche cliente. Non era una delle parti più piacevoli del suo lavoro. - Il governatore ha
preparato una spedizione per stanare Barbanera. Finalmente ci libereranno di
quel diavolo fottuto. Felipe drizzò le orecchie. - Non sarà così facile.
Altri ci hanno provato, ma senza risultati. - Spotswood
è deciso. I mercanti della costa sono furibondi, il numero di navi assalite
continua ad aumentare. E quelle bande di diavoli vogliono farsi una base
fortificata a Ocracoke. Ti immagini che cosa
significa? Verranno i pirati di tutta la costa e non sarà più possibile
stanarli. - Ocracoke
è in Carolina: toccherebbe al governatore della Carolina pensarci. - Il governatore della
North Carolina è un cagasotto. Fortunatamente Spotswood ha i coglioni. Bullcock finì di pisciare e si scappellò due
volte per far scendere le ultime gocce, mentre il suo interlocutore gli
rispondeva:. - E allora perché non
manda le navi da guerra? - Le acque nella zona di Ocracoke non sono abbastanza profonde: Spotswood ha affidato al tenente Maynard
il compito di organizzare una spedizione con battelli più piccoli e leggeri,
in grado di muoversi in quell’intrico di canali. Maynard
partirà dopodomani con due navi, la Ranger e la Jane. Non hanno
artiglieria pesante, ma si stanno attrezzando e sono gente con i coglioni. Felipe aveva sentito
abbastanza. Il suo lavoro al bordello era finito. Quella era l’ultima volta
che reggeva il pitale. - Mi scusi, sa se
accettano uomini per la spedizione? Bullcock lo squadrò. Aveva capito le intenzioni
di Felipe, ma appariva alquanto scettico sulle sue possibilità. - Non so, ma cosa vorresti
fare, ragazzo? Da’ retta a me, è meglio vuotare i pitali dei clienti che
affrontare Barbanera. Al solo vederlo, ti cagheresti addosso. Dicono che il
diavolo sia più bello: la sua faccia è sempre avvolta dal fumo del demonio e
attorno a lui c’è odore di zolfo. Felipe sorrise, un sorriso
di scherno. Che cosa avrebbe detto quell’uomo, se gli avesse raccontato che
conosceva Barbanera intimamente come nessuno a Norfolk, per non dire in tutte
le colonie? Il giorno dopo, di prima
mattina, si recò al porto e cercò il tenente Maynard. - So che cerca uomini per
dare la caccia a Barbanera. Maynard lo guardò, valutandolo. - Vorresti unirti a noi?
Ti interessa la ricompensa? - No, non solo. Voglio
contribuire a liberare il mondo da Barbanera. Felipe si rese conto di
aver messo una certa enfasi nella sua frase. Maynard
sorrise. - Come ti chiami. E di
dove sei? - Mi chiamo Felipe Llera e sono spagnolo, ma ho vissuto a Londra quattro
anni. - Non ho bisogno di altri
uomini ed in ogni caso prendo solo sudditi di Sua Maestà. Niente spagnoli. Felipe si morse il labbro.
Doveva riuscire a partecipare alla spedizione. - Mi ascolti. Conosco
Barbanera ed il suo rifugio. Facevo parte dei passeggeri della Queen Sophia e sono stato suo prigioniero. - Sei stato nelle mani di
Barbanera? Maynard era interessato, ora, ma diffidente. - Come faccio a sapere che
non sei un pirata? - Il capitano Largestone può testimoniare che ho lottato al suo fianco
quando Barbanera attaccò la Queen Sophia. - E dici di conoscere il
suo rifugio? - Sì, so come navigare in
quei canali ed evitare le secche. - Va bene, controllerò se
quello che mi hai detto è vero. Se hai mentito, finirai impiccato, ma se hai
detto la verità ti prenderò a bordo. Ti registrerò come scozzese, delle Terre
Alte. Philip McLear. Quella sera stessa il
capitano Largestone abbracciò Felipe, lodando a Maynard il suo coraggio, e il giorno dopo Felipe si
imbarcò per la spedizione. Le due navi di diressero
verso sud e quando incrociavano una nave mercantile, Maynard
chiedeva notizie: ebbero così conferma che Barbanera si trovava proprio a Ocracoke. TRA I CANALI DI
OCRACOKE
Giunsero in zona la sera
ed il mattino incominciarono ad avanzare tra le isolette disseminate lungo la
costa. I canali erano poco profondi ed era necessario procedere con cautela,
per evitare di incagliarsi. Felipe guidò le due navi
lungo il percorso che permetteva di arrivare nella piccola baia in cui spesso
Barbanera si rifugiava. Arrivati ad una certa distanza, il tenente Maynard decise di mandare una barca in avanscoperta e la
seguì con i due battelli. Quando la barca arrivò in vista della nave di
Barbanera, l’Adventure, fu accolta da una
raffica di colpi e gli uomini ritornarono indietro. Intanto l’Adventure tagliò il cavo dell’ancora e cominciò a
muoversi nelle acque poco profonde dei canali, cercando di distanziare i suoi
inseguitori. Maynard fece issare la bandiera
inglese e le sue due navi si lanciarono all’inseguimento. Non c’era vento e
gli uomini dovevano remare, per cui il battello procedeva lentamente. Felipe
forniva le indicazioni necessarie per evitare di rimanere incagliati. Guadagnarono terreno e
giunsero infine abbastanza vicino alla nave di Barbanera. Felipe vide la massiccia figura del pirata e ne risentì la voce. - Allora, dannatissimi
figli di puttana, che cosa volete? - Puoi vedere dalla nostra
bandiera che non siamo pirati. - Allora vieni qui con la
barca, cagasotto, così vedo chi sei. - La barca mi serve, ma
tra poco sarò davvero sulla tua nave. Barbanera aveva una
bottiglia in mano e bevve. Poi sputò. - Che tu sia dannato,
fottuto figlio di una puttana, e che lo sia anch’io se tu e i tuoi uomini
uscirete vivi di qui! Ti torcerò le budella fino a farti sputare la tua
merda! Non ti darò tregua. - Né te la daremo noi. Maynard avrebbe voluto procedere ancora, ma Felipe
gli disse che la bassa marea rendeva impossibile passare in quel momento.
Quando il livello dell’acqua cominciò a salire, le due navi avanzarono. L’Adventure diede loro il benvenuto con una bordata
che spazzò i ponti. Il comandante della Ranger, Hyde,
rimase ucciso insieme a sei uomini ed altri nove marinai vennero feriti: la Ranger
era praticamente fuori uso. La nave di Maynard rispose al fuoco e la raffica privò l’Adventure del fiocco e delle drizze anteriori,
costringendola a fermarsi. Mentre si avvicinavano, Maynard diede le sue istruzioni: - Rimanete tutti nascosti,
tranne voi due. Penseranno di averci uccisi e saliranno sulla nave. In effetti, quando la Jane
si trovò a fianco dell’Adventure. Barbanera
ed una decina di pirati si slanciarono a bordo, convinti che i cannoni
avessero ucciso la maggioranza degli uomini della Jane. Maynard, Felipe e gli altri uomini uscirono dai
loro nascondigli e si gettarono sui pirati. LA BATTAGLIA FINALE
Felipe si scontrò con
Gamba-corta. Questi gli urlò contro: - Sacco di merda. Questa
volta finirò l’opera che avevo cominciato quando ci siamo incontrati la prima
volta. Non mi sfuggirai. Gamba-corta era un buono
spadaccino, ma Felipe era più abile. In breve riuscì a ferirlo al braccio
sinistro, ma il pirata non si arrese e si avventò su di lui. Felipe riuscì a
ricacciarlo contro la murata. Gamba-corta cercò di colpirlo al ventre, ma
Felipe fu più rapido e gli immerse la spada nel cuore. Gamba-corta cadde
all’indietro, oltre la murata, finendo in acqua. Intanto Barbanera e Maynard si trovarono l’uno di fronte all’altro e si
affrontarono con le spade. La spada di Maynard
colpì la cassetta delle munizioni di Barbanera e si piegò. Barbanera ne
approfittò per ferire Maynard alla mano. Maynard saltò indietro, gettò a terra la spada, prese la
pistola e sparò, mentre Barbanera avanzava. Non aveva potuto prendere la
mira, ma Felipe vide che una macchia rossa si allargava sui pantaloni del
pirata. Nonostante la ferita, Barbanera avanzò deciso ed avrebbe infilzato Maynard, se non fosse intervenuto Demelt,
che si lanciò con la spada contro Barbanera e lo colpì in faccia, aprendogli
uno squarcio sulla guancia destra. Con un salto Felipe fu
davanti a Barbanera ed alzò la spada. Barbanera non si aspettava un nuovo
attacco. Prima che potesse reagire, Felipe calò la spada con tutta la sua
forza, colpendo il pirata alla base del collo. La spada penetrò nella carne e
Barbanera vacillò. Barbanera lo guardò, lo riconobbe e sorrise: - Ben dato, Philip! Felipe sollevò la spada. - Se questo non è ben
dato, il prossimo sarà meglio. Abbassò la spada e vibrò
un nuovo colpo sul collo. La lama attraversò la carne e Felipe la sentì
scivolare libera, mentre la testa di Barbanera rotolava per terra. Felipe
avrebbe potuto giurare che, mentre si staccava, la testa urlava: -Bravo! Il corpo rimase in piedi
ancora un attimo, poi cadde in avanti e poco mancò che non trascinasse nella
sua caduta anche Felipe. La morte di Barbanera non
mise fine alla battaglia: i pirati si difendevano disperatamente, ben consci
che se fossero sopravvissuti sarebbero stati impiccati. Felipe cercò Mano-di-ferro e lo vide impegnato in uno scontro con un
marinaio. Mano-di-ferro riuscì a ferire il marinaio alla spalla.
L’uomo perse la spada e Mano-di-ferro lo avrebbe
trapassato, se Felipe non si fosse lanciato su di lui. Mano-di-ferro
lo riconobbe. - Fottuto bastardo
traditore, ti farò a pezzi. Felipe rise. - Farai la fine del tuo
capitano, Mano-di-ferro, e di Gamba-corta. Mano-di-ferro aveva una ferita ad un fianco e le forze
gli mancavano, anche se continuava a combattere. Il duello fu rapido: un
affondo di Felipe lo prese di sorpresa e la spada del giovane gli si infilò
nel torace, trapassandolo. L’uomo guardò Felipe, come se non capisse, mentre
l’arma gli cadeva dalla mano, poi portò la mano alla ferita, mentre Felipe
cercava di ritirare la spada. Quando Felipe riuscì ad estrarre la spada dal
corpo, questo cadde al suolo. UN CADAVERE
La battaglia stava
finendo. I marinai della Jane stavano avendo la meglio sugli ultimi
due pirati che ancora si difendevano. Il ponte dell’Adventure
era disseminato di cadaveri e feriti ed il sangue scorreva ovunque. Si sentivano ancora dei
colpi: Felipe vide che quattro marinai stavano sparando ai pirati che si
erano lanciati in acqua. Ora che aveva finito, un
senso di stanchezza si impadronì di lui, una vaga nausea. Aveva avuto la sua
vendetta. Maynard era di fronte al cadavere di Barbanera e
parlava con altri due marinai. - E qui ce n’è un’altra. L’uomo indicava una ferita
da taglio sul braccio sinistro di Barbanera. Maynard
scosse la testa, stupito, poi ordinò: - Spogliatelo, voglio
vedere quante ne ha. I due marinai cominciarono
a spogliare Barbanera e Felipe rivide quel corpo che aveva conosciuto così
bene. Ora però che la testa era stata separata dal collo, non c’era più la
barba a nasconderlo: una parte della barba era stata tagliata dal colpo di
Felipe e giaceva a terra, il resto era ancora attaccato al mento del
proprietario. Uno dei due uomini che
stava spogliando Barbanera commentò: - Puzza come una fogna. Quando gli tolsero i
pantaloni, tutti rimasero a bocca aperta. Il sesso di Barbanera era eretto,
un bastone nodoso ben teso verso l’alto. Anche Felipe rimase stupito:
Barbanera glielo aveva detto, ma come in quel corpo crivellato di ferite
potesse essere rimasta tanta energia da conservare l’erezione fino alla
morte, questo gli sembrava inspiegabile. Il membro era rosso, interamente
coperto dal sangue colato dalla ferita al ventre: un colpo gli aveva
trapassato la vescica ed il sangue era sgorgato abbondante. Eppure l’erezione
non era diminuita: sul ventre Barbanera aveva un bastone nodoso, duro come il
legno. E sulla punta di quel bastone si allargava un’ampia macchia
biancastra. L’odore, più forte che mai, non lasciava dubbi: Barbanera era
venuto, probabilmente mentre moriva. Osservando il corpo,
videro che c’erano vecchie cicatrici, a cui si aggiungevano moltissime nuove
ferite: un colpo d’arma da fuoco al braccio sinistro, un altro alla spalla
sinistra, il colpo di Maynard al ventre; ferite da
taglio al braccio sinistro ed a quello destro, al fianco, ad una gamba, alle
dita della mano sinistra. - Voltatelo. Anche sulla schiena vi
erano alcune ferite e sul culo due sulla natica destra ed una più
all’interno, tra le due natiche, poco sopra il buco. Un marinaio indicò una
zona rossastra all’altezza del buco del culo. - E qui? Il marinaio appoggiò le
due mani sulle natiche e le allontanò, in modo da mettere in evidenza il
buco. - E questo che cos’è?
Sembra una cicatrice. Si chinarono per vedere
meglio. Tutto intorno alla porta posteriore, la pelle sembrava bruciata, come
se fosse una scottatura. Felipe ripensò a quello
che gli avevano raccontato sulla nave di Barbanera. Ma non parlò. Contarono venti ferite da
taglio e cinque da pistola. Come avesse potuto reggere in piedi, continuare a
combattere fino a quando Felipe l’aveva decapitato, era un mistero. Felipe sentì che la nausea
diventava più forte e la stanchezza gli toglieva le forze. Aveva avuto la sua
vendetta, ma ora aveva solo voglia di andarsene. Andarsene da quella nave,
dalle colonie inglesi. Chiudere con quel capitolo. Intanto Maynard aveva dato l’ordine di raccogliere la testa di
Barbanera. - Questa testa
l’appendiamo al bompresso. È la prova del nostro successo ed è bene che tutti
a Norfolk la vedano. Sarà un buon ammonimento. Poi Maynard
prese la testa per i capelli e diede gli ordini: - Edward, attacca questa
testa al bompresso. Greg, Matt, buttate il cadavere in mare, insieme agli
altri. Maynard si allontanò, seguito dagli altri
marinai. Felipe rimase un momento fermo, intontito. Poi, senza parlare, si
allontanò. Si appoggiò alla murata e guardò in acqua. Sotto di lui c’era il
cadavere di Mano-di-ferro che galleggiava. Felipe sentì il tonfo di
un cadavere gettato in acqua. Era certamente quello di Barbanera. Ed infatti
Felipe lo vide passare di fianco alla nave e fermarsi proprio sotto il punto
in cui era lui. Rimase a guardarlo a lungo. Senza la testa e soprattutto
senza la barba, che abitualmente copriva gran parte del torace, era
irriconoscibile: il corpo di un uomo massiccio. Un corpo senza testa. Il senso di nausea divenne
più forte. Non ne poteva più. Era
contento di potersi finalmente lasciare alle spalle il ricordo di Barbanera,
che lo aveva violentato; di dimenticare i pirati; di potersi stabilire sulla
terraferma e non avere più niente a che fare con il mare e le navi. Voleva
sentire la terra sotto i suoi piedi. I suoi desideri non sarebbero stati
esauditi. |