8B La fine del capitano (immagini
di Valdemar) Mentre
la porta si apriva, la luce si accese all’improvviso, abbagliando Ramón. Qualcuno doveva aver girato l’interruttore
esterno. Nella cella entrarono parecchi soldati. Uno di loro aveva una corda
con un cappio già formato.
Ramón pensò che solo qualche ora prima una
corda lo aveva quasi strozzato. Era stato solo un rinvio: adesso li avrebbero
impiccati. L’ufficiale,
un tenente che Ramón aveva visto durante gli
interrogatori del capitano, fece un cenno con la testa in direzione del
capitano. -
Quello. Quattro
soldati si misero ai lati del capitano. Quindi
la prima vittima sarebbe stata il capitano. Ramón
sapeva che il suo turno sarebbe venuto subito dopo. Due
soldati afferrarono le braccia del capitano, pronti a bloccare ogni tentativo
di resistenza. Ma che senso avrebbe avuto cercare di lottare, con le mani
legate dietro la schiena, contro parecchi soldati armati?
Un soldato entrò con una panchetta e la sistemò al centro della cella.
Il soldato con il cappio salì sulla panchetta e passò la corda ad un gancio
appeso al soffitto. Ramón pensò che probabilmente
quel gancio era stato messo lì per quello scopo, per le esecuzioni che
avvenivano segretamente. Il
soldato regolò la corda in modo che il cappio pendesse a poca distanza dal
gancio, altrimenti, in quella cella con il soffitto così basso, il capitano
avrebbe toccato con i piedi il pavimento. Legò con cura, in modo che le
contorsioni del condannato non potessero far scivolare la corda. Di
contorsioni ce ne sarebbero state, perché non c’era lo spazio per un buon
salto, che avrebbe spezzato l’osso del collo del capitano, regalandogli una
fine rapida. -
Sali sulla panca, se hai i coglioni. La
frase dell’ufficiale era rivolta al capitano, che guardò con infinito
disprezzo l’ufficiale e, senza dare nessun segno di timore, con un movimento
sicuro, salì sulla panca, a fianco del soldato. Questi gli passò il cappio
intorno alla testa, lo strinse leggermente intorno al collo, poi ghignò e
scese. Ramón guardò il capitano in piedi sulla panchetta. Non
c’era traccia di paura in lui, anche se Contreras
sapeva bene che, con il suo collo taurino, la fine non sarebbe stata breve.
Né c’era un segno di debolezza: quel corpo martoriato, coperto dalle righe
rosse delle frustate e dalle ustioni, con il sangue che colava dal culo,
sembrava ancora d’acciaio. -
Procedete. All’ordine
dell’ufficiale, due soldati presero la panca e la spostarono all’indietro. Il
salto fu brevissimo, appena una spanna, e per un buon momento il capitano
rimase sospeso, immobile. Il capitano riusciva ancora a respirare: Ramón poteva vedere che il torace si sollevava ed
abbassava. Prima che quel collo possente fosse stretto tanto da bloccare del
tutto l’aria, sarebbe passato del tempo. Ma
anche se non c’erano ancora segni visibili di sofferenza, l’agonia del
capitano era incominciata: Contreras non avrebbe
potuto sfuggire al suo destino.
Ramón ammirò quel corpo forte, i lineamenti
decisi del viso, il torace possente, le braccia e le gambe nerborute, il
grande uccello. Ben
presto la respirazione divenne irregolare. La corda, tesa dal peso del
capitano, stava incominciando a bloccare il passaggio dell’aria. Una scossa
violenta percorse il corpo del capitano, seguita dopo un attimo da una
seconda. Un
nuovo guizzo del corpo segnò l’inizio di una danza convulsa: il capitano non
era più in grado di controllare i movimenti e le gambe incominciarono a
scuotersi freneticamente, in un’agitazione disperata e grottesca. Il capitano
scalciava, piegava le gambe, le sollevava, ma tutti i suoi sforzi
contribuivano solo a stringere di più il laccio intorno al suo collo. La
pressione della corda ebbe anche un altro, prevedibile, effetto: il grande
uccello del capitano stava drizzandosi, sempre più gonfio di sangue, sempre
più teso. I
soldati ridevano apertamente ed anche l’ufficiale sghignazzava. -
Hai proprio culo, crepi con il cazzo duro! -
Magari vieni anche! Il
viso del capitano si stava arrossando e dalla bocca, spalancata per far
entrare l’aria, incominciò a calare sul mento una grande quantità di saliva. L’agitarsi
selvaggio del corpo continuava e la pelle del capitano si copriva di una
patina luccicante di sudore, che sul viso ormai paonazzo colava in piccoli
rivoli. L’uccello era una mazza di ferro che quasi batteva contro il ventre. I
movimenti delle gambe divennero meno intensi e più lenti, fino ad arrestarsi.
Per un attimo il capitano rimase immobile, il viso arrossato stretto dalla
corda, la saliva che ancora scendeva dalla bocca, mescolandosi al sudore, il
collo allungato. Mentre Ramón fissava quel corpo,
ci fu una leggera scossa e dal cazzo magnificamente proteso schizzò verso
l’alto un vigoroso getto, tanto possente da raggiungere il torace e spandersi
tra i peli del petto. Il seme continuò
a sgorgare, ma con meno forza: ora colava lungo l’asta incandescente, verso i
coglioni. I
soldati ridevano, ma nel luccichio dei loro occhi, Ramón
avvertiva la stessa tensione che sentiva nel proprio corpo, nella propria
asta a cui il sangue affluiva. Lo spettacolo li aveva eccitati. Il
corpo del capitano dondolava ancora ed a tratti un tremito percorreva le
gambe. -
Avanti, Formentor, Clareo,
fatela finita con questo finocchio. I
due soldati si misero ai lati del capitano ed afferrarono ognuno una gamba,
tirando con forza.
- Va bene, basta così! Sì,
bastava così. Negli occhi spalancati del capitano, che sembravano voler
uscire dalla testa, nella lingua nerastra protesa fuori dalla bocca, nel
piscio che colava dal cazzo teso, nell’odore di merda che ora riempiva la
cella, era chiaro che la morte si era presa la sua preda. Ramón si disse che ora toccava a lui. Missione compiuta Ed
infatti in quel momento sentì la voce del tenente: -
Bene, adesso sistemiamo quest’altro. Tra
i soldati c’era un sergente, che si rivolse con un sorriso all’ufficiale. -
Signor tenente, prima di sistemare questo traditore, perché non lo usiamo un
po’ per dissetarci? Quest’altro qua ci ha fatto venire sete. Il
gesto con cui il sergente indicò la protuberanza nei propri pantaloni era
eloquente. Ramón si aspettava che il tenente
rimproverasse il sergente, per quella proposta vergognosa, indegna della divisa
che indossava. Se lui fosse stato al posto dell’ufficiale, avrebbe
severamente punito quello svergognato. Ma Ramón non
era al posto del tenente. Ed il sergente doveva conoscere bene il tenente,
aveva fatto la sua proposta senza incertezze. Ramón
aveva sbagliato i conti. -
Mi sembra una buona idea, Castillo. Sistematelo. Due
soldati afferrarono Ramón. Questi cercò di
resistere, ma intervennero altri due soldati. Due pugni nello stomaco non
ebbero ragione della sua resistenza, ma una ginocchiata ben assestata ai
coglioni gli bloccò il respiro ed un secondo colpo nello stesso punto quasi
lo fece svenire per il dolore.
Ramón non fu più in grado di opporsi ed i
soldati lo costrinsero a piegarsi in due, offrendo il culo all’ufficiale,
prima, poi al sergente ed infine a tutti i soldati. Lo
consideravano un traditore e non avevano remore a prendersi il proprio
piacere su un vigliacco che aveva tradito la propria patria per salvare la
pelle. Probabilmente abusavano spesso dei prigionieri, in quella oscura
guerra senza regole, che si combatteva con spie e traditori. Era
stato fottuto da Vega ed ora anche i soldati nemici si prendevano la loro
parte. Ma quella violenza aggiungeva poco alla sua umiliazione. Che
importanza aveva? Il dolore dei due colpi ricevuti era forte, ma Ramón sapeva che sarebbe passato presto, molto presto,
insieme alla sua vita. L’ingresso di un soldato più dotato e brutale accese
un nuovo focolaio di dolore nel suo culo e Ramón
soffocò un gemito. Il soldato ci diede dentro con forza, godendo del proprio
piacere e del dolore di Ramón. Ora il culo gli
faceva un male fottuto ed i quattro soldati che seguirono rinnovarono ogni
volta la sofferenza. Non aveva importanza. Anche quello sarebbe finito
presto. Quando
ebbero finito, tutti e dodici, il sergente sollevò la testa di Ramón per i capelli e lo guardò in faccia. -
Ti è piaciuto, finocchio traditore? Ramón non disse nulla. Sentì che dal culo gli colavano
sangue e sborro. La
voce dell’ufficiale risuonò decisa. -
Muoviamoci. Non perdiamo altro tempo. Lo
portarono fuori. Ramón faceva fatica a camminare,
perché ogni passo accendeva il dolore al culo ed ai coglioni, ma si impose di
non tradire la propria sofferenza. Dal
suo nascondiglio Diego vide passare Ramón. Non
aveva fatto in tempo ad arrivare alla cella ed ora era troppo tardi per
salvarlo. Poteva fare un’unica cosa: portare a termine la missione,
vendicando Ramón ed il capitano e permettendo al
suo Paese di vincere la guerra.
Si diresse a passo sicuro verso il punto in cui si trovava il
passaggio segreto, quello che era stato scavato quando l’esercito di cui Diego faceva parte
aveva occupato per alcuni mesi il forte: la loro arma segreta, quella su cui
contava il capitano. Nel magazzino in cui si era nascosto, Diego aveva
trovato una divisa da ufficiale, che ora gli permetteva di muoversi
indisturbato, e tutto l’occorrente per far saltare il forte. I
soldati raggiunsero il muro del cortile e misero Ramón
in posizione, la faccia contro il muro. Sì, era un traditore ed i traditori
si fucilano alla schiena. Ramón si disse che non
aveva tradito il suo Paese, ma coloro che stavano per fucilarlo. Ma quei
soldati non lo avrebbero saputo mai, perché la missione era fallita. La loro
impresa era stata un azzardo disperato, ma se non fosse stato per Vega, forse
sarebbe riuscita.
Diego raggiunse il passaggio tra due muraglie in cui si apriva il
corridoio segreto. Controllò che nessuno potesse vederlo e si infilò nel
passaggio. Rapidamente raggiunse il muro di fondo e spostò la pietra che
copriva l’ingresso del corridoio. Entrò, rimise la pietra al suo posto ed
accese la pila che aveva preso nel magazzino. -
Plotone, ai vostri posti! I
soldati si allontanarono. Ramón non poteva vederli,
ma sapeva che si stavano disponendo in fila per la fucilazione. Tra poco
sarebbe finito tutto. Sperava solo che Diego fosse riuscito ad allontanarsi
dal forte ed a raggiungere Cerro del Diablo. Che Diego vivesse. Non c’era una
probabilità su mille che riuscisse a sopravvivere, ma Ramón
aveva bisogno di pensare che forse Diego ce l’avrebbe fatta.
Diego avanzò fino al deposito, poi spense la pila ed aprì, con molta
cautela, lo spioncino che permetteva di vedere all’interno del deposito.
Tutto era perfettamente buio: in quella stanza più interna, dove erano
collocati gli esplosivi più potenti, non veniva nessuno. Poteva entrare e
portare a termine la missione. -
Plotone, attenti! Ramón sentì lo scatto dei soldati che si mettevano
sull’attenti. Mancava ancora poco. Un faro si accese, per illuminare bene il
condannato. Il faro era dietro di lui, ma di lato, per cui Ramón poteva vedere la propria ombra proiettata sul muro
alla sua destra, ma non le ombre dei soldati.
Diego poggiò la destra sulla leva che comandava l’apertura della
porta. L’abbassò e sentì che la parete su cui appoggiava la mano sinistra
cedeva, aprendo un varco. Aspettò un attimo, per controllare che non ci fosse
nessun rumore, poi entrò nel deposito. -
Plotone, fucili in posizione! L’ufficiale
procedeva lentamente, passo per passo, nel rituale dell’esecuzione. Ramón pensò che probabilmente si stava divertendo. Lui
non provava paura, ma avvertiva un forte bisogno di pisciare. Sentì che dal
culo gli scivolava un po’ di sborro.
Diego fece due passi. Rimase di nuovo un momento in ascolto. Nessun
rumore. Accese la pila, coprendo con la mano il raggio di luce. C’erano della
casse davanti a lui. Lesse la scritta. Sì, era quello che cercava.
- Plotone, mirate! L’ultimo
ordine, prima della scarica. Il pensiero di Diego occupava la mente di Ramón. Lo pensò al sicuro, lontano. Si sforzò di ignorare
quanto sapeva benissimo, finse di credere che Diego sarebbe potuto vivere
senza di lui. Tra un attimo avrebbero sparato.
Diego forzò la scatola, facendone uscire la polvere da sparo. Non
occorreva altro, aveva i fiammiferi. Diego ne accese uno e lo avvicinò alla
polvere da sparo che aveva versato.
Mormorò: -Addio, Ramón.
In un attimo la polvere prese fuoco e la prima esplosione dilaniò il
corpo di Diego. La seconda, immensa, seguì immediatamente e cancellò gran
parte del forte. L’ultimo Ramón sentì l’esplosione e, mentre lo spostamento d’aria
lo gettava contro il muro, capì. Capì che la missione era riuscita e che
Diego era morto. L’impatto
fu violento e per un momento la vista gli si annebbiò. Scivolò a terra e
rimase immobile, incapace di scuotersi. La testa gli faceva male e dal naso
gli colava il sangue. Ne poteva sentire il gusto sul labbro. Da
terra, ancora incapace di alzarsi, guardò verso la grande luce che illuminava
a giorno il cortile: l’edificio sul lato opposto a quello dove si trovava era
crollato ed alte fiamme si alzavano dalle sue rovine. Le macerie riempivano
buona parte del cortile.
I soldati del plotone e l’ufficiale, anch’essi sbattuti a terra dallo
spostamento d’aria, si stavano rialzando. Si voltarono tutti a guardare le
fiamme che divampavano, illuminando quel che rimaneva del forte. Ramón sapeva che avrebbe potuto cercare di fuggire, ma
non sarebbe andato lontano e poi non aveva più nessun motivo per vivere. La
missione era stata compiuta e Diego era morto. Ora toccava a lui. A
fatica si alzò in piedi. La testa gli faceva male ed aveva un forte dolore
alla spalla destra e ad un ginocchio. Ora che era in piedi il sangue colava
ancora più abbondante dal naso.
Guardò ancora le fiamme: del forte doveva essere rimasto ben poco se
anche quell’edificio, il più lontano dal deposito di munizioni, era crollato. Ora
toccava a lui. Desiderava raggiungere Diego. Parlò, cercando di articolare
chiaramente, nonostante fosse ancora stordito: -
Avete perso la guerra. L’ufficiale
si voltò verso di lui, il viso stravolto dalla rabbia. -
È stato il tuo amico, bastardo! -
Sì. -
Non ti salverai, bastardo! Ramón sorrise: non aveva nessuna intenzione di salvarsi.
Ora che Diego era morto, in una missione in cui era stato coinvolto per
accompagnare lui, continuare a vivere sarebbe stato un peso. L’ufficiale
si rivolse ai suoi soldati. -
Avanti, prendete posto. Facciamo fuori questo figlio di puttana. -
Voltati, stronzo. Ramón si voltò e guardò il muro davanti a sé. Il faro si
era spento, ma ora le fiamme proiettavano le ombre del plotone e la sua sulla
parete. -
Plotone in posizione! Muoversi! I
soldati riformarono una fila. Alcuni erano storditi dal colpo e si muovevano
barcollando. Ora erano pronti. -
Plotone, fucili in posizione. Pronti! Il rituale della fucilazione si svolgeva ad
un ritmo accelerato: l’ufficiale ed i soldati volevano ucciderlo, il più in
fretta possibile, spinti da un feroce desiderio di vendetta. Ramón fissava affascinato le ombre che alzavano i fucili.
Ora li puntavano verso l’ombra più scura che Ramón
aveva davanti a sé: i fucili scomparvero, inghiottiti dalle ombre dei
soldati. -
Plotone, mirate! Plotone, fuoco! Un
dolore atroce gli riempì la schiena, il ventre, il torace, mentre i
proiettili si conficcavano nel suo corpo, lo attraversavano, in tre casi
uscivano, schiantandosi contro il muro. L’impatto lo gettò di nuovo contro la
parete, scivolò fino a trovarsi in ginocchio. Il fiato gli mancò, dentro di
lui scorreva una lava che lo soffocava. Il sangue che gli riempiva lo stomaco
ed i polmoni gli usciva in abbondanza dalla bocca e colava sul mento, mentre,
senza rendersene conto, aveva incominciato a pisciare. L’ufficiale
gli si avvicinò, ma lo sguardo di Ramón era
annebbiato. Vedeva solo la grande luce del forte che ardeva e gli sembrava
che quell’incendio fosse lo stesso che divampava nelle sue viscere. Pensò a Diego, al giorno in cui per la prima volta lo aveva posseduto. Diego. Si sentì soffocare. Aprì la bocca per vomitare altro sangue e sentì la pressione di una canna di pistola contro la nuca.
-
Crepa, bastardo! Il
colpo cancellò il pensiero di Diego e la vita di Ramón.
E in quel momento si sentì in alto un boato immenso e la montagna seppellì
l’intero forte. |