6 Una
notizia inattesa
Il giorno dopo Ramón non si aspettava di
trovare Gabriel alla palestra, ma questi c’era, con la gamba fasciata.
Gabriel non fece gli esercizi con lui, ma rimase seduto a guardarlo lavorare,
punzecchiandolo ogni tanto:
- Così è proprio comodo. Datti da fare, Ramón.
Oggi mi sembri pigro.
- Vaffanculo, istruttore.
- Sì, magari, dopo, è una bella idea. Ma adesso lavora, scansafatiche.
E muoviti, perché alle undici il capitano ti vuole vedere.
L’idea non piacque eccessivamente a Ramón.
Lui aveva svolto il suo compito ed era anche riuscito a riportare vivo
Gabriel, ma se il capitano lo voleva vedere, non era certo per fargli i
complimenti, questo ormai l’aveva capito.
Un soldato lo accompagnò all’ufficio del capitano, che era seduto alla
scrivania.
- So che hai avuto modo di osservare bene il forte nemico.
- Sì, signor capitano.
- Tra poco sarà il momento di entrare in azione, Lopez. È questione di
qualche settimana. Ramón annuì. Era quello che desiderava anche lui.
Un’azione, che desse un senso a quello che aveva passato, anche se sapeva che
in quell’azione lui avrebbe trovato la morte. Rimase in attesa che il
capitano proseguisse, ma questi si alzò e Ramón lo
imitò. Lo aveva fatto chiamare solo per dirgli che era questione di poche
settimane? Non aveva nessun senso. Il
capitano disse ancora, con un tono indifferente, come se volesse fare
conversazione: -
Stanno per arrivare i nuovi prigionieri. Adesso scendo a vedere se c’è
qualcuno di interessante. C’era
qualche cosa, nel tono del capitano, che diede a Ramón
un brivido. Non avrebbe saputo dire che cosa, ma sapeva di non sbagliarsi.
Aspettò che il capitano proseguisse, ma il cuore aveva incominciato a
battergli all’impazzata. -
Conosci questo, come si chiama… Diego Hortelano? Ramón provò l’impulso di saltare addosso al capitano, di
picchiarlo ferocemente, di ucciderlo. Sapeva benissimo che cosa era successo,
lo sapeva perfettamente: il capitano aveva indagato e di certo non gli era
stato difficile scoprire che lui era molto legato a Diego. Probabilmente
aveva anche intuito che erano amanti, ma non importava. In qualche modo,
diffondendo la notizia della sua morte e facendo provocare Diego ad arte,
aveva ottenuto che Diego reagisse in modo violento. Tutto doveva essere stato
preordinato, perché il capitano non lasciava nulla al caso, e Diego aveva già
in tasca un biglietto di sola andata per il Cerro del Diablo
prima ancora che gli dicessero che Ramón Hierro era morto. Si
morse il labbro inferiore, cercando di dominarsi. Era inutile che fingesse,
inutile che cercasse di nascondere la verità. Quel lurido bastardo sapeva
benissimo che cosa provava per Diego, forse meglio di quanto non lo sapesse
lui. -
Vedremo se sarà uno di quelli che sceglierò. E vedremo se supererà le prove. Il
pensiero che il capitano potesse non scegliere Diego suscitò una tempesta di
emozioni contrastanti. Se non l’avesse scelto, Diego sarebbe finito con i
prigionieri ordinari e quindi lui non l’avrebbe rivisto, ma si sarebbe
salvato. No, Diego si sarebbe fatto ammazzare, perché Diego non voleva più
vivere, di questo Ramón era sicuro. Se il capitano
avesse scelto Diego, Diego sarebbe ugualmente morto, ma lui l’avrebbe
rivisto. E Ramón capì che quello che voleva, con
tutto se stesso, era rivedere Diego. Sarebbero morti insieme o, se avesse
avuto anche solo una possibilità su mille, avrebbe salvato Diego. Ma non
poteva pensare che Diego sarebbe morto in quella stessa fortezza, senza che
lui lo rivedesse. Ramón guardò il capitano negli occhi: -
È meglio se muoio in quella missione, signor capitano, perché se torno vivo,
l’ammazzo, signor capitano. Il
capitano rimase impassibile. -
Nessuno tornerà vivo, Lopez. Ma può darsi che sia tu ad ammazzarmi, questo
sì. Ramón non capì il senso di quell’affermazione, ma non
gliene importava nulla. C’era un unico pensiero nella sua testa. Diego stava
per arrivare a Cerro del Diablo. Delirio
Il resto della giornata fu un delirio: Ramón
non riuscì ad inghiottire un boccone e nel pomeriggio la sua prestazione al
campo di tiro raggiunse il minimo storico, tanto che l’istruttore si
spazientì e, dopo averlo insultato, lo rimandò alla sua stanza. L’inazione
si rivelò ancora peggiore, perché senza nulla da fare, il cervello di Ramón Hierro girava in tondo,
partendo sempre da Diego per arrivare a Diego. La cena non andò molto meglio
del pranzo
e quella notte Ramón non chiuse occhio. Diego
era lì, al Cerro del Diablo, a poche decine, forse
centinaia di metri da lui. E lui non poteva vederlo, parlargli. Diego stava
per subire ogni sorta di umiliazione, di patimento. A Ramón
sembrava che tutto ciò che aveva sopportato, ora che toccava a Diego subirlo,
fosse del tutto insopportabile. E poi Diego non aveva più nessuna motivo per
vivere, di questo Ramón era sicuro: credendo che
lui fosse morto, Diego cercava la morte. E morire a Cerro del Diablo era più facile che sopravvivere. Diego
era vicino e non poteva comunicare con lui. Diego non sapeva che lui era
vivo, Diego soffriva. Il pensiero era intollerabile.
A lungo si rivoltò nel letto, incapace di prendere sonno. Poi si alzò
ed incominciò ad andare avanti e indietro per la stanza. Infine uscì nel
cortile e si mise a camminare. Si disse che se qualcuno l’avesse visto,
avrebbe pensato che era pazzo, ma non gliene fotteva un cazzo. E poi era
realmente pazzo: il pensiero di Diego lo stava facendo impazzire. L’indomani
mattina in palestra Ramón lavorò malissimo e
Gabriel lo richiamò più volte. Ma la testa di Hierro
era altrove, era con Diego, anche se non sapeva dov’era Diego, che cosa
faceva, che cosa gli facevano. Ed era proprio il non saperlo a farlo
impazzire. Quando infine si sedettero sulla panca, Gabriel si accese il
sigaro senza parlare, poi gli chiese: -
Che cazzo hai, Ramón? Ramón Hierro scosse la testa,
senza riuscire a rispondere. -
Tira fuori il rospo, Ramón. Ti è successo qualche
cosa di grosso e sei completamente fuori di testa, oggi. Inutile tenertelo
dentro. -
È un casino, Gabriel, è un maledetto casino. Sto impazzendo. -
Che cos’è che ti fa impazzire? Fino a ieri tutto andava bene. -
Sì, fino a ieri. Almeno lo credevo. Quel figlio di puttana… -
Il figlio di puttana è il capitano, vero? -
Sì, puoi anche andarglielo a dire. Gabriel
scoppiò in una risata allegra. -
Sa benissimo quello che pensi di lui. E non sei l’unico a pensarla così. Che
ti ha fatto? Hierro non sapeva da che parte incominciare, ma aveva
bisogno di parlare di sfogarsi, di trovare una soluzione. -
Quel bastardo! -
Sì, va bene: figlio di puttana, bastardo, se vuoi stronzo e pezzo di merda,
fetente ed infame e tutto quello che cazzo vuoi. Ma che cazzo ti ha fatto? Hierro si appoggiò con la schiena a muro, chiuse gli
occhi ed incominciò a parlare. -
Quel bastardo ha… Gabriel, io…
Si
fermò, respirò a fondo ed incominciò a parlare. Non avrebbe saputo dire
neanche lui come, ma le parole vennero fuori, parole per raccontare. Di
Diego, di quell’amore che lui si era sempre rifiutato di ammettere, del
pensiero ossessivo che lo perseguitava, dello strazio al saperlo vicino, in
pericolo, destinato a morire.
Gabriel lo lasciò parlare. Quando
Hierro ebbe finito, ci fu un momento di silenzio,
poi Gabriel parlò: -
Ramón, se lui ti ama, forse anche per lui è meglio
essere qui… Hierro lo interruppe, con rabbia: -
Merda, Gabriel, merda! Lui mi crede morto, sono sicuro che quel figlio di
puttana glielo ha fatto credere per farlo arrivare qui. E se è così, non
gliene frega niente di vivere, si farà ammazzare. Merda! Merda! -
Calmati, Ramón. Nemmeno il capitano lo vuole morto,
gli serve vivo. Se quello che tu dici è vero… Gabriel
si interruppe, poi riprese:
- Diego ha la barba ed i baffi, il naso un po’ schiacciato, piuttosto robusto…? Hierro era saltato in piedi come se si fosse
improvvisamente accorto di avere il culo sul fuoco. -
L’hai visto, Gabriel? L’hai visto? È qui? Gabriel
gli sorrise. -
Sì, l’ho visto, è uno degli uomini scelti dal capitano. Ed ho pensato: un
gran bell’uomo, forte, ma perché il capitano lo ha scelto? Quello è uno che
ha perso ogni voglia di vivere. -
Oh merda! Merda! -
Calmati, Ramón. Il capitano lo vuole vivo, te l’ho
già detto. Comunque gli parlerò. Ramón sentì svanire il peso che lo schiacciava.
- Sì, Gabriel, sì, grazie. Digli che sono vivo, basta questo.
Gabriel scosse la testa. -
Prima parlo al capitano, poi, se lui me lo consente, anche a Diego. Credo che
il capitano sarà d’accordo, perché è nel suo interesse. Nel
pomeriggio al campo di tiro le cose andarono un po’ meglio del giorno
precedente, ma l’istruttore perse ugualmente le staffe, perché il numero di
errori di Ramón era triplicato. L’istruttore non
era un tipo molto socievole e non si preoccupò troppo di sapere che cosa
aveva il suo allievo. Bestemmiò un congruo numero di volte ed alla fine mandò
via Ramón, dicendo che se il giorno dopo non si
fosse concentrato di più, lui avrebbe fatto rapporto. Il
giorno dopo, il giorno dopo. Ramón si disse che non
sarebbe riuscito a reggere un altro giorno, senza avere notizie di Diego. In
camera aveva la sensazione di essere in una gabbia e più volte uscì nel
cortile. Gli
portarono da mangiare e mentre guardava le vivande, entrò Gabriel. Non era
mai venuto nella sua stanza e quella visita poteva significare una cosa sola:
notizie di Diego. Il cuore di Ramón prese a battere
all’impazzata. Gabriel
sorrise e disse: -
Il capitano mi ha fatto parlare con lui. La
tensione si sciolse. Ramón chiuse gli occhi,
respirò a fondo, riaprì gli occhi e guardò Gabriel come se fosse un angelo. -
Gli hai detto che sono vivo? Gabriel
scosse la testa e Ramón si sentì gelare. -
No, il capitano non era d’accordo, ma mi ha indicato un’altra tattica, che ha
funzionato. Mi sono avvicinato e gli ho parlato in un momento in cui nessuno
degli altri sentiva. Gli ho detto che avevo visto che veniva da Fuenteroja e gli ho chiesto se ti conosceva. Cazzo,
dovevi vederlo: ha cambiato completamente faccia! Mi ha subito chiesto di te,
se eri morto qui. Io gli ho detto che non potevo dirgli niente, ma che se
fosse riuscito a sopravvivere, uno dei prossimi giorni gli avrei parlato di
te. Gli ho detto che tu mi avevi affidato un messaggio per lui, se mai lui
fosse arrivato qui. Cazzo, Ramón, è stato come
girare l’interruttore ed accendere la luce: è cambiato dalla notte al giorno. Ci
fu una pausa. Ramón non era in grado di dire nulla. Gabriel
riprese: -
Supererà le prove, l’ho osservato dopo che gli ho parlato. E devo dire che
l’hai addestrato bene. Non è un toro come te, ma promette bene e reagisce
allo stesso modo. Ramón si alzò. Si avvicinò a Gabriel e lo abbracciò,
forte. Gabriel lo lasciò fare,
poi gli prese la testa tra le mani e lo baciò. Ramón
lasciò che la lingua di Gabriel si facesse strada nella sua bocca, ma Gabriel
si staccò quasi subito. -
Ramón, non devi sentirti tenuto a farlo per quello
che ho fatto. Se ora che c’è qui Diego… Ramón non lo lasciò finire. Prese l’iniziativa e lo
baciò. Poi le sue mani scesero fino al culo di Gabriel e strinsero forte,
tanto forte che il corpo di Gabriel ebbe un guizzo. Ma ora era la lingua di Ramón ad esplorare la bocca di Gabriel, impedendogli di
esprimere un eventuale disaccordo per il trattamento poco gentile inferto al
suo culo. Ramón sapeva di amare Diego come non aveva mai amato,
come non avrebbe mai più amato. Se avesse potuto stringere Diego tra le
braccia, sarebbe impazzito di gioia, di desiderio, di piacere. Ma in quel
momento era come se Diego fosse stato a mille miglia di lì ed il suo corpo
aveva bisogno dell’abbraccio di Gabriel, della sua brutale dolcezza, delle
sue carezze spietate. Gabriel
capì e ricambiò l’abbraccio di Ramón, gli pizzicò
il culo tanto forte da lasciargli i lividi (chi la fa l’aspetti, no?). Poi si
lasciò cadere a terra, trascinando Ramón con sé. Quando
furono entrambi a terra, Gabriel si staccò, si mise a cavalcioni su Ramón e gli sbottonò la giacca e la camicia. Poi, senza
alzarsi, scivolò indietro, fino a sedersi sulle caviglie del nostro eroe, e
gli aprì i pantaloni, abbassandoglieli insieme alle mutande e mettendo in
mostra un uccello che dimostrava chiaramente la sua intenzione di proseguire
nel gioco appena avviato. Gabriel
accarezzò il volenteroso uccello (o lo schiaffeggiò? Le carezze di Gabriel
erano a volte molto delicate, in altri casi assai meno), poi afferrò le palle
di Hierro, strappandogli un gemito. -
Ahi! Mi servono ancora! A
questo punto, ancora perfettamente vestito, Gabriel si stese su Ramón e la sua lingua incominciò a percorrerne il corpo,
dalle labbra ai capezzoli, dall’ombelico alle palle, dalla cappella
all’orecchio. Poi
di colpo Gabriel si alzò in piedi, sovrastando Ramón.
Costui ne approfittò per mettersi a sedere, impadronirsi dei pantaloni
dell’avversario e calarglieli, mentre Gabriel stesso si liberava di giacca e
camicia. Finirono di spogliarsi rapidamente, poi Gabriel si stese sul letto. -
Cazzo, Ramón, sai che non abbiamo mai scopato su un
letto? Ramón rise e si avvicinò al letto. Fece per stendersi su Gabriel,
ma questi lo bloccò. -
No, mettiti nell’altro senso. Ramón non capì subito, ma le mani di Gabriel lo
guidarono. Si ritrovò davanti alla bocca un bell’esemplare di uccello
latino-americano e non ebbe bisogno di sentire una bocca che avvolgeva il suo
uccello per sapere che cosa ci si aspettava da lui. Ramón prese in bocca l’arma spianata, un po’ incerto: nei
giorni in cui Gabriel gli aveva dato alcune lezioni non previste (o almeno
non annunciate) dal capitano, non avevano mai affrontato quel tipo di
esercitazione (o, meglio, lui non l’aveva mai affrontata: Gabriel l’aveva
fatto più volte). Un po’ trepidante, sperando di essere all’altezza della
situazione, Ramón incominciò a muovere la bocca in
su ed in giù. Era una sensazione strana, del tutto nuova. Pensò che non aveva
mai succhiato un cazzo in vita sua. E pensò che era davvero bello. Era bello
avere un cazzo in bocca e tenere il proprio in un’altra bocca. Lavorò
a lungo con le labbra e la lingua e supplì alla mancanza di esperienza con
molta buona volontà. Era talmente concentrato in quella nuova attività, che
quasi non si rese conto che il suo desiderio stava debordando. Fece appena in
tempo ad avvertire Gabriel, che però non si ritrasse. Ramón
gli venne in bocca e fu una sensazione nuova, violenta. Poco
dopo, Gabriel gli disse che stava per venire. Ramón
liberò l’arma e, come aveva fatto Gabriel con lui la prima volta, l’accarezzò
con la lingua fino a che non vide la carne palpitare ed il getto sgorgare.
Allora si girò e si stese su Gabriel, baciò quella bocca che aveva accolto il
suo seme e si abbandonò su di lui. In
quel momento il pensiero di Diego ritornò e Ramón
si sentì preda di una tristezza infinita, che neppure l’abbraccio di Gabriel
poteva alleviare. L’attesa
I
giorni non passavano più: arrivavano tardi, quando da tempo Ramón era sveglio nel letto; indugiavano ancora,
trascinandosi stancamente fino al momento in cui Ramón
raggiungeva la palestra; avevano un breve scatto quando Gabriel arrivava e
diceva il magico “Tutto bene”, che per un po’ tranquillizzava Ramón sulla sorte di Diego; poi riprendevano a scorrere
con estrema lentezza fino alla serata. Ed anche quando arrivava la notte, il
tempo sembrava arrancare a fatica ed il sonno si faceva aspettare. A
Ramón sembrava di vivere in un limbo, sospeso in
un’attesa infinita, in cui solo i ricordi che affollavano la sua mente erano
davvero vivi.
Ricordi dolci come il miele. Lo sguardo intensissimo di Diego, quando
ancora non si erano parlati, non si erano toccati. Il leggero tremito del
corpo di Diego, quando Ramón gli aveva accarezzato
la mano. L’abbandono totale di Diego, che la prima volta gli si era offerto
senza remore.
Ricordi amari, di fiele, al pensiero di quanto lui, Ramón Hierro, fosse stato
incapace di abbandonarsi a Diego, con Diego. Ricordi rabbiosi, quando pensava
che aveva baciato Diego un’unica volta, al momento della separazione. Ricordi
umilianti, quando si rendeva conto che aveva permesso che Diego lo chiamasse
sempre sergente e gli desse del lei: per un anno erano stati amanti e lui
aveva mantenuto quel muro assurdo, che avrebbe dovuto abbattere fin dal primo
giorno.
Non aveva saputo essere all’altezza dell’amore di Diego, di questo si
rendeva perfettamente conto. Non aveva nemmeno voluto capire che Diego lo
amava, davvero. E non aveva capito che lui, Ramón Hierro, amava Diego.
Diego sarebbe morto, presto. Sarebbero morti insieme. Ma prima di
morire, voleva poterlo amare ancora, anche una sola volta, dirgli quanto lo
amava, quanto lo aveva sempre amato, prenderlo e darglisi.
E poi l’angoscia spezzava i ricordi. E se Diego avesse ceduto? Diego
non sapeva nemmeno che lui era vivo. Solo la promessa di un messaggio
alimentava la sua volontà di vivere, di resistere. Resistere a che cosa? Ramón non sapeva che cosa stavano facendo a Diego. Quello
che avevano fatto a lui, probabilmente, più o meno.
Ed a tratti emergeva il pensiero che forse…
forse il capitano avrebbe inculato Diego. L’idea era insopportabile. Non
perché Ramón fosse geloso. O forse sì, anche per
quello: doveva riconoscerlo, anche per quello. Ma non sopportava l’idea di
quella violenza, che Diego avrebbe patito assai più di lui. Se
avesse potuto parlare di Diego, sapere che cosa gli succedeva, forse il tempo
sarebbe volato, ma Gabriel non poteva dargli notizie. Il “Tutto bene” era una
formula magica, il cui significato si riduceva a “È vivo.” Di più Gabriel non
gli diceva. Ed
in quella attesa che lo consumava, Ramón non
trovava requie. Neppure il corpo di Gabriel poteva più offrirgli un po’ di
pace, perché l’idea di godere con Gabriel mentre Diego soffriva gli
ripugnava. Gabriel aveva capito e non aveva più cercato di riprendere i loro
giochi comuni. Il
quarto giorno, alla fine dell’allenamento, Gabriel gli parlò: -
Il capitano vuole che tu lo veda, oggi. Non era necessario che Gabriel spiegasse
di chi stava parlando: nella testa di Ramón c’era
un chiodo fisso ed era ovvio che si trattava di Diego. Per un attimo Ramón si sentì soffocare dalla felicità, ma fu solo un
attimo, perché la prosecuzione del discorso di Gabriel spazzò via ogni
illusione: -
Vuole che tu assista mentre io lo tormento e lo umilio un po’. Ramón esplose in un urlo di rabbia:
- Cosa? Gabriel
gli rispose pacatamente, spiegandogli come avrebbe fatto ad un bambino
piccolo: -
Ramón, durante la vostra missione, tu e Diego
potete essere torturati e violentati. E, visto che sarete insieme, possono
umiliare, violentare, torturare o minacciare di uccidere uno di voi, per costringere
l’altro a rivelare quello che sa. Per questo il capitano vuole verificare se
sei in grado di reggere, di controllarti. Il
discorso aveva un senso, Ramón doveva riconoscerlo,
ma il ragionamento era debole. In fondo lui sapeva benissimo che Gabriel non
avrebbe ucciso Diego. Probabilmente il capitano voleva soprattutto divertirsi
un po’ alle sue spalle, da quel figlio di puttana che era. Il capitano era
uno che se le legava al dito e Ramón gli aveva
tenuto testa. La
prosecuzione del discorso di Gabriel gli diede pienamente ragione: -
E poi c’è un’altra cosa, che non dovrei dirti. Il capitano ha sfidato Diego
alla gara di pugni, come fa con tutti quelli che gli piacciono. Diego ha
rifiutato. Il capitano si è incazzato come una iena. Diego
non aveva accettato la sfida del capitano, Diego non era stato violentato da
quel porco fottuto. Mentre Ramón esultava, Gabriel
continuò: -
Credo che Diego voglia esserti fedele. Fedele a un morto, perché lui pensa
che tu sia morto. Ma non ha importanza: eri tu l’unico che poteva
metterglielo in culo. E se sei morto, nessun altro può godersi il suo culo,
che, detto tra di noi, è proprio bello. Sai una cosa, Ramón?
Ramón lo guardò, senza rispondere. -
Me lo farei anch’io, Diego, molto volentieri. E non solo perché ha un bel
corpo, ma per quello che è. La
rabbia che le prime parole di Gabriel avevano suscitato in Ramón, si dissolse subito al seguito della frase.
Quell’apprezzamento gli fece piacere, un piacere molto più forte della
gelosia che provava. -
E sai un’altra cosa, Ramón? Di
nuovo l’interrogato non rispose, ben sapendo che i “Sai una cosa?” di Gabriel
non richiedevano una risposta.
- Non so che cosa hai fatto per meritarti uno come Diego. L’osservazione
era ironica, ma Ramón scosse la testa e rispose
seriamente: -
Nulla, Gabriel, non ho fatto davvero nulla. Non mi merito Diego. Lo so
benissimo. Non
lo meritava, non se l’era mai meritato, ma lo aveva avuto e di questo dono
incredibile che gli era stato dato, si era reso conto solo dopo averlo perso.
Gabriel rise e concluse: -
Bene, quindi oggi cerca di non scaldarti tanto. Chiaro? Ramón annuì. Sapeva benissimo che non ce l’avrebbe fatta
a non scaldarsi. Ma per il momento il suo obiettivo era semplicemente quello
di sopravvivere fino al momento in cui avrebbe rivisto Diego. E non sarebbe
stato facile: il suo cuore aveva già preso a correre come se avesse dovuto
allenarsi per le Olimpiadi, quelle che si sarebbero tenute l’anno successivo,
in qualche città australiana di cui Ramón non
ricordava il nome. Da dietro la finestra
Più
tardi Gabriel lo accompagnò in una stanza spoglia, piuttosto buia. Il locale
aveva un’unica finestra, con i vetri scuri, che dava su un cortile. Dall’esterno
era impossibile vedere dentro, ma chi si trovava nella stanza poteva vedere
fuori. Una porta immetteva nel cortile, una porta socchiusa: a Ramón sarebbe bastato un attimo per uscire, ma non doveva
farlo. Non l’avrebbe fatto, di questo era sicuro, si conosceva, ma sapeva che
non gli sarebbe costato poco. E
poi, dopo un’eternità di vuoto, tre uomini entrarono nel cortile. Tra due
guardie, di quelle che Ramón conosceva già – ed
avrebbe strangolato volentieri- Diego, Diego, Diego, le mani legate dietro la
schiena, il bel corpo nudo. Un’ondata di tenerezza sommerse Ramón e per un attimo il bisogno di accarezzare quel
corpo, di stringerlo, fu tanto violento da cancellare ogni altro pensiero. Diego
era lì, a pochi metri da lui, Diego, un viso triste, spento, Diego, segni di
frustate sul corpo, quei bastardi lo avevano frustato, Diego, sporco e con i
capelli arruffati, Diego, quel corpo robusto, Diego… La
tenerezza lo avvolgeva ancora, ma un desiderio feroce stava salendo dentro di
lui. Un desiderio di cui Ramón si vergognava, ma
che era più forte della vergogna. Un desiderio che gli seccava la bocca e che
tendeva ogni muscolo (ed uno in particolare). Ed
ecco Gabriel entrare. A torso nudo, in mano un manganello, con cui
giocherellava. -
Bene, bene. Vediamo di ammorbidire un po’ il nostro eroe.
Al suono della voce di Gabriel, nitidissima, Ramón
sobbalzò. Certo, la porta non era chiusa e quei quattro erano a pochi metri
da lui, ma dietro quel vetro scurito, la scena appariva irreale, quasi un vecchio
film.
Gabriel proseguì:
- Sai, Porcello, sei una testa dura. Ma noi le teste dure sappiamo
come ammorbidirle!
Porcello! Quel figlio di puttana del capitano aveva chiamato Diego
Porcello! Lui era stato Maiale, Diego era Porcello. Quel figlio di puttana si
divertiva a pigliarli per il culo. Ma il culo di Diego non l’aveva avuto,
quello stronzo! -
Su, ragazzi, mettete Porcello tra i pali. Gabriel
indicò con la testa i due pali che si trovavano su un lato del cortile, ad
almeno tre metri di distanza uno dall’altro, uniti in alto da un grosso palo
posto in orizzontale. I
due soldati guidarono Diego fino allo spazio tra i due pali. Poi presero le
corde appese ai pali – Ramón non le aveva notate
prima, ma non aveva guardato in quella direzione – ed armeggiarono con i
polsi di Diego. Ramón pensò che dovevano aver
legato le due corde ai polsi di Diego. Avevano anche sciolto la corda che
legava insieme le mani di Diego, perché quando i due soldati si allontanarono
da Diego, in direzione dei due pali, Ramón vide che
Diego allargava le braccia, ognuna delle quali aveva una corda al polso.
Ognuno dei due soldati raggiunse un palo e fece passare la corda intorno al
legno. Ora Diego stava a braccia aperte, perché le corde, ormai tese, lo forzavano
a tenere le braccia ben divaricate. -
Tirate un po’. Vediamo se gli allunghiamo le braccia, a questo stronzo. I
due soldati incominciarono a tirare. Ramón vide i
muscoli di Diego tendersi allo spasimo. Gabriel passò dietro a Diego e con il
manganello gli vibrò un colpo sulla schiena. Diego sussultò e Ramón sussultò ancora di più, in preda alla rabbia,
mentre la faccia di Diego si deformava in una smorfia. Al primo colpo
seguirono diversi altri, sulla schiena, sulle braccia tese, sul culo.
Ramón fremeva. Quei fottuti bastardi stavano
slogando le braccia a Diego e quel porco di Gabriel lo percuoteva! Quei figli
di puttana!
- Basta, poverino, non vedete che soffre?
Ramón tirò un mezzo sospiro di sollievo:
solo mezzo, perché era chiaro che la tortura non era finita.
Ad un gesto di Gabriel i due allentarono le corde, permettendo a Diego
di abbassare le braccia, e le fecero scorrere via dai pali. Poi ognuno dei
due lanciò l’estremità libera della corda oltre il palo steso in alto, e
quando la corda ricadde, la riafferrò. Con un violento strattone i due
tirarono le corde a sé ed ora Diego si trovò di colpo con le braccia tese
verso l’alto, verso quel palo orizzontale intorno a cui le corde giravano.
- Avanti, ragazzi. Vediamo se così riusciamo davvero ad
allungargliele, ‘ste braccia del cazzo.
Nuovamente il corpo di Diego si tese, mentre le braccia sembravano
davvero allungarsi. I soldati continuarono a tirare, costringendo Diego a
sollevarsi sulle punte dei piedi.
Quando ormai Diego riusciva a toccare terra solo con le dita dei
piedi, Gabriel si mise davanti a lui.
Gabriel prese Diego per il collo. Ramón si
rese conto che la faccia di Diego stava arrossandosi. Gabriel lo stava
strangolando. Ramón si sentì gelare: se Gabriel
avesse premuto troppo, avrebbe ucciso Diego. No…
non era possibile, quel figlio di puttana di Gabriel era esperto...
La faccia di Diego stava diventando violacea ed un po’ di saliva
colava dalla bocca.
Gabriel mollò la presa. Ramón tirò un
sospiro di sollievo, ma la rabbia lo soffocava.
In quel momento Gabriel colpì con forza Diego allo stomaco. Una, due,
tre volte. Ramón sentì il gemito strozzato di Diego
e provò l’impulso di uscire ed avventarsi su Gabriel.
Poi Gabriel fece un cenno ed i due uomini tirarono ancora, sollevando
completamente Diego da terra.
Con l’aiuto di Gabriel, le due corde vennero legate ai pali laterali.
Ora Diego era sospeso per le braccia, senza nessuna possibilità di liberarsi.
Poi i due soldati si avvicinarono ed incominciarono a colpire Diego al
ventre. Un colpo, un altro, un altro ancora. Ramón
si sentì gelare ed avvampare, le mani contratte. Doveva controllarsi, doveva
controllarsi.
Dopo una dozzina di pugni, Gabriel disse:
- Ora basta.
I due uomini slegarono le corde e calarono Diego a terra. Diego cadde
al suolo, ma con fatica si rialzò. I due gli legarono nuovamente le mani
dietro la schiena.
- Lì, davanti alla finestra.
I due soldati accompagnarono
Diego esattamente davanti alla finestra dietro a cui si trovava Ramón.
- Adesso esploriamo il tuo bel culetto, Porcello. Piegati in avanti. Ramón si tese. Che cazzo intendeva fare Gabriel?
Diego non si piegò. -
Non fartelo ripetere, Porcello. Piegati in avanti. Non
ci fu nessun movimento da parte di Diego e, ad un cenno di Gabriel, uno dei
due soldati che gli stavano a lato lo colpì con violenza al ventre. Ramón fu sul punto di urlare. L’altro soldato, intanto,
mentre Diego si piegava per il dolore, lo afferrò per i capelli e lo forzò ad
abbassare il capo. Ora Diego aveva il busto proteso in avanti. Ramón, posto in modo da vedere Diego di profilo, poteva
osservare l’angolo retto che il suo corpo formava, le gambe ben piantate a
terra, il torace parallelo al suolo. Il soldato lo teneva per i capelli,
impedendogli di sollevare la testa. Gabriel passò dietro Diego. Continuava a
trastullarsi con il manganello. Ramón si accorse di
sudare. Un sudore freddo che gli scivolava sulla faccia. Che cosa intendeva
fare quel bastardo di Gabriel con quel fottuto manganello? -
Allora, esploriamo un po’ questo bel culetto. Gabriel
aveva avvicinato un’estremità del manganello al solco tra le natiche di
Diego. Ramón aveva le mani contratte ed una rabbia feroce gli
bruciava dentro. Si chiese se sarebbe riuscito a controllarsi. Quella parte
dello spettacolo era appena incominciata e lui era già al limite della
sopportazione! Gabriel
fece scorrere il manganello tre volte lungo il solco. Diego stringeva i denti
e l’umiliazione che gli si leggeva in viso aumentava la rabbia di Ramón. -
Vediamo un po’, qui si direbbe che c’è un’apertura… Gabriel
esercitò una pressione contro l’apertura e Ramón
fece un passo verso la porta. Poi si fermò, si diede del coglione e si rimise
a guardare. Era un uomo o che cosa? -
Sì, sì, c’è davvero. Scommetto che questo ci entra. Gabriel
spinse. Ramón si disse che l’estremità del
manganello non era molto più voluminosa del suo cazzo. E Diego l’aveva
assaggiato più volte. Era un’umiliazione, niente di più. Un po’ di dolore
fisico, certo, ma niente di terribile. Eppure, se avesse potuto, avrebbe
ucciso Gabriel, il capitano, gli uomini di cui sentiva le risate – uno dei
due soldati, in particolare, continuava a ridere, Ramón
lo avrebbe ammazzato, quel porco fottuto. Una
contrazione violenta sul viso di Diego fece sussultare Ramón
. Gabriel stava togliendo la mano, ma il manganello era saldamente infilato
in culo a Diego. Ramón avrebbe voluto strangolare Gabriel con le sue mani,
infilargli quel manganello in culo fino a che gli fosse uscito dalla bocca (o
viceversa), avrebbe voluto… Avrebbe voluto
prendersi a calci, per evitare che il suo corpo, teso in ogni fibra da una
furia incontenibile, rispondesse in quel modo assurdo alla scena che stava
vedendo. Perché della potente erezione che gli bruciava nei pantaloni, era
perfettamente cosciente. E sapeva che non era solo la vista di Diego, ma
proprio quello che stavano facendo a Diego, quel tormento umiliante e
doloroso, ad eccitarlo. Gabriel
fece un passo avanti, sollevandosi leggermente sulle punte dei piedi, così
che il manganello che sporgeva dal culo di Diego gli passasse tra le gambe,
poi appoggiò i talloni a terra, premendo sul manganello, mentre il suo ventre
aderiva al culo di Diego. Con un gesto deciso gli afferrò i capelli e, mentre
l’altro soldato mollava la presa, tirò la testa della sua vittima verso di
sé, forzando Diego a sollevarsi. Ora i loro due corpi aderivano completamente
e Ramón impazziva di gelosia. E di desiderio. La
mano di Gabriel scivolò sul corpo di Diego, fino a raggiungere il ventre. -
Allora, si sta bene con qualche cosa di bello duro in culo, no? Non è così
male. Non ti stuzzica nemmeno un po’? No,
il sesso di Diego non dava segni di vita, com’era logico, in quelle
condizioni. Ma quello di Ramón era sul punto di
esplodere. La
mano di Gabriel era risalita ed ora stringeva la faccia di Diego.
- Allora, Porcello? Non dici niente? Di’ la verità, ora che hai
provato che cosa significa avere qualche cosa di davvero duro in culo, hai
voglia di farti fottere. Qui ci sono tre bei maschi, pronti all’uso. Uno in
culo, uno in bocca e al terzo magari gli fai un lavoretto con le mani. Che ne
dici? Ne hai voglia, vero? Diego
avrebbe fatto fatica a rispondere, perché la mano di Gabriel gli stringeva la
mascella. Ma Diego non doveva avere nessuna intenzione di rispondere. Gabriel
fece un cenno e nuovamente uno dei soldati colpì Diego con un pugno al
ventre. Subito dopo Gabriel spinse Diego a terra. Per un momento Ramón pensò che quei tre porci bastardi gli avrebbero
pisciato addosso, ma non potevano: era evidente che anche a loro quella scena
faceva l’effetto che stava facendo a Ramón ed i
loro uccelli erano pronti per un altro uso. E se lo avessero violentato? No,
questo non lo avrebbe permesso. Sarebbe intervenuto… Non
poteva. Non doveva. Gabriel
si stese su Diego. -
Allora, Porcello, che ne dici? Mi abbasso un po’ i pantaloni, tolgo il manganello
e lo sostituisco con qualche cosa di altrettanto duro? E
quell’altro porco del soldato continuava a ridere! Gabriel
si alzò e poggiò un piede sul culo di Diego, premendo. Poi tolse il piede ed
incominciò a dare piccoli calci contro i fianchi di Diego, poi contro il
torace. I due soldati si unirono a lui. Non erano calci violenti, ma non
erano nemmeno tanto delicati. -
Allora, Porcello, se ci dici di sì, la smettiamo. Anzi, facciamo una cosa: se
sei tanto timido che ti vergogni a dire che ne hai voglia anche tu, allora
facciamo che ti prendiamo noi, così non devi neanche parlare. Vedi come siamo
gentili? Ancora
una volta Diego fu tirato su per i capelli, colpito e tenuto piegato in due,
mentre Gabriel gli toglieva il manganello. Ramón
aveva ormai il sangue alla testa ed era deciso ad ammazzare Gabriel, anche se
questi, nell’estrarre il manganello, manovrò con cautela. -
Bene, adesso, Porcello, ti fottiamo. -
No! Mentre
urlava, un urlo di rabbia, Diego cercò di divincolarsi e la sua testa si liberò
dalla mano che la teneva ferma. Un colpo allo stomaco gli tolse il respiro,
mentre Gabriel lo bloccava tra le sue braccia. Ramón aveva la testa incollata al vetro e digrignava i
denti. Voleva uccidere Gabriel, voleva ucciderlo, quel bastardo, quel figlio
di puttana. Gabriel
spinse con violenza Diego, che cadde a terra. Ramón strinse i pugni.
Ed in quel momento Gabriel dissolse l’incubo: -
Va bene, se oggi sei un po’ costipato, sarà per un’altra volta. Per oggi
basta così. Portatelo in cella. Vendetta, tremenda vendetta…
I
due soldati forzarono Diego ad alzarsi e lo trascinarono via. Diego camminava
a fatica. Gabriel si diresse verso la porta della stanza in cui si trovava Ramón.
Gabriel entrò tranquillo, come se venisse da una passeggiata, come se
non sapesse che Ramón intendeva ammazzarlo. Perché
sulle intenzioni di Ramón, nessuno si sarebbe
sbagliato, guardandolo in faccia. Anche se, guardando il rigonfio dei
pantaloni, un osservatore avrebbe potuto farsi un’idea diversa. -
Bastardo, fottuto bastardo. Adesso ti spacco la faccia. Gabriel
rise: -
Va bene, un po’ di lotta sul serio farà bene ad entrambi. Sano esercizio
fisico. Ramón si scagliò su di lui, ben deciso a cancellargli il
ghigno dalla faccia, a ridurre il numero di denti di quel sorriso
strafottente ed a cambiare i connotati di Gabriel, che già non era proprio un
Apollo. Gabriel
però, per quanto sorridesse, stava in guardia. Quando Ramón
fece per afferrarlo, si spostò di lato e cercò di farlo cadere. Ramón aveva imparato bene le lezioni ricevute e riuscì a
rimanere in piedi, ma immediatamente si lanciò di nuovo contro il suo
avversario: era troppo furente per riflettere sul da farsi, scegliere la
tattica migliore. Questa volta finì davvero per terra, ma sfuggì alla presa
di Gabriel e si rialzò rapidamente, caricando nuovamente.
Un pugno ben dato prese in pieno Gabriel allo stomaco e Ramón pensò che stava incominciando a vendicare Diego.
Cercò di ripetere il colpo, senza preoccuparsi della reazione del nemico. Si
sa che la fortuna arride agli audaci, ma nell’audacia di Ramón
c’era troppa avventatezza: il pugno che ricevette in faccia non era molto
violento, ma più che sufficiente per fargli sanguinare il naso e stordirlo.
Mentre Ramón era ancora intontito, Gabriel ne
approfittò per colpirlo due volte al ventre, mozzandogli il respiro. Un
attimo dopo, senza sapere bene come, Ramón era a
terra e Gabriel era disteso su di lui, bloccandolo completamente.
Il dolore fisico aveva attenuato la rabbia, restituendo a Ramón un po’ di lucidità. -
Ti sei scaldato troppo, Ramón, hai dimenticato
quello che ti ho insegnato. -
Vaffanculo, bastardo! Gabriel
rise, mentre Ramón cercava di divincolarsi. -
Non sei nella condizione di mandare gli altri a fare in culo, così a terra,
gambe allargate! Ti va bene che… Ramón si agitava, ma nella posizione in cui si trovava,
non aveva nessuna possibilità di liberarsi, se non spaccandosi due o tre
vertebre del collo, perché con un braccio Gabriel gli bloccava il collo e con
l’altro gli teneva fermo il destro. La
stretta di Gabriel era decisa e Ramón si rese conto
che aveva difficoltà a respirare. L’impossibilità di muoversi sembrava
moltiplicare la rabbia. Ed un desiderio violento gli bruciava dentro. Sentiva
la pressione del corpo di Gabriel contro il suo e l’eccitazione che questo
gli provocava alimentava la sua furia. Cercò di divincolarsi con più forza.
Gabriel allentò la presa. Non perché non riuscisse a mantenerla, Ramón lo sapeva benissimo, ma perché altrimenti avrebbe
rischiato di fargli davvero del male. Allora,
con uno scatto Ramón riuscì a liberarsi ed a
scrollarsi di dosso Gabriel, che fu costretto a lasciargli anche il braccio. Ramón gli fu addosso e lo avvinghiò, stringendolo, come
se avesse voluto soffocarlo. Voleva stritolarlo, voleva ammazzarlo, voleva
stringerlo, voleva… Le
loro bocche si incontrarono e si unirono, saldamente. La lingua di Gabriel
aprì la strada e quando si ritirò, fu quella di Ramón
a farsi avanti. E già le braccia di Ramón cercavano
di spogliare Gabriel, ostacolate dai tentativi di Gabriel, che voleva
togliergli la camicia.
Finirono a terra. O forse si lasciarono andare, avviluppati in una
stretta che non sapevano allentare neppure per finire di spogliarsi.
Ramón sentiva il peso del corpo di Gabriel
sul suo, il calore di quella carne. Passò le mani su quella pelle un po’
ruvida, ma non avrebbe saputo dire se erano carezze o percosse. Era solo
cosciente che i loro corpi sudati aderivano, che il suo ventre ardeva.
Gabriel, Gabriel, quello che aveva fatto a Diego, quel porco, quel bastardo… Gli morse la guancia, forte, cercando di fargli
male, ma lasciò che le mani di Gabriel continuassero a spogliarlo. Gli
afferrò il culo a piene mani e strinse con forza, poi lasciò la presa e mise
le sue mani sulla faccia dell’avversario, come se volesse cavargli gli occhi.
Artigliò, spinse, sollevando il viso di Gabriel, allontanandolo dal suo.
Avrebbe voluto sputargli in faccia, avrebbe voluto…
Gabriel aveva un po’ di sangue sul labbro, il sangue colato dal naso di Ramón.
Con un balzo Gabriel fu in ginocchio, sottraendosi alla furia di Ramón. Mise le gambe ai lati del corpo di Ramón e le sue mani voltarono Ramón,
mettendolo a pancia in giù. - Bastardo! Bastardo! Ramón urlava la sua rabbia. O era il suo desiderio?
Perché lasciò che Gabriel finisse di spogliarlo ed attese prono, senza
muoversi, che, con un movimento fluido, Gabriel si stendesse su di lui e gli
entrasse dentro, con una mossa brusca che lo fece gemere. -
Bastardo! Gabriel
gli afferrò i capelli con la mano e prese a spingere con violenza, mentre il
dolore cresceva nel corpo di Ramón. Eppure, Ramón non avrebbe voluto altro, voleva sentire il dolore
di quel cazzo che si apriva la strada con forza, voleva che Gabriel gli
spaccasse il culo, voleva che gli facesse male, come aveva fatto male a
Diego, che… Il piacere esplose, bruciante,
incontenibile, cancellando il dolore, squassando il corpo di Ramón, stordendolo, mentre sentiva le spinte violente di
Gabriel, che con un gemito veniva dentro di lui, inondandogli le viscere con
il suo seme. Gli sembrò che Gabriel proseguisse all’infinito e che il suo
corpo facesse eco a quello di Gabriel, come se quel seme che gli riempiva il
culo passasse direttamente nel suo cazzo e ne uscisse, in un’ondata di
piacere tanto violenta da essere intollerabile. -
Bastardo! Non
c’era più rabbia, non c’era più nulla. La parola gli era rimasta tra le
labbra ed ora gli usciva, come le ultime gocce di seme uscivano dal suo
membro ancora teso. Rimasero a lungo immobili, spossati. Poi
Gabriel si sollevò. Nel momento in cui il suo uccello lasciò il nido che lo
aveva accolto, Ramón sussultò. -
Ora va meglio, Ramón? -
Bastardo. Non
c’era nessuna enfasi, nessuna rabbia nella parola. -
Sai una cosa, Ramón? Al
silenzio di Ramón, Gabriel riprese: -
So che mi vuoi bene, in fondo. -
Bastardo! |