3 In
missione
Il mattino successivo i testicoli
continuavano a fargli male, ma il dolore era tollerabile. La ferita al culo
era ancora aperta e dovette mangiare in piedi. Aveva
appena finito di mangiare, quando due soldati vennero a prenderlo. Uno dei
due disse: -
Maiale, vieni con noi. Non
ci fu una parola di spiegazione, ma Ramón non si
aspettava nessun chiarimento: lui non aveva diritto a spiegazioni, lui non
aveva più diritto a nulla, nemmeno a vivere. Il
capitano lo aspettava in un ufficio. -
Bene, Maiale, ti ho scelto per una missione. Ramón non commentò. Che cazzo avrebbe potuto dire? “Molto
onorato” oppure “Accetto”? Lui avrebbe accettato comunque, perché la sua
libertà di scelta era la stessa di un tacchino imbandito per il pranzo di
Natale. -
Questa sera, quando sarà buio, tu uscirai dal forte e ti nasconderai nella
foresta sull’altro versante. Nella notte vedrai delle luci provenire dal
forte. Devi individuare esattamente il punto da cui provengono le luci e
sapermelo indicare con assoluta precisione, quando ritorni. Ramón si chiese perché mai non mandassero uno dei soldati
che conoscevano il forte e la zona. Chiunque di loro avrebbe potuto svolgere
quel compito molto meglio di lui. -
Nella giornata di domani può darsi che incontri una pattuglia di controllo.
Probabilmente ti spareranno subito, perché non sai la parola d’ordine. Quindi
evita di farti beccare. Se non ti sparano subito, dirai la verità: che sei un
prigioniero e sei riuscito a scappare. Ti ricondurranno qui e ti fucileremo
noi: chi tenta la fuga viene punito con la morte. Ramón cercava di capire. Lo mandavano perché era un
prigioniero, mentre un soldato, se trovato dai suoi compagni, avrebbe dovuto
spiegare perché era lì e, anche se non avesse rivelato nulla, il giorno dopo
si sarebbe saputo che un soldato si aggirava con qualche incarico fuori dal
forte. Per quello non gli dicevano la parola d’ordine, perché se lo beccavano
lui era solo un prigioniero in fuga, un povero coglione che si era fatto
beccare. Ma perché nel forte nessuno doveva sapere di quel controllo?
Probabilmente perché c’era qualche traditore, qualcuno che mandava segnali
luminosi al nemico. -
La notte, questa o la prossima, potresti anche incontrare qualcun altro, una
spia nemica. Se ce ne porti una, ci fai un piacere, ma quelli sono armati e
ti ammazzeranno subito, anche se cercheranno di non fare rumore: una pistola
con il silenziatore o un coltello. Splendido!
Il capitano aveva dimenticato alcune possibilità: poteva incontrare un puma
affamato, un serpente velenoso, un ragno mortale, finire in qualche baratro
nel buio, essere sepolto da una frana, travolto da una piena del torrente e… -
Adesso vieni con me. Il
capitano passò in un corridoio e poi presero una scala che scendeva. Scesero
per un tempo che a Ramón parve interminabile, fino
che raggiunsero una finestrella con grata che si affacciava sull’esterno. Il
capitano gli indicò una botola, nel pavimento, a lato della finestra. -
Aprila! Ramón sollevò la pesante tavola di legno e vide sotto di
sé l’abisso: c’era un salto di almeno quaranta metri e la parete, quasi
verticale, terminava su un ammasso di pietrame. -
Scenderai di qui, con una corda, e di qui ritornerai, se ti sarà possibile.
La corda verrà ritirata non appena avrai raggiunto il fondo. Non avrai più
possibilità di rientrare nel forte fino a domani sera, quando diventerà buio:
allora la corda sarà lanciata e lasciata penzolare non più di mezz’ora. Devi
riuscire a rientrare per allora. Quando scendi, attenzione a fissare bene
nella memoria il punto in cui ti trovi e poi ricordati la strada fatta,
altrimenti non riuscirai a tornare. Come
faceva il capitano ad essere sicuro che lui sarebbe tornato? Che non avrebbe
cercato di raggiungere il forte di Puerta de la Haz, la fortezza nemica situata a qualche ora di marcia? -
Guarda bene il terreno, perché quando scenderai sarà buio e non potrai vedere
nulla. Scendere
al buio, attaccato ad una corda, lungo quella parete offriva già una buona
serie di possibilità di spaccarsi l’osso del collo, senza dare lavoro a
plotoni di esecuzione o spie nemiche. -
Richiudi. Ramón eseguì. - Guarda dalla finestra. Ramón guardò fuori. Poteva vedere la parete
rocciosa di fronte, in forte pendenza, su cui si inerpicava una densa
vegetazione. -
Ti devi mettere su quella parete, per individuare da dove vengono i segnali
luminosi. I segnali ci saranno sicuramente questa notte. E ci saranno anche
le spie che vengono a raccoglierli. Ramón annuì. Si chiedeva se quello che lo aspettava fuori
era davvero peggio di quello che c’era dentro. Quel
giorno non rimase con gli altri. Il capitano lo fece riportare dove aveva
dormito la prima notte, ma non c’era la sentinella che gli aveva insegnato
alcune cose interessanti. Trascorse la giornata da solo, tenendosi in
esercizio, riflettendo su quello che avrebbe fatto e dormendo, per essere
nelle condizioni migliori. Era
ormai buio quando vennero a prenderlo: erano in due, un ufficiale ed un
soldato. Ripercorse la lunga scala e
giunse nuovamente alla botola, che venne aperta. La corda venne lanciata, ma
oltre la botola non si vedeva nulla. Si aggrappò alla corda ed incominciò a
calarsi. Scendere al buio, sapendo
di avere sotto di sé un abisso, non era proprio il massimo. A piedi nudi
(mica solo i piedi erano nudi: non gli avevano dato uno straccio, ma si sa:
era un prigioniero in fuga), con i coglioni doloranti, era ancora meno
piacevole. Ma in un modo o nell’altro Ramón arrivò
al fondo. Prima di lasciare la corda,
si assicurò di essere davvero al fondo e non su uno spunzone di roccia da cui
sarebbe precipitato al primo passo. Era davvero al fondo. Nella lunga discesa i suoi
occhi si erano abituati all’oscurità e, anche se non c’era la luna, alla luce
delle stelle riusciva a distinguere almeno i contorni di ciò che aveva
intorno. Scese con cautela fino al torrente, che guadò facilmente: l’acqua
non era profonda, perché quella non era la valle principale ed il corso
d’acqua non era il grande fiume che scendeva verso la Puerta
de la Haz e l’immenso Rio delle Amazzoni. Risalì
lungo il fianco della montagna, cercando di muoversi il più silenziosamente
possibile. Cercò la posizione giusta: aveva bisogno di poter vedere il forte
nella sua interezza, ma anche di avere alberi ed arbusti che lo nascondessero
e che potessero servirgli come punto di riferimento. Trovò
una posizione che gli sembrava adatta e si fermò. La sagoma scura del forte era appena un’ombra
più nera e Ramón non vide nessuna luce. Ma era
passato troppo poco tempo da quando era diventato buio. Ramón si dispose ad aspettare, facendo attenzione ad ogni
rumore. Ogni tanto si sfregava vigorosamente le mani sul corpo, per
combattere il freddo. I
suoi sensi erano all’erta, ma i suoi pensieri vagavano. E come sempre il
pensiero tornò a Diego. Sapeva che non doveva pensarci. Si disse che le loro
vite si erano divise per sempre, ma il pensiero era tanto doloroso, che lo
scacciò con forza e cercò di pensare ad altro. Ai suoi compagni di prigionia,
al capitano, ad Alligatore, a… In
un attimo ogni fibra del suo corpo si tese. C’era stato un rumore, secco, di
un ramo che si spezza. Un animale, forse. O un animale a due zampe. Non
si sentiva più nulla, se non, lontano i versi di alcuni animali. Ramón si rese conto che vedeva sempre meglio e guardando
il cielo, notò che stava schiarendo. Non era l’alba, ancora molto lontana, ma
la luna che sorgeva. La sagoma del forte diveniva più visibile, un profilo
massiccio, che si confondeva con l’altura su cui si trovava. La
luce apparve allora. Rimase visibile un buon momento, immobile. Doveva essere
quella. Ramón si spostò con cautela, fino a che,
seduto su un tronco, con la schiena contro un albero, la luce rimase
esattamente inquadrata tra due rami. Sì, l’indomani mattina, guardando
attraverso quegli stessi rami, in quella posizione, avrebbe individuato il
punto da cui venivano emessi i segnali. Studiò
con cura la posizione. Ora che la luce lunare illuminava meglio il posto in
cui si trovava, Ramón era sicuro di poter ritrovare
il punto esatto in cui era. La
luce scomparve, poi riapparve e, per almeno venti minuti, i segnali luminosi
proseguirono. Poi
la luce si spense e non venne più riaccesa. Bene,
ora doveva solo aspettare l’alba. Si
guardò intorno e solo allora notò, poco più in basso di dov’era lui, spostata
verso sinistra, una piccola luce. La luce si spense subito, ma Ramón sapeva di non essersi sbagliato. Si
alzò, controllò bene la posizione in cui si trovava, per essere certo di
riuscire a ritornare, e poi scese con cautela in direzione del punto in cui
era apparsa la luce. Faceva molta attenzione a non fare rumore, perché se
qualcuno lo avesse sentito, chiunque fosse stato, la sua vita sarebbe finita
lì. Cercò
di rimanere sempre all’ombra degli alberi, in modo che nessuno potesse
vederlo. Era quasi giunto al punto in cui era stata accesa la luce. Si sporse
guardingo da dietro il tronco di un albero e vide la sagoma di un uomo,
immobile nel buio. Doveva essere una spia nemica, che registrava i segnali.
Probabilmente aveva acceso un piccola torcia elettrica per verificare quanto
aveva scritto o forse per decifrarlo, senza sospettare che qualcuno fosse
appostato poco più in alto. Bene,
doveva impadronirsi di quell’uomo. Ne avrebbe fatto un regalo al capitano,
anche se sapeva che non avrebbe ottenuto niente in cambio. Ma quell’uomo era
una spia nemica e la sua cattura era importante. A
salvare Ramón fu la spia, che disse, in un tono di
voce molto basso: -
Allora, Pedro, ci sei? È ora di andare! Che cazzo fai? C’era
qualcun altro, che doveva essere maledettamente vicino. Si voltò di scatto,
appena in tempo per vedere la lama del coltello che stava per affondare nella
sua schiena. Scartò e si gettò sull’uomo. Contro un uomo armato aveva poche
possibilità, ma quella era l’unica carta e doveva giocarla in fretta, perché
l’altra spia sarebbe intervenuta subito e di sicuro era anche lei armata. Cadde
insieme all’uomo su cui si era lanciato. Lo sentì bestemmiare. Cercò di
bloccargli il polso della mano che stringeva il coltello. L’uomo si liberò
con un guizzo e rialzò il coltello. Ramón saltò di
fianco, ma l’uomo si lanciò su di lui. Ramón rotolò
di lato: se non fosse riuscito a schivare il colpo, del prigioniero Ramón Hierro sarebbe rimasto il
cadavere con la gola squarciata. Gli era andata bene, ma era solo un rinvio:
l’uomo incombeva su di lui e già stava alzando la mano con il pugnale per
vibrare un nuovo fendente. Sotto la mano Ramón si
trovò un grosso sasso. Lo afferrò e, prima che il suo assalitore potesse
sferrare un nuovo colpo, colpì con tutte le sue forze: il sasso prese in
pieno la testa del suo avversario e ci fu un rumore forte. Il suo avversario
cadde su di lui. Ramón sapeva di non avere né
tempo, né scelta: il secondo uomo non poteva non aver sentito la
colluttazione e stava certamente arrivando a dar man forte al suo compagno. Ramón abbatté di nuovo con forza il sasso sulla testa
dell’uomo. Il
corpo che gravava su di lui ebbe appena un sussulto. Ramón
vide una sagoma scura stagliarsi contro il cielo e la luce di una pila
avvicinarsi. Era una luce molto debole. Ramón pensò
che la pila aveva una luce così fioca per evitare che qualche soldato o
sentinella potesse vederla dal forte o durante un giro di perlustrazione. Era
una fortuna, per Ramón, perché probabilmente l’uomo
intravedeva appena i loro corpi e non poteva rendersi conto che Ramón aveva avuto la meglio. Ma quando fosse stato più vicino,
Ramón avrebbe dovuto agire in fretta, perché l’uomo
teneva una pistola nell’altra mano. Quando l’uomo fu più vicino, Ramón sollevò il corpo che gravava su di lui. -
L’hai steso, Pedro? Come
Ramón aveva pensato, l’uomo, vedendo il movimento,
aveva pensato che il suo compagno si stesse alzando. Radunando le sue forze, Ramón sollevò il corpo e poi lo spinse addosso all’uomo
che stava arrivando, sbilanciandolo. Prima che l’uomo potesse rimettersi in
equilibrio, Ramón gli fu addosso e lo colpì con il
pugno allo stomaco e poi in faccia. Sentì il gemito. Allora Ramón afferrò la pistola per la canna e riuscì senza
fatica a strapparla di mano all’uomo, che i colpi avevano stordito. Dopo
la breve colluttazione, Ramón si alzò. Lanciò
un’occhiata all’altro uomo: una forma indistinta stesa a terra, nessun segno
di movimento. L’uomo ai suoi piedi si stava riprendendo, ma per lui ormai era
troppo tardi. Ramón si chinò sull’uomo e, tenendolo sotto tiro colla
pistola, con l’altra mano lo voltò, mettendolo a pancia in giù. Gli si
sedette sulla schiena. Doveva legarlo, ma non aveva una corda, niente. Posò
la pistola, passò le mani intorno alla vita dell’uomo e gli sfilò la cintura,
con cui gli legò le mani dietro la schiena. Poi gli calò i pantaloni e gli
legò le caviglie. Probabilmente l’uomo avrebbe potuto sciogliersi senza
grande fatica, ma lui sarebbe rimasto vicino per impedirglielo. Ramón tornò al corpo dell’altro uomo. Gli toccò il polso.
Nessun segno di vita. Gli
frugò nelle tasche, ma non trovò nulla di utile. Non poteva nemmeno usare i
vestiti per ripararsi dal freddo, perché l’uomo era alquanto più piccolo e
magro di lui. Ramón gli tolse la cintura e la passò
intorno alle caviglie del suo prigioniero. Non voleva correre rischi:
quell’uomo non doveva riuscire a liberarsi. Esplorò
con cura l’area. C’erano due zaini con alcune provviste. Nient’altro. Trascinò
il morto tra i cespugli, in modo da nasconderlo alla vista. Infilò in uno
degli zaini il coltello e la pistola, poi tornò al suo prigioniero, se lo caricò
in spalla e ritornò al suo posto d’osservazione. Giornata d’attesa
Non
poteva riposare: non con quella spia ai suoi piedi, legata in modo molto
approssimativo. L’uomo era sveglio, ma non aveva detto una parola. Aspettava.
Probabilmente si stava chiedendo perché lui non lo portava al forte. Avrebbe
dovuto aspettare, parecchio: il resto della notte e tutto il giorno dopo. Non
poteva rientrare prima di allora. Quando
arrivò l’alba, Ramón per prima cosa controllò la
propria posizione. La vegetazione in quell’area era abbastanza fitta e,
stando al riparo di alcuni alberi, nessuno avrebbe visto né lui, né il suo
prigioniero. Poi
Guardò Cerro del Diablo. Era la prima volta che lo
vedeva nella sua interezza: una tripla serie di immense muraglie, interrotte
da piccole torri di guardia, coronava un rilievo che degradava dolcemente a
sinistra. Da quel lato, dove il pendio era meno inclinato, si scendeva alla
stazione ferroviaria. Ma dalle altre parti le pareti erano verticali ed era difficile
distinguere tra il muro naturale di roccia e la prima cerchia di mura del
forte, costruita dall’uomo con la stessa pietra. Nessun edificio spuntava
molto oltre i bastioni: quasi sembrava che il forte fosse costituito solo da
quella cinta multipla di mura, ma Ramón sapeva che
ognuna di quelle cerchie conteneva numerosi edifici. Ramón si sedette sul tronco dove si era seduto la sera
prima e, utilizzando i rami dell’albero che aveva preso come riferimento,
individuò il punto esatto in cui era apparsa la luce. Si cercò altri punti di
riferimento, nel forte stesso, per poter comunicare con esattezza il punto da
cui erano stati effettuati i segnali. Poi
si mise a sedere di fianco al suo prigioniero, nascosto alla vista tra i
cespugli. L’uomo
lo guardava, alquanto perplesso, e Ramón ricambiò
lo sguardo. La spia nemica era un bell’uomo, con barba e capelli rossi, un
corpo muscoloso. Un po’ di sangue gli era colato dal naso. -
Chi sei? La
domanda non lo stupì. A vederlo nudo, senz’armi, chiunque si sarebbe posto la
stessa domanda. Ramón alzò le spalle. Non valeva la pena di rispondere. -
Senti, se mi liberi, se vieni con me alla Puerta, io… Ramón si inginocchiò di fianco all’uomo, gli mise una
mano intorno al collo e sibilò: -
Non lo dire nemmeno per scherzo. Questa sera ti porto al forte, ma al Cerro
del Diablo. Dove ti faranno raccontare quello che
hai da raccontare. L’uomo
tacque e d’altronde, con la mano di Ramón intorno
al collo, non gli sarebbe stato facile parlare. Ramón
tolse la mano. Ci
fu un lungo momento di silenzio. -
Che ne è di Pedro, dell’altro… -
È morto. L’uomo
annuì. -
Peccato. Era un buon soldato. Ramón tornò a sedersi. Il freddo fottuto della notte, che
gli era penetrato nelle ossa, cominciava a lasciare il posto ad una temperatura
più gradevole. Ogni
tanto guardava il prigioniero, che lo fissava. Ramón
si rese conto che l’uomo gli guardava tra le gambe e quella consapevolezza
ebbe un effetto tanto imprevisto quanto immediato: il suo uccello incominciò
ad alzare la testa. Che cazzo gli succedeva? Lo
sapeva benissimo, che cosa gli succedeva. Guardò l’uomo, che ora sorrideva.
Era davvero un bell’uomo, giovane, forte. -
Pedro era un buon soldato. Ed era bravo a fottere.
Ramón ghignò.
- E tu ti facevi fottere da lui? L’uomo
annuì. -
Sì, piaceva a me e piaceva a lui. Ci sapeva fare. Ci dava dentro. Ramón lo guardò. Avrebbe voluto mandarlo a cagare, ma il
suo uccello aveva chiaramente tutt’altra idea, anche se l’apertura da
utilizzare era la stessa. -
Bada, non ti libero. L’uomo
annuì. -
Lo so, ma visto che ormai è finita, mi piacerebbe godere ancora una volta. Ramón si inginocchiò di fianco all’uomo, gli sciolse la
cintura con cui gli aveva legato i piedi e la strinse intorno alle mani. Poi
gli sciolse i pantaloni che gli aveva annodato alle caviglie e glieli tolse
completamente. Gli sfilò le mutande e gli guardò il culo. Aveva
un bel culo, forte, ma non troppo largo, muscoloso, coperto da una peluria
rossiccia. Ramón lo accarezzò. Che cazzo stava
facendo? Stava accarezzando il culo di una spia…
Sì, stava accarezzando il culo di un uomo e gli piaceva, piaceva alla sua
mano, che continuava nella sua opera ed ora veniva accompagnata dalla
sorella, piaceva al suo uccello, rigido come il manico di una scopa e pronto
all’uso. Gli piaceva ed andava bene così. Quell’uomo sarebbe morto presto,
perché quello era il destino delle spie, ma adesso loro due si sarebbero
regalati un momento di piacere. Le
sue dita scorrevano tra la peluria, affondavano nella carne, sentendone la
consistenza. Poi risalirono lungo la schiena, infilandosi sotto la giacca e
la camicia dell’uomo, scesero ancora, pizzicarono con energia, una prima
volta, una seconda. Poi Ramón avvicinò la bocca al
culo dell’uomo e lo morse. Dentro
di lui, una voce gli stava dicendo che era impazzito, che un uomo, un vero
uomo non fa certe cose, ma quella voce era lontanissima, sempre più lontana e
a Ramón Hierro non gliene
fotteva un cazzo di tutto quello che aveva da dire quella voce. Quale voce?
Non c’era nessuna voce che parlava. C’era un bel culo che si offriva alla sua
bocca e lui voleva affondare i denti in un bel culo, sentire la consistenza
della carne, accarezzare con le mani la peluria sottile che lo ricopriva,
pizzicare la carne, affondare le dita in quel culo. Cazzo!, per un attimo
pensò che valeva la pena di venire a Cerro del Diablo
solo per quello. Il
suo uccello però non ne poteva più di rimanere a distanza ed allora Ramón si inumidì due dita, accarezzò l’apertura, che
rispose allo stimolo contraendosi, ed avvicinò la punta della sua arma
all’obiettivo. Poi, con lentezza, sentendo il calore della carne che lo
accoglieva, prese possesso da trionfatore della cittadella occupata, anche se
in realtà la cittadella non aveva opposto nessuna resistenza e sembrava
accogliere in gran festa il suo invasore. Ramón artigliò quel bel culo con le mani ed incominciò la
sua azione strategica consistente in rapidi slanci in avanti, seguiti da
improvvise ritirate, lente manovre di avanzamento e progressivi arretramenti.
L’azione militare proseguì a lungo, perché Ramón
aveva una notevole resistenza, fino a che i proiettili non furono lanciati
con forza nelle viscere del nemico. Sentì l’uomo gemere, un gemito che non
era di dolore, e si rese conto che erano venuti insieme. Pensò, con la solita fitta,
che con Diego non era mai successo e con rabbia si disse che doveva togliersi
Diego dalla testa. Ma sapeva benissimo che avrebbe potuto ottenere quel
risultato in un modo solo: sparandosi un colpo al cervello. -
Ci sai fare, cazzo, se ci sai fare! -
Grazie. Ramón si disse che quel dialogo era assurdo, ma tutta la
situazione era assurda. Fece per rivestire l’uomo, ma questi gli disse: -
No, senti, se ne hai voglia, se mi porti al forte solo la sera… Ramón annuì. Ramón fece altre due incursioni nella
cittadella nemica, una in tarda mattinata ed una nel pomeriggio, seguendo
tattiche diverse, ma fu accolto trionfalmente ogni volta. Poi,
quando divenne abbastanza buio da potersi muovere senza essere visti, Ramón si caricò in spalla l’uomo e uno degli zaini, in
cui aveva messo anche tutto il contenuto dell’altro, e raggiunse il punto in
cui avrebbe dovuto risalire. Poco
dopo buttarono giù la corda e Ramón legò l’uomo
sotto le ascelle, in modo da poterlo sollevare. Poi incominciò ad
arrampicarsi. Quando
arrivò in cima, trovò il capitano ed un soldato. -
C’erano due spie, due soldati nemici. Uno è legato alla corda. -
E l’altro? -
È morto. Insieme tirarono su il
prigioniero. Il capitano fece portare
via la spia, poi guidò Ramón fino ad un ufficio.
Sul ripiano della scrivania c’erano alcuni disegni del forte. Il primo
mostrava Cerro del Diablo visto dalla parete su cui
si era piazzato Ramón. - In che punto è apparsa la
luce? Ramón ritrovò nel disegno la torretta di
guardia e lo spigolo della seconda cerchia di mura, che gli erano serviti
come punti di riferimento. Al di sotto della torretta ed all’altezza dello
spigolo, c’era il punto in cui erano state fatte le segnalazioni. - Hai un’idea dell’ora a
cui è comparsa la luce? Ramón alzò le spalle. - Forse verso mezzanotte,
ma magari anche dopo. Il capitano annuì. Quella
sera lo riportarono nella sua cella, anzi: stanza, come diceva il capitano. Il rifiuto Il mattino dopo i soldati condussero
nuovamente i quattro prigionieri nel cortile. Questa volta c’erano delle
grosse corde e delle cinghie con anelli di ferro. Ramón
non sapeva a che cosa sarebbero servite, ma certamente era qualche nuova
tortura, qualche altra umiliazione. Avvertì un senso di stanchezza. Che senso
aveva, quella vita? Aveva salvato la vita della sentinella e forse del
capitano, aveva catturato una spia nemica, ma tutto ciò non gli aveva
impedito di essere di nuovo lì, per qualche prova assurda. L’uomo che aveva
visto al palo arrivando era stato davvero fortunato a morire. In
quel momento entrò il capitano e Ramón si riscosse.
Davanti a quell’uomo non voleva mostrare segni di debolezza. -
Maiale, stenditi con la schiena a terra. Ramón eseguì. -
Allarga le braccia. Quando
ebbe allargato le braccia, i soldati gli fissarono le cinghie di cuoio sopra
e sotto i gomiti. Poi gli passarono altre cinghie intorno alle gambe,
bloccandole insieme. Agli anelli legarono tre corde: una per ogni braccio ed
un’altra per le gambe. -
Voi tre, prendete le corde. Tu, Mulo, quella delle gambe. Ognuno
dei tre prigionieri afferrò una della corde. I soldati li disposero: Scimmia
e Coyote, che tenevano le corde delle braccia, furono messi uno opposto
all’altro, a destra ed a sinistra di Ramón. Mulo,
che teneva la corda delle gambe, fu posto vicino ai piedi. -
Ora tirate, più forte che potete. I
tre eseguirono. Ramón si sentì tirare in direzioni
opposte ed avvertì il tendersi dei suoi arti e la pressione crescente sulle
articolazioni. Era come se stessero cercando di squartarlo. Certo, non
potevano farlo tre uomini, ci sarebbero voluti cavalli o buoi o magari
camioncini, ma potevano facilmente slogargli le spalle. Ed in quelle
condizioni, non poter muovere le braccia significava la morte. Ramón strinse i muscoli delle braccia, opponendo
resistenza alla forza esercitata dai due prigionieri ai suoi lati. Quanto a
Mulo, le gambe unite offrivano una resistenza sufficiente ed i rischi di
slogatura erano minori. Ramón sapeva di avere dalla sua il proprio peso, non
indifferente, ma i due uomini che stavano tirando erano anch’essi forti e
decisi. -
Più forte, più forte! La
tensione aumentò, mentre le braccia si tendevano allo spasimo. Ora Ramón era quasi completamente sollevato da terra, ma proprio per questo il suo peso gravava di più sulle corde e gli uomini dovevano fare uno sforzo maggiore. La tensione aumentò ancora,
malgrado la resistenza che Ramón opponeva. Se non
voleva che lo storpiassero, doveva agire. Dei due carnefici che gli
tiravano le braccia, il meno pericoloso era quello di sinistra, Scimmia. Ramón allentò la resistenza che opponeva con il braccio
sinistro, in modo da sbilanciare leggermente l’avversario, poi tirò con uno
strattone la corda. Scimmia fu colto di sorpresa dalla doppia manovra, che
non si aspettava, e cedette. La corda lo trascinò verso Ramón
e l’uomo cadde a terra. Subito Ramón
afferrò con entrambe le mani l’altra corda e, malgrado la resistenza opposta
da Coyote, ebbe facilmente ragione di lui e lo costrinse a mollare la corda.
Mulo lasciò la corda che stringeva le gambe di Ramón
non appena questi si mise a sedere e fece per afferrarla. Il
capitano annuì. -
Ora tocca a te, Scimmia. Scimmia
si stese a terra, mentre i soldati toglievano a Ramón
le cinghie che aveva ancora addosso. Ramón guardò
l’uomo steso a terra e vide che lo fissava con timore. Sì, Ramón si rendeva conto che se avesse davvero tirato con
tutte le sue forze, gli avrebbe certamente slogato la spalla. Si chiese se
dosare le forze, ma il capitano se ne sarebbe accorto: con quell’uomo non era
possibile barare. Quindi doveva fare una scelta: o slogava la spalla a
Scimmia, che la sera prima aveva accettato di frustarlo, o si sottoponeva ad
una nuova punizione, certamente più severa, forse fatale, perché altri
rifiuti il capitano non li avrebbe tollerati. Ramón sapeva benissimo che in realtà non aveva nessuna
scelta, perché non poteva cambiare il suo modo di essere. Quando
un soldato gli porse la corda, si voltò verso il capitano e gli disse: -
Non lo faccio, signor capitano. Il
capitano non sembrò sorpreso, probabilmente se l’aspettava. Disse solo,
rivolto ai soldati: -
Al palo alto. Un
soldato gli mise un grosso bastone di legno contro la schiena, in posizione
orizzontale ed altri due soldati gli fecero passare i gomiti dietro il
bastone, legandogli i polsi al legno con grosse corde. Ora aveva le braccia e
le mani bloccate, Poi lo portarono al palo, che si trovava
su una piattaforma rettangolare. Lo fecero salire sulla piattaforma, lo
misero contro il palo e gli bloccarono i piedi con una catena, che fecero
passare dietro il palo: ora la catena gli impediva di muovere i piedi, mentre
il bastone gli bloccava le braccia. Ramón pensò
agli uomini appesi che aveva visto nel terzo cortile. Dalla
piattaforma assistette alla fine della prova: un soldato prese il suo posto
ed ogni prigioniero subì la stessa prova. Quando però fu il turno di Mulo,
questi urlò. La prova fu interrotta, ma Ramón vide
subito che il poveretto aveva una spalla slogata. A
quel punto il capitano entrò in uno degli edifici. Ramón
rimase al palo, senza che succedesse nulla, per alcune ore. Più
tardi, un gruppo di soldati entrò nel cortile e si fermò davanti a lui.
Ridacchiavano e si scambiavano commenti. Poi arrivò un uomo alto e massiccio,
a torso nudo. Aveva una frusta nella destra ed un bastone biforcuto nella sinistra. L’uomo sorrideva,
divertito. Appoggiò
le due punte del bastone sui testicoli di Ramón, là
dove vi erano i grossi lividi bluastri. A quel contatto Ramón
si sentì quasi svenire. Poi l’uomo
incominciò a stuzzicare l’asta di Ramón con le
punte del bastone. Il contatto era ruvido, ma quello sfregamento, per quanto
irritasse la pelle, accendeva il desiderio di Ramón.
Ramón avrebbe voluto resistere, sottrarsi a quella
ulteriore umiliazione, ma non era in grado di farlo: poteva controllare la
sua faccia, nascondere il dolore, ma non poteva controllare il sangue che
affluiva impetuoso al suo uccello. Ben presto il sesso fu perfettamente teso,
la grande cappella quasi gli batté contro il ventre. L’uomo
ora gli scorreva l’asta lungo l’uccello gonfio di sangue, su e giù, ed il
contatto con quella superficie scabrosa gli feriva la pelle e moltiplicava la
tensione. Ogni tanto il bastone scendeva fino alla base dell’asta, poggiando
sulle palle, ed il dolore sembrava spegnere il piacere. Ramón
guardò con odio il suo aguzzino ed i soldati che si divertivano allo
spettacolo. Quella punizione era soltanto un’umiliazione, ma raggiungeva il
suo scopo. Lui, Ramón Hierro,
un tempo sergente, era ridotto ad essere lo zimbello di un gruppo di soldati,
che si divertivano a vedere un aguzzino fargli una sega con un bastone. Capì che non era più in grado di controllarsi. Sentì dai coglioni salire il getto impetuoso ed il piacere divenne così intenso che per un attimo perse la coscienza della sua situazione, ma nel momento in cui il suo piacere raggiungeva il massimo ed il getto esplodeva, il bastone scese bruscamente fino ai testicoli. Non riuscì a trattenere un
urlo strozzato, che subito soffocò. Guardò gli uomini davanti a lui che
sghignazzavano, vedendo il suo seme sgorgare, mentre lui, piegato in avanti,
preda di un dolore che annullava il piacere, aveva l’impressione che il mondo
stesse svanendo. Riuscì
a raddrizzarsi a fatica e cercò di cancellare ogni espressione dalla propria
faccia. L’uomo
ed i soldati se ne andarono quasi subito. Ramón
rimase legato al palo, senza che nessuno si occupasse più di lui. Quando
scese la sera, Ramón si chiese se lo avrebbero
lasciato tutta la notte lì fuori. Non avrebbe potuto riscaldarsi muovendosi o
sfregandosi la pelle con le mani, come aveva fatto la notte precedente. Quando
vennero a prenderlo, poco prima che venisse suonato il silenzio, Ramón tirò un sospiro di sollievo. La sfida
I
soldati non lo accompagnarono nella sua cella, ma di nuovo nella stanza dove
aveva già dormito due notti, dopo che aveva fermato Alligatore. Dormì
di un sonno profondo e si svegliò solo quando il capitano entrò nel locale.
La stanza era luminosa e dalla finestra si vedeva che il sole illuminava il
cortile: doveva essere tarda mattinata. Ramón si alzò immediatamente. -
Hai riposato? La
domanda lo colse di sorpresa. Che senso aveva, quella domanda? Il capitano
non era certo il tipo da preoccuparsi del sonno dei prigionieri. -
Sì, signor capitano. -
Bene, quindi ti senti in forma? -
Sì, signor capitano. -
Ottimo, allora vediamo chi dei due lo mette in culo all’altro. Ramón rimase a bocca aperta. La sua testa si rifiutava di
capire. -
Tu sei molto forte e questa è una gara di forza. Chi la vince, inculerà
l’altro. Te la senti? In
qualunque altra situazione, Ramón avrebbe
rifiutato. Accettava sempre le sfide, ma non era disposto a mettere in palio
il proprio culo. A lungo aveva pensato che un uomo che si fa inculare non è
davvero un uomo ed aveva disprezzato i soldati che, numerosi, gli si erano
offerti. Qualche cosa era cambiato con Diego, che gli aveva offerto tutto il
suo corpo perché lo amava. Ramón aveva sentito
tutto il valore di quell’offerta, fatta da un uomo forte, che nessun altro
aveva mai posseduto. Ma
mai, in tutta la sua vita, Ramón aveva pensato che
si sarebbe lasciato inculare. Non
aveva risposto ed il capitano lo incalzò: -
Non te la senti? La
rabbia riaffiorò di nuovo, in un attimo invase ogni fibra del suo corpo e Ramón annuì. -
Va bene, signor capitano. Il
capitano incominciò a spogliarsi, posando gli indumenti sulla branda. Presto
fu completamente nudo, come il giorno di quella prova assurda con il peso ai
coglioni, di cui Ramón portava ancora il segno. -
Le regole sono semplici. Ognuno dei due colpirà l’altro, al ventre. Un pugno
a testa, fino a che uno dei due non dirà “basta” o non cadrà a terra. Chi
cede, apre il culo all’altro, per i prossimi tre giorni, mattino e sera. Ramón annuì. Sapeva che quel figlio di puttana avrebbe
vinto, ma sapeva anche che, se avesse perso, sarebbe venuto due volte al
giorno, mattino e sera, a farsi inculare da lui. -
Hai pisciato? È meglio che tu lo faccia, altrimenti un colpo può rompere la
vescica e spedirti all’altro mondo. Senza
una parola, Ramón raggiunse il cesso ed eseguì
quanto gli era stato suggerito. Poi tornò nella stanza e si mise di fronte al
capitano. -
Incomincia tu. Devi colpire con tutte le tue forze. Qualunque punto va bene,
da qui a qui. Con
le mani il capitano indicò l’area dalla base dei polmoni fino all’altezza
della vescica. Ramón guardò il capitano e pensò con soddisfazione che
almeno avrebbe potuto sfogare un po’ del suo odio. Chiuse il pugno ed arretrò
il braccio, poi vibrò un colpo con tutta la sua forza, subito sopra
l’ombelico. Il capitano socchiuse appena la bocca e Ramón
vide i muscoli del viso tendersi, ma il corpo non vacillò. Dopo un momento,
il capitano disse: -
Ben dato, bravo! Ora tocca a te incassare. Devi tendere bene i muscoli. Ramón tese i muscoli, ma il colpo al ventre gli mozzò il
respiro e sentì un dolore acuto. Riuscì a fatica a controllare l’espressione
del viso ed a rimanere in piedi. Non avrebbe retto molti colpi di quel
genere, di sicuro. Ad
un cenno del capitano, Ramón chiuse nuovamente il
pugno e colpì con tutte le sue forze. Questa volta una smorfia di dolore
alterò per un attimo la faccia del capitano ed il piacere che questo diede a Ramón fu più forte del dolore che ancora gli bruciava. Il
capitano non parlò, ma dopo pochi secondi gli fece un cenno e poi lo colpì.
La sensazione fu quella di un masso che gli fosse stato lanciato addosso.
Chiuse gli occhi e si piegò in avanti, ma trovò la forza di raddrizzarsi. Si
disse che doveva abbattere quel fottuto bastardo ora, perché non avrebbe
retto un altro colpo. Ma si rendeva conto che non sarebbe riuscito a farlo
cadere. Radunò tutte le sue forze e, con tutta la rabbia che sentiva dentro,
colpì al basso ventre. Il
capitano emise un gemito strozzato, ma si mosse appena sulle gambe. Ramón sapeva di aver perso, perché non sarebbe riuscito a
reggere un altro colpo come il precedente. Tese al massimo i muscoli indolenziti,
ma il nuovo pugno, che lo prese nella stessa area in cui aveva colpito lui,
fu un proiettile lanciato da una catapulta.
Si ritrovò in ginocchio,
gli occhi chiusi, la faccia stravolta in una smorfia di dolore e fece fatica
a non urlare. Il dolore cancellò ogni altra sensazione e per un momento Ramón pensò che sarebbe morto. Poi,
con uno sforzo, Ramón si alzò. Faceva fatica a
stare in piedi. Il
capitano aveva il solito viso impassibile. Dopo averlo guardato un momento,
si avvicinò al letto e si rivestì. -
Tornerò dopo per prendermi il premio della vittoria. Ramón raggiunse il letto e si distese. Quell’uomo
lo avrebbe inculato, lui avrebbe dovuto aprire il culo ed accettare…
No, non intendeva farlo! Non voleva, odiava quell’uomo, con tutto se stesso,
e proprio quell’uomo glielo avrebbe messo in culo. No, non poteva… Non poteva fare altrimenti. Aveva accettato la
sfida, quell’uomo aveva vinto e lui gli avrebbe dato il culo, per tre giorni.
Ma lo avrebbe ammazzato, prima o poi lo avrebbe ammazzato. Il
capitano tornò due ore dopo. Non disse nulla, ma incominciò a spogliarsi.
Prima ancora che si togliesse i pantaloni, Ramón si
rese conto che quel bastardo aveva il cazzo già in tiro. Ed infatti, quando
si calò le mutande, apparve un cazzo perfettamente teso, quasi verticale. Ramón ne osservò la grande cappella rossastra e la vena
in rilievo che correva su un lato. Quel cazzo gli sarebbe entrato nel culo. Il
capitano gli lasciò il tempo di guardarlo bene: quel figlio di puttana voleva
che sapesse che cosa lo aspettava. Poi disse: -
A pancia in giù sul tavolo, gambe a terra ben divaricate. Ramón soffocò l’impulso di saltargli addosso, di
colpirlo, di rifiutarsi. Si diresse al tavolo, vi si appoggiò con tutto il
corpo, tenendo le gambe a terra ed aprendole bene. Ora stava dando il culo a
quel bastardo. Non
sentì il capitano muoversi, ma si era appena steso, quando avvertì due dita
bagnate passargli tra le natiche e raggiungere l’apertura nascosta. Quel
figlio di puttana preparava l’ingresso ed infatti le due dita stuzzicarono un
po’ la pelle, si allontanarono, ritornarono ed infine si infilarono senza
complimenti. Ramón sussultò. Non per il dolore,
poco più che un fastidio, ma per l’umiliazione di quell’intrusione. Ora
lo avrebbe inculato. Lui, che non era mai stato inculato da nessuno, ora
l’avrebbe preso in culo da quel figlio di puttana. Non si era mai offerto
neppure a Diego, per quanto gli volesse bene, ed ora… Le
dita uscirono con un’altra manovra brusca e Ramón
si tese. Non per il dolore che avrebbe provato, perché sapeva tollerare il
dolore, ma per l’umiliazione estrema. La
mazza ferrata che ora premeva contro il suo culo era calda, intollerabilmente
calda e Ramón, d’istinto, si chiuse. -
Non resistere. Hai accettato la sfida e hai perso. Ramón lasciò che i muscoli si distendessero e
immediatamente sentì la pressione aumentare e una massa incandescente forzare
l’apertura oltre ogni limite. Per un momento il dolore fu più forte anche
dell’umiliazione. Poi, man mano che il suo sfintere si abituava a quella
dilatazione, il dolore arretrò. Il capitano riprese ad avanzare, con un
movimento continuo e Ramón si tese nuovamente, ma
ormai era inutile: il nemico era dentro di lui, lo schiacciava. Il nemico
aveva vinto e non c’erano più difese possibili. Quella
mazza ferrata che si faceva strada con la forza, lacerando, sembrava non
finire mai di entrare ed il dolore riprese a crescere. Questo aveva provato
Diego, quando lui lo aveva posseduto? Eppure la spia…
Non
completò il pensiero, perché giunto al fondo, il capitano arretrò di colpo,
fin quasi ad estrarre completamente la sua arma, e poi incominciò a spingere
vigorosamente, avanti e indietro. Il dolore esplose, feroce, ma non c’era via
di scampo. Il capitano spingeva con un potente movimento a stantuffo, e ad
ogni spinta Ramón aveva l’impressione che le
viscere gli si lacerassero. Per quanto tempo il capitano continuò a spingere,
Ramón non avrebbe saputo dire. Progressivamente il
suo corpo si abituò alle spinte ed il dolore si attenuò. Ma la sensazione di
quella massa che gli forzava le viscere continuava ad essere fastidiosa. Solo
quando il capitano venne, con una serie di spinte furiose, Ramón sentì che la pressione al suo interno diminuiva e
diventava tollerabile. Sì, tollerabile, neanche spiacevole. Il
capitano estrasse la sua arma. -
Ancora vergine, alla tua età. Cazzo, Maiale, ma che cosa aspettavi? Ramón strinse i pugni. Si alzò e fissò il capitano. Aveva
un po’ di sangue sul grande cazzo ancora turgido. Il
capitano andò a lavarsi, poi tornò, si rivestì ed uscì, dicendo: -
Questa sera secondo turno. La
sera fu meno doloroso, anche se Ramón avvertì la
nuova lacerazione della piccola ferita che il capitano gli doveva aver fatto
il mattino. Quella
notte, Ramón rimase a lungo sveglio. Pensava al
capitano, che lo aveva inculato; al soldato nemico, che si era fatto inculare
da lui ed era venuto insieme a lui, tre volte; a Diego, che gli aveva dato
tutto se stesso. Il
capitano ritornò ancora il mattino e la sera dei due giorni successivi. Il
dolore si attenuò e, man mano che il suo corpo si abituava, la sensazione di
quella massa calda che gli riempiva le viscere divenne sempre meno
fastidiosa. Il terzo giorno si rese conto che non era più per nulla un
disagio: quel senso di pienezza, quel forte calore che si irradiava nel suo
culo, quella pressione energica, tutto accendeva in lui un desiderio sempre
più intenso e non si stupì quando, nel pomeriggio, il suo uccello rispose
alla solita incursione con un rapido decollo. Non
si stupì, ma avvertì più forte il senso di umiliazione. Che cos’era, un
finocchio? Gli veniva duro a farselo mettere in culo! Si
sentiva confuso, stordito, furibondo con il capitano. Fu contento quando il
seme gli si riversò nel culo e la pressione diminuì. Il
capitano si alzò e gli disse: -
Forse dovevo chiamarti Troia, non Maiale. Ramón si alzò, senza preoccuparsi di nascondere
un’erezione di cui il capitano si era ormai accorto. -
Se vuole accomodarsi, signor capitano, posso renderle il favore. Il
capitano scosse la testa. -
Sei una testa dura, Maiale, ma imparerai a chinarla, questa testa di cazzo
che ti ritrovi.
Si rivestì e chiamò due soldati.
- Portatelo ai pali. |