8 Il
tenente nemico
La porta si aprì e la luce del corridoio
illuminò lo stretto spazio della cella. Non era una luce forte, ma a Ramón diede fastidio. Socchiuse gli occhi, perché si
abituassero al chiarore. Due soldati entrarono. Ramón
si sentiva tranquillo. Stava per morire, ma quando era partito per quella
missione, sapeva che sarebbe morto. I due soldati presero il capitano per le
braccia e lo spinsero fuori. Poi ritornarono nella cella ed afferrarono allo
stesso modo Ramón. Ramón
si lasciò condurre senza opporre resistenza. A che cosa sarebbe servito? Nel corridoio c’era il capitano, le mani
dietro la schiena, ma voltato verso la porta, e dietro di lui, un po’
spostato di lato, un tenente. La lampadina non lo illuminava bene, perché il
berretto proiettava un’ombra sul suo viso, ma a Ramón
si fermò il cuore, perché, anche se vestito da ufficiale nemico, lui avrebbe
riconosciuto Diego in qualunque luogo! Quel che seguì fu tutto troppo rapido
perché Ramón avesse il tempo di capire: quando i
due soldati furono nel corridoio, il capitano mollò un pugno nello stomaco a
uno dei due e Diego puntò la pistola contro l’altro, dicendogli: - Una parola e sei morto! In un attimo il capitano trascinò nella
cella il soldato che aveva colpito e che era piegato in due: nulla di strano,
Ramón conosceva benissimo i pugni del capitano e
lui almeno quando li aveva ricevuti era pronto, mentre il soldato era del
tutto impreparato. Diego costrinse l’altro soldato ad entrare anche lui nella
cella. Ramón rimase un momento nel corridoio,
sbalordito, cercando di ricostruire quello che era successo. Mentre i soldati
stavano prendendo lui, Diego aveva liberato il capitano dalle corde, ma come
cazzo aveva fatto Diego a trovare una divisa da ufficiale, a raggiungere le
celle, a farsi aprire? - Se non ti dispiace venire dentro, Hierro, forse potresti prepararti. La voce del capitano era beffarda. Ramón entrò
nella cella. Diego gli tagliò le corde con un coltello: ecco come Diego aveva
liberato il capitano, mentre i due soldati erano entrati nella cella a
prendere lui, Ramón. Il capitano stava spogliando uno dei
due soldati. Il corpo del soldato era del tutto inerte e Ramón
capì che l’uomo era morto. Anche l’altro soldato, immobile in un angolo,
doveva esserlo, c’era parecchio sangue per terra. Nuovamente il capitano parlò: - Muoviti a metterti la divisa di questo
qua. I pantaloni sono bagnati, si è pisciato addosso quando l’ho strangolato,
ma non credo che sia un problema. Ramón si
infilò i pantaloni, che effettivamente erano bagnati, e gli stivali. Mentre
si metteva la camicia, chiese: - Perché li ha uccisi? - Hierro, ma
che cos’hai nel cervello? Merda? Tra poco vengono in questa cella per far
fuori i due prigionieri, questi due avrebbero detto che li aveva liberati uno
che aveva la divisa da ufficiale. Nessuno deve saperlo, se vogliamo avere
qualche possibilità di farcela. Ti preoccupi per la vita di questi due? Se il
forte salta, qui dentro siamo tutti morti. Un’ora prima o un’ora dopo… Il capitano aveva ragione, ma
quell’assassinio a sangue freddo a Ramón dava i
brividi. Il capitano intanto si era messo i pantaloni del soldato, che però
non riusciva a chiudere, ed anche la camicia era troppo stretta per lui. Intervenne Diego: - È inutile, signor capitano. Lei viene
così, come un prigioniero. Se qualcuno ci vede, penseranno che portiamo il
prigioniero ad un interrogatorio. Il capitano annuì. Infilò nella cinghia
dei pantaloni la pistola che aveva preso ad uno dei soldati: la camicia,
lasciata aperta, la nascondeva. Frugò nelle tasche dei pantaloni e della
giacca del soldato ucciso. - Cazzo, niente! Dobbiamo procurarci
qualche cosa per dar fuoco alle polveri. - Ho tutto io, capitano. Il capitano guardò un momento Diego. - Ti avevo sottovalutato, Hortelano. Devo riconoscerlo. Per quanto fosse ancora piuttosto
disorientato, Ramón provò una notevole
soddisfazione per la rivincita che s’era appena preso. Su quello che provò
invece per Diego, inutile soffermarsi: i lettori sono già più che
sufficientemente informati. Diego espose a grandi linee il piano che
aveva tracciato, per consentire loro di arrivare alla meta. Il capitano
approvò. Percorsero il corridoio e salirono la
scala che conduceva al cortile. Quando furono in cima alla scala, a pochi
passi dal soldato di guardia all’ingresso, il capitano si accasciò al suolo.
Teneva le mani dietro la schiena, ma nella destra stringeva il coltello. Diego chiamò: - Sentinella, vieni subito! Il soldato di guardia alla porta li
raggiunse, senza sospettare di nulla: doveva avere visto Diego entrare prima.
Ma come cazzo aveva fatto Diego per conoscere la parola d’ordine? Troppe
domande, ci sarebbe tempo dopo per… No, non ci
sarebbe stato tempo per nulla. Le loro vite stavano per finire. Diego e Ramón,
che per non farsi vedere in faccia stava un po’ girato all’indietro,
fingevano di sostenere il prigioniero sotto le ascelle. - Che cosa succede, signor tenente? Prima che Diego rispondesse, il soldato
emise un gemito strozzato, perché il capitano gli aveva vibrato una
coltellata al cuore. Ramón ed il capitano
trasportarono il corpo fino alla cella dove erano stati rinchiusi, mentre
Diego rimaneva di guardia. Il deposito di munizioni
Ora veniva la parte più difficile. Era
notte fonda e non c’erano molti soldati in giro, ma proprio per quello
chiunque li avesse incontrati avrebbe potuto avere dei sospetti. Attraversarono
il cortile, cercando di tenersi nelle zone in cui i muri proiettavano
un’ombra più scura. Superarono un portone, dove c’erano due uomini di
guardia. Come Ramón aveva intuito, Diego conosceva
la parola d’ordine, ma non era poi così strano: nascosto all’interno del
forte, probabilmente aveva avuto modo di sentirla. - Avanti, stronzo, è inutile che la tiri
per le lunghe. Lopez, fallo camminare questo pezzo di merda! La frase di Diego doveva far credere ai
soldati che stavano portando un prigioniero da qualche parte, probabilmente
per un nuovo interrogatorio o magari alla fucilazione: la guerra era
scoppiata e c’erano lavori che andavano fatti senza perdere tempo. Ramón ubbidì all’ordine, assestando un vigoroso pugno
sulla schiena al capitano (aveva ancora qualche conto in sospeso con lui e
non era poi così restio a saldarlo, per il bene della Patria, s’intende). I
due soldati non dissero nulla e si limitarono a salutare l’ufficiale. Girarono dietro l’angolo dell’edificio e
si spostarono immediatamente nella zona più in ombra. Quella era la parte del
percorso in cui correvano maggiori rischi di essere scoperti, perché dovevano
infilarsi in uno spazio angusto tra due muraglie: chiunque li avesse visti,
si sarebbe chiesto che cosa cazzo stessero facendo. Giunsero al punto in cui la muraglia
lungo cui si muovevano piegava per raggiungere una seconda muraglia, più
interna, ed entrambe finivano contro la roccia. Si guardarono attorno, ma non
si vedeva nessuno. Scivolarono nello spazio che separava le due muraglie, uno
spazio che si restringeva fino a ridursi ad un breve e stretto corridoio, al
fondo del quale c’era la parete di roccia.
Diego e Ramón
impugnarono le pistole e rimasero di guardia dietro l’angolo, mentre il
capitano, a pochi passi da loro, esercitava una pressione decisa su alcune
pietre. Le pietre cedettero e davanti al
capitano, nella parte bassa del muro, il buio più denso rivelò un’apertura. - Venite. Diego e Ramón
si chinarono e strisciarono dentro, poi, con cautela, si alzarono: sapevano
che il cunicolo era alto poco meno di due metri ed infatti non toccarono la
volta con la testa. Le spalle però sfioravano le due pareti opposte, perché
il cunicolo aveva una larghezza appena sufficiente a far passare una sola
persona per volta. Il capitano entrò e chiuse l’apertura
segreta. Allora Diego tirò fuori una torcia elettrica (Ramón
si chiese che cos’altro si fosse procurato Diego in quelle ore: i piani di
attacco del nemico? il progetto della bomba atomica? il numero di telefono
del presidente degli USA?) e l’accese, in modo che il capitano potesse bloccare
la pietra, rendendo impossibile a chiunque entrare. Ramón
ebbe modo di osservare per un momento il cunicolo, che dopo pochi metri
svoltava. Era stato scavato nella roccia e non doveva essere stato un lavoro
da poco, considerando che a suo tempo l’intera operazione di scavo era
certamente stata condotta in segreto, per evitare che qualche traditore
potesse informare il nemico. Rapidamente avanzarono lungo il
cunicolo, che aveva due svolte. Poco dopo la seconda svolta Ramón, che guidava la fila, sentì davanti a sé il muro. Sussurrò: - Eccoci! Diego illuminò lo spioncino che
permetteva di vedere all’interno del deposito di munizioni, oltre la parete.
Era coperto da una lastra. Diego spense la luce. Ramón
cercò con le dita la lastra di chiusura e la fece scorrere, poi avvicinò gli
occhi alle fessure. Era tutto buio, come era buio il cunicolo. Così doveva
essere, trattandosi di uno dei locali più interni del deposito. Nessuno aveva
motivo per trovarsi di notte dentro il deposito e soprattutto in quella
stanza interna. Annuì, anche se nessuno poteva vederlo. Sussurrò nuovamente: - Tutto buio. Apro. Sapeva benissimo che cosa doveva fare
per azionare il meccanismo di apertura della porta segreta che immetteva nel
forte: gli era stato spiegato minuziosamente, perché lui e Diego avrebbero
dovuto farlo da soli, non era previsto che il capitano fosse con loro. Con la destra toccò il muro fino a che
non trovò una cavità. Infilò la mano e sentì una leva. L’azionò. Gli sembrò che non succedesse nulla, ma
toccando nuovamente si accorse che di fronte a lui si era aperto un varco,
ancora più ristretto del cunicolo, ma sufficiente a far passare una persona,
messa di traverso. Entrò nel locale. Diego ed il capitano lo seguirono. Ora erano in uno dei locali del deposito
delle munizioni. Rimasero un momento in ascolto, tendendo
le orecchie per avvertire eventuali presenze. Non c’era nessuno. - Accendo la torcia? Alla domanda di Diego, il capitano
rispose, in un soffio: - Sì. Alla luce della torcia apparve un locale
con un basso soffitto, occupato da una grande quantità di casse. Le scritte
non lasciavano dubbi sul loro contenuto: esplosivi. Fin da quando il
magazzino era stato scavato nella roccia, gli esplosivi più potenti erano
tenuti nelle due camere più interne, mentre nei locali più esterni erano
stipate armi e munizioni di ogni tipo. L’unica porta del locale era chiusa e
nessuno poteva vederli. Come previsto, erano arrivati
direttamente sul luogo dove dovevano arrivare. Ora era sufficiente aprire una
scatola, far uscire un po’ di polvere da sparo, distribuirla in una linea
continua che andasse fino ad una scatola ed avvicinare un fiammifero: la
fiamma avrebbe raggiunto la scatola in un attimo, provocandone l’esplosione. Il
primo scoppio avrebbe provocato l’esplosione di tutta la stanza e poi di
tutto l’arsenale. Bene, ormai la loro missione poteva
dirsi riuscita. Tra pochissimo sarebbero morti. Guardò Diego ed avrebbe
ancora voluto dirgli che lo amava. Solo la presenza del capitano lo bloccava.
Ma glielo avrebbe detto, nell’attimo in cui Diego avrebbe acceso il
fiammifero, perché in quel momento del capitano non gliene sarebbe più
fottuto un cazzo. Missione compiuta
Diego gli diede la torcia e si aprì la
giacca e la camicia. Ne estrasse tre micce, che si era arrotolato intorno al
corpo (Ramón non si stupì più: ormai aveva capito
che da Diego poteva aspettarsi di tutto, magari anche che tirasse fuori un
telefono cellulare – no, quello dovevano ancora inventarlo, ma con Diego non
si poteva mai sapere. Comunque tutta quell’attrezzatura proveniva da un
magazzino e, considerando che ce n’era uno non lontano dal locale dove il
capitano veniva interrogato, Diego quel pomeriggio doveva essersi nascosto
proprio lì). Il capitano lo guardò. - Perché le micce? - Perché dobbiamo avere il tempo di
uscire di qui. E non solo perché mi piacerebbe vedere Vega processato per
alto tradimento, ma perché bisogna impedirgli di nuocere ancora. Ramón rimase a
bocca aperta, senza dire nulla. D’altronde non spettava a lui intervenire,
spettava al capitano decidere. Ma gli sembrava di avere il fiato corto. - Se qualcuno arriva… Diego scosse la testa. - Qui non viene nessuno. Tre micce, in
tre punti diversi, ben nascoste. Nessuno le scoverà. Un quarto d’ora. Usciamo
per la stessa strada da cui siamo arrivati. E se ci beccano, nessuno può
pensare che arriviamo dal deposito di munizioni. Il capitano esitò un attimo, poi annuì. - Non riusciremo mai ad uscire da questo
forte vivi, ma provarci non costa molto. Se ci sorprendono mentre usciamo dal
passaggio segreto, tu, Hierro, torni qui dentro e
fai saltare tutto direttamente, mentre noi due li teniamo impegnati il tempo
necessario perché tu arrivi fino qui. Ramón annuì.
Non aveva pensato che quella missione potesse finire altrimenti che con la
loro morte. E certamente questa era l’intenzione del capitano, che non voleva
correre nessun rischio: le loro vite non contavano nulla di fronte alla
certezza che il forte sarebbe saltato per aria. Ma Diego aveva ragione,
inchiodare Vega era necessario (oltre ad essere una soddisfazione per cui Ramón avrebbe volentieri dato la pelle). Un quarto d’ora
per uscire dal forte, per mettersi in salvo, era poco, maledettamente poco.
Ma potevano provare. Alcune casse erano legate con corde.
Maneggiandole con cautela, Ramón tolse le corde e
le annodò una all’altra, in modo da formare una corda abbastanza lunga. Non
sapeva se sarebbe bastata per calarsi dalle mura, ma il tempo stringeva e non
avevano la possibilità di mettersi a cercare altra corda. Sistemarono le tre micce in tre punti
diversi del deposito e le accesero contemporaneamente. Poi si infilarono nuovamente nello
stretto corridoio segreto che portava verso l’esterno. Tre o quattro minuti dopo erano fuori,
nell’angolo formato dalle due muraglie. Ora incominciava la parte più
difficile: cercare di uscire dal forte in una dozzina di minuti. Mentre stavano attraversando il primo
cortile, sentirono delle voci. Un gruppo di soldati guidati da un ufficiale
entrò nel cortile e si diresse verso di loro. Un fascio di luce li illuminò. - Eccoli, sono loro. Mentre Ramón
saltava di lato, per togliersi dal fascio di luce, ed estraeva la pistola,
risuonarono tre colpi. La luce si spense e si sentì un urlo. Ci furono ancora
altri spari, ma quando Ramón sparò, di tutto il
gruppo di sei soldati ed un ufficiale era rimasta una sola sagoma in piedi. Ramón fece centro, ma si sentì un perfetto coglione:
eppure non era colpa sua se Diego tirava come Buffalo Bill ed il capitano ci
sapeva fare anche lui. Ora però la situazione era disperata. La
sparatoria avrebbe fatto arrivare in un attimo altri soldati, tanto più che
evidentemente si erano accorti della loro fuga e stavano cercandoli. Mezzo
forte doveva essere alla loro ricerca. Ed erano passati altri minuti. Che
cosa rimaneva? Sette-otto minuti? Forse, forse
neppure. -
Di qui! Il capitano corse su una delle scale che
conducevano sulle mura. Diego e Ramón lo seguirono.
Ramón vide che Diego, senza smettere di correre,
cercava di ricaricare la pistola. Pensò che c’era qualche vantaggio ad essere
lenti a sparare: a lui mancava un solo colpo, non aveva bisogno di
ricaricare! E meno male, perché erano appena
arrivati sulle mura, quando videro arrivare, in direzione opposta alla loro,
un gruppo di soldati. Il capitano si fermò e sparò subito,
prima che i soldati avessero il tempo di capire che avevano di fronte i
prigionieri in fuga. Ramón sparò anche lui
immediatamente. Due soldati caddero dagli spalti, seguiti da altri tre (anche
Diego aveva sparato) e gli altri fecero un rapido dietro-front. Ormai però tutti sapevano dov’erano e
loro erano completamente allo scoperto, senza nessuna possibilità di
ripararsi dai colpi. E mancavano forse cinque minuti. Non avevano nessuna possibilità di
cavarsela. Ovunque sentivano urla, la luce di un faro illuminò il tratto di
muro davanti a loro, ma prima che la luce raggiungesse il punto in cui si
trovavano, un colpo distrusse il faro (benedetta la mira di Diego!). Ramón aveva
visto un anello al muro. Era l’unica occasione che avevano. Non sapeva che
cosa c’era oltre il muro, se sarebbero riusciti a scendere o meno, ma
mancavano due o tre minuti, non di più. Ramón legò
la corda all’anello e la calò. - Prima lei, signor capitano. Il capitano si attaccò alla corda e
scese. Nuovi soldati apparvero in quel momento.
Ed il forte stava per esplodere. - Scendi, Ramón,
io controllo la situazione. Ramón avrebbe
voluto dire a Diego di scendere per primo, ma sapeva benissimo che avrebbero
solo perso altro tempo. E non ne avevano. Svuotò il caricatore sui soldati
che arrivavano, poi afferrò la corda ed incominciò a calarsi. Scese rapidamente, chiedendosi che cosa
lo aspettava al fondo: forse un abisso in cui sarebbe precipitato. Con grande sollievo, prima che la
corda finisse, si accorse di toccare terra con i piedi. - Hierro? - Sì, sono io, capitano. (Il “signor” si poteva anche omettere,
viste le circostanze). Diego arrivò quasi subito e Ramón tirò un sospiro di sollievo. Nel buio fitto di quel tratto, ai piedi
della parete, non vedevano quasi nulla. Ma sapevano che dovevano allontanarsi
il più in fretta possibile. L’esplosione stava per avvenire. Si mossero rapidamente, ma avevano fatto
pochi passi, quando una serie di fari illuminò tutto il terreno. In piena
luce, senza nessuna possibilità di nascondersi, erano un bersaglio perfetto:
la loro avventura nel forte poteva dirsi conclusa e le loro vite pure. - Sparate! Nel momento in cui venne urlato
l’ordine, si sentì un boato violento, che si ripeté subito dopo, come se ci
fosse stata l’eco, e poi una serie di altre esplosioni, mentre fiamme
altissime si levavano dal forte squarciato. I fari si spensero. - Ora, di corsa. Corsero il più rapidamente possibile
oltre l’area delle mura, illuminata dalle fiamme. Non ci furono spari (o
forse ci furono, ma non potevano sentirli): probabilmente nessuno badava
loro, perché le esplosioni si susseguivano ed il forte si sbriciolava. Uscirono dall’area illuminata e
continuarono a correre. Avevano appena percorso un centinaio di metri, quando
si sentì un rumore ancora più violento dei precedenti e il profilo nero della
montagna che sovrastava il forte si spezzò. La montagna piombò sul forte,
cancellandolo. Alcuni massi rotolarono a pochi metri da
dove si trovavano loro tre. Le fiamme si spensero e la gola ripiombò
nel buio. Ritorno
Rimasero fermi un momento. Al fragore
immenso era subentrato un silenzio irreale. Nessuno dei soldati del forte
poteva essere sopravvissuto, sotto le tonnellate di roccia che avevano
sepolto l’edificio. - Cerchiamo un posto in cui aspettare
l’arrivo dei nostri. Si spostarono lungo il fianco della
montagna, tenendosi un po’ sopra la strada. Si muovevano in silenzio, ma non
correvano molti rischi: sicuramente c’erano diverse pattuglie nella zona,
sull’altro versante della montagna e più a monte, ma non dovevano essere
molto vicine. E comunque loro tre avrebbero potuto farsi passare per dei sopravvissuti
all’esplosione: era molto difficile che qualcuno li potesse riconoscere. Si sistemarono tra alcune rocce, in un
punto riparato. Si sedettero. Ramón non
riusciva a capacitarsi. Era vivo, Diego era vivo, vicino a lui, avevano
compiuto la loro missione e ne erano usciti vivi. Gli sembrava impossibile.
Afferrò Diego e lo strinse a sé, quasi a sincerarsi che davvero erano
entrambi vivi. Era talmente frastornato, che gli
sfuggì: - Siamo vivi! Il forte è distrutto
e noi siamo tutti e tre vivi! Nel buio poteva appena vedere la sagoma
del capitano, ma ne sentì la voce: - A proposito, Hierro,
non avevi detto che se fossimo tornati vivi da questa missione, mi avresti
ammazzato? Ramón era
troppo felice per raccogliere qualunque provocazione. Si limitò a replicare: - Faccio ancora in tempo a farlo, signor
capitano. Però prima ho piacere che sistemi quel figlio di puttana di Vega.
Se si tratta di ammazzare qualcuno, lei è solo al secondo posto, signor
capitano. Spero che non si offenda. Il capitano scosse la testa e rise. - Non mi offendo e posso garantirti che
Vega avrà quello che si merita. Ramón non ne
dubitava. Rimasero ad aspettare l’arrivo
dell’esercito, il loro esercito. Quando incominciarono a sentire in lontananza
il rumore della colonna, si spostarono un po’ più in basso, da dove potevano
sorvegliare la strada (per quanto si poteva vedere alla luce della luna). Quando videro che i carri armati e le
truppe stavano arrivando, il capitano mandò Diego a contattare due ufficiali.
Ramón avrebbe voluto andare lui, perché, ora che la
loro missione era finita, gli venne la paura assurda che i suoi ammazzassero
Diego, scambiandolo per un ufficiale nemico. Ma con il capitano non si
discuteva. Ramón si limitò a dire: - Togliti almeno la giacca da ufficiale.
Così magari non ti sparano subito. Diego tornò poco dopo con i due
ufficiali e alcuni soldati. A quel punto Ramón
avrebbe voluto unirsi all’esercito (ed ovviamente Diego avrebbe voluto unirsi
a Ramón, anche nell’azione militare, oltre che in
azioni di altro tipo), ma il capitano fu categorico: - Hierro, la
tua parte l’hai già fatta. So che ti piacerebbe giocare un po’ alla guerra,
ma mi servi di più al Cerro. Una jeep li caricò tutti e tre e li
riportò al Cerro del Diablo. Quando scesero dalla jeep e passarono in
una stanza ben illuminata, Ramón guardò il
capitano. Era sfinito, con i segni delle frustate e le ustioni sul corpo, i
pantaloni sporchi del sangue colato dal culo.
Come cazzo aveva fatto quell’uomo a
stare in piedi, correre, sparare, uccidere, calarsi con una corda? Era il capitano e forse quella era
l’unica risposta. Ramón e Diego
andarono a dormire nella loro stanza, ma erano ancora troppo in tensione per
avvertire la stanchezza. Nel buio si misero a parlare. Ramón
accarezzò Diego e gli disse: - Se penso a tutto quello che mi hanno
fatto sopportare per addestrarmi a questa impresa, mi viene da ridere. Non è
servito proprio a niente! Visto com’è andata, avrei benissimo potuto rimanere
a Cerro del Diablo. Hai fatto tutto tu. - Eh no, tu hai avuto un ruolo
determinante. - Ah sì? E sarebbe? - Mi hai permesso di allontanarmi,
attirando l’attenzione di Vega e di tutti i soldati su di te. Un gesto
eroico, che denota sprezzo del pericolo e spirito di sacrificio. - Mi stai pigliando per il culo? - Veramente, mi sembra che sia stato
Vega a pigliarti per il culo… - Va bene, ho capito, mi stai pigliando
per il culo. - Veramente, non per essere pignolo, ma
chi me lo sta mettendo in culo sei tu! Questo, sia detto per inciso, era vero.
Stare abbracciato a Diego faceva sempre a Ramón un
certo effetto, ormai ampiamente noto, e, quasi senza pensarci, Ramón era passato all’azione. Il rapido attacco del valente Hierro non era avvenuto proprio di sorpresa, ma la
capacità di resistenza del nemico era evidentemente molto ridotta, perché Hierro conquistò la postazione senza fatica, affermandosi
come padrone assoluto del campo. Dopo l’occupazione del territorio, ci fu una
violenta e prolungata azione, che soggiogò completamente l’avversario.
Nonostante la resa completa, Hierro sparò tutte le
sue cartucce ed anche l’avversario fece altrettanto, ma mentre quelle di Hierro penetrarono in profondità nel corpo del nemico e
nemmeno un proiettile andò perso in questa azione ben congegnata, Hortelano sparò tutti i suoi colpi senza raggiungere il
corpo del nemico. Eppure, alla fine di questa manovra bellica, entrambi i
contendenti si dichiararono soddisfatti dei risultati ottenuti: peggio degli
uomini politici! Fine di una brillante carriera
Quando i nostri due eroi si svegliarono,
nella tarda mattinata del giorno successivo, corsero subito ad informarsi
dell’andamento della guerra. Ma si sa che chi dorme non piglia pesci e mentre
loro due dormivano, ritemprandosi, la guerra era già finita. Quando
l’esercito fu a trenta chilometri dalla capitale nemica, l’ambasciatore
statunitense sollecitò una tregua, che fu accolta dalle due parti: da una,
perché la prosecuzione dell’offensiva non avrebbe potuto portare a risultati
duraturi e l’inferiorità militare metteva in dubbio una vittoria finale;
dall’altra, perché l’inatteso attacco nemico aveva già creato sufficienti
danni all’immagine del governo e c’era il rischio di una rivolta o di un colpo
di stato. L’ambasciatore statunitense poté annunciare che, grazie
all’intervento del suo Paese, la guerra si era subito conclusa senza vittime
civili e con un ridotto numero di vittime militari, essenzialmente i soldati
di stanza al forte di Puerta de la Haz. Nei giorni successivi Ramón e Diego vissero una seconda luna di miele, su cui è
inutile fornire dettagli. Per una decina di giorni non videro il capitano, di
cui però ebbero notizie da Gabriel: le sue condizioni erano sostanzialmente
buone e stava riprendendosi dalle conseguenze delle torture subite. In ogni
caso, non aveva smesso di darsi da fare. I risultati del suo lavoro si videro due
settimane dopo la fine della guerra, quando a Cerro del Diablo
arrivarono i tre ministri, i sette ufficiali e due altri uomini coinvolti nel
progetto di colpo di stato. In serata li misero contro il muro, a gruppetti
di quattro, mentre coloro che erano in attesa del proprio turno assistevano. I primi otto furono uccisi dal plotone
ed Henares si limitò a sparare il colpo di grazia
alla nuca a quelli che ancora si muovevano. Degli ultimi quattro, invece,
solo tre vennero abbattuti: il quarto, il maggiore (degradato) Vega, non fu
nemmeno scalfito. Dopo aver finito un colonnello che rantolava, Henares guardò Vega. Scoppiò a ridere, vedendo l’ampia
macchia bagnata sui pantaloni dell’aspirante generale. - Volevi comandare l’esercito e ti pisci
addosso quando ti mettono al muro? Vega lo guardava, pallido come un morto
(anticipava i tempi, ma di poco), incapace di spiccicare una parola. Gabriel
riprese: - Visto che al primo turno non ti
abbiamo beccato, ti sei guadagnato qualche ora di vita. Hai proprio avuto
culo. E sai una cosa? Visto che hai culo, è bene che lo usiamo un po’, il tuo
culo. Ovviamente se Vega non era stato
colpito, non era un caso: come Gabriel aveva avuto modo di dire a Ramón, il capitano era uno che se le legava al dito e con
Vega aveva un certo conto in sospeso. Nelle ore successive Vega pagò il conto,
con i dovuti interessi. I soldati di stanza nella sezione del forte apprezzarono molto il culo di
Vega, che, ci spiace per lui, apprezzò assai di meno la serie di gagliarde
picche che lo infilzarono una dietro l’altra. Qualche carezza un po’
grossolana ai gioielli di famiglia e un uso, peraltro moderato, di fruste e
bastoni, contribuì a far capire a Vega che aveva commesso una serie di
errori. Ramón e Diego
non parteciparono alla festicciola organizzata dal capitano. Ramón aveva anche lui un conto aperto con Vega, non meno
lungo di quello del capitano. Ma ormai che Vega non poteva più nuocere e
stava per essere fucilato, a Ramón non importava
più nulla di lui. E certamente non era molto interessato al culo di Vega,
avendo a disposizione il più bel culo del mondo. Perciò lui e Diego si limitarono a dare
un po’ da bere all’assetato militare, una birra non alcolica di produzione
propria, direttamente dal rubinetto. Furono in parecchi a fornire un po’ di
birra e Vega ebbe certamente modo di dissetarsi, anche se non sembrò
apprezzare neanche questo aspetto: c’è gente che non è mai contenta. Quando infine lo riportarono al muro,
Vega non si reggeva più in piedi, un po’ per lo sfinimento, un po’ per il
terrore. Dovettero passargli una corda sotto le ascelle e legarlo ad un palo,
perché non cadesse a terra prima ancora della scarica. Vega chiedeva pietà e la scena fu
davvero squallida, tanto più che Vega si pisciò nuovamente addosso e questa
volta, senza vestiti, tutti ebbero modo di vederlo. Se quello avrebbe dovuto essere il nuovo
capo dell’esercito, il loro Paese era messo davvero bene! La scarica non lo uccise subito. Allora
Gabriel si avvicinò a Vega e gli puntò la pistola alla tempia. Lo sentì
ancora mormorare: - No, no, pietà! Disgustato, Gabriel sparò. Il corpo di
Vega si afflosciò e questa fu la fine di una rapida e promettente carriera
militare. E poi…
Ramón e Diego
rimasero ancora alcuni mesi a Cerro del Diablo. Ramón riottenne il suo cognome ed entrambi i nostri eroi
furono promossi e decorati, ma senza nessuna cerimonia pubblica nella
capitale. Per la massa della popolazione gli eroi della più breve guerra
nella storia del Paese rimasero due nomi senza un volto. Alla fine dell’autunno, il capitano Hierro ed il tenente Hortelano
furono inviati nella caserma della Merced. Non si
trattava di una caserma qualsiasi, ma di un centro di addestramento per
coloro che volevano entrare nei corpi speciali dell’esercito. Le selezioni
erano durissime, ma le reclute erano molto motivate. I due ufficiali vivevano in una sezione
a parte e si occupavano delle reclute che avevano superato le prime due
selezioni. Era un compito molto gratificante, perché si trattava di formare
soldati di alto livello. Hierro e Hortelano erano molto attivi nel loro lavoro e godevano
della stima generale (oltre a godere uno dell’altro, in tutti i sensi), ma
non di rado rimanevano assenti per lunghi periodi. Circolava la voce che
partissero in missione per conto dei servizi segreti, anche se nessuno poteva
affermarlo con certezza. Quando, molti anni dopo la vicenda
narrata, i due scomparvero e venne annunciato che erano stati trasferiti ad
altra sede, alcuni pensarono che fossero morti in una missione. Altri dissero
che avevano lasciato l’esercito ed avevano acquistato una tenuta nel nord del
Paese. Qualche tempo dopo, qualcuno sostenne di
averli visti nella caserma di Cerro del Diablo, ad
accogliere i soldati mandati in punizione. Ma forse erano solo voci. |