5 Il
soldato Lopez Il
soldato Ramón Hierro è
deceduto oggi a causa di infarto cardiaco durante un’esercitazione ed il
cadavere è stato sepolto immediatamente. Ramón rilesse il telegramma due volte, ma non
riusciva a capirne il senso. Nulla di ciò che era
successo dopo la morte dell’altro prigioniero sembrava avere un senso. Non
capiva perché i due soldati che stavano poggiando il peso su di lui, si erano
interrotti nel momento in cui il grande blocco di pietra aveva toccato gli
altri, né perché lo avevano rapidamente liberato dal peso, né perché il
dottore aveva subito controllato le sue condizioni. Non poteva essere stata una
farsa, perché l’altro prigioniero era morto, su questo non c’erano dubbi. E
allora? Non sapeva nulla, se non che
gli avevano fornito una divisa militare e che, per la prima volta da quando
era incominciato il viaggio, era vestito. Ora era seduto di fronte ad una
scrivania, all’altro lato della quale stava il capitano. Questi, dopo essersi
ripreso il telegramma, gli porse una busta. Ramón
l’aprì. Dentro c’erano un documento d’identità, intestato ad un certo Ramón Lopez, con la sua fotografia. Se dentro la busta ci
fosse stata una formula matematica, Ramón avrebbe
capito di più (o forse sarebbe più esatto dire che avrebbe capito
altrettanto: Ramón non era mai stato molto bravo in
matematica). Il capitano aveva fatto preparare quel documento già prima della
prova, perché non ci sarebbe stato il tempo per farlo dopo. Quindi il
capitano prevedeva già la conclusione della prova, ma…
che senso aveva quel documento? Che senso aveva tutto quello che era
successo? - Bene, Ramón
Hierro, o Lopez, come preferisci, credo che sia
giunto il momento di chiarire alcune cose. Ramón si stupì di sentirsi chiamare per nome.
Non era mai successo da quando era arrivato a Cerro del Diablo.
Non aveva mai detto il suo nome. Ma il capitano poteva saperlo facilmente. Di
sicuro c’era un elenco dei prigionieri inviati e su quell’elenco il suo nome
risultava. A loro cinque nessuno l’aveva chiesto, ma i prigionieri arrivati
con loro avevano certamente dovuto dire il proprio nome ed il capitano aveva
l’elenco dei loro veri nomi: per uno come il capitano era facile stabilire il
suo nome, bastava chiedere agli altri quattro il loro o informarsi su quale dei
cinque prigionieri era stato frustato prima della partenza. - Non so che cosa hai
pensato in questi giorni, ma non importa. Volevo mettere alla prova la tua
resistenza, vedere le tue reazioni in situazioni diverse, anche estreme,
valutare la tua capacità di autocontrollo. Volevo sapere se eri l’uomo giusto
per compiere una missione, da cui dipenderà l’esito della guerra. Così
tutte quelle prove, le umiliazioni di ogni tipo, servivano solo per
valutarlo? Anche il prigioniero che avevano ammazzato quel mattino era stato
ucciso solo per mettere lui alla prova? -
Chiedi pure. Il
capitano aveva capito che lui aveva una domanda in testa. Va bene, l’avrebbe
fatta. -
Ha fatto ammazzare quel tipo solo per mettermi alla prova? -
No, non è così. Quel tizio aveva ucciso un soldato cercando di scappare. È
stato condannato a morte. Un’esecuzione un po’ particolare, ma mi serviva per
vedere le tue reazioni. E mi serviva un cadavere da seppellire come Ramón Hierro. A proposito, che
cosa aveva fatto quel figlio di puttana che hai menato? Ramón alzò le spalle. -
Voleva prendere la borraccia di un ragazzo sul treno. Il
capitano scosse la testa. -
No, non quel figlio di puttana, l’altro, il Vega. Ramón sorrise. -
Cercava di violentare uno dei miei soldati. Anche
il capitano sorrise: -
Solito paladino delle cause perse.
Ramón rifletteva. Al capitano serviva un
cadavere perché qualcuno lo voleva morto e Ramón
sapeva benissimo chi era quel qualcuno. Era logico che il ministro Vega
avesse ordinato la sua morte.
Ci fu un attimo di pausa, poi il capitano riprese. -
Bene, un paladino delle cause perse è quello che ci vuole. Tu sai bene che in
questa guerra, che ormai sta per scoppiare, che scoppierà in meno di un mese,
noi abbiamo ben poche probabilità di vittoria. Loro hanno l’appoggio degli
Stati Uniti e, se non li fermiamo, ci prenderanno le miniere di Ahuayacho. Sì,
Ramón sapeva benissimo che dietro quella guerra
c’erano gli interessi di una grande compagnia statunitense per le loro
miniere.
- Ramón, questa guerra si deciderà qui. E la
decideremo noi: io, te e un altro uomo, che non ho ancora individuato, ma che
troverò. In
tre avrebbero deciso una guerra che coinvolgeva gli eserciti di due stati?
Come era possibile? Il capitano di certo non parlava a vanvera, ma di che
cosa poteva trattarsi? -
In questa missione morirai, Ramón: so che non hai
paura di morire, ma è bene che tu lo sappia prima. Ramón annuì. L’idea di morire non lo spaventava. -
Il documento che ti ho fatto vedere riporta il tuo nuovo nome. Non che serva
a nessuno, ma Ramón Hierro
è morto, come hanno ordinato. Ora il soldato semplice Lopez dedicherà i
prossimi giorni a esercizi ed addestramento e ad arricchire le sue conoscenze
sugli esplosivi. Non ti spiegherò nulla della missione fino al momento di
realizzarla. Nessuno deve saperne niente fino a quando tutto sarà concluso. E
probabilmente nessuno saprà niente neanche dopo. Ramón annuì. La
faccenda degli esplosivi faceva pensare che il capitano volesse far saltare
in aria qualche cosa. Una strada, forse? O il forte di Puerta
de la Haz, a pochi chilometri da Cerro del Diablo, oltre il confine? Impresa da nulla: di certo
bastava presentarsi all’ingresso, dire “Scusate, sono un ispettore dell’ONU,
vorrei controllare che le vostre munizioni siano tenute in ordine.”, farsi
accompagnare nella polveriera, chiedere un fiammifero per accendersi un
sigaro e far saltare il tutto. Un gioco da ragazzi. Il
capitano continuò: -
Adesso mi serve un secondo uomo, che abbia coraggio e dedizione e di cui tu
ti possa fidare ciecamente. Ci sono dei soldati su cui posso contare, ma dev’essere qualcuno su cui puoi contare tu. L’immagine
di Diego apparve chiarissima nella mente di Ramón,
come gli era apparsa tante altre volte. A tratti Ramón
si stupiva di come con il passare dei giorni il ricordo sembrasse diventare
più nitido ed il dolore per la perdita più forte. Non
disse nulla. Coinvolgere Diego in quell’avventura significava condannarlo a
morte. E tutto Ramón era disponibile a sopportare,
ma non il pensiero di provocare la morte di Diego. -
Chi è? La
domanda del capitano fu una pugnalata. Sapeva che era inutile mentire, dire
che non aveva pensato a nessuno. Quell’uomo era in grado di leggergli dentro,
con la stessa sicurezza con cui Ramirez leggeva le
carte topografiche. Ma Ramón non aveva nessuna
intenzione di tradire Diego. -
No, signor capitano. Il
capitano scosse la testa e non disse nulla. Sembrava sorridere. Ramón avrebbe volentieri dato via il culo un’altra volta
per spaccargli i denti. Esercizi
e lezioni Il
mattino successivo un soldato guidò Ramón in un
locale attrezzato a palestra. Qui si trovò di fronte al suo aguzzino, quello
che lo aveva umiliato due volte al palo, quello che ogni mattino gli
rovesciava il secchio di piscio in testa e che una volta gli aveva anche
pisciato in faccia. Ramón avvertì l’impulso di saltargli addosso, ma sarebbe
stato assurdo: quell’uomo aveva eseguito gli ordini del capitano, magari con
un eccesso di zelo (dal punto di vista di Ramón,
non dal punto di vista del capitano). -
Bene, Lopez, io sono Henares, il tuo istruttore. Ramón non disse nulla, limitandosi a fissare Henares. Se si potesse uccidere con lo sguardo, di Henares non sarebbe rimasto che un mucchietto di cenere.
Ma se Ramón avesse potuto uccidere con lo sguardo,
a Cerro del Diablo sarebbe stato peggio che
un’epidemia di peste.
Henares si rese perfettamente conto della
situazione, perché scoppiò a ridere e proseguì: -
Lopez, siamo tutti e due soldati, al servizio della patria. Io ho fatto
quello che dovevo fare. Adesso dimenticatelo e passiamo al lavoro. Ramón annuì. Quel figlio di puttana aveva ragione, anche
se gli costava ammetterlo. Henares riprese: -
Tu sei molto forte e non hai particolare bisogno di allenamento. Ma è
necessario che tu sia al massimo della tua forma, per poter svolgere la tua
missione. Quindi ogni mattina dedicheremo alcune ore ad esercizi. Io ti farò
da istruttore. Ramón decise finalmente di aprire bocca: non aveva
davvero nessun senso tenere il broncio come un bambino, anche se a quel
bastardo l’avrebbe fatta pagare volentieri. Se solo si fosse presentata l’occasione… Per il momento si limitò a dire: -
Va bene. -
Ah, ma allora parli! Pensavo che il capitano avesse scelto uno muto per la
missione, così, anche se lo torturavano, non poteva dire niente. Henares sorrideva e non era un sorriso cattivo. Ramón si limitò ad emettere una specie di grugnito (tanto
era Maiale, no?). Aveva già parlato abbastanza con quello stronzo. -
Bene, adesso spogliati. Anche
Henares si spogliò, rimanendo in mutande. Era un
uomo robusto, con un corpo leggermente meno massiccio di Ramón,
ma certamente molto vigoroso. Ramón pensò che Henares era probabilmente meno forte di lui, ma in una
lotta sarebbe stato un avversario da non sottovalutare. Henares incominciò a fargli fare alcuni esercizi diversi,
per verificare le sue condizioni e capire il tipo di allenamento più utile,
poi incominciò ad assegnargli i vari esercizi che riteneva più adatti. Da
sergente, Ramón si era spesso occupato
dell’addestramento dei suoi uomini e sapeva di essere un buon istruttore. Non
ci mise molto a realizzare che Henares era un
allenatore eccellente, in grado di individuare i punti di forza e di
debolezza della persona che aveva di fronte e di proporre gli esercizi
migliori. Henares non si tirava indietro ed eseguiva molti esercizi
insieme a Ramón, in particolare quelli che
richiedevano più sforzo. Era piuttosto esigente e voleva che Ramón eseguisse ogni esercizio esattamente nel modo
indicato. Ci
furono diversi momenti di pausa, ma alla fine della mattinata, Ramón era in un lago di sudore.
Dopo gli esercizi, Ramón ed Henares fecero la doccia insieme. Mentre Henares si asciugava, Ramón,
ancora sotto la doccia, diede un’occhiata al bel culo del suo aguzzino e si
disse che se Henares non fosse stato quel gran
bastardo fottuto stronzo che era, non gli sarebbe dispiaciuto…
In quel momento Henares si voltò e ghignò, come se
avesse potuto leggergli nel pensiero. Ramón lo
mandò mentalmente a farsi fottere, lui e tutti i suoi ascendenti (ed
eventuali discendenti) fino alla nona generazione, girò il rubinetto per
chiudere il getto, prese l’asciugamano e si mise ad asciugarsi, senza degnare
più Henares di uno sguardo. Ma di certo quel lurido
figlio di puttana stava ancora ghignando. Ramón tornò nella sua stanza, dove gli portarono da
mangiare. Nel
pomeriggio un soldato lo accompagnò in un cortile, dove si esercitò nel tiro
a segno con la pistola e con il fucile. Era un discreto tiratore, ma certo
non eccellente: colpiva sempre il bersaglio, ma di rado ne raggiungeva il
centro. Pensò che Diego invece aveva davvero un mira formidabile ed il
pensiero gli fece sbagliare clamorosamente il colpo: la pallottola finì
contro il muro. Si diede del coglione e si concentrò sul suo compito.
Al termine dell’ora di tiro al bersaglio, aveva compiuto qualche
progresso, piazzando due colpi al centro. Non era male, anche se non poteva
certo definirsi un tiratore scelto, come Diego.
Diego, di nuovo Diego, sempre Diego! Stava diventando un’ossessione.
Non avrebbe mai più rivisto Diego. L’aveva perso, per sempre. Doveva
ficcarselo bene in quel cazzo di testa che si ritrovava. Aveva ragione il
capitano, era una testa di cazzo. Ma amava Diego. In
quel momento arrivò un altro soldato, che lo accompagnò nel deposito delle
munizioni, dopo avergli messo un cappuccio. Ora però Ramón
sapeva benissimo a che cosa serviva quel cappuccio: nessuno doveva vederlo,
perché nessuno doveva essere in grado di identificare l’uomo a cui sarebbe
stata affidata una missione. Il traditore che trasmetteva messaggi con i
segnali luminosi era stato senz’altro scoperto e probabilmente era già finito
sotto terra, dopo aver rivelato quanto sapeva (perché il capitano sapeva come
far parlare anche i muti, di questo Ramón era
certo). Ma magari ce n’erano altri ed era meglio non correre rischi. Nel
deposito di munizioni un ufficiale gli diede una prima lezione sul riconoscimento
e l’uso dei diversi tipi di esplosivi. Quello era un campo in cui Ramón sapeva molto poco. Infine
lo riaccompagnarono nella sua stanza e cenò, nuovamente da solo. Pensò che
non avrebbe avuto molte occasioni di scambiare due parole con altri, a meno
che non decidesse di parlare con Henares: era
l’unico con cui rimaneva a lungo, in una situazione in cui c’erano momenti
per conversare. Nel cortile che serviva come campo di tiro o nel deposito
delle munizioni, non ce n’era certamente la possibilità. Ma Henares era l’ultima persona al mondo che aveva voglia di
avere come amico. Le
giornate successive si svolsero nello stesso modo: al mattino palestra, al
pomeriggio tiro al bersaglio e lezioni sull’uso delle munizioni. Già
dal terzo giorno però l’attività in palestra si trasformò. Quel giorno, dopo
due ore di esercizi, fecero una lunga pausa, come al solito. Durante la pausa si
sedevano tutti e due su una panca ed Henares fumava
un sigaro. Il secondo giorno Henares gliene aveva
offerto uno, ma Ramón aveva rifiutato, perché non
fumava. Abitualmente parlavano pochissimo: Henares
talvolta gli poneva una domanda, relativa all’allenamento, ma Ramón dava sempre risposte laconiche. Con quel maiale
sifilitico, lui non aveva nessuna voglia di parlare. Il terzo giorno, dopo aver
terminato di fumare, Henares disse: -
Bene, Lopez. D’ora in poi continuerai a fare esercizi per due ore circa, ma
nella seconda parte della mattinata ci dedicheremo alla lotta. Ramón non si stupì: era probabile che, dovendo svolgere una
missione pericolosa, si sarebbe trovato ad affrontare qualche soldato nemico
e quindi era importante che si esercitasse anche nella lotta. Nei giorni
precedenti si era detto che Henares sarebbe stato
un avversario pericoloso: bene, avrebbe avuto occasione di verificare se
aveva ragione. -
Vediamo che cosa sai fare. In questa fase tu devi riuscire a bloccarmi a
terra. Non usiamo pugni o calci, devi riuscire a farmi cadere e bloccarmi
senza colpirmi. Si
misero uno di fronte all’altro, al centro della stanza. Ramón
studiò con cura Henares. Non sarebbe stato facile
bloccarlo a terra, ma ci sarebbe riuscito. Voleva riuscirci ad ogni costo:
sarebbe stata una bella soddisfazione mettere sotto quel fottuto figlio di
puttana. Ramón incominciò a muoversi, senza avvicinarsi a Henares, in modo da poter studiare come si muoveva il suo
avversario. Capì ben presto che era inutile cercare un punto debole, perché
se Henares ne aveva, riusciva a nasconderli. Cominciò
a farsi sotto. Henares scartava o si ritraeva, come
se non volesse affrontarlo. Ramón si fece sempre
più sotto, ma Henares ancora gli sfuggiva. Ad un
certo punto però, mentre Ramón quasi lo stava per
afferrare, Henares invece di ritrarsi gli prese il
braccio proteso e tirò con forza, mentre gli metteva una gamba davanti alla
sua. Trascinato dal suo stesso slancio, più ancora che dalla presa di Henares, Ramón finì a terra ed
in un attimo Henares fu su di lui e lo bloccò,
piegandogli un braccio dietro la schiena. Ramón non
aveva nessuna possibilità di liberarsi e maledisse quel lurido pezzo di merda
che lo aveva battuto. Henares non gli chiese se si arrendeva. Non era
necessario. Mollò la presa e si alzò. -
Tu sei molto forte, Ramón, ma non potendo usare
pugni o calci, la forza conta meno dell’agilità. Adesso cerchiamo di capire
perché ti ho battuto. Tu hai studiato il modo in cui mi muovevo, ma, visto
che ogni volta mi ritraevo, hai attaccato con sempre maggiore slancio, fino a
che per farti cadere, io non ho avuto nemmeno bisogno di fare forza, è
bastato assecondare il tuo movimento. Ramón annuì. Quel fetido stronzo aveva ragione. In pieno. Riprovarono
diverse altre volte ed in ogni occasione Henares
mutò tattica. Ramón perse sempre, ma ogni volta
l’incontro durava più a lungo e Ramón si rese conto
che riusciva a cavarsela sempre meglio. Dopo ogni scontro, Henares gli spiegava in modo minuzioso l’errore commesso. Suo
malgrado, Ramón si trovò ad apprezzare quell’uomo,
capace di batterlo, ma che non lo umiliava. Vero è che lo aveva già umiliato
abbastanza, nei primi giorni dopo il suo arrivo al Cerro. Nei
giorni successivi, facendo tesoro delle lezioni ricevute, Ramón
riuscì finalmente a mandare a terra Henares, più
volte e, tre giorni dopo l’inizio dei loro incontri di lotta, riuscì ad
impedirgli di rialzarsi, bloccandolo. -
Bravo, Lopez. Sei stato rapido ed hai calibrato bene le forze. Ramón mollò la presa e permise a Henares
di rialzarsi. Era molto soddisfatto di essere finalmente riuscito ad avere la
meglio, ma si rese conto che l’animosità che provava nei confronti di Henares stava scomparendo. Henares
aveva ragione. Erano due soldati e quello che era successo era successo. Due giorni dopo tra loro si era ormai
stabilita una situazione di equilibrio e Ramón
riusciva a battere Henares quasi una volta su due.
Notò anche che la lotta con Henares aveva un certo
effetto sul suo uccello, che ogni giorno tendeva ad alzare la testa. Un po’
gli scocciava, perché con solo le mutande addosso, era impossibile
nasconderlo, ma si accorse che anche a Henares
succedeva lo stesso e che lui non sembrava dare nessun peso alla faccenda.
Sì, in fondo era normale che quel contatto accendesse i loro corpi. Bastava
non badarci. Quel giorno al termine
dell’allenamento, Ramón si sentiva di buon umore.
Si misero tutti e due sotto la doccia, l’uccello in tiro, e Henares gli chiese, a bruciapelo: - Allora, Lopez, come ti
trovi qui? Ramón lo guardò, interdetto. Tacque, ma non
perché non volesse dargli corda. In realtà non si aspettava la domanda. E non
era una domanda a cui fosse facile rispondere. Rifletté un attimo, poi
rispose: - Mi sto abituando. Diciamo
che a Fuenteroja stavo meglio. Henares annuì. - Certo, ma rispetto a
quando sei arrivato, è come stare in un albergo di lusso, no? - Stronzo! Ramón lo disse ridendo e anche Henares rise. Progressi
nella conoscenza Il
giorno successivo, quando si sedettero sulla panca a metà mattinata, Henares incominciò a chiedergli di Fuenteroja.
Ramón rispose e, senza stupirsi, si rese conto che
rispondeva volentieri, che aveva voglia di parlare. Non era un chiacchierone,
ma quella vita da monaco non faceva per lui e doveva dire che quel figlio di
puttana di Henares, anche se gli scocciava
ammetterlo, era simpatico. Chiacchierarono a lungo e Ramón fu ben contento di parlare di Fuenteroja,
perché il pensiero ritornava sempre a Diego, anche se si guardò bene dal
nominarlo. Ad un certo punto, Henares osservò. - A Fuenteroja
non rischiavi la vita, mentre qui vai incontro alla morte, ma per uno come te
la patria viene prima di tutto, no? In fondo quello che vuoi è contribuire a
difendere la patria, anche a rischio della vita, e qui puoi farlo più che a Fuenteroja, no? - Sì, certo. - E allora perché rimpiangi
tanto Fuenteroja? Ramón si pose sulla difensiva. - Non ho detto che
rimpiango Fuenteroja. - Non l’hai detto, ma si
capisce benissimo. Hai lasciato qualcuno là? Ramón respirò a fondo. Tacque. Non se la
sentiva di parlare di Diego e non voleva mentire a Henares. Henares annuì. - Non occorre che tu ne
parli. Ti capisco. Anch’io, venendo qui, ho lasciato qualcuno e so che cosa
si prova. La confidenza stupì Ramón, che non se l’aspettava. E si chiese perché mai Henares fosse venuto a Cerro del Diablo,
quando aveva ottimi motivi per stare da un’altra parte. Chiese: - Perché sei venuto qui? - Per aver mandato un
capitano a farsi fottere, davanti a tutti i soldati schierati. Ramón si girò a guardarlo sbalordito. - Vuoi dire che sei
arrivato qui come prigioniero? - Sì, come almeno la metà
di noi. Che le cose potessero stare
così, a Ramón non era neanche passato per la mente. Mentre Ramón
rimuginava, Henares riprese: - Molti di noi sono
arrivati come prigionieri. Sono stati messi alla prova dal capitano e poi
inviati in qualche missione pericolosa. Quelli che sono riusciti a tornare dopo
aver effettuato la missione, sono entrati a far parte della squadra del
capitano. Altri invece sono arrivati qui per trasferimento, come Baroja, ad esempio. Ramón pensò al sergente. - Che ne è stato di lui? Henares alzò le spalle e disse, laconico: - Ormai ingrassa i vermi. Ci fu un momento di
silenzio. Ramón non aveva parlato di Diego e Henares non aveva parlato della persona che aveva
lasciato. Ma Ramón non si sentiva pronto. Non aveva
mai parlato di Diego a nessuno al mondo. Poi Henares
si alzò e disse: - Ora di riprendere. Oggi
passiamo ad usare anche calci e pugni, come in una lotta reale. Ramón si disse che qualche giorno prima l’idea
gli sarebbe piaciuta molto di più. Adesso il pensiero di menare Henares non gli appariva più così gradevole. Ma si
sarebbe applicato, per senso del dovere. E se fosse riuscito a beccarlo in
pieno, non gli sarebbe poi nemmeno spiaciuto. In fondo Henares
era simpatico, ma il conto in sospeso che aveva con lui era lungo come la
guida del telefono. Quel giorno, quando uscirono
dalla doccia, Henares prese l’asciugamano di Ramón e glielo avvolse intorno al corpo, poi incominciò a
strofinarlo energicamente. La sensazione era piacevole, maledettamente
piacevole e Ramón si lasciò andare al contatto di
quelle grandi mani che gli sfregavano la stoffa un po’ ruvida sulla pelle.
Sapeva che cosa stava succedendo. Sapeva e non gli dispiaceva. Lo voleva, lo
voleva anche lui. Aveva bisogno di scopare, si disse, un bisogno dannato.
Aveva anche bisogno di un po’ di tenerezza, ma questo il soldato Ramón Hierro non lo avrebbe mai
ammesso davanti a se stesso. Che il sesso non fosse solo infilare un uccello
in un buco caldo, ormai l’aveva capito, ma la tenerezza, quella non era roba
da uomini. Dopo un po’ l’asciugamano
scivolò a terra ed Henares lo strinse tra le
braccia, mentre i suoi denti gli azzannavano il lobo dell’orecchio destro.
Poi la lingua di Henares si insinuò dietro
l’orecchio di Ramón. Poi fu un morso sul collo,
mentre una mano gli stringeva un capezzolo, tanto da fargli male. Da fargli
male, sì, ma da fare scattare sull’attenti i due capezzoli, mentre la mano
scendeva, accarezzandogli la pelle, fino ad incontrare l’uccello che, chissà
perché, era anche lui sull’attenti. Fu un bell’incontro, perché la mano
avvolse la sua preda, la accarezzò e la scappellò con un gesto deciso, che
strappò a Ramón un gemito. La sensazione di un altro
uccello, caldo, che si faceva avanti ed ora premeva contro il suo culo,
riscosse Ramón, costringendolo, quasi controvoglia,
ad emergere dal gorgo in cui sprofondava. Non voleva, non voleva. Mormorò: - No! Ma il suo “no” non aveva la
forza e l’energia che credeva di averci messo. Era un no debole, quasi un ni, e non sembrò intimorire il grosso uccello duro che si
appoggiava tra le sue natiche. Era difficile resistere a quelle mani che
accarezzavano, quei denti che mordicchiavano, quella lingua che leccava,
quelle labbra che si appoggiavano delicate sulla sua pelle. Henares si staccò da lui e Ramón
avvertì una sensazione di abbandono, quasi un dolore fisico. Ma ora Henares era davanti a lui, era in ginocchio, le sue mani
salivano ad accarezzargli il ventre, il torace, a stringere i capezzoli, poi
scendevano lungo i suoi fianchi, gli stringevano il culo. La bocca di Henares! Quella bocca era un vulcano che aveva
inghiottito in un solo colpo il suo uccello, che lo liquefaceva nella lava.
Le dita di Henares ora scivolavano lungo il solco
tra le sue natiche, stuzzicavano l’apertura segreta e Ramón
si rese conto che la sua volontà stava svanendo. Che cosa voleva? Non lo
sapeva, voleva quello che volevano le mani che lo stringevano, la bocca che
gli avvolgeva l’uccello. Henares passò dietro di lui, sentì la sua lingua
percorrere la stessa strada delle sue dita, poi le sue mani forzarlo a scendere,
a precipitare. Non era più in grado di
opporsi, aveva perso ogni volontà. Lasciò che Henares
distendesse il suo corpo, che gli allargasse le gambe e, per la prima volta
in vita sua, accettò, liberamente e non per mantenere fede ad un impegno
preso, che il suo corpo fosse penetrato. Si disse che Henares lo stava fottendo, che lui lo lasciava fare. Era
ancora un maschio, un uomo? Sì, lo era. Lo era più che mai ora, con in culo
quel cazzo caldo che gli dilatava le viscere ed allargava il suo piacere. Due
volte maschio, perché aveva un cazzo in culo ed uno tra le gambe (mica tanto
tra le gambe, era diritto come un palo contro il ventre). Sì, era un uomo e
non aveva paura di misurarsi con altri uomini, di prenderli e farsi prendere.
Non aveva paura del dolore che accompagnava il piacere. Una mano gli afferrò
l’uccello, una mano ruvida, aspra, che gli strappò un gemito. Un’altra mano
gli afferrò i capelli. La violenza del desiderio di Henares
si manifestava in quei gesti bruschi non meno che nel movimento cadenzato
dell’arnese potente che arava il culo di Ramón come
si ara un campo. E Ramón cedeva a quella violenza,
si abbandonava ad essa, senza più nessuna volontà di resistenza, ed ogni
spinta, ogni gesto di Henares moltiplicavano il suo
desiderio. Di colpo le mani di Henares gli afferrarono con forza il culo e le spinte divennero ancora più vigorose. A Ramón sembrava di avere una baionetta in culo, che avanzava sempre di più. Il dolore superò il piacere, ma poco mancò che Ramón venisse insieme a Henares. Henares si lasciò andare su di lui e la massa
che aveva scavato nelle sue viscere si ridusse. Allora il dolore arretrò e
quando infine Ramón sentì l’intruso abbandonare il
suo corpo, gli spiacque. Henares lo voltò sulla schiena. Ramón lo lasciò fare, del tutto incapace di reagire. Henares riprese in bocca la mazza ferrata di Ramón e la sua lingua ebbe presto ragione di ogni
resistenza (quale resistenza? Ramón non aveva né
l’intenzione, né la capacità di resistere). Quando il suo seme
incominciò a sgorgare, Henares lasciò libera la sua
preda, ma la sua lingua continuò a percorrere l’asta protesa, percorsa da un
fremito incontenibile. Infine il seme smise di
spandersi. Allora Henares si stese su Ramón. Il peso di quel corpo caldo sul suo era una
sensazione piacevole. Henares avvicinò le sue
labbra a quelle di Ramón e lo baciò sulla bocca. Ramón non si aspettava quel gesto e rimase stupefatto.
Ancora meno si aspettava che le labbra che premevano sulle sue si aprissero,
che la lingua di Henares scivolasse tra le sue
labbra, entrando con prepotenza nella sua bocca (con prepotenza? Ramón aveva aperto la bocca ad accogliere quella lingua,
anche se non si era reso conto di averlo fatto). E la lingua lavorava con
cura, instancabile e curiosa, esplorando, solleticando, accarezzando. Un uomo
poteva fare questa cose con un altro? Sì, cazzo, sì! Che bello! E poi la lingua di Henares abbandonò la bocca di Ramón
e si mise a percorrere il viso, lasciando ogni tanto il campo ai denti, che
mordicchiavano (o mordevano: quello alla guancia era un morso vero e proprio
e quello all’orecchio, ahi!, ancora un po’ e gli troncava il lobo). Il risultato, inevitabile,
fu che tutti e due avevano di nuovo l’arma in tiro: Ramón
sentiva il sangue che affluiva con violenza alla pistola che aveva sul ventre
e contro la sua pistola premeva, non meno calda e rigida, la pistola di Henares. Di colpo Henares si sollevò e si accovacciò sul ventre di Ramón. Ora il suo culo premeva sul palo caldo che batteva
sul ventre di Ramón. Henares
sorrise e si voltò, dando la schiena a Ramón. Poi
si sollevò leggermente sulle ginocchia, prese il palo caldo che si trovava
sotto di lui e lentamente vi si infilzò, fino a ritornare a premere sul corpo
di Ramón, ma dopo aver inghiottito in un solo
boccone quel bastone di pane caldo appena sfornato. Come aveva fatto la
sentinella, Henares incominciò ad alzarsi ed
abbassarsi, ma dando la schiena a Ramón, che poté
così ammirare quel bel culo sodo. Aveva voglia di leccarlo, di morderlo, ma
poteva solo accarezzarlo o artigliarlo e lo fece, con grande piacere di
entrambi. La tensione che saliva
dentro Ramón gli toglieva il respiro, nei suoi
occhi passarono scintille ed il piacere deflagrò, stordendolo. Henares si abbandonò su di lui, gli prese la
mano e la guidò al proprio uccello, ancora teso, e Ramón,
ubbidiente, lo afferrò, senza delicatezza, e lo strinse, muovendo con forza
la mano in su e in giù, fino a che il getto sgorgò sul ventre di Henares. In quel momento Ramón
sentì che il proprio uccello, ormai a capo chino, lasciava il nido caldo in
cui si era rifugiato. Ramón strinse le braccia intorno al corpo
steso sul suo e rimasero a lungo così, immobili, sfiniti. Poi, mentre il respiro si
calmava, Ramón scoppiò a ridere e disse: - E dire che mi hai perfino
pisciato addosso! Henares rise: - Sì, è stato molto
piacevole. Devo dire che mi sei piaciuto fin dalla prima volta che ti ho
visto. - Ah sì, era un
apprezzamento? Pisci sempre addosso a quelli che ti piacciono? - Sempre no, talvolta sì,
se sono d’accordo. - Io non lo ero. Henares non replicò subito. Dopo un momento di
silenzio disse: - Ti brucia ancora? Ramón ci rifletté un momento. In realtà un po’
gli scocciava, ma non aveva davvero importanza. - Solo un po’. - Allora rendimi la
pariglia, così te ne liberi. Henares si sciolse dall’abbraccio di Ramón e si stese sulle assi delle docce. Ramón si alzò a sedere e lo guardò,
frastornato. Poi rise. Perché no? Si avvicinò. Guardò Henares che sorrideva. - Davvero non ti scoccia? - Tutt’altro, tutt’altro. L’uccello
di Ramón non era ancora del tutto a riposo, ma lo
era a sufficienza per l’uso richiesto. Ramón
incominciò a pisciare sul torace di Henares. -
Su, in faccia, ce li hai i coglioni per farlo? Henares sorrideva e la sfida era scherzosa. Ramón la raccolse e diresse lo zampillo sulla faccia.
Pensò che lui il piscio lo aveva anche dovuto bere e centrò la bocca. Henares tenne la bocca chiusa, ma dalla sua espressione
era evidente che non gli dispiaceva. Quando Ramón
ebbe finito, Henares alzò un braccio verso di lui. Ramón si lasciò prendere il braccio e Henares
lo forzò (ma Ramón non era riluttante) a stendersi
su di lui. Henares era sporco di sudore, piscio e
sborro, ma steso su di lui Ramón si sentì bene,
maledettamente bene. Era bello stare stesi su un corpo caldo, tra due braccia
vigorose. Era bello anche quel miscuglio di odori forti. Rimasero a terra,
allacciati, un buon momento. Poi Henares disse: - Ora di andare, il tuo
pranzo sarà già freddo. A Ramón
non gliene fotteva un cazzo del pranzo, ma pensò che anche Henares doveva mangiare e con un sospiro si alzò. Si rimisero sotto la doccia
e mentre il getto d’acqua scendeva, Ramón disse: - Ma dimmi, Henares, siete tutti finocchi, qui? Era una provocazione. Henares rise. - Tutti no, Ramón, ma molti sì, sai... Ramón si stupì a sentirsi chiamare per nome e
si rese conto che non conosceva neppure il nome di Henares.
Lo interruppe: - Come ti chiami? - Gabriel. - Dicevi, Gabriel? - Che molti di noi vivono
qui da anni. Certo, andiamo in missione, abbiamo diritto a licenze, ma nessuno
di noi ha famiglia: chi si sposa, lascia questo settore del forte. E allora o
perché in fondo un bel culo o un bel cazzo ci piacevano già da prima, come a
te e a me, o perché facciamo di necessità virtù, ce la spassiamo tra di noi. Ramón non replicò al “come a te”, anche perché
il seguito aveva tolto ogni mordente alla frase. E poi era vero. Non aveva
mai realmente desiderato una donna. Gabriel proseguì. - Non tutti, in ogni caso. Baroja era uno che non scopava mai, lui si divertiva in
altro modo. - Cioè? - A lui piaceva torturare i
prigionieri. Ramón sorrise: - Anche a te, ce l’avevi
duro mentre mi umiliavi al palo. - Sì, ma quello non conta.
Non era mica una tortura. E non mi dire che non ti piaceva frustare il culo
del tuo uomo. Frustare il culo di Diego?
Che cazzo di idea! Perché mai? Eppure, mentre lo pensava, Ramón
si vide mentre calava la frusta sul culo dei suoi sogni ed il pensiero non
era poi così rivoltante, anzi, tutto sommato... - Comunque a Baroja piaceva la tortura vera, quella per far parlare i
prigionieri. Ce l’aveva sempre duro e talvolta veniva anche. - Non ce l’avrà avuto duro
quando è toccato a lui. Gabriel scosse la testa. - No, ti sbagli. Anche se
non ci crederai, quando hanno incominciato a torturarlo, aveva il cazzo duro
e l’ha avuto per quasi tutto il tempo. Anche se alla fine era stremato. - È morto sotto le torture? - No, quando ha confessato
tutto quello che aveva da confessare, dopo aver verificato, lo abbiamo
fucilato. E sai una cosa? - Che cosa? - Ce l’aveva duro quando
l’abbiamo fucilato ed è venuto quando la scarica di colpi lo ha falciato. Ramón scosse la testa. Non riusciva a capire. - Non è possibile. Si sarà
pisciato addosso. - Baroja?
No di certo. E poi mi sono occupato io della sepoltura. Era sborro, ti
assicuro. A Ramón
sembrava incredibile. - Perché l’aveva fatto,
voglio dire, perché aveva tradito? - Non lo so. Ambizione,
vendetta, forse: credeva di meritare di più, diceva che il capitano non
sapeva riconoscere gli uomini migliori. Ramón pensò che se Baroja
si voleva vendicare solo per una mancata promozione, lui avrebbe dovuto
assumere un battaglione di sicari! - E l’altro, Alligatore? - Quello per soldi. Tanti,
ma non se li è goduti. Non ha retto a lungo, anche se sembrava un tipo tosto.
Ha parlato quasi subito. Ma aveva poco da dire. - Avete fucilato anche lui? - Si è suicidato in cella.
Cioè, l’abbiamo aiutato ad impiccarsi in cella, prestandogli una cinghia,
facendogli il cappio ed appendendolo. Diciamo che è stato un suicidio
guidato, non era proprio d’accordo. Anche quello è morto con il cazzo duro,
ma gli è venuto dopo, mentre lo appendevamo non ce l’aveva. Il pranzo di Ramón era del tutto freddo, ma Ramón
non se ne preoccupò molto. E da quel giorno, la
mattinata si concluse sempre allo stesso modo. O, meglio: si concluse con
variazioni sempre diverse dello stesso esercizio. Ed anche in questo Henares si dimostrò un ottimo allenatore. La notte però, nella sua stanza, Ramón pensava ad un altro corpo. In
ricognizione Erano
passate circa due settimane da quando Ramón aveva
iniziato ad allenarsi. Con Henares continuava ad
esercitarsi ed a praticare la lotta (nonché altri tipi di rapporti
altrettanto ravvicinati, ma molto più gratificanti), aveva migliorato
notevolmente la sua mira ed aveva concluso il suo ciclo di lezioni sull’uso
degli esplosivi. In
quel periodo non aveva mai visto il capitano, ma non si stupì quando questi
lo mandò a chiamare:
- Bene, Lopez, so che il tuo addestramento procede in modo positivo. È
ora che tu cominci a fare conoscenza con la tua meta. Credo che tu abbia
capito qual è.
Ramón annuì e disse: -
Penso… il forte di Puerta
de la Haz. -
Esatto. È utile che tu ti faccia un’idea della conformazione del forte e
della sua posizione. Non è un viaggio di piacere: come puoi immaginare, in
questo periodo la frontiera è strettamente sorvegliata, ma per due uomini ci
sono molte vie per andare da un forte all’altro. Due
uomini significava che con lui ci sarebbe stato qualcun altro e d’altronde
era sensato: non sapeva nulla dell’altro forte e non avrebbe saputo
raggiungerlo, se non seguendo l’unica strada esistente, ma quella non era
certo una via percorribile. -
Ti accompagnerà Henares. Era
un’ottima cosa. Di Gabriel sapeva di potersi fidare. Il capitano aveva
parlato di un terzo uomo per la spedizione, qualcuno di cui lui potesse
fidarsi. Probabilmente era per quello che gli aveva assegnato come istruttore
Gabriel: perché loro due raggiungessero l’intesa necessaria per compiere la
missione. Un’intesa l’avevano raggiunta, senza dubbio. Un’intesa molto
soddisfacente. - Un’ultima cosa, Lopez.
Servi vivo, a me ed al paese. Per cui cerca di riportare a casa la pelle,
senza correre inutili rischi. Ramón annuì, ma il pensiero che il capitano si
preoccupasse della sua salute non lo commosse. Partirono la notte,
calandosi con la corda dal solito ingresso segreto. Ramón
si disse che da quel fottuto posto non si riusciva mai ad uscire comodamente,
ma in fondo era sempre meglio uscire calandosi con una corda che con i piedi
in avanti, come avevano fatto Baroja ed Alligatore.
Se ne erano usciti: magari erano stati sepolti in qualche cortile del forte. E questa volta almeno Ramón era vestito, aveva uno zaino leggero con i viveri,
la borraccia e l’equipaggiamento necessario, i coglioni non gli facevano più
male, era armato e non era solo. Insomma: un altro vivere, anche se sapeva
benissimo che le sue possibilità di morire erano maggiori della volta
precedente. Passarono il ruscello ed
incominciarono a salire lungo la parete di fronte al forte, quella su cui Ramón si era messo la notte in cui era uscito. Salivano
in perfetto silenzio La parte alta della parete
era piuttosto ripida e quasi del tutto priva di vegetazione. Ben presto Ramón dovette aiutarsi con le mani per salire, cercando
sporgenze a cui aggrapparsi. Bestemmiando, si disse che forse avrebbero
dovuto insegnargli un po’ di alpinismo (o andinismo,
per essere più precisi), invece del tiro al bersaglio. Se rotoli lungo una
parete quasi verticale, il tiro al bersaglio non è di grande utilità. Forse
era più utile il lavoro con gli esplosivi: avrebbe potuto far saltare quella
fottuta montagna e farne una bella pianura. Gabriel proseguiva spedito,
in perfetto silenzio, e Ramón faticava a stargli
dietro, perché su quelle rocce del cazzo rischiava sempre di scivolare e
concludere malamente la sua permanenza a Cerro del Diablo. Ci
fu un punto in cui Ramón fece fatica a trovare gli
appigli per issarsi e rimase bloccato un buon momento. Gabriel lo aspettò.
Quando Ramón lo ebbe raggiunto, Gabriel sussurrò: -
Tutto bene? -
Sì. Camminarono
per tutta la notte: dopo aver raggiunto la cresta della montagna, scesero in
un vallone, poi risalirono nuovamente, superando poi ancora un altro
avvallamento, prima di arrivare sull’ultimo pendio. In realtà i due forti non
erano molto distanti: per un uomo ben allenato quattro ore sarebbero state
sufficienti per andare da un forte all’altro, lungo la strada. Ma loro non
potevano percorrere quella via. Quando
il cielo incominciò a diventare più chiaro ad oriente, erano in cima ad un
pendio piuttosto scosceso. Gabriel gli sussurrò: -
Dobbiamo fare in fretta: se non raggiungiamo la vegetazione prima che faccia
chiaro, siamo fottuti. Ma attenzione: siamo vicini al forte e ci sono un
sacco di soldati in giro. Se ci beccano siamo fottuti. E fa’ attenzione a
dove metti i piedi: c’è una pietraia più sotto e se scivoli provochi una
frana e… -
… siamo fottuti. – lo interruppe Ramón, che ormai
aveva capito l’antifona. Vero è che in quei giorni aveva scoperto che farsi
fottere era molto piacevole, ma non nel senso che intendeva in quel momento
Gabriel, a meno che uno non fosse come Baroja. E
lui non lo era. Scesero
in fretta e raggiunsero la parte inferiore del pendio, meno inclinata e
coperta da una fitta vegetazione. Qui si nascosero in una macchia molto
densa. Gabriel gli sussurrò all’orecchio. -
Rimarremo qui fino a che non è più chiaro, poi cercheremo di scendere ancora
un po’. Ma per farlo dobbiamo essere sicuri di non farci beccare dai soldati,
altrimenti… -
… siamo fottuti. Gabriel
sorrise. -
Vedo che mi capisci al volo… Mezz’ora
dopo ripresero a scendere, seguendo un valloncello dove correva un torrente e
la vegetazione era più fitta. Videro alcuni soldati di guardia ad un
centinaio di metri da loro, ma riuscirono a non farsi scorgere ed a
raggiungere un punto più in basso, a circa trecento metri sopra il livello
del fiume, dove la parete su cui si trovavano, già alquanto ripida, diventava
perfettamente verticale ed il torrente precipitava in una sottile cascata
fino al fiume che scorreva più sotto: un piccolo errore e loro due avrebbero
fatto uno splendido tuffo, seguito da un bel bagno. Ma, anche se erano
alquanto sudati, nessuno dei due aveva molta voglia di fare quel bagno. Dovettero
uscire dal valloncello per poter osservare il forte e qui la vegetazione era
più bassa, perciò Gabriel e Ramón si stesero tra i
cespugli, in modo da essere del tutto invisibili. Sull’orlo del precipizio,
non molto lontano dal punto in cui erano acquattati, c’erano quattro soldati
di guardia, ma loro due erano ben coperti dai cespugli. -
Quella è la Puerta de la Haz. Ramón guardò il forte, perfettamente visibile dal punto
in cui erano loro, oltre duecento metri più in basso e meno di un centinaio
di metri sopra il fiume. Il
forte di Puerta de la Haz
si trovava nel punto più stretto di una gola che il fiume aveva scavato nel
corso dei millenni. Il fiume scorreva esattamente ai piedi della parete di
sinistra, su cui si trovavano loro. La parete di destra, più bassa, formava
un arco molto accentuato e la parte alta sporgeva sulla gola. Su quella
parete sorgeva il forte, sovrastato dalla sporgenza della parete stessa. Per
quello lo chiamavano la porta della falce: sembrava posto sulla parte interna
della lama di una grande falce. Ed era la porta per entrare nel territorio
nemico: la capitale era a nemmeno due giorni di marcia. Era
un edificio assai meno imponente del Cerro del Diablo,
ma non meno imprendibile e, a differenza del Cerro, era praticamente
impossibile bombardarlo con aerei: quale bombardiere avrebbe potuto infilarsi
in quella gola e poi colpire il forte, sotto quel riparo roccioso? -
Osserva bene, Ramón. La
raccomandazione di Gabriel era superflua. Ramón Hierro stava studiando ogni dettaglio della potente
muraglia, che sovrastava la strada, e dei diversi edifici che componevano il
forte, disposti intorno a tre cortili affiancati. -
Il deposito delle munizioni è nell’edificio più a destra, contro la parete,
quello che si intravede appena dietro la torretta delle mura. Hai capito qual
è? -
Sì. Era
logico che il deposito fosse stato collocato in quella posizione: impossibile
colpirlo con un cannone dalla strada o con bombe sganciate da un aereo. Il
deposito doveva essere in parte scavato dalla roccia. -
Contiene un’enorme quantità di esplosivo: in caso di attacco, sono in grado
di far saltare la gola più a monte ed allora un esercito non riuscirebbe più
a passare. Almeno, non un esercito con cannoni e carri armati: i fanti
possono anche inerpicarsi su queste pareti e, superando una successione di
valli, aggirare il forte, ma ci vorrebbero giorni e giorni e senza armi
pesanti, a che servirebbe? Ramón studiò ogni dettaglio. La sua missione consisteva
nel far saltare in aria quella fortezza ed aprire la strada all’esercito del
suo paese? Ma come riuscirci? Entrare in quel forte doveva essere
impossibile. Ed una volta dentro, come evitare di essere sorpreso? O il
capitano possedeva una formula per rendere invisibili…
Il capitano aveva un piano in mente, questo era sicuro. Quando fosse arrivata
l’ora, glielo avrebbe esposto. Per
il momento, l’unica cosa certa era che lui, Ramón Hierro o Lopez, sarebbe morto in quel forte.
Nell’esplosione, se fosse riuscito a compiere la sua missione, o fucilato (o
in altri modi: c’erano un sacco di possibilità), se lo avessero scoperto. E
con lui sarebbe morto Gabriel. Gli
spiaceva che anche Gabriel morisse, ma era la persona con cui avrebbe
condiviso più volentieri quella missione e la morte. Lo sentiva come un
amico. Per
un attimo pensò che anche di Diego aveva pensato a lungo che fosse solo un
amico, un amico a cui voleva molto bene e con cui scopava, ma niente di più.
Come aveva potuto essere cieco fino a quel punto? Scacciò
il pensiero di Diego e riprese il suo esame minuzioso del forte. Dopo un’ora
sarebbe stato in grado di descriverlo in ogni dettaglio, almeno per quanto si
poteva vedere dalla loro posizione. -
Gabriel non riusciamo a spostarci? Per vedere meglio il forte, da un altro
punto di vista? -
Certo, possiamo andare da quei soldati e dirgli se non gli spiace cederci la
loro postazione. Oppure saltare giù: è un bel salto ed avresti un certo tempo
per osservare il forte, prima di arrivare al fondo, ma non so se ti
servirebbe a molto. -
Se risalissimo un po’ e poi provassimo a passare alle spalle dei soldati e
scendessimo più avanti? Gabriel
scosse la testa. -
Tu non ci tieni proprio alla pelle! -
Proviamo. -
Ma sì, mal che vada facciamo conoscenza con il forte prima della missione. Ramón sorrise e, strisciando o muovendosi a carponi,
risalirono lungo il valloncello, dove erano sempre perfettamente nascosti tra
la vegetazione. Uscire
dal valloncello per superare la postazione dei soldati e raggiungere un altro
punto di osservazione, fu assai meno facile, perché fuori dal valloncello la
vegetazione non offriva un riparo sufficiente. I soldati non erano
particolarmente vigili, non sospettando che qualcuno potesse trovarsi su
quella parete, ma ogni tanto si voltavano nella loro direzione e c’era almeno
un tratto in cui, anche strisciando, loro due non sarebbero stati del tutto
al coperto. Fortunatamente
uno dei soldati notò qualche cosa lungo la strada che costeggiava il fiume e
tutti si misero a guardare con i binocoli. Gabriel e Ramón
ne approfittarono per strisciare oltre la zona scoperta ed infilarsi in
un’altra macchia di vegetazione, da cui scesero, avvicinandosi nuovamente
all’orlo del precipizio. Ora
erano maledettamente vicino ai soldati, ma avevano una visione migliore del
forte. Rimasero circa un’ora in quella posizione, poi risalirono,
allontanandosi dalla postazione. Mezz’ora
dopo che furono risaliti, videro uno dei soldati lasciare la postazione e
dirigersi al punto in cui si trovavano loro prima. Probabilmente aveva
qualche bisogno fisico da soddisfare, ma Ramón
pensò che se loro fossero stati ancora in basso, per quel bisogno loro due
sarebbero morti, non senza aver ammazzato prima un po’ di quei soldati. Ramón e Gabriel mangiarono e bevvero, poi dormirono a
turno. Non potevano riprendere la strada del ritorno finché non fosse scesa
la notte, perché la parte più alta della parete era spoglia ed il rischio che
li individuassero era molto forte. I soldati avevano fucili di precisione e
di certo tra di loro c’era qualche tiratore scelto, in grado di abbatterli
anche a distanza. E più in alto dovevano esserci altri soldati. Un
ritorno movimentato Quando
divenne buio, Gabriel e Ramón si avviarono. Non era
ancora così scuro da non riuscire a vedere dove mettevano i piedi, ma lo era
abbastanza perché nessuno potesse vederli. Ramón si disse che il ritorno sarebbe stato più breve
dell’andata: non erano scesi fino al fondo della valle e prima di notte erano
risaliti di un bel pezzo. Ormai non erano molto lontani dal primo colle. Si
muovevano in perfetto silenzio, ma ad un certo punto Ramón
mise male un piede ed un sasso rotolò a valle. Sentirono
una voce vicino a loro ed immediatamente il fascio di luce di una torcia
elettrica illuminò in pieno Gabriel. Sia Ramón, sia
Gabriel si gettarono a terra, ma i soldati stavano già sparando. Ramón estrasse la pistola e sparò in direzione delle
luci, che erano diventate due e stavano già illuminando Gabriel, a terra, la
pistola in pugno. Anche Henares sparò e, mentre si
sentiva un gemito, le due luci ondeggiarono e caddero: una si spense, l’altra
rimase al suolo, ad illuminare il terreno. Entrambi dovevano aver colpito il
bersaglio. Per loro fortuna, ognuno aveva scelto un bersaglio diverso. Ramón vide che la luce cambiava di nuovo direzione:
qualcuno la stava afferrando. Sparò di nuovo. Insieme a lui sparò anche
Gabriel. Sentì un urlo. Poi silenzio ed un rumore di passi che si
allontanavano di corsa. Rimase ancora in ascolto. Qualcuno gemeva. Si sentì
una bestemmia. Due uomini dovevano essere feriti. Un terzo forse era morto.
Un quarto in fuga. Ce n’erano altri? Anche se non c’erano, sarebbero arrivati
presto. Dovevano
andarsene subito. Rapidamente,
Ramón si spostò verso il punto in cui alla luce
della torcia aveva visto Gabriel a terra, pochi metri più in là. Per evitare
di farsi sparare, sussurrò: -
Gabriel, sono io! Sentì
la voce di Gabriel. -
Taglia la corda, Ramón, subito. Ci sono altri
soldati, di certo, ed hanno sentito gli spari. Saranno qui tra pochi minuti.
Salvati. Ramón capì subito. -
Dove ti hanno colpito? -
Alla gamba. Non ti preoccupare per me, non mi prenderanno vivo. Sbrigati ad
andartene. -
Fammi vedere. Da vedere, al buio, c’era
ben poco, ed accendere una torcia elettrica non era precisamente la scelta
migliore nella loro situazione. - Che gamba? - Muoviti ad andartene, Ramón, il capitano... - Il capitano può andare a
farsi fottere. Che gamba? Mentre gli rispondeva, Ramón, spazientito, aveva già incominciato a palpargli la
sinistra. - No, l’altra. Ogni secondo
che perdi è… - Quello che perdo è la
pazienza, se non la smetti. Dov’è la ferita? - Al polpaccio, ma… - Zitto! Ramón ripiegò la stoffa dei pantaloni, in modo
da scoprire la ferita. Con la mano la toccò. Non era una lesione grave,
tutt’altro: il proiettile era entrato nel polpaccio. Dalla ferita usciva
sangue, ma in quantità limitata. Ma Gabriel non era di certo
in grado di camminare e loro due dovevano andarsene, in fretta. Su questo
Gabriel aveva ragione. Ramón bendò rapidamente la ferita, per evitare
che il sangue che ne usciva lasciasse una traccia troppo facile da seguire.
Probabilmente il flusso si sarebbe fermato da solo abbastanza presto, anche
se lui non avesse bendato la ferita, ma era meglio una benda, anche per
ridurre il rischio di infezioni. Quanto a disinfettare, ora non ne avevano il
tempo. Passò a Gabriel lo zaino. - Mettitelo, presto. - Ramón,
non… Ramón non lo lasciò finire. - Piantala, Gabriel. Non ti
lascio qui neanche morto e con questo la faccenda è chiusa. Per il resto, hai
ragione, dobbiamo andarcene subito. Ti porto a spalle. Tu tieni la pistola in
mano. Si caricò Gabriel sulle
spalle, reggendolo sotto le cosce, mentre Gabriel gli cingeva il torace con
un braccio e con l’altro impugnava la pistola. Salì il più in fretta
possibile fino alla cresta. Si voltò a vedere e si rese conto che alcune
torce elettriche stavano illuminando l’area più sotto, che avevano lasciato
da poco. Si buttò per la discesa,
quasi di corsa: il peso, non indifferente, che portava sulle spalle non era
un grave ostacolo scendendo. In salita sarebbe stato un altro discorso, ma
non era ancora detto che ci arrivassero, alla salita. Scese a rotta di collo e
poco mancò che se lo rompessero davvero, il collo, così, al buio. Due volte Ramón fu sul punto di perdere l’equilibrio, ma riuscì a
recuperarlo in extremis. Al fondo della discesa Ramón
si volse di nuovo a guardare se lungo il pendio si vedevano luci. Ce n’erano,
ma verso il colle, piuttosto lontane. Incominciò a salire sul
versante opposto. Non sarebbe stato facile, ma la discesa finale, verso il
Cerro, sarebbe stata ancora peggio. Come portare Gabriel, senza sfracellarsi
tutti e due? Ci avrebbe pensato. Ne aveva ancora di strada da fare. Raggiunta la cresta che
separava il primo avvallamento dal secondo, pensò che da quel punto in poi
sarebbe stato più difficile incontrare una pattuglia di soldati, perché ormai
erano abbastanza lontano dal forte. Sperò fortemente che fosse così, perché
loro due non erano in grado di difendersi: se qualcuno li avesse illuminati
con una torcia elettrica, lui avrebbe dovuto buttarsi per terra, impedendo a
Gabriel di centrare il bersaglio, e probabilmente prima di riuscire a
prendere la pistola avrebbe avuto diverse pallottole in corpo. Non c’era nessuno o almeno
nessuno li sentì o si fece sentire da loro. Ramón
scese rapidamente, per quanto gli permetteva il dolce peso di Gabriel, il
nuovo pendio e Gabriel gli parlò solo per sussurrargli, due volte, la
direzione da seguire. Quando furono al fondo del
vallone, Gabriel parlò, sottovoce: - Ramón,
si sta facendo molto tardi. Hai appena il tempo di raggiungere il forte prima
dell’alba. Devi assolutamente arrivarci. Nessuno deve vederti. Puoi lasciarmi
qui: non c’è nessuno. Mi nascondo in una macchia e domani il capitano manda
qualcuno a prendermi. A Ramón
l’idea non piaceva: troppo rischioso per Gabriel, rimanere lì, ferito, da
solo, senza nessuno che potesse dargli una mano. Perciò replicò: - Capisco che a te il fiato
non serve, perché ti fai trasportare, ma potresti almeno farmi il favore di
tenere la bocca chiusa? Gabriel gli sibilò: - Sai una cosa, Ramón? Credo che se tu ti scontrassi con un toro, testa
contro testa, sarebbe il toro ad avere la peggio. - Sì, bella roba. Ne
approfitti perché a portare un grassone come te, per di più in salita, non ho
nemmeno il fiato per rispondere! - Sai un’altra cosa, Ramón? L’interrogato non rispose e
Gabriel continuò: - Sei proprio uno stronzo. Ramón Hierro non
rispose. Aveva davvero il fiato un po’ corto. Arrivarono
in cima al secondo vallone, ma ormai non mancava più molto all’alba: neanche
da solo Ramón sarebbe riuscito ad arrivare al forte
prima che fosse giorno e la corda venisse ritirata. Gabriel
gli indicò da dove scendere, ma, dopo pochi metri, divenne evidente che non
potevano procedere in quel modo. Ramón depose a terra Gabriel, che incominciò a calarsi
stando seduto e servendosi della gamba sana e delle braccia. Talvolta Ramón lo aiutava, spingendolo o tirandolo o tenendolo in
modo che non scivolasse troppo in fretta. Riuscirono
a superare la parte più scoscesa della parete, ma stava facendosi chiaro e
dovettero nascondersi tra alcuni grandi massi. Quando
infine furono seduti ed ebbero entrambi bevuto un po’ d’acqua, Ramón disse: -
Calati i pantaloni. Gabriel
aveva capito benissimo, ma rise e disse: -
Cazzo, Ramón, ma tu pensi solo a scopare! Ramón scosse la testa e non disse nulla, mentre Gabriel
eseguiva. Ramón tolse la benda, che era intrisa di sangue. Esaminò
con cura la ferita e scoprì che il proiettile era uscito, dopo aver
trapassato il polpaccio. Dalla traiettoria era evidente che l’osso non era
stato raggiunto. Ramón versò un po’ di alcol sulla
ferita d’ingresso e su quella d’uscita, poi frizionò con cura e mise una
nuova benda. Quando
ebbe finito, sorrise a Gabriel: -
Una roba da nulla. Tutte storie per farti portare a spalle. Rimasero
nascosti tutto il giorno e, non avendo un mazzo di carte per giocare a scopa,
scoparono senza carte, tanto per passare il tempo. Dopo
il tramonto scesero e riuscirono a raggiungere il forte senza problemi. La
corda era calata ed otto soldati li aspettavano. Quando
si separarono, Gabriel disse: -
La vacanza è finita. Domani mattina riprendi l’allenamento. |