7

 

Ritrovarsi

 

      Passarono altri quattro giorni. Quattro giorni con l’immagine di Diego negli occhi: Diego umiliato, malmenato, picchiato. Diego, bello come un dio (sull’attendibilità di Ramón il lettore è libero di esprimere le sue riserve), Diego triste ed infelice, Diego, Diego, Diego…

         In totale otto giorni di mal di Diego spinto al parossismo.

      La sera del nono giorno, poco dopo cena, arrivò Gabriel. Una paura folle prese Ramón, paura di sentirsi dire che Diego non aveva retto, che l’avevano ucciso, che l’avevano trasferito.

      Gabriel sorrideva e non lo lasciò a lungo sui carboni ardenti.

      - Sei pronto?

      - Pronto? A fare che?

      - Tra dieci minuti te lo porto.

      Gabriel lo fissava e di colpo scoppiò a ridere.       

      - Cazzo, però, tu non mi svenire!

      Ramón avrebbe voluto sorridere, ma non ne era capace. Non era nemmeno capace di parlare. Non riusciva neanche a stare in piedi. Era stata una mazzata.

         Era vero? Certo che era vero! Diego, tra poco avrebbe rivisto Diego, Diego…

      - Ramón, partirete tra una settimana, non di più. Hai una settimana. Goditi la tua luna di miele.

      Ramón annuì. Da qualche parte nel suo cervello c’era il ricordo di come si faceva a parlare, ma in quel momento era troppo difficile ritrovarlo.

      - Lui non sa che sei vivo. Lo porterò qui, nella stanza a fianco. Poi me ne vado e ti lascio libero il campo. Dormirà qui. Starete un po’ allo stretto, ma pazienza… Non credo che piangerai per questo. E nemmeno lui. Le ultime tre notti le ha passate nella cella di punizione.

      Gabriel scomparve e Ramón si sedette. Quei dieci minuti non sarebbero passati mai.

 

      Dopo dieci epoche geologiche, dieci millenni, dieci secoli, dieci anni, anche i dieci minuti finirono e Ramón sentì la voce di Gabriel.

      - Entra qui dentro.

      Ramón si avvicinò alla porta socchiusa e guardò attraverso la fessura. Gabriel stava conducendo Diego nella stanza di fronte alla sua. La porta rimase aperta. Ramón guardò Gabriel appoggiarsi sulla scrivania, mentre Diego rimaneva in piedi davanti a lui. Non era legato, ma aveva nuovi segni di frustate. Tra pochi minuti lo avrebbe potuto abbracciare. Non era possibile, non poteva essere. Diego sarebbe stato ricondotto via, era un altro schifoso trucco di quel figlio di puttana del capitano. 

      - Come ti avevo detto, ho un messaggio per te, da parte di Ramón Hierro.

      A quelle parole di Gabriel, a Ramón parve di cogliere un leggero tremore nel corpo di Diego.

      - Te lo darò tra poco. Qui. Ma devi aspettare ancora qualche minuto. Ci sono dei motivi per questo, motivi che capirai da solo. Adesso vado. Tu non ti muovere.

      Gabriel si rialzò ed uscì. Ammiccò verso la porta dietro cui stava Ramón, perché certamente lo intravedeva, e se ne andò.

      Ramón uscì dalla sua stanza ed entrò in quella in cui Diego aspettava, davanti alla scrivania, dandogli la schiena. In un attimo, come se avesse paura che un qualche ostacolo potesse impedirglielo, strinse forte Diego tra le sue braccia.

      Diego cercò di divincolarsi.

      - Sono io, Diego, sono io, sono Ramón.

      Diego sollevò il capo e Ramón avvertì il tremito convulso che scuoteva il corpo di Diego. Allentò la stretta e lasciò che Diego si voltasse e lo guardasse.

      - Sergente…

      Diego aveva le lacrime agli occhi e Ramón rimase allibito: un uomo non piange. Ma che cazzo stava dicendosi? Ce l’aveva ancora con tutte quelle cazzate sull’essere un uomo, un vero maschio? Ma lui, Ramón Hierro, era un uomo, e Diego anche, e loro due si amavano.

      Prese la testa di Diego tra le mani e l’avvicinò, baciandolo sugli occhi. Due baci delicati.

      Poi le loro labbra si unirono e Ramón lasciò che fosse il desiderio a guidarlo. Diego non sembrò sorpreso quando la lingua di Ramón gli entrò in bocca e l’accolse prontamente.

      Poi, dopo che le loro lingue si furono accarezzate, Ramón prese di nuovo la testa di Diego tra le mani e lo fissò.

      - Diego, Diego, amore mio, amore mio. E non ti avevo neppure detto che ti amavo. Ti amo, Diego.

      - Anch’io…

      Ci fu un attimo di incertezza e Ramón intuì.

      - Se mi chiami ancora sergente o se mi dai del lei, ti fulmino! Mi chiamo Ramón.

      - Ti amo, Ramón. Ti ho sempre amato.

      Diego aveva abbassato la testa, mentre parlava, quasi provasse vergogna.

      - Lo so, Diego, anche se non so come fai ad amare una testa di cazzo come me.

      Diego tremava. Si strinse a lui e lo baciò sulla bocca.

      - Mi avevano detto che eri morto!

      - Sì, un trucco di quel bastardo del capitano, ma non parliamo di lui ora.

      Non voleva pensare, adesso, al futuro. Non voleva ricordare che la felicità di quel momento era destinata a spegnersi presto nella morte che li aspettava. Dopo. Una settimana, aveva detto Gabriel. Una settimana di paradiso, una settimana per dire a Diego che lo amava, una settimana. Per quella settimana era disposto a ricominciare da capo con Cerro del Diablo.

      - Vieni, Diego, nella mia stanza.

      Lo condusse per mano, come se avesse avuto paura di perderlo nell’attraversare il corridoio. In camera lo abbracciò nuovamente, le loro bocche si incontrarono ancora e, più in basso, anche i loro uccelli, tesi allo spasimo, si ritrovarono, uno a fianco dell’altro, rigidi e frementi.

      - Impaziente, eh?

      Ramón accompagnò la frase con una carezza al culo dei suoi sogni.

      - Senti chi parla!

      Ramón spinse Diego sul letto e vi salì anche lui, ma senza stendersi. Poi incominciò a percorrere il corpo di Diego con le labbra, baciando ogni centimetro quadrato di quella pelle, che portava i segni delle frustate e delle percosse. Giunse presto al boccone più saporito (come Diego aveva notato, c’era in Ramón una certa impazienza, che lo spingeva ad accelerare i movimenti) e lo prese in bocca.

          - Sergente!

      Ramón reagì assestando un buon morso, non eccessivamente forte (ci teneva troppo a quella salsiccia per divorarla), ma abbastanza da far gemere Diego. Ramón morse di nuovo, guardando di sottecchi Diego e questi infine disse:

      - Ramón!

      Ramón mollò la presa un attimo, per dire:

      - Così va meglio, Diego. Molto meglio.

      Poi si rimise al lavoro.

      - Ramón! Sto per venire!

      Ramón continuò con la sua opera e sentì la scarica riempirgli la bocca. Bevve, avidamente.

      - Ramón, Ramón… Io…

      Ramón si stese su Diego e lo baciò sulla bocca.

      - Ti amo, Diego.

      - Ramón, io non pensavo… tu…

      Diego non trovava le parole, ma Ramón lo aiutò.

      - Qui ho capito tante cose, Diego. Prima… perdonami, Diego.

      - Di che? Non ho nulla da perdonarti.

      Ramón lo baciò di nuovo. Troppo complicato spiegare, ora, ci sarebbe stato tempo. Ed il suo corpo faceva sentire sempre più forte la sua voce, il suo desiderio gli ardeva nel ventre, nell’uccello teso.

      - Diego…

      Diego sorrise, certo di aver capito.

      - Se ti sollevi un po’, mi metto a pancia in giù.

      - No, Diego. Questo poi. Ora voglio che mi prenda tu.

      Vide lo stupore sul viso di Diego. Lo baciò ancora sulla bocca, poi scivolò di fianco a lui, prono.

      - Al lavoro, fannullone. Non mi dire che non sei pronto.

      In effetti lo strumento di Diego era di nuovo pronto all’uso.

      - Accarezzami un po’, Diego. E magari mordimi anche.

      Diego eseguì, prima un po’ incerto, poi via via più sicuro. Fin troppo: alcuni morsi fecero gemere Ramón. Ma non li avrebbe voluti meno intensi. Ogni morso accendeva il suo desiderio.

      Le dita e la bocca di Diego si avvicinavano spesso all’ingresso posteriore, ma Diego sembrava esitare ogni volta, timoroso di spingersi troppo oltre. E quell’incertezza attizzava il fuoco che ardeva nel ventre di Ramón.

      - Dai, Diego, non ce la faccio più.

      Due dita umide. “Sta per incularmi. Diego sta per incularmi. Cazzo, che bello!” pensò Ramón Hierro. Ed in quel momento la spada lo trapassò, avanzando lentamente, ma sicura, prendendo possesso del suo corpo, cancellando per sempre quel coglione del sergente Hierro, che manteneva le distanze, ed appagando pienamente Ramón.

      Così, per sempre così. Il cazzo di Diego in culo, il corpo di Diego sul suo, i coglioni di Diego che premevano contro il suo culo, le mani di Diego che lo accarezzavano. Così. Non era la prima volta che qualcuno lo fotteva, ma quello che stava provando in quel momento, non lo aveva provato mai. Non c’era più Ramón Hierro, non c’era più Diego. C’era un unico essere che bruciava di un’unica fiamma.

      Gemette, forte, senza ritegno, senza cercare di nascondere il piacere che lo dilaniava, mentre Diego lo schiantava con una successione di spinte vigorose ed entrambi toccavano insieme il cielo.

 

Nuvole

 

      Quella sera parlarono e si amarono ancora, poi Diego, spossato, sprofondò nel sonno. E Ramón lo tenne stretto, osservandolo felice dormire.

      Come aveva previsto Gabriel, la luna di miele durò una settimana, o quasi, senza temporali. Solo ogni tanto una nuvola passava in cielo.

      Il mattino andavano in palestra e Gabriel faceva da istruttore. Ramón notò che il primo giorno Diego avrebbe voluto spaccare la faccia a Gabriel e questo lo fece sorridere: anche lui aveva provato lo stesso desiderio. Si disse che con il tempo Diego avrebbe avuto modo di conoscere meglio Gabriel e di apprezzarlo. Poi, di colpo, si rese conto che Diego non avrebbe avuto il tempo di conoscere meglio Gabriel, il tempo della vita di Diego, e della sua, era brevissimo. Il pensiero della morte di Diego gli diede una fitta. La prima nuvola.

HierroC      La seconda, di altro genere, passò nel pomeriggio, al campo di tiro a segno.

    L’istruttore fece mettere due bersagli e fece sparare dieci colpi a testa. Poi andò a controllare i risultati. Osservò prima il bersaglio di Ramón: continuavano ad esserci piccoli miglioramenti, ma il risultato non era molto diverso dalle volte precedenti. Chiunque avrebbe detto che Ramón era un discreto tiratore, nulla di più.

     Poi l’istruttore passò al bersaglio di Diego, dove tutti e dieci i fori erano nella parte centrale. L’istruttore guardò attentamente, controllò il numero di fori e poi commentò con un laconico:

      - Cazzo!

      L’istruttore cambiò il bersaglio, mettendone uno che aveva il cerchio centrale molto più piccolo, poi disse a Diego di sparare di nuovo dieci colpi.

      Diego eseguì. Ramón lo guardò, concentrato nel suo compito, e gli venne un desiderio violento di abbracciarlo, di baciarlo, lì, in quel momento. Si controllò.

      Quando Diego ebbe finito, l’istruttore osservò con cura i dieci fori, che si sovrapponevano gli uni agli altri, esattamente nel piccolo cerchio nero che era al centro del bersaglio. Li contò mettendoci sopra un dito, quasi a sincerarsi di non sbagliarsi. Poi ripeté:

      - Cazzo!!!!

      In realtà non era proprio una ripetizione, perché la a era più accentuata e dopo la o c’erano almeno quattro punti esclamativi.

      Si assentò un momento e quando ritornò annunciò:

      - Adesso tirerai ai piattelli che verranno lanciati da quel riparo. Ne verranno lanciati venti.

      Indicò con un gesto un muro di mattoni posto ad un’estremità del recinto.

      - Via!

      Il primo piattello salì quasi in verticale, ma non fece molta strada: Diego lo centrò quasi subito, mandandolo in briciole. Il secondo aveva una traiettoria obliqua, ma anche quello subì la stessa sorte ed i diciotto seguenti, benché lanciati in direzioni diverse, finirono tutti in pezzi.

      Ramón guardava l’istruttore e si sentiva orgoglioso, come se avesse insegnato lui a sparare a Diego. Diego, il suo Diego, stava facendo una prova magnifica.

      Quando Diego colpì il ventesimo piattello, l’istruttore aprì la bocca, ma era ad una certa distanza e Ramón non riuscì a sentire quello che diceva. Comunque lo sapeva: aveva detto “Cazzo!” Solo che la a doveva essere stata uno schiocco di frusta ed il numero di punti esclamativi si poteva rendere solo con qualche formula matematica complicata.

      L’istruttore si rivolse a Diego e gli disse:

      - Bene, qui non hai nulla da imparare e credo che tu possa passare direttamente al lavoro che ti aspetta dopo. Comunque complimenti, soldato. Uno come te non mi era mai capitato di vederlo.

      Mentre Ramón gongolava, l’istruttore si allontanò. Ritornò poco dopo, accompagnata da un soldato, che disse a Diego di seguirlo. Diego avrebbe incominciato la lezione sugli esplosivi in anticipo sul previsto.

      L’istruttore guardò Diego scomparire, scosse la testa, ancora incredulo, poi si voltò verso Ramón. L’espressione della sua faccia cambiò completamente. Sospirò, rassegnato, rimise al suo posto il bersaglio normale, e poi si mise di fianco a Ramón.

      - Dai, spara!

      Il tono di voce fu tale, che Ramón avrebbe volentieri usato l’istruttore come bersaglio ed era sicuro che avrebbe fatto anche centro, ma non poteva. Fu contento che Diego non ci fosse, perché se l’avesse avuto tra i piedi, in quel momento avrebbe preso a calci anche il suo grande amore. No, non anche il suo grande amore: solo il suo grande amore (ed eventualmente l’istruttore). A Ramón Hierro non piaceva fare la parte dell’incapace e sul campo di tiro Diego gliela faceva fare, alla grande.

      Ma come volerne a Diego? Quella sera Diego non ebbe bisogno di fare altro che arrivare sorridendo, per essere perdonato, ringraziato per il fatto di esistere, adorato (nonché spompinato ed inculato, ma questa è un’altra faccenda – o forse no, è la stessa faccenda).

      E quella stessa sera, in una pausa dell’attività a cui si dedicavano anima e corpo (è il caso di dirlo), passò la terza nuvola della giornata. Perché, proseguendo nel reciproco racconto di che cosa era successo nel periodo in cui erano rimasti separati, Ramón spiegò a Diego che cosa li aspettava. Diego non sapeva nulla e la sera prima c’erano state troppe cose da dire (e da fare, perché molto avevano parlato, ma non di sole parole vive l’uomo): Ramón aveva potuto evitare facilmente la domanda che Diego gli aveva fatto, rimandando a dopo la spiegazione. Il dopo era giunto.

      Diego accettò con serenità l’idea di morire per la patria, al fianco di Ramón, ma Ramón non poteva rassegnarsi al pensiero che quel corpo caldo che stringeva tra le braccia entro una settimana sarebbe stato un cadavere. E la nuvola che passò su di loro coprì completamente il sole per un buon momento.

      Le nuvole però, si sa, sono leggere ed inconsistenti. Il vento le trascina via, e la bocca di Diego (nonché altre parti del corpo di Diego, che qui è inutile specificare) fece tornare il sereno… o piuttosto scatenò una tempesta di altro tipo.

 

Ultimo giorno al Cerro

      Non fu una settimana. Furono solo sei giorni, perché nel pomeriggio del sesto giorno il capitano li convocò nel suo ufficio. Non perse tempo in preamboli, ma esordì subito con:

      - È questa notte.

      Ramón annuì, ma quando il suo sguardo si posò sul volto di Diego, attento e sereno, il dolore che gli esplose dentro gli parve intollerabile. Il capitano riprese:

      - Voi due uscirete dal forte per la strada che tu conosci già, Ramón. Sarete due prigionieri in fuga, quindi nudi. Due prigionieri che hanno ucciso una sentinella e sono riusciti a fuggire. Cercherete di raggiungere il confine, di superare il nostro posto di controllo senza farvi beccare, e vi consegnerete al posto di blocco nemico, chiedendo di parlare con il comandante del forte, con urgenza. Ogni secondo è prezioso.

      Il capitano fece una pausa, come per assicurarsi che loro due stessero seguendo il discorso, poi riprese:

      - Non vi porteranno dal comandante, ma se insistete abbastanza, vi porteranno al forte in jeep e parlerete con un alto ufficiale. A lui direte che siete in grado di catturare il capitano Contreras di Cerro del Diablo. Il capitano Contreras sono io.

      Ramón pensò che doveva essere un nome falso, come anche il grado non doveva essere quello vero. Ma non aveva nessuna importanza. Quello che contava era ciò che il capitano Contreras stava dicendo.

      - Vi crederanno, se siete abbastanza convincenti: vi siete presentati spontaneamente, non vi hanno catturato loro. Comunque vi lasceranno provare, tanto a loro non costa niente: le armi, un po’ di corda, qualche soldato. Vi farete riaccompagnare al confine, lo passerete di nuovo, con alcuni dei loro, e arriverete qui. Risalirete lungo la corda, percorrerete il corridoio ed arriverete alla torretta di guardia. Mi troverete lì. Mi stordirete e mi trascinerete con voi. Mi calerete con la corda e poi i soldati mi condurranno al forte di Puerta de la Haz. Fin qui è tutto chiaro?

      Ramón annuì. Poi chiese:

      - E se decidessero di salire anche i soldati? Noi non potremmo opporci.

      - Certo, è per quello che mi troverete alla torretta, perché in questo caso mi cattureranno loro.

      Fu Diego ad intervenire:

      - Ma come facciamo a sapere che non manderanno molti soldati... Potrebbero tentare un colpo di mano…

      Il capitano scosse la testa.

      - Non c’è tempo per organizzare un’azione: non si prende questo forte con una ventina di uomini e non possono mandarne cento o duecento ad issarsi con la corda. Sanno benissimo che una volta dentro non potrebbero fare granché. Comunque sarà tutto predisposto in modo che, se superano la torretta, siano subito scoperti. Quindi voi non preoccupatevi, se vogliono entrare anche alcuni di loro, benissimo. Dovete solo fargli credere che sapete che questa notte, verso le tre, io sarò alla torretta ovest, che me l’avete sentito dire ad uno dei soldati. Mettetevi bene d’accordo su quello che direte, ma non ci sarà il tempo per verificare le vostre affermazioni, se vogliono catturarmi.

      Ramón annuì. Era tutto chiaro, ma perché il capitano voleva che lo consegnassero ai nemici?

      - Insieme ai soldati, mi porterete al forte e mi consegnerete. La vostra parte per quel che riguarda me potrebbe finire lì, ma è molto probabile che vi usino per torturarmi ed umiliarmi, cercando di piegarmi: possono supporre, giustamente, che essere torturato o magari fottuto da due prigionieri del forte, due traditori della mia patria, sarà un’umiliazione molto più grave.

      Il capitano sorrise:

      - In questo caso potrete vendicarvi un po’ per tutto quello che avete passato.

      Ramón non disse nulla. Era stupefatto ed ancora non riusciva a capire il perché di quel suicidio, perché di questo si trattava, del capitano.

      - Io resisterò a lungo, poi rivelerò tutte le informazioni che devo rivelare. A quel punto, loro agiranno di conseguenza, sposteranno le truppe e, come hanno comunque intenzione di fare, dichiareranno guerra.

      Ramón pensò che il capitano intendeva fornire informazioni false, che avrebbero indebolito le difese del nemico.

      - Voi saprete dello scoppio della guerra, ovviamente, perché tutti ne parleranno. Dovete agire quella stessa notte, perché prima dell’alba uccideranno tutti e tre: non vogliono nessun testimone, nessuno che possa dire di aver rapito un capitano nemico in tempo di pace, violando ogni regola. Ed ovviamente a quel punto io non servo più. Per cui prima dell’alba vi fucileranno o impiccheranno ed uccideranno anche me. Ma se la vostra missione è andata bene, il mattino il forte non esisterà più. Come avrete capito, voi dovete far saltare il deposito di munizioni.

      Ramón scosse la testa:

      - Ma non ci lasceranno avvicinare al deposito. È di certo la zona meglio sorvegliata del forte. E due traditori…

      Il capitano lo interruppe:

      - In primo luogo, voi cercate di conquistare la loro fiducia, in tutti i modi. In tutti, chiaro?

      Che cosa intendeva il capitano? Dovevano dare via il culo perché quelli si fidassero di loro? Potevano anche farlo, ma chi si fida di due traditori?

         Il capitano proseguì, sorridendo:

      - In secondo luogo, c’è qualche cosa che voi non sapete. E che nemmeno loro sanno. La Puerta de la Haz fu in mano nostra per sei mesi, dodici anni fa…

      Il capitano tirò fuori una carta ed incominciò a spiegare. Ramón seguì. Era una pazzia. Tutto quel piano era una pazzia. Ma era l’unica carta da giocare per vincere una guerra persa in partenza, per evitare che i gringos si impadronissero delle miniere e mettessero il Paese in ginocchio.

 

      Quando il capitano ebbe finito, si rivolse a Diego:

      - Hortelano, in questa missione può capitare che uno di voi due debba sacrificarsi per permettere all’altro di portare a termine il compito. La missione è affidata a Hierro, per cui, se vi trovate in questa situazione, tocca a te farlo.

      Diego rispose, senza esitare:

      - Sì, signor capitano.

      - Chiaro, Hierro?

      Hierro annuì. Certo, il capitano sapeva benissimo che Diego si sarebbe fatto ammazzare senza la minima esitazione per salvarlo, ma sapeva anche che lui, Ramón Hierro, avrebbe dovuto fare appello a tutto il suo senso del dovere per non cercare di salvare Diego.

      - Ora tornate in camera. Mettetevi bene d’accordo su quello che direte e poi cercate di riposare, perché questa notte non dormirete neppure un minuto.

      Ramón e Diego tornarono in camera.

      Non riposarono. Nessuno dei due ne aveva la minima voglia. Rimasero per un po’ sul letto, distesi su un fianco, strettamente abbracciati, a stabilire quello che avrebbero detto, a rivedere ogni parte del piano, a chiedersi se quella follia aveva un senso, se c’era una qualche remota possibilità di successo.

      Era l’unica possibilità per il loro Paese, in quella sporca guerra che si preparava. E dipendeva da loro. Era praticamente impossibile. Ma dovevano riuscirci.

      Poi parlarono del capitano.

      - È un uomo strano. L’ho odiato, davvero. È un bastardo. Ma se penso che va a farsi torturare, a morire, che ha architettato questo piano…

      - Tanto di cappello, Ramón. Lo ammiro, ma non mi piace.

      Ramón ridacchiò. Stare abbracciato a Diego gli faceva, come sempre, un certo effetto, e ora che avevano finito di prepararsi alla missione, c’era giusto il tempo per dedicarsi alla loro attività prediletta.

      - Spero bene che non ti piaccia! Ci mancherebbe solo questa!

      Diego rise anche lui.

      - Però, a ripensarci meglio…

      - Sciagurato!

      Ramón morse l’orecchio di Diego.

      - Sì, a pensarci bene, non è poi così male…

      Ramón allungò una mano a pizzicargli il culo, con un vigore che strappò un lamento a Diego.

      Ramón allentò la presa e Diego ne approfittò per girarsi. Ora la sua schiena aderiva al corpo di Ramón, in un invito che non aveva bisogno di parole.

      Ramón pensò che probabilmente era l’ultima volta che avrebbero fatto l’amore. Se fossero riusciti ad arrivare al forte nemico, non avrebbero avuto molte occasioni di rimanere da soli, loro due, in un luogo sicuro: anche se fossero stati creduti, facilmente sarebbero stati messi sotto sorveglianza, o magari mandati con gli altri soldati, oppure separati.

      Ramón incominciò ad accarezzare il corpo di Diego, centimetro per centimetro, come se le sue mani volessero imparare a memoria quel corpo che non avrebbero più avuto occasione di percorrere. Poi la sua bocca seguì le mani, muovendosi per quel corpo amato. Ed infine il desiderio avvampò troppo forte per essere ancora contenuto.

      Bruscamente, cedendo ad un bisogno imperioso, si staccò da Diego, lo fece stendere a pancia in giù sul letto, contemplò un attimo la schiena possente, il culo forte, le gambe aperte per facilitargli l’ingresso. Non era più in grado di reggere e sentiva che il corpo di Diego vibrava della stessa impazienza.

      Con le mani divaricò le natiche di Diego, guardò ammaliato l’apertura che gli si offriva ed entrò, signore assoluto e schiavo di quel corpo che vibrava con il suo.

      A lungo rimase dentro Diego, muovendosi appena, per evitare che il desiderio impetuoso lo travolgesse. Mordicchiò la nuca di Diego, gli passò la lingua dietro l’orecchio, con le dita accarezzò la pelle di Diego, dalle cosce al viso. Poi la sua mano si infilò tra il corpo di Diego ed il lenzuolo e trovò quanto cercava. Ne sentì la consistenza, la tensione. Ed allora capì che non era più in grado di reggere, anche se avrebbe voluto rimanere così per tutta la vita. Tutta la vita… un tempo molto breve, ormai. Spinse, spinse con forza, per cancellare il pensiero della morte, la morte sua, la morte di Diego, la fine del loro amore. Spinse ed il piacere che gli esplose con lampi abbaglianti nel cervello lo scaraventò lontano, lontano dal Cerro del Diablo, lontano dal mondo, ma stretto a Diego che, lo sentiva, era anche lui proiettato lontano, in quell’abbraccio che cancellava tutto.

      Quando infine il piacere li lasciò spossati, Ramón si disse che erano stati sei giorni: la loro luna di miele era durata sei giorni. Uno in meno di quanto aveva detto Gabriel. Ramón sembrava che togliendogli quel giorno avessero commesso un’ingiustizia ben peggiore di quella che avevano commesso mandandolo a Cerro del Diablo (dove peraltro, in quegli ultimi sei giorni, lui era stato meglio che in qualsiasi altro posto al mondo).

 

La cattura

      Erano appena le dieci, quando si calarono lungo la corda. Ramón scese per primo e tenne ferma la corda per Diego.

      Ramón fece strada: era già uscito due volte dal forte attraverso quella botola e sapeva benissimo com’era il terreno lì intorno. Avrebbero cercato di seguire la carrozzabile che portava a Puerta de la Haz, anche se il pericolo di incontrare una pattuglia era maggiore lungo la strada: dovevano fare il più in fretta possibile.

      Camminarono sul ciglio della strada, all’ombra della vegetazione. Ogni qual volta il terreno lo permetteva, si tenevano più in alto, tra la vegetazione che copriva la parete, o più in basso, sulla riva del fiume.

      Dopo un’ora di marcia, giunsero vicino al posto di frontiera: potevano vedere le luci che illuminavano la strada, con le sbarre ed i cavalli di Frisia. Gli edifici ai lati della strada erano invece in ombra. Lì dovevano procedere con particolare cautela, perché la sorveglianza era continua, ma aggirare gli edifici senza farsi notare non era un compito difficile. Il posto di blocco serviva per controllare la strada e fermare automobili o camion (per non parlare dei carri armati, ovviamente), più che per evitare il passaggio di qualche soldato isolato. Tanto, due uomini a piedi avrebbero benissimo potuto prendere uno dei tanti sentieri della montagna, come quello che Ramón e Gabriel avevano seguito per arrivare sopra al forte nemico.

      Si tennero lungo la riva del fiume, che scorreva impetuoso: anche se avessero prodotto qualche rumore, facendo cadere un sasso o spezzando un ramo, lo scroscio della corrente l’avrebbe coperto. Furono poi costretti a risalire, perché la riva del fiume diventava quasi verticale, e passarono molto vicino ad un edificio, da cui però non provenivano voci. Ad un certo punto sentirono qualcuno che parlava, ma abbastanza lontano.

      Ben presto furono oltre il posto di guardia e si diressero rapidi verso quello nemico. Dovevano riuscire a contattare l’ufficiale responsabile della postazione e farsi portare al forte in jeep.

      Quando videro le luci del posto di guardia nemico, si avvicinarono con cautela. Dovevano annunciarsi, non farsi catturare: se li avessero sorpresi, loro due sarebbero apparsi molto meno credibili, sarebbero stati due uomini sospetti appena catturati, che cercavano una qualche scusa per scappare.

      Nessuno li avvistò. Ben presto furono abbastanza vicino al posto di blocco da poter vedere, dove l’ombra era fitta, il puntino luminoso di una sigaretta fumata da una sentinella: era una palese infrazione al regolamento, perché rendeva la sentinella un bersaglio, ma la guerra non era ancora scoppiata, le spie non scelgono di solito di passare ai posti di blocco ed il soldato di guardia se ne sbatteva del regolamento.

      - Sentinella!

      Videro il punto di luce spostarsi e poi scomparire in un attimo, mentre il soldato evidentemente scagliava lontano la sigaretta o la lasciava cadere a terra.

      - Fermo o sparo! Parola d’ordine.

      L’uomo non poteva vederli, ma poteva intuire la posizione in cui si trovavano dalle loro voci.

      - Non abbiamo parola d’ordine. Siamo in due, veniamo dal Cerro del Diablo e dobbiamo parlare subito con l’ufficiale responsabile.

      - Non vi muovete o sparo.

      Qualcun altro doveva essere uscito, sentendo le voci, perché ci fu un bisbigliare. Subito dopo si sentì una voce che diceva:

      - Venite avanti verso la strada, alla luce, a braccia bene alzate.

      - Va bene.   

      Ramón e Diego alzarono le braccia e si mossero, entrando nell’area illuminata. Ora erano sotto il tiro dei fucili puntati su di loro e Ramón sperò che i soldati non fossero troppo nervosi. Il vederli nudi e disarmati però li avrebbe tranquillizzati.

      - Venite ancora avanti.

      Ora i soldati erano vicini e loro due potevano vederne le sagome, anche se non ne distinguevano i tratti.

      - Chi siete? Che cosa volete?

      - Siamo due prigionieri di Cerro del Diablo, siamo scappati un’ora fa e dobbiamo parlare subito con l’ufficiale responsabile, perché abbiamo un’informazione importante da dare.

      Li fecero avvicinare ancora e girare, in modo da vederli, ma ovviamente loro due non potevano nascondere armi, a meno che non le avessero messe in bocca o su per il buco del culo, ma in nessuno dei due casi doveva trattarsi di armi molto pericolose.

      Quattro soldati li scortarono dall’ufficiale responsabile del posto di guardia, un tenente. Gli dissero che erano in grado di far catturare un ufficiale che aveva una posizione di primo piano nel forte, ma che non dovevano perdere un minuto di tempo. L’ufficiale telefonò al forte, si consultò con qualcuno e, nemmeno un quarto d’ora dopo il loro arrivo, i due prigionieri erano su una jeep diretta al forte.

      Alla Puerta de la Haz la faccenda fu più complessa, perché i tre ufficiali con cui parlarono, uno dopo l’altro, volevano sapere chi era l’ufficiale che loro si vantavano di poter catturare. Ramón insistette per parlare con il comandante del forte, ma il terzo ufficiale, un capitano, si rifiutò di chiamare il comandante senza sapere di che cosa si trattava. Allora Ramón sbottò, come se fosse esasperato:

      - È quel figlio di puttana del capitano Contreras, ma se perdiamo ancora altro tempo, non ce la faremo mai a prenderlo. Dobbiamo essere al Cerro in meno di due ore, se vogliamo farcela. E dobbiamo essere armati, avere i soldati per trasportarlo fino qui…

      Ramón continuava a parlare, ma aveva colto subito, dall’espressione del capitano, che aveva fatto centro. Il capitano lasciò quasi subito la stanza, evidentemente per andare a parlare con il comandante del forte. Mezz’ora dopo un gruppo di dieci soldati li accompagnava in jeep fino al posto di blocco.

      Ramón e Diego avevano ricevuto di che vestirsi, ma non le armi, che sarebbero state date loro solo sotto il forte.

      Al posto di blocco scesero dalle jeep ed un soldato li guidò, lungo sentieri nascosti, fino al Cerro del Diablo.

      La corda era ancora lì dove l’avevano lasciata, come doveva essere. Certo che se non ci fosse più stata, loro due sarebbero stati in un bel guaio! I dieci soldati si fermarono a poca distanza dalla corda. Il sergente che li guidava consegnò a Diego e Ramón le pistole ed un pesante manganello. In uno zainetto Diego aveva un bavaglio, un paio di manette ed una corda.

      Ramón incominciò ad issarsi lungo la corda, seguito da Diego.

      Il locale era buio, ma conoscevano la strada da seguire. Percorsero il corridoio ed uscirono. La torretta era a fianco della porta. Uscirono in perfetto silenzio. Ramón aveva il manganello in mano, Diego la pistola.

      Il capitano era nella torretta, che guardava da una delle finestrelle. Li sentì entrare e si voltò. Non ebbe il tempo di dire nulla, perché il manganello si abbatté sulla sua testa come una mazza ed il capitano cadde al suolo.

      Ramón aveva colpito con decisione, sapeva di dover lasciare il segno, anche se non doveva ammazzarlo. Il capitano gemeva, piano, ma in un attimo Diego lo imbavagliò e poi gli ammanettò le mani dietro la schiena.

      Trascinarono il capitano, prendendolo sotto le ascelle, fino alla botola. Poi lo legarono e lo calarono. Quando anche loro due arrivarono a terra, il capitano era già stato messo su una lettiga ed i soldati che la trasportavano si stavano allontanando rapidamente. Il sergente si fece consegnare le armi e li fece passare davanti.

      Prima dell’alba erano di nuovo alla Puerta de la Haz.

     

Preliminari all’interrogatorio

      Il sergente li accompagnò in una stanza. Era un locale piuttosto piccolo, con due letti affiancati, un tavolo ed una sedia. L’unica finestrella era sbarrata da un’inferriata.

      - Potete riposare qui: non siete prigionieri, ma finché il comandante non vi avrà interrogato, non potrete uscire.

      Sentirono che la porta veniva chiusa a chiave dall’esterno. Non si stupirono, ma Ramón si lamentò:

      - Ecco, gli abbiamo portato un pezzo da novanta e questi stronzi ci chiudono in cella!

      - Bah, che ce ne frega? Domani ci faranno uscire. E adesso mi butto a dormire, perché crepo di sonno.

      Com’erano d’accordo, anche in quel momento in cui erano soli, parlavano come se qualcuno avesse potuto sentirli: non volevano correre il rischio di tradirsi, se ci fosse stato qualche soldato intento a spiarli.               

      Diego si spogliò e si gettò sul letto. Ramón si spogliò anche lui e girò l’interruttore. La stanza piombò nel buio. Ramón avrebbe voluto stendersi sul letto di Diego, abbracciarlo e dormire così, ma era più saggio dormire separati: se qualcuno li avesse sorpresi avvinghiati, avrebbero potuto decidere di punirli o separarli, riducendo la loro libertà d’azione (peraltro già scarsa, se intendevano continuare a tenerli in una stanza chiusa a chiave dall’esterno). Mugugnando, si avvicinò a tentoni al proprio letto e vi si stese.

      Stava per addormentarsi, perché era quasi l’alba e non avevano ancora chiuso occhio, quando sentì che qualche cosa si muoveva sul suo letto e la mano di Diego gli sfiorò la faccia. Le dita abbozzarono una carezza, poi la bocca di Diego fu sulla sua.

      Appena un attimo, il tempo di un bacio furtivo, poi Diego si staccò e si stese sul suo letto.

      Ramón rimpianse quel contatto perduto, ma non dovevano correre rischi. Sarebbero morti presto, ma sarebbe stato da idioti rischiare di far fallire la missione, morire per nulla. Sarebbe stato da idioti, Ramón continuava a ripeterselo, mentre sentiva il respiro regolare di Diego, che era sprofondato rapidamente nel sonno. Sarebbe stato da idioti, ma vallo a far capire a quella picca incandescente che gli bruciava tesa contro il ventre. A quell’affare lì era difficile far intendere ragione, era proprio un idiota, una testa di cazzo!

      La tensione saliva e Ramón si chiese se non farsi una sega, per calmare un po’ l’arsura, ma farsi una sega quando aveva Diego a due passi…

      Di scatto si alzò, ma quando fu in piedi di fianco al letto di Diego, si disse che era proprio una testa di cazzo e tornò a stendersi.

      Con uno sforzo cercò di cancellare dalla mente il pensiero di Diego (con Diego lì vicino era un’impresa disperata scordarlo, anche solo per il tempo necessario ad addormentarsi), poi si sforzò di eliminare ogni pensiero ed infine sprofondò nel sonno.

      Gli sembrava di essersi appena addormentato, quando lo svegliò il rumore della porta che veniva aperta. Ma dovevano essere passate alcune ore, perché era ormai giorno pieno.

      - Preparatevi, perché tra dieci minuti vi vengono a prendere.  

      Avevano appena finito di lavarsi, quando arrivarono due soldati. Durante il percorso, Ramón scambiò due parole con Diego, fingendo di non essere minimamente interessato al posto in cui si trovava, ma in realtà cercava di fissarsi ogni dettaglio in testa. Sapeva che Diego stava facendo lo stesso. Non gli fu difficile capire dove si trovava, perché riconobbe due torrette affiancate che aveva visto quando era venuto ad osservare il forte.

      Dal punto in cui si trovavano al deposito delle munizioni, c’era un bel pezzo di strada. Non sarebbe stato facile arrivarci, anche se conoscevano la pianta del forte ed avevano una carta segreta da giocare.

      I due soldati li accompagnarono in un piccolo cortile interno. Al centro del cortile c’era il capitano, circondato da tre soldati e due ufficiali. Lo avevano spogliato e gli avevano incatenato le braccia ad un palo orizzontale di legno, posto poco sopra la sua testa.

      Dovevano aver incominciato a torturarlo subito dopo il suo arrivo, perché il capitano aveva parecchi segni di colpi, in diversi punti del corpo, oltre al vasto ematoma alla tempia, frutto del colpo che gli aveva dato Ramón. Ma era ancora ben fermo sulle gambe. Quando li vide arrivare, li fulminò con un’occhiata carica d’odio. Ramón rispose con un ghigno.

      Uno dei soldati era a torso nudo ed aveva in CerroCapitanoFrustatomano una frusta.

      - Vedi un po’ di ammorbidirgli la schiena, Albornoz.

      Il soldato Albornoz non si fece ripetere l’ordine del tenente ed incominciò a frustare il capitano. Albornoz era un toro ed i colpi che menava sulla schiena del capitano dovevano essere micidiali.

      Ramón vide che il capitano si sforzava di rimanere impassibile, stringendo i denti, ma, man mano che la fustigazione procedeva e la pelle si spaccava sotto i colpi, per il capitano era sempre più difficile nascondere al propria sofferenza.

      Ramón passò dietro il capitano e guardò la schiena coperta di segni rossi. In più punti il sangue colava e Ramón si chiese per quanto tempo ancora il capitano avrebbe retto. Ma quello aveva i coglioni di acciaio ed avrebbe ceduto solo sul punto di crepare.

      Il capitano sudava copiosamente e sulla schiena sudore e sangue si mescolavano, colando verso il culo massiccio.

      Il tenente osservava anche lui la schiena a scacchi del capitano. Ad un certo punto parlò.

      - Passa al culo, Albornoz.

      Albornoz non si fece ripetere l’ordine ed il braccio, già sollevato al momento in cui l’ufficiale aveva parlato, si abbassò in modo che la frusta lasciasse un bel segno rosso sul culo del capitano. Ramón guardò Albornoz. Il lavoro che stava facendo lo faceva sudare come un dannato: era rosso in viso, rivoli di sudore gli colavano lungo il torace, inzuppandogli i pantaloni. Ed il rigonfio massiccio sul davanti indicava chiaramente che la fustigazione lo eccitava (ed anche che era piuttosto dotato).

      Il culo del capitano divenne rapidamente a strisce come la schiena ed il sangue prese a scendere dalle lacerazioni, ma il capitano rimaneva in piedi.

      - Ora davanti, Albornoz.

      Albornoz passò davanti ed incominciò a menare gran colpi sul torace del prigioniero. Un colpo più violento al ventre vinse infine la resistenza del capitano Contreras, che barcollò. Mentre il sangue sgorgava abbondante, le gambe del capitano cedettero ed egli si afflosciò. Le corde che lo legavano al palo gli impedirono di cadere a terra ed il capitano rimase sospeso per le braccia.

      - Mi sembra che stia male. Lezana, curagli un po’ le ferite.

      Uno dei soldati prese un secchio ed una spugna e si avvicinò a capitano. Immerse la spugna nel secchio ed incominciò a passarla sulla schiena del capitano. Questi ebbe un guizzo disperato. Il liquido doveva contenere sale e magari qualche altra sostanza urticante, perché ogni volta che il soldato passava la spugna sulle ferite, il capitano digrignava i denti e si tendeva tutto. I violenti spasmi del capitano provocavano le risate dei soldati e di Lezana, che proseguì il suo lavoro con cura.

      Il dolore ebbe infine la meglio sullo sfinimento, risvegliando completamente il capitano, che, con fatica, si rialzò sulle gambe. Aveva perso l’espressione di sfida di prima, ma era evidente che non aveva nessuna intenzione di cedere.

      Ramón pensò che non avevano fatto nessuna domanda al capitano. Probabilmente sapevano che tipo era e per il momento si limitavano a cercare di renderlo più malleabile. Il momento dell’interrogatorio sarebbe venuto dopo. A Ramón non era chiaro perché li avessero fatti venire lì: dovevano solo fare da spettatori, contribuendo all’umiliazione del capitano?

          Avrebbe avuto modo di scoprirlo presto.

 

Pan per focaccia

      In quel momento arrivò un sergente, che fumava un grosso sigaro. Non disse nulla, ma si mise davanti al capitano e gli sbuffò il fumo in faccia. A Ramón venne quasi da ridere: se pensavano di piegare il capitano con il fumo del sigaro, avevano sbagliato i conti. Ma il mezzo sorriso di Ramón si spense in fretta, quando il sergente, con un gesto tranquillo, come se spegnesse il sigaro nel portacenere, ne appoggiò la punta sull’ombelico del capitano.

      Il capitano ebbe un guizzo, mentre il sigaro si spegneva sulla sua carne, e la smorfia di dolore che gli apparve sul viso non era certamente simulata.

      - Oh, mi si è spento il sigaro!

      Un soldato si avvicinò, accese un fiammifero e lo porse al sergente, che riaccese il sigaro.

      Il sergente tirò due boccate, sempre soffiando il fumo sulla faccia del capitano, poi avvicinò il sigaro all’ombelico del prigioniero e di lì scese lungo il ventre, fino a spegnerlo tra i peli subito sopra il grande uccello. Il capitano non emise neppure un gemito, ma tutti i muscoli del viso gli si tesero.

      Il soldato si avvicinò immediatamente ed il sigaro venne di nuovo acceso.

      Dopo aver tirato un’unica volta, il sergente passò la punta del sigaro sul torace del capitano, da un capezzolo all’altro e poi l’appoggiò con forza sul capezzolo destro. Questa volta il capitano non riuscì a soffocare completamente un urlo, che uscì come un gemito strozzato.

      Il sergente si fece riaccendere il sigaro e fumò per un buon momento, continuando a fissare il capitano. Questi ricambiava lo sguardo del suo aguzzino, ma tutto il suo corpo era in tensione, in attesa del nuovo sfregio.

      Il sergente abbassò il sigaro e lo appoggiò delicatamente sullo scroto. Poi premette con forza e lo spense contro uno dei testicoli del capitano. Questi ebbe nuovamente un sussulto e per un attimo parve sul punto di svenire.

      Il sergente proseguì, con un’aria assolutamente indifferente e facendo ogni tanto qualche commento ironico:

          - Mi lamenterò allo spaccio, questo sigaro non vale un cazzo, si spegne sempre.

      E spegneva il sigaro sull’altro capezzolo.

      - E poi ha un cattivo odore.

      E lo premeva contro un’ascella del capitano.

      Ad un certo punto dovette buttare via il sigaro e ne prese un altro. Allora passò dietro il capitano e lo spense quattro volte: due sulla sacca dei coglioni, una subito dietro la sacca ed infine l’ultima esattamente contro il buco del culo del capitano.

      Ramón si chiese se il capitano aveva un’idea di quello che avrebbe passato, quando aveva progettato quel piano, ma sapeva che il capitano aveva le idee chiarissime.

      Ramón lo guardò in faccia, un viso sfigurato dal dolore, goccioline di sudore che scendevano, la bocca aperta  e gli occhi spenti. Lo vide ondeggiare e poi crollare.

      L’ufficiale diede un ordine ed il capitano venne slegato. Cadde a terra come un sacco, incapace di reggersi.

      - E si mette a dormire? Bisogna svegliarlo. Su pisciategli addosso.

      Il comando non era rivolto a nessuno in particolare, ma Ramón giudicò meglio unirsi ai soldati che si avvicinavano al capitano. Estrasse l’uccello, imitato da Diego, e contribuì a fare una bella doccia al capitano. L’unico a non collaborare fu il fustigatore: ce l’aveva ancora duro.

      Il capitano agitò la testa e si scosse. Li guardò con odio.

      - Portatelo dentro. Lezana, Modica, voi, andate a prendere il cavallo.

      I soldati sollevarono il capitano per le braccia e lo trascinarono all’interno di un edificio.

      Ramón si chiese che cosa intendessero fare. Attaccare il capitano ad un cavallo e farlo trascinare per il cortile? Ma allora perché portavano il capitano dentro?

      Ramón e Diego seguirono gli altri soldati dentro l’edificio. Quando il capitano venne deposto sul pavimento, vicino all’ingresso, l’ufficiale mandò fuori tutti gli altri soldati. Poco dopo Ramón vide ritornare i due soldati con un cavallo, che però non era un destriero, ma l’attrezzo ginnico.

      Ad un ordine del tenente, i due soldati trascinarono il capitano fino all’attrezzo, che aveva più o meno la lunghezza del suo tronco: le gambe, che sporgevano, furono legate con cura alle due gambe posteriori dell’attrezzo e le braccia alle gambe anteriori. In questo modo il culo era ben aperto.

      Ramón, che si trovava esattamente dietro il capitano, poteva vedere i muscoli possenti del culo del capitano e la vista di quell’apertura, esposta senza difese, stuzzicò il suo arnese. 

      Il tenente osservò compiaciuto il risultato dell’operazione. Poi parlò.

      - Il nostro capitano non vuole parlare, è timido, si vergogna, così in pubblico, ma adesso lo incoraggiamo un po’ noi, con qualche spinta. E chi meglio può farlo dei suoi uomini? I suoi uomini che gli vogliono bene e sono impazienti di dimostrarlo.

      Bene, toccava a loro. D’altronde era chiaro fin dal principio che quei bastardi non li facevano assistere perché non si annoiassero. Contavano su di loro per umiliare il capitano e contribuire a piegarlo. Che cosa c’era di peggio per un ufficiale che essere fottuto da due dei suoi uomini, per di più due traditori? Ramón sapeva benissimo che quella era considerata l’umiliazione più atroce e proprio per questo veniva ampiamente utilizzata per piegare spie e prigionieri che si voleva far parlare. A lui l’idea di fottere il capitano non spiaceva per niente: poteva rendergli pan per focaccia. E poi quel culo robusto era davvero invitante.

      - Lopez, mettiti dietro, che gli dai qualche spinta.

      Ramón non esitò. Si collocò dietro al capitano e guardò quel grosso culo muscoloso che gli si offriva. Si chiese se il capitano se l’era mai preso in culo in vita sua. Conoscendolo, non gli sembrava probabile. Sarebbe stato il primo e l’ultimo, con ogni probabilità, a meno che il tenente non decidesse di farlo fare anche Diego o ad altri soldati.

      Guardando quel bel culo, forte, con le natiche ben tornite (anche se alquanto segnate dalle frustate), una peluria grigia che saliva fino alla vita, Ramón fu presto pronto all’azione.

      Intanto, ad un ordine del tenente, due soldati misero in bocca al capitano una specie di anello di ferro che lo costringeva a tenerla spalancata.

      - Hortelano, tu dagli da bere, che ha sete.

      Diego rise, un riso che a chiunque altro sarebbe apparso sincero, ma a Ramón suonò falso, perché lui conosceva la vera risata di Diego.

      - Sarà un vero piacere, signor tenente!

      Diego estrasse il suo uccello dai pantaloni ed a quella vista Ramón fu più che pronto. Ramón aprì anche lui i pantaloni, mettendo in mostra (ed offrendo a Diego, ma questo lo sapevano solo lui e Diego) il suo arnese, ormai rigido come una spranga di ferro ed alquanto impaziente.

      - Bene, capitano del cazzo, ora ti gusti il mio, di cazzo.

      Sapeva che doveva entrare da padrone, senza cautele, ed afferrò le natiche con le mani, stringendo bene con le dita. Le allargò, in modo da mettere ancora più in evidenza il buco peloso che si apriva nel solco. Guardò i segni dell’ustione e pensò che questo avrebbe reso l’ingresso ancora più doloroso per il capitano. Avvicinò all’apertura la punta del suo uccello.

      Anche Diego era pronto e la sua mazza era davanti alla bocca del capitano, che l’anello teneva spalancata.

      Si fecero un cenno ed entrarono entrambi. Il palo di Diego soffocò il gemito provocato dall’ingresso, ben più doloroso, del palo di Ramón.

      La sensazione del proprio uccello che penetrava in quelle profondità inesplorate fu piacevolissima. Ramón spinse fino in fondo, con un colpo solo, poi fissò Diego, gli sorrise e, senza che avessero bisogno di dirsi nulla, incominciarono a manovrare la sega a due manici come un sol uomo, avanti e indietro, avanti e indietro.

      Il capitano, che quella doppia lama scavava, si contorceva, cercando di liberarsi dai lacci che lo tenevano bloccato. Fatica sprecata: alla Puerta de la Haz i nodi sapevano farli bene. Questo Ramón l’avrebbe imparato presto, molto presto.

      Vennero contemporaneamente e a Ramón fece davvero piacere: era un po’ come se avesse scopato con Diego.

      La voce del tenente lo riscosse:

      - Ora che la strada è stata aperta, al nostro capitano magari piace gustare qualche cosa di più sostanzioso.

      Ramón si sentì offeso: che cazzo voleva dire, qualche cosa di più sostanzioso? D’accordo, lui non era un mulo, ma il suo attrezzo era di tutto rispetto!

      Quando vide il bastone che il tenente teneva in mano, capì. Era una specie di piccola mazza da baseball. Piccola, in confronto ad una normale mazza da baseball, ma rispetto alla dotazione personale di Ramón (e di qualunque altro maschio che non fosse un fenomeno da baraccone), beh, sì, decisamente più sostanziosa.

      Il tenente passò il bastone al soldato Modica, che aveva un secchio. Costui prese il bastone e ne immerse la punta nel secchio. Poi lo estrasse e Ramón vide che dalla punta del bastone colava un liquido denso, simile all’olio. Probabilmente lo avevano unto per rendere possibile l’ingresso, ma non era solo quello, Ramón ne era certo.

      Modica appoggiò il bastone sul culo del capitano, poi lo fece scendere lungo il solco, fino a trovare l’apertura e con la punta premette. Ramón vide il capitano tendersi nuovamente, nello sforzo di liberarsi dalle corde che lo bloccavano.

      Il soldato fece ruotare il bastone e, mentre lo faceva girare, incominciò a spingere. Il capitano sollevò la testa di scatto, il viso deformato in una smorfia di dolore e rabbia.

      Ci fu un buon momento in cui il bastone non avanzò, poi, di colpo, Ramón lo vide affondare nel culo del capitano. Era un movimento lento, accompagnato dalla rotazione che il soldato imprimeva, ma l’effetto doveva essere dirompente, perché il capitano cercava disperatamente di scrollarsi di dosso le corde ed i suoi movimenti erano tanto frenetici che ai polsi la pelle si lacerò ed incominciò a colare un po’ di sangue.

      Il bastone affondava, inesorabile, ed il viso del capitano era una maschera di tormento e di furia. Il corpo del capitano opponeva resistenza, ma il bastone continuava ad avanzare ed a scavare.

      Il rumore di un liquido che scorreva attirò l’attenzione di Ramón: tra le gambe del capitano colava un liquido giallo scuro. La pressione del palo ed il dolore gli avevano tolto il controllo della vescica.

      Il capitano era sul punto di svenire, quando il tenente fece un cenno ed il soldato si fermò. Almeno la metà della mazza era saldamente infilata nel culo del capitano, il cui corpo tremava. Non era paura, di questo Ramón era certo. Era il dolore e probabilmente l’effetto del liquido in cui il bastone era stato immerso.

      I soldati che erano al lavoro sul capitano ricevettero il cambio ed andarono a mangiare. Su ordine del tenente, anche Ramón e Diego furono accompagnati alla mensa, ma furono fatti sedere ad un tavolo a parte. Possibilità di fraternizzare, nessuna. A Ramón scocciava per la missione, anche se… l’idea che qualcuno fraternizzasse troppo con Diego, che avrebbe pure dovuto mostrarsi disponibile per il bene della missione, a Ramón proprio non andava giù. Era diventato molto più duttile, ma c’è un limite a tutto!

 

La preparazione continua

 

      Dopo pranzo li riaccompagnarono dal capitano. Era ancora bloccato sul cavalletto, rivoli di sudore scorrevano sul suo corpo e le labbra erano spaccate per la sete. Dal culo sporgeva il bastone ed ogni tanto un tremito percorreva tutto il corpo. Ai piedi del cavallo la pozza di piscio si stava asciugando.

      - Allora, Contreras, come ti trovi qui da noi?

      Il capitano guardò con odio il tenente che lo sfotteva.

      - Dai, un bel cazzo così duro a Cerro del Diablo non lo trovavi mica. Voi ce l’avete moscio, lo sanno tutti, da Città del Messico a Buenos Aires.

      L’apprezzamento non fece molto piacere a Ramón, che avrebbe volentieri dimostrato al tenente, lì, su due piedi (ed il tenente a quattro zampe), che non era proprio così, ma dovette fare buon viso a cattivo gioco.

      - Su, la ricreazione è finita. Adesso passiamo a fare sul serio. Toglietegli il palo, scioglietelo e portatelo nell’altra stanza.

      Uno dei soldati afferrò l’estremità del palo ed incominciò a tirare. Il corpo del capitano ebbe un guizzo disperato. Il soldato continuò con la sua opera, fino a che la mazza non uscì completamente. Era sporca di sangue e di merda. Un po’ di sangue colò lungo le gambe del capitano. Due soldati sciolsero le corde che legavano il prigioniero. Il capitano sembrava non essere in grado di camminare ed i due soldati lo trascinarono, prendendolo sotto le ascelle. Il capitano non era un peso piuma ed i due soldati bestemmiavano e sudavano.

      Ramón e Diego li seguirono, con gli altri militari, che l’ufficiale aveva fatto chiamare. Entrarono in una grande stanza e gli attrezzi presenti alle pareti ed al centro indicavano chiaramente l’uso che veniva fatto di quel locale: come a Cerro del Diablo, era un salotto in cui anche i muti imparavano a parlare.

      Questa volta il capitano fu legato ad una specie di tavolo stretto e basso, con la schiena contro il ripiano e le braccia e le gambe fissate ai quattro supporti.

      Il tenente si rivolse a Ramón:

      - Lopez, faglielo venire duro.

      Ramón guardò il tenente, perplesso. D’accordo, lui doveva collaborare, far finta di odiare il capitano (ed in questo c’era una parte di verità, anche se lo stimava), ma la richiesta gli appariva incongrua. Perché cazzo gli chiedevano di fare una specie di sega al capitano?

         Non ricevette una spiegazione, ma un ordine:

      - Muoviti!

      Ramón sapeva di dover ubbidire. Assunse un’aria schifata e si avvicinò al capitano. Guardò un attimo il grosso uccello (che gli fece venire in bocca l’acquolina), lo afferrò con la destra ed incominciò a far scorrere la mano su e giù. Si chiedeva se, in quelle condizioni di prostrazione, al capitano sarebbe venuto duro, ma se lo chiese una volta sola, perché la risposta gli arrivò molto rapidamente: la stava stringendo nella mano destra, che dovette allentare la presa, sotto la crescente pressione che veniva dall’uccello.    - Basta così.

      Ed ora?

      Anche questa domanda ottenne subito una risposta.

      Il soldato Modica si avvicinò al capitano con una corda e la passò alla base dell’arma, stringendola bene, in modo da bloccare la circolazione. 

      Subito dopo il soldato Lezana si avvicinò con una candela accesa nella mano, portò la mano sopra il sesso teso allo spasimo e inclinò leggermente la candela, facendo cadere una goccia di cera bollente sulla picca del capitano.

      Il capitano strinse i denti e riuscì a non urlare, ma quando Lezana fece cadere una seconda goccia esattamente sulla cappella, Ramón sentì un grido strozzato ed un violento sussulto percorse il corpo steso sul tavolo.

      Lezana ripeté l’operazione tre volte ed ogni volta il capitano gemette e si contorse. Poi il soldato fece cadere un po’ di gocce sulle palle ed infine appoggiò la candela sul ventre del capitano.

      Tutti guardarono le gocce che scendevano lungo la candela, finendo sulla pelle. Il capitano si sforzava di rimanere fermo, perché un movimento brusco avrebbe rovesciato la candela, spandendo molta più cera bollente. La candela era corta, ma le gocce che arrivavano sulla pelle del capitano non dovevano più essere bollenti, perché scendendo lungo la candela si raffreddavano un po’. Quando però la candela fu consumata quasi completamente e la fiamma sciolse la cera che si trovava esattamente sopra l’ombelico del capitano, questi si contorse nuovamente.    

      Infine la candela si spense, lasciando solo un po’ di cera (e svariate ustioni) sul corpo del capitano.

      - Mettetegli il cappuccio.

      Due soldati presero un cappuccio di pelle e lo misero sulla testa del capitano. Il cappuccio non aveva aperture né per gli occhi, né per la bocca, ma solo una cinghia che permetteva di stringerlo intorno al collo.

      - Avanti, pisciate sul cappuccio.        

      Uno dopo l’altro, i soldati eseguirono. Man mano che il cappuccio si impregnava di piscio, la pelle bagnata ostacolava il passaggio dell’aria ed il liquido che filtrava entrava nella bocca del capitano, spalancata per immettere un po’ d’aria. Per il capitano diventava sempre più difficile respirare e la testa incominciò ad agitarsi. Ramón si chiese se non sarebbe morto soffocato, ma non era probabile: quelli sapevano come torturare e non erano tanto idioti da ammazzare l’unica persona in grado di fornire le informazioni che volevano.

      Quando tutti ebbero finito, il cappuccio gocciolava e per terra c’era una larga pozza di piscio.

      Poi slegarono il capitano e lo misero a pancia in giù, senza togliergli il cappuccio.

      In quel momento vennero a prendere Ramón e Diego e li accompagnarono in un ufficio, dicendo loro che il colonnello Riego voleva vederli.

      Rimasero due ore seduti su una panca, senza sapere che cosa pensare.

      Infine li fecero entrare.

      Tanto era stata lunga l’attesa, tanto fu breve l’interrogatorio.

      Il colonnello li interrogò separatamente, facendosi raccontare prima dall’uno, poi dall’altro chi erano e perché erano scappati dal forte. Ramón e Diego fornirono la versione dei fatti che avevano concordato.

      Riego voleva soltanto verificare quanto gli era stato riferito ed i due “traditori” furono convincenti: il colonnello non espresse dubbi, non fece altre domande e diede ordine di portarli a mangiare e poi in camera.

      Come a pranzo, mangiarono in un locale a parte. Ramón si disse che non avrebbero avuto molte occasioni di fraternizzare con i soldati nemici, se avessero continuato a farli uscire solo per assistere alle torture del capitano e mangiare isolati, per poi chiuderli a chiave in camera ogni volta. Per il momento comunque non c’era molto da fare, il capitano non aveva ancora “parlato” e quindi loro dovevano solo starsene buoni buoni.

      Sì, buoni buoni, ma come farlo capire a quella testa di cazzo che aveva tra le gambe? Appena furono in camera e si spogliarono per andare a letto, quello sciagurato alzò la testa. Ramón non ce la faceva più, non ce la faceva più. Non poteva dormire un’altra notte accanto a Diego senza toccarlo. Lo guardò, per fissarselo bene in mente, prima di spegnere quella fottutissima luce, come se fosse stata l’ultima volta che lo vedeva. E poi rimase lì, in piedi, accanto all’interruttore, dilaniato dal desiderio che gli tendeva le mutande e gli tagliava le gambe, incapace di muoversi.

     In quel momento sentì la bocca di Diego sulla nuca, un bacio, un piccolo morso. Si lasciò andare contro la parete e sentì le mani di Diego che gli abbassavano le mutande, poi la picca di Diego, arroventata, che si apriva la strada tra le sue natiche, trovava l’ingresso, si infilava  senza tanti complimenti, dilatando l’anello di carne, e poi lo trafiggeva, con un movimento rapido, che gli mozzò il fiato. Gli sembrava di essere un pollo infilzato allo spiedo, ma quello spiedo che gli trapanava le viscere era esattamente quello che gli ci voleva.     

     Diego ci dava dentro di buona lena ed in quella posizione, in piedi contro il muro, la picca di Diego forzava la carne, dilatandola. Il dolore cresceva e quel dolore ingigantiva il piacere, lo avvolgeva e lo esaltava. Ramón faceva fatica a non urlare dal piacere.

      Quando Diego venne, riempiendogli le viscere del suo seme ed uscendo da lui, Ramón si appoggiò alla parete, stordito, dolorante e bruciante di desiderio. Prima che Diego si allontanasse da lui, gli afferrò la mano, la guidò a stringergli il cazzo proteso ed appena Diego incominciò la sua opera, venne, soffocando a fatica un urlo.

      Diego andò a stendersi. Ramón fece lo stesso. Pensò che quella probabilmente era stata l’ultima volta nella loro vita che avevano fatto l’amore.

 

La resa

      Il mattino dopo li vennero a chiamare molto presto. Ramón pensò che dovevano aver fretta, fretta di far parlare il capitano e fargli rivelare quello che sapeva.

      Ed infatti non appena entrarono nel salone sotterraneo, videro diversi ufficiali, tra cui il colonnello che li aveva interrogati il giorno prima, e sentirono la voce del solito tenente urlare:

      - Allora, figlio di puttana, ti decidi a parlare?

      Il capitano era stato legato ad una struttura verticale sistemata contro una parete. Cavi elettrici erano stati fissati attraverso morsetti ai suoi capezzoli ed ai testicoli. Appariva chiaramente sfinito e dalla bocca gli colavano bava e sangue. Dovevano aver continuato a torturarlo tutta la notte, per sfibrarlo.

      Sfibrare il capitano doveva essere impossibile, ma certamente oltre ventiquattr’ore di torture avevano prodotto un certo effetto.

      Il colonnello aveva preso in mano l’interrogatorio ed il tenente eseguiva solo i suoi ordini.

      Ad un cenno del capitano, un soldato azionò un dispositivo ed il corpo del capitano si contorse disperatamente, in un vano tentativo di sfuggire alla corrente che lo percorreva. L’operazione si ripeté altre quattro volte. Ogni volta il tenente gli chiedeva se era disposto a parlare, ma il capitano non rispondeva.

          Dopo la quinta scarica, il colonnello si avvicinò al capitano. 

      - Allora, Contreras, adesso ci dici quello che hai da dirci? O hai ancora bisogno di incoraggiamento?

      Il capitano gli lanciò un’occhiata carica d’odio. Quello non era simulato, Ramón ne era sicuro. Il colonnello riprese:

      - Va bene. Fino ad ora abbiamo giocato. Adesso però passiamo alle maniere forti. Se non parli, ti faccio spaccare i coglioni.

      Il capitano scosse la testa e mormorò un flebile:

      - Bastardo!

      - Allora sei disposto a parlare?

      Il capitano tacque, ma sul suo viso sembravano mescolarsi il terrore e la rabbia. Chiunque avrebbe detto che era ormai giunto al limite e che presto sarebbe crollato. Ma Ramón sapeva benissimo che, per quanto umiliato e sfinito, il capitano sarebbe stato in grado di reggere ancora a lungo, fino alla morte: se non avesse voluto parlare, si sarebbe fatto castrare senza che riuscissero a fargli dire una parola.

      - Allora?     

      Il capitano scosse la testa, il viso stravolto in una smorfia di rabbia. 

      - Va bene, peggio per te. Se vuoi crepare da bue, cazzi tuoi. Vediamo…

      Il colonnello si guardò intorno, cercando l’uomo adatto a cui affidare il compito. Ramón intervenne:

      - Posso farlo io, signor colonnello?

      Il colonnello guardò Ramón ed annuì, sorridendo.

      Se il capitano intendeva cedere subito, Ramón, stringendo meno di quello che avrebbe fatto uno dei soldati, gli avrebbe risparmiato un dolore atroce. Se invece il capitano non intendeva ancora cedere, che fosse lui o un altro a spaccargli i coglioni, era perfettamente lo stesso.

      Ramón si avvicinò al capitano e sorridendo afferrò con la mano la grossa sacca, scostando con il pollice il robusto attrezzo. Sentì la pelle ruvida, irta di peli e madida di sudore. Con il pollice premette sull’ustione provocata dal sigaro e vide il capitano sussultare. Sentì, attraverso la pelle, la consistenza delle due grosse palle.

      Incominciò a stringere, piuttosto deciso, ma senza esagerare.

      - No, no!

      Il colonnello fece un cenno. Ramón smise di stringere. Il colonnello afferrò il capitano per i capelli e gli sollevò la testa.

      - Allora, Contreras, ti decidi a parlare?

      Il capitano non rispose.

      Il colonnello fece un nuovo cenno a Ramón, ma mentre questi riprendeva a stringere, con più decisione, il capitano urlò:

      - No! Basta! Basta!

      Ramón allentò la stretta.

      Il colonnello si rivolse al capitano:

          - Ora?

      Il capitano annuì.

      Ramón si sentì sollevato: il capitano aveva finito di patire l’inferno. Ora sarebbe toccato a lui ed a Diego agire.

      - Bene. Adesso sentiamo. Tu, Lopez, rimani in posizione. Se il nostro bravo capitano ha qualche vuoto di memoria, ci pensi tu a farglielo passare. E quanto a te, Contreras, non cercare di pigliarci per il culo, perché sappiamo più di quello che tu credi.

      Il capitano annuì.

      - Allora, l’attacco avverrà dal Cerro del Diablo, come previsto?

      Il capitano scosse la testa.

      - Perché?

      Il capitano parlò, a fatica:

      - Per… ché lo sa…pevate.

      - Dove contate di attaccare?

      Il capitano sembrò esitare un attimo. Allora il colonnello fece un cenno a Ramón, che avvicinò la mano alla sacca, ma il colonnello riprese subito:

      - Al passo del Fuego.

      L’interrogatorio proseguì e, con un unico intervento (più simulato che reale) di Ramón, il capitano rivelò tutto quanto aveva da rivelare.

      Va da sé che la realtà era esattamente l’opposto: non appena ci fosse stata la dichiarazione di guerra, l’esercito si sarebbe mosso per attaccare il forte della Puerta de la Haz, ma l’impresa sarebbe andata a buon fine solo se Ramón e Diego fossero riusciti a farlo saltare in aria.

      Le rivelazioni fasulle del capitano coincidevano perfettamente con i messaggi inviati con la luce la notte (dopo che il traditore era stato scoperto e convinto, in modo molto gentile, a rivelare il codice usato), per cui furono credute senza difficoltà.

      Il momento di agire stava per arrivare. La fretta del colonnello rivelava che lo scoppio della guerra doveva essere imminente. Presto sarebbe toccato a loro agire, probabilmente quella notte stessa.

      In quel momento entrò un sergente, che si rivolse al colonnello:

      - È arrivato, signor colonnello.

      Chi era arrivato? Ramón si disse che certamente era un pezzo grosso, venuto apposta dalla capitale per assistere alle ultime rivelazioni.

      La porta si aprì e Ramón si voltò per guardare l’uomo che stava entrando. Appena lo vide, seppe che la loro missione era fallita e che il forte della Puerta de la Haz non sarebbe mai saltato in aria.

      Perché l’uomo che stava entrando, con i gradi di maggiore sulla divisa del Paese per cui si batteva Ramón, aveva una faccia nota, la faccia del tenente Vega.

 

Un vecchio conto in sospeso

 

      Vega non si accorse immediatamente di Ramón. Si avvicinò invece al capitano, che lo apostrofò:

      - Rinnegato… traditore!

      Il capitano era (o simulava di essere: Ramón stesso non avrebbe saputo dire qual era la situazione) troppo esausto per dire altro.

      Vega sorrise, un ghigno reso più sinistro dalla mancanza di due denti (Ramón conosceva la causa di quella mancanza e sapeva anche che stava per pagarla con la vita).

      - Pensavi di fregarci, con questo cambiamento di piano all’ultimo minuto, eh? Sei un povero coglione.

      Il capitano scosse la testa e balbettò appena:

          - Giu… da!

      Ramón era arretrato, ma in quel momento Vega, distogliendo lo sguardo dal capitano per rivolgersi al colonnello Riego, lo vide.

      - Cosa? Hierro, qui, vivo!

      Non c’era nulla che Ramón potesse fare: di cercare di raggiungere la porta per scappare, con sette-otto militari nella stanza, non si parlava neanche.

      Il capitano intervenne:

      - Adesso… avrai quello… che ti meriti… traditore!

      Il capitano faceva la sua parte fino in fondo, anche se ormai tutto era perduto. A che cosa serviva ancora quella commedia?

      Vega si rivolse al capitano, furente. Ramón poteva vedere la mascella contratta nella rabbia, la tensione tanto violenta da fargli tremare la mano.

      - Questo pezzo di merda doveva essere morto.

      Il capitano rispose.

      - Mi serviva…, ma hai detto bene… Vega: è un pezzo di merda… come te… vale quanto te.

      Vega lanciò un’occhiata al capitano, poi si rivolse al colonnello:

      - Colonnello Riego, con questo pezzo di merda qui, ho molti conti in sospeso. E, se lei vorrà essere così gentile, è l’occasione per saldarli.

      - Ma certo, maggiore Vega, sarà un piacere. A sua completa disposizione.

      Il colonnello si rivolse ai suoi soldati: 

      - Prendete questo pezzo di merda.

      Il pezzo di merda cercò di resistere, ma era del tutto inutile. Quattro soldati lo bloccarono e lo tennero ben fermo. Solo in quel momento, Ramón realizzò che non vedeva Diego. Un’occhiata gli bastò per confermargli che Diego non era più nella stanza. Doveva essere scivolato via poco dopo l’ingresso di Vega. Ramón si sentì immediatamente sollevato. Sapeva benissimo che Diego non poteva fare niente per lui, in quella situazione, ma forse sarebbe riuscito a fuggire, a salvarsi. Di giorno, in un forte nemico? Appena si fossero accorti della sua assenza, si sarebbero messi a cercarlo. Ma forse Diego ce l’avrebbe fatta. Lui stava per morire, il capitano anche, la missione era fallita, che almeno Diego potesse salvarsi!

       Vega e Riego confabularono un buon momento, poi Riego mandò a chiamare altri quattro uomini, anche perché Ramón non sembrava eccessivamente disponibile a collaborare alla propria fine. 

      Gli otto soldati lo spogliarono completamente, poi gli legarono le braccia dietro la schiena. Altre corde gli furono passate sul torace e poi sotto le ascelle, intorno alle braccia, al collo, alle ginocchia, sopra le caviglie, ma Ramón non capiva che cosa intendessero fargli. Comprese solo quando le diverse corde furono riunite, annodate insieme a formare un’unica robusta fune ed un gancio venne calato dal soffitto. La fune fu saldamente legata al gancio e Ramón sollevato ad un metro da terra. Ramón si trovò a penzolare, con le gambe divaricate e completamente ripiegate, con i talloni quasi contro il culo. Le diverse corde che lo sostenevano gli scavavano la pelle, ma quella che passava sotto il collo era più corta delle altre ed esercitava una pressione dolorosa, comprimendogli il collo ed ostacolando la respirazione. Ramón cercò di tendere il collo all’indietro, ma non avrebbe retto a lungo in quella posizione.

         Il colonnello Riego congedò tutti i soldati, poi si rivolse a Vega:

      - Se vuole accomodarsi, maggiore Vega, il culo è ben aperto.

      Sì, il culo di Ramón era bene aperto, era la gola che si stava chiudendo. Ormai Ramón aveva capito che cosa stava per succedere. Stava per subire la peggiore umiliazione della sua vita. E la corda che passava sotto il suo collo esercitava una pressione crescente, perché il peso stesso di Ramón la tendeva.

      Ramón si chiese se l’ultima sensazione della sua vita sarebbe stata quella del cazzo di Vega che gli entrava nel culo. Lo sentì in quel momento. Non fu una sensazione dolorosa, Vega non aveva certo un bastone come quello del capitano o il robusto attrezzo di Diego, ma quella violenza gli provocò un’ondata di rabbia e di avvilimento.

      Ramón sentì che il cazzo gli si induriva, per effetto della pressione della corda sul collo. Si sentì ancora più umiliato. Vega lo fotteva e lui aveva il cazzo duro.

       Fu tutto molto rapido, Vega venne quasi subito ed uscì. Era un disastro a fottere, come a mantenere la disciplina.

       Ramón respirava sempre più a fatica. La bava incominciò a calargli dalla bocca. Stava morendo, nel peggiore dei modi, dopo che Vega l’aveva fottuto, senza poter portare a termine la sua missione. Stava morendo per nulla e Diego… sperava solo che Diego si salvasse, questo solo importava, ormai tutto era perduto. Per quanto umiliante e dolorosa fosse la sua fine, non aveva realmente importanza, purché Diego si salvasse. La pressione aumentava ancora e la vista incominciò ad annebbiarglisi.

       Gli ritornò in mente l’immagine di Diego, un giorno a Fuenteroja, in un momento di pausa durante un’esercitazione. Al fiume i soldati si erano spogliati tutti e si erano messi a sguazzare nell’acqua. Ramón ricordava Diego che usciva dal torrente, i rivoli d’acqua che gli scorrevano sul corpo, il sorriso di Diego. Non si erano ancora amati, allora, ma quella sera Ramón aveva posato la sua mano su quella di Diego.

           L’immagine di Diego che usciva dall’acqua si offuscò e poi svanì completamente.

 

In attesa della fine

      Tossì. Aveva la gola in fiamme. Era buio. Respirava a fatica. No, l’aria entrava bene, ma gli bruciava. Era buio. Era diventato cieco? No, poteva vedere una sottile striscia più chiara sul pavimento: un po’ di luce filtrava sotto una porta, ma non era sufficiente ad illuminare il locale in cui si trovava. Il buio era totale.

      - Mi senti, Hierro?

      Cercò di parlare. In un primo momento non riuscì, ma poi le parole vennero fuori.

      - Sì. Dove siamo?

      Le parole erano lava, gli bruciavano la bocca mentre uscivano.

      - Siamo in cella, Hierro. In cella, in attesa che vengano a prenderci, questione di ore, di minuti, per impiccarci o fucilarci.

      La voce del capitano gli restituì la lucidità. Era steso a terra. Aveva le mani legate dietro la schiena, ma i piedi erano liberi. Riusciva a muoverli senza problemi. Si mise a sedere, poi si alzò. Sì, non aveva difficoltà a muoversi: avrebbe potuto camminare con le sue gambe fino al plotone. Vega aveva vinto ed il Paese aveva perso. La loro battaglia era finita. Ed un pensiero gli attraversò il cervello come un lampo.

      - Che ne è di Diego?

      - Quel vigliacco è scappato. L’hanno detto mentre tu eri svenuto. Ha ucciso una sentinella e si è calato dalle mura.

      Diego era riuscito a fuggire. Ramón si sentì sopraffare dalla gioia. Diego era riuscito a fuggire. Avrebbe raggiunto il Cerro del Diablo, avrebbe annunciato che Vega era un traditore… No, follia: se lo avesse fatto, avrebbe solo firmato la propria condanna a morte. La guerra era persa, il Paese tradito e tra la parola di un prigioniero in fuga e quella di un maggiore… Di un maggiore! Vega maggiore! Meglio che Diego non dicesse nulla, Gabriel avrebbe saputo impedirglielo, Diego si sarebbe di sicuro rivolto a Gabriel. Ma Vega lo avrebbe fatto cercare… Non è detto, forse non sapeva che c’era anche lui… No, lo sapeva, sicuramente, in ogni caso Riego lo avrebbe avvisato, nel proprio interesse! Il pensiero che Diego avesse qualche possibilità di cavarsela gli aveva restituito un po’ di speranza, ma Diego era in una trappola mortale. La rabbia lo invase e la riversò sul capitano.

      - Vigliacco? E che cosa poteva fare? Far saltare in aria il forte da solo, mentre tutti lo cercavano? Ha fatto l’unica cosa sensata. Almeno potrà denunciare Vega.

      - Hierro, non dire cazzate. Se denuncia Vega, è un uomo morto. Vega sarà il prossimo comandante dell’esercito. Lui e suo padre sono già d’accordo con i nostri nemici. Un colpo di stato dopo l’inevitabile sconfitta in guerra e Vega padre sarà primo ministro o presidente della repubblica.

      Certo, quello era il senso del tradimento dei Vega. Loro non potevano fare più nulla per impedirlo. E se Diego ci avesse provato, sarebbe stata la sua fine. Ramón avrebbe voluto urlare.

      Il capitano proseguì:

      - Vega è partito quasi subito. A quest’ora è già ritornato in patria, nella patria che si appresta a tradire. Quel figlio di puttana è stato inviato alla capitale per una missione di pace. Sì, l’ambasciatore degli Stati Uniti ha chiesto un incontro tra le delegazioni dei due paesi per evitare la guerra. Una pantomima per dire che loro vogliono la pace. Della missione deve aver fatto parte il ministro Vega, che si è fatto accompagnare dal figlio. E lui ne ha approfittato per fare un salto qui, visto che gli avevano annunciato la mia cattura. Forse per verificare che fossi davvero io, forse per farsi beffe di me. Ha davvero creduto che il piano di attacco fosse stato cambiato all’insaputa di suo padre e di alcuni altri ministri, di cui noi ci fidavamo poco.

      Ramón non sapeva chi fossero i “noi” di cui faceva parte il capitano, ma di sicuro erano pezzi grossi dei servizi segreti, probabilmente in accordo con il ministro dell’interno e quello della difesa. Avevano ordito un bel piano, che avrebbe potuto rovesciare le sorti di una guerra già decisa, ma non avevano fatto i conti con Vega.

      Il capitano riprese:

      - La guerra è scoppiata, Hierro, mentre tu eri svenuto. Credevo che fossi morto. Lo credevano anche loro. Ti hanno calato a terra e ti hanno lasciato lì, ma quando sono venuti per portare via il tuo cadavere, ti sei lamentato. La guerra è stata dichiarata forse due ore fa, a sera. E noi la perderemo.

      Ramón pensò che quello sarebbe stato il momento in cui avrebbero dovuto agire, ma loro due erano in cella, senza speranza di uscirne, e Diego non era più nel forte. Ripeté, amareggiato:

      - Noi la perderemo. L’ha vinta Vega.

      - Abbiamo giocato la nostra carta, ma non è servita, Hierro. Almeno moriremo prima di vedere la nostra Patria umiliata e sconfitta ed i traditori al potere.

      Quasi a confermare le parole del capitano, in quel momento si sentì scorrere il catenaccio e la chiave girare nella toppa.

      - Vengono, è ora. Addio, Hierro.

      - Addio, signor capitano.

      Sì, meglio così, meglio morire che vedere la sconfitta della Patria e la vittoria dei traditori. Meglio, mille volte meglio il plotone o cosa diavolo li aspettava.

 

 

 

 

 

 

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