Nel castello di Bellerivière
si tiene un banchetto. Si festeggia l’arrivo di due cavalieri, Gilles di
Monségur e suo cugino Robert. Da quando il duca ha
fatto ritorno a Bellerivière i due sono già venuti a
trovarlo in alcune occasioni, ma questa volta rimarranno, passando al suo
servizio. La contea di Bellerivière
non è molto grande, ma è fertile e ricca d’acqua. Il duca ha portato con sé
molte ricchezze dall’Oltremare e sotto la sua signoria il territorio
prospera. La costruzione di canali e l’utilizzo di nuovi strumenti hanno
permesso di aumentare la produzione e il duca ha migliorato le condizioni di
vita dei contadini. La corte è un amalgama di uomini e donne di
provenienza diversissima: c’è la principessa armena, moglie del duca; ci sono
cavalieri catalani, come Manrique, e persino uno
svedese, Unrod; il conte Ferdinando e gli altri
siciliani; il barone Jacques di San Giacomo d’Afrin,
nato in Terrasanta, che tra poco sposerà l’erede di una piccola contea
vicina. A destare la curiosità sono soprattutto due personaggi: il nero, che
dicono provenire dall’Egitto, e l’ebreo, che sembra conoscere tutte le lingue
del mondo, perché a seconda dell’interlocutore è capace di passare dall’una
all’altra senza fatica. Del nero dicono che sia stato un grande guerriero e
che il duca l’abbia catturato in una delle tante battaglie in cui ha
sconfitto gli infedeli. L’ebreo è un orafo e perfino il re di Francia gli ha
commissionato dei gioielli. Qualcuno sospetta che le sue opere siano così
perfette perché costringe il diavolo a lavorare per lui, grazie alle sue arti
magiche. Da un ebreo c’è da aspettarsi di tutto. I costumi della corte sono alquanto liberi e su
alcuni personaggi, come il conte Ferdinando e il nero che sempre lo
accompagna, circolano diverse voci. Si dice che nella residenza del conte gli
uomini facciano un po’ di tutto. Ma in fondo, a parte l’orafo ebreo e il
nero, sono tutti guerrieri che hanno rischiato la loro vita per difendere la
vera fede in terre lontane e il duca era considerato il maggior baluardo
della Cristianità oltremare: nessuno dà molto peso a qualche diceria, che si
ripete giusto per spettegolare un po’. Non è strano che questi guerrieri che
sono stati a lungo oltremare vivano in modo diverso. Alcuni dei loro usi sono
alquanto bizzarri, come quello di lavarsi spesso, anche se si sa che fare il
bagno non fa bene alla salute. Ancora più stravagante è il fatto che a tavola
usino un arnese con due punte, simile a un piccolo forcone, per portare il cibo
alla bocca, invece di prenderlo con le mani o con la punta del coltello:
eccentricità perdonabili alla corte di un grande signore che ha combattuto
fin da ragazzo per la vera fede. La serata trascorre piacevolmente: sono tutte
persone legate da profondi vincoli di affetto, che hanno affrontato insieme
diversi pericoli. La notizia della recente liberazione di re
Riccardo, rimasto prigioniero del duca Leopoldo per un lungo periodo, riporta
la conversazione alla spedizione oltremare e alla sua conclusione. Si parla
della vittoria di Arsuf, in cui Denis ha svolto un
ruolo fondamentale, poi della mancata conquista di Gerusalemme, a cui
Riccardo ha rinunciato, conscio di non avere abbastanza uomini per mantenere
la città. Gilles riferisce una notizia che gli è arrivata. - Uno zio sacerdote che sta a Roma mi ha scritto
che il vescovo di León ha richiesto la canonizzazione di Rodrigo da León. Mi
ricordo bene di lui, perché era al castello San Giorgio quando c’ero anch’io.
Fu catturato mentre era uscito in perlustrazione con Jorge da Toledo e rimase
schiavo per qualche anno. Ferdinando si ricorda di lui e osserva: - Non sapevo che fosse morto. Denis racconta: - Fu ad Arsuf. Combatté
valorosamente come sempre, facendo strage dei nemici, ma si trovò circondato
e venne sopraffatto. Gilles annuisce. Anche lui era ad Arsuf, ma non ebbe modo di assistere alla morte di
Rodrigo. Si rivolge a Ferdinando e chiede: - Giunse ad Acri con voi, Ferdinando, mi pare. O
mi sbaglio? - È vero. Lo liberammo durante una razzia. Era schiavo
di un signorotto locale, Omar, che fece una brutta fine. Quella che si
meritava, peraltro. - Mi pareva. Il vescovo vorrebbe che fosse fatto
santo per l’eroismo con cui ha combattuto e per la sua morte come martire.
Pare che fosse anche un modello di castità. Ferdinando si ricorda che il bel Rodrigo non era
proprio così casto a Jibrin, ma preferisce non dire nulla. Ci fossero solo
Adham, Solomon e Denis, non si porrebbe nessun problema, ma di fronte a una
compagnia più ampia, sceglie di tacere. - Non credo che lo faranno santo, per quanto il
vescovo lo chieda: dovrebbero far santi tutti quelli morti oltremare. Gilles poi chiede a Ferdinando: - Avete notizie di vostro nipote? - Sì, mi è arrivata una missiva, il mese scorso.
Sta bene ed è soddisfatto della sua vita a Rougegarde. Fa parte della
guarnigione della città. - Buon per lui. E dopo aver parlato di guerra, tutti ascoltano i
musicisti, che suonano la ribeca, il tamburino e il flauto. Eseguono alcune
canzoni sull’Oltremare, in cui si mescolano la fede, l’eroismo e l’amore. Una
parla del guerriero che torna dopo aver combattuto: Se
ho soggiornato a lungo in Oriente e ho
fatto il mio pellegrinaggio oltremare, vi
ho patito molti rovesci dolorosi e ho
sofferto di molte gravi malattie; ma ora
sto peggio di come stavo in Terra Santa, perché
il buon amore mi ha inflitto una
tale sofferenza il
cui dolore non si attenua mai, ma
anzi cresce di continuo e
raddoppia e si moltiplica, al
punto che il mio volto ne è
reso pallido ed esangue. Un’altra canzone d’amore parla invece del
guerriero che deve partire per l’Oltremare, lasciando la donna amata: La nuova stagione, maggio, le viole, gli usignoli, mi invitano a cantare, e il mio nobile cuore mi fa un dono d’amore così dolce che non oso rifiutarlo. Ora Dio mi conceda di salire all’alto onore: di tenere una volta tra le mie braccia nude, colei in cui sono il mio cuore e i miei pensieri, prima di andarmene oltremare… Denis conosce questa canzone, che ha sentito una
sera, alla festa per il fidanzamento di Charles di Soissons con Jeanne Longuemain. Denis cerca con gli occhi Jeanne, che ascolta
serena il cantore. I versi non sembrano destare nessun ricordo in lei,
probabilmente li ha dimenticati. Jeanne andava in sposa a Charles, un uomo
che non amava le donne, e Denis era tra gli invitati, in preda a un dolore
sordo, perché amava Charles. L’aveva amato davvero, l’unico uomo che ha amato
prima di Solomon. Ora Jeanne è la moglie di Manrique,
con cui ha avuto due figli, e Denis ha accanto a sé Solomon: Charles è per
entrambi un ricordo sbiadito. Denis cerca l’uomo che ama con lo sguardo e lo
vede pensieroso. Solomon non è qui nella sala questa sera, la sua mente è
lontana, forse oltremare. Un’altra canzone è una delle tante che sono state
dedicate a Denis: Guerriero,
tu riferirai un messaggio A
tutti i signori leali, a
cui porgo omaggio. Che
io li prego di fare questo
pellegrinaggio, perché
tutti vi sono tenuti per
la fede e per il re. Già
la Terra Santa sarebbe
stata persa una volta, se non
fosse stato per Denis, il
glorioso duca di Rougegarde: si
procurò tanto onore in quell’impresa che
non vi sarà mai un tempo in
cui non si dirà di lui che
riscattò la Siria. Dopo la musica, si chiacchiera ancora un momento,
poi gli abitanti del castello si dirigono alle loro camere e gli altri
raggiungono le proprie abitazioni. Denis accompagna alla porta Ferdinando e Adham,
gli ultimi due a congedarsi. Ora abitano in una grande casa ai piedi del
castello. Quando torna nella sala, non vede più Solomon. Lo
trova sulla terrazza, che guarda lontano. - Che c’è, Solomon? - Niente, Denis. - Niente? Solomon tace un momento, poi dice: - Gilles e Robert hanno risvegliato ricordi e ho
pensato agli amici lontani, ai miei fratelli, ai miei nipoti, che non rivedrò
più. Denis si sente in colpa: Solomon ha lasciato la
sua terra per lui. Denis ha con sé tutte le persone a cui è legato, Solomon
si è separato dalla sua famiglia e da coloro che amava. - Ti ho portato via io. Solomon sorride. - Non mi hai portato via, Denis. Non avresti
potuto farlo. Sai che non è facile farmi fare ciò che non voglio. Denis sorride. - Questo è vero. Hai la testa troppo dura. Se tu
non avessi voluto venire via, avrei dovuto farti legare e non slegarti fino a
che non fossimo arrivati, qui. Ma ho l’impressione che saresti riuscito a
sgusciare via in qualche modo anche mentre eravamo in alto mare. C’è un momento di silenzio, poi Denis riprende: - Per me hai lasciato la tua terra, la tua casa. - Casa mia è dove ci sei tu. Qui ho amici a cui sono
affezionato, come Ferdinando, Gilles, Manrique. Ma
è vero che un pezzo di me è rimasto laggiù. Solomon alza gli occhi al cielo e continua: - Vorrei che l’Oltremare fosse a Marsiglia e che
in due giorni ci potessi andare, rivedere gli amici, la mia famiglia e poi
tornare qui. Denis lo abbraccia. - Vorresti che tornassimo? Oltremare, intendo. - No, di sicuro. È troppo pericoloso. - Tu te la sai cavare in qualunque situazione. - Ci sono situazioni in cui nessuno può
cavarsela. No, va bene così. Ogni tanto sento la nostalgia perché alcune
persone che sono un pezzo della mia vita sono lontane e so che non le rivedrò
mai più. Passerà. Denis abbraccia Solomon. |