I – Nel bordello 

II – L’emiro dell’Arram

III – L’asta

IV – L’assedio

V – I briganti

VI – Prigionieri

 

VII – Il banchetto

 

 

Nel castello di Bellerivière si tiene un banchetto.

Si festeggia l’arrivo di due cavalieri, Gilles di Monségur e suo cugino Robert. Da quando il duca ha fatto ritorno a Bellerivière i due sono già venuti a trovarlo in alcune occasioni, ma questa volta rimarranno, passando al suo servizio.

La contea di Bellerivière non è molto grande, ma è fertile e ricca d’acqua. Il duca ha portato con sé molte ricchezze dall’Oltremare e sotto la sua signoria il territorio prospera. La costruzione di canali e l’utilizzo di nuovi strumenti hanno permesso di aumentare la produzione e il duca ha migliorato le condizioni di vita dei contadini.

La corte è un amalgama di uomini e donne di provenienza diversissima: c’è la principessa armena, moglie del duca; ci sono cavalieri catalani, come Manrique, e persino uno svedese, Unrod; il conte Ferdinando e gli altri siciliani; il barone Jacques di San Giacomo d’Afrin, nato in Terrasanta, che tra poco sposerà l’erede di una piccola contea vicina. A destare la curiosità sono soprattutto due personaggi: il nero, che dicono provenire dall’Egitto, e l’ebreo, che sembra conoscere tutte le lingue del mondo, perché a seconda dell’interlocutore è capace di passare dall’una all’altra senza fatica. Del nero dicono che sia stato un grande guerriero e che il duca l’abbia catturato in una delle tante battaglie in cui ha sconfitto gli infedeli. L’ebreo è un orafo e perfino il re di Francia gli ha commissionato dei gioielli. Qualcuno sospetta che le sue opere siano così perfette perché costringe il diavolo a lavorare per lui, grazie alle sue arti magiche. Da un ebreo c’è da aspettarsi di tutto.

I costumi della corte sono alquanto liberi e su alcuni personaggi, come il conte Ferdinando e il nero che sempre lo accompagna, circolano diverse voci. Si dice che nella residenza del conte gli uomini facciano un po’ di tutto. Ma in fondo, a parte l’orafo ebreo e il nero, sono tutti guerrieri che hanno rischiato la loro vita per difendere la vera fede in terre lontane e il duca era considerato il maggior baluardo della Cristianità oltremare: nessuno dà molto peso a qualche diceria, che si ripete giusto per spettegolare un po’. Non è strano che questi guerrieri che sono stati a lungo oltremare vivano in modo diverso. Alcuni dei loro usi sono alquanto bizzarri, come quello di lavarsi spesso, anche se si sa che fare il bagno non fa bene alla salute. Ancora più stravagante è il fatto che a tavola usino un arnese con due punte, simile a un piccolo forcone, per portare il cibo alla bocca, invece di prenderlo con le mani o con la punta del coltello: eccentricità perdonabili alla corte di un grande signore che ha combattuto fin da ragazzo per la vera fede.

 

La serata trascorre piacevolmente: sono tutte persone legate da profondi vincoli di affetto, che hanno affrontato insieme diversi pericoli.

La notizia della recente liberazione di re Riccardo, rimasto prigioniero del duca Leopoldo per un lungo periodo, riporta la conversazione alla spedizione oltremare e alla sua conclusione. Si parla della vittoria di Arsuf, in cui Denis ha svolto un ruolo fondamentale, poi della mancata conquista di Gerusalemme, a cui Riccardo ha rinunciato, conscio di non avere abbastanza uomini per mantenere la città.

Gilles riferisce una notizia che gli è arrivata.

- Uno zio sacerdote che sta a Roma mi ha scritto che il vescovo di León ha richiesto la canonizzazione di Rodrigo da León. Mi ricordo bene di lui, perché era al castello San Giorgio quando c’ero anch’io. Fu catturato mentre era uscito in perlustrazione con Jorge da Toledo e rimase schiavo per qualche anno.

Ferdinando si ricorda di lui e osserva:

- Non sapevo che fosse morto.

Denis racconta:

- Fu ad Arsuf. Combatté valorosamente come sempre, facendo strage dei nemici, ma si trovò circondato e venne sopraffatto.

Gilles annuisce. Anche lui era ad Arsuf, ma non ebbe modo di assistere alla morte di Rodrigo. Si rivolge a Ferdinando e chiede:

- Giunse ad Acri con voi, Ferdinando, mi pare. O mi sbaglio?

- È vero. Lo liberammo durante una razzia. Era schiavo di un signorotto locale, Omar, che fece una brutta fine. Quella che si meritava, peraltro.

- Mi pareva. Il vescovo vorrebbe che fosse fatto santo per l’eroismo con cui ha combattuto e per la sua morte come martire. Pare che fosse anche un modello di castità.

Ferdinando si ricorda che il bel Rodrigo non era proprio così casto a Jibrin, ma preferisce non dire nulla. Ci fossero solo Adham, Solomon e Denis, non si porrebbe nessun problema, ma di fronte a una compagnia più ampia, sceglie di tacere.

- Non credo che lo faranno santo, per quanto il vescovo lo chieda: dovrebbero far santi tutti quelli morti oltremare.

Gilles poi chiede a Ferdinando:

- Avete notizie di vostro nipote?

- Sì, mi è arrivata una missiva, il mese scorso. Sta bene ed è soddisfatto della sua vita a Rougegarde. Fa parte della guarnigione della città.

- Buon per lui.

 

E dopo aver parlato di guerra, tutti ascoltano i musicisti, che suonano la ribeca, il tamburino e il flauto. Eseguono alcune canzoni sull’Oltremare, in cui si mescolano la fede, l’eroismo e l’amore. Una parla del guerriero che torna dopo aver combattuto:

Se ho soggiornato a lungo in Oriente

e ho fatto il mio pellegrinaggio oltremare,

vi ho patito molti rovesci dolorosi

e ho sofferto di molte gravi malattie;

ma ora sto peggio di come stavo in Terra Santa,

perché il buon amore mi ha inflitto

una tale sofferenza

il cui dolore non si attenua mai,

ma anzi cresce di continuo

e raddoppia e si moltiplica,

al punto che il mio volto

ne è reso pallido ed esangue.

Un’altra canzone d’amore parla invece del guerriero che deve partire per l’Oltremare, lasciando la donna amata:

La nuova stagione, maggio, le viole,

gli usignoli, mi invitano a cantare,

e il mio nobile cuore mi fa un dono d’amore

così dolce che non oso rifiutarlo.

Ora Dio mi conceda di salire all’alto onore:

di tenere una volta tra le mie braccia nude,

colei in cui sono il mio cuore e i miei pensieri,

prima di andarmene oltremare…

Denis conosce questa canzone, che ha sentito una sera, alla festa per il fidanzamento di Charles di Soissons con Jeanne Longuemain. Denis cerca con gli occhi Jeanne, che ascolta serena il cantore. I versi non sembrano destare nessun ricordo in lei, probabilmente li ha dimenticati. Jeanne andava in sposa a Charles, un uomo che non amava le donne, e Denis era tra gli invitati, in preda a un dolore sordo, perché amava Charles. L’aveva amato davvero, l’unico uomo che ha amato prima di Solomon. Ora Jeanne è la moglie di Manrique, con cui ha avuto due figli, e Denis ha accanto a sé Solomon: Charles è per entrambi un ricordo sbiadito.

Denis cerca l’uomo che ama con lo sguardo e lo vede pensieroso. Solomon non è qui nella sala questa sera, la sua mente è lontana, forse oltremare.

Un’altra canzone è una delle tante che sono state dedicate a Denis:

Guerriero, tu riferirai un messaggio

A tutti i signori leali,

a cui porgo omaggio.

Che io li prego di fare

questo pellegrinaggio,

perché tutti vi sono tenuti

per la fede e per il re.

Già la Terra Santa

sarebbe stata persa una volta,

se non fosse stato per Denis,

il glorioso duca di Rougegarde:

si procurò tanto onore in quell’impresa

che non vi sarà mai un tempo

in cui non si dirà di lui

che riscattò la Siria.

Dopo la musica, si chiacchiera ancora un momento, poi gli abitanti del castello si dirigono alle loro camere e gli altri raggiungono le proprie abitazioni.

Denis accompagna alla porta Ferdinando e Adham, gli ultimi due a congedarsi. Ora abitano in una grande casa ai piedi del castello.

Quando torna nella sala, non vede più Solomon. Lo trova sulla terrazza, che guarda lontano.

- Che c’è, Solomon?

- Niente, Denis.

- Niente?

Solomon tace un momento, poi dice:

- Gilles e Robert hanno risvegliato ricordi e ho pensato agli amici lontani, ai miei fratelli, ai miei nipoti, che non rivedrò più.

Denis si sente in colpa: Solomon ha lasciato la sua terra per lui. Denis ha con sé tutte le persone a cui è legato, Solomon si è separato dalla sua famiglia e da coloro che amava.

- Ti ho portato via io.

Solomon sorride.

- Non mi hai portato via, Denis. Non avresti potuto farlo. Sai che non è facile farmi fare ciò che non voglio.

Denis sorride.

- Questo è vero. Hai la testa troppo dura. Se tu non avessi voluto venire via, avrei dovuto farti legare e non slegarti fino a che non fossimo arrivati, qui. Ma ho l’impressione che saresti riuscito a sgusciare via in qualche modo anche mentre eravamo in alto mare.

C’è un momento di silenzio, poi Denis riprende:

- Per me hai lasciato la tua terra, la tua casa.

- Casa mia è dove ci sei tu. Qui ho amici a cui sono affezionato, come Ferdinando, Gilles, Manrique. Ma è vero che un pezzo di me è rimasto laggiù.

Solomon alza gli occhi al cielo e continua:

- Vorrei che l’Oltremare fosse a Marsiglia e che in due giorni ci potessi andare, rivedere gli amici, la mia famiglia e poi tornare qui.

Denis lo abbraccia.

- Vorresti che tornassimo? Oltremare, intendo.

- No, di sicuro. È troppo pericoloso.

- Tu te la sai cavare in qualunque situazione.

- Ci sono situazioni in cui nessuno può cavarsela. No, va bene così. Ogni tanto sento la nostalgia perché alcune persone che sono un pezzo della mia vita sono lontane e so che non le rivedrò mai più. Passerà.

Denis abbraccia Solomon.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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