I – Nel bordello 

 

II – L’emiro dell’Arram

 

 

Prima di lasciare Damasco per tornare dove si combatte, Salah ad-Din vuole ricompensare Barbath per il ruolo decisivo che ha svolto a Hattin e in seguito, guidando l’esercito in tante spedizioni vittoriose. Aveva pensato di nominarlo governatore di Akka, la città che i cristiani chiamavano San Giovanni d’Acri e che è stata riconquistata dopo la vittoria di Hattin. Ma Barbath ha detto al signore della Siria e dell’Egitto che non vuole lasciare l’emiro di Jabal al-Jadid: è sempre stato al servizio prima del padre dell’emiro attuale, poi del figlio. Barbath non è un uomo ambizioso e Salah ad-Din lo apprezza anche per questo, oltre che per le sue grandi doti militari e la sua assoluta lealtà.

Ha perciò deciso di assegnargli l’Arram, un piccolo territorio confinante con quello di Jabal al-Jadid: una regione fertile e piacevole, di cui sarà signore e dove potrà ritirarsi quando lascerà il servizio dell’emiro. Ha già avvisato Ubayd, lo sceicco di al-Hamra, che in questo periodo ha amministrato l’Arram, in attesa che Salah ad-Din decidesse a chi assegnarlo. Ubayd ha raccolto i tributi versati dagli abitanti e ha fatto sorvegliare il palazzo abbandonato da Ferdinando. Adesso sta facendo portare alcune masserizie perché Ferdinando si era portato via una parte del mobilio.

Così, mentre Zeyd lascia il bordello, Barbath è a colloquio con il signore della Siria e dell’Egitto.

- Barbath, non hai voluto diventare governatore di Akka. Sarei stato contento se tu avessi accettato, perché conosco la tua lealtà e le tue capacità militari, per cui so che la città sarebbe stata ben difesa e che avrei sempre potuto contare su di te.

- Perdonami, signore. Ho giurato lealtà ai signori di Jabal al-Jadid molto tempo fa e non voglio venir meno al mio giuramento.

Salah ad-Din sorride.

- Lo so, me l’hai detto, e apprezzo anche questo. Pochi sarebbero disposti a rinunciare a governare una ricca città per rimanere al servizio di un signore. Ma è inutile tornare su questo. Io non intendo rinunciare a dimostrarti in modo tangibile la mia riconoscenza.

- Ti ringrazio, signore, ma…

Salah ad-Din lo interrompe:

- Non mi dire che non è necessario: lo hai già detto più volte. Ti dirò che cosa ho deciso di fare e questa volta non accetto un rifiuto. Ti donerò un territorio ai confini di Jabal al-Jadid. Potrai rimanere al servizio dell’emiro, quando questi ne avrà bisogno, ma sarai tu stesso emiro, signore di un territorio dove potrai ritirarti quando vorrai.

- Ti ringrazio, signore.

- Il territorio che ho scelto è quello dell’Arram.

A cinquant’anni Barbath si ritrova un emiro, signore di un territorio, piccolo, ma fertile e piacevole. Dovrà obbedienza solo al sovrano di tutta la Siria e dell’Egitto. Un dono generoso da parte di Salah ad-Din, una ricompensa per chi ha avuto un ruolo determinante nelle sue vittorie. Molti sarebbero felici di un simile dono, ma Barbath è annichilito e guarda il sovrano, incapace di parlare: l’Arram era la contea di Ferdinando, l’uomo che lo ossessiona, che ritorna nei suoi sogni la notte, quello a cui pensa quando scopa qualcun altro.

Barbath si inchina profondamente, per celare il suo turbamento. Sembra che il sultano lo voglia sprofondare nelle sue ossessioni.

- Ho già avvisato Ubayd di far preparare tutto. So che sarai contento di averlo come vicino.

Con fatica Barbath risponde:

- Certo, mio signore.

Con il giovane Ubayd al-Asad, il Leone, Barbath ha un ottimo rapporto. Ma l’ultimo posto al mondo in cui vorrebbe stare è l’Arram. Non può rifiutare: irriterebbe solo Salah ad-Din.

Dovrà andare nell’Arram a prendere possesso del suo territorio, ma non intende certo rimanervi a lungo. I cristiani stanno preparando una grande spedizione e sono già arrivate alcune truppe dall’Europa. La guerra riprenderà presto e Barbath avrà una buona scusa per rimanere lontano dall’Arram.

 

Barbath passa per Jabal al-Jadid, prima di raggiungere il palazzo dell’Arram. Parla con l’emiro ‘Izz e si mettono d’accordo: Barbath continuerà a guidare le truppe dell’emiro in battaglia e in qualunque spedizione ‘Izz decida di intraprendere, ma in tempo di pace non avrà compiti e potrà vivere nell’Arram o nel suo appartamento nel palazzo di Jabal al-Jadid, come desidera. L’emiro pensa che Barbath intenda stabilirsi nell’Arram e venire solo ogni tanto in città, ma il comandante conta di fare il contrario.

Dopo il colloquio con l’emiro, Barbath saluta gli amici. Non sarebbe comunque facile per lui lasciare Jabal al-Jadid, dove ha trascorso gran parte della sua vita e dove stanno tutti i suoi amici, ma farlo per recarsi nell’Arram rende tutto ancora più difficile. L’unico pensiero che lo tranquillizza, è che tornerà presto in città.

Dopo aver provveduto a tutto il necessario, parte per l’Arram, insieme ad alcuni servitori. Il viaggio richiede pochi giorni.

Barbath giunge il martedì, come previsto. Ha detto a Ubayd che sarebbe arrivato nel pomeriggio, ma ha fatto in modo di giungere in mattinata: sente il bisogno di non avere nessuno intorno quando entrerà nel palazzo. Per questo motivo ha lasciato indietro i suoi servitori: non voleva doversi occupare subito di dare ordini e organizzare tutti i lavori da fare. Arriveranno più tardi.

Barbath osserva il palazzo prima di entrarvi. Un tempo era la residenza di piacere dell’emiro di al-Hamra, poi, quando i franchi conquistarono la città, venne assegnato a Ferdinando, divenendo il centro del suo piccolo dominio.

Barbath c’è già stato due volte: la prima come prigioniero, per la caccia che Ferdinando e Denis avevano organizzato per liberarlo; la seconda dopo la conquista del castello degli Hashishiyya, per la caccia a Usama. In entrambe le occasioni ha scopato con Ferdinando: è stato fottuto da lui e lo ha fottuto. I ricordi ritornano, impetuosi. Il pensiero del conte suscita in lui sensazioni violente, che si traducono in un rapido irrigidirsi del cazzo.

Ferdinando non è più un conte. Si è stabilito tra i monti con alcuni dei suoi uomini e si dedica al brigantaggio: pare essere lui il responsabile della sparizione di alcuni mercanti. L’area in cui vive è quella un tempo sotto il controllo degli Hashishiyya, sui monti che si vedono in lontananza.

Barbath sprona il cavallo ed entra nel cortile. Poi smonta, affida l’animale a un servitore e gira le stanze. Ubayd al-Asad, che ha occupato l’Arram dopo la partenza del conte ha fatto sorvegliare il palazzo dalle sue guardie, che ora si inchinano a Barbath, e ha fatto portare alcuni mobili, perché molto era stato portato via, probabilmente da Ferdinando stesso.

Tornare in questo palazzo come signore è una sensazione strana. Molti ricordi affiorano. Barbath ha detto ai servitori di non accompagnarlo: vuole girare da solo. Passa di locale in locale e infine raggiunge la camera da letto. Le pareti sono affrescate, come Barbath ricorda: la seconda volta che è stato nell’Arram, ha scopato in questa camera, con Ferdinando e Adham. Contempla gli affreschi. In uno c’è la scena di un bagno al fiume: diversi uomini nudi sono sulla riva o nell’acqua, mentre un altro uomo li spia. In Barbath il desiderio si riaccende, violento. Non riesce a staccare gli occhi dall’immagine di Ferdinando.

Accanto alla scena del bagno ce n’è una in cui Ferdinando caccia un leone: Barbath non sa se Ferdinando abbia mai ucciso un leone, ma sa che è un grande cacciatore e non ha paura di affrontare nessuna preda.

Su un’altra parete Ferdinando è al bagno, il grande cazzo ben visibile, e alcuni servitori lo lavano.

Altre due scene sono raffigurate nello spogliatoio del grande bagno: queste Barbath non ricorda di averle mai viste. Sicuramente sono state dipinte in seguito. In una Ferdinando viene mentre un uomo lo massaggia, in quella a fianco Ferdinando fotte Adham, il bel nero con cui anche Barbath ha scopato l’ultima volta.

Barbath rimane immobile a guardare le due scene. Poi si spoglia con gesti lenti, senza distogliere lo sguardo dall’immagine di Ferdinando. Ha il cazzo duro, tanto teso da fargli male. Se lo afferra con la destra e lentamente incomincia a far scorrere la mano in su e in giù. Pensa che si sta facendo una sega, come se fosse un ragazzino, ma, anche se non vuole dirselo, si immagina al posto di Adham.

 

Ferdinando è molto più vicino di quanto Barbath possa immaginare: spesso si spinge a cacciare nella valle del Nahr e anche oltre, tornando in alcuni dei suoi terreni di caccia preferiti. Sa che nessuno si è insediato nell’Arram e per il momento c’è scarsa sorveglianza. Di rado supera il fiume e non raggiunge mai i boschi nella parte occidentale del territorio, in cui un tempo cacciava spesso. Ma nei territori orientali si reca di frequente. Ogni tanto incontra qualche pastore o contadino, che lo riconosce e lo saluta. Il conte ha lasciato un buon ricordo di sé.

Oggi si è spinto fino alle montagne da cui si vede il palazzo. Lo osserva a lungo, senza sospettare che Barbath si trovi al suo interno.

 

Nel primo pomeriggio lo sceicco Ubayd arriva. È sorpreso di scoprire che Barbath è già giunto.

- Mi spiace non essere stato presente al tuo arrivo. Credevo che saresti arrivato più tardi.

- Lo credevo anch’io, ma il viaggio è stato più rapido del previsto.

- Avrai visto che in alcune stanze mancano mobili e tappeti. Credo che Ferdinando abbia fatto portare via molto o forse sono stati i contadini della zona: quando sono arrivato era già così. Io ho fatto portare alcune cose.

- Ti ringrazio; provvederò a mettere ciò che serve. D’altronde per il momento non so quanto rimarrò qui. La guerra riprenderà presto.

- Sì, è solo una pausa, questa.

Ubayd gli presenta la situazione del territorio e gli fa consegnare i tributi raccolti. Poi conversano amichevolmente. Parlano della spedizione che i franchi stanno preparando: pare che vogliano partecipare  il re di Francia, il re d’Inghilterra e l’imperatore tedesco. Barbath chiede di al-Hamra, la splendida città su cui comandava il duca Denis.

- Non ho mai visto una città più bella. E meglio governata. Ti dirò una cosa, Barbath.

- Dimmi.

- Per certi versi ti invidio. L’Arram è un piccolo territorio e per un grande guerriero come te, Akka sarebbe stata la giusta ricompensa. So che non l’hai voluta.

- Perché mi dici che mi invidi? Al-Hamra è la perla della Siria.

- Sì, ma non è facile governare dopo il duca Denis. Cerco di fare del mio meglio, ma non ho esperienza. Ogni tanto qualcuno dei miei consiglieri mi dice: non credo che Denis d’Aguilard avrebbe fatto così. Vuol dire che sto sbagliando e che il mio predecessore non avrebbe fatto quell’errore. Quante volte leggo lo stesso pensiero sulle facce della gente! Non importa a nessuno che lui fosse un infedele: è stato il miglior signore che abbiano conosciuto. Anzi: il fatto che io, credente, non sia alla sua altezza è un’ulteriore delusione. È un confronto insostenibile.

- Come hai detto, non hai molta esperienza. Ma credo che diventerai altrettanto bravo.

Ubayd scuote la testa.

- Ne dubito. Ci proverò, ma sarà una lunga strada.

Chiacchierano a lungo: hanno combattuto spesso insieme, affrontando mille pericoli e difficoltà di ogni genere, e ora si trovano entrambi signori di un territorio. Hanno molte cose in comune, nonostante la differenza di età.

Verso sera Ubayd dice:

- Non ho fatto cancellare i dipinti nell’appartamento di Ferdinando. Non sapevo chi sarebbe venuto e che cosa avrebbe voluto fare. Certo che quell’uomo… era davvero un porco.

Barbath annuisce.

- Sì, ma questo lo sapevamo tutti. Il peggior porco che abbia mai visto. Anche il miglior toro da monta che esista, a quanto pare.

Ha aggiunto “a quanto pare” perché non vuole che Ubayd sospetti la verità: Barbath parla per esperienza personale.

Ubayd non dice nulla. La mente va a un giorno lontano, di un’altra vita. Si scuote, ride per scacciare il pensiero e dice:

- Non a caso lo chiamiamo Cazzodiferro o Cazzodifuoco. Anche di te dicono qualche cosa del genere, benché il tuo soprannome sia un altro.

Barbath sorride, cercando di nascondere il turbamento che prova quando si parla di Ferdinando.

- Quanto al fatto che sono un porco… temo di non poterlo negare.

- Mi sa che non puoi negare neanche di essere un toro da monta…

Ubayd ride, poi aggiunge:

- So che Ferdinando torna spesso da queste parti.

Barbath è allibito.

- Che cosa dici? Qui? È pazzo! Se venisse preso, finirebbe crocifisso o impalato. Salah ad-Din vuole lo sterminio di tutti i briganti.

- Non viene nel palazzo, no, ma nel territorio. Viene a cacciare. Ogni tanto qualcuno lo vede. Non è tipo da aver paura. E in fondo fino a ora non rischiava molto: c’erano solo alcune guardie a controllare il palazzo. Da quel che ho capito i contadini e i pastori hanno un buon ricordo di lui. Li trattava meglio dello sceicco Ya’qub.

Barbath annuisce.

- Ya’qub era uno stronzo, tanto avido quanto vile. È per colpa di gente come lui che gli infedeli hanno potuto reggere a lungo queste terre.

 

Ubayd si ferma a dormire: partirà domani in mattinata. Quando Barbath si ritira nella camera, osserva ancora i dipinti sulle pareti. Il desiderio si accende di nuovo, il cazzo gli si tende. Barbath si toglie gli abiti e passa nello spogliatoio. Oscura la lanterna, in modo che proietti la luce solo sulla parete dove è dipinto Ferdinando che fotte Adham. La guarda a lungo, poi torna nella camera da letto e controlla che la porta sia ben chiusa. Apre la cassa che ha portato con sé e ne estrae un pugnale ornamentale che gli è stato regalato. L’arma ha un lungo manico cilindrico, con l’estremità arrotondata. Barbath lo guarda a lungo. Pensa che dovrebbe infilarsi la lama in petto e sarebbe la cosa migliore, ma prende il pugnale, chiuso nel suo fodero, e torna nello spogliatoio.

Sparge un po’ di saliva sul manico del pugnale, poi allarga le gambe e preme l’estremità del manico contro il buco del culo. Lentamente lo spinge dentro. Barbath non è stato penetrato spesso e l’ingresso è doloroso, ma va bene così. Spinge, facendo avanzare lentamente il pugnale, mentre guarda l’immagine di Ferdinando. Poi con la sinistra tiene ben fermo il pugnale in culo e con la destra si masturba.

Procede a lungo e infine viene. Cade in ginocchio. Estrae il manico. Toglie il fodero e afferra il pugnale. Lo avvicina al petto, all’altezza del cuore. Chiude gli occhi. La punta della lama ora incide la pelle. Un po’ di sangue esce dalla minuscola ferita e cola sul petto.

Dopo un buon momento allontana il pugnale. Si alza, si lava, pulisce il manico e si stende a letto.

Pensa che se Feisal fosse ancora con lui, forse riuscirebbe a uscirne. Ma Feisal è morto in uno scontro, durante la conquista del castello che i franchi chiamavano Gorgedefer. E ora Barbath è solo con le sue ossessioni.

 

Prima di lasciare Jabal al-Jadid Barbath ha comunicato la sua intenzione di fermarsi nell’Arram solo qualche settimana, sempre che la situazione militare non induca Salah ad-Din a chiamarlo. Ma rimanere nel palazzo e dormire nella camera di Ferdinando dà sempre più forza ai suoi fantasmi.

Barbath vorrebbe far dipingere le pareti, coprendo le pitture, ma ogni volta che decide di chiamare qualcuno per farlo, cambia idea all’ultimo minuto. Potrebbe dormire in un’altra stanza, ma prova un’unica volta: nella notte ritorna nella camera di Ferdinando e si masturba davanti all’immagine di Ferdinando al bagno.

Barbath potrebbe scopare con qualche soldato: più d’uno sarebbe ben contento di darsi al comandante dell’esercito di Salah ad-Din, al Flagello, come lo chiamano i cristiani. Ma Barbath è prigioniero delle sue ossessioni. Quando si infila il manico del pugnale in culo, pensa che uno di questi giorni introdurrà l’arma dalla parte della lama. O forse potrebbe farlo con una spada.

 

Una settimana dopo il suo arrivo Barbath scrive al pittore Waahid: vorrebbe che venisse nell’Arram, perché desidera commissionargli alcuni dipinti. Waahid è un uomo libero, ma per correttezza Barbath scrive anche all’emiro, chiedendogli se non ha niente in contrario a lasciar partire il pittore di corte.

Waahid è molto affezionato a Barbath e non gli spiace recarsi nell’Arram: non vi è mai stato, perché la regione era sotto il controllo dei franchi, e dicono che sia un posto piacevole, ricco di acque e di boschi. L’emiro ha un grande debito di riconoscenza nei confronti di colui che è stato il suo comandante dell’esercito e di certo non intende opporsi a questa richiesta.

Waahid parte. Sceglie di passare a sud dei monti, per evitare l’area in cui operano i briganti di Ferdinando e altre bande. Si unisce a una grande carovana che da Jabal al-Jadid raggiunge al-Hamra. Vi arriva in tarda mattinata. Vorrebbe visitare la città, ma Barbath lo attende, per cui si ferma solo il tempo di mangiare e lasciar riposare il cavallo. Nel pomeriggio in poche ora arriva da Barbath.

Barbath lo accoglie con calore: è contento di rivedere il pittore, che un tempo, oltre vent’anni fa, è stato suo schiavo ed amante.

Dopo avergli fatto vedere il palazzo, lo porta nella camera di Ferdinando e gli dice:

- Questa è la camera di Ferdinando. Guarda che cosa si è fatto dipingere alle pareti.

Waahid osserva, sorridendo. Non mostra stupore.

- So che c’erano già dei dipinti, che raffiguravano lo sceicco Ya‘qub: li aveva fatti al-Akhdar, un pittore che conoscevo. Ferdinando si è poi fatto mettere al posto dello sceicco.

- Ya’qub aveva gli stessi gusti di Ferdinando?

- No, al posto degli uomini c’erano delle donne. Ferdinando le ha fatte togliere.

Waahid ride e aggiunge:

- Perché non ti fai mettere tu al posto di Ferdinando? Al-Akhdar è ancora vivo e continua a dipingere, anche se è anziano.

Barbath scuote la testa.

- Potrebbe essere un’idea, ma credo che farò coprire tutto, però… ti ho chiamato proprio in relazione a questo.

- Dimmi, Barbath.

- Vorrei che tu copiassi questi dipinti, prima che io li faccia distruggere. Voglio conservarne una testimonianza, il più possibile precisa.

Waahid non ha motivi per dubitare della parola di Barbath. Non sa perché il comandante voglia avere una copia delle immagini, ma lo farà volentieri. Non è un gran lavoro: si tratta di copiare e poi colorare fedelmente le immagini.

La sera mangiano insieme e parlano delle loro vite. Tra loro c’è molta confidenza, perché si conoscono da molti anni e sono amici.

- Non ti pesa stare qui da solo, Barbath?

Barbath guarda l’amico. Annuisce.

- Sì, il posto è molto bello, però avrei preferito rimanere a Jabal al-Jadid. Solo che non potevo rifiutare: avrei offeso Salah ad-Din, che già mi aveva offerto Akka.

- Capisco. Ti manca molto Feisal, suppongo.

Sul viso di Barbath appare una contrazione, al pensiero del compagno morto.

- Sì, certo.

Dopo un attimo Barbath aggiunge:

- E tu, sempre solo?

Waahid china il capo. È davvero solo. Latif, che è stato il suo compagno per dieci anni, se n’è andato da tempo. Waahid ha sperato a lungo che tornasse, ma non è stato così.

- Sì. Dopo che Latif si è allontanato, per un po’ mi sono illuso che potesse ritornare, che tutto potesse essere come prima, ma era una speranza assurda. E poi… ci sono stati altri uomini, ma nessuno è mai stato importante.

- Non ti manca un compagno? Sei giovane.

Waahid guarda lontano.

- Sì, credo di sì. Un tempo no, soffrivo per l’abbandono di Latif e non sentivo la mancanza di un uomo, non volevo un altro uomo, volevo lui, ma ora sì, vorrei avere un compagno.

C’è un momento di silenzio, poi Barbath dice:

- Sono un pessimo padrone di casa. Invece di rallegrare il mio ospite, lo intristisco.

- E io sono un pessimo ospite. Oltre tutto sono stato io a incominciare, chiedendoti di Feisal.

Barbath sorride. Avrebbe bisogno di parlare delle sue ossessioni, ma non se la sente di farlo, né con Waahid, né con nessun altro. È qualche cosa di troppo personale, per cui prova vergogna.

- Bando alle tristezze. Siamo in un bel palazzo, stiamo mangiando una buona cena in piacevole compagnia. Per me almeno è piacevole e tu non oserai dire che non lo è per te. Cambiamo argomento. Raccontami un po’ le ultime novità alla corte del nostro emiro.

Passano così a parlare di Jabal al-Jadid e degli amici comuni.

Alla fine della cena i servitori portano via i piatti, ma i due commensali, stesi sui cuscini, continuano a chiacchierare. Al momento di mettersi a dormire, Waahid dice:

- Certo che dormire in quella camera, con quello stallone di Ferdinando e tutti quegli altri maschi nudi, deve ispirarti certi sogni…

Barbath annuisce.

- Sì, diciamo che se li guardo prima di stendermi, il sonno mi passa.

- E allora chiami qualcuno dei soldati o dei servitori.

Barbath scuote la testa.

- No. Può sembrarti incredibile, ma non lo faccio.

- Barbath casto. Chi l’avrebbe mai detto?!

- Non ho mica detto di essere casto…

Barbath si interrompe. Non vuole scoprirsi. Si vergognerebbe a raccontare che a quasi cinquant’anni ha ripreso a farsi le seghe. Ma l’uomo che accende i suoi sensi è quello che vede sulle pareti.

Waahid pensa che Barbath scopi con qualcuno durante il giorno. Non vuole mostrarsi curioso, ma il suo desiderio si è destato. Gli piacerebbe che quest’uomo vigoroso che ora è steso accanto a lui lo prendesse, come faceva un tempo, molti anni fa, quando era il suo padrone.

Non vuole proporsi direttamente, ma dice:

- Credo che il sonno passerebbe anche a me, se dormissi in quella camera. E non credo che rimarrei da solo, potendo scegliere.

Barbath lo guarda. Ha intuito. Waahid era un bel ragazzo e ora è un uomo. Non ha più la bellezza della giovinezza, ma il suo viso non presenta cicatrici e di certo anche il corpo non ha subito ferite. È un corpo molto diverso da quello che ritorna ossessivamente nella mente di Barbath, ma forse potrebbe scacciare per un momento quell’immagine.

- Questa notte potresti dormire nella camera e vedere che cosa succede.

Waahid sorride. Chiede, con un sorriso malizioso che dà alla domanda il suo esatto significato:

- Vorresti mica farmi dormire da solo in una camera con tutti quei maschi in calore alle pareti? Avrei paura…

Barbath alza le sopracciglia:

- Ho detto che ti avrei fatto dormire da solo? Non mi pare. Conto di difenderti da tutti quei maschi e soprattutto da Ferdinando.

- Allora va bene.

Si dirigono verso la camera. Una volta dentro, Barbath incomincia a spogliare Waahid, che lo lascia fare. È bello sentire queste mani forti che lo accarezzano e intanto gli tolgono gli abiti. Barbath contempla il corpo che si scopre, armonioso ed elegante.

Barbath solleva Waahid e lo depone sul giaciglio. Poi, lentamente, si spoglia.

Waahid guarda quest’uomo vigoroso, il corpo segnato da numerose cicatrici, la peluria sul petto e sul ventre, il grosso cazzo che già si tende e i tre coglioni.

Barbath si inginocchia sul lenzuolo, accanto a Waahid. Le sue mani e la sua bocca percorrono il corpo che gli si offre. Accarezza, mordicchia, lecca, succhia, afferra. Waahid sprofonda in una vertigine di piacere. Geme, forte.

Barbath lo guarda negli occhi, gli sorride, gli solleva le gambe e si poggia i piedi sulle spalle. Inumidisce l’apertura e molto lentamente preme con il cazzo, spingendolo in avanti, sempre più a fondo.

Waahid geme. Il piacere è violento. C’è anche un po’ di dolore, perché Barbath è molto dotato. L’emiro dell’Arram spinge  in avanti e si ritrae, a un ritmo regolare, ma il suo sguardo ora si dirige verso la parete opposta, dove Ferdinando troneggia nel bagno, tra i servitori che lo lavano. Barbath vorrebbe guardare altrove, ma non ci riesce. Fotte Waahid, ma è come se fosse Ferdinando a fotterlo.

Barbath va avanti a lungo e infine viene, mentre la sua mano accarezza il cazzo di Waahid. Il seme si sparge in culo al pittore, che viene anche lui, con un gemito più forte.

Rimangono un momento così, poi Barbath esce e si stende vicino a Waahid, che gli sorride.

- Comandante, nessuno scopa come te.

Barbath scuote la testa. Waahid aggiunge:

- Credo che neanche Ferdinando sia un tale maschio.

Barbath non dice nulla.

 

Ogni notte scopano nella camera e ogni notte a Barbath pare che Ferdinando li osservi e rida, perché sa che il grande Barbath vorrebbe farsi fottere da lui, il brigante.

Di giorno Waahid disegna e dipinge. Non è un lavoro lungo, perché non deve ideare nulla, ma solo riprodurre fedelmente: non ci sono ripensamenti o correzioni da apportare. Il pittore è molto preciso nell’esecuzione dei suoi lavori, ma questo non gli impedisce di procedere rapidamente.

Le giornate scorrono apparentemente tranquille. La presenza di Waahid distrae Barbath, ma l’emiro sa che i suoi fantasmi sono sempre presenti: si sono solo messi nell’ombra un momento, ma aspettano pazienti, perché sanno che la loro preda non sfuggirà.

Da giorni Barbath accarezza un’idea. Sa che può fidarsi di Waahid, per cui decide di realizzarla.

Un mattino, mentre Waahid è al lavoro nello spogliatoio, Barbath gli dice:

- C’è una cosa che non ti ho ancora detto.

Waahid alza gli occhi e chiede:

- Che cosa?

Barbath accenna con il capo alla scena dipinta sulla parete, quella in cui Ferdinando incula Adham.

- Voglio che tu dipinga questa stessa scena, mettendomi al posto dell’africano.

Waahid non si aspettava una richiesta di questo genere. Rimane disorientato. Barbath ride, per nascondere ciò che prova, e aggiunge:

- Mi hai dipinto mentre il Circasso mi fotteva e quella era realtà. Adesso mi dipingerai mentre Ferdinando mi fotte. Non posso spiegarti a che cosa mi serve, ma ho bisogno di quell’immagine.

Waahid annuisce. Suppone che Barbath abbia in mente qualche piano per catturare il brigante Ferdinando. Sa che si sono conosciuti e pensa che l’emiro conti di attirarlo in una trappola grazie al dipinto. Non vuole mostrarsi curioso, per cui non chiede. Non gli spiace dipingere questa scena. Ha sempre dipinto volentieri scene erotiche. E dipingere due maschi come Ferdinando e Barbath è davvero il massimo.

Mentre realizza l’immagine, si chiede se Barbath intenda far arrivare in qualche modo le immagini a Ferdinando, per attirarlo nel palazzo e catturarlo: se il brigante vedesse le riproduzioni dei dipinti sulle pareti, che ha fatto fare lui, e insieme l’immagine in cui possiede Barbath, probabilmente sarebbe curioso di scoprire se davvero l’emiro si è fatto dipingere mentre viene posseduto e, magari in assenza del padrone di casa, potrebbe decidere di venire a vedere. In questo caso il dipinto sarebbe una trappola per catturare il brigante.

Potrebbe essere così, ma l’idea non lo convince. Comunque Barbath sa quello che fa e se non ha voglia di spiegare, non è il caso di chiedere.

Il giorno dopo Waahid disegna la scena. Come spesso gli capita quando disegna scene erotiche, il cazzo gli si tende. Pensa che in serata Barbath lo prenderà di nuovo. Si ferma e i suoi pensieri vagano. Non gli spiacerebbe rimanere nell’Arram, con Barbath. Non è innamorato di lui, ma con lui sta bene e a letto… un maschio così Waahid non l’ha mai conosciuto.

 

A Jibrin è arrivata la notizia che l’Arram ha un nuovo signore e che è il guerriero che i cristiani chiamano il Flagello, Barbath ibn Yusif. Quando glielo dicono, Ferdinando ride:

- Porcoddio! Proprio Barbath. Mi piacerebbe incontrarlo.

Basan, che è al servizio di Ferdinando da oltre vent’anni, ride e dice:

- Ci tieni proprio a finire con il palo in culo?

- Porcoddio, no! Ma Barbath lo fotterei volentieri. È un tale maschio…

Adham non dice nulla.

 

Basan e Baudouin, un soldato di Denis che ha deciso di unirsi ai briganti di Ferdinando, scendono nella valle del Nahr. Devono ritirare il tributo che chiedono ai contadini della zona. La presenza dell’emiro e delle sue truppe invita a essere più prudenti, ma i due briganti non si preoccupano molto. Gli abitanti della regione non si sono mai lamentati di quanto viene richiesto: non si tratta di molto.

Barbath però ha parlato con contadini e pastori, si è fatto un quadro della situazione e ha deciso di intervenire per mettere fine alle incursioni dei briganti.

I due si rendono conto dell’errore fatto solo quando, avvicinandosi a una casa isolata, si ritrovano di colpo circondati da una quindicina di soldati a cavallo. Un ufficiale intima loro di arrendersi. Non hanno nessuna scelta: cercare di resistere significherebbe venire uccisi immediatamente. Può essere una fine migliore rispetto alla crocifissione o all’impalamento che probabilmente li aspetta, ma scelgono di gettare le armi, sperando di cavarsela in qualche modo. Vengono legati e portati al palazzo.

Barbath in persona li interroga. Basan e Baudouin non sono in grado di inventare qualche scusa convincente per spiegare la loro presenza nell’Arram orientale. Tutti e tre sanno benissimo che interrogando qualche contadino l’emiro avrà la conferma che si tratta di due uomini di Ferdinando.

Questa cattura certamente farà da deterrente per i briganti, che ci penseranno due volte prima di spingersi fino all’Arram. Barbath spera che gli fornisca il modo di catturare Ferdinando. Darebbe qualsiasi cosa per poter avere nelle proprie mani quel fottuto brigante.

I due vengono chiusi in una cella, incatenati. Quando la porta viene chiusa, Baudouin dice:

- Merda. Siamo fottuti.

Basan annuisce.

- Forse.

- Abbiamo qualche possibilità di cavarcela?

- Vedremo. Ferdinando farà il possibile per salvarci. Non ci abbandonerà senza averci provato.

- E che cazzo può fare? Attaccare il palazzo? Non siamo abbastanza, Basan, lo sai benissimo. Siamo fottuti.

Basan non risponde. Sa che Baudouin ha probabilmente ragione, ma gli dà fastidio vederlo così spaventato. Se scegli di diventare brigante, sai benissimo che corri dei rischi e che se i saraceni ti beccano, finisci sulla croce o impalato.

 

La sera Barbath racconta a Waahid della cattura. Il pittore chiede:

- Che intendi farne? Li farai giustiziare?

- Sicuramente, ma prima voglio capire se me ne posso servire per stanare Ferdinando. Darei qualsiasi cosa per poterlo catturare e ammazzare.

- Lo odi tanto?

Barbath scuote la testa. Spiegare che cosa prova sarebbe complesso. Si limita a dire una parte della verità:

- No, non lo odio, ma è un brigante e sarei molto contento di vederlo impalato. E poi ti farei dipingere la scena, per poterne conservare il ricordo.

Waahid annuisce. Gli è stato richiesto di dipingere alcune esecuzioni e l’idea non lo turba, anche se non è un soggetto che ama: preferisce i ritratti, le scene erotiche e quelle di battaglia o di caccia, che sono i temi più frequenti.

- Prima però devi catturarlo.

- Ci riuscirò, prima o poi ci riuscirò, te lo garantisco.

Barbath si alza.

- Vieni in camera.

È impaziente. L’idea di impalare Ferdinando ha acceso il suo desiderio.

Nella stanza si spoglia in fretta. Waahid vede il suo grosso cazzo teso, sotto cui pendono i tre coglioni. Coglie l’urgenza del desiderio di Barbath. Non ne capisce la ragione, ma non ha importanza. Si toglie gli abiti e si mette a quattro zampe sui cuscini: non vuole fare aspettare l’amico.

Barbath sputa sul solco, sparge la saliva intorno all’apertura, poi si inumidisce la cappella ed entra, cercando di frenare la sua irruenza: non vuole fare male a Waahid. Fotte a lungo, ma il suo sguardo è fisso su Ferdinando che dal muro lo guarda e sembra ridere, perché sa benissimo ciò che Barbath vuole.

 

 

Due giorni dopo Waahid esce nel tardo pomeriggio: ha piacere di muoversi un po’ e ne approfitta per tracciare qualche schizzo del paesaggio. Non è più caldo come nelle ore centrali del giorno, quando il sole di maggio sembra schiacciare la terra e ogni essere vivente. C’è un leggero venticello e all’ombra di un albero si sta benissimo. L’Arram è davvero un piccolo paradiso e non è strano che lo sceicco di al-Hamra lo avesse scelto come residenza estiva.

Waahid è concentrato nel disegnare il fianco della collina, con due case isolate che spiccano in mezzo a un grande prato circondato da boschi. Un gregge di pecore forma una macchia bianca sul verde intenso dell’erba, che le piogge di aprile hanno fatto crescere rigogliosa.

Il pittore non si accorge dei quattro uomini che si sono avvicinati silenziosamente. Quando il rumore di un ramoscello spezzato gli fa voltare la testa, è troppo tardi per tentare una fuga: è circondato.

- Se gridi sei morto.

Waahid annuisce, mentre il cuore gli batte all’impazzata. Non ha mai combattuto, non è stato un guerriero. Ha visto stragi e morti, quando Shakra, dove viveva, venne espugnata e poi quando il Circasso conquistò Jabal al-Jadid, ma non si è mai trovato direttamente minacciato.

Un uomo sale su un cavallo e lo fa salire davanti a lui, poi sprona l’animale. Gli altri lo seguono.

- Dove mi portate?

- Lo vedrai.

- Chi siete?

- Lo vedrai.

Waahid non chiede altro: ha capito che è inutile domandare, che non otterrà risposte. È quasi certo che si tratti dei briganti di Ferdinando. Forse intendono scambiarlo con i due prigionieri. Waahid spera che sia così: in questo caso la sua vita è preziosa.

Gli uomini cavalcano a lungo, con un’unica sosta, quando uno dei due raggiunge la casa di un contadino e gli parla un momento. Quando il sole tramonta, Waahid sente l’ansia crescere. Ora che cavalcano nell’oscurità, i suoi pensieri si incupiscono. Potrebbero volersi vendicare dei due briganti catturati, potrebbero ucciderlo. Non ha mai sentito dire che questi briganti siano feroci, ma quelli che hanno impalato sulla strada da Homs a Hama erano delle bestie. Gli hanno raccontato che una volta avevano catturato quattro soldati che davano loro la caccia. Per vendicarli li avevano stuprati, poi castrati, avevano cavato loro gli occhi, tagliato il naso e le orecchie e infine li avevano crocifissi. Waahid rabbrividisce. Nel silenzio della notte, rotto solo dallo scalpitio dei cavalli, la paura cresce. Waahid vorrebbe che gli uomini parlassero, ma non dicono nulla e l’impressione è quella di essere trascinato da un gruppo di ginn, più veloci del vento. Magari i due banditi prigionieri verranno uccisi e Ferdinando si vendicherà su di lui. Quando Ferdinando cacciava i briganti insieme al duca Denis, il Cane dagli occhi azzurri, ne aveva impalati personalmente diversi.

Waahid chiude gli occhi. Un brivido più forte corre per tutto il suo corpo. Il cavaliere che lo porta ha aperto un mantello e ora lo avvolge: deve averlo sentito tremare e ha pensato che avesse freddo. Sentire il mantello su di sé rassicura un po’ il pittore.

 

La sera all’ora di cena Waahid non è rientrato. Barbath è inquieto. Non sa come spiegarsi il ritardo. Manda alcuni uomini a informarsi.

Il pittore è stato visto nel pomeriggio salire sul fianco della collina oltre il fiume, ma non c’è traccia di lui.

Le ricerche proseguono in quella direzione e infine un contadino dice di aver visto alcuni uomini a cavallo scendere e poi risalire. Al ritorno su un destriero c’erano due cavalieri.

Non ci sono dubbi: Waahid è stato rapito. I briganti vogliono chiedere un riscatto? Vogliono proporre uno scambio con i due prigionieri? La seconda possibilità appare più probabile, ma non è da escludere neppure la prima: Waahid è il maggior pittore vivente e vale molto di più di due briganti. Forse, per non dire quasi certamente, vogliono le due cose insieme.

Barbath sa che dovrà cedere. Vuole bene a Waahid, lo ha invitato ed è responsabile di ciò che può accadergli. Dopo la cattura dei due briganti, avrebbe dovuto far accompagnare il pittore da alcuni suoi uomini. Qasr al-Hashim non è così lontano. Ha fatto un errore e ora Waahid è in pericolo. Deve salvarlo a ogni costo.

 

È notte fonda quando infine i due cavalieri arrivano a Jibrin con la loro preda. Waahid è intorpidito. Non sa quante ore hanno cavalcato. Lo fanno scendere e lo accompagnano in una stanza dove una torcia arde alla parete. Ci sono due uomini in piedi. Waahid li riconosce immediatamente, perché li ha visti sulle pareti del palazzo dell’Arram: Ferdinando e il nero che nel dipinto viene fottuto.

È il nero a parlare: per Adham l’arabo è la lingua madre, mentre Ferdinando lo conosce e lo parla abbastanza, ma in modo piuttosto approssimativo.

- Benvenuto, Waahid ibn Munthir. Io sono Adham e lui è Ferdinando. Ci scusiamo se ti abbiamo invitato al castello in un modo poco cortese, ma ci tenevamo troppo ad averti con noi.

L’ironia traspare chiaramente nel tono, ma non c’è traccia di cattiveria e il sorriso di Adham è aperto.

Waahid si sente rinfrancato. Risponde:

- Non potevo certo rifiutare il vostro gentile invito.

Adham sorride.

- Forse hai capito perché sei stato invitato qui. Due nostri amici sono stati invitati a palazzo nell’Arram e vogliamo essere sicuri che possano tornare da noi.

- L’avevo sospettato.

Adham prosegue:

- In ogni caso ci tengo a dirti che, anche se le cose non dovessero andare come desideriamo, non è nostra intenzione farti del male, in nessun modo. Anche se naturalmente minacceremo di farlo.

Le parole di Adham rassicurano completamente Waahid.

- Sono contento di saperlo.

- È ormai molto tardi, per cui non abbiamo preparato una festa in tuo onore, la faremo domani sera. Ma se vuoi mangiare qualche cosa, visto che non hai cenato, ti accompagno in cucina.

Waahid scuote la testa.

- Ti ringrazio, ma non credo che mangerò nulla. Sono stanco e vorrei riposare.

- Ti accompagno nella tua camera.

Adham accompagna Waahid in una stanza nella parte più interna del castello. È una camera normale, non una cella. Potrebbe alzarsi e uscire, ma non avrebbe comunque nessuna possibilità di fuggire: anche se riuscisse a uscire dal castello, tra queste montagne che non conosce si perderebbe, rischiando di morire, senza nessuna speranza di raggiungere l’Arram.

 

È ancora presto quando un soldato si presenta a Barbath per dirgli:

- Un contadino ti vuole parlare, emiro. Dice che è urgente.

- Fallo entrare.

L’uomo entra e si getta ai suoi piedi. È chiaramente spaventato.

- Emiro, perdonami, ma ho un messaggio per te.

Barbath non capisce perché quest’uomo sia così spaventato e perché dovrebbe perdonarlo. Il pensiero va subito a Waahid. Che sia stato ucciso e che quest’uomo abbia trovato il corpo? Ma ha parlato di un messaggio, non di una notizia.

Nella voce di Barbath trapela una certa impazienza quando risponde:

- Non farmi perdere tempo. Dimmi qual è il messaggio e chi te l’ha affidato.

- È stato uno che non conosco, mi ha detto che è un uomo di Ferdinando, il brigante. Mi ha detto che hanno rapito loro il pittore e te lo renderà solo se tu libererai i due uomini che hai catturato. Altrimenti… ti renderanno solo la sua testa.

Barbath si alza di scatto. Il contadino alza le braccia impaurito, come se volesse chiedere pietà o ripararsi dai colpi. Ma l’emiro non ha motivo di prendersela con lui, che è solo il latore, suo malgrado, di un messaggio sgradito. È furioso per la minaccia, perché è preoccupato per Waahid.

- Torna da loro e digli che…

Barbath vede che l’uomo scuote la testa, chiaramente angosciato, e si interrompe.

- Che c’è?

- Non li conosco, non so dove trovarli. Perdonami. Quell’uomo mi ha solo detto quanto ti ho riferito e ha aggiunto che se sei d’accordo devi mandare oggi un tuo uomo sulla Sella per stabilire le condizioni e i tempi della consegna. Da solo e senza armi. Dev’essere lì oggi, a metà giornata.

Il contadino aggiunge ancora:

- Perdonami, emiro.

- Non ho niente da perdonarti. Avevi un messaggio da portare e l’hai fatto. Non ho motivo per prendermela con te.

La paura dell’uomo irrita Barbath. Per chi lo ha preso? Per uno che sfoga la sua rabbia sul primo che capita? Fa dare all’uomo qualche moneta e lo congeda.

La Sella è un rilievo con un’ampia cresta tra due cime. Non è stato scelto a caso: tutta la cresta è spoglia ed è impossibile nascondervi molti uomini: quei bastardi vogliono essere sicuri di non cadere in una trappola.

La Sella è lontana. Ci vogliono tre ore a cavallo per arrivarci. Non c’è molto tempo e forse anche questa è stata una scelta dei briganti: non lasciargli il tempo di organizzare nulla. Comunque adesso l’unica cosa da fare è sentire quali sono le condizioni.

Barbath riflette un buon momento, poi convoca Yitsaq, che gli fa da segretario: l’ebreo è intelligente, non è pauroso e conosce bene l’Arram. È la persona adatta per ascoltare le richieste dei briganti.

Yitsaq ascolta le istruzioni, prende un cavallo e raggiunge il luogo fissato. Quando arriva vede due banditi. Uno avanza verso di lui e quando è al suo fianco, chiede:

- Chi sei?

- Sono Yitsaq, inviato dell’emiro Barbath. E tu chi sei?

- Il mio nome non ha importanza. Mi manda Ferdinando per dirti quali sono le nostre condizioni per la liberazione del pittore.

- Dimmi.

- Vogliamo che i nostri due compagni vengano liberati e chiediamo inoltre venti dinar.

La richiesta non è da poco, anche se certamente i briganti avrebbero potuto chiedere di più: Waahid è noto in tutta la Siria.

- Riferirò al mio signore la vostra richiesta.

- Domani ci ritroviamo qui e mi dirai se il tuo signore vuole il pittore vivo o se gli basta la sua testa.

Il brigante ride.

- Non credo che rendergli solo la testa sarebbe una buona idea, ma in questo caso lui potrebbe rendervi solo la testa dei vostri due compagni. O magari la testa e qualche cos’altro.

Il riferimento è alla pratica, non rara, di castrare gli uomini che vengono impalati. Yitsaq ghigna e conclude:

- Gli riferirò la vostra richiesta.

L’uomo osserva Yitsaq, annuisce, volta il cavallo e si allontana. Yitsaq ritorna al palazzo e riferisce quanto gli è stato detto.

Barbath riflette. Potrebbe tentare un colpo di mano: disporre i suoi uomini nella notte e cercare di catturare i briganti e liberare Waahid, ma i rischi sono troppi. Certamente Ferdinando ha messo alcuni suoi uomini in punti strategici, per controllare i movimenti ed evitare un agguato. E anche se la manovra riuscisse, quando scoprissero di essere in trappola, i briganti potrebbero uccidere il pittore per vendicarsi.

L’unica è cedere. La somma richiesta è consistente, ma non eccessiva. Domani manderà Yitsaq a dire che accetta. Intende però porre condizioni, per essere sicuro che lo scambio avvenga senza problemi e che i banditi non giochino qualche sporco tiro. Non può fidarsi ciecamente di un brigante. Non può fidarsi di Ferdinando.

Non ha nessun motivo specifico per non fidarsi di lui, in realtà. Ma è meglio essere prudenti.

C’è un altro pensiero che ritorna ossessivo: rivedere Ferdinando. Parlargli. Barbath non sa che cosa potrebbe dirgli, ma vuole vederlo e parlargli. Riflette a lungo, poi dà le istruzioni a Yitsaq.

 

Quando si sveglia, Waahid per un momento non capisce dove si trova. Poi il giorno precedente gli torna alla mente. Avverte di nuovo una certa preoccupazione, anche se ricorda le parole di Adham: non hanno intenzione di fargli del male, in nessun caso.

Si alza, si riveste ed esce dalla stanza. Non c’è nessuno e non sa dove dirigersi, ma quando arriva alla scala, vede un uomo che evidentemente lo aspettava. Gli dice qualche cosa che Waahid non capisce e, vedendo di non essere stato compreso, con un gesto gli dice di fermarsi. Scende e poco dopo arriva Adham.

- Hai dormito bene?

- Sì, certo.

- Vieni a far colazione.

Per tutta la giornata Waahid è trattato come un ospite di riguardo. È libero di circolare nel castello e l’unico limite è che non può uscire. Adham lo accompagna buona parte del tempo e chiacchiera con lui: si è assunto il ruolo di padrone di casa.

- So che sei un grande pittore. Denis di al-Hamra aveva diverse tue opere, suppongo che le abbia ancora, le avrà portate via con sé. Me le fece vedere. Davvero dei capolavori.

- Grazie. Quali opere sono?

Waahid ricorda di aver preparato una scena di battaglia e una di caccia che l’emiro ‘Izz voleva regalare al duca Denis. Altre non gli vengono in mente.

Adham descrive brevemente le miniature che ha avuto modo di vedere. Oltre alle due scene che Waahid ricorda, ce ne sono altre tre di cui può intuire come siano arrivate al duca.

Poi Adham chiede:

- Com’è che sei diventato pittore?

- Lo è mio padre, è lui che mi ha insegnato, quando ero ancora bambino.

Waahid racconta della sua esperienza nella bottega paterna, poi di quando divenne schiavo di Barbath, che lo trattò sempre bene e infine lo lasciò libero. Spiega che lavora alla corte dell’emiro ‘Izz e che di rado lascia Jabal al-Jadid.

Sentendo il racconto, Adham ha un’idea.

- Visto che sei qui per qualche giorno, puoi fare qualche ritratto.

Ride e aggiunge:

- Un ritratto opera del grande Waahid ibn Munthir. Vale più di quel che Barbath Tre-coglioni pagherà per il tuo riscatto.

Waahid allarga le braccia in un gesto di scusa.

- Mi spiace, ma non ho con me i colori, solo i fogli di carta che uso per gli schizzi.

- Farai degli schizzi.

 Poi Adham aggiunge:

- Se non ti dispiace. Non voglio forzarti.

- Figurati! Lo faccio volentieri. Comincio con te. Hai un bel viso.

Adham ride:

- Va bene.

Waahid disegna Adham, che si rivela un ottimo modello: sa rimanere immobile, senza alterare l’espressione del viso e senza parlare. Mentre lo disegna, Waahid scorda completamente la sua situazione e le preoccupazioni del giorno precedente e del mattino. Il ritratto è perfetto e dimostra la maestria del pittore, in grado di creare un’immagine somigliante senza neanche fare ricorso al colore.

Adham dice:

- Lo terrò ben caro. Grazie, Waahid. Certo che abbiamo proprio una bella faccia tosta: ti rapiamo e ti facciamo pure lavorare.

Ridono tutti e due. Waahid ora è tranquillo. La prigionia gli appare solo come un’esperienza diversa, un fatto curioso che potrà raccontare a Barbath e poi agli amici a Jabal al-Jadid.

Nel tardo pomeriggio Adham dice:

- A quest’ora ci ritroviamo di solito tutti in una delle sale. Alcuni lottano e poi…

Adham sorride e prosegue:

- …e poi si scopa: a coppie, in gruppi, come viene. Se vuoi venire anche tu, nessuno ti obbligherà a fare nulla, ma nessuno eviterà di scopare perché ci sei tu. Per cui, se ti dà fastidio, è meglio che tu non venga.

- Non mi dà fastidio. Al massimo me ne posso andare, no?

- Sì, certo, puoi tornare nella tua stanza.

Quando Adham e Waahid entrano nella sala, ci sono già quasi tutti gli uomini che non hanno il turno di guardia, disposti intorno a uno spazio in cui due lottatori si affrontano. Ormai fa caldo anche sui monti e diversi briganti sono a torso nudo. I due lottatori e alcuni degli spettatori sono nudi. C’è un forte odore di sudore.

Adham e Waahid si siedono e assistono alla lotta. Quando questa si conclude, il vincitore viene sfidato da un altro brigante, che lo batte e a sua volta si trova ad affrontare un nuovo avversario. Prima che il vincitore del secondo incontro abbia la meglio sullo sfidante, diversi uomini hanno già incominciato ad abbracciarsi, stringersi, baciarsi.

L’attenzione di Waahid si sposta dai lottatori, che sono entrambi forti, agli uomini intorno a loro. Ferdinando ha girato sulla pancia un brigante dalla pelle più scura, anche se non nero come Adham, e ora lo sta infilzando. Waahid vede la smorfia sul viso dell’uomo quando il grosso cazzo del capobrigante si fa strada nel suo culo. Accanto a loro due briganti si sono messi su un fianco, in modo che ognuno dei due abbia il viso di fronte ai genitali dell’altro e ora aprono la bocca per accogliere il boccone di carne che gli si offre. Un maschio molto giovane e snello si è messo sulle spalle le gambe di un compagno più avanti negli anni e ora lo sta inculando. Un uomo alto e massiccio quanto Ferdinando regge con le braccia possenti un maschio più snello, che gli tiene le gambe intorno alla vita, e lo fotte con gusto: una posizione che a Waahid appare alquanto scomoda, ma i due sembrano soddisfatti. Due fottono in piedi contro una parete, mentre accanto a loro, in ginocchio, un terzo li guarda e si fa una sega. Un maschio il cui corpo è ricoperto interamente da un fitto vello nero piscia in bocca a un altro, in ginocchio davanti a lui. Anche i lottatori hanno concluso e lo sconfitto sta succhiando il cazzo del vincitore.

Waahid non ha mai assistito a un’orgia e lo spettacolo gli appare affascinante, ma anche un po’ inquietante. Il suo sguardo passa da un gruppo a un altro. Il cazzo gli si è irrigidito. Guarda Adham al suo fianco. Anche il nero ha il cazzo duro, che tende i pantaloni e la tunica. Intanto Ferdinando ha finito e si è alzato. Intorno a lui si radunano altri maschi. Uno gli lecca il solco tra le natiche, un altro gli prende in bocca il cazzo, un terzo giocherella con i suoi coglioni.

Waahid ha la gola secca. Guarda Adham senza dire nulla.

Adham ha capito. Sorride e dice:

- Vuoi partecipare? Nessuno ti direbbe di no.

Waahid riesce a dire:

- Non qui.

- Andiamo da un’altra parte.

Adham fa strada. Entrano in una camera. Adham si avvicina a Waahid e gli sfila la tunica, poi i pantaloni, svelando il cazzo ormai teso. Ora è il turno di Waahid di spogliare Adham. Il nero ha uno splendido corpo, forte ed elegante, molto diverso dai corpi che il pittore ha visto intrecciarsi nella sala. Il cazzo è già rigido e svetta contro la peluria del ventre.

- Sei bellissimo, Adham.

Adham sorride, avvicina il suo viso a quello di Waahid e lo bacia sulla bocca.

- Anche tu sei bello, Waahid.

 Il pittore posa le mani aperte sul petto del nero, poi le fa scivolare verso il basso. Sul ventre esita un attimo, poi la destra afferra il cazzo e la sinistra avvolge con delicatezza i coglioni. Adham sussulta. Avvicina il capo al suo e gli sussurra, come se non volesse farsi sentire da un ospite invisibile:

- Che cosa vuoi fare?

Waahid lo guarda, poi scivola in ginocchio e avvicina la bocca alla cappella. Non ha mai succhiato il cazzo di un nero. Guarda ammaliato l’arma, formidabile per lunghezza e volume. Passa la lingua dai coglioni su fino alla cappella, poi la prende in bocca e incomincia a succhiare. Sentire la carne calda riempirgli la bocca è una sensazione splendida. Le sue mani si posano sul culo di Adham e stringono con forza, mentre il nero gli accarezza la testa.

Waahid si stacca, guarda Adham, gli sorride e si stende sui cuscini. Sa che Adham gli farà un po’ male, perché è alquanto dotato, ma anche Barbath lo è e ormai si è abituato.

Adham gli sputa sull’apertura, sparge la saliva e poi entra, delicatamente. Sente che la carne cede senza opporre resistenza: il pittore non è certo nuovo a questi piaceri.

Waahid geme. L’ingresso non è stato doloroso e la sensazione è meravigliosa. Questo grosso cazzo che si muove nel suo culo gli trasmette a ogni movimento un’ondata di piacere. Adham va avanti molto a lungo e Waahid geme più forte, fino a che il piacere esplode dentro di lui e il seme si sparge. Allora Adham accelera il ritmo e dopo alcune spinte vigorose viene anche lui. Stringe Waahid tra le braccia e lo bacia sul collo.

- Grazie.

- Grazie a te.

 

Il giorno dopo il messaggero ritorna sulla Sella, dove trova lo stesso uomo con cui ha già parlato.

- Allora, il tuo signore è disposto a renderci i nostri amici e a pagare le spese per il mantenimento del pittore?

Yitsaq ha un buon senso dell’umorismo e apprezza la battuta, per cui risponde, sullo stesso tono:

- L’emiro è disposto a restituire i due ospiti e a pagare… le spese per il mantenimento, ma ti faccio notare che lui sta mantenendo questi due ospiti.

- Non credo che siano ben nutriti come il pittore.

Yitsaq fa un cenno d’assenso. Ora di lasciar perdere le battute. Riprende il discorso:

- L’emiro è disposto a consegnarvi i due prigionieri e la somma che chiedete, in cambio del pittore, ma c’è una condizione.

L’uomo appare perplesso: non si aspettava che venisse posta una condizione ed è diffidente.

- E sarebbe?

- L’emiro sarà presente e lascerà i suoi uomini in riva al fiume. Vuole che venga Ferdinando in persona, lasciando i suoi uomini oltre il passo del Vecchio faggio. Due soldati con l’emiro e i vostri due compagni. Due vostri uomini con Ferdinando e il pittore. Si farà lo scambio, poi tutti se ne andranno a raggiungere gli altri. L’emiro vuole parlare con il tuo capo.

L’uomo annuisce.

- Non posso darti una risposta ora, ma possiamo fare in questo modo: se Ferdinando è d’accordo, domani pianteremo qui una bandiera verde. Se non lo è, una bandiera bianca. Se c’è quella verde, lo scambio avverrà tra sei giorni qui, alle nostre e vostre condizioni. Se c’è quella bianca, dopodomani ci incontreremo io e te qui e vedremo il da farsi.

I sei giorni probabilmente servono per dare a Barbath il tempo di raccogliere il denaro. In realtà l’emiro dell’Arram ha a disposizione la cifra richiesta, ma questo i briganti non possono saperlo.

- Va bene.

Ognuno dei due volta il cavallo e si dirige verso la propria meta.

Il giorno dopo sulla Sella viene conficcata una bandiera verde.

 

A Jibrin, Adham e Waahid passano le giornate insieme. Ogni giorno scopano e già la seconda notte dormono nella camera di Waahid. Ferdinando è un po’ stupito, ma non dice niente: a Jibrin, come nell’Arram, lui e Adham hanno sempre scopato anche con altri; il pittore rimarrà qualche giorno, poi tornerà nell’Arram e Adham riprenderà a dormire e a scopare con lui.

Adham porta il pittore a fare qualche giro fuori dal castello e chiacchierano. Tra loro si crea un’amicizia e presto si ritrovano a raccontarsi le loro vite.

Ogni giorno Waahid  passa un po’ di tempo disegnando Adham, Ferdinando e i loro compagni. Con pochi tratti veloci, riesce a rendere un viso, un corpo. Ogni ritratto viene consegnato al soggetto raffigurato: nessuno dei briganti vuole rischiare che la sua immagine circoli e possa essere utilizzata un giorno per individuarlo e farlo finire sul palo.

Di Adham Waahid ha fatto quattro ritratti: uno del viso, due vestito e uno nudo.

- Waahid, vorrei che ti tenessi uno di questi ritratti. Come ricordo di me.

Waahid annuisce. Si rende conto che gli spiace molto doversi separare da Adham. Non può certo pensare di rimanere al castello o di tornarci dopo la liberazione dei due briganti, perché non vuole diventare un bandito, ma al bel nero si è affezionato.

- Ti farò ancora un ritratto, Adham.

Waahid ride e aggiunge:

- Nudo e con il cazzo in tiro.

Anche Adham ride.

- Ti terrai quello come ricordo?

- Forse.

- Però mi piacerebbe avere un tuo ritratto.

- Te ne farò uno.

Con gli altri Waahid ha pochi contatti. Diversi di loro conoscono solo poche parole di arabo e Waahid non conosce la lingua dei franchi. Qualcuno scoperebbe volentieri con lui, ma ormai è chiaro che il pittore va solo con il nero.

Con il protrarsi della situazione, l’umore di Ferdinando peggiora, anche se preferisce non darlo a vedere. Adham sembra quasi ignorarlo e scopa solo più con Waahid. Ferdinando è contento all’idea che presto si sbarazzeranno del pittore.

 

La sera prima dello scambio di prigionieri Waahid si accorge di essere triste. Domani recupererà la libertà: dovrebbe essere contento. Ma gli pesa separarsi da Adham. Nella camera, dopo che hanno scopato, Adham gli dice:

- Domani sarai libero.

Waahid alza le spalle.

- Non mi sono mai sentito davvero prigioniero. Piuttosto un ospite, trattato benissimo da tutti.

- Sono contento di questo.

C’è un momento di silenzio, poi Adham dice:

- Mi dispiace che tu te ne vada.

Waahid lo guarda.

- Anche a me dispiace andarmene, ma non posso rimanere qui.

- No, di certo. Non lo vorrei. Rischieresti di venire giustiziato il giorno in cui il castello verrà espugnato. E prima o poi avverrà.

Waahid corruga la fronte. L’idea che Adham venga catturato e ucciso lo angoscia. Rimangono muti un buon momento. Adham spegne la lanterna. E nel buio Waahid chiede:

- Sei contento della vita che fai, Adham?

Adham emette un verso, poi dice.

- Come potrei, Waahid? Ero un guerriero. Un guerriero forte, temuto dai nemici. Ho combattuto per Salah ad-Din, il mio signore. Tutti mi stimavano e non c’era macchia sul mio onore. E ora sono uno di quei briganti che tutti disprezzano e che finiranno a marcire su un palo, senza neanche essere sepolti.

C’è molta amarezza nella voce di Adham.

Waahid chiede:

- Allora perché rimani qui?

Adham tace un buon momento. È una domanda che si è posto molte volte. Conosce la risposta. Infine dice:

- Perché lo amavo, Waahid. Lo amavo davvero. Ma quel fuoco si è spento.

Non ha detto chi amava, ma non è necessario. Waahid ha ben presente l’immagine dipinta sulla parete dello spogliatoio a Qasr Arram.

- Puoi andartene. Vieni a Jabal al-Jadid: l’emiro sarà ben contento di avere un uomo forte come te al suo servizio.

Adham volta il capo verso Waahid. Nel buio non può vederlo, ma annuisce.

- Forse lo farò.

- Fallo. Ti presenterò all’emiro. Sarà contento di averti tra i tuoi uomini.

L’indomani mattina si devono alzare molto presto. Waahid consegna ad Adham due disegni: il proprio ritratto, come il nero gli ha chiesto, e una scena in cui Adham lo fotte.

Adham sorride, ma sente una grande tristezza invaderlo. Waahid gli dice:

- Vieni a Jabal al-Jadid, Adham. Non ha senso rimanere qui. Ti aspetto.

Adham non risponde all’invito. Si limita a dire:

- Abbi cura di te stesso, Waahid.

Si salutano in camera: Adham preferisce accomiatarsi dove può abbracciare l’amico.

 

Ferdinando guida un gruppo consistente, di una ventina di uomini. Quattro uomini sono stati collocati già il giorno prima come sentinelle in posizioni diverse, per controllare la situazione e assicurarsi che l’emiro non giochi qualche scherzo.

Quando Ferdinando raggiunge la Sella, gli comunicano che Barbath si è mosso con un drappello, che ha lasciato in riva al fiume, come concordato, e ora sta salendo a raggiungere il punto dello scambio, con i due prigionieri e due suoi uomini: è stato di parola.

Ferdinando avanza con Waahid e due soli briganti.

Barbath è già al punto d’incontro. Ferdinando lo raggiunge. Sorride e dice:

- Lieto di vederti, emiro.

A Ferdinando fa davvero piacere rivedere Barbath: è un maschio che gli piace moltissimo e che fotterebbe volentieri ancora una volta.

Barbath risponde, con voce aspra:

- Vorrei poter dire altrettanto, ma sarebbe una menzogna.

Poi Barbath aggiunge:

- Qui ci sono i tuoi due uomini, puoi prenderteli. Vedo che Waahid è con te. Mando via i miei due soldati con il pittore e tu di’ ai tuoi briganti di andarsene: voglio parlarti da solo a solo.

Ferdinando corruga la fronte, ma sa che gli uomini di Barbath sono lontano e in fondo non ha motivo per diffidare del nuovo emiro dell’Arram, che è sempre stato un guerriero leale.

- Va bene.

Lo scambio viene portato a termine e gli uomini si allontanano, lasciando Barbath e Ferdinando soli, uno di fronte all’altro.

- Che vuoi dirmi, Barbath?

- Devi andartene, Ferdinando. Lasciare Qasr al-Hashim.

Ferdinando ride.

- È per dirmi questa cazzata che volevi parlare con me? Porcoddio, Barbath, non capisci proprio un cazzo.

- Non puoi continuare così. Verremo a stanarvi e finirete tutti sul palo, con il cazzo e i coglioni in bocca.

Ferdinando ride.

- Lo so, d’altronde tu hai promesso di castrarmi. Come vedi, me lo ricordo.

- E lo farò, Ferdinando.

- Va bene. Se non hai altro da dirmi, posso raggiungere i miei uomini.

Barbath digrigna i denti. È furente. Con Ferdinando che non capisce, anche se non saprebbe dire che cosa c’è da capire. Con se stesso, perché si rende conto di aver detto cose che sono davvero senza senso. Non vuole che Ferdinando se ne vada. Ha atteso a lungo il momento in cui l’avrebbe incontrato e adesso non può lasciare che se ne vada così.

- Aspetta.

Ferdinando lo guarda, ghignando.

- Che cazzo c’è?

- Adesso io e te ci affrontiamo.

Ferdinando lo guarda, perplesso, senza dire nulla.

- È una sfida, Ferdinando. Ce li hai i coglioni?

Ferdinando ghigna.

- Anche se io ne ho solo due e non tre, sono belli grossi e li hai visti. Non capisco il senso di questa sfida.

Barbath scende da cavallo e sguaina la spada.

- Avanti.

Ferdinando lo imita. È irritato. Non intende certo lasciarsi ammazzare, ma se fosse lui ad ammazzare Barbath, di sicuro questo scatenerebbe una reazione violenta da parte del Saladino e loro verrebbero spazzati via.

- Va bene, Barbath. Non capisco che cazzo hai in testa, ma non mi tiro indietro.

Ferdinando scende anche lui da cavallo, estrae la spada e si mette in posizione.

Barbath annuisce. Pensa che oggi si libererà dalle sue ossessioni. Ucciderà e castrerà Ferdinando o verrà ucciso da lui.

Attacca deciso, ma Ferdinando para facilmente. Sono due eccellenti guerrieri e sanno che il loro duello non si concluderà tanto presto. Ferdinando rimane sulla difensiva: preferirebbe riuscire a disarmare Barbath, senza ucciderlo, ma sa che non sarà facile, perché il suo avversario è troppo forte.

Barbath è determinato a uccidere Ferdinando o a farsi uccidere. Attacca spesso, con violenza, mettendo in difficoltà Ferdinando, che si limita a cercare di parare i colpi.

La giornata è calda, il sole è alto in cielo e presto i loro corpi si coprono di una patina di sudore e la tunica aderisce alla pelle. Ferdinando vorrebbe togliersi l’indumento, ma non può certo interrompere il duello.

- Porcoddio, Barbath, sotto questo sole cocente, a mezzogiorno… Potevamo scegliere un altro posto. Sei proprio uno stronzo.

Barbath non risponde. Si scaglia su di lui. La lotta riprende. Barbath riesce a ferire Ferdinando alla spalla, ma è poco più di un graffio. Ferdinando lo prende di striscio alla coscia.

La lotta prosegue, serrata. Infine Barbath riesce a far cadere la spada di mano a Ferdinando. Lancia un grido di vittoria e si scaglia su di lui, ma Ferdinando con la sinistra gli blocca il polso e con la destra lo colpisce al ventre. Il pugno è un macigno: Ferdinando è un Ercole e ha colpito con tutte le sue forze. Barbath barcolla. Un secondo pugno gli toglie il fiato. Chiude gli occhi e lascia cadere la spada. Il terzo pugno lo prende mentre già sta cadendo, ormai incapace di reggersi.

Barbath è a terra, in preda a un dolore atroce che sale dal ventre.

- Stronzo. Ma ti ho vinto e adesso ti fotto.

Barbath sente le parole di Ferdinando come se venissero da lontano. Si dice che va bene così. Spera che dopo averlo fottuto Ferdinando lo ammazzi e metta fine alle sue ossessioni.

Ferdinando si spoglia con pochi gesti rapidi. Poi abbassa i pantaloni di Barbath. C’è parecchia merda: l’emiro ha perso il controllo degli sfinteri quando Ferdinando l’ha colpito. Al brigante non importa molto di sporcarsi un po’, ogni tanto capita, ma ce n’è davvero troppa. Ferdinando afferra la tunica di Barbath e la lacera. Ne strappa un pezzo e pulisce alla bell’e meglio il culo che sta per fottere. Butta via il pezzo di stoffa e stende Barbath a pancia in giù.

Barbath non si difende. Il dolore violento al ventre sta calando. Non ha recuperato le forze, ma sa che in ogni caso non si opporrebbe. Vuole questo stupro.

Ferdinando ha già il cazzo duro: Barbath gli piace moltissimo ed è ben contento di fotterlo. Poggia le mani sul culo, divarica bene le natiche e spinge con forza il cazzo dentro l’apertura. Barbath grida: Ferdinando è entrato senza nessuna precauzione e la sensazione è stata quella di una lama che gli entrava in culo.

Ferdinando si ferma un momento. È ancora rabbioso, ma non più furente come prima. Lascia a Barbath il tempo di abituarsi, poi prende a spingere. Barbath sente lo spiedo che gli scava nelle viscere. Il dolore è violento, ma non è solo dolore: c’è anche piacere, un piacere intenso, che si mescola al dolore.

Ferdinando fotte con energia, spingendo il grosso cazzo fino in fondo e poi ritraendolo. E Barbath sente dolore e piacere crescere. Il brigante va avanti a lungo e quando infine il piacere deborda e il suo seme si rovescia nel culo dell’emiro, anche questi viene, con un gemito.

Ferdinando rimane un momento su Barbath, poi si alza. Guarda il corpo steso e scuote la testa. La rabbia non è ancora evaporata del tutto.

- Spero che tu ora sia soddisfatto, stronzo!

Barbath si solleva in ginocchio.

- Uccidimi, Ferdinando, perché altrimenti sarò io a castrarti e ucciderti.

- Non ne ho nessuna intenzione.

Poi, con un gesto rabbioso, afferra Barbath per il collo e gli avvicina la testa al cazzo.

- Puliscimi, stronzo!

Barbath scuote la testa.

- Porcoddio! Ti ho detto di pulirmi, stronzo!

Le dita di Ferdinando stringono. Barbath guarda il cazzo. Non sa perché cede. Forse non gli importa più di nulla, forse desidera gustare il cazzo che ha sentito in culo. Lo prende in bocca e lo succhia.

Non ci vuole molto perché il cazzo si tenda di nuovo. Allora Ferdinando incomincia a fottere Barbath in bocca, con gran gusto. A tratti Barbath fa fatica a respirare, perché il cazzo del brigante gli riempie tutta la bocca, ma non gli importa. Forse morire sarebbe meglio.

Infine Ferdinando viene di nuovo. Allora toglie la mano che tiene sul collo di Barbath e con il piede lo spinge a terra. Guarda il corpo disteso. Scuote la testa. Poi ghigna.

Si avvicina e piscia sulla testa dell’emiro dell’Arram. Si riveste, risale a cavallo e si allontana.

Barbath rimane disteso a terra.

 

L’emiro arriva a Qasr Arram solo nel tardo pomeriggio. Gli uomini sono tutti rientrati, obbedendo ai suoi ordini, ma ora sono preoccupati.

Barbath è a torso nudo e c’è un taglio bagnato di sangue nella stoffa dei pantaloni.

- Che è successo, emiro? Sei ferito?!

- Niente.

La risposta di Barbath è dura. Il tono della voce non lascia spazio ad altre domande.

Anche Waahid, avvisato dell’arrivo dell’amico, viene a salutarlo. È contento di sapere che è tornato: non si sarebbe mai perdonato se a Barbath fosse successo qualche cosa per colpa sua.

- Barbath! Per fortuna sei qui. Che cosa ti è successo?

La gioia di Waahid si smorza subito: il viso di Barbath sembra di pietra. Non risponde alla domanda. Si limita a chiedere, con una voce fredda:

- Tutto bene, Waahid?

- Io sì, ma tu?

- Niente. Ho bisogno di stare da solo.

- Come desideri.

Waahid si allontana. È un po’ preoccupato per Barbath, non capisce che cosa possa essergli successo. Comunque non gli spiace l’idea che questa sera non avranno un rapporto: non ne ha voglia. Porta con sé nella mente l’immagine di Adham.

Barbath entra nel bagno e vi rimane a lungo. Poi esce e si asciuga. Passa nello spogliatoio e si siede di fronte all’immagine di Ferdinando che incula Adham. Rimane a fissarla. Dentro di lui c’è un grande vuoto.

Scende la sera. Un servitore viene e chiede se deve preparare per la cena. Barbath risponde che non mangerà, di preparare per l’ospite. Resta seduto davanti alla parete dipinta anche quando la stanza è avvolta dal buio e non può più vedere nulla.

Nella sua stanza anche Waahid non dorme. Pensa ad Adham. A un certo punto si alza, accenda un lume e guarda i ritratti del nero. Poi torna a coricarsi.

L’indomani Barbath fa colazione con Waahid. Non dice nulla di quanto è successo il giorno prima e il pittore non chiede: ha capito che l’amico non intende parlarne. In realtà Barbath rimane quasi tutto il tempo in silenzio e Waahid si sente a disagio.

- Oggi completo il dipinto che mi hai chiesto, poi partirò, Barbath.

Barbath annuisce. Non gli chiede di fermarsi ancora. Ha bisogno di rimanere da solo.

- Come preferisci. Mi dirai quanto ti devo per il tuo lavoro.

- Barbath! Non intendo certo farmi pagare da te. Mi ha fatto piacere stare un po’ qui e nei tuoi confronti ho un debito di gratitudine enorme e lo sai. Mi spiace solo che per colpa mia tu…

Waahid si ferma. Di nuovo vorrebbe chiedere che cosa è successo, ma capisce che Barbath non vuole domande.

- Ti ho chiesto di fare dei lavori per me, non intendevo certo che tu li facessi senza un compenso.

- Non ne parlare neanche, Barbath. Se mi chiederai ancora altro, pattuiremo un compenso.

- Sei stato anche rapito…

- Mi hanno trattato benissimo. È stata un’esperienza interessante. Quando ci rivedremo e sarai di umore migliore, ti racconterò.

- Va bene. Scusami, so di non essere un buon padrone di casa, in questo momento.

- Nessun problema, Barbath.

In mattinata Waahid finisce il dipinto che l’amico gli ha chiesto e prima di pranzo glielo consegna. Barbath lo guarda. Non riesce a parlare. Sensazioni e ricordi affiorano impetuosi. Waahid lo vede turbato e si allontana.

A pranzo Barbath mangia pochissimo e non dice quasi nulla.

Waahid decide che partirà il giorno seguente. Si rende conto che la sua presenza ormai è quasi un fastidio per l’emiro dell’Arram.

Barbath trascorre la giornata nella sua camera. Guarda l’immagine che Waahid ha preparato. A un certo punto si alza e prende il pugnale. Si spoglia e si inginocchia, a gambe divaricate. Preme il manico contro il buco del culo e spinge dentro. Il dolore lo stordisce: il culo continua a fargli male e ancora in mattinata ha perso un po’ di sangue. Spinge più a fondo, mentre gocce di sudore gli imperlano la fronte e scorrono sul viso. Spinge ancora. Barcolla, ondate di dolore lo travolgono. Fissa l’immagine che ha posato su un cuscino e si afferra il cazzo. Incomincia a masturbarsi. Il dolore si mescola al piacere, ma rimane molto più forte. Anche quando infine Barbath viene, la sofferenza è più forte di tutto. Barbath estrae il manico. Una nuova ondata di dolore. Sul manico merda e sangue. Come sul cazzo di Ferdinando.

 

 

Waahid parte di mattino. Vuole ripassare da al-Hamra, dove all’andata non si è fermato. Conta di rimanere qualche giorno in città. Non l’ha mai visitata prima d’ora perché era ancora un ragazzino quando venne conquistata dai cristiani guidati da Denis d’Aguilard e divenne Rougegarde. Ora che è tornata nelle mani dei credenti, ha piacere di girarla un po’.

Gli hanno detto che la migliore locanda è quella della Luna Piena, gestita da cristiani. Gli infedeli sono molto numerosi ad al-Hamra: oltre ai cristiani, di confessioni diverse, ci sono anche parecchi ebrei e seguaci di altre religioni. Negli anni in cui il signore della città era il duca Denis, la grande prosperità e la tolleranza religiosa hanno attratto uomini di tutte le fedi.

Nella locanda c’è una camera libera. A gestire la locanda sono un uomo e una donna, entrambi sui cinquanta. La donna, Mariette, conserva i segni di una grande bellezza, mentre l’uomo, Tristan, non è bello di viso ed è alquanto massiccio. A Waahid ricorda un po’ Ferdinando, non per i tratti, ma per la statura e la forza.

La locanda è molto pulita e Waahid ci si trova benissimo. Durante il giorno gira per le vie, visita moschee e chiese, osserva i palazzi in pietra rossa, i minareti, i vicoli stretti e le vie più grandi. Ogni angolo gli offre nuovi scorci, spesso di grande bellezza.

Consuma i suoi pasti nella locanda, dove si mangia benissimo. A dirigere la cucina sono due giovani donne: Dina, la figlia di Mariette, e Miriam, figlia di una donna ebrea, Sarah. A Waahid piace l’atmosfera di questa locanda e guarda curioso gli avventori e chi ci lavora. Fa conoscenza con il marito di Mariette, Morqos, che è un arabo cristiano, come pure il fratello, Istfan, che è medico. 

Il terzo giorno Waahid passa anche a salutare Ubayd. Per il signore di al-Hamra ha dipinto una scena di battaglia, con la presa di Mosul. Non esiste tra di loro un rapporto di amicizia, ma a Waahid sembrerebbe scorretto non passare a porgergli omaggio.

Ubayd è contento di vederlo.

- Waahid, è un piacere vederti. Perché non mi hai comunicato che saresti venuto?

- Non sapevo quando sarei passato. Sono stato dall’emiro dell’Arram e al ritorno ho deciso di visitare al-Hamra.

- Sei stato da Barbath! Sta bene?

Waahid esita un attimo.

- Direi che sta bene, ma… mi sembrava alquanto teso quando l’ho lasciato. Non so che cosa sia successo.

Ubayd aggrotta la fronte. Conosce Barbath, insieme a lui ha espugnato Mosul. Non sono amici, ma ha grande stima di lui.

- Avrà avuto qualche problema.

- Sì, ma è stato improvviso. Dopo il mio rapimento.

- Rapimento? Sei stato rapito?

Waahid non intendeva parlare di quanto è avvenuto, ma ormai l’ha detto, per cui deve raccontare brevemente l’accaduto. Conclude dicendo:

- Devo dire che non mi sentivo prigioniero. Ero un ospite, trattato benissimo.

Ubayd annuisce.

- Comunque bisognerà che ci occupiamo di Ferdinando. Bisognerà prenderli e impalarli tutti, come esempio.

Waahid rabbrividisce al pensiero che Adham possa essere impalato.

- Uno degli uomini di Ferdinando è un africano, che è stato un valoroso guerriero e ha combattuto con Salah ad-Din. Venne catturato e divenne schiavo di Ferdinando. Ma vorrebbe tornare a combattere con i credenti.

- Se rimane con Ferdinando, farà la stessa fine.

- Gli ho detto di andarsene. L’emiro di Jabal al-Jadid potrebbe prenderlo al suo servizio.

- Posso farlo anch’io, se è un uomo leale.

- Lo è, non ho dubbi. Ma esita ancora a lasciare i suoi compagni.

- Se esita ancora a lungo, rischia di decidersi troppo tardi.

Ubayd invita Waahid a fermarsi a palazzo, ma il pittore gli dice di aver già preso alloggio in una locanda.

- Allora almeno ti farò visitare questa residenza: credo che per un pittore sia davvero interessante.

- Grazie. Per me è un onore.

- Ti farà da guida il mio consigliere Wilyam.

Ubayd fa chiamare Wilyam e si rivolge a lui nella lingua dei franchi:

- Guillaume, questo è il famoso pittore Waahid ibn Munthir. Vorrei che tu gli facessi conoscere il palazzo.

- Certamente.

Guillaume si rivolge a Waahid in un arabo corretto, ma con un marcato accento straniero, e gli dice:

- È un onore per me conoscere un grandissimo pittore, di cui ho avuto modo di ammirare le opere.

Waahid è un po’ stupito.

- Conosci le mie opere? Ah, sì, la battaglia di Mosul, che ho dipinto per Ubayd.

- Non solo quella. Il duca Denis aveva diverse tue opere e ho avuto modo di vederle.

- Conoscevi il duca?

- Certo, ho anche combattuto con lui.

Guillaume conduce Waahid in visita. Il palazzo è una vera reggia, con una successione di giardini e cortili interni. Guillaume ha accesso a tutti i locali e quando arrivano a un ingresso sorvegliato da una guardia, questa si sposta per farli passare senza chiedere nulla. Waahid è stupito che quest’uomo, evidentemente un cristiano, possa muoversi così liberamente.

Guillaume fa vedere a Waahid i locali più interessanti per un pittore. Lo porta anche alla cisterna sotterranea, tanto grande che alla luce delle torce non è possibile scorgere il soffitto, sostenuto da alte colonne, e la parete opposta. Le fiamme si riflettono nell’acqua.

- Il duca Denis si bagnava spesso qui e una volta cercarono di ucciderlo entrando attraverso un canale.

- Chi?

- Gli Hashishiyya.

La cisterna è un luogo incantato, ma l’intero palazzo affascina Waahid. Quando si congeda, Ubayd lo invita a pranzo per il giorno seguente e gli dice che se ha piacere di fare qualche disegno, può farlo in qualsiasi momento.

In camera Waahid pensa spesso al bel nero. Vorrebbe rivedere Adham, perché con lui è stato bene e gli è sembrato che fosse un amico. Il pensiero accende il suo desiderio. Non avendo un compagno e non cercando rapporti occasionali, Waahid è abituato a periodi di astinenza, ma nel periodo trascorso con Barbath e nei giorni di prigionia, ha scopato praticamente tutti i giorni. Adesso il desiderio è molto forte, ma Waahid non ha voglia di cercare un rapporto occasionale nel bagno pubblico che frequenta e ancora meno di andare in uno dei bordelli della città: non ha mai fatto sesso a pagamento.

Schizza i ritratti di Adham e di Barbath nudi, con il cazzo in tiro. E ridisegna due volte la scena in cui Adham lo fotte, da angoli diversi. Da uno dei due disegni ricava un piccolo dipinto.

 

Nei giorni successivi Waahid traccia alcuni schizzi di diversi angoli del palazzo e della città e anche qualche ritratto delle persone che vede alla locanda o per strada.

Un pomeriggio è intento a disegnare Tristan, che serve ai tavoli ed è troppo indaffarato per far caso a lui. Morqos entra nella sala da una porta, posta alle spalle del pittore, che collega la locanda alla casa del mercante Giovanni. Passando di fianco al tavolo di Waahid, vede il ritratto del locandiere.

- Sei bravissimo a disegnare. È molto somigliante.

Waahid sussulta: non si è accorto dell’ingresso di Morqos e non capisce come ha fatto ad arrivargli alle spalle. È imbarazzato.

- Ha un viso interessante, sono un pittore… non volevo… spero di non essere stato indiscreto.

Morqos coglie l’imbarazzo di Waahid e sorride.

- Non ci vedo niente di male. Tristan non se la prenderebbe di sicuro: è una pasta d’uomo. E tu sei davvero bravo.

- Grazie.

Waahid non sa che dire. Osserva:

- Disegno le persone che mi colpiscono.

Morqos ha conservato la curiosità dei tempi in cui lavorava per il duca, controllando ciò che avveniva in città, per cui, invece di andarsene, dice:

- Se vuoi disegnare me, mi va benissimo.

- Se hai voglia, volentieri.

Morqos si siede.

- Io rimango fermo e zitto perché tu possa disegnarmi, ma tu mi racconti un po’ di te, chi sei, da dove vieni, come mai sei qui, così non mi annoio.

Waahid ride.

- Va bene.

Così il pittore prende un altro foglio e incomincia a disegnare, mentre racconta di sé. Morqos rimane fermo e lo lascia parlare. Waahid non è molto espansivo per natura, ma in questi giorni ha avuto modo di scambiare poche parole con altri, per cui non gli spiace chiacchierare un po’. Morqos si limita a pochi commenti e domande che inducono Waahid a raccontare: Morqos ha un’ampia esperienza come spia e sa come far parlare gli altri senza averne l’aria.

Alla fine della seduta, Waahid si rende conto di aver rivelato moltissimo di sé. Osserva:

- Tu sai la mia storia e io so appena che ti chiami Morqos e sei il marito di Mariette e il padre di Dina.

- E di Efraim e Marion. Abbiamo tre figli. Ma Efraim adesso è ad Amman.

Morqos sorride e aggiunge:

- È anche lui pittore e sta imparando con Farid al-Uday. Non so se lo conosci.

- Ne ho sentito parlare. È molto bravo. Ma qui in città c’è anche Al-Akhdar, no?

- Sì, Efraim ha lavorato anche con lui, ma non gli bastava: voleva imparare di più e attraverso alcuni conoscenti, abbiamo organizzato di inviarlo ad Amman. È là da un anno e dovrebbe tornare tra non molto. E poi mi sa che ripartirà, cercando qualcun altro da cui imparare, perché è fatto così.

Waahid sa che potrebbe invitare questo giovane a Jabal al-Jadid e lasciarlo lavorare con lui, ma non conosce Morqos e non sa che tipo sia il figlio, per cui preferisce non toccare l’argomento e si limita a dire:

- Adesso però mi racconti un po’ di te.

Chiacchierano un momento, poi Morqos propone a Waahid di far vedere a Tristan il ritratto. Waahid acconsente: dire di no gli sembrerebbe scortese.

Morqos mette il foglio con il proprio ritratto sopra quello in cui è raffigurato Tristan, poi chiama l’amico.

- Tristan, guarda qui, che gioiello! Waahid è un grande pittore e in quattro e quattr’otto mi ha fatto questo bel ritratto.

Tristan guarda e annuisce.

- È davvero bellissimo. Sei proprio bravo, Waahid.

Morqos riprende:

- Tu non conosci il suo nome, ma lui è famoso in tutta la Siria.

- Ci credo.

- Ti piacerebbe che ti facesse un ritratto?

Tristan sorride.

- Perché no?

- E allora…

Morqos fa una breve pausa, poi toglie il foglio con il proprio ritratto, scoprendo quello di Tristan.

- E allora eccolo qua!

Tristan rimane a bocca aperta.

- Ma che meraviglia! Ma come fai?!

- Lui ha un talento, mica come me e te, che siamo buoni a nulla.

Tristan scuote la testa, ridendo:

- Parla per te, scansafatiche, ché io lavoro tutto il giorno.

Chiacchierano per un po’. Al momento di alzarsi, Waahid regala i due ritratti: è contento di aver parlato un po’ con questi due uomini, completamente diversi di carattere e aspetto, ma entrambi simpatici ed evidentemente affezionati l’uno all’altro. Morqos gli piace molto. È un bell’uomo, intelligente, sempre con la battuta pronta.

Morqos gli dice:

- Ti invito a cena, questa sera. Mangiamo qui, alla locanda.

- Grazie, volentieri.

La sera chiacchierano durante la cena. Poi Morqos chiede a Waahid di fargli vedere alcuni dei disegni che ha fatto in questi giorni. Il pittore si dichiara disponibile. Solo mentre stanno salendo in camera pensa che tra i disegni ci sono quelli di lui e Adham. Ma ormai è tardi per dire di no. E, ancora peggio, sul piccolo tavolo basso che c’è in camera, ha lasciato il dipinto in cui Adham lo fotte, che deve ancora asciugare completamente. Cercherà di farlo sparire prima che Morqos lo veda.

Quando entrano in camera, Morqos posa la lanterna proprio sul tavolo e vede il dipinto. Si siede sul tappeto e lo prende in mano, con delicatezza. Waahid è un po’ in imbarazzo.

- Che splendore! Sapevo che eri bravissimo e d’altronde non saresti così famoso se non lo fossi. Ma questo è un vero gioiello. È perfetto. Il nero è Adham, vero? L’uomo di Ferdinando.

Waahid annuisce. La voce gli esce un po’ roca quando dice:

- Sì, è lui.

Morqos è curioso e chiede:

- Come l’hai conosciuto? Sta a Qasr al-Hashim, no?

Waahid si siede anche lui e risponde:

- Mi hanno catturato e tenuto prigioniero con loro.

- Cosa?

Waahid racconta brevemente della cattura dei due briganti, del suo rapimento e dello scambio. Conclude:

- Così sono rimasto con loro una settimana. Ma mi hanno trattato come un ospite.

Morqos sorride e dice:

- Con servizio completo, direi.

Ride e lo guarda.

Waahid sorride. Non sa che cosa dire. È ancora un po’ in imbarazzo, ma è chiaro che Morqos non ha niente da ridire né sul dipinto erotico, né sui suoi rapporti con Adham. Dev’essere di mentalità molto aperta.

Morqos chiede:

- Hai provato anche Ferdinando?

- No, lui no.

- Dicono che non ce ne sia un altro come lui al mondo. Ma non ho mai avuto modo di provarlo neanch’io. E, da quel che ho sentito, se non hai l’abitudine è un po’ come prendersi un palo in culo. Quello che prima o poi gli capiterà, mi sa.

- Pensi anche tu che verranno catturati?

- Senza nessun dubbio, Waahid. Adesso si combatte, ma quando la guerra sarà finita, non ci sarà scampo per loro. Forse anche prima.

Waahid annuisce. Pensa ad Adham ed è angosciato. Scuote la testa. Si alza e prende i disegni da far vedere a Morqos. Ormai è inutile cercare di far sparire quelli erotici, che comunque non sono molti.

Si siede accanto a Morqos e gli passa i fogli, uno dopo l’altro. Morqos riconosce alcuni angoli di al-Hamra e anche alcune delle persone che Waahid ha disegnato nella città. I disegni di Adham e Barbath sono al fondo.

- E questo chi è?

- L’emiro Barbath.

- Il nuovo emiro dell’Arram, già. Quello che veniva chiamato il Flagello dai franchi, ma dicono che lo chiamassero anche Tre coglioni. E qui in effetti se ne vedono tre. È proprio così?

- Si, ne ha tre.

- È anche lui un maschio magnifico, come Ferdinando e Adham.

Morqos guarda Waahid e sorride.

- Ti piacciono i maschi forti e molto dotati, vero?

Waahid alza le spalle. Non ha un particolare interesse per i maschi molto dotati.

- Diciamo che mi piacciono i maschi.

- Così va meglio.

Waahid guarda Morqos perplesso:

- Perché dici che così va meglio?

- Perché c’è spazio anche per quelli normali.

Waahid sorride. Incomincia ad avere qualche sospetto su Morqos. Non gli spiacerebbe: è un bell’uomo ed è simpatico. Chiede, con un sorriso malizioso:

- Tu sei normale?

- Certo!

- Come faccio a esserne sicuro?

- Devi provare.

Morqos ride. Ha una bella risata, calda, allegra.

- Potrebbe essere una buona idea.

- Ottima, direi.

- Ora?

- Ora.

Waahid sorride, senza muoversi. Sono seduti uno di fianco all’altro. Morqos lo spinge a terra e si stende accanto a lui, su un fianco. Lo accarezza con una mano, passandola delicatamente dal viso al ventre, dove il cazzo di Waahid si sta irrigidendo.

- Impaziente, eh?!

Waahid sorride e annuisce.

Morqos si mette a sedere e, senza smettere di guardarlo, si toglie la tunica e poi i pantaloni. Waahid lo guarda. È davvero un bell’uomo.

Anche Waahid si spoglia. Si guardano un momento, poi le mani di Morqos si muovono e incominciano a percorrere il corpo di Waahid, che si abbandona a quelle carezze. Sono mani delicate, che ora sfiorano appena, ora stringono. Le dita si infilano indiscrete in bocca, in un orecchio, scivolano lungo il collo, premono contro il petto. Morqos si china e la sua bocca avvolge un capezzolo e lo succhia, poi si sposta sull’altro, mentre le mani scendono ancora, accarezzano il ventre, raggiungono il cazzo ormai teso, lo avvolgono, stuzzicano con molta delicatezza i coglioni. Una mano si infila tra le gambe di Waahid, percorre l’area dietro i coglioni, risale fino alla base del solco tra le natiche, si spinge oltre, fino a che un dito non preme contro l’apertura, mentre Morqos ora bacia Waahid sulla bocca, due volte, prima di spingere la lingua tra i denti.

Waahid sta bene così, avvolto in un bozzolo di tenerezza.

Morqos si stende su di lui. Ancora lo abbraccia, lo morde, lo accarezza. Poi si stacca e gli prende le gambe. Se le mette sulle spalle. Waahid sente le dita di Morqos percorrere il solco, indugiare sull’apertura, premere un po’, allontanarsi, ritornare umide e spingersi all’interno, prima un dito, poi un altro. Morqos ripete l’operazione più volte, poi avvicina il cazzo ormai teso all’apertura e con lentezza spinge dentro.

C’è molta dolcezza nei movimenti di Morqos e per Waahid l’ingresso non è per niente doloroso: essere posseduto così è una sensazione bellissima. Morqos esce, inumidisce ancora l’apertura e rientra. Waahid geme, un gemito di puro piacere. Morqos avanza, con lentezza, poi nuovamente si ritira e penetra, questa volta spingendo fino in fondo. Waahid geme più forte. Riesce a dire:

- Morqos!

Morqos incomincia a spingere, avanti e indietro, in un movimento che stordisce Waahid. Ondate di piacere lo investono a ogni spinta, mentre le mani di Morqos percorrono il suo corpo, delicate, forti, sfacciate. Waahid non sa quanto a lungo duri la cavalcata: il tempo si dissolve in una nebbia dai contorni vaghi.

Morqos giocherella con il cazzo di Waahid, stuzzicandolo, e quando infine sente che il piacere sta per travolgerlo, lo stringe con forza. Vengono insieme. Morqos esce da Waahid, gli posa a terra le gambe, si appoggia su di lui e lo bacia.

Quando le loro bocche si separano, Waahid dice:

- Grazie, è stato molto bello.

È stato molto diverso dai vari rapporti occasionali che Waahid ha avuto negli ultimi anni: c’è stato spazio per la tenerezza e il gioco. Waahid aggiunge:

- Sei molto bravo.

Morqos sorride e scuote la testa.

- Mi ha fatto molto piacere e sono contento che sia stato bello anche per te.

Il soggiorno di Waahid si prolunga. Con Morqos scopa alcune altre volte e c’è sempre molta dolcezza nei loro rapporti. Il pensiero di Waahid va spesso al bel nero di Qasr al-Hashim, ma per Morqos prova un affetto sincero: lo considera un amico.

Morqos gli racconta di Emich e, senza entrare nei dettagli, della comunità che si è creata nella casa di Giovanni. Riccardo non vive più qui, anche se vi è tornato qualche mese fa. Solomon se n’è andato anche lui. Emich è morto. Ma tra Morqos, Mariette, Tristan, Istfan esiste un legame fortissimo e anche altri abitanti della casa, come Sarah e il marito Pierre, Mara e Shirkuh, sono amici. I loro figli sono cresciuti insieme e si considerano tutti fratelli. E lo stesso si può dire del proprietario della casa, Nino, il figlio del mercante Giovanni.

Waahid chiede a Morqos e Mariette di fargli vedere qualche disegno o dipinto del figlio. Morqos esita, perché non gli piace dare l’impressione di voler approfittare del suo legame con il pittore, ma Mariette va a prendere le opere di Efraim. Sono due dipinti su carta e una dozzina di disegni. I dipinti raffigurano uno Mariette e l’altro uno scorcio del mercato, con diverse figure di venditori e clienti. Tra i disegni ci sono ritratti di persone, tra cui Morqos e Istfan, scene di vita nella locanda o per strada, un paesaggio montuoso e un’immagine di al-Hamra vista dalla collina antistante.

Waahid le osserva con cura.

- Vostro figlio ha talento da vendere.

- Non lo dici solo per farci piacere?

- No, lo dico perché è la verità. Ha ancora parecchio da imparare, ma ha già fatto molta strada. Credo che potrà diventare un grande pittore.

- Se a dirlo sei tu, dobbiamo crederci.

Quando infine Waahid parte, lo fa a malincuore. Al momento di lasciare la locanda, dice a Morqos e Mariette che se Efraim vorrà raggiungerlo a Jabal al-Jadid, sarà ben contento di prenderlo con sé come apprendista. Morqos risponde:

- Se glielo diciamo, nessuno lo ferma più. Lavorare con te, figuriamoci! Credo che sia il suo sogno.

- E allora diteglielo! Lo aspetto.

 

9

 

Nell’Arram il giorno dopo la partenza di Waahid Barbath si sveglia con la febbre alta. Non riesce neppure ad alzarsi: le gambe non lo reggono. Dal culo perde sangue e ha frequenti scariche di diarrea.

I servitori chiamano il medico, che viene e lo esamina. Intuisce che l’emiro deve essere stato violentato e forse c’è anche altro. Barbath non ha voglia di raccontare nulla e si limita a dare brevi risposte, senza entrare nei dettagli.

Il medico prescrive una serie di cure. Barbath preferirebbe che lo lasciasse morire, ma è troppo debilitato per opporsi. È costretto a rimanere a letto per parecchi giorni, accudito dai servitori, in condizioni di estrema debolezza.

Quando sta un po’ meglio, si fa preparare la camera da letto in un’altra stanza: non vuole avere sempre sotto gli occhi l’immagine di Ferdinando.

La convalescenza è lunga e solo dopo tre settimane Barbath può considerarsi guarito. Non ha più rimesso piede nella camera dipinta e non intende farlo. Comunica ai suoi servitori che intende lasciare Qasr Arram e tornare per un certo tempo a Jabal al-Jadid: sa che nel palazzo sarebbe schiavo delle sue ossessioni.

Si mette in viaggio da solo. Nell’appartamento a Jabal al-Jadid c’è un servitore che si occupa della sorveglianza e per il periodo in cui si fermerà Barbath conta di assumerne un secondo.

Barbath non passa per al-Hamra. Sceglie la via dei monti, che segue la valle del Nahr e passa non lontano da Qasr al-Hashim. Sa che viaggiare da solo in un’area infestata dai briganti è un rischio, ma non gli importa. In fondo sa benissimo che solo la morte può mettere fine alle sue ossessioni. La morte di Ferdinando o la sua. Vorrebbe incontrare ancora il brigante, fotterlo, castrarlo e ucciderlo. O forse essere catturato, stuprato e ucciso da lui. Sa che ben difficilmente questo avverrà, come Ferdinando stesso gli ha detto: uccidendolo il conte scatenerebbe una violenta reazione che segnerebbe la fine di tutti i briganti di Qasr al-Hashim.

La malattia ha indebolito per alcune settimane il suo corpo e le sue ossessioni. Ora però che ha recuperato le forze, i fantasmi ritornano.

La notte Barbath si ferma nel territorio di Jabal al-Jadid. Accende un fuoco, anche se è estate, non fa freddo e non ha niente da cuocere: lo fa per segnalare la sua presenza. 

Si stende a dormire, ma il sonno non viene. La notte è serena e quando la luna tramonta, il cielo appare tutto punteggiato di stelle. Non c’è vento e intorno regna un grande silenzio. Barbath rimane a guardare la Via Lattea. Nessuno viene a regalargli la pace che desidera.

Il mattino dopo riparte. Giunge ai piedi dell’antica pista che sale al Passo dei Morti, quello che un tempo veniva chiamato Passo della Caverna, dove Denis di al-Hamra annientò l’esercito del Circasso. Ormai nessuno utilizza quella pista: il colle è un luogo maledetto, dove si aggirano gli spiriti dei morti insepolti.

Barbath è stato crocifisso su quel passo, per ordine di Kazbech.

Barbath volta il cavallo e incomincia a salire. Non aveva pensato di farlo, ma adesso che è qui gli sembra di non poter proseguire senza aver raggiunto il passo.

La pista si inerpica lungo il fianco della montagna. In molti tratti è ancora ben visibile, in alcuni invece, non essendo più percorsa, né mantenuta, quasi si perde. Barbath non si lascia scoraggiare e procede. In tarda mattinata arriva al passo.

Sono passati quasi vent’anni, eppure ci sono ancora ossa sparse qua e là. Ma fu una carneficina immensa. A un’estremità del pianoro c’è un palo che è caduto a terra. Forse quello su cui fu infilato il cadavere del Circasso. Della croce a cui fu legato Barbath non rimane traccia.

Barbath scende da cavallo. Pensa che sarebbe stato meglio se fosse morto allora. Un uomo di Kazbech aveva il compito di castrarlo all’arrivo dei franchi, ma fu ucciso da Ferdinando. Già, a questo Barbath non ha mai pensato. Ferdinando gli ha salvato la vita due volte: al Passo e poi durante la caccia in cui avrebbe dovuto trovare la morte. Lo ha fottuto, ma lo ha salvato.

A Kazbech ha pensato poco in tutti questi anni. Nel primo periodo dopo la battaglia al Passo dei Morti, il pensiero andava ossessivamente a lui. Barbath desiderava solo morire. Qais gli aveva impedito di lasciarsi andare e a Jabal al-Jadid l’amore di Feisal, l’amicizia di Qais e Mahdi, l’affetto degli altri ufficiali e dell’emiro ‘Izz, tutto aveva contribuito a tenere lontani i ricordi della sua schiavitù.

La morte di Feisal ha spezzato l’equilibrio. Il dono di Salah ad-Din ha dato il colpo di grazia. Il sovrano ha scelto l’Arram perché Barbath ha rifiutato Akka. L’Arram è vicino a Jabal al-Jadid e permette a Barbath di goderne senza rinunciare al suo legame di fedeltà con l’emiro. Un dono perfetto, se il palazzo non fosse stato quello di Ferdinando, se le pareti non fossero ricoperte dalle immagini del maschio che lo ossessiona. Perché non riesce a liberarsi del fantasma di Ferdinando? Kazbech lo possedeva quasi ogni giorno, lo umiliava in ogni modo. Ma non l’ha mai fatto godere. Ed è morto, lui sì, castrato e impalato dopo essere stato ucciso. Ferdinando lo ha fatto godere inculandolo. Ed è vivo.

Barbath scivola in ginocchio. Pregherebbe, anche se la sua fede non è forte, ma si sente impuro e una preghiera gli parrebbe una bestemmia.

Il vento soffia forte, come spesso succede al Passo dei Morti. Barbath si copre il viso con le mani.

 

Barbath giunge infine in vista di Jabal al-Jadid. È la città in cui è sempre vissuto e conta di riuscire a recuperare una certa serenità, scacciando i fantasmi. L’emiro gli ha lasciato la sua abitazione, in uno dei cortili esterni del palazzo.

Barbath rende omaggio all’emiro, saluta Waahid, che è rientrato da poco, dopo un lungo soggiorno ad al-Hamra, e ritrova Qais e Mahdi, i due ufficiali che sono i suoi migliori amici.

Insieme trascorrono alcune serate piacevoli. Qualche volta sono solo loro tre e allora parlano soprattutto di ciò che succede a Jabal al-Jadid e delle conoscenze comuni. Se Mahdi o Qais fanno riferimento all’Arram, Barbath devia il discorso.

Più spesso si ritrovano con altri ufficiali, che nutrono una vera venerazione per Barbath: per tutti loro lui è il comandante, colui che ha guidato l’esercito di Salah ad-Din alla vittoria tante volte. In questi incontri allargati si parla soprattutto degli avvenimenti degli ultimi due anni, che hanno visto la cacciata degli infedeli da gran parte del territorio.

- Dici che riusciremo a costringerli a tornare da dove sono venuti?

- Dubito. Tutti dicono che in Europa stanno preparando una grande spedizione per venire in loro soccorso.

- Salah ad-Din è un grande sovrano e li scaccerà da queste terre.

- Salah ad-Din è un signore tanto coraggioso e valente quanto giusto e pio, ma dall’Europa verranno re e imperatori con grandi eserciti. Non sarà facile respingerli.

- Li annienteremo come abbiamo fatto a Hattin.

- Io ho dei dubbi che riusciremo a scacciarli completamente. Ma non riavranno al-Quds.

Al-Quds, la città santa, è uno dei nomi arabi di Gerusalemme, che è chiamata anche Urshalim.

- No, al-Quds mai! Dovessimo morire tutti per difenderla.

- Io spero proprio che siano scacciati per sempre dalle nostre terre.

- Questo lo speriamo tutti, ma non è così facile.

Uno degli ufficiali pone una domanda che ritorna spesso nel pensiero di molti:

- Si sa qualche cosa del Cane dagli occhi azzurri?

- No, il duca Denis è scomparso nel nulla.

- Devono averlo ucciso. Forse Ubayd lo ha fatto sopprimere.

- Lo sceicco è un guerriero leale, non farebbe mai una cosa del genere.

- Ma finché il Cane è vivo, Ubayd non potrà essere tranquillo.

- Dev’essere morto, altrimenti come si spiega che nessuno ne abbia più sentito parlare?

- Non lo so. È strano. Forse aspetta l’arrivo dei rinforzi dall’Europa.

- Speriamo di non trovarci ad affrontarlo.

- No, speriamo di no. Basta la sua presenza per seminare il panico tra gli avversari.

- So che vicino ad Ashqelon riuscì a mettere in fuga l’esercito di Salah ad-Din, che era dieci volte più numeroso.

- E quando sconfisse il Circasso? Annientò le sue truppe, quasi senza combattere. Quanti dei nostri morirono, allora!

- I demoni combattono con lui, Iblis è al suo fianco e i ginn lo rendono invincibile.

- Non credo. È un condottiero capace, come nessun altro tra gli infedeli.

- No, ti dico che non avrebbe potuto vincere contro il Circasso se i demoni non fossero intervenuti.

- Il Circasso era un demone.

In queste serata in cui sono presenti parecchi ufficiali, la discussione è sempre animata, ma senza contrasti, e alla fine ci si lascia sereni.

Nei momenti in cui è con gli altri, Barbath si sente meglio, anche se a tratti si astrae completamente  e il pensiero vaga altrove, verso l’Arram e l’uomo che lo ossessiona.

 

A Qasr al-Hashim Adham ha ripreso a dormire nella camera di Ferdinando, ma rifiuta di farsi possedere. Ferdinando non insiste: intuisce che il loro rapporto ormai è alla fine. Gli pesa molto, perché è ancora innamorato di Adham. Non è più la passione bruciante di dieci anni fa, ma è un sentimento forte e l’idea di non essere ricambiato lo sgomenta. Scopano ancora, succhiandosi il cazzo a vicenda, perché il desiderio non è spento, ma Adham sembra allontanarsi ogni giorno di più. Ferdinando scopa con gli altri uomini: non fa certo fatica a trovare un culo da fottere, ma in bocca ha un gusto amaro. Non è bravo con le parole, non sa come chiedere e Adham non ha voglia di spiegare.

Adham partecipa sempre più raramente alle riunioni serali in cui tutti scopano. Una sera, dopo aver fottuto in culo uno dei suoi uomini e esserselo fatto succhiare da un altro, Ferdinando è disteso su uno dei tappeti e pensa al nero che ancora ama.

Baudouin chiede:

- Adham non si vede più. Dove cazzo è?

Gli risponde Elmo, un vicentino.

- Sulle mura. A quest’ora sale sempre sulle mura.

Ferdinando si alza e, senza rivestirsi, esce dalla sala. Raggiunge la scala che porta al cammino di ronda e sale. Non lontano scorge Adham, che guarda lontano. Lo raggiunge.

Il nero lo ha sentito arrivare, ma non dice nulla.

- Adham!

- Che cosa c’è?

- Che cos’hai? Che cazzo hai?

La voce è uscita rabbiosa. Non avrebbe voluto chiedere così.

Adham volta un momento la testa verso di lui. Ferdinando pensa che è bellissimo. Il nero torna a guardare lontano, verso Oriente.

- È finita, Ferdinando. Non posso vivere così. Non sono un brigante.

Ferdinando china il capo. Gli sembra di avere dentro un cane che lo azzanna. Riesce solo a dire:

- Porcoddio, Adham!

- Me ne andrò, Ferdinando.

Ferdinando alza la testa e fissa Adham, che si è di nuovo voltato verso di lui. Vorrebbe dirgli che potrebbero andarsene insieme, ma sa che sarebbe inutile. È finita.

Annuisce. Dice, con un tono di voce ostile:

- Puoi andartene quando vuoi.

Si volta e si allontana.

Adham vorrebbe urlare.

Rimane ancora due giorni. Poi, nella notte, quando sono entrambi coricati in camera, dice a Ferdinando:

- Domani mattina me ne vado.

La camera è immersa nell’oscurità, ma Ferdinando chiude gli occhi. Vorrebbe cancellare il mondo. Di fronte al suo silenzio, Adham prosegue:

- Non posso vivere così.

- Merda!

Ferdinando non dice altro. Adham si volta verso la parete opposta. Sente Ferdinando muoversi e ora il corpo possente del siciliano aderisce al suo, le braccia lo avvolgono, la bocca depone un bacio sul suo collo. Contro il culo Adham può sentire il cazzo che si irrigidisce e cresce.

- No, Ferdinando, non ha senso.

Ma Ferdinando non lo ascolta, le braccia lo stringono, il cazzo sfrega contro il culo, sempre più rigido e grande. Adham cerca di liberarsi, ma Ferdinando è più forte.

- No, lasciami!

- Porcoddio, no che non ti lascio!

Il cazzo preme contro l’apertura, la forza, entra. Adham sente il dolore di questo ingresso violento. Dice ancora una volta:

- No, non voglio!

Ma Ferdinando non lo ascolta. Lo forza a stendersi sulla pancia e prende a fotterlo con violenza, spingendo bene a fondo il cazzo nel culo del nero, poi ritraendosi, in una cavalcata selvaggia e disperata.

Adham non dice più nulla. Subisce questo stupro, ma non prova rabbia, solo sofferenza: sa che Ferdinando soffre quanto lui, probabilmente più di lui.

Ferdinando accelera il ritmo e viene, con alcune spinte più vigorose. Poi afferra il cazzo di Adham e, con movimenti bruschi, lo guida al piacere. Allora si stacca e si stende accanto a lui.

- Ora puoi ammazzarmi. Mi fai un favore.

Adham chiude gli occhi.

- Non voglio ammazzarti, Ferdinando. Ma domani me ne andrò.

Non dicono più nulla. Rimangono svegli molto a lungo, silenziosi.

Il mattino dopo Adham parte. Ferdinando gli fa dare uno dei cavalli migliori e parecchio oro, ma non si fa vedere.

Dall’alto delle mura lo guarda allontanarsi a cavallo. Ora non gli rimane che attendere la morte, il momento in cui i saraceni verranno a stanarli e loro tutti moriranno in battaglia o sul palo. Ma non gliene fotte un cazzo.

Ferdinando ha dentro un lupo che gli rode il cuore. Non sospetta che anche Adham si porta dentro lo stesso lupo.

 

Barbath ha fama di essere un magnifico stallone e adesso che ha perso il suo compagno, più d’uno tra gli ufficiali e i soldati gli fa capire che si farebbe volentieri cavalcare. Barbath sa che per sfuggire ai fantasmi che lo ossessionano è bene che scopi regolarmente. Accetta le offerte di uno degli ufficiali e di un giovane soldato. Con loro non si crea un legame di amore o di amicizia: queste relazioni sono fonte di piacere per tutti, ma non coinvolgono i sentimenti. Non ci sono gelosie e il desiderio è soltanto fisico. Due volte scopano anche tutti e tre insieme.

Le scopate non bastano per cancellare il fantasma che ritorna assillante, ma almeno lo tengono lontano per un po’. La notte però nei sogni di Barbath Ferdinando ritorna, più volte e spesso il comandante viene, anche se ha avuto un rapporto nella giornata. Ma quando è sveglio cerca di tenere lontano il pensiero del brigante.

 

A palazzo Barbath ritrova anche Waahid. Si salutano cordialmente e parlano un momento tra di loro, ma non riprendono i rapporti: Barbath vuole dimenticare ciò che è successo e Waahid coglie la scarsa disponibilità dell’emiro dell’Arram. D’altronde anche lui ha altri pensieri.

I primi giorni trascorrono così, senza grandi problemi. L’emiro, che ha piena fiducia in lui, gli affida alcuni compiti, che Barbath svolge volentieri. L’essere occupato lo distrae dalle sue ossessioni e l’affetto di cui è circondato lo rasserena. Pensa che non tornerà nell’Arram.

Dieci giorni dopo il suo arrivo si ritrova una sera con Qais e Mahdi. Dopo che hanno mangiato la conversazione ritorna sulla guerra. Qais osserva:

- Devo dire, sinceramente, che l’arrivo di forze ingenti dall’Europa mi preoccupa meno di un possibile ritorno di Denis di al-Hamra.

Qais non chiama mai Denis con il soprannome che gli è stato dato, il Cane dagli occhi azzurri: il duca ha protetto l’emiro ‘Izz quando il Circasso lo minacciava e nei suoi confronti Qais, Mahdi e lo stesso Barbath nutrono un grande rispetto.

Barbath chiede:

- Pensi che da solo possa cambiare le sorti della guerra?

- Della guerra non so, di una battaglia, certamente sì. L’abbiamo visto.

Barbath annuisce e concorda.

- Può essere.

Qais prosegue:

- Invece non ci dobbiamo preoccupare di Ferdinando, che ha deciso di diventare brigante.

Barbath vorrebbe deviare il discorso, ma Qais prosegue:

- A proposito di quel brigante, c’è una faccenda di cui volevo parlarti.

Barbath aggrotta la fronte:

- Dimmi, Qais.

- Mi avevano segnalato che nel bordello di Abdallah, a Damasco, c’era uno schiavo cristiano che assomigliava moltissimo a Ferdinando.

- Ah, sì?!

- L’emiro mi ha mandato a Damasco per un’ambasciata e io ne ho approfittato per andare a controllare.

Mahdi scherza:

- Una buona scusa per andare al bordello.

Le parole di Qais hanno turbato Barbath, che nasconde il suo stato d’animo con una battuta:

- Puoi giurarci, Mahdi! Conoscendo questo maialino…

Mahdi lo interrompe, ridendo:

- Maialino? Di’ pure grosso porco.

Qais si finge offeso

- Grosso porco? Questa poi! Sono un po’ ingrassato, è vero, ma non è il caso di farmelo notare in questo modo. Che razza di…

Barbath pensa che per lui sarebbe meglio non sapere, ma ormai Qais gli racconterà. Dice:

- Dai, continua.

- No, non ti meriti che ti dica più niente.

- Va bene, allora parliamo d’altro.

- Ma come, parliamo d’altro? Io ho qualche cosa da raccontare e non mi state neppure a sentire?

Mahdi osserva:

- A me l’hai raccontato e forse a Barbath non interessa.

- Certo che gli interessa: ci abita vicino, a quel brigante!

Barbath si dice che non può sottrarsi, per cui tanto vale chiarire subito la faccenda.

- Dai, dimmi, senza farti pregare tanto.

Qais riprende:

- E va bene, perché me lo chiedi tu. Dicevo che quando sono andato a Damasco ho chiesto ad Abdallah, il proprietario del bordello, lo conosci, no?

Barbath sta diventando impaziente.

- Certo che lo conosco. Ti decidi a proseguire o devo pregarti?

Qais lo punzecchia:

- Uh! Un minuto fa sembrava che non ti interessasse per niente e adesso sei ansioso di sapere.

Barbath sbuffa. Qais riprende:

- Dicevo che gli ho chiesto di farmi vedere questo schiavo. Quando è arrivato, poco è mancato che mi venisse un colpo. Mi sono ritrovato davanti il Ferdinando che ho conosciuto ad al-Hamra, quando ci sono andato in missione con Mahdi. Tale e quale. Mi sono chiesto se non fosse qualche ginn che avesse preso il suo aspetto.

Barbath ascolta. Aspetta una spiegazione, ma Qais si diverte a raccontare, tenendolo in sospeso.

- Tale e quale, ti assicuro. E d’altronde uno come lui, con quella attrezzatura… il suo posto è il bordello. No?

Barbath cerca di nascondere il suo turbamento.

- Sì, certo. Concordo con te. Ma va’ avanti. Gli hai parlato?

Qais annuisce.

- Certo. Anche se lui conosce poco l’arabo e io quasi niente la lingua dei franchi.

Mahdi interviene di nuovo:

- Secondo me gli ha parlato dopo esserselo portato a letto, anche se lui nega.

Qais sorride maliziosamente a Mahdi.

- A letto gli uomini si lasciano andare più facilmente alle confidenze, ma… no, non me lo sono portato a letto. Solo perché costava troppo.

Qais ride e anche Mahdi sorride, scuotendo la testa. Barbath non ha voglia di ridere. Si limita ad annuire.

Qais prosegue:

- L’uomo si chiama Nando, un’abbreviazione di Ferdinando, che è il suo vero nome.

- Ferdinando? Allora…

- È il nipote, figlio del fratello. È vissuto in Siqilliyya fino a due anni fa, poi è partito per raggiungere lo zio, ma è arrivato quando ormai i cristiani erano in rotta. Lui dice di non essere mai riuscito a trovare lo zio e di essere vissuto facendo lavori di fatica per qualche contadino cristiano nell’Arram, prima, poi nel territorio di al-Hamra. Io credo che menta e che invece abbia trovato il conte Ferdinando e che si sia unito a lui nelle scorribande.

- Molto probabile. Come è finito nel bordello?

- È stato catturato ai confini del territorio dello sceicco di Shakra, non lontano dai tuoi possedimenti. Chi lo ha catturato ha pensato che avrebbe potuto venderlo a un buon prezzo ad Abdallah. Pare che sia molto dotato, come lo zio.

Barbath è teso, ma riesce a formulare una battuta:

- Pare? Non hai controllato? Mi stupisco di te.

Qais guarda Mahdi e risponde, assumendo un’aria angelica:

- Sono fedele al mio tesoro.

Barbath sospetta che sia la verità, anche se Qais ci scherza sopra. Qais è sempre lo stesso: gli anni sono passati, il corpo si è appesantito, ma sotto la superficie scherzosa si cela sempre un’anima sensibile, capace di affetti profondi.

Barbath è inquieto. Vorrebbe che Qais e Mahdi se ne andassero. Ha bisogno di rimanere da solo e di pensare, ma non vuole rivelare il suo turbamento. Riesce a nasconderlo e alla fine i due amici se ne vanno.

Mentre raggiungono il loro appartamento, Qais dice a Mahdi:

- È solo una mia impressione o l’hai notato anche tu? Da quando è tornato Barbath è diverso. Mi sembra che abbia spesso altri pensieri, che sia teso.

- È sembrato anche a me, in certi momenti, mentre in altri pare del tutto normale.

- Ci sono delle volte… c’è una fissità nel suo sguardo… mi spaventa.

- Deve avere qualche preoccupazione.

- Questa sera, dopo che ho parlato di Ferdinando, non so… mi è sembrato molto teso. Aspettava solo che ce ne andassimo.

- L’ho pensato anch’io. Non so davvero che dire.

 

Barbath non si corica, ma rimane seduto e pensa a questo nipote di Ferdinando, di cui ignorava l’esistenza. Gli viene in mente che uno dei servitori del palazzo gli aveva raccontato di voci che circolavano: pare che il capobrigante apparisse ora più giovane, ora meno e talvolta in entrambe le forme contemporaneamente. Per questo alcuni contadini pensavano che fosse un ginn e avevano paura di lui. Barbath non aveva dato peso a queste voci, che aveva giudicato chiacchiere prive di senso. Evidentemente avevano un senso, che ora è chiaro.

Barbath è nervoso. Il pensiero ritorna a Ferdinando. In questo periodo a Jabal al-Jadid è riuscito a non pensarci troppo, adesso però gli sembra che il capobrigante sia entrato nella sua abitazione, intenzionato a rimanerci. L’idea lo angoscia: se neanche a Jabal al-Jadid può riuscire a sottrarsi alle sue ossessioni, allora non c’è più speranza.

Barbath non si corica: sa che a letto il fantasma che lo perseguita acquisterebbe maggior forza. Pensa a questo nipote di Ferdinando, che gli assomiglia tanto e che sicuramente era brigante con lui. Vorrebbe andare a Damasco a vederlo, parlargli. Vederlo, parlargli! Perché? Per fotterlo? Per farsi fottere? Per ucciderlo? Per farsi uccidere? Che senso ha? Nessuno.

Barbath entra in camera. Tiene la lanterna accesa e guarda il letto. Poi lo sguardo va alla cassa dove tiene il pugnale. Non vuole farlo. Non vuole. Forse farebbe meglio a infilarsi la lama in cuore e finirla. È bastato così poco per distruggere la pace che aveva raggiunto. O che si era illuso di aver raggiunto. Merda!

Barbath esce. Non vuole rimanere nella camera, non vuole cedere ai fantasmi che riemergono con forza. Ha la sensazione che solo un sottile velo sotto i suoi piedi gli impedisca di sprofondare nell’abisso della follia. Ma questo velo si sta lacerando. Cammina per le strade della città, immerse nel buio. Incrocia la guardia notturna, ma viene immediatamente riconosciuto e nessuno gli chiede nulla. La luna sorge e diffonde un certo chiarore, ma dove la luce lunare non arriva, l’ombra è fitta. Barbath vede un’ombra che cammina davanti a lui: una figura alta e massiccia. Immagina che sia Ferdinando. Sa che non lo è, che non esiste nessuna possibilità che lo sia, ma lo segue, rimanendo nell’ombra.

L’uomo si dirige verso Hayi Albawwabat Algharbia, il quartiere della porta occidentale, uno dei più poveri della città. Raggiunge una porta fuori dalla quale brilla una lanterna, in parte oscurata. Barbath sa di che cosa si tratta: un bordello maschile di infimo livello, come tutti i bordelli di quest’area della città. L’uomo bussa e gli viene aperto. Barbath non può vedere chi è all’interno, ma la luce che proviene dalla stanza illumina l’uomo: nessun somiglianza con Ferdinando.

L’uomo entra, la porta viene richiusa. Barbath si accorge di avere il cazzo duro. Non vuole entrare nel bordello: qualcuno di sicuro lo riconoscerebbe. Ma il desiderio preme. Barbath si scioglie il turbante e passa la striscia sulla bocca e sul naso: solo gli occhi appaiono. Si avvicina alla porta e bussa.

Ad aprirgli è un uomo anziano, che lo guarda diffidente: non sa bene che cosa deve aspettarsi da quest’uomo con il viso coperto. Ogni tanto succede che qualcuno si nasconda il viso, temendo di essere riconosciuto, ma costui potrebbe anche essere un malvivente.

- Che vuoi?

Barbath ghigna:

- Voglio quello che si vende qui.

- Hai di che pagare?

- Certo.

Barbath tira fuori una moneta. Nello sguardo dell’uomo appare una scintilla di avidità. Di certo è più di quello che si paga qui.

- Entra, amico. Che cosa cerchi? Un ragazzino dal culo sodo, che sembra ancora vergine? Un maschio con un cazzo da toro? Abbiamo di tutto, qui. Per il ragazzino c’è da aspettare, è appena arrivato un altro cliente, ma intanto posso portarti da bere e due dolci.

Probabilmente il bordello offre soltanto un ragazzo e un uomo adulto.

Barbath dice:

- Fammi vedere l’uomo con un cazzo da toro.

L’uomo sorride e si inchina.

- Certo. Lo chiamo subito.

Il vecchio torna poco dopo accompagnato da un uomo più giovane di Barbath e alquanto ben piantato. È a torso nudo e il petto, il ventre e le braccia sono ricoperti da un rigoglioso pelame nero. Barbath annuisce. Il vecchio tende la mano. Barbath gli porge la moneta, senza discutere: sa benissimo che sta pagando più del dovuto, ma non gliene importa.

C’è un cenno di intesa tra il lenone e il prostituto. Il vecchio gli mostra la moneta, per fargli capire che Barbath è un ospite di riguardo e che non occorre fare in fretta: va trattato bene, perché potrebbe tornare. L’uomo gli fa strada. Anche la schiena è coperta da una fitta peluria nera. Puzza di sudore.

Dall’ingresso si passa in un piccolo corridoio su cui si affacciano due stanze, che solo una tenda separa dal passaggio. Da quella a destra provengono i rumori inconfondibili di due uomini che scopano: il cliente appena arrivato si sta già dando da fare. Ma questo posto è per un consumo rapido. 

Sulla soglia l’uomo si ferma e fa cenno a Barbath di entrare.

Barbath scosta la tenda. Una zaffata lo investe: sudore, sborro, piscio. L’aria è irrespirabile. Barbath si chiede che cosa fa qui, ma lo sa: sta scappando da Ferdinando, che è fuori. Ma è anche dentro e fuggire non ha senso.

Barbath entra, l’uomo lo segue. Gli sorride. Gli mancano due denti. Si cala i pantaloni. Ha un cazzo davvero grosso, anche se certo non come Ferdinando.

- Mettiti sui cuscini.

L’uomo dà per scontato che Barbath voglia farsi inculare. Se ha chiesto di lui è per questo. Barbath lo guarda, poi annuisce. Non ragiona, non si pone domande. Sa che non dovrebbe essere qui. Si inginocchia e poi si stende sui cuscini. Il fetore diventa ancora più forte: qualcuno deve anche aver vomitato su questi cuscini. Va bene, va bene così, va bene questo degrado totale. L’uomo gli sputa sul buco del culo, sparge un po’ di saliva e Barbath sente la grossa cappella premere, forzare l’apertura ed entrare. Chiude gli occhi. Ferdinando lo sta fottendo e poi lo ucciderà, mettendo fine a tutto.

L’uomo spinge avanti e indietro, con forza. Fa male, parecchio, ma Barbath vuole anche questo dolore. Non prova piacere, il cazzo non gli si tende. Non è qui per godere, è qui per scacciare un fantasma, ma il fantasma scomparirebbe solo se l’uomo che ora lo fotte gli passasse le mani intorno al collo e stringesse fino a ucciderlo.

Barbath si abbandona, indifferente a tutto. L’uomo va avanti a fotterlo con forza. Le spinte diventano più rapide e infine Barbath sente il seme rovesciarglisi nelle viscere. L’uomo gli passa una mano sotto il ventre e gli afferra il cazzo.

- Vuoi che ti faccia una sega?

Barbath scuote la testa. Vorrebbe che l’uomo lo uccidesse, ma sa che non lo farebbe. Non qui, ora, senza un adeguato compenso. E se deve cercare un assassino, è meglio che si rivolga altrove.

- Va bene così.

L’uomo si stacca. Barbath si alza e si tira su i pantaloni. Guarda l’uomo che l’ha fottuto. Chissà se questo animale sarebbe disposto a ucciderlo mentre lo fotte?

Scuote la testa. L’uomo pensa che il gesto sia rivolto a lui:

- Qualche cosa non va?

- Arrivederci.

Esce dalla stanza. Il vecchio lo aspetta nell’ingresso. Si inchina:

- Spero di rivederti ancora, sayyd.

Sayyd è un titolo onorifico. Barbath annuisce.

- Forse.

Esce nel vicolo. Si ferma un momento. Si chiede che senso ha quello che ha fatto. Nessuno. È follia. Ma da tempo è folle.

Barbath non torna a casa. Gira per i vicoli del quartiere. A un certo punto sente che la ronda notturna si avvicina e si nasconde: non ha voglia di farsi vedere. Si infila in una rientranza quando i soldati passano davanti a lui. Uno si ferma a pisciare, a pochi passi. Scambia due battute con gli altri, poi riprendono a camminare.

Barbath rimane nel buio completo di questo angolo. Pensa a Ferdinando. Il cazzo gli si tende. Con la mano destra si afferra i coglioni, li stringe. Poi le dita della sinistra avvolgono il cazzo, che si irrigidisce completamente. La destra lascia i coglioni, passa dietro. Due dita si infilano nel culo. C’è ancora lo sborro dell’uomo che lo ha fottuto.

Barbath muove la sinistra, accarezzandosi il cazzo, sempre più gonfio di sangue e rigido. Prosegue un buon momento finché il piacere esplode, mentre mormora:

- Ferdinando!

Barbath chiude gli occhi. Si toglie le dita dal culo, le porta alla bocca e le pulisce con la lingua.

Non ha senso, nulla ha senso. Sta impazzendo.

Rimane nell’angolo buio fino a che il cielo incomincia a schiarirsi. Allora raggiunge la sua abitazione e si stende per dormire.

 

 

A metà mattinata Waahid è nella sua bottega. Ha appena concluso un dipinto e ora ha tirato fuori da una cassetta un altro ritratto e lo guarda, come fa quasi ogni giorno. Aspetta l’arrivo dell’uomo ritratto, ma non sa se verrà mai.

È immerso nei suoi pensieri e non si accorge dell’arrivo di Qais alle sue spalle. Questi osserva il ritratto e dice:

- Chi è questo africano? Non l’ho mai visto.

Waahid sussulta.

- Non ti avevo sentito arrivare. Mi hai spaventato.

- Scusa, non era mia intenzione.

Waahid guarda il ritratto e risponde alla domanda che Qais ha formulato prima:

- È un uomo che ho incontrato quando ero da Barbath.

- Ma ha gli occhi azzurri, no? Strano, per un nero.

- Sì, è molto strano, ma è così. E poi lui non ha la pelle molto scura. Viene dall’Egitto e so che là ci sono molte mescolanze tra popolazioni.

- Sì, certo.

Poi Qais chiede:

- È un servitore di Barbath?

- No, non è da lui…

Waahid non ha voglia di spiegare, ma ormai è tardi per deviare il discorso.

- È un guerriero che fu catturato da Denis di al-Hamra e poi passò come schiavo a Ferdinando.

Qais aggrotta la fronte.

- Di Ferdinando? Sta con i briganti?

- Sì, ma vorrebbe andarsene, gli ho detto che potrebbe venire qui, che l’emiro ‘Izz sarebbe ben contento di avere al suo servizio un guerriero valoroso.

Qais annuisce. Vorrebbe chiedere come Waahid ha fatto a conoscere questo guerriero africano, ma si rende conto che il pittore è in imbarazzo e non vuole forzarlo.

- Certamente. Se è un bravo guerriero, l’emiro lo prenderà volentieri al suo servizio.

Poi Qais aggiunge:

- Comunque sono venuto per dirti che l’emiro vuole parlarti. Mi ha affidato un compito e mi ha chiesto di avvisarti mentre uscivo.

- Vado subito.

Waahid è contento che il dialogo si interrompa. Considera Qais un amico e sa che è molto riservato, ma non ha voglia di confidarsi e preferisce non raccontare ciò che è successo. Non ne ha parlato con nessuno e neanche Barbath deve averlo fatto.

Waahid si reca dall’emiro.

- Mi hanno riferito che mi volevi, emiro.

- Sì, Waahid. Voglio che tu dipinga per me alcune immagini per una storia che ho letto.

- Certamente, emiro.

La storia è quella di un principe che mentre va a caccia trova un bellissimo giovane e se ne innamora. I due si incontrano spesso, ma un giorno il padre del giovane scopre la relazione e fa uccidere il figlio dai suoi uomini. Il principe allora si uccide sul corpo dell’amato. Come al solito, i protagonisti avranno il volto di ‘Izz e del suo amante Ridwan. Waahid li ha dipinti molte volte e non ha bisogno che posino per lui.

Concorda con l’emiro il numero di dipinti richiesti e poi si ritira. Mentre torna alla sua bottega, pensa a ‘Izz e a Ridwan. Più volte ha provato invidia per il forte legame che unisce l’emiro allo schiavo che acquistò un giorno al mercato di Aleppo. Sono passati oltre dieci anni e l’emiro potrebbe avere infiniti amanti, ma si mantiene fedele. Anche Qais e Mahdi formano una coppia unita da un legame fortissimo. Barbath e Feisal erano un’altra bella coppia, per quanto Barbath non fosse certo fedele.

Il pensiero va a Latif, che è stato il suo compagno per diversi anni. Ma Latif si è allontanato da lui. Un’altra immagine appare nella sua mente: Adham. Che cosa prova per lui? C’è un desiderio fisico bruciante, che la notte lo spinge ad accarezzarsi fino a venire, pensando al bel nero. È solo quello? Da quando Latif se n’è andato, oltre dieci anni fa, non ha più avuto un legame fisso. Adham ha risvegliato in lui qualche cosa.

Quando entra nella bottega, il suo aiutante gli dice:

- Waahid, è passato a cercarti un nero. Un magnifico maschio, alto e fiero.

Waahid sussulta.

- Che hai? Sembri spaventato.

Waahid scuote la testa, ridendo. Non si è certo spaventato, ma il pensiero che possa essere Adham gli ha trasmesso una forte emozione.

- Niente, niente. Ma dimmi: chi era, che cosa voleva?

Waahid è ansioso: vorrebbe essere certo che si tratta di Adham.

- Ha detto di chiamarsi Adham. Ripasserà più tardi. Ma… c’è qualche problema, Waahid?

Waahid scuote la testa. Sorride e si siede sui cuscini.

- Ho dormito male e sono stanco, tutto qui. Ma nel pomeriggio cercherò di riposare un po’. Quando ripassa, te l’ha detto?

- Credo prima di pranzo.

Waahid sa di essere troppo agitato per poter lavorare bene. Cerca una scusa per congedare il suo aiutante, perché non vuole avere nessuno tra i piedi, ma non gli viene in mente niente: non riesce a ragionare. Ma è l’aiutante a dirgli:

- Devo prepararti dei colori o fare altro? Perché se non hai bisogno di me qui, andrei a ritirare la carta.

- Sì, perfetto. Non ho bisogno di te. Ci vediamo nel pomeriggio.

L’aiutante si allontana. Waahid rimane seduto, a fissare la porta. Attende. Gli sembra di non avere pensieri.

Quando infine vede Adham comparire sulla soglia, gli sembra di non riuscire ad alzarsi. A fatica mormora:

- Adham!

- Sono contento di vederti, Waahid.

Waahid si alza. Sorride e dice:

- Anch’io sono contento di vederti. Ti aspettavo, ma non sapevo se saresti venuto.

- Non lo sapevo neanch’io, ma non potevo più rimanere. Ogni giorno era peggio. Non è stato facile andarmene.

- Ferdinando ha cercato di impedirtelo?

- No, ma ne ha sofferto moltissimo. E io non avrei voluto farlo soffrire. Non se lo meritava.

Adham non dice che il distacco è stato durissimo anche per lui. Preferisce non pensarci. Si chiede se davvero l’amore che ha provato per Ferdinando si è spento.

Waahid annuisce.

- Siediti, Waahid.

Si siedono entrambi. Rimangono un momento muti, poi Adham dice:

- Mi hai detto che forse l’emiro avrebbe potuto prendermi al suo servizio. Vorrei provare. Se non mi vorrà, andrò da Salah ad-Din: credo che si ricordi di me. Ho combattuto a lungo per lui.

- Chiederò all’emiro un’udienza. Così potrai parlargli.

- Grazie, Waahid.

C’è di nuovo un momento di silenzio. I pensieri di Adham vanno al suo futuro, a ciò che lo attende. Waahid si pone domande sul loro rapporto, su ciò che succederà se l’emiro prenderà al suo servizio Adham o se invece non lo prenderà. Si rende conto di essere attratto da lui e che forse il suo non è solo un desiderio fisico. Ma Adham non ha fatto nessun riferimento al loro rapporto e Waahid si chiede se il nero ci pensa ancora o se per lui è un capitolo chiuso. Il fatto che sia venuto a Jabal al-Jadid invece di cercare Salah ad-Din lo fa sperare, ma è solo una speranza.

Waahid si riscuote. Si alza e dice:

- Credo che tu abbia piacere di avere presto una risposta. Vado a sentire quando l’emiro può riceverci.

Waahid raggiunge la parte più interna del palazzo, a cui ha libero accesso. Chiede un’udienza all’emiro per sé e per Adham. Per il pittore di corte ‘Izz è sempre disponibile e, non essendo impegnato, accetta di riceverli subito. Waahid va a prendere Adham e lo introduce:

- Emiro, questo è Adham ibn Jaber, un valoroso guerriero, che vorrebbe mettersi al tuo servizio.

Izz è stupito che sia il pittore di corte a presentargli un guerriero. Si rivolge al nero e gli dice:

- Benvenuto, Adham ibn Jaber.

Adham si inchina e dice:

- Emiro, sono venuto a chiederti di prendermi al tuo servizio, come ha detto Waahid, ma permettimi di raccontarti brevemente la mia storia, affinché tu possa decidere se accettare la mia richiesta.

- Racconta. Desidero sapere qualche cosa di te e dei motivi per cui ti trovi qui.

- Non so chi fossero i miei genitori. Mi abbandonarono e fui adottato da una famiglia di Aswan. Divenni un guerriero e so di essermi guadagnato la stima degli uomini che guidavo e dello stesso sovrano. Con il grande Salah ad-Din, che Iddio lo protegga, combattei più volte, finché vicino ad Ashqelon il Cane dagli occhi azzurri non ci sconfisse. Fu lui a farmi cadere la spada e a colpirmi. Divenni suo schiavo, ma mi cedette al conte Ferdinando dell’Arram. Con lui sono rimasto e l’ho seguito sui monti diventando brigante. Non cerco scuse: non ero obbligato a farlo, me ne sarei potuto andare, Ferdinando non mi avrebbe trattenuto. Sono stato brigante anch’io, ma non è una vita per me.

Adham si ferma un attimo, poi riprende e conclude:

- Questo è tutto. Se vuoi prendermi al tuo servizio, ti ringrazio e giuro di esserti fedele. Se vuoi giustiziarmi per essere stato un brigante, è tuo diritto farlo e non cercherò di sottrarmi alla punizione che merito.

Izz sorride.

- Apprezzo la tua sincerità. Ti prendo volentieri al mio servizio e credo che avrai presto occasione di dare prova del tuo valore, perché la guerra prosegue e gli infedeli ancora resistono. Il nostro sovrano avrà bisogno di uomini valorosi.

- Grazie, mio signore.

Izz decide che inizialmente Adham servirà come soldato e non come ufficiale, poi si vedrà. L’emiro affida il bel nero a Mahdi, che gli assegna un letto nella camerata e gli dà tutte le istruzioni necessarie. Mahdi è un po’ stupito dell’arrivo di quest’uomo: a Jabal al-Jadid non è frequente vedere neri e si tratta per lo più di schiavi, uomini di fatica o eunuchi negli harem. Adham è evidentemente un guerriero e tutto nel suo portamento rivela un uomo forte e coraggioso. Non gli pone domande, perché non vuole essere invadente: avrà modo di parlargli in seguito.

Adham fa il turno di guardia nel pomeriggio e la sera. Fa conoscenza con i nuovi compagni, che guardano un po’ stupiti questo guerriero africano.

Waahid è tornato nel suo studio. Spera che Adham arrivi e che possano parlarsi, ma il nero non si fa vedere. Waahid immagina che sia impegnato nelle guardie, ma il non vederlo gli pesa ugualmente. Per tutta la giornata è svogliato e non riesce a concentrarsi nel lavoro. Continua a pensare al bel nero e al loro rapporto. Non hanno fatto cenno a quanto è successo a Qasr al-Hashim, né al loro futuro. Forse ad Adham non importa niente di lui. Waahid rientra nel suo appartamento la sera e si sente un po’ triste. Adham potrebbe ancora arrivare: non sa dove alloggia Waahid, ma se chiedesse, chiunque nel palazzo sarebbe in grado di dirglielo.

Adham torna tardi. Non vuole disturbare Waahid. Possono parlarsi domani. Anche lui si chiede che cosa pensi il pittore di quello che c’è stato tra di loro. Con Waahid è stato bene e gli si è affezionato.

Il giorno successivo però Adham è di nuovo di turno, questa volta a partire dal mattino, e solo la sera è infine libero di cercare Waahid.

Il pittore lo ha atteso a lungo, poi si è messo a lavorare. Si sente un peso dentro. Traccia gli schizzi per le scene della storia che gli ha richiesto l’emiro. Incomincia dall’ultima, quella in cui il principe, che ha il volto di ‘Izz, si uccide sul corpo dell’amato: è la scena che meglio corrisponde al suo stato d’animo. Poi abbozza le altre scene: preferisce avere gli schizzi di tutta la serie, perché ama inserire dei rimandi tra ogni dipinto e tutti gli altri, qualche cosa per cui ogni singola immagine è completa in sé, ma si collega alle altre. Di solito si tratta di dettagli che ritornano in ogni dipinto. Un fiore in un’immagine spunta a terra, in un’altra è in un vaso, in una terza è offerto dal principe all’amato. Oppure il principe indossa una cintura quando vede per la prima volta il giovane e poi gliela dona, per cui in altre immagini è portata dall’amato e viene infine usata dai sicari per ucciderlo. Anche l’uso dei colori è importante: un rosso o un blu ora è usato per il principe, ora per l’amato, ora per gli assassini, ogni volta per un indumento diverso. Un altro elemento a cui Waahid fa ricorso per assicurare l’unità della serie è la distribuzione delle figure nello spazio, per cui un personaggio appare sempre in una stessa area del dipinto, oppure ogni volta in un’area diversa.

Waahid si concentra nel lavoro, ma non riesce a scacciare la tristezza. Quando infine si alza per andare a cenare, vede arrivare Adham.

- Scusa se vengo solo ora, Waahid. Sono stato di servizio ieri fino a notte e oggi dal mattino fino a poco fa.

Waahid si sente sollevato.

- Non devi giustificarti. Sono contento di vederti, Adham.

- Possiamo mangiare insieme? Ho bisogno di parlarti.

- Molto volentieri. Vieni da me.

- Veramente volevo offrirti io una cena.

- Se vuoi parlarmi, stiamo più tranquilli a casa mia.

- Allora va bene.

Mentre si dirigono a casa di Waahid, Adham dice:

- Ti ringrazio per avermi presentato all’emiro: questo lo ha senz’altro spinto a prendermi.

- Credo che abbia fatto un ottimo affare e penso che ti avrebbe comunque preso.

- Non lo so, ma in ogni caso grazie.

Entrano in un cortile su cui si affacciano diversi edifici. Waahid ne indica uno:

- Ecco, io abito lì.

- È l’emiro che ti ha messo a disposizione l’appartamento?

- Sì, ha piacere di tenermi a corte e per me è una sistemazione molto comoda.

- Certo.

- In questo cortile stanno artigiani e artisti che lavorano per ‘Izz e alcuni funzionari.

- Non è qui che stanno gli ufficiali?

- No, loro stanno vicino alla caserma.

Sono entrati in casa e Waahid ha dato alcune istruzioni al servitore. Si siedono e proseguono a parlare, ma Adham non affronta nessun argomento significativo. Waahid è incerto. Si chiede se il bel nero voleva soltanto ringraziarlo. Per quello voleva invitarlo a cena?

Prima di cenare e mentre mangiano parlano di piccole cose insignificanti: la sistemazione di Adham e il suo viaggio per arrivare a Jabal al-Jadid, il lavoro che Waahid sta facendo per l’emiro.

Solo dopo che hanno mangiato, Adham ripete:

- Ho bisogno di parlarti, Waahid.

- Dimmi, Adham.

C’è ancora un’esitazione, poi Adham incomincia:

- Sapevo che dovevo andarmene, anche se mi pesava lasciare Ferdinando. L’ho amato, molto, ma questo amore si è affievolito e la vita da brigante ha contribuito a spegnerlo. Il tuo soggiorno, - Adham sorride - chiamiamolo così, da noi, mi ha spinto ad agire. Ho avuto bisogno di un po’ di tempo, ma alla fine ho tagliato i ponti.

- Credo che tu abbia fatto molto bene, visto che non te la sentivi di rimanere.

- Sì.

Di nuovo c’è un momento di silenzio, poi Adham riprende:

- Ho pensato molto a te, dopo che te ne sei andato… dopo che ti abbiamo liberato.

- Anch’io ho pensato molto a te.

Adham annuisce, ma non replica. Riprende il discorso:

- Avrei potuto raggiungere Salah ad-Din: credo che si ricordi di me. Ma ho scelto di venire qui, a Jabal al-Jadid.

Waahid annuisce, in attesa. Adham tace un momento, poi dice:

- Waahid, ho pensato molto a te. Te l’ho appena detto, lo so. Diciamo che ho capito di essermi affezionato a te. So che era una situazione particolare: tu eri un prigioniero, io il tuo carceriere.

Waahid scuote la testa:

- Non ti ho mai vissuto come tale. E non mi sono sentito davvero prigioniero.

- Waahid, a me piacerebbe che noi riprendessimo dal punto dove ci siamo lasciati. Non so se, in una situazione diversa, conoscendoci meglio, andremo avanti o se capiremo che ciò che è successo a Qasr al-Hashim è stato solo un episodio senza domani.

- Spero che non lo sia, Adham. Perché anch’io mi sono affezionato a te e vorrei riprendere… come hai detto? Dal punto dove ci siamo lasciati.

Adham sorride. Ha un bel sorriso. Adham gli tende la mano e Waahid la prende. Il nero lo attira a sé. Nei suoi occhi brilla una fiamma e Waahid sente il desiderio avvampare, improvviso. I loro visi si avvicinano e le loro labbra si incontrano. Si baciano, prima piano, poi con trasporto, lasciando che il desiderio guidi i loro gesti. Adham si stacca e si spoglia, rimanendo a torso nudo. Waahid scorre le mani su quel torace possente. Poi anche lui afferra i lembi della tunica per togliersela, ma Adham lo previene e gliela sfila. È bello lasciare che le mani di Adham gli sfilino gli indumenti. È bello sentirle sulla pelle, forti e delicate, come sa essere Adham. È bello sentire di nuovo le labbra di Adham sulle proprie. È bello lasciarsi avvolgere dall’odore maschio di Adham, abbandonarsi alla sua stretta.

Le mani del nero gli calano i pantaloni e ben presto Waahid si ritrova nudo. Allora Adham lo stringe forte tra le sue braccia, accarezzandolo, poi lo stende supino sul tappeto e finisce di spogliarsi. Waahid lo guarda. Alto, vigoroso, bello, lo sovrasta. Waahid fissa il cazzo teso, con la cappella purpurea, i coglioni ricoperti da una peluria scura. Waahid deglutisce. Il desiderio è una morsa che gli stringe la gola.

Adham si stende su di lui, lo bacia ancora, mentre le sue mani lo accarezzano, scorrendo lentamente dalla testa ai fianchi. Mormora il suo nome e Waahid risponde mormorando quello di Adham. Altro non dicono.

I baci diventano più ardenti, si trasformano in morsi, le carezze si fanno più decise, le mani stringono con forza, scendono dietro il culo di Waahid, stuzzicano l’apertura.

Adham si solleva, mettendosi cavalcioni sul corpo di Waahid e sedendosi sulle sue cosce. Lo accarezza, gli stuzzica i capezzoli stringendoli tra le dita, gli scompiglia i capelli. Poi abbassa il viso, lo bacia, gli spinge la lingua in bocca, gli accarezza il torace, morde prima un capezzolo, poi l’altro.

Le sue mani avvolgono il sesso di Waahid, un dito lo percorre, solleticandolo. Poi Adham si bagna con la saliva il palmo della mano e lo passa sulla cappella. Waahid sussulta. Adham scivola indietro. China il capo. Sembra guardare affascinato il sesso. Con lentezza vi passa sopra la lingua, dai coglioni alla cappella. Waahid ha un nuovo guizzo di piacere.

Poi Adham si solleva un po’, afferra i fianchi di Waahid e lo guida a voltarsi a pancia in giù.

Waahid si abbandona completamente. Sente le dita di Adham, umide, scorrere lungo il solco, poi allontanarsi e ritornare, indugiando un attimo sull’apertura. Un dito percorre l’anello, lentamente, spingendosi dentro. Waahid sussulta.

La manovra viene ripetuta più volte. Waahid si abbandona al piacere che quel dito risveglia dentro di lui. Poi avverte un forte morso al culo, un secondo. Ride. Il dito scompare e ora a premere contro l’apertura è il cazzo, rigido, grande, caldo. Adham lentamente lo spinge dentro, sempre più a fondo. Carezze e morsi accompagnano l’avanzata. Waahid geme.

Adham si ferma. Le sue mani accarezzano la testa di Waahid, poi scendono al culo. I suoi denti mordono una spalla, il lobo di un orecchio. La sua lingua scorre dietro l’orecchio, sul collo.

Poi l’avanzata riprende e Adham prende pieno possesso del territorio. Waahid si abbandona completamente a lui. Adham gli lascia un momento di respiro, poi inizia a muoversi avanti e indietro, mentre le sue mani accarezzano i capelli di Waahid o forse li stringono.

Waahid sente il piacere crescere. Geme nuovamente. Adham si ferma, poi riprende il movimento, a cui imprime ora un ritmo più deciso. Waahid urla il nome di Adham.

Adham non si interrompe, ma bacia il collo di Waahid e la sua guancia.

E infine, con una serie di spinte decise, che paiono durare un tempo infinito, Adham viene dentro di lui.

Dopo un attimo di pausa, Adham afferra Waahid e si volta. Ora Waahid è steso su Adham, che gli sta stuzzicando i coglioni. Poi la sua mano afferra il sesso e incomincia ad accarezzarlo. Infine lo stringe, muovendosi rapidamente, fino a che Waahid sente un’esplosione dentro di sé e il suo corpo è percorso da ondate di puro godimento, mentre il suo seme si spande sul ventre e sul torace e uno schizzo raggiunge il viso.

Waahid vorrebbe rimanere per sempre così: nulla esiste di più bello al mondo che rimanere disteso sul corpo di Adham, sentirne in culo lo spiedo, essere avvolto tra le sue braccia.

Adham sta bene, fisicamente si sente appagato. Ma nel momento in cui il seme prorompeva nella mente gli è apparso Ferdinando.

 

Ogni giorno Barbath si alza molto tardi. In giornata di solito scopa con i due uomini con cui ha rapporti in questo periodo, ma non riesce a scacciare il pensiero di Ferdinando ed è alquanto irrequieto. Qais e Mahdi, che lo conoscono meglio e gli sono affezionati, hanno una conferma dei loro sospetti: qualche cosa non va.

Gli chiedono qual è il problema, ma Barbath risponde in modo evasivo. Non ha voglia di parlare del fantasma che ritorna ogni notte e che non riesce a scacciare. La sera, dopo aver chiacchierato con loro, esce da palazzo e si aggira per i vicoli di Jabal al-Jadid fin quasi a mattina, poi rientra e si corica.

Quattro giorni dopo la visita al bordello, incontra in uno dei cortili del palazzo Adham. Per un attimo pensa di avere un’allucinazione. Ma Adham gli si avvicina e lo saluta, chinando la testa:

- Barbath, ti rendo omaggio. Pensavo che ti avrei incontrato qui.

- Adham?! Che cosa fai a Jabal al-Jadid?

Il tono di Barbath è ostile. Adham lo coglie.

- Sono venuto a mettermi al servizio dell’emiro. Ero un guerriero e la vita del brigante non fa per me. Ho raccontato a ‘Izz ibn Ashraf la verità e ha accettato di mettermi alla prova.

Barbath lo fissa un momento in silenzio. Poi chiede:

- Hai lasciato Ferdinando?

- Sì, le nostre strade si sono separate per sempre. Te l’ho detto, non posso vivere come brigante.

Barbath annuisce:

- Hai fatto bene. Ferdinando finirà impalato.

Il tono di voce ora è ancora più duro.

- Spero di no, per lui. Non se lo merita.

- È quello che si meritano tutti i briganti. E lui in primo luogo.

Adham vorrebbe replicare, ma preferisce non irritare ulteriormente Barbath, per cui si limita a dire.

- Sarà ciò che Iddio vorrà.

Barbath saluta e si allontana. L’incontro con Adham lo ha scombussolato. Vorrebbe parlargli, chiedergli mille cose: il nero è stato l’amante di Ferdinando, è vissuto con lui oltre dieci anni, sa tutto di lui. Barbath vorrebbe conoscere meglio quest’uomo che lo ossessiona e nello stesso tempo vorrebbe dimenticarne l’esistenza.

 

Nella notte Barbath ritorna al bordello di Hayi Albawwabat Algharbia. È più tardi della volta scorsa, ma la lampada fuori dalla porta è ancora accesa. Il vecchio che gli apre la porta riconosce l’uomo con il volto coperto e si inchina profondamente.

- Bentornato, sayyd.

Barbath guarda il viso rugoso, il sorriso sdentato, la saliva rappresa agli angoli della bocca. Vorrebbe voltarsi e andarsene, ma rimane fermo, in silenzio.

Il vecchio dice:

- Qawiun è a tua disposizione.

L’uomo deve aver sentito e appare sulla porta. Sorride e si inchina.

- Vieni, sayyd.

Barbath paga e segue l’uomo. Qawiun deve aver bevuto, perché nella stanza c’è puzza di vino e quando l’uomo si volta verso di lui, dalla sua bocca esce una zaffata.

Barbath si cala i pantaloni e si mette in posizione, senza dire nulla. Ha rinunciato a chiedersi che cosa sta facendo.

L’uomo rutta, poi dice:

- È meglio che prima pisci.

Barbath volta la testa. L’uomo incomincia a svuotare la vescica in un recipiente. Ride e dice:

- Se la vuoi gustare, te ne lascio un po’.

Barbath scuote la testa. L’uomo termina e si accarezza il cazzo, che si irrigidisce rapidamente. Si mette dietro a Barbath, gli poggia le mani sul culo, divarica un po’ le natiche, sputa sul buco e lo forza, spingendo dentro la sua arma. Barbath chiude gli occhi. Il pensiero va a Ferdinando. Immagina che sia lui a fotterlo e pensa che dopo averlo fottuto lo ucciderà. Vuole finire, perché tutto ciò non ha senso.

Qawiun fa il suo lavoro con cura e infine viene. Si ritira, senza chiedergli se vuole che lo faccia venire.

Barbath si alza. Si tira su i pantaloni e chiede, piano, perché non vuole che il vecchio senta.

- Saresti disposto a uccidere un uomo mentre lo fotti?

Qawiun aggrotta la fronte. Ora è diffidente, teme un inganno.

- Non sono un assassino.

- Pago molto bene.

Qawiun non dice nulla: probabilmente sta chiedendosi se può valere la pena di sentire la proposta. Ma Barbath alza le spalle e lascia la stanza, senza dire più nulla. Non ha senso, non ha senso.

Qawiun lo guarda andarsene, perplesso.

Barbath vaga ancora per le vie di Jabal al-Jadid, fino all’alba. Non vuole tornare nel suo appartamento, non vuole sprofondare nelle sue ossessioni.

Quando rientra si stende a dormire, esausto. Lo sveglia un domestico in tarda mattinata: l’emiro chiede di lui con urgenza.

 

Barbath si veste rapidamente e si presenta da ‘Izz ibn Ashraf.

- Ai tuoi ordini, emiro.

Izz scuote la testa e sorride.

- Sei emiro anche tu e non sei più ai miei ordini, anche se sei sempre disponibile, qualunque cosa io ti chieda. Ma in questo caso l’ordine viene dal nostro sovrano. Salah ad-Din, che Iddio lo protegga, mi ha mandato un messaggio.

- Dimmi, emiro.

- Colui che osava farsi chiamare re di Urshalim, quell’infame che Salah ad-Din ha liberato nella sua clemenza, ha raccolto un esercito e ha attaccato Akka.

Barbath rimane allibito. In effetti Guido da Lusignano, che porta ancora il titolo di re di Gerusalemme, ha dato inizio all’assedio di Acri, destinato a concludersi solo dopo due anni, grazie alle truppe giunte dall’Europa.

Izz prosegue:

- Salah ad-Din ha richiesto l’invio di truppe: bisogna sconfiggere quel maledetto, prima che arrivino soldati dall’Europa. Ti chiedo di partire, guidando i soldati che posso inviare per questa impresa. Spero che riuscirete a sconfiggere definitivamente i franchi e a ricacciarli in mare.

Barbath è lieto di partire. Sa che solo allontanandosi e soprattutto impegnandosi nella guerra potrà recuperare la tranquillità.

- Dimmi tu quali uomini posso portare con me. Partiremo appena possibile.

Izz e Barbath discutono sul contingente da inviare. Non ci sono tensioni con le altre città e non c’è motivo perché a Jabal al-Jadid rimangano molti soldati. Barbath partirà con le truppe disponibili, assumendo il comando anche di quelle che sono già ora con Salah ad-Din, sotto la guida di un ufficiale. È probabile che il sovrano lo scelga nuovamente come suo braccio destro: sicuramente ha inviato un messaggio all’Arram, ma nella lettera per ‘Izz gli ha richiesto esplicitamente di comunicare a Barbath, nel caso fosse a Jabal al-Jadid, che desidera la sua presenza.

L’emiro lascia la scelta degli uomini al suo comandante. Si limita a dirgli che preferisce tenere con sé Qais e Mahdi, i due ufficiali in cui ha più fiducia e a cui lo lega un rapporto di affetto. L’attuale comandante della guarnigione partirà con Barbath e sarà sostituito da Qais, fino al ritorno delle truppe.

Infine, al momento di lasciarsi, ‘Izz aggiunge:

- Dimenticavo: prendi con te anche il nero, Adham. Credo che sia un uomo valoroso, ma questo si vedrà solo sul campo di battaglia. Se è davvero coraggioso, come credo, affidagli il comando di alcune truppe.

- Come desideri, emiro.

Barbath avrebbe preferito non portare con sé Adham, l’unico in grado di ricordargli Ferdinando, ma non conta di avere molte occasioni di avere a che fare con lui.

Adham e Waahid si devono separare pochi giorni dopo essersi ritrovati. Per entrambi è una sofferenza, ma Adham è contento di tornare a combattere, di potersi riscattare sul campo di battaglia: attendeva di poter dimostrare il suo valore. Waahid se ne rende conto e gli fa piacere che il suo amico possa soddisfare il suo desiderio, ma nello stesso tempo è preoccupato, perché sa che Adham rischia la vita e che proprio il suo ardore lo espone a maggiori pericoli.

- Tornerò, Waahid. Ma tornerò come un guerriero valoroso, che gode della stima degli altri.

Waahid annuisce.

- Vorrei dirti di non esporti troppo, ma so che sarebbe inutile.

Adham sorride. Coglie la preoccupazione di Waahid e gli dispiace saperlo inquieto.

- Tornerò, te lo prometto.

- Ti aspetterò. Se la guerra si prolungherà, ti raggiungerò. Potrò disegnare qualche scena di battaglia. Non voglio rimanere troppo a lungo lontano da te.

- Spero che la guerra si concluda presto, prima dell’arrivo di altri franchi dall’Europa.

Due giorni dopo, le truppe si mettono in marcia.

 

Waahid è nel laboratorio quando sulla soglia si presenta un giovane. Ha un viso allungato, con grandi occhi scuri e labbra carnose, capelli neri, che porta lunghi e in disordine, e una barba molto corta. Non è bello, ma sembra cordiale e simpatico. Deve aver una ventina d’anni.

- Scusa il disturbo. Sei Waahid ibn Munthir?

- Sì.

- Io sono Efraim ibn Morqos.

Il figlio di Morqos! Waahid ha scritto qualche tempo fa, rinnovando l’invito per il giovane.

- Sono contento che tu sia venuto da me, Efraim.

- Per me è un grandissimo onore poter lavorare al tuo fianco, Waahid. Non avrei mai pensato di poterlo fare un giorno. Quando i miei genitori me l’hanno detto, ho pensato che mi stessero prendendo in giro.

- Ho visto alcune tue opere e devo dire che sei davvero bravo.

Efraim scuote la testa.

- Sentirmi lodare da Waahid ibn Munthir… mi sembra incredibile.

Efraim ha portato alcuni disegni e dipinti realizzati ad Amman. Waahid li osserva con lui. Il giovane ha fatto ulteriori progressi: impara in fretta. Sarà un piacere insegnargli nuove cose.

Waahid è contento dell’arrivo di Efraim: costituirà un diversivo e uno stimolo, rendendo meno pesante la lontananza di Adham.

Nei giorni seguenti Waahid lo mette al lavoro e lo segue con cura. Gli dà qualche consiglio, ma evita di forzarlo: se è diventato il migliore pittore della Siria, è perché suo padre gli ha insegnato tutto quello che sapeva, ma lo ha anche lasciato libero di sperimentare e trovare la sua strada. Anche Efraim deve trovare la propria, non imitare pedissequamente le opere del maestro.

Efraim si trova benissimo con Waahid. Lavorare accanto a lui è un piacere. Anche Waahid si trova bene con Efraim. Si trovano a parlare un po’ di tutto: di pittura, delle loro vite, delle loro famiglie, di al-Hamra e Jabal al-Jadid.

Waahid vuole presentare Efraim all’emiro, ma vuole che l’allievo si faccia conoscere attraverso una sua opera. Gli propone perciò di fare un ritratto di Ridwan, il compagno di ‘Izz. Efraim accetta la proposta e Ridwan acconsente a posare: è affezionato a Waahid e non intende certo respingere una sua richiesta.

Waahid dà a Efraim piena libertà e il ritratto che ne viene fuori è molto diverso dai molti dipinti del pittore di corte. Waahid è sicuro che l’emiro lo apprezzerà.

 

Intanto Salah ad-Din ha mandato a chiamare altri soldati da tutta la Siria: vuole riuscire a sgominare Guido da Lusignano e completare la conquista della costa prima dell’arrivo di altri rinforzi dall’Europa. Non vuole che si ripeta quanto è successo a Tiro: gli abitanti stavano per arrendersi, ma l’arrivo di Corrado del Monferrato ha dato nuova forza ai difensori, per cui la città è ancora in mano ai franchi.

Anche Ubayd al-Asad è stato invitato a raggiungere il suo signore. A Ubayd spiace lasciare al-Hamra, dove sta faticosamente cercando di imparare come si governa una città, ma non vuole certo sottrarsi. Anche a lui, come ad Adham, pesa separarsi dal suo compagno. Non vuole portare con sé Guillaume, sia perché la sua presenza non avrebbe nessuna giustificazione, sia soprattutto perché potrebbe rimanere ucciso, ad esempio se l’accampamento venisse attaccato di sorpresa. Potrebbe essere liberato in un’incursione e per lui sarebbe molto difficile tornare con Ubayd. Il pensiero di una separazione definitiva è intollerabile per entrambi.

- Se la guerra dovesse prolungarsi, ti convocherò per avere il rendiconto dell’amministrazione della città.

Ubayd sorride e aggiunge:

- Così almeno potremo vederci.

Guillaume annuisce.

- Certamente. Mi sembra una bella idea.

Ubayd affida la città in sua assenza a uno dei suoi uomini di fiducia, che sarà assistito da due consiglieri: Guillaume per tutto ciò che concerne i numerosi cristiani presenti e Shirkuh, che è il responsabile di tutta la parte amministrativa.

 

Salah ad-Din ha scritto anche a Damasco. La richiesta di uomini gli permette di affrontare alcuni problemi che sono emersi durante la sua assenza: gli sono giunte diverse lamentele nei confronti di Hashim ibn Abdel-Ghani, il comandante della guarnigione. Pare che approfitti della sua posizione per soprusi di vario tipo e questo ha generato un certo malcontento.

Salah ad-Din non può certo tornare a Damasco ora per verificare la situazione, ma non vuole neanche ignorare le proteste. Decide di approfittare di un fattore: uno dei suoi migliori guerrieri, Zeyd ibn Baahir, è rimasto ferito in battaglia. Non è una ferita molto grave, ma è proprio al braccio destro, per cui Zeyd per almeno un mese non potrà riprendere a combattere.

Salah ad-Din scrive a Hashim, comunicandogli che il suo posto sarà preso da Zeyd, che è convalescente e non è in grado di affrontare una battaglia. Senza informare il comandante della guarnigione, affida a Zeyd l’incarico di indagare sulle accuse rivolte a Hashim.

Quando il messaggero arriva a Damasco è sera e le porte della città sono già chiuse, ma l’uomo viaggia per conto del sovrano e viene fatto entrare immediatamente.

Hashim è nell’appartamento riservato al comandante della guarnigione, con il bel Rodrigo. Il giovane è in ginocchio davanti a lui e gli sta succhiando il cazzo: una pratica che detesta, ma a cui non può sottrarsi. Il comandante ha preso l’abitudine di farlo venire una volta la settimana: un “favore” che ha estorto ad Abdallah, con velate minacce. In un bordello c’è sempre qualche cosa che non va, in fondo. Ad esempio lo schiavo cristiano molto bravo nella lotta, dicono che assomigli al brigante Ferdinando, probabilmente è anche lui un brigante, forse è il caso di arrestarlo e forzarlo a confessare. E poi c’è la faccenda dei ragazzini, quelli più giovani che Abdallah compra per i clienti che vogliono carne tenera. Pare che uno sia stato rapito alla famiglia.

Abdallah ha ceduto, anche se gli brucia rinunciare una sera a settimana a quanto guadagna grazie a Rodrigo. Cerca di approfittare come può della protezione non richiesta di cui ora gode, grazie all’interesse di Hashim per il bel cristiano: se il comandante si gode lo schiavo più pregiato del bordello, il tenutario potrà almeno contare che chiuda un occhio su qualche irregolarità, ad esempio sull’età di un nuovo schiavo, che è davvero ancora un bambino. Abdallah ha così raggiunto con Hashim un equilibrio, contenendo il danno.

Hashim, forte della lontananza di Salah ad-Din, sta approfittando della sua posizione in modo vergognoso e sono in molti a lamentarsi, in primo luogo i mercanti. Il comandante ha preso l’abitudine di scegliere nelle botteghe ciò che gli piace: una tunica, una cintura, una borsa, un tappeto, una lanterna. Si fa portare l’oggetto a casa e non paga. Se qualcuno gli chiede il dovuto, lo ignora. È vero che di solito i mercanti e gli artigiani fanno volentieri qualche dono al comandante, per ottenerne la sua protezione e perché magari chiuda un occhio di fronte a certe piccole irregolarità (o anche davanti a irregolarità più grandi – e allora il valore del dono aumenta in modo proporzionale). Ma quello che sta facendo Hashim è un vero e proprio ladrocinio.

Anche diversi cittadini protestano, perché sono vittime di soprusi commessi da alcuni soldati. Questi abusi rimangono impuniti, perché i responsabili godono del favore di Hashim. Un padre non ha ottenuto giustizia per la figlia stuprata da un soldato e questo ha provocato uno scandalo, ma il soldato è un protetto del comandante, dicono che sia uno dei suoi amanti.

 

Hashim è felice di godersi Rodrigo tutta la sera e non sborsare niente, alla faccia di quel tirchio di Abdallah, che è ricchissimo e pretenderebbe di far pagare anche il comandante della guarnigione.

Ora, mentre Rodrigo gli succhia il cazzo e Hashim  mugola di piacere, un servitore bussa alla porta.

Hashim si scuote. È furioso: ha detto di non disturbare per nessun motivo, come osa qualcuno bussare? Senza muoversi, urla:

- Che cosa c’è? Ho detto che non voglio essere disturbato.

Il servitore risponde:

- È arrivato un messaggero del nostro sovrano, Salah ad-Din, gloria a lui. Vuole parlarti con urgenza.

Hashim mormora tra i denti:

- Merda!

Appoggia una mano sulla fronte di Rodrigo e lo spinge via. Si riveste rapidamente: non è il caso di far attendere un inviato di Salah ad-Din.

Nasconde dietro un sorriso la sua rabbia e passa in una stanza, dove riceve il messaggero. La missiva che l’uomo gli consegna non contribuisce certo a migliorare il suo umore: deve partire per il fronte entro due giorni e probabilmente già domani Zeyd arriverà per prendere il suo posto.

Ora Hashim è ancora più furioso, ma anche preoccupato. Non sono certo i combattimenti a spaventarlo: è un guerriero coraggioso e non teme di affrontare il nemico; non sarebbe diventato comandante se non avesse dimostrato in più occasioni il suo valore in battaglia. Il problema è un altro. Sa benissimo che molti si lamentano di lui a Damasco: c’è gente che crede che le regole valgano per il comandante della guarnigione come per l’ultimo pezzente. Che a Salah ad-Din sia giunta qualche voce? Il sovrano ci tiene alla sua fama di uomo pio e giusto e Hashim sa benissimo che non approverebbe il suo comportamento.

Hashim fa preparare una camera per il messaggero, poi torna nella stanza dove Rodrigo lo attende. La voglia di scopare gli è passata: ha ben altri problemi, ora.

- Torna al casino, stronzo!

 

Rodrigo si riveste e se ne va. Di solito un soldato lo accompagna, ma questa volta Hashim non ha dato nessun ordine. D’altronde Rodrigo conosce la strada, che ha percorso più volte.

Non gli capita mai di muoversi da solo: esce dal bordello con altri per andare ai bagni o per allietare qualche festa in casa di un ricco. In alcune occasioni ha trascorso qualche giorno nella fertile campagna intorno a Damasco, la Ghuta, in casa di un possidente disposto a sborsare una somma enorme per averlo tutto per sé. Ma si è sempre mosso con altri.

Rodrigo potrebbe approfittarne per cercare di scappare, ma sa che non riuscirebbe ad andare da nessuna parte. Conosce pochissimo l’arabo, perché nell’apatia in cui è sprofondato non gli importa di impararlo. Non gli importa più di nulla, ormai. Da tempo pensa che dovrebbe uccidersi: l’unico modo per sfuggire alla vita che conduce.

 

Hashim riflette sul da farsi. I tempi sono stretti. Se Zeyd arriverà domani, Hashim sa di dover partire dopodomani: Salah ad-Din non accetterebbe nessun indugio.

Riguardo alle lamentele dei cittadini, c’è poco da fare. Conosce Zeyd e sa che non cercherà di approfittare della sua posizione: è stupido e non gli sembrerebbe onesto richiedere qualche piccolo favore. Questo è un casino, perché se Zeyd si comportasse allo stesso modo, la gente finirebbe per accettarlo. Il problema più grosso è che quel coglione non cercherà neanche di mettere a tacere quelli che protestano: riterrà suo dovere indagare e far luce sull’accaduto.

Hashim decide che domani stesso pagherà quei due o tre beni per cui i mercanti hanno avuto la faccia tosta di chiedergli i soldi. Dirà che prima di partire vuole saldare i suoi debiti. Gli scoccia, non poco, ma è l’unica cosa da fare. Se rimarrà qualche cosa di non pagato, Zeyd penserà che si tratta di una dimenticanza. Sì, la soluzione è buona. Purché non vengano tutti a reclamare quello che gli spetta, ma molti non oseranno.

Rimane il problema dei soldati che hanno combinato qualche guaio. Gli converrebbe portarli con sé, per evitare che, con l’arrivo di Zeyd, chi crede di aver subito un torto si rivolga al nuovo comandante e vengano fuori certe storie. La faccenda più grave è quella di Fahmi. Quel coglione la ragazza l’ha stuprata davvero, anche se sosteneva che lei c’era stata. Il padre non demorderà. Si rivolgerà a Zeyd. E salterà fuori che lui non ha dato peso alle accuse, nonostante ci fossero due testimoni. Merda! La cosa migliore è raccontare la faccenda a Zeyd e dirgli di indagare se il padre si fa di nuovo vivo. Intanto Fahmi può portarselo dietro: così può gustarsi il suo bel culo e per un po’ quel coglione non corre rischi. Magari muore in battaglia e la storia finisce lì.

L’indomani pomeriggio Hashim accoglie sorridente Zeyd, che arriva con un braccio fasciato. Lo informa di tutto quanto ritiene importante e poi aggiunge:

- C’è un’altra faccenda, quella di un soldato, Fahmi, che è accusato di aver preso una ragazza. Credo che sia stata lei a provocarlo, ma adesso pare che ci siano due testimoni. Non ci credo molto, ma mi ripromettevo di indagare. Credo che il padre della ragazza si rifarà vivo. Vedi un po’ tu che cosa fare.

- Va bene, me ne occuperò senz’altro. Sentirò Fahmi domani stesso.

Hashim esita un attimo.

- Ma, veramente… conto di portarlo con me. Meglio toglierlo di qui.

Zeyd non nasconde la sua perplessità.

- Se c’è un’accusa tanto grave e mi parli pure di testimoni, direi che è bene indagare. È opportuno che rimanga qui.

Hashim nasconde la sua rabbia di fronte a questo impertinente che lo sostituirà e che già pretende di comandare. Vorrebbe dirgli che le decisioni le prende lui, perché fino alla sua partenza è lui il comandante, ma sa di trovarsi in una posizione delicata. Insistendo a portare Fahmi con sé, darebbe l’impressione di volerlo sottrarre alla giustizia.

- Va bene. Ritenevo opportuno allontanarlo, ma se ritieni preferibile che rimanga, non ho obiezioni, naturalmente.

Parlano ancora un momento, poi Hashim conclude:

- Non mi aspettavo di partire così senza un preavviso. Spero di non aver lasciato troppe cose in sospeso. Ho provveduto oggi a pagare alcuni acquisti fatti, che avevo trascurato perché c’è sempre tanto da fare. Mi auguro di non aver dimenticato nessuno. Se c’è qualche problema, mi farai sapere.

- Senz’altro.

Il giorno dopo Hashim si mette in marcia con un primo contingente. Un secondo, raccolto da Zeyd nelle campagne, seguirà più tardi.

Zeyd si stabilisce nell’appartamento riservato al comandante nel palazzo del sovrano. Dovrà occuparsi di molte cose, i problemi aperti sono tanti e il dialogo con Hashim ha confermato i sospetti di Salah ad-Din. I primi giorni saranno frenetici, lo sa benissimo, e in fondo va bene così: non ama l’inattività e gli pesa dover rimanere lontano dal campo di battaglia mentre la guerra infuria.

C’è un’altra faccenda di cui dovrà occuparsi, ma a quella penserà dopo, anche se lo tocca molto da vicino. Una faccenda che ha un nome: Nando.

 

Mentre Hashim raggiunge l’esercito musulmano accampato vicino ad Akka, a Jabal al-Jadid Waahid si reca da ‘Izz con Efraim.

- Emiro, mi permetto di presentarti un pittore che è venuto a lavorare con me, dopo aver studiato con altri pittori. Il suo nome è Efraim ibn Morqos e viene da al-Hamra. Ha dipinto un ritratto e vorrebbe fartene dono.

Izz sa già che con Waahid lavora da qualche tempo un altro pittore, ma non l’ha mai visto e non sa che Ridwan ha posato per lui.

- Salute a te, Efraim ibn Morqos. Waahid mi dice che vieni da al-Hamra. Tuo padre è forse quel Morqos che viveva nella casa del mercante Giovanni?

Efraim è stupito: gli sembra incredibile che l’emiro conosca suo padre.

- Sì, certo, è lui.

- Spero che stia bene.

- Sì, emiro, grazie. Sta bene.

Efraim non osa chiedere, perché non vuole apparire indiscreto, ma ‘Izz spiega:

- Ho vissuto anch’io in quella casa, quando il Circasso aveva conquistato Jabal al-Jadid. Ne conservo il ricordo di un asilo sicuro e la mia gratitudine nei confronti del duca Denis è eterna. E sono grato anche a tuo padre, che mi insegnò i rudimenti della lingua dei franchi.

Efraim annuisce, disorientato. Chiederà a Waahid spiegazioni. L’emiro riprende:

- Waahid mi dice che vuoi offrirmi un ritratto.

Efraim si inchina.

- Sì, mio signore. È una piccola cosa.

Fa due passi avanti e porge all’emiro il dipinto, avvolto in una striscia di tessuto. ‘Izz lo libera dalla stoffa e lo guarda. Sorride. Si volta verso Ridwan, che è accanto a lui:

- E così, quando mi dicevi che andavi a chiacchierare con Waahid, invece posavi per Efraim.

Ridwan ride e annuisce.

- È così, emiro.

Izz si rivolge a Efraim:

- Questo ritratto mi dice che ora alla mia corte ho un secondo pittore di valore. È molto diverso dai dipinti di Waahid, ma non è meno bello. Spero che tu intenda fermarti qui a Jabal al-Jadid, perché voglio affidarti alcuni lavori.

Efraim non si aspettava di ricevere un incarico: è una fortuna insperata. Si inchina ancora e dice:

- L’emiro mi onora troppo.

- No. Amo moltissimo i dipinti di Waahid, ma tu dipingi in modo diverso e vorrei vedere come rendi alcune scene che Waahid ha già illustrato.

- Per me sarà un piacere e un onore.

- Conosci la storia di Nadir e Hamza, dalle Cinquanta e una notte?

- Sì, la sentii raccontare. Hamza era il signor dei jinn, no?

- Esatto. Mi disegnerai quattro dipinti per quella storia, scegliendo le scene che preferisci. Ti darò il testo, in modo che tu possa leggerlo.

Poi ‘Izz si volta a Waahid:

- Tu non gli dirai quali immagini hai fatto. Voglio vedere le sue scelte e le sue opere.

- Come ordini mio signore.

Efraim si inchina e risponde:

- Sarà per me un grande onore.

Izz li congeda. Più tardi farà portare a Efraim alcune monete, come compenso per il ritratto.

 

La sera stessa Efraim legge il testo. La storia gli è stata raccontata, ma non ha mai avuto occasione di leggerla.

Il principe Nadir si innamora di Hamza, un uomo molto forte, incontrato durante una partita di caccia. Hamza viene sbranato da un leone, ma l’anno successivo Nadir lo ritrova: l’uomo è vittima di una maledizione, per cui verrà ucciso ogni anno, ma se il principe gli rimarrà fedele, potrà tornare in vita e al decimo anno sarà libero. Nadir non cerca nessun altro e ogni autunno ritrova Hamza e lo vede morire. Infine, trascorsi i dieci anni, Hamza porta Nadir nel suo castello e gli rivela di essere il signore dei jinn dell’Oriente. Dopo un anno Nadir torna dal padre, ormai anziano, ma quando questi muore va a vivere con Hamza.

Efraim si chiede quali scene illustrare. Certamente una di Nadir che va a caccia: è un tema molto comune e gli permetterà di disegnare un paesaggio, con animali selvatici. Ci vorrebbe anche una scena con la morte di Hamza, forse quando viene giustiziato oppure quando lo divora il leone. Un’altra scena potrebbe essere il finale, quando il re dei jinn fa rinascere il suo palazzo. E la quarta… ci sono diverse scene d’amore, ma è il caso di rappresentarne una? Su questo Efraim decide di consultare Waahid.

Il mattino seguente lo raggiunge nel laboratorio.

- Waahid, ieri sera ho letto la storia che mi ha dato l’emiro. Ho scelto alcune scene da disegnare, ma ho dei dubbi. Posso farti qualche domanda?

- Certamente, anche se non posso dirti quali scene ho illustrato io, perché l’emiro me l’ha proibito.

- No, certo. A me verrebbe da illustrare anche una scena d’amore tra Hamza e Nadir, ma non so se l’emiro apprezzerebbe. Non vorrei sembrare irrispettoso.

- L’emiro mi ha fatto dipingere diverse scene d’amore, per cui sei libero di muoverti come ritieni più opportuno.

- Scene di amore… in cui si vedono i due uomini che si uniscono?

- Sì. Ho illustrato per lui anche alcuni libri di quel tipo.

Efraim è sorpreso, anche se sa che molti richiedono dipinti erotici e ha visto diverse illustrazioni di questo tipo realizzate dai suoi maestri.

- Bene, allora credo di poter rappresentare una scena con i due uomini che si amano, non troppo esplicita, per non apparire sfacciato.

Waahid è sicuro che l’emiro apprezzerebbe anche una scena molto esplicita, ma non vuole influenzare le scelte di Efraim.

- Senz’altro.

Efraim si mette al lavoro. Si consulta con Waahid per alcuni aspetti specifici, ma procede per conto proprio, impegnandosi al massimo.


 

 

III – L’asta

IV – L’assedio

V – I briganti

VI – Prigionieri

VII – Il banchetto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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