I – I prigionieri

II – La spedizione

III – Il Cane dagli occhi azzurri

IV – I briganti

 

V – Rougegarde

 

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Renaud di Soissons ha fatto chiamare Olivier. Vuole condividere con lui un’idea che sta accarezzando da alcuni mesi, da quando sono ritornati da Antiochia.

- Denis d’Aguilard farà strada. Re Baldovino apprezzava il suo valore.

- Certo, ma non gli ha dato nulla.

- Non ha fatto in tempo, è morto prima, ma ormai Denis si è conquistato la fama di un guerriero abile e coraggioso.

- E allora?

Olivier non riesce a capire dove voglia arrivare suo fratello. Sa benissimo che nei confronti di Denis, Renaud prova un misto d’invidia e rancore: Denis sta facendo strada troppo in fretta; ha compiuto pochi giorni fa ventidue anni ed è già un comandante molto stimato e apprezzato, assai più di Renaud che ha superato i trenta e combatte da una dozzina d’anni.

Renaud riflette un momento, poi dice:

- Credo che sia conveniente cercare di associarsi con lui. Dobbiamo legarlo a noi, in qualche modo.

- E come? Denis non mi sembra particolarmente ansioso di collaborare con noi: ha comandato una spedizione che ha avuto pieno successo, facendo piazza pulita dei briganti. Non ha bisogno di noi per trovare un buon ingaggio quando Amalrico arruolerà nuove truppe.

Renaud formula la proposta che ha in testa:

- Potremmo stringere un patto giurato con Denis e alcuni altri.

- Un patto giurato? Di aiuto reciproco?

L’idea di Renaud non è malvagia. Si fanno patti in tutta Europa, ma nell'Oltremare sono particolarmente frequenti, perché molti non hanno una famiglia su cui contare: il patto è spesso l’unico modo per assicurarsi un sostegno e superare l’isolamento.

- Sì, Denis d’Aguilard è un uomo leale e se stringiamo un patto, lo rispetterà. Abbiamo tutto da guadagnare a legarci a lui. Finché ci servirà.

- Come pensi di convincerlo?

- Attraverso Charles.

Olivier sorride. Poi dice:

- Ho il sospetto che i rapporti tra il nostro bel fratello e il valoroso Denis d’Aguilard si siano alquanto raffreddati. Ma forse se Charles glielo chiederà, Denis non dirà di no. Non è volubile, come il nostro fratellino.

Renaud annuisce e prosegue il suo discorso:

- Comunque lo chiederemo anche a Ferdinando da Siracusa. Sono amici.

Olivier annuisce:

- Un altro a cui potremmo rivolgerci è Guillaume di Hautlieu, il templare. È tornato ad Acri sei mesi fa e di recente l’ho visto proprio in compagnia di Denis. Sono amici dai tempi della spedizione di Chrétien da Bayonne.

- Guillaume è un cavaliere templare. Credi che possa pronunciare un altro giuramento? Mi sembra…

Olivier lo interrompe:

- Guillaume lo farà. È molto legato a Denis e poco gli importa di certe regole dell’ordine: se ne fotte, come fanno tanti altri.

- Ha fama di essere molto ligio, invece.

- Fino a un certo punto. Certo, non cerca il suo tornaconto, è uno di quelli che combattono davvero per la fede, ma le regole dell’ordine sono una gabbia che gli va stretta.

Renaud si chiede come Olivier sappia tutte queste cose, ma in fondo non è strano: quando il re ha affidato a Renaud il comando del presidio regio ad Antiochia e la permanenza nella città si è prolungata ben oltre il previsto, si è reso necessario che qualcuno della famiglia tornasse ad Acri a curare gli affari. Renaud ha affidato il compito a Olivier, che ritiene assai più capace di Charles. Olivier è ad Acri da un anno, dall’autunno in cui Denis era a caccia di briganti. Ed è uno che non rimane inoperoso.

- Va bene. Ferdinando e Guillaume sono amici di Denis e se ci stanno anche loro, è difficile che Denis si tiri indietro. Bisognerà decidere quando e come farlo. Ci vorrà una cerimonia.

- Potremmo rivolgerci a Emich di Freiburg.

Renaud aggrotta la fronte.

- Quello a cui i saraceni hanno tagliato le palle?

- Sì, l'eunuco. Se poi è vero che lo è. Pare che abbia già officiato in cerimonie di questo tipo.

Renaud ne ha sentito vagamente parlare. Dicono che predichi, anche se non è mai stato sacerdote, che scriva libri, che abbia dei seguaci.

- Quello prima o poi finisce male. Alcuni sussurrano che sia un eretico.

Olivier scrolla le spalle.

- Non è un problema. Non dobbiamo mica ascoltare le sue prediche.

 

*

 

- È tutto chiaro, Raoul?

- Sì.

- Non una parola su quanto succede qui. Non una.

C'è una chiarissima minaccia nella voce di André Saint-Martin, il capo delle guardie personali del conte d'Espinel. Raoul vorrebbe dirgli che le sue precauzioni sono inutili, che le voci circolano. Ciò che succede nel palazzo del conte non è più segreto: sono coinvolti in troppi e non tutti sanno tenere a freno la lingua. Raoul ha sentito parlare più volte delle orge sfrenate che si tengono nella residenza del conte.

- So stare zitto.

Dopo una pausa, Raoul aggiunge: 

- Non tutti però sanno tenere la bocca chiusa, perché ho sentito delle voci...

André abbassa la testa. Annuisce. Nella sua voce ora non c'è più minaccia, solo sconforto.

- Lo so, Raoul, lo so. Proprio per questo cerco di evitare che altri parlino, confermino. Il conte è un uomo nobile, ricco, potente. Ma questo non è sufficiente, se si venisse a sapere...

André scuote la testa.

- Non era così, un tempo. Nulla avrebbe mai fatto pensare che saremmo arrivati a questo punto. Ha incominciato a bere dopo la prigionia e la morte di Egbert di Hagon. Non so che cosa gli abbiano fatto quei fottuti saraceni. E poi è andata sempre peggio. Ma dopo la morte del re...

André si passa una mano sulla fronte.

- Merda!

Non dice altro.

 

Raoul viene chiamato nel pomeriggio, insieme a Baudri, Jehan, Thierry e Gilbert. Hanno bevuto tutti in abbondanza, come è stato loro ordinato. Il conte li ha convocati nel bagno.

A colpire Raoul appena entra è il fetore dei liquami. In un angolo ci sono dei secchi e non è necessario avvicinarsi per capire che cosa contengono. Il conte è steso nella grande vasca al centro della stanza. Li guarda, ghignando, mentre si spogliano. Ha bevuto, evidentemente. Dev'essere ubriaco o poco ci manca.

- Ho sete, fatemi bere.

Baudri si mette sull'orlo della vasca, si prende il cazzo in mano e dirige il getto nella bocca di Tancrède. Dopo di lui lo fa Jehan e poi tutti gli altri. Tancrède beve gran parte del piscio, poi chiude la bocca e lascia che il getto lo prende sul viso e sul corpo. Baudri afferra il conte per i lunghi capelli e tira con forza, costringendolo ad alzarsi e uscire dalla vasca.

- Succhiami il cazzo, troia.

Il conte obbedisce. Intanto Thierry si mette dietro a Tancrède. Si accarezza il cazzo finché non diventa duro, poi lo spinge con un colpo secco nel culo del conte. Non ha inumidito l'apertura, né la cappella. Raoul si dice che deve aver fatto un male bestiale al conte, che in effetti ha una smorfia di dolore, ma continua a succhiare. Quando Thierry ha finito, Gilbert prende il suo posto. Intanto Jehan e Raoul avvicinano le cappelle dei loro cazzi tesi alle guance di Tancrède, che ogni tanto lascia il boccone che sta succhiando per assaggiare quelli che gli vengono offerti.

Uno dopo l'altro tutti e cinque inculano il conte. Dal buco lo sborro cola, abbondante. Quando il conte ha succhiato il cazzo a tutti, Baudri afferra di nuovo Tancrède per i capelli e lo forza a mettersi in piedi. Lo colpisce allo stomaco, con forza e lo spinge addosso a Thierry, che gli molla un pugno al ventre, per poi mandarlo addosso a Raoul. Ognuno colpisce, finché il conte non crolla a terra. Allora con un calcio Baudri lo fa cadere nella vasca. Gli pisciano ancora addosso. Poi Jehan e Raoul prendono i quattro secchi e ne rovesciano il contenuto addosso al conte.

Lo lasciano nella vasca, tra il piscio e la merda, e se ne vanno. Non dicono niente.

Raoul ha un vago senso di nausea. Si chiede come può quest'uomo guardare in faccia i suoi soldati, quando è sobrio.

 

*

 

A Guillaume l’idea di legarsi a Denis con un patto giurato piace: gli sembra che in qualche modo confermi la loro amicizia.

Sono rimasti separati quasi due anni, in cui i loro rapporti sono stati limitati a poche lettere. Poi Guillaume è stato assegnato ad Acri, qualche mese prima che Denis ritornasse. Guillaume sa che probabilmente ripartirà presto, ma per il momento possono ritrovarsi e confidarsi.

L’unico inconveniente è la presenza di Ferdinando, che si unisce spesso a loro: Guillaume è sinceramente affezionato al siciliano, ma frequentarlo è una tentazione. Guillaume fa in modo di evitare di trovarsi da solo con lui. Sa che rischierebbe di cedere.

Non dà alla castità una grande importanza, ma cerca di rispettare il voto che ha fatto. E in ogni caso gli sembra che i rapporti che ha ogni tanto, spinto dal bisogno, non abbiano nessun significato. Forse se amasse, sarebbe diverso, ma una rapida scopata con l’uno o con l’altro, che senso ha? 

Oggi alla taverna ci sono sia Denis, sia Ferdinando.

Ferdinando lo accoglie dicendo:

- Allora, facciamo questo patto giurato?

Guillaume si rivolge a Denis:

- Tu che ne dici, Denis?

- Non so se un patto giurato sia sufficiente ad assicurarsi la lealtà di tutti. Non mi fido molto dei fratelli di Soissons. Però se non ci si appoggia a vicenda, è difficile farsi strada.

- Allora sei più per il sì che per il no?

Denis annuisce.

- Sì, Guillaume, direi di sì. Senza un grande entusiasmo. Ma forse può servirci. A me e a Ferdinando, almeno. Per te non credo che valga lo stesso discorso, Guillaume, sei all’interno di un ordine, i tuoi superiori ti apprezzano e…

Guillaume lo interrompe:

- Se lo fai tu, lo faccio anch’io, Denis. Molto volentieri.

- Grazie.

Interviene Ferdinando, ghignando:

- Il patto giurato impegna anche a scopare?

- Ferdinando!

- Se ognuno deve essere disponibile a dare una mano all’altro in caso di bisogno… insomma io ho spesso bisogno e una mano viene bene… anche un bel culo o una bocca…

Denis scuote la testa.

- Sei incorreggibile, Ferdinando.

- Non credo che abbia mai provato a correggersi, Denis.

- Temo che tu abbia ragione.

Ferdinando sbuffa.

- Quante storie! Se uno giura di aiutare gli altri in pace e in guerra… è così, no, la formula?

- Qualche cosa del genere. La stabilisce l’officiante, di solito.

- Allora in guerra do una mano con la spada, in pace do una mano senza spada. Io adesso avrei proprio bisogno di una mano…

- Va bene, Ferdinando. Dato che però il patto non l’abbiamo ancora stretto, io e Guillaume ce ne andiamo e ti lasciamo solo. Secondo me troverai facilmente la mano che ti serve…

Ferdinando si finge indignato:

- Che razza di gente! Abbandonare un amico nel momento del bisogno. Col cazzo che lo faccio un patto giurato con voi due.

In quel momento nella taverna entra Raoul. Ferdinando lo vede e dice:

- Ecco qualcuno che mi darà una mano volentieri, un vero amico.

Ferdinando si alza e raggiunge Raoul. Parlottano un momento. Raoul ride e poi escono entrambi.

Sulla soglia, Ferdinando si volta e dice:

- Il conto pagamelo tu, Denis. Tanto devi darmi una mano in pace e in guerra.

Guillaume osserva:

- Ferdinando non è cambiato, in questi anni.

Denis aggrotta la fronte.

- Non lo so. È ancora lo stesso, per molti versi. Impetuoso, poco abituato a riflettere prima di agire, gran bestemmiatore e grande scopatore. Ma ha anche lui le sue ferite.

Denis non dice altro. Guillaume è discreto e non vuole forzare Denis a raccontare.

- E tu, Denis? Anche tu sembri avere una ferita.

Denis guarda Guillaume negli occhi:

- Come hai fatto ad accorgertene, Guillaume?

- Sono tuo amico, Denis. E vedo che c’è un cruccio. Ma se non hai voglia di parlarne, lasciamo perdere.

- Mi sono innamorato dell’uomo sbagliato, Guillaume. Di un uomo che scopa volentieri con me… e con tutti, uno a cui non importa di me. Era altro che sognavo con lui.

Guillaume ha anche un’idea precisa di chi sia l’uomo, ma non dice nulla su questo. Si limita a commentare:

- L’amore è una brutta bestia. Sono contento di non averlo mai provato.

- Credo che tu abbia ragione, Guillaume.

 

*

 

Raoul e Ferdinando camminano verso la locanda dove alloggia Ferdinando.

- Non sapevo che fossi ad Acri, Raoul.

- Il conte d'Espinel mi ha preso nella sua guardia personale.

Ferdinando rimane un momento interdetto.

- Il conte...

- Sì. Sembri perplesso. Che hai?

Ferdinando alza le spalle.

- Niente. Sono stato anch'io al servizio del conte, tempo fa.

- Non lo sapevo. Allora...

Ferdinando ghigna e chiede:

- Glielo metti in culo?

Raoul annuisce. Fa anche molto altro, ma preferisce non raccontare. Se André Saint-Martin venisse a sapere che Raoul parla di ciò che succede al palazzo, lo licenzierebbe. Il salario è buono, molto buono. Non tutto ciò che si trova a fare con il conte gli piace, ma Raoul non ha nessuna intenzione di rinunciare ad un lavoro ben pagato e con pochi rischi.

- Anche tu lo facevi?

- Sì, finché abbiamo litigato e mi ha sbattuto via.

Anche Ferdinando preferisce non entrare nei dettagli. Ha già rischiato una volta la pelle.

Hanno raggiunto la locanda. Salgono in camera e Ferdinando dice:

- Questo è il mio regno. Non è proprio il palazzo di un conte...

Raoul dà un'occhiata alla cameretta: un letto, una cassapanca e una sedia costituiscono tutto il mobilio, che non doveva essere di qualità neanche quando era nuovo. Ma per quello che devono fare, va bene.

- Dai, spogliati.

E mentre lo dice, Raoul incomincia a togliersi gli abiti.

Ferdinando non ci mette molto a denudarsi e getta gli abiti sulla cassa. Raoul lo guarda di schiena: le spalle larghe, il culo muscoloso e villoso, le gambe nerborute.

- Una volta o l'altra te lo metto in culo, Ferdinando. A costo di legarti.

Raoul ride. Ferdinando annuisce e dice:

- Se vuoi puoi farlo ora, Raoul.

Da quando è stato posseduto da Baahir, Ferdinando si è lasciato penetrare alcune volte. All'inizio immaginava che fosse Baahir a farlo: è facile, quando il maschio che ti fotte è dietro di te, sognare che è un altro. Ma erano fantasie senza senso. Baahir è morto, fatto a pezzi ad Antiochia.

Adesso Ferdinando non lascia più spazio all'immaginazione, ma quando gli chiedono il culo, non ha motivo per dire di no. 

Raoul fischia. Gli poggia le mani sul culo, stringendo.

- Mi piace il tuo culo, Ferdinando. Il culo di un Ercole. Dai, appoggiati alla cassa.

Ferdinando mette le mani sulla cassa e allarga le gambe. Raoul sputa sul solco e sparge la saliva, due volte. Poi si sputa ancora sulle dita e inumidisce la cappella. La avvicina al buco che gli si offre e spinge con un colpo deciso.

- Porcoddio!

Raoul ride, ma è un riso roco. Il desiderio è violento e la sensazione del suo cazzo che si apre la strada a forza in questa carne che oppone resistenza è fortissima. Non è come il culo del conte, completamente sfondato. È la carne di un maschio vigoroso che di rado si è dato. Raul spinge a fondo, senza preoccuparsi di far male: Ferdinando è un maschio, abituato a sopportare il dolore. Non ha bisogno di delicatezza. Raoul sente il piacere avvolgerlo tutto. A ogni spinta una nuova ondata di piacere lo avvolge, più forte e violenta della precedente. E le spinte diventano sempre più vigorose, tanto che le mani di Ferdinando quasi scivolano dalla cassa. E infine Raoul geme e il suo seme si rovescia nelle viscere del siciliano.

Raoul si abbandona sul corpo di Ferdinando, abbracciandolo.

- Porcoddio, sembrava che mi volessi trapassare.

Raoul non dice niente. Quando infine il respiro non è più affannoso, si stacca ed esce da Ferdinando. Guarda il proprio cazzo scivolare fuori dalla guaina di carne che lo ha accolto. Vorrebbe riprendere la cavalcata, ma è esausto.

Ferdinando si raddrizza. Raoul gli dice:

- Sali sulla cassa.

Ferdinando lo guarda, senza capire.

- Muoviti.

Ferdinando esegue. Con la testa sfiora il soffitto.

Ora Raoul avvicina la bocca al magnifico cazzo del siciliano, che ha acquisito volume e consistenza, e lo prende in bocca. L'avvolge con la lingua, poi con le labbra, succhia, lecca, mordicchia, mentre una mano stringe i coglioni di Ferdinando e l'altra s’infila dietro, fino al buco, da cui è uscito un po' di seme. Un dito entra nell'apertura, mentre la bocca di Raoul continua a lavorare la cappella e il cazzo si drizza, sempre più teso e turgido.

A Ferdinando piace sentire la bocca di Raoul intorno al proprio cazzo, la mano che stringe con forza i coglioni, il dito in culo. È un piacere che cresce, spasmodico e infine esplode. Ferdinando afferra i capelli di Raoul con forza, mentre il suo sborro riempie la bocca dell'amico.

 

*

 

La porta sulla strada è piccola: gli uomini devono chinarsi per entrare. Arrivano alla spicciolata, prima uno, poi due, poi un altro. Ognuno bussa, con il segnale convenuto: due colpi, seguiti da altri tre. Ogni volta la porta viene aperta e poi chiusa nuovamente. Senza parlare, chi arriva si infila nel corridoio, anch’esso basso, illuminato da un’unica lanterna, e scende una scala buia che porta nei sotterranei. Oltre una porta, aperta, vi è una sala, completamente spoglia, con un camino in cui non arde fiamma. Una torcia accesa è infilata in un anello alla parete e illumina parzialmente il locale.

Quando gli uomini sono giunti tutti e dodici, un servitore accende il fuoco nel camino con la torcia, poi se ne va, chiudendo la porta della sala. Ora solo le fiamme che guizzano nel camino gettano una debole luce.

Gli uomini rimangono in silenzio, come è stato raccomandato loro.

Poco dopo la porta viene nuovamente riaperta e un tredicesimo uomo fa il suo ingresso. Ha il capo coperto da un cappuccio, ma tutti sanno che è Emich di Freiburg, l’officiante. L’uomo chiude la porta. Poi guarda intorno a sé, controllando che tutti i partecipanti siano giunti.

Emich getta sul fuoco una manciata di erbe e nella sala si diffonde un fumo azzurrognolo. Emich ripete l’operazione due volte.

Il fumo che ora si diffonde per la sala ha un odore che Denis non sa riconoscere. Gli fa uno strano effetto. Gli sembra di sentirsi più leggero, un po’ euforico. Gli bruciano gli occhi.

Emich si toglie il mantello con il cappuccio e lo posa in un angolo.

Poi guarda gli uomini che lo stanno fissando e ordina:

- Spogliatevi.

I dodici uomini eseguono, senza esitare. Sanno che il rito prevede che si spoglino.

L’uomo prende un grande calice, in cui versa un po’ di vino rosso. Poi si avvicina a Denis d’Aguilard.

- Tendi il braccio.

Denis obbedisce. L’uomo incide il braccio con il pugnale, facendo colare un po’ di sangue nel calice. Poi si avvicina a Ferdinando e ripete l’operazione. Uno dopo l’altro, tutti i dodici uomini versano un po’ del loro sangue nel calice.

Quando tutti hanno fatto, Emich versa altro vino nel calice, fino a riempirlo. Poi lo posa a terra e arretra di tre passi.

- Disponetevi intorno al calice e stendete il braccio destro.

Gli uomini eseguono, creando un cerchio intorno al calice. Dodici corpi vigorosi, tra cui spicca quello di Ferdinando, più alto degli altri di una spanna. Le fiamme del camino proiettano le loro ombre sulla parete opposta.

- Ripetete la formula: Giuro…

Tutte le voci ripetono:

- Giuro…

Emich fa ancora un passo indietro, sprofondando nell’ombra.

- …di essere sempre leale…

- …di essere sempre leale…

Sembra che la voce dell’officiante venga da molto lontano

- …e di aiutare in pace e in guerra gli uomini…

- …e di aiutare in pace e in guerra gli uomini…

- …di cui ora bevo il sangue...

- …di cui ora bevo il sangue.

- Fate un passo indietro.

Tutti eseguono. Emich avanza, raccoglie il calice lo porge a Denis, intimandogli di ripetere il giuramento. Denis esegue. Il gusto del vino copre quello del sangue, ma c’è altro nella bevanda, una spezia che Denis non conosce. Uno dopo l’altro bevono tutti, pronunciando le stesse parole.

Emich conclude:

- E ora baciatevi sulla bocca.

Denis si stacca dal cerchio e bacia Ferdinando sulla bocca. Poi, uno dopo l’altro, bacia tutti gli uomini. Al momento di baciare Charles, lo fissa negli occhi. C’è stato un tempo in cui baciare Charles era un’emozione profonda, una gioia infinita. Ora è solo parte di un rito. Dopo di lui ognuno degli uomini a sua volta bacia tutti gli altri.

- Ora siete legati da un patto di vita e di morte. Guai a chi di voi lo infrangerà.

 

Emich prende una manciata di erbe da un sacchetto che porta alla cintura e le getta nel camino. Un fumo leggero, dall’odore intenso, si diffonde nella stanza.

- Ora guardate nel fuoco il vostro futuro.

Gli uomini fissano il fuoco, da cui si sprigiona il fumo.

Olivier guarda le fiamme che guizzano. Non c’è nessuna immagine definita, ma Olivier pensa al futuro. Si vede feudatario del re di Gerusalemme, tanto potente da poter sposare una principessa di sangue reale. E poi immagina di essere scelto come re, di sconfiggere i saraceni, di conquistare Damasco e Aleppo.

Ma nella stanza c’è solo fumo che fa lacrimare gli occhi.

 

Fuori, ciò che è appena accaduto appare vagamente irreale. Denis si chiede quanto può fidarsi degli uomini che hanno appena giurato fedeltà reciproca. Di Guillaume e di Ferdinando, senz’altro: la loro lealtà non è in dubbio, anche senza il giuramento. Su Olivier e Renaud di Soissons, Denis sa di non poter contare davvero: sono guerrieri forti, ma a guidarli è soprattutto l’ambizione. Charles… da tempo sa che su Charles non può contare.

Charles si allontana con i fratelli: quando è con loro, ignora sempre Denis. Ferdinando invece si avvicina.

- Che cosa hai visto nel fumo, Denis? Conquiste, regni, ricchezze?

- Nulla, Ferdinando. E tu?

Ferdinando scrolla le spalle.

- Neanch’io. Si vede che non combineremo nulla di buono.

Ferdinando scuote la testa, sorridendo. Poi aggiunge:

- Ma so che cosa mi piacerebbe.

- Che cosa?

- Essere il signore di un piccolo territorio, avere un castellozzo in campagna, senza dovermi sbattere per procurarmi da vivere, tanti servitori e guerrieri ai miei ordini, pronti a calare le brache quando glielo ordino… Porcoddio, quella sì che sarebbe vita!

Ferdinando ride. Poi aggiunge:

- E tu, che cosa vorresti, Denis?

- Non lo so, Ferdinando. A volte me lo chiedo.

Un tempo la risposta sarebbe stata più facile: avere un posto di comando al servizio di qualche signore, ad esempio diventare il capo della sua guardia personale o un ufficiale del suo esercito; vivere con Charles.

Ora che è conosciuto e gode della stima di tutti i guerrieri del regno, Denis ha ambizioni maggiori, che però non sa bene definire. Non è nessuno, può contare solo sul suo valore: è troppo poco per ottenere un feudo. Potrebbe forse passare al servizio del nuovo re, Amalrico, che però conosce appena.

Quanto a Charles, gli appare sempre più lontano: Denis si rende conto che ormai l’amore che provava sta svanendo. E che Charles non lo ha mai amato, anche se è attratto da lui, perché è un guerriero valoroso, che gode di una grande fama. Ma Charles è attratto da tutti i maschi forti o valorosi. Charles si dà a tutti come si è dato a Denis. Denis non lo cerca più e Charles ha colto in qualche modo la sua freddezza, perché si fa vivo sempre più di rado. Denis è contento di questo. È meglio così, la ferita potrà rimarginarsi più in fretta.

Denis ripensa alla cerimonia, alle ultime parole di Emich. Il futuro è confuso come il fumo della stanza da cui sono usciti.

 

*

 

- Il re Amalrico sta organizzando una spedizione in Egitto. Noi creeremo con gli altri a cui siamo legati dal patto uno squadrone.

Olivier non sembra convinto delle parole del fratello.

- Guillaume di Hautlieu combatterà con i templari. E non credo che Denis d’Aguilard accetterà di essere ai tuoi ordini.

- Di Guillaume faremo a meno. Quanto a Denis, che poi è quello che m’interessa, Amalrico non ha avuto modo di conoscerlo a sufficienza. Non gli affiderà il comando di una delle sue compagnie e Denis non ha i mezzi per arruolare soldati per conto proprio. Noi sì.

- Tutti conoscono Denis, Renaud. Il Cane dagli occhi azzurri, terrore dei saraceni. È stato uno dei comandanti più valorosi sotto Baldovino, ha fatto strage dei briganti, ha ucciso l’emiro di Afrin, ha sgominato truppe di gran lunga più numerose delle sue. Amalrico lo conosce di fama, come tutti, anche se non lo ha mai visto in battaglia. Lo arruolerà volentieri, affidandogli qualche incarico, anche se non lo conosce direttamente. E in ogni caso, Denis non accetterà di combattere ai tuoi ordini.

- Lo ha già fatto nell’ultima spedizione con Baldovino.

- Non era ancora conosciuto. Baldovino stesso gli ha dato il comando di altre truppe. Denis non si metterà più sotto il comando di altri. È ambizioso.

- Merda, Olivier! Abbiamo bisogno di quell’uomo.

Olivier rimane un momento in silenzio. Poi dice:

- Forse c’è una soluzione.

- Quale?

- Cerchiamo di arruolare il maggior numero di uomini. Facciamo sborsare al suocero di Charles una bella sommetta, in fondo è per la gloria dell’amato genero, no?

- E allora?

- E allora faremo due compagnie. Una al tuo comando, una a quello di Denis.

- Cosa? Dovrei pagare io per dargli dei soldati? Ti sei bevuto il cervello, Olivier.

- Due compagnie arruolate dai fratelli di Soissons, due compagnie che combattono insieme, ognuna con un proprio capitano, tu e Denis. La gloria sarà equamente distribuita.

Olivier sorride:

- Provvederemo noi ad assicurarci dell’equità.

Renaud è ancora perplesso. Dopo un momento di silenzio, sbotta:

- Mi sembra una cazzata. Finirà come con la spedizione ad Antiochia, quando Denis si è preso tutto il merito della nostra vittoria.

- Non lo è, Renaud. Se sapremo distinguerci, grazie anche a Denis, il re ricompenserà i comandanti di entrambe le compagnie. Non vedo un’altra soluzione. Ad Antiochia siamo tutti rimasti a bocca asciutta, Denis compreso, solo perché Baldovino è morto.

Renaud storce la bocca. Olivier aggiunge:

- Dobbiamo far sborsare al vecchio molto denaro.

Renaud è irritato. Capisce che l’idea di Olivier è giusta, ma dover pagare gli uomini perché Denis possa avere una compagnia al suo comando… gli sembra davvero troppo. Eppure quello che dice Olivier è vero. Denis non accetterà di combattere in un ruolo subalterno. C’è davvero il rischio che re Amalrico, conoscendolo di fama, gli affidi il comando di alcune truppe.

 

*

 

La proposta di Olivier di Soissons lascia Denis alquanto perplesso. Non gli è difficile cogliere le mire dei fratelli. D’istinto rifiuterebbe, ma non è uomo da prendere una decisione senza riflettere. E la meditazione lo porta ad accettare il comando della schiera: non è detto che re Amalrico gli affidi un incarico equivalente e avrà certamente più occasioni di distinguersi comandando alcune truppe che come cavaliere alle dipendenze di altri.

L’offerta, per quanto interessata, è generosa. Denis non è nella posizione di dettare condizioni, ma una la pone: vuole scegliere personalmente gli uomini che faranno parte della sua schiera. Ha imparato a valutare i soldati, ne conosce molti di cui sa di potersi fidare e che sarebbero ben contenti di combattere ancora ai suoi ordini. Reclutandoli direttamente riuscirà a formare una compagnia molto salda, su cui poter davvero contare.

Renaud non ha motivi per rifiutare la richiesta di Denis, che provvede ad arruolare gli uomini che gli servono. C’è Ferdinando, ovviamente, che avrà il ruolo di secondo: è un uomo coraggioso e leale e di lui Denis si fida. E poi ci sono parecchi altri, che Denis contatta, tra quelli che ha avuto modo di conoscere direttamente nella spedizione ad Antiochia e nella caccia ai briganti. Quasi tutti accettano con entusiasmo di combattere ai suoi ordini.

Quando infine la compagnia è formata, Denis è soddisfatto del risultato ottenuto: sa di comandare uomini valorosi, che hanno fiducia in lui.

Anche Ferdinando è soddisfatto della scelta di Denis: conosce parecchi degli uomini arruolati e sa che alcuni lo aiuteranno a passare piacevolmente le notti egiziane.

 

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Partono pochi giorni dopo aver concluso l’arruolamento. È la prima volta che Denis vede l’Egitto: con suo padre ha sempre combattuto tra la Siria e la Palestina. Re Amalrico ha deciso di attaccare l’Egitto, approfittando della situazione di caos in cui il paese è piombato. Vuole evitare che Nur ad-Din s’impadronisca della regione: se lo stesso sovrano musulmano dominasse sull’Egitto e sulla Siria, i regni franchi d’Oltremare si troverebbero accerchiati e per loro sarebbe la fine. Inoltre la ricchezza dell’Egitto promette un bel bottino.

 

La spedizione procede senza incontrare grandi ostacoli e Denis ha modo di scoprire la bellezza dell’Egitto. È una terra fertilissima, verdeggiante, di un’opulenza che gli appare incredibile. Anche la Siria e la Terrasanta hanno regioni ricche d’acqua, ma nel Basso Egitto la fitta rete di bracci e canali del Nilo ha creato un immenso giardino, un vasto Eden ricco di campi coltivati, frutteti, orti e villaggi. Vaste distese di grano e orzo e campi di canna da zucchero sono delimitati da fichi, banani, melograni, aranci, limoni, ulivi e soprattutto palme da datteri, a volte riunite in grandi palmeti. Infiniti orti offrono una grande varietà di prodotti che si trovano in ogni mercato: aglio e cipolla, rafano e lattuga, fagioli e ceci, fave e lenticchie, piselli e cetrioli, meloni e cavoli. Ovunque, nel fiume, nei canali, nei pozzi, sempre abbondante, l'acqua, un bene così raro nell'Oltremare.

- Porcoddio, ma perché non abbiamo conquistato l’Egitto invece della Palestina?

Denis sorride.

- Gesù è morto a Gerusalemme, non al Cairo, Ferdinando.

- Per morire Gerusalemme va benissimo, ma, cazzo!, per vivere preferisco questo paradiso.

- Si può morire anche qui. Sta’ tranquillo che non faremo molta strada prima che cerchino di fermarci.

 

E in effetti, dopo alcuni giorni di marcia senza incontrare ostacoli, l’esercito franco si trova ad affrontare le truppe egiziane.

Lo scontro è violento e dura a lungo. Amalrico è valoroso e non teme il nemico. Si slancia in avanti, insieme agli uomini della sua guardia personale, là dove i saraceni stanno sbaragliando le truppe cristiane. Tancrède d’Espinel gli è a fianco, con numerose truppe. Cercano di aprirsi la strada tra i nemici, che all’arrivo dei franchi volgono in fuga.

Amalrico non si accorge della rapida manovra di un gruppo di saraceni, che stava fuggendo e ora volta i cavalli e si avventa contro il re e i suoi uomini. A guidarli è l’emiro di Qatana.

I saraceni si lanciano contro il re. L’attacco dell’emiro sembra bloccare gli uomini del conte d’Espinel, che dà ordine di ripiegare. Il re e pochi altri uomini si ritrovano ad affrontare un numero soverchiante di saraceni. Amalrico non si scoraggia e combatte con vigore, ma i suoi uomini si rendono conto, sgomenti, che non potranno resistere a lungo e che non riceveranno soccorso tanto presto, perché tutti gli altri guerrieri franchi sono impegnati nello scontro.

L’emiro assapora una vittoria clamorosa: prenderà prigioniero il re di Gerusalemme o lo ucciderà, acquistando gloria. Si scaglia contro il re, che vede cadere intorno a sé i suoi uomini, uno dopo l’altro. Non è uomo da scoraggiarsi facilmente, Amalrico di Gerusalemme, anche se sa che tra poco verrà catturato o ucciso: continua a combattere, instancabile.

È Denis a rendersi conto della situazione. Come sempre, tiene d’occhio lo svolgimento della battaglia nel suo complesso e non solo nel settore dove combatte: uno degli elementi che fanno di lui un ottimo comandante.

- Il re è circondato. A me, venite!

Denis si slancia in avanti, seguito da Ferdinando, che è il suo secondo, e dai suoi uomini.

Renaud di Soissons e i suoi fratelli esitano: troppo numerosi sono i nemici, l’impresa di Denis gli sembra suicida.

Il gruppo guidato da Denis si fa strada tra i nemici e piomba sui guerrieri saraceni che hanno circondato Amalrico, riuscendo a giungere fino al re.

L’emiro di Qatana si dirige contro il nuovo avversario. Lo ha riconosciuto: il Cane con gli occhi azzurri è noto in tutta la Siria. Ma l’emiro non ha paura e questo giovane non gli sembra davvero temibile, nonostante le voci che circolano: non può avere una grande esperienza di battaglie. Sterminare i briganti non è come affrontare un esercito ben addestrato.

L’emiro e Denis combattono. Il saraceno si rende conto in fretta che ha sottovalutato il suo avversario, ma non intende certo ritirarsi ora che può catturare il re di Gerusalemme. Vibra un grande fendente, che Denis schiva. Ma proseguendo il movimento con cui ha evitato il colpo, Denis sorprende l’emiro e gli abbatte la spada sul collo, staccandogli quasi completamente la testa.

Gli uomini dell’emiro gridano e si slanciano con rinnovata furia contro Denis, il re, Ferdinando e i pochi guerrieri cristiani.

Uno dopo l'altro, gli uomini che hanno seguito Denis vengono abbattuti. Ma nessuno riesce a colpire Denis, che fa strage dei nemici. I saraceni evitano di avvicinarsi troppo a lui.

L’arrivo di un altro gruppo di saraceni, guidati da uno dei comandanti più valorosi, Intissar, sembra segnare la fine dello sparuto manipolo di cristiani accorsi in difesa del re. Intissar riesce a far cadere la spada di Amalrico e gli punta la propria scimitarra alla gola. Ma è ancora Denis ad avventarsi su di lui. Intissar lo affronta. I due guerrieri menano grandi fendenti: hanno entrambi forza e coraggio. Denis viene ferito al braccio sinistro e Intissar già pregusta la vittoria: è ben felice di abbattere il guerriero in cui ha riconosciuto il Cane dagli occhi azzurri, l’uomo più odiato da tutti i credenti. Ma Denis lo incalza e infine immerge la spada nel petto di Intissar, che lancia un grido e crolla a terra.

Un urlo si leva dai saraceni. Denis si volge contro quelli più vicini, con la spada da cui ancora gocciola il sangue. I saraceni arretrano e quando Denis sprona il cavallo contro di loro, molti si danno a una fuga precipitosa, colti da un terrore irrazionale che è paura non della morte, ma di un demone invincibile, vomitato sulla Terra dall’Inferno.

Solo allora Renaud di Soissons muove le sue truppe contro i guerrieri che accerchiavano il re di Gerusalemme, mettendoli definitivamente in fuga. Sul campo sono rimasti molti degli uomini che combattevano con Denis e con Renaud. Altri sono feriti: Ferdinando a una coscia, Olivier a un braccio, come Denis.

Il re si rivolge a Denis e gli chiede:

- Siete Denis d’Aguilard, vero?

- Sì, Maestà.

- Mi ricorderò di voi.

Il re si lancia al galoppo verso altre truppe che solo ora arrivano in suo soccorso.

La battaglia prosegue, ma man mano che passa il tempo, è evidente che i saraceni si trovano in difficoltà: hanno perso due dei loro comandanti migliori e il terrore che provano nei confronti del Cane dagli occhi azzurri li rende meno sicuri. Là dove Denis d’Aguilard arriva al galoppo, molti scelgono la fuga. Coloro che invece affrontano questo nemico invincibile, trovano la morte e il terrore suscitato dal Cane dagli occhi azzurri aumenta ancora.

Infine l’esercito saraceno batte in ritirata.

 

Denis si allontana dall’accampamento, depone le armi e si lava nel canale. La ferita al braccio non è grave. Dopo averla pulita e aver applicato un unguento, Denis se la fa bendare da uno dei suoi uomini.

In quel momento un uomo si avvicina.

- Denis d’Aguilard, vi ho cercato dappertutto. Sua Maestà vi vuole parlare.

Denis si alza e si riveste rapidamente, per quanto gli permette il braccio ferito. Dà istruzioni ai suoi uomini perché anche la ferita di Ferdinando venga pulita e curata. Poi si dirige alla tenda del re, dove viene fatto entrare subito. S’inginocchia di fronte al suo sovrano.

Questi lo guarda e sorride:

- Denis d’Aguilard, sapevo che sei un guerriero valoroso e oggi ho avuto modo di vedere il tuo coraggio e la tua lealtà.

Denis china la testa. Non saprebbe come rispondere. Ha fatto quello che ogni suddito fedele avrebbe dovuto fare in quelle circostanze. Quello che nessun altro dei soldati avrebbe fatto, se lui non fosse intervenuto. Ma questo Denis non lo direbbe mai: non è nel suo carattere rivendicare i propri meriti.

- Denis d’Aguilard, da oggi tu sei duca. Avrai presto un territorio in feudo, ma te lo dovrai conquistare.

Denis guarda il suo re. Duca! Mai avrebbe pensato di ottenere un simile titolo. Per un momento pensa a suo padre. Vorrebbe che Pierre d’Aguilard avesse potuto vedere questo giorno, prima di morire.

Quale sia il territorio che il re intende dargli in feudo, Denis non lo sa. Non chiede: il re gli comunicherà le sue intenzioni quando lo riterrà opportuno. Forse Amalrico pensa a una parte dell’Alto Egitto, se riusciranno a conquistarlo? A Denis sembra difficile che riescano a sottomettere la regione: una cosa è saccheggiarla, sconfiggere l’esercito saraceno e assicurarsi che in Egitto regni un sovrano amico. Dominare davvero questa terra non è possibile, i franchi non sono abbastanza numerosi.

 

La notizia fa il giro dell’accampamento. Nessuno si stupisce: tutti conoscono il valore di Denis d’Aguilard e ritengono la ricompensa ben meritata. Alcuni ne sono ben contenti, come Ferdinando. Renaud di Soissons è invece furente.

- Merda! Duca! Lo ha fatto duca. E a noi nulla. Olivier, questo è il risultato delle tue idee geniali.

Renaud di Soissons smania. Olivier non dice nulla: preferisce lasciare che il fratello sfoghi un po’ la sua rabbia, poi cercherà di farlo ragionare. Renaud non è uno stratega, Olivier ne vede benissimo i limiti. Certe volte vorrebbe essere al suo posto, per poter prendere le decisioni. Saprebbe assai meglio come muoversi.

- Merda! Gli abbiamo procurato noi gli uomini con cui ha salvato il re, ma a questo Amalrico non ha pensato.

Olivier ritiene che sia giunto il momento di intervenire.

- Non scordare il patto che ci lega, Renaud. Denis d’Aguilard è un uomo d’onore e terrà fede alla parola data.

- Dobbiamo contare sulla sua generosità per avere l’onore di divenire suoi feudatari?

- Sono sicuro che non ci lascerà a bocca asciutta. Sarà comunque un passo in avanti. E intanto vedremo come procede la spedizione.

Renaud non è convinto, ma Olivier conosce gli uomini. Denis d’Aguilard non ha grande stima di loro, ma li ricompenserà, perché ritiene che sia suo dovere farlo. Olivier sa che non farebbe lo stesso al suo posto: c’è sempre una buona scusa per non tenere fede a un patto scomodo.

 

*

 

L'esercito riprende la sua marcia, ma si trova davanti un ostacolo imprevisto. Gli egiziani hanno rotto gli argini e le acque del Nilo hanno invaso vaste aree del Delta. Davanti all'esercito vittorioso appare un'immensa distesa di acqua e fango, in cui uomini e cavalli sprofondano. Proseguire non è più possibile. Amalrico è costretto a rinunciare all’invasione dell’Egitto. L’esercito torna in Terrasanta.

La spedizione è stata vittoriosa, ma si è conclusa senza conquiste. Denis si chiede se avrà il feudo che gli è stato promesso. Il re non ne ha più parlato.

Ma Amalrico non ha scordato la sua promessa: appena giunto a Gerusalemme convoca Denis.

- Duca d’Aguilard, è ora che partiate alla conquista del territorio di cui sarete signore.

Denis si inchina. Sentirsi dare del voi dal sovrano gli fa un effetto strano. Ma ora non è un suddito qualunque: è uno dei grandi del regno.

- Ditemi che cosa devo fare, Maestà.

- Vi affido un esercito. Con esso dovrete conquistare Rougegarde. Essa sarà il vostro feudo.

Rougegarde: così i franchi chiamano al-Hamrā, la Rossa. La perla della Terrasanta. Molti hanno provato a conquistarla, senza riuscirci, come hanno cercato di impadronirsi di Damasco. Pare un compito impossibile. Ma chi conosce Denis d’Aguilard dice che se c’è un uomo in grado di impossessarsi della città è lui.

 

Denis prepara la spedizione. Poi raggiunge il territorio saraceno, arrivando in vista di Rougegarde senza aver incontrato ostacoli.

È bella Rougegarde, di una bellezza incredibile. Copre il fianco della collina in cima alla quale sorge il castello, un’altera fortezza, circondata da bastioni imponenti. Sotto la rocca le case discendono a cascata verso il fiume che scorre ai piedi delle mura. Sono case alte, a tre o quattro piani, costruite nella pietra rossastra che ha dato il suo nome alla città: Rougegarde non ha edifici in legno e paglia, ma solide case in pietra, testimoni della sua opulenza. Molte case hanno alte torri che si slanciano da grandi palazzi signorili. Tra gli edifici si distinguono le chiome degli alberi, indizi di giardini segreti, e svettano i minareti: dicono che Rougegarde abbia cento moschee e che la meno bella di esse sia più bella di tutte le altre moschee della Siria, esclusa la grande moschea di Damasco. Molte sono le voci che circolano tra i cristiani su questa città di sogno. Dicono che i palazzi abbiano tutti grandi saloni sotterranei, cisterne per l’acqua, gallerie che permettono di passare da un palazzo all’altro. Pare che alcuni degli antichi cunicoli profondi conducano anche fuori dalle possenti mura. I bastioni che circondano completamente Rougegarde sono muniti di torri e formano un degno scrigno per una gemma di incomparabile valore.

È una preda superba, ma come conquistarla? E come ottenerla senza distruggerla?

Denis d’Aguilard se lo chiede mentre la osserva dall’alto di un’altra collina. La fortezza ha due porte: una conduce all’esterno, l’altra nella città. Bisognerebbe conquistare direttamente la fortezza, ma è praticamente impossibile senza aver espugnato la città.

Potrebbero disporre l’esercito intorno alla città, ma mesi d’assedio ridurrebbero Rougegarde allo stremo e gli scontri provocherebbero grandi distruzioni, senza garantire nessun risultato: non sarebbe la prima volta che i franchi assediano invano al-Hamra, la Rossa.

 

*

 

- Dovrete impedire che al-Hamra venga conquistata dal Cane dagli occhi azzurri.

Tancrède ride. Una risata che lo squassa, in cui vibrano la sua rabbia e la sua disperazione.

- E come posso impedirlo? Denis d’Aguilard non prende certo ordini da me. È duca e il re gli ha dato un esercito. Io non parteciperò all’impresa.

- Voi vi unirete a lui e farete in modo di conoscere i suoi piani, per poterli comunicare a chi di dovere e ostacolarli.

Tancrède china la testa. Da tempo ha capito di aver incominciato a scendere una scala, gradino dopo gradino. E non c’è modo di ritornare in alto: può solo continuare a sprofondare nell’abisso.

- Farò quello che mi chiedete. Ma non posso garantire…

- Dovete riuscirci.

Jacques Longuemain esce.

Tancrède si siede. È stanco, di una stanchezza mortale. Per quanto abbia solo quarantun anni, gli sembra di essere vecchissimo. Il suo corpo è appesantito dal troppo cibo e dal troppo vino, da notti insonni e orge sfrenate.

Tancrède d’Espinel ha perso ogni ritegno. Per quanto André Saint-Martin e alcuni uomini fedeli cerchino di mantenere il segreto su ciò che succede a palazzo, le voci circolano. Delle orge che si tengono nella residenza del conte ormai si parla anche a Gerusalemme. 

 

*

 

Tancrède è davanti a Denis d’Aguilard. Un tempo Denis era soltanto un soldato in cerca di ingaggio, sia pure di famiglia nobile: Tancrède poteva guardarlo dall’alto in basso. Adesso Denis è duca ed è il guerriero più apprezzato dal re e più odiato dai saraceni. I colori di Denis, il bianco e il blu, sventolano sul vessillo in cima alla tenda. L’interno è arredato con grande semplicità: Denis d’Aguilard non ama il lusso, è un guerriero.

Denis ha ascoltato la proposta del conte.

- Vi ringrazio, conte, per aver scelto di partecipare a questa spedizione. Lo ritengo un grande onore.

Tancrède sorride.

- Sarà un piacere per me. Avete pensato a come procedere?

- Non ancora. Valuterò se assediare Rougegarde o cercare di attirare lo sceicco fuori delle mura, per affrontarlo in campo aperto.

Denis d’Aguilard sa benissimo che lo sceicco Ya‘qub è un vile: non è un segreto per nessuno. Di certo non cercherà la battaglia. E in ogni caso lo sceicco non avrebbe nessun motivo per uscire dalla città, che offre una protezione efficace. Ma Tancrède d’Espinel è l’ultimo uomo al mondo, tra i cristiani, a cui il nuovo duca comunicherebbe i propri piani. La sua presenza è solo un ostacolo, ma se i sospetti di Denis sono fondati, può darsi che il conte possa rivelarsi utile trasmettendo al nemico le informazioni che Denis gli darà. Informazioni false, naturalmente.

 

*

 

Denis ha fatto disporre una serie di posti di guardia lungo le vie che partono dalla città, per controllare ogni movimento. I soldati hanno l’ordine di tenersi nascosti e di intervenire solo quando chi percorre la strada non può più sfuggire.

Oggi nella rete è finita una preda di grande valore: un messaggero che lo sceicco Ya‘qub ha inviato all’emiro di Jabal al-Jadid. I soldati consegnano a Denis d’Aguilard la lettera dello sceicco.

Denis l’apre e la scorre: sa leggere e scrivere in arabo, come sa parlarlo. Nella missiva lo sceicco si dice preoccupato per la minaccia costituita dai franchi e chiede all’emiro di Jabal al-Jadid di ospitarlo: conta di lasciare la città in pericolo.

La missiva conferma quanto Denis già sa: lo sceicco è un vile. Questo è un elemento che può sfruttare a suo vantaggio.

Denis fa condurre il messaggero in sua presenza. L’uomo è spaventato: sa di avere di fronte il Cane dagli occhi azzurri, l’uomo più temibile tra tutti i guerrieri franchi.

- Lo sceicco ti ha inviato all’emiro di Jabal al-Jadid.

- Sì.

- Conosci il contenuto di questa lettera?

- No, io sono solo un messaggero.

- Riferiscimi le sue istruzioni, se vuoi avere salva la vita.

Denis d’Aguilard non farebbe mai uccidere un messaggero, ma questo l’uomo non può saperlo.

- Lo sceicco mi ha ordinato di portare questo messaggio il più in fretta possibile, di fare in modo di consegnarlo all’emiro Ashraf ibn Harun in persona, a qualunque ora del giorno o della notte, e di attendere una risposta.

Denis dà ordine di portare via l’uomo e medita. L’idea che ha avuto è folle. Ma Denis d’Aguilard sa che a volte bisogna essere folli.

Come prima cosa, occorre allontanare il conte: se davvero è un traditore, non deve sapere nulla dei piani. Denis lo fa chiamare:

- Conte d’Espinel, abbiamo intercettato un messaggero che lo sceicco ha inviato all’emiro di Jabal al-Jadid. Intende allontanarsi dalla città, per paura che essa venga conquistata.

- Allontanarsi, senza nemmeno combattere?

- Così è. Ho quindi pensato a un piano: invece di attaccare la città, cattureremo lo sceicco. In questo modo costringeremo la città ad aprirci le porte.

- Sarebbe un buon modo per conquistarla senza fatica.

- Vi chiedo di prendere il controllo della strada che va verso Jabal al-Jadid e intercettare qualsiasi viaggiatore, si trattasse pure di mercanti o pellegrini: è probabile che lo sceicco viaggi in incognito, sapendo che ci sono molte truppe cristiane nell’area. Io mi occuperò di controllare l’altra strada, quella che conduce ad Afrin. Ma sia voi, sia io, terremo le truppe nascoste e a una buona distanza da Rougegarde, in modo che nessuno conosca la nostra posizione e sospetti che controlliamo le strade.  

- E se lo sceicco non passasse questa notte?

- Se non sarà questa notte, sarà la prossima. L’uomo ha deciso di fuggire. Fingeremo di voler assediare la città e questo lo spingerà alla fuga.

Tancrède d’Espinel raccoglie i suoi uomini e si sposta per svolgere il compito che gli è stato assegnato, dopo aver avvisato la spia dei piani del comandante.

Denis lo guarda allontanarsi.

Quando il conte è scomparso, Ferdinando raggiunge Denis: preferisce evitare di incontrare il suo antico padrone e si tiene alla larga quando lui è nelle vicinanze.

- Allora, duca, ve lo siete levato dai coglioni?

Ora che Denis è duca, ogni tanto Ferdinando usa il voi con lui, come ormai fanno sempre Renaud e i suoi fratelli. Poi però non ci pensa e ritorna a usare il tu, come Denis stesso lo invita a fare. A volte a Denis viene da sorridere.

- Sì, Ferdinando. Se, come credo, è un traditore, non potrà tradirci questa volta, perché non conosce i nostri piani.

 

*

 

È notte fonda quando un drappello di uomini si presenta alla porta della fortezza di al-Hamra, con il messaggero che lo sceicco aveva inviato a Ashraf ibn Harun. A parlare è un uomo che appare essere il capitano.

- Ashraf ibn Harun, signore di Jabal al-Jadid, ci ha mandato come scorta per accompagnare lo sceicco che intende raggiungere la nostra città. La notte ci ha sorpresi non distanti e abbiamo preferito proseguire fino alla meta: i franchi stanno muovendo le truppe e si preparano ad assediare al-Hamrā.

Il soldato di guardia conosce il messaggero che è insieme ai soldati, ma prima di far entrare degli uomini nel castello la notte, fa chiamare l’ufficiale.

È lo stesso uomo di prima a parlare:

- Comandante, devo vedere subito lo sceicco. Perdonerai la mia impazienza, ma la situazione è preoccupante: abbiamo visto i soldati franchi muoversi al tramonto. Nella notte o domani al massimo potrebbero assediare la città. La richiesta che lo sceicco ha fatto all’emiro è tale per cui è necessario agire con la massima urgenza.

Il comandante non può sospettare che l’uomo con cui parla non sia arabo come lui. La cadenza e le espressioni usate sono tipiche dell’area di Damasco. Nessun franco potrebbe parlare così. Che l’uomo abbia imparato l’arabo fin da bambino e che sia stato schiavo nei pressi di Damasco per oltre un anno, non gli passa nemmeno per la testa. Forse gli basterebbe vedere gli occhi azzurri per sospettare chi è l’uomo che gli sta parlando, ma il viso è in ombra e la luce delle torce non è sufficiente. E poi anche diversi arabi hanno gli occhi azzurri, in questa regione. La barba rossa, coperta di fuliggine, appare nera.

Gli uomini vengono introdotti nella fortezza. Denis viene accompagnato dallo sceicco. Denis gli chiede di allontanare i suoi uomini, perché nessuno possa conoscere le decisioni che prenderanno.

Solo il capo delle guardie rimane con lo sceicco. A quel punto Denis balza su di lui e lo trafigge, poi, prima che lo sceicco faccia in tempo a gridare, gli punta la spada alla gola.

Denis si toglie l’elmo, rivelandosi. Lo sceicco non ha mai visto Denis d’Aguilard, ma capisce immediatamente chi è: non c’è guerriero cristiano più odiato e più temuto del Cane con gli occhi azzurri, tutti ne hanno sentito parlare ed è proprio lui che si preparava ad assediare la città.

Lo sceicco sgrana gli occhi, in preda a un terrore che gli trasmette un tremito per tutto il corpo e gli impedisce di parlare. Sulla viltà dello sceicco Denis non aveva più bisogno di conferme.

- Bada, la tua vita è appesa a un filo. Se non farai quello che ti dirò, ti taglierò la gola.

Denis preme leggermente la spada sul collo dello sceicco, facendo uscire due gocce di sangue.

- No, no! Farò quello che mi chiedi!

Temendo di perdere la vita, lo sceicco acconsente a dare tutti gli ordini necessari. Gli uomini che hanno accompagnato Denis vengono fatti entrare nell’appartamento dello sceicco. Poi, prima che qualcuno possa capire ciò che sta accadendo, gli ufficiali di guardia vengono convocati e presi prigionieri. Poco dopo la porta esterna della fortezza viene aperta e l’esercito franco entra. Non c’è un vero e proprio combattimento: la guarnigione si ritrova prigioniera e solo poche scaramucce isolate accompagnano la resa di una tra le principali fortezze della Palestina.

Neppure gli uomini di guardia alle mura della città si rendono conto di ciò che sta succedendo nella fortezza: essi si attendono un attacco da un nemico che dovrebbe essere oltre le mura, non all’interno della cittadella. Coloro che vengono a dare il cambio non sono arabi ma franchi e chi si oppone trova la morte, gli altri diventano anch’essi prigionieri.

 

*

 

Rougegarde si sveglia senza sospettare di aver cambiato signore, ma i cavalieri franchi disposti in assetto di guerra nei punti strategici rendono chiara la situazione: le truppe cristiane hanno occupato la città nella notte. Non v’è stato nessun saccheggio, nessuna distruzione, ma il dominio è passato di mano. La popolazione attonita osserva questi uomini che sono riusciti a conquistare la fortezza e la città in una notte. La situazione appare irreale: non si è combattuto, non c’è stato un assedio. Qualcuno pensa che lo sceicco abbia tradito, consegnando volontariamente la città ai nemici, ma perché avrebbe dovuto farlo?

Gli abitanti rimangono nelle loro case, increduli, e la città sembra spopolata. Coloro che vengono dalle campagne, trovano le porte delle mura chiuse: oggi non ci sarà mercato.

In mattinata Denis d’Aguilard convoca i notabili musulmani ed ebrei. Ancora sbalorditi, essi si presentano al nuovo signore di Rougegarde, il temibile Cane dagli occhi azzurri. Molti di loro tremano all’idea di trovarsi alla presenza di quest’uomo, su cui circolano le voci più incredibili. Dicono che sia un demone, venuto per punire i credenti per la loro fede troppo debole, che si cibi della carne dei fedeli, che il suo sguardo paralizzi l’avversario, consentendogli di ucciderlo come se fosse inerme. Tutti i guerrieri che lo hanno affrontato hanno trovato la morte, di certo i demoni combattono con lui, egli li evoca con un gesto. L’azione della notte appena trascorsa ne è una conferma: come avrebbe potuto al-Hamra essere conquistata senza combattere, se non con l’aiuto delle forze infernali?

Eppure quest’uomo che hanno di fronte non sembra un demone, per quanto sia brutto. È giovanissimo. Il Cane dagli occhi azzurri parla loro e il suo discorso non fa che aumentare lo stupore. Quest’uomo dai capelli rossicci e gli occhi di un azzurro intenso, parla un arabo perfetto. E quest’uomo dice loro cose che appaiono incredibili. Non ci saranno saccheggi, nessuno sarà ridotto in schiavitù, nessuno dovrà riscattarsi. Moschee e sinagoghe rimarranno in funzione, a parte alcune che saranno convertite in chiese per i cristiani che verranno a stabilirsi a Rougegarde. I cittadini dovranno pagare un tributo straordinario, ma poi chi vorrà rimanere nella città potrà farlo, pagando i tributi ordinari. Chi vorrà lasciare la città, se ne andrà, ma la sua abitazione sarà confiscata.

Mai una conquista è avvenuta in questo modo, mai un signore cristiano ha pronunciato un discorso di questo genere.

Alcuni tra i più giovani vorrebbero organizzare una ribellione: a parte i numerosi ebrei e pochi cristiani maroniti o armeni, la popolazione è interamente musulmana e forse sarà possibile avere ragione dei guerrieri cristiani. Ma la loro proposta viene respinta: le condizioni poste dal duca sono molto generose; una rivolta avrebbe poche probabilità di successo e potrebbe spingere il duca ad autorizzare il saccheggio e prendere ben altre misure.

Gli ebrei decidono di rimanere tutti: per loro si tratta solo di cambiare signore e non dovranno più pagare il tributo che versavano allo sceicco in quanto non credenti. Tra i musulmani sono in parecchi ad andarsene, ma sono più numerosi coloro che rimangono. Nelle settimane seguenti trovano ospitalità nella città diversi cristiani: molti soldati che conoscono Denis e hanno combattuto con lui in Egitto; diversi mercanti che considerano Rougegarde un mercato particolarmente ricco e promettente; alcuni artigiani che vi trovano condizioni favorevoli. Parecchi contadini si stabiliscono nel nuovo ducato, perché Denis distribuisce loro alcune delle terre dello sceicco. Molti portano con sé la famiglia, altri sono ancora scapoli. 

 

*

 

Afrin fa parte del territorio dello sceicco di al-Hamra, da quando Denis ha ucciso in battaglia l’emiro. Ma la città non vuole piegarsi al nuovo signore. Le truppe di Denis d’Aguilard si presentano davanti ad Afrin una settimana dopo la conquista di Rougegarde.

Denis invia un ambasciatore che ricorda loro la situazione:

- Il territorio di Afrin fa parte dei domini che lo sceicco di al-Hamra ha ceduto a Denis d’Aguilard, duca di Rougegarde. Il duca richiede obbedienza.

Afrin non è stata occupata dall’esercito cristiano. La città è circondata da solide mura e non c’è motivo per cedere. Afrin è vicina ai territori saraceni, assai più di al-Hamra: prima o poi Nur ad-Din invierà soccorsi, di certo non intende rimanere indifferente alla perdita di al-Hamra.

I notabili della città rifiutano di cedere. Possono al massimo versare al signore di al-Hamra un tributo simbolico.

Denis minaccia la città: non intende rinunciare a una parte del suo dominio. Ma di fronte al deciso rifiuto opposto alle sue richieste, si limita a chiedere come tributo tre colombi viaggiatori da ognuna delle famiglie della città: dovranno essere consegnati nel pomeriggio. I suoi uomini sono stupiti di tale accondiscendenza.

I colombi vengono raccolti e consegnanti. Gli abitanti della città si chiedono se il Cane dagli occhi azzurri se ne andrà davvero. Anche se deciderà di partire, sicuramente Denis d’Aguilard ritornerà alla carica: non rinuncerà facilmente ad Afrin. Ma prima che abbia potuto organizzarsi per un lungo assedio, arriverà un aiuto da Damasco.

Giunta la sera, Denis d’Aguilard ordina che a ogni colombo venga legato un filo sottile da cui pende una miccia. Il lavoro viene eseguito con la massima cura e la lunghezza delle micce calcolata in modo che non brucino completamente prima che i colombi siano ritornati in città. Poi il duca fa accendere le micce e lascia liberi i colombi, che si dirigono in volo verso le loro colombaie.

Qualcuno viene raggiunto dalle fiamme prima di poter arrivare a destinazione e cade sui tetti della città, altri invece raggiungono la loro meta, portando il fuoco fin nell’interno delle case. Un tetto arde, avvolto dalle fiamme, poi un altro e un altro ancora. Presto in Afrin si levano molti fuochi e gli incendi si estendono rapidamente. I focolai si moltiplicano e interi quartieri ardono. Gli uomini accorrono, portando acqua, ma per ogni fuoco che viene spento, sembrano accendersene altri. Non c’è modo di salvare le case che ardono, non c’è modo di frenare l’incendio: è troppo vasto perché sia possibile circoscriverlo. Tutti gli uomini sono impegnati per cercare di contenere le fiamme che devastano la città.

E mentre gli uomini della città cercano di fermare il fuoco devastatore, Denis d’Aguilard lancia l’assalto ad Afrin. Alla luce dell’incendio, le scale vengono montate e gli uomini salgono. Non ci sono abbastanza soldati sulle mura: sono tutti impegnati a lottare contro l’incendio che divora la città. E le grida di aiuto di coloro che vengono attaccati e facilmente sopraffatti si mescolano alle mille che si levano da ogni parte della città. Non è neanche la metà della notte, quando i soldati cristiani aprono dall’interno le porte di Afrin e il resto dell’esercito si precipita dentro, incontrando ben poca resistenza. 

Il mattino seguente ciò che rimane di Afrin è saldamente in mano al Cane dagli occhi azzurri. Alcune case ardono ancora, ma l’incendio è stato infine domato, anche grazie all’intervento dell’esercito che ha occupato la città: interi quartieri sono ridotti a macerie, altri si sono salvati dal fuoco, ma non dal saccheggio che il duca ha autorizzato. Denis d’Aguilard ha posto precisi limiti ai suoi soldati, proibendo le violenze contro coloro che non oppongono resistenza, e sorveglia direttamente le truppe. Ma la città viene spogliata delle sue ricchezze.

La conquista delle due città, ognuna in una sola notte, senza assedio, alimenta le leggende che già circolano in tutto il mondo arabo sul temibile Cane dagli occhi azzurri.

 

Denis ha svolto il suo compito e accoglie il re Amalrico.

- Duca d’Aguilard, Rougegarde, Afrin e tutto il territorio vi appartengono, come vi ho promesso.

- Sire, mi avete dato molto, ma mi permetto di chiedervi ancora un favore.

- Ditemi, se è in mio potere non ve lo negherò, Denis d’Aguilard.

- In tutte le battaglie che ho sostenuto, ho sempre combattuto con altri uomini, che mi seguirono quando vi vidi circondato dai saraceni. Vi chiedo di ricompensare Ferdinando da Siracusa e i tre fratelli di Soissons, dando loro in feudo una parte del territorio di Rougegarde.

- Duca, potete farlo voi stesso: potete dare in feudo ai vostri uomini migliori i territori che volete all’interno dei vostri domini.

- Preferirei che non dipendessero da me, ma da voi, in modo che fossimo tutti vostri vassalli e uguali gli uni agli altri. Vi chiedo di dare Afrin ai fratelli di Soissons e la vallata dell’Arram a Ferdinando di Siracusa, staccandoli dal ducato di Rougegarde.

Re Amalrico scuote la testa. Sembra quasi divertito.

- Non ho mai ricevuto una richiesta di questo genere, siete davvero un uomo singolare, Denis d’Aguilard.

Denis si limita a dire:

- Scusate se ve lo chiedo, spero che non mi giudicherete importuno.

Re Amalrico conclude:

- Farò come voi mi chiedete, duca d’Aguilard. A voi davvero non posso dire di no. La vallata dell’Arram non è grande. Il suo signore potrà essere barone. Mentre al signore di Afrin spetterà il titolo di conte.

- Come volete, Maestà. Ma forse potreste compensare Ferdinando di Siracusa con il titolo di conte, dato che ha un territorio più piccolo, dando il titolo di barone ai tre fratelli di Soissons.

Denis sa bene che per Ferdinando è meglio un feudo più piccolo e più facile da governare. Oltre tutto la vallata dell’Arram è meno esposta di Afrin, quasi circondata dai territori saraceni. Ma preferisce che Ferdinando, di cui conosce la lealtà, abbia un titolo superiore a quello dei fratelli di Soissons. Per un momento pensa che un tempo sarebbe stato ben felice di cedere il titolo di duca a Charles, ma preferisce scacciare il pensiero.

- Come voi volete, Denis d’Aguilard.

- Vi ringrazio, Maestà.

Il re rimane un momento pensieroso, poi dice:

- Voglio ancora farvi un ultimo dono, per ringraziarvi.

- Mi avete già dato molto, Sire.

Amalrico annuisce, come se quella di Denis fosse la risposta che si aspettava. Poi dice:

- Vi manca ancora una cosa e io ve la dono: una moglie.

Denis d’Aguilard rimane senza parole: non si aspettava di certo che il re si occupasse del suo matrimonio. Non sa che cosa dire. Non può rifiutare e non ha nemmeno motivi per farlo: anche se non è attratto dalle donne, sa che prima o poi dovrà sposarsi per avere un erede.

- Maestà, farò quello che voi vorrete.

Amalrico sorride, soddisfatto dell’acquiescenza di Denis.

- La principessa Maria proviene da un’antica famiglia armena ed è vissuta per alcuni anni a corte, sotto la mia tutela, ma ormai è bene che io le dia marito e vorrei affidarla a un uomo coraggioso e degno della nobiltà della sua stirpe.

Denis ha sentito parlare della principessa Maria. Dicono che sia l’amante del re. Perché il sovrano intende sbarazzarsene? Denis sa che è una donna ancora giovane e molto bella. Il re si è stufato di lei? O ci sono altri motivi?

In ogni caso non c’è molta scelta.

- Maestà, ho sentito parlare di lei. Sono molto onorato e se la principessa acconsente, sarò ben felice di sposarla.

Denis ha detto che ha sentito parlare della principessa, perché il re capisca che lui è informato della situazione e che la sua obbedienza non nasce dall’ignoranza, ma da una libera scelta. Re Amalrico è visibilmente soddisfatto.

- Vi meritate davvero una moglie di sangue reale. La farò venire qua a Rougegarde. Desidero essere presente al matrimonio del mio fedele vassallo e della bella principessa. Lo faremo celebrare appena arriva. Mando subito un messaggero a convocarla.

 

*

 

- Conte, porcoddio! Conte! Chi l’avrebbe mai detto?! E questo lo devo a te, Denis d’Aguilard.

- Lo devi al tuo coraggio, per avermi seguito in battaglia quando Amalrico è stato circondato. Sei anche stato ferito, Ferdinando. Questa contea l’hai pagata con il tuo sangue.

- Conte! Ho dei sudditi, io! Sudditi che si inchineranno davanti a me?

- Certo, Ferdinando. Ma dovrai fare attenzione. Per il momento i tuoi sudditi sono tutti musulmani che certamente non saranno contenti di trovarsi come signore un infedele. Ma se saprai governarli con saggezza, impareranno ad apprezzarti.

- In questo dovrai aiutarmi, Denis. Sai che in quanto a saggezza, non sono l’uomo adatto. Vado meglio se c’è da menare le mani. O da scopare…

Ferdinando ride. Anche Denis sorride. Sa che Ferdinando avrà davvero bisogno d’aiuto per governare il suo piccolo feudo, ma il siciliano è intelligente e imparerà in fretta. La sua irruenza potrà creargli qualche problema. Denis però conta di essere sempre pronto a dargli una mano quando sarà necessario: la vallata dell’Arram è vicina a Rougegarde e Denis l’ha fatta assegnare a Ferdinando proprio per questo.

Denis accompagna Ferdinando a prendere possesso della sua residenza, il castello che lo sceicco possedeva all’imbocco della vallata, a una mezza giornata di viaggio da Rougegarde, ai margini di una vasta area boschiva.

Ferdinando è entusiasta del suo feudo, che non offre le grandi ricchezze di Rougegarde o di Afrin, ma ha ampie distese coltivate e grandi boschi.

Il castello dello sceicco è fortificato ed è una dimora perfetta per Ferdinando. Il siciliano rimane stupefatto davanti alla magnificenza del palazzo: la residenza del conte di Espinel gli era parsa splendida, ma certo non regge il confronto con la dimora dello sceicco. L’edificio è molto ampio e all’interno della cinta di mura la parte riservata al signore è un prodigio di eleganza. Le stanze sono disposte intorno a una serie di cortili interni, con ampie vasche e fontane decorate con figure animali. Le pareti sono decorate con versi del Corano e arabeschi e anche i soffitti sono spesso istoriati. Vi è una profusione di tappeti e cuscini, vasellame e mobilia.

- Porcoddio, lo sceicco si trattava bene. È una reggia.

- In estate veniva qua per cacciare e godersi il fresco della vallata. Ci rimaneva per dei mesi. Amava le comodità. Pare che fosse tanto vile quanto avido di ricchezze e di piaceri.

- Non fanno schifo neanche a me. E andrò volentieri a caccia anch’io in questi boschi. Non avrei mai detto che sarei arrivato a diventare conte e ad avere un castello per me.

Ferdinando ancora non riesce a capacitarsi di quella che ritiene una fortuna immeritata.

- Te lo sei guadagnato con la spada. E dovrai difenderlo con la spada: per quanto la vallata dell’Arram sia meno esposta di Afrin, non è di certo al sicuro dagli attacchi nemici. Nemmeno Gerusalemme lo è. Ma se qualcuno ti minaccerà, sai che mi troverai al tuo fianco.

- Lo stesso vale per me, Denis, anche se non ho né il tuo valore, né la tua fama.

Denis alza le spalle.

Mentre parlano, Ferdinando e Denis hanno raggiunto il cortile più interno. Denis osserva:

- E questo era certamente l’harem dello sceicco. Potrai metterci una ventina di schiavi maschi e quando avrai voglia di scopare… eccoli pronti ai tuoi ordini.

Denis ride e Ferdinando lo imita.

- Non credo di aver bisogno di schiavi per trovare qualcuno che scopi con me. Non ne avevo bisogno prima, che ero un soldato senza niente, non mi serviranno ora che sono un conte. Però l’idea di un harem non è malvagia.

Denis prosegue l’esplorazione.

- E questa dev’essere la camera da letto dello sceicco.

La ricchezza e la raffinatezza delle decorazioni in effetti non lascia dubbi sulla destinazione del locale.

- Porcoddio! Anche le donne nude!

In effetti le pareti sono dipinte con diverse scene, anche se il Corano proibisce la rappresentazione di figure umane.

Su un lato un gruppo di fanciulle si bagna in un fiume. Alcune si stanno spogliando, altre sono già nude ma ancora sulla riva, due sono in acqua. I loro corpi, dipinti con maestria, sono perfettamente visibili. Un giovane spia le fanciulle in un angolo e l’abito non nasconde completamente la sua erezione.

Su un’altra parete è rappresentata invece una scena al bagno: lo sceicco è circondato dalle donne del suo harem, che lo lavano e si prendono cura di lui. Le donne sono tutte nude e anche lo sceicco lo è: il pittore lo ha dipinto come un uomo molto virile, magnificamente dotato.

Ferdinando scuote la testa:

- Secondo me lo sceicco non ce l’ha così grosso.

Denis sorride e dice:

- Lo costringeremo a spogliarsi per controllare.

Lo sceicco è prigioniero di Denis e verrà liberato solo quando sarà pagato il riscatto. Poiché lo sceicco ha perso tutti i suoi domini, non può riscattarsi direttamente, ma deve chiedere ai parenti di aiutarlo.

Su una terza parete c’è una scena di caccia al leone: un gruppo di cavalieri ha raggiunto l’animale e lo sceicco gli sta immergendo la lancia nel corpo.

- Ci sono leoni da queste parti?

- Può darsi. In ogni caso escludo che lo sceicco li cacciasse: gli mancavano i coglioni per farlo.

Ferdinando si guarda ancora intorno.

- Niente male. Io però ci farei mettere gli uomini nudi.

Denis replica:

- I dipinti non risalgono a molto tempo fa. Li ha certo fatti fare l’attuale sceicco, visto che è al centro di due immagini. Magari puoi trovare il pittore e ti fai dipingere al posto dello sceicco, mettendo tanti bei maschi al posto delle giovani. Può darsi che viva a Rougegarde, nel qual caso, se non è fuggito, lo farò lavorare per te.

Ferdinando ride. L’idea non gli dispiacerebbe, per niente, anche se adesso ha altro a cui pensare.

- Ma anche a Rougegarde c’è una camera dipinta?

- Molte camere hanno decorazioni raffinate, ma nulla di questo tipo. Questa era una residenza di piacere, forse lo sceicco si sentiva più libero.

Quando hanno finito, Ferdinando e Denis decidono di bagnarsi. Il bagno dello sceicco è lussuoso come tutto il palazzo.

Nudi nell’acqua calda, i due amici continuano a parlare. Denis prosegue con i suoi consigli: sa che Ferdinando ne ha bisogno e che sono bene accetti.

- Dovrai procurarti sudditi cristiani. Alcuni saranno gli uomini che ci hanno seguito in battaglia e che potrai ricompensare dando loro terre, ma ti servono contadini, mercanti, artigiani.

Ferdinando sguazza nell’acqua come un bambino, ma alle parole di Denis si ferma, perplesso.

- Facile a dirsi. E dove li pesco?

- Pensi di poter far venire qualcuno dalla Sicilia?

Ferdinando scoppia a ridere.

- Certo! Ne conosco diversi che per avere un po’ di terra sarebbero disposti a venire fin qui a nuoto.

Poi gli viene un dubbio:

- Ma come la prenderanno i contadini saraceni, se gli togliamo la terra?

- Non la toglierai a loro, ma ai grandi proprietari, che in maggioranza sono fuggiti dopo la conquista. E, se mi ascolti, distribuirai una parte delle terre che lo sceicco possedeva. Pare che fosse tanto vile quanto avido e un terzo delle terre coltivabili della valle erano di sua proprietà.

- Allora sono tue, Denis d’Aguilard. O forse dovrei dire Denis di Rougegarde. Perché le terre dello sceicco appartengono a te.

- Ora quelle della vallata dell'Arram sono tue. Sono la tua moneta. Spendila bene. Distribuiscine una parte anche ai contadini musulmani che le coltivavano. Molti saranno leali a un signore cristiano che assegna loro la terra, più che a un signore musulmano che li faceva sudare sangue dandogli appena il sufficiente per vivere.

Ferdinando scuote la testa.

- Denis, mi dovrei scrivere tutte queste cose, ma non so neanche leggere.

- Ti dovrai procurare un bravo segretario. Capace e onesto. Un’ultima cosa a cui badare, Ferdinando.

- Dimmi.

- Per te la minaccia può venire dalla bassa valle dell’Arram e dalla valle del Nahr: entrambe sono in parte in mano saracena. Autorizza i templari a costruire un castello ai confini della tua contea e assegna loro alcuni villaggi: ti aiuteranno a difendere le tue terre. I templari sono già stanziati a Qasr al-Hashim, che era stato abbandonato e che loro hanno occupato, anche se fa parte delle terre dell’emiro di Jabal al-Jadid. Due castelli dei templari dovrebbero garantirti una certa sicurezza ai confini.

- Un'ottima idea. Magari manderanno in uno di questi castelli Guillaume e avremo modo di vederci.

Denis esce dall’acqua e incomincia ad asciugarsi.

- Io ne ho abbastanza.

Ferdinando scuote la testa.

- Io rimango ancora. Ti spiace dire a Basan che il suo signore, il conte Ferdinando, lo desidera?

Ferdinando ghigna. Denis sorride.

- Come volete, conte. Inaugurerete la camera o questa volta vi servirete del bagno?

- Userò il bagno, signor duca. Vi lascio la camera, se avete bisogno di riposarvi un po’.

- No, signor conte, non oserei mai. Prenderò una della altre camere per… riposarmi.

 

Basan arriva poco dopo. È uno degli uomini che condividono le giornate e le notti del nuovo conte. Ferdinando è seduto sul bordo della vasca, le gambe in acqua. Il cazzo gli è già venuto duro.

- Spogliati, Basan, ed entra in acqua. Così ti dai una lavata. Ne hai bisogno, puzzi come un caprone.

Il cazzo di Ferdinando non lascia dubbi sulle intenzioni del conte, per cui Basan risponde.

- Come desiderate.

Basan si spoglia in fretta. Il cazzo gli si sta irrigidendo. Ma invece di avvicinarsi al suo signore, Basan si immerge e incomincia a lavarsi.

- Che cazzo fai, Basan?

- Il signore mi ha ordinato di lavarmi, no?

Ferdinando ride.

- Adesso il signore ti ordina di avvicinarti e di metterti a succhiargli il cazzo.

- Sempre pronto a ubbidire al mio signore.

Basan si avvicina e, rimanendo nella vasca, percorre due volte con la lingua il cazzo del suo signore, poi prende in bocca la cappella e incomincia a succhiarlo. Lavora con le labbra e la lingua, interrompendosi ogni tanto per prendere fiato. Intanto le sue mani giocherellano con i coglioni del conte, stuzzicandoli e stringendo, a tratti un po’ troppo, perché Ferdinando bestemmia e gli molla una sberla.

- Porcoddio, Basan, vacci piano.

Basan allenta la presa e continua a lavorare con la bocca. Ferdinando sente che il desiderio sta crescendo.

- Appoggiati qui, Basan.

Basan lascia a malincuore il boccone saporito e si appoggia sul bordo della vasca, a gambe larghe. Ferdinando entra nell’acqua, che in questa parte della vasca gli arriva solo a metà coscia. Poggia le mani sul culo di Basan, divarica bene le natiche e avvicina il cazzo svettante all’apertura. Preme contro l'anello di carne e poi entra. Il cazzo, ben lubrificato dalla saliva profusa da Basan, entra senza fatica nell’apertura, ormai abituata ad accoglierlo. 

Ferdinando fotte Basan, godendo il calore del culo e il tepore del locale.

Infine Ferdinando viene dentro il soldato, con una lunga serie di forti spinte che strappano un gemito a Basan.

Poi Ferdinando si stacca e si immerge completamente, per poi riemergere con i capelli e la barba bagnati e gocciolanti.

- Se avete voglia, signor conte, stendetevi, che pulirò a fondo.

Ferdinando è perfettamente pulito, ma sa che cosa intende fare Basan e non gli spiace per niente. Si stende su alcuni cuscini, il culo sollevato. Basan si inginocchia e incomincia a passare la lingua sul solco. È bravo Basan con la lingua, ci sa fare. Lecca a lungo, accarezza, preme contro l’apertura. E Ferdinando sente che la tensione lentamente sale di nuovo. Quando il cazzo è nuovamente rigido come una sbarra di ferro, Ferdinando dice a Basan di fermarsi.

Si volta e si siede su un grande cuscino. Poi afferra Basan per il culo e lo fa sedere su di lui, il viso rivolto dalla sua parte. Con le mani guida il culo di Basan a impalarsi sul grande cazzo teso. Basan ha una smorfia di dolore quando il palo gli entra nelle viscere: per quanto sia stato penetrato poco fa, la posizione rende l’ingresso più doloroso. Ma il piacere diviene presto più forte e anche il cazzo di Basan si tende rapidamente.

Con le mani Ferdinando solleva un po’ Basan e poi lo fa sprofondare di nuovo. Basan asseconda il movimento delle mani di Ferdinando e intanto la sua mano accarezza il cazzo ormai teso.

Basan viene un po’ prima di Ferdinando e il suo seme si sparge abbondante sul petto del conte, mescolandosi alla fitta peluria. Poi Ferdinando viene anche lui dentro Basan.

Ferdinando e Basan si stendono sul bordo della grande vasca. Poi entrambi entrano in acqua e si lavano.

 

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Renaud di Soissons non è altrettanto contento di Ferdinando.

- Il territorio di Afrin non è neppure un terzo del ducato di Rougegarde. E noi siamo baroni, mentre quel morto di fame del siciliano, quel Ferdinando, uno che è arrivato qui con le pezze al culo, quello è conte.

- È il primo passo, fratello. Siamo tra i signori del regno, dipendiamo direttamente da re Amalrico. E se tu non fossi stato troppo prudente in battaglia, avresti avuto una ricompensa maggiore.

- Se fossi stato avventato, probabilmente saremmo tutti morti, come gli uomini della compagnia di Denis d’Aguilard. Lo capisci, Olivier?

- Forse. In ogni caso di qui possiamo partire per salire più in alto. Puoi prendere in moglie una nobildonna.

Renaud sa che è vero: ora che è uno dei feudatari del regno di Gerusalemme, può aspirare alla mano di una donna nobile. Ma i danni subiti da Afrin ne limitano il valore. Renaud guarda dalla finestra del palazzo la città. Tutto il quartiere sulla destra è in rovina.

- Afrin è stata semidistrutta dall’incendio e saccheggiata dai soldati.

- Afrin si riprenderà, Renaud: è un centro commerciale importante, un nodo di primo piano nella rete di piste che uniscono le nostre città della costa, come Acri e Baruth, e quelle saracene dell’interno, come Damasco e Aleppo.

- Sì, la posizione è buona per il commercio, ma la città è esposta agli attacchi nemici. Siamo troppo vicini ai domini saraceni.

- Gli attacchi saranno un buon pretesto per ampliare il nostro territorio.

A Renaud non piace quel “nostro”, che probabilmente non si riferisce ai cristiani, ma ai tre fratelli. Il re ha affidato Afrin, ribattezzata San Giacomo d’Afrin, a Renaud, anche se ha dato il titolo di barone a tutti e tre. Renaud sa che Olivier è un ambizioso e diffida di lui.

Olivier prosegue:

- Proprio perché siamo vicini ai territori saraceni, potremo attaccare le carovane che vanno da Damasco ad Aleppo, cariche di merci preziose. È un’ottima posizione.

Renaud riflette sulle parole di Olivier. È vero, Afrin non è lontana dalla cosiddetta strada occidentale che unisce Damasco ad Aleppo, percorsa da molte carovane. Davvero offre ottime occasioni per razziare. Vi passano anche carovane di pellegrini che vanno verso la Mecca. Sì, Afrin, malgrado sia in rovina, ha la possibilità di risollevarsi.

Olivier prosegue:

- Dobbiamo organizzare una parte dei nostri uomini in una compagnia di briganti, che attacchi le carovane, quelle saracene, naturalmente.

Olivier sorride. Renaud ha rilevato il “nostri”, che lo infastidisce. Ma l’idea è ottima: se una banda di briganti attacca una carovana, non è colpa del signore di Afrin, nessuno si potrà lamentare con Renaud.

- Sì, la guiderai tu.

Se Olivier riuscirà a depredare le carovane, divideranno le ricchezze. Se verrà catturato dai saraceni, peggio per lui. Olivier è un utile consigliere, ma non è indispensabile. E in ogni caso va tenuto sotto controllo.

 

*

 

Maria arriva pochi giorni dopo il colloquio tra il re e il duca d’Aguilard. L’intera città è pavesata a festa con i colori del duca d’Aguilard: il bianco e il blu, che costituiscono lo stemma di famiglia, e il nero, che Denis ha aggiunto in memoria di suo padre. L’aquila che figura nello stemma sventola sui vessilli innalzati sulle torri.

Denis va incontro alla principessa lungo la strada: vuole essere cortese nei confronti di questa donna. E non gli spiace vederla senza che il re sia presente.

La principessa viaggia scortata da numerosi soldati. Denis si avvicina a lei. È davvero una donna di grande bellezza, come dicono: lunghi capelli neri che incorniciano un ovale perfetto, occhi scuri luminosi e dallo sguardo intenso, labbra di corallo. Denis conosce bene la poesia araba e davvero a questa donna si addicono i versi di alcuni grandi poeti che hanno cantato la bellezza muliebre. Per quanto il sesso femminile gli interessi poco, Denis non può non apprezzare lo splendore di questa giovane donna.

Ma quando lo guarda, Maria sembra impallidire. Probabilmente già sapeva che Denis d’Aguilard non è un bell’uomo, ma forse sperava che le voci non corrispondessero alla verità.

Denis farebbe volentieri a meno di una moglie che non lo vuole, ma il dono del re non può essere rifiutato. In ogni caso Denis ha l’esigenza di parlare alla giovane lontano da orecchie indiscrete. Propone perciò una sosta al colle da cui Rougegarde appare per la prima volta alla vista di chi giunge da Gerusalemme.

- Principessa, venite, vi voglio mostrare la città su cui regnerete.

Denis fa segno agli uomini del seguito di rimanere dove sono. Maria ha capito che il duca vuole parlarle senza che nessuno ascolti e fa lo stesso con le donne che l’accompagnano.

Denis la conduce nel punto in cui è possibile vedere Rougegarde, poi dice:

- Principessa, mi scuso se vi parlo con grande franchezza. Sono un guerriero e non un uomo di corte e non so scegliere le parole adatte. Mi ritengo onorato dalla proposta del nostro re, ma se per un qualunque motivo voi preferite che questo matrimonio non si faccia, non si farà. Me ne assumerò per intero la responsabilità.

Denis sa che rifiutare il matrimonio potrebbe avere conseguenze molto negative per lui, ma non intende imporsi.

Maria abbassa la testa.

- Duca, sono venuta qui per obbedire alla decisione del re.

Non sono parole gentili e la principessa sembra rendersene conto. Aggiunge:

- So che siete uno dei guerrieri più valorosi del regno e ritengo un onore diventare vostra moglie.

Denis si dice che sarà forse un onore, ma di certo non un piacere. Non lo sarà per nessuno dei due, ma Maria ha evidentemente buoni motivi per accettare la proposta.

- Vi ringrazio, principessa.

Raggiungono gli altri e riprendono la strada per la città. La gente è scesa tutta in strada a vedere la principessa, della cui bellezza tutti parlano. Denis cavalca al fianco di Maria, tra le grida della folla. Sa che formano una coppia insolita, ma la gente sembra entusiasta. Qualcuno commenta, soprattutto tra i saraceni: tutti sanno che il duca parla l’arabo, ma non sempre se ne rammentano.

Un uomo recita alcuni versi:

Ella ha lo splendore della luna,

l’inclinazione di un ramo di salice,

il profumo dell’ambra,

lo sguardo della gazzella.

Un altro aggiunge:

- Tanto bella lei, quanto brutto lui.

Denis sa che è vero e non dà segno di aver inteso l’osservazione. Ma mentre salgono verso la fortezza, un mercante saraceno esclama:

- Dicono che lei sia stata la puttana del re.

Denis si volta con un movimento rapidissimo e il suo frustino colpisce in pieno il viso dell’uomo.

- In ginocchio, cane.

L’uomo si porta la mano al viso da cui cola il sangue e si inginocchia, pallidissimo. I vicini cercano di allontanarsi, malgrado la folla che riempie la strada e preme per vedere meglio: il duca non deve pensare che loro siano insieme a questo temerario.

L’uomo trema. Riesce a dire:

- Perdonate, duca.

- Ringrazia che è un giorno di festa. Ma se dirai ancora una cosa del genere, la tua vita varrà meno della merda di un cane.

L’uomo trema ancora più forte, mentre risponde:

- Sì, mio signore. Perdonate.

Denis non risponde e procede. L’uomo si rialza e si allontana, cercando di vincere il tremore che ancora lo scuote tutto. Nonostante il bruciore al viso e il sangue che cola dallo zigomo lacerato, si ritiene fortunato: sa che avrebbe potuto pagare con la vita la sua avventatezza.

Il corteo arriva alla fortezza, tra due ali di folla. Il re scende ad accogliere Denis e la principessa sui gradini.

Un grande banchetto riunisce la nobiltà del regno. Al termine Denis porge alla principessa il suo dono di nozze: in un cofanetto foderato in velluto splendono dodici magnifiche perle del mar Rosso e un antico anello con un rubino. Un dono davvero regale.

Il matrimonio viene celebrato il giorno dopo nella nuova cattedrale di Rougegarde: è una cerimonia sfarzosa, perché a sposarsi sono il signore della città e una donna di sangue reale e presenzia alla cerimonia lo stesso re di Gerusalemme. Vi partecipano molti dei signori franchi, tra cui Renaud di Soissons, barone di San Giacomo d’Afrin. Denis non fa fatica a leggere nel suo sguardo l’invidia che lo divora: vorrebbe essere al posto del duca di Rougegarde, per poter sposare una donna che unisce bellezza e nobiltà. Denis sa che Renaud conta di sposare la figlia di Philippe di Cesarea, vedova di un conte, che gli porterà una dote cospicua, ma Mélisende, per quanto un ottimo partito, non può stare alla pari con la principessa Maria e non è più giovane.

Il re parte subito dopo: è già stato lontano abbastanza a lungo da Gerusalemme e ora che ha ottenuto ciò che desiderava, vuole raggiungere la città al più presto. I festeggiamenti proseguono per tutto il giorno. Ogni tanto Denis guarda la sua nuova moglie, che si sforza di mostrarsi all’altezza della situazione e nasconde il suo turbamento.

 

La sera Denis fa accompagnare Maria alla camera nuziale e la lascia con le donne che si occupano di lei. Più tardi vi entra. Spegne la lampada ad olio e si spoglia. Si stende accanto a Maria e con molta delicatezza le sue mani percorrono il corpo della giovane donna.

Maria subisce le sue carezze in silenzio. Non oppone nessuna resistenza, non si schermisce, ma è evidente che farebbe volentieri a meno di questo amplesso. Per quanto il corpo che gli si offre sia bello, Denis preferirebbe rinunciare a un rapporto che non è desiderato: non ama imporsi. Ma intuisce che questa notte le cose devono svolgersi così. Denis è abituato a rapporti con altri soldati, in cui c’è poco spazio per la tenerezza e i modi sono spesso spicci e rudi, ma ora cerca di essere delicato e attento a lei. La donna però rimane distante e allora Denis si limita a svolgere la sua parte. Maria non è vergine, ma su questo Denis non aveva dubbi. Dopo essere venuto, Denis ringrazia e si stende per dormire.

Ha intuito ciò che lo attende, ma aspetta una conferma, che verrà nei prossimi mesi.

Nessuno dei due si addormenta, ma fingono entrambi di riposare, per evitare una conversazione che sarebbe imbarazzante. 

Il giorno seguente Maria dice di non sentirsi bene. Il malessere sembra diventare più forte. Nelle settimane successive, più volte Maria è presa spesso da conati di vomito e un giorno chiede di poter dormire in un’altra camera, per non disturbare il sonno del marito. Denis accondiscende alla richiesta della moglie. Ormai ha avuto la conferma di ciò che già sospettava: il re gli ha regalato una moglie e un erede.

 

*

 

Nella sua camera, Denis riflette sul suo matrimonio. Non è attratto dalle donne e in ogni caso si sarebbe sposato solo per avere un erede. Sotto questo aspetto il matrimonio voluto dal re risponde alle sue esigenze: ora ha una moglie nobile e un figlio in arrivo.

Al matrimonio non aveva mai pensato molto, prima della conquista di Rougegarde: finché era un soldato che non possedeva nulla, aveva ben poco da offrire e non avrebbe avuto nessun senso sposarsi, visto che non desidera le donne. Dopo che è diventato duca, si è ritrovato una moglie senza avere neppure il tempo di fare progetti o porsi domande.

Non avrebbe potuto ottenere una donna più bella o più nobile di Maria. Ma forse avrebbe cercato una compagna, di cui potersi fidare pienamente. Quanto potrà davvero contare su questa donna in cui suscita solo repulsione? Maria è una donna intelligente, ma questo matrimonio indesiderato l’ha messa in una situazione difficile. Come reagirà? Denis intende non farle mancare niente e mostrarsi premuroso nei suoi confronti. Se il loro matrimonio sarà solo di facciata, come è probabile che avvenga, che almeno la loro vita di coppia non si trasformi in un inferno, da cui lui, in quanto uomo, può facilmente evadere, ma Maria no.

La situazione gli lascia piena libertà di cercare altrove il piacere. Da quando il rapporto con Charles è finito, Denis non ha rapporti con frequenza: non è uomo da essere schiavo del proprio corpo. Ma non ha motivo per non ricercare il piacere, quando le circostanze lo consentono.

Ci sono tra i suoi servitori e i suoi soldati molti uomini che sarebbero ben contenti di poter condividere il suo letto. Ma Denis ha rapporti solo con un uomo, scelto con cura: non ricerca mai coloro che sono guidati dall’interesse ed evita con cura quelli che parlano troppo e non sanno mantenere un segreto.

Jeannot è stato il suo amante per alcuni mesi, ma è morto nella conquista di Afrin. Ora è Nicolas, un soldato della guardia personale del duca, a condividere spesso il suo letto. Nicolas ha pochi anni in più di Denis, è esperto nelle battaglie che si combattono in campo aperto e in quelle che si combattono a letto. È un uomo taciturno, che evita ogni legame sentimentale e che prova un’ammirazione sconfinata per Denis d’Aguilard. È ben contento di condividere le sue notti con il duca, anche se non ne è innamorato. Nicolas non è uomo da innamorarsi. Denis ha capito che c’è nella storia di Nicolas una ferita mai chiusa, che gli impedisce di provare sentimenti. Forse in questo lui e Nicolas sono simili.

Questa sera il duca sente il desiderio premere. Fa chiamare Nicolas.

Il soldato arriva subito. Denis lo guarda. È un bell’uomo, piccolo di statura, con un corpo vigoroso e un viso dai tratti regolari. Denis si chiede come Nicolas possa desiderarlo, perché sa che Nicolas lo desidera realmente e non si dà a lui per interesse.

Denis sorride:

- Hai voglia di dormire con me questa notte, Nicolas?

È una domanda, non un ordine, anche se Denis sa benissimo che il soldato difficilmente gli direbbe di no.

Nicolas sorride.

- Me lo chiedete, signor duca? Sapete bene che lo desidero. 

Denis annuisce. È vero, lo sa. Probabilmente Nicolas sarebbe ben felice di condividere il suo letto più spesso, ma sa stare al suo posto e non si fa avanti: attende una chiamata dal duca.

- Vieni con me.

Denis accompagna Nicolas nella sua camera da letto, poi esce per dare gli ultimi ordini. Ritorna poco dopo.

Nicolas è seduto su una sedia. Quando Denis arriva, si alza. Denis si avvicina a lui. Nicolas alza le mani e le poggia sul viso del duca. Denis lascia che il soldato lo baci sulle labbra e poi incominci a spogliarlo, con lentezza. Jeannot era più impaziente e non riusciva a contenere il desiderio: quando lo spogliava, lo faceva con foga, quasi con furia, come se i vestiti fossero solo un intralcio. Nicolas ha esperienza, Denis non è certo il primo uomo che lo ha posseduto. Nicolas sa molte cose, che Jeannot ignorava. Anche Denis sta scoprendo che il piacere ha mille volti e mille sfumature. Nicolas slaccia i legacci e le sue mani si posano sul collo di Denis, si infilano sotto la tunica aperta, fino ad accarezzare i capezzoli. Poi Nicolas infila le sue mani sotto la tunica e la solleva fino a coprire la testa del duca. Allora le labbra di Nicolas avvolgono un capezzolo, lo succhiano, lo mordono leggermente, mentre le sue dita tormentano l’altro capezzolo. Nicolas scivola in ginocchio e la sua lingua scende, fino ad accarezzare l’ombelico. Denis sente un brivido corrergli lungo la schiena.

Nicolas sfila completamente la tunica e nuovamente bacia Denis, spinge la sua lingua tra le labbra del duca, poi si ritrae. Nicolas infila le mani nei pantaloni del duca e gli stringe con forza il culo, mentre di nuovo lo bacia. Un dito scivola lungo il solco, stuzzica l’apertura. Nicolas non ha mai posseduto Denis, ma le sue mani insegnano al duca che ogni parte del suo corpo può offrire piacere. Nicolas cala le brache del duca e infine Denis è nudo e in lui il desiderio già si accende. Ma Denis non ha fretta: un guerriero sa attendere per ottenere una vittoria più completa.

Nicolas arretra di due passi e incomincia a spogliarsi. I suoi movimenti sono lenti e armoniosi. Ogni gesto mostra forza e grazia e Denis pensa che Nicolas è bellissimo.

Quando infine Nicolas è nudo e il suo desiderio è ben visibile, il soldato si inginocchia davanti a lui e prende in bocca la cappella del duca. Denis sa bene che cosa vuole Nicolas e lo accontenta: incomincia a pisciare. Nicolas beve, fino all’ultima goccia, poi si alza e bacia Denis sulla bocca, introduce la sua lingua tra le labbra del duca e gli fa sentire il gusto che ha sulle labbra e sulla lingua.

Poi guida il duca al letto e lo fa stendere. Denis lascia che sia Nicolas a condurre il gioco.

Nicolas avvicina la bocca al culo del suo signore e incomincia a mordere, prima con delicatezza, poi con maggiore forza. I suoi denti lasciano segni rossi sulle natiche del duca. Poi Nicolas incomincia a passare la lingua lungo il solco, dall’alto in basso e dal basso in alto, indugiando ogni volta sull’apertura. Denis sa che il soldato vorrebbe possederlo, ma non intende concedersi. A Charles lo avrebbe permesso, ma Charles voleva solo essere posseduto. Nessuno potrà vantarsi di aver preso il duca. Ma questa lingua che scorre, indugia, preme, è fonte di un piacere che stordisce.

Nicolas prosegue a lungo, mentre le sue mani stringono il culo di Denis, lo pizzicano, lo accarezzano. Denis si rende conto che il desiderio è tanto forte che potrebbe venire. Dovrebbe fermare Nicolas, dirgli di smettere, prenderlo. Ma lascia che Nicolas prosegua e che infine il desiderio si sciolga in un’esplosione di piacere. Denis geme appena, ma Nicolas sa che il suo signore è venuto.

Allora Nicolas volta il corpo del duca, con la sua lingua raccoglie le ultime gocce di seme. Denis rabbrividisce a quel contatto. Nicolas si stacca e, in ginocchio su letto, accarezza il corpo del duca. Le sue mani sfiorano il viso, il collo, il torace, il ventre, le cosce, le gambe, fino ai piedi. Ritornano, seguendo lo stesso percorso in direzione opposta, ma poi scendono per accarezzare le braccia. Le sue dita sfiorano le labbra di Denis, che si schiudono. Si infilano tra i denti, che mordono. La bocca di Nicolas avvolge il lobo di un orecchio, si infila all’interno, i denti stringono il lobo, la lingua scorre dietro. Nicolas bacia ancora Denis e la sua bocca continua l’esplorazione del corpo del duca. Questa volta scende fino al sesso e lo accarezza, avvolge i coglioni, facendo gemere Denis. Poi risale lungo l’asta fino alla cappella e l’inghiotte, per lasciarla quasi subito.

Le mani di Nicolas accompagnano la bocca nel suo percorso, stringono, accarezzano, fanno male, solleticano. E nuovamente il desiderio si accende in Denis, riempie di sangue il cazzo che si tende.

Denis prende Nicolas tra le braccia, ne blocca il movimento. Lo bacia, poi lo solleva mentre si alza in piedi sul letto. Il corpo del soldato aderisce al suo e lentamente Denis lo fa scendere, finché il suo cazzo preme contro l’apertura. Nicolas gli cinge i fianchi con le proprie gambe. Denis posa Nicolas sul letto, senza lasciare la presa. E, lentamente, lo infilza. Ora è dentro di lui, mentre le gambe di Nicolas sono ancora intorno alla sua vita. Denis prende a spingere, guidato da un desiderio che vede riflesso negli occhi del soldato. E infine viene, con un leggero gemito. Nicolas viene con lui, stringendo i denti.

Il loro gioco non è finito. Tra un po’ riprenderanno, perché nessuno dei due è davvero sazio.

 

VI – L’ultimo tradimento

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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