III – Il Cane dagli occhi azzurri Il
viaggio di ritorno si è concluso: le truppe sono alle porte di Acri. Per
l’ultima sera il conte ha acquartierato i suoi uomini nel caravanserraglio abbandonato
dove Chrétien aveva sistemato l’esercito alla partenza. Gli
uomini di Tancrède d’Espinel dormono tranquilli: non hanno ottenuto un
bottino, ma verranno pagati regolarmente, senza aver rischiato la vita; tutti
riportano a casa la pelle. I sopravvissuti delle truppe di Chrétien da
Bayonne sono invece uno sparuto drappello. In loro il luogo suscita ricordi
dolorosi: impossibile non pensare ai compagni morti nella spedizione. Quando
sono partiti, riempivano l’intero edificio. Ora loro stanno tutti in due soli
locali: una stanzetta al primo piano per Renaud di Soissons e il fratello
Charles; un camerone, di quelli che servivano come scuderia, per tutti gli
altri. È
giunto il momento della separazione: domani raggiungeranno la città e
l’esercito si scioglierà. Gli uomini arruolati dal conte riceveranno quello
che spetta loro e a tutti non resterà che cercare un altro ingaggio.
Guillaume di Hautlieu invece si recherà nella casa dei Templari di Acri e
verrà inviato dove i superiori riterranno opportuno. Durante
il viaggio di ritorno Denis ha avuto modo di conoscere meglio alcuni dei suoi
compagni: ora che sono un gruppo molto ristretto, hanno molte più occasioni
di parlare. Denis ha fatto amicizia soprattutto con Guillaume e, malgrado
siano diversissimi, con Ferdinando. Entrambi sono affascinati dalla
conoscenza che Denis ha della Terrasanta: grazie a lui hanno scoperto un
mondo molto più complesso e variegato di quanto avessero mai sospettato.
Ferdinando, che è da poco arrivato dalla Sicilia, e Guillaume, giunto da sei
mesi, hanno un’idea molto vaga del paese e dei nemici, che per loro sono i
saraceni e musulmani e basta. Denis parla di arabi, curdi e turchi, di sciiti
e sunniti, di ismailiti, di nizariti. E anche sui giochi di potere tra i
baroni franchi del regno di Gerusalemme, Denis sa molto. Fin da bambino ha
sempre ascoltato i discorsi di suo padre e degli altri guerrieri: non
sospettando che un ragazzino potesse interessarsi a questi temi, essi
parlavano molto liberamente e Denis è sempre stato curioso di conoscere il
mondo in cui si muoveva. Adesso
Denis, Ferdinando e Guillaume stanno parlando nel cortile del
caravanserraglio. -
Certo che come prima impresa in Terrasanta… porcoddio! Non potrò vantarmene. -
Ferdinando, volevo dirtelo. Scusa, ma devi essere più attento. - In
che senso, Denis? -
Molti bestemmiano, ma fanno in modo di non farsi sentire dalle persone
sbagliate: se qualcuno andasse a raccontare che tu bestemmi a tutto spiano,
potresti avere problemi seri. - Ma
qui non ci sono preti. Solo Guillaume, che è un uomo dabbene, anche se è
stato tanto testa di cazzo da farsi monaco. Mentre
lo dice, Ferdinando sorride a Guillaume, che scuote la testa senza dire
nulla: non vuole deviare la conversazione, perché ciò che Denis sta dicendo è
importante per la sicurezza di Ferdinando. -
Anche dove non ci sono preti, ci sono molti che potrebbero riferirglielo. Denis
si guarda intorno, per sincerarsi che nessuno lo possa sentire, poi aggiunge: -
Clovis, per esempio. -
Clovis? E perché mai? -
Guardati da Clovis, Ferdinando. E non solo per le bestemmie. - Ma
perché? -
Perché ti odia. E non è un uomo leale. - Ma
perché mi odia? Perché ce l’ho più grosso? Perché l’ho battuto nella lotta?
Ma è assurdo. -
Perché hai raccolto Roger e lo hai salvato, come lui avrebbe potuto fare, e
così Roger l’ha sputtanato davanti a tutti. Perché l’hai battuto, sì: non è
uomo da accettare una sconfitta. Perché ce l’hai più grosso, anche quello.
Fa’ attenzione a lui. Il suo rancore può spingerlo alla vendetta. E non
sarebbe a viso aperto. Se
fosse un altro a dirlo, Ferdinando non prenderebbe nemmeno in considerazione
l’idea, ma detta da Denis, l’affermazione ha il suo peso. Ferdinando sa
benissimo che Denis non parla a vanvera. Ferdinando
si dice che dovrà imparare a muoversi con maggiore prudenza, una dote che gli
ha sempre fatto difetto: è tanto impulsivo quanto Denis è riflessivo. -
Porcoddio! Che uno debba anche guardarsi dai compagni, oltre che dai nemici… Guillaume
interviene; - Sai
com’è il vecchio detto: dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo
io. Ci sono stati due processi per blasfemia, da quando io sono arrivato. E
non è uno scherzo, Ferdinando. - Va
bene, ho capito. Ma che cazzo! -
Molti pensano di poter godere qui di una maggiore libertà. Per certi versi è
vero, per altri no. Denis
prosegue, come se fosse un’osservazione incidentale: -
Bisogna badare un po’ a tutto. Anche per quanto riguarda lo scopare… Ferdinando
fissa Denis, poi scoppia a ridere: -
Pure questa! Non mi chiedere l’astinenza: non fa per me. Poi
con la testa indica Guillaume e prosegue: -
Quella va bene per lui. Guillaume
si sente arrossire. Ferdinando se ne accorge e scoppia a ridere: -
Ritiro tutto, mi sa che non va bene neanche per il nostro monaco. Ma chi
cazzo è che vuole essere casto? Io non ce la faccio proprio. Denis
riprende, serio. -
Pochi sono casti, qui, anche tra i monaci, per quanto il controllo sia
rigoroso. Ma bisogna sempre essere prudenti. - Mi
sa che ho sbagliato a venire qua… È
l’ora del pasto serale e i tre raggiungono i compagni. Nella
serata Roger da Albi punzecchia ancora Clovis: non gli ha perdonato di averlo
abbandonato a morire sul sentiero. - E
allora, Clovis, dove ti arruolerai? Dov’è che hanno bisogno di qualcuno bravo
a scappare? -
Piantala, stronzo, che ti spacco la faccia. -
Con me fai il gradasso, con i saraceni te la facevi sotto. Clovis
si avvicina, furibondo. Ferdinando
si alza. Non dice nulla, ma si mette di fianco a Roger. - E
tu che cazzo vuoi, stronzo? Alcuni
intervengono: -
Smettetela. -
Non fate cazzate. -
Niente risse. - Se
volete, sfidatevi a pugni. Clovis
alza le spalle e si ritira. Ferdinando pensa alle parole di Denis e tace, ma
mentre si risiede, qualcuno dice: - Adesso
ve la fate sotto, eh? Aspettavate solo che vi dicessimo di non battervi. Clovis
scatta: - Io
non ho paura. Ferdinando
si alza: -
Neanch’io. Gli
altri li incoraggiano: hanno voglia di uno spettacolo che li distragga. - Un
bell’incontro a pugni e calci, dai. -
Scommettiamo di nuovo. Clovis
ringhia: -
Noi ci prendiamo i pugni e voi i soldi? Comodo! Alla
fine qualcuno propone che il guadagno delle scommesse venga diviso, dando una
parte anche al vincitore dello scontro. La proposta viene accettata. -
Spogliatevi, ora. Ferdinando
e Clovis si spogliano. Tutti li guardano: sono davvero un bello spettacolo
questi due uomini forti, pronti a sfidarsi. I
due contendenti si avvicinano. Ferdinando si scaglia su Clovis e cerca di
colpirlo con un pugno allo stomaco, ma Clovis lo evita e gli molla un pugno
in faccia, che fa colare il sangue dal naso di Ferdinando e provoca
l’entusiasmo di una parte del pubblico. Ferdinando
barcolla e Clovis è su di lui, ma questa volta Ferdinando para il pugno e
riesce a colpire Clovis al torace, due volte. Clovis fa un salto indietro. Il
nuovo attacco di Ferdinando non ottiene grandi risultati, ma la ginocchiata
di Clovis prende Ferdinando ai coglioni. Ferdinando fa un salto indietro,
bestemmia e barcolla. Clovis è su di lui e lo colpisce al ventre, al torace e
in viso, mandandolo a terra. Ferdinando
cade, Clovis si china su di lui per colpirlo ancora, ma Ferdinando rotola via
e si rialza. Il
gran clamore degli spettatori si sente da fuori. Infervorati dalla lotta, i
soldati non si accorgono dell’arrivo di Tancrède d’Espinel, che osserva
incuriosito quanto avviene. Il conte guarda Ferdinando. È un uomo forte,
massiccio, il cui fisico potente ricorda quello di Egbert: un Egbert con
trent’anni in meno. Tancrède sente il dolore lacerarlo. Ma nonostante la
sofferenza, la vista del corpo nudo di Ferdinando accende in lui il
desiderio. Il
combattimento prosegue a lungo, ma giunge a una conclusione brusca: un pugno
di Ferdinando prende Clovis al mento e lo fa stramazzare al suolo. Clovis
rimane esanime. Anche questa volta il siciliano ha vinto. Ferdinando
ha sangue sul viso, sul torace e sulle mani: è colato dal labbro e dal naso,
ma soprattutto da un taglio al sopracciglio sinistro. Denis e Guillaume lo
aiutano a pulirsi, mentre Clovis è assistito dai suoi sostenitori. Ferdinando
guarda Denis e scoppia a ridere: -
Sì, lo so, sono una testa di cazzo. Denis
scuote la testa. -
Ricordati solo che hai un nemico mortale. Non ti affronterà più a viso
scoperto, ma in qualche modo cercherà di rivalersi. Ferdinando
annuisce. Poi intasca la vincita: non è una grande somma, ma quei quattro
soldi gli fanno comodo. Quando
infine tutti si sono coricati, Denis si alza ed esce dallo stanzone. Ferdinando
sa che ogni notte Denis si allontana dal campo ed è convinto che lo faccia
per scopare con qualcun altro dei soldati. Chi sia, Ferdinando non lo sa e
non gli importa. Ferdinando
non si allontana. Sa benissimo che nel buio della notte qualcun altro verrà.
Si avvicinerà Manasse, certamente: lo ha cercato tutte le sere e Ferdinando
apprezza il bel culo del soldato, che è sempre il primo. Non sarà il solo,
forse: più di una volta, come è avvenuto la prima notte, un secondo soldato
si è avvicinato dopo Manasse. A Ferdinando va benissimo: lui scoperebbe
volentieri due o tre volte tutte le notti. L’ombra
che ora cammina furtiva verso di lui è quella di Manasse, che s’inginocchia
di fianco a Ferdinando e incomincia ad accarezzare il suo cazzo. In quel
momento qualcun altro li raggiunge e dice, piano: -
Posso unirmi a voi? Ferdinando
riconosce la voce: è Thierry. Risponde sottovoce: -
Certo, c’è posto per tutti. Basta aspettare il proprio turno. Ferdinando
ride. -
Dai, alzati, che ci organizziamo. Ferdinando
si alza. Manasse s’inginocchia davanti a lui e gli prende in bocca il cazzo,
che già si sta riempiendo di sangue. Thierry si mette dietro e Ferdinando
sente la carezza della sua lingua lungo il solco. -
Porcoddio! È la
prima volta che qualcuno gli lecca il culo. E non è una sensazione
sgradevole, tutt’altro. Thierry ci sa fare, passa la lingua più volte lungo
tutto il solco, preme sul buco. -
Bada a quello che fai. Ferdinando
chiude gli occhi. Tiene una mano sulla testa di Manasse davanti a lui,
un’altra su quella di Thierry, dietro di lui. Ogni tanto, quando le
sensazioni diventano troppo forti, le sue dita stringono e tirano i capelli
di uno dei due o di entrambi. -
Ora basta! Thierry
si ferma, ma Manasse continua. Vuole gustare il seme di Ferdinando, vuole
sentire la scarica in bocca. Ferdinando gli stringe i capelli, ma Manasse
prosegue la sua opera, la sua bocca sembra voler inghiottire completamente il
cazzo di Ferdinando. Intanto Thierry ha ripreso a leccare il solco, per poi
passare a mordere le natiche. Ferdinando sente il piacere che dal cazzo s’irradia
in tutto il suo corpo, mentre il seme si rovescia, abbondante, nella bocca di
Manasse, che inghiotte ogni goccia. -
Porcoddio! Ferdinando
allontana la testa di Manasse, perché, ora che è appena venuto, la carezza
della sua lingua gli sembra quasi fastidiosa. Thierry continua a lavorare di
lingua e di denti e le sue mani accarezzano il culo e la schiena di
Ferdinando. Manasse
si stacca, si siede sul giaciglio di Ferdinando e incomincia ad accarezzarsi
il cazzo, già teso. Thierry prosegue con la sua opera, ma ora le sue mani
passano davanti, soppesano i coglioni di Ferdinando, scivolano lungo la parte
interna delle cosce e delle gambe, risalgono all’esterno. Ferdinando
lo lascia fare. Dopo un po’ sente che lentamente il desiderio si riaccende
dentro di lui, tende nuovamente il cazzo e sembra stringergli i coglioni in
una morsa. -
Passa davanti. Thierry
ubbidisce. Ferdinando lo volta e gli fa piegare la schiena, così che ora
Thierry gli offre il culo. Manasse si mette davanti a Thierry, che gli
appoggia le mani sui fianchi e gli prende in bocca il cazzo. Ora Ferdinando
afferra a piene mani le natiche di Thierry, le stringe, le divarica, sputa
sul buco e poi spinge dentro il suo grosso cazzo. Ferdinando incomincia a
fottere vigorosamente il culo di Thierry, Manasse invece gli fotte la bocca,
con spinte decise. Il terzetto prosegue a lungo, finché vengono tutti e tre,
prima Manasse, poi Thierry e infine Ferdinando, per la seconda volta. * Denis
ha raggiunto il luogo in cui si è dato appuntamento con Charles, un uliveto
non lontano dal caravanserraglio. Da quando sono scampati all’agguato, hanno
scopato ogni notte. Di giorno non stanno mai insieme: se s’incrociano si
salutano e magari scambiano due parole, ma non parlano a lungo. Si danno
appuntamento per la notte in un luogo preciso e si allontanano dal campo
ognuno per conto suo, in tempi diversi. A Denis non importa che lo vedano con
Charles e che qualcuno possa intuire la verità: non metterebbe in mostra il
loro legame, ma non vede motivo per fingere di conoscersi appena. Charles
invece sembra preoccuparsi che nessuno sospetti. In particolare, se è in
compagnia di suo fratello Renaud, Charles saluta appena Denis. Denis
si chiede che cosa prova per il bel Charles. È il primo uomo che lo ha
cercato e che si è offerto a lui perché lo desiderava: ciò che è successo con
Mathieu non ha niente a che fare con l’attrazione che un uomo può provare per
un altro. A
tratti Denis sogna. Immagina di aver raggiunto una posizione importante, di
essere uno dei comandanti di qualche nobile o del re e di avere al suo fianco
Charles. Sarebbe bello averlo vicino, lottare con lui, proteggere la sua vita
e poi la sera abbandonarsi al piacere. Denis si vede steso accanto a Charles
nel grande letto di un castello, dopo una notte ardente. Sogna di accarezzarlo,
di baciarlo, di stringerlo ancora, finché spunta l’alba. Ma
ci sono momenti in cui Denis ha l’impressione che Charles desideri il suo
corpo, null’altro. Eppure Denis prova per lui qualche cosa che va oltre il
desiderio, lo sa benissimo: si sta innamorando, questa è la verità. Tutti lo
giudicano un uomo in grado di controllarsi e riflettere sulle proprie scelte.
Ma quello che gli sta succedendo non l’ha scelto. * Il
mattino seguente, prima di levare l’accampamento, Tancrède d’Espinel fa
chiamare Ferdinando: -
Sei un guerriero valoroso, Ferdinando. Ferdinando
non sa che cosa ha fatto per meritarsi il complimento, ma non è il caso di
andare per il sottile. -
Grazie, signor conte. -
Vuoi passare al mio servizio? A
Ferdinando l’idea piace: non dovrà sbattersi per cercare una sistemazione. Se
poi non si troverà bene con il conte, potrà sempre cercarsi un altro padrone. - Vi
ringrazio, conte. È un onore per me. -
Va’ a prendere le tue cose e unisciti a noi. Arrivati al mio palazzo, ti darò
le istruzioni. Ferdinando
saluta e ringrazia. Torna da Denis e Guillaume. - Il
conte d’Espinel mi ha chiesto di passare al suo servizio. Denis
non dice nulla, ma Ferdinando coglie la sua perplessità. -
Che c’è, Denis? Denis
sa che non sarebbe saggio esternare i suoi dubbi. Alza le spalle. -
Non è un uomo di cui mi fido, ma questo non vuol dire molto. -
Questo invece vuole dire molto, perché se non ti fidi tu, Denis d’Aguilard,
vuole dire che ci sono dei buoni motivi per non fidarsi. E mi spiace di aver
detto di sì. Avrei dovuto chiederti prima. - Le
mie sono impressioni, Ferdinando, nient’altro. È una buona sistemazione. Dopo
aver percorso il breve tratto di strada che conduce ad Acri, quel che rimane
della compagnia di Chrétien da Bayonne si scioglie. Guillaume di Hautlieu
raggiunge la casa dei templari, Ferdinando segue le truppe del conte e Denis
si mette alla ricerca di una locanda. * Tancrède
d’Espinel ha congedato gli uomini arruolati. Il segretario ha pagato il soldo
pattuito e ora si inchina e se ne va. Tancrède rimane solo. Si fa portare una
brocca di vino e ne beve un bicchiere. Si
chiede che cosa farà, ma il pensiero del futuro gli appare inquietante: la
spada di Damocle della lettera che ha firmato a Damasco condiziona tutte le
sue scelte e lo trascina verso nuovi tradimenti. Tancrède ha l’impressione di
sprofondare in un pozzo nero da cui non potrà più uscire. Beve un altro
bicchiere, mentre dentro di lui sale una rabbia sorda: contro i saraceni,
contro Egbert che non gli ha permesso di spiegare, contro se stesso. Tancrède
si versa un terzo bicchiere, cerca di scacciare le immagini del futuro,
tuffandosi in quelle del passato, rivede Egbert, ricorda i loro abbracci. Il
suo corpo si accende, ma Egbert non può più spegnere l’incendio. Tancrède
pensa al soldato che ha preso come guardia, quel Ferdinando di Siracusa, che
l’altra sera ha acceso i suoi sensi. Spalanca
la porta e dice a un servitore: -
Chiamatemi Ferdinando da Siracusa, la nuova guardia. André
Saint-Martin, che è diventato il capo delle guardie del conte dopo la morte
di Egbert di Hagon, ha spiegato a Ferdinando i suoi compiti. Non sa perché il
conte abbia deciso di prendere con sé questo siciliano appena arrivato in
Terrasanta, ma è sufficientemente saggio da non porsi domande. Ferdinando
ha fatto conoscenza con gli altri soldati, alcuni dei quali hanno
accompagnato il conte nella spedizione fallita. Sono francesi, come in
generale quasi tutto il personale di servizio nella casa del conte. Accompagnando
André Saint-Martin, Ferdinando ha avuto modo di vedere il palazzo ed è
rimasto stupito da quello che gli appare un lusso incredibile: non si
aspettava tanta magnificenza. L’abitazione del conte non può certo
rivaleggiare con la reggia di Gerusalemme o i palazzi dei principali signori
franchi, ma a Ferdinando, che non ha mai visto l’interno di un’abitazione
signorile, appare davvero principesca. A colpire il siciliano sono i cassoni
e gli armadi di quercia, spesso finemente decorati da artigiani arabi, e
soprattutto i tappeti e gli arazzi orientali. Come tanti signori franchi,
Tancrède d’Espinel si è rivolto a maestranze arabe, che hanno creato un
arredamento assai più raffinato di quello in uso in Europa. Ma
la Terrasanta è fonte continua di meraviglie per Ferdinando, che è giunto da
poco e non ha ancora avuto modo di conoscerla. Qui tutto è nuovo per lui:
paesaggi, cibi, sapori, odori, edifici, animali, volti, vestiti. Ferdinando è
curioso, sperimenta volentieri, anche se a volte la diffidenza ha la meglio
sul desiderio di provare qualche cosa di nuovo. Adesso
Ferdinando è nello stanzone delle guardie e sta parlando con Luc, un altro
soldato, quando il servitore inviato dal conte lo raggiunge. -
Ferdinando, il conte ti vuole. -
Eccomi. Ferdinando
segue il servitore fin nella stanza dove si trova il conte. Lo vede che si
sta versando un bicchiere di vino. Il bicchiere è di vetro azzurro, avvolto
da fili d’argento intrecciati. -
Eccoti, Ferdinando. Con
un cenno della testa il conte allontana il servitore. Il luccichio negli
occhi e la voce leggermente impastata dicono a Ferdinando che Tancrède
d’Espinel ha bevuto piuttosto, anche se appare lucido. -
Come ti trovi, Ferdinando? Ferdinando
ha passato nel palazzo del conte poco più di un giorno, ma risponde: -
Bene, mio signore. -
Vuoi bere? E
mentre lo dice il conte gli porge il bicchiere. -
Grazie, signor conte. Ferdinando
prende il bicchiere. Sotto le dita sente l’intreccio dei fili d’argento. Si
porta il bicchiere alla bocca e beve. Gli verrebbe da bestemmiare: questo è
davvero vino, non quel piscio di cavallo che vendono nelle taverne di Acri. C’è
un momento di silenzio. Ferdinando
vorrebbe chiedere al conte perché lo ha fatto venire, ma non vuole apparire
impaziente. Posa il bicchiere. Tancrède d’Espinel lo riempie di nuovo e
glielo porge. -
Bevi, bevi, Ferdinando. Ferdinando
si chiede se il conte non voglia farlo ubriacare, ma ha l’impressione che il
gesto sia stato compiuto senza pensarci. Tancrède d’Espinel sembra non
conoscere il motivo per cui ha fatto chiamare Ferdinando più di quanto non lo
conosca Ferdinando stesso. Ferdinando
beve il secondo bicchiere. È davvero nettare, questo. Ha sempre retto bene il
vino e non corre certo il rischio di ubriacarsi, anche se a stomaco vuoto il
vino gli dà una gradevole sensazione di euforia. - Ti
ho visto lottare, Ferdinando. Il
conte ridacchia. -
Sei bravo. Sai incassare bene. Ma sai anche dare… Il tuo rivale ha avuto la
peggio… Un’altra
risata. Ferdinando non capisce. Il conte lo ha fatto chiamare per dirgli che
lo ha visto lottare con Clovis? Non ha senso. -
Grazie, signor conte. Tancrède
lo guarda, poi scoppia a ridere. - Ti
piacerebbe lottare con me? Una piccola lotta, come l’altra sera… No, senza
pugni, senza colpi… solo per vedere chi manda a terra l’altro… che ne dici,
eh? E
intanto il conte gli riempie di nuovo il bicchiere. Ferdinando prende il
bicchiere e beve, per prendere un momento di tempo. Non può rifiutare. E poi,
perché no? -
Perché no, signor conte? Tancrède
ride ancora. -
Bravo, spogliati. Tancrède
va alla porta e dice al servitore di non disturbare per nessun motivo. Ferdinando
ha iniziato a spogliarsi: si toglie la cinghia che regge la spada, poi si
sfila la tunica, rimanendo nudo. L’idea della lotta lo diverte, ma si chiede
dove il conte intenda andare a parare. In ogni caso dovrà andarci piano: non
può menare il suo padrone. Tancrède
guarda Ferdinando spogliarsi e annuisce. Poi scioglie la cintura che porta
intorno all’ampia tunica in seta ricamata e la lascia cadere a terra. Si
sfila la tunica, rimanendo in calze e camicione, poi si sbarazza degli ultimi
indumenti. -
Vince chi riesce a bloccare l’altro. Ferdinando
vede benissimo che il sangue sta affluendo all’uccello del conte e questo sta
provocando lo stesso effetto su di lui. La lotta prelude a una scopata? Non
era necessario prenderla così alla larga. Ma il conte è il suo signore. -
Avanti, fatti sotto. Ferdinando
si avvicina, poi salta addosso al conte, che non riesce a scansarlo. Finiscono
entrambi a terra, Ferdinando sopra e il conte sotto. Il
conte ride, ma il contatto dei loro corpi sta accendendo il desiderio in
entrambi. Ferdinando blocca le braccia del conte, tenendole allargate. Si
solleva un po’ con la testa e il torace, continuando a premere
sull’avversario con il ventre. -
Temo che la lotta sia già finita, signor conte. Tancrède
ride. - Ho
bevuto troppo… ma non è detto che non riesca a liberarmi. Il
conte è un uomo forte, abituato alla guerra, ma Ferdinando è un Ercole e ora
che ha bloccato il conte, non molla la presa. -
Credo che tu abbia vinto… Ferdinando… Che premio vuoi? Ferdinando
non ha dubbi su ciò che il conte ha in testa, anche perché contro il ventre
sente un uccello teso quanto il suo. Essendo il conte un gran bell’uomo, gli
va benissimo (in realtà anche se non fosse un bell’uomo gli andrebbe bene:
non è troppo esigente quando si tratta di scopare). Però sa che deve essere
il conte a dirlo. Guarda il suo signore negli occhi e dice: -
Quello che deciderete voi di darmi, signor conte. Tancrède
ride ancora. -
Alzati. Ferdinando
molla la presa e si alza. Il
conte guarda Ferdinando, il magnifico cazzo in tiro. Sorride. -
Prenditi il premio, ma vacci piano. Si
volta e apre bene le gambe. Ferdinando
non si fa ripetere l’invito. Sta facendo qualche cosa di cui potrebbe
pentirsi, ma non è più il momento per tirarsi indietro: anche se si ritraesse
ora, potrebbe pentirsi. Si
sputa sulla mano e inumidisce bene la cappella. Poi sputa anche sul culo del
conte e con due dita sparge la saliva sull’apertura, che cede senza fatica
alla pressione: il conte non è nuovo a questo tipo di giochi, ma questo
Ferdinando lo aveva già capito. Ferdinando
avanza il suo formidabile spiedo con lentezza, fino a che questo forza
l’apertura. Allora si ferma, in modo che il conte possa abituarsi alla
pressione che dilata l’anello di carne. Il conte avverte il dolore, ma poco
gli importa della sofferenza: ben più forte è il piacere di sentire
nuovamente dentro di sé una spada di carne che lo trafigge. Mormora: -
Egbert. Ferdinando
ha sentito, ma fa finta di niente. Avanza lentamente verso la meta, spingendo
l’arma più a fondo, sempre più a fondo. Avverte la tensione crescente nel
corpo del conte, in cui dolore e piacere sembrano ora lottare ad armi pari.
Ferdinando si arresta di nuovo, poi procede, questa volta immergendo ancora,
finché sente che non potrebbe più avanzare senza lacerare la carne. Allora
lentamente si ritrae, fino a uscire completamente. Il
conte china la testa. Attende che lo spasimo cessi, che la sensazione di
sollievo provata lasci il posto al desiderio di accogliere ancora quell’arma
micidiale che si appoggia all’apertura, in attesa di forzarla nuovamente.
Quando infine il dolore è svanito, dice: -
Ancora. La
cappella scivola dentro, provocando meno dolore di prima, poi è tutta l’asta
che affonda nella carne, una lama che strazia senza pietà. Nuovamente il
dolore è troppo forte, il corpo del conte si tende e Ferdinando si ferma.
Poi, quando Tancrède d’Espinel si rilassa, l’avanzata riprende e nuovamente
il palo trafigge il culo del conte fino in fondo. Questa volta Ferdinando
rimane un buon momento così e in Tancrède combattono il dolore e il piacere
che quella presenza suscita. Poi Ferdinando si ritrae e nuovamente esce.
Questa volta però non aspetta un segnale per riprendere e affondare l’arma
fino in fondo. Tancrède d’Espinel geme. Ferdinando
inizia a muovere ritmicamente il culo, spingendo ogni volta il cazzo in
avanti, fino a che i coglioni battono contro il culo del conte, e poi ritraendosi
fin quasi a uscire. Ci dà dentro con l’energia che lo caratterizza. Tancrède
sente ondate di piacere salirgli dal culo e ondate di dolore mescolarsi ad
esse. -
Sì. Ferdinando
prosegue, senza cedimenti, senza alterare il ritmo di questo inesorabile avanzare
e ritrarsi. A lungo il soldato cavalca il suo signore, tanto a lungo che a
Tancrède pare di perdersi in una nebbia di un dolore sordo e un piacere
incontenibile. E
infine Tancrède sente che il piacere esplode dentro di lui. Grida: -
Egbert! Ferdinando
imprime un’accelerazione alle spinte. Poco dopo anche lui è percorso da
un’ondata di piacere e viene, scaricando il suo seme nel culo del conte. Ferdinando
rimane un momento disteso su Tancrède. Non sa bene che cosa fare: non è stata
una scopata tra due soldati, questa, il conte è il suo signore. Esce con
cautela, strappando un gemito al conte, e si alza. Tancrède
si volta, rimanendo disteso al suolo, e lo guarda. Ride. -
Dammi da bere. La
caraffa è quasi vuota. Ferdinando versa quanto rimane del vino e porge il
bicchiere al conte, che beve. Tancrède
sta guardando il cazzo di Ferdinando. Pensa che è davvero magnifico. Ci sono
alcuni pensieri disturbanti nella sua testa, ma Tancrède li ricaccia
indietro: sa di non essere sufficientemente lucido. Guarda Ferdinando, quel
corpo possente che lo ha posseduto. Guarda il cazzo, che lentamente ritorna
in posizione di riposo. Ha voglia di pisciare. Pensa che anche Ferdinando
deve averne voglia. Ride. -
Pisciami addosso. Ferdinando
lo guarda. Esita. Tancrède ride dell’imbarazzo di Ferdinando. - È
un ordine. Pisciami addosso. Ferdinando
esegue. Il getto inonda il torace di Tancrède. - In
faccia, ora. Ferdinando
si prende il cazzo con le mani e dirige il getto verso il viso di Tancrède,
che chiude la bocca e gli occhi. Quando Ferdinando ha finito, Tancrède dice: -
Ora vai. Che nessuno entri. Ferdinando
si riveste, si inchina ed esce. Tancrède
rimane disteso sul pavimento. Ha bisogno di pisciare. Lascia che il getto
scorra sul pavimento, allargando la pozza che il piscio di Ferdinando ha
creato. Intanto si lecca le labbra, per sentire il gusto. Nella
camerata, Ferdinando cerca di mettere ordine nelle proprie idee. Non si
aspettava quello che è successo. Il conte era un po’ alticcio. Ma questa sera
stessa, ripensando a quanto è accaduto, o magari domani mattina, quando sarà
sobrio, come la prenderà, che cosa farà? Scopare il signore gli è piaciuto,
ma Ferdinando si chiede se non si è cacciato in un guaio. Denis
è seduto sul lettuccio su cui dorme. Charles gli ha detto che contava di
passare da lui e Denis attende. Non sempre Charles riesce a mantenere gli
impegni presi, ma Denis sa essere paziente. Denis
sente dei passi sulle scale e la porta si apre. Denis sorride. Gli sembra che
la stanza si sia illuminata: la presenza di Charles porta davvero la luce
nella sua camera, nella sua vita. - Ce
l’ho fatta. Quello stronzo di Renaud si è levato dai coglioni e sono potuto uscire
senza preoccupazioni. Charles
vuole evitare che suo fratello venga a sapere della loro relazione, per
questo si vedono solo nella locanda. Denis trova le preoccupazioni di Charles
eccessive: non c’è motivo per non farsi vedere insieme per le strade, in
fondo potrebbero essere amici. Ma non vuole contrariare l’uomo di cui si è
innamorato. Denis
si è alzato e Charles lo bacia sulle labbra. Denis però spinge la sua lingua
tra i denti di Charles e il loro bacio diventa ardente. Le
mani di Charles sollevano la tunica di Denis, la fanno passare oltre il capo
e la gettano a terra. Denis non indossa altro. Charles stringe il corpo di
Denis, lo accarezza, lo bacia ancora. Poi si stacca e gli sorride. -
Spogliami. Denis
mette le mani sulle cosce di Charles, afferra la stoffa e la solleva,
sfilando la tunica. Ma quando la tunica copre la testa di Charles, Denis lo
stringe tra le braccia e lo bacia attraverso la stoffa. Charles ride. Denis
lo spinge sul letto e si stende su di lui, tenendolo prigioniero nel suo abbraccio.
Poi solleva ancora la tunica, scoprendo il viso di Charles. Lo contempla un
momento, prima di baciarlo di nuovo sulla bocca. Le sue labbra scendono fino
ai capezzoli e incominciano a succhiare prima l’uno, poi l’altro. I denti
mordicchiano leggermente e Charles geme. Ha ancora le braccia bloccate dalla
tunica, sopra la sua testa, ma finisce di sfilarsela e la fa cadere a terra.
Le sue mani si posano sul capo di Denis e lo accarezzano. La lingua di Denis
percorre il corpo di Charles, scorrendo fino all’ombelico e poi scendendo
ancora. La sua bocca avvolge il cazzo di Charles e le sue labbra prendono a
succhiare. Intanto le sue mani sfilano gli ultimi indumenti. Ora
sono tutti e due nudi. Charles è steso supino sul letto e Denis lo contempla.
In tutti e due il desiderio si è acceso. Denis solleva la gamba destra di
Charles e se l’appoggia su una spalla, poi fa lo stesso con l’altra.
Accarezza il culo di Charles, snello e muscoloso, appena velato nel solco da
una peluria molto leggera. Contempla gli occhi chiari di Charles, il suo
sorriso, poi si china a posare le labbra sulle palpebre, sulle guance, sulla
bocca. Bagna
con la saliva la punta di due dita e inumidisce l’apertura che gli si offre.
Avvicina la cappella al buco e con lentezza la introduce, fino a che la vede
scomparire. Guarda il sorriso di Charles. Gli piace scopare Charles in questo
modo, perché gli piace vederlo in faccia mentre lo prende, leggergli in viso
le sensazioni intense che prova quando Denis lo possiede. Gli piace
contemplare Charles. Le
mani di Denis percorrono il petto di Charles, stringono i capezzoli,
scivolano sul ventre, indugiano sul cazzo che è ormai teso. Poi Denis prende
a spingere, avanzando fino in fondo e ritraendosi, mentre Charles lo
incoraggia con i suoi gemiti. Denis continua ad accarezzare il corpo che sta
possedendo, dal viso alle cosce, dalle braccia al cazzo. A tratti si china,
in modo da riuscire a baciare Charles. E
quando infine sente che il piacere esplode dentro di lui, chiude gli occhi,
ma nella sua mente rimane l’immagine del viso di Charles. Denis viene,
squassato dal piacere, e il suo seme si rovescia nel culo di Charles. Ora
che la tensione si è sciolta, Denis afferra il cazzo di Charles con la mano e
con un movimento vigoroso porta anche Charles a godere. Il seme si sparge sul
ventre del giovane. Denis vi passa un dito e lo porta alle labbra. Adesso
Denis e Charles sono entrambi distesi sul letto. Sono ancora nudi e sul
ventre Charles ha il seme che ha sparso. Denis pensa che è bellissimo
rimanere così, sazi di piacere, ma non del contatto tra i loro corpi. La sua
mano stringe quella di Charles. -
Hai sentito la novità, Denis? -
Quale? La cattura di Reginaldo di Antiochia? Da
giorni è giunta la notizia che i saraceni hanno catturato Reginaldo di Châtillon,
principe di Antiochia, e ora minacciano la città. Charles
scuote la testa. -
No, quella non è più una novità. Pare che re Baldovino intenda intervenire in
soccorso di Antiochia, per evitare che cada in mano ai saraceni. Denis
si mette a sedere. - O
per prendere il controllo della città. Mi chiedevo se l’avrebbe fatto. Per me
è un’ottima notizia. -
Renaud la pensa allo stesso modo. - Tu
no? Charles
alza le spalle. -
Siamo appena tornati da una spedizione fallimentare. Non mi spiacerebbe
starmene un po’ tranquillo, ma so che Renaud ha ragione: è un’occasione che
non possiamo permetterci di perdere. Aspettiamo solo che arrivi nostro
fratello Olivier, che sarà qui a giorni, poi ci uniremo tutti e tre
all’esercito del re. Charles
fa una pausa, poi aggiunge: -
Anche tu pensi di arruolarti, vero? -
Certo. Non ho voglia di mettermi al servizio di qualche signorotto come il
conte d’Espinel e se non si combatte non posso fare altro. Non posseggo
nulla, lo sai. In qualche modo devo pur guadagnarmi da vivere. - Noi
non avremmo bisogno di combattere sempre, se non fosse che Renaud è
ambizioso: vuole fare strada e schiuma di rabbia perché non ci riesce. - Ma
gli affidano spesso il comando di alcune truppe. Charles
guarda il soffitto e sbuffa. -
Non gli basta che riconoscano il suo valore come guerriero e le sue doti di
capitano. È troppo poco per le sue aspirazioni. - È
ancora giovane. Quanti anni ha? -
Ventotto. Ma quando ha fatto il passaggio ed è arrivato qui in Terrasanta,
credeva di diventare in fretta barone o almeno comandante delle truppe di
qualche signore importante. -
Può ancora riuscirci. Magari questa campagna gli fornirà l’occasione per
realizzare le sue aspirazioni. Charles
si alza, si dà una rapida lavata e incomincia a rivestirsi. Denis lo guarda.
Gli piace guardare Charles mentre si veste o mentre si spoglia, gli piace
guardarlo quando è nudo e quando è vestito. C’è un’eleganza naturale nei
movimenti di Charles, la tranquilla sicurezza dell’uomo consapevole della
propria bellezza. Vicino a lui Denis si sente inadeguato, gli sembra che i
suoi gesti manchino di quella grazia che contraddistingue ogni movimento di
Charles. Denis sa di essere solo un soldato, anche se proviene da una
famiglia nobile. Charles è davvero nobile. Mentre
si veste, Charles dice: -
Adesso Renaud vuole che mi sposi. La
notizia è un fulmine a ciel sereno. Denis rimane paralizzato. Non si
aspettava certo che Charles avesse progetti matrimoniali. -
Che tu ti sposi? Ma hai appena ventidue anni. È la
prima obiezione che gli è venuta in mente. Non ha molto senso, perché è
un’età a cui molti sono già sposati, ma Denis fa fatica ad accettare l’idea
che Charles si sposi. -
Sì, spera che un buon matrimonio possa contribuire alla fortuna della
famiglia. Denis
cerca di nascondere il turbamento che ha provocato in lui la notizia. -
Perché non si sposa lui, allora? -
Vorrebbe sposarsi, ma le donne che gli interessano, quelle che potrebbero
servirgli per salire in alto… sono troppo in alto per uno come lui. Magari se
con il mio matrimonio saliamo qualche gradino… sporgendosi riesce ad
afferrarne una… Charles
scoppia a ridere. Charles
non sembra dare molta importanza al matrimonio. Pare che per lui sia solo un
fastidio, nulla di più. Denis si dà dello sciocco. Eppure l’idea che Charles
si sposi lo disturba. Il matrimonio pone obblighi ben precisi: è un impegno,
per quanto uno possa prenderlo alla leggera. Denis
non ha mai pensato al matrimonio. Sa che prima o poi dovrà sposarsi, per
avere un erede, se riuscirà a raggiungere una buona posizione. Ma adesso è
soltanto un soldato, apprezzato dai pochi che lo conoscono e senza niente in
mano, se non la sua spada. Non avrebbe senso cercare moglie ora, visto che le
donne non gli interessano. Quando
Charles infine è pronto, Denis decide anche lui di rivestirsi, perché vuole
uscire. Mentre è seduto sul letto, Charles si china su di lui e gli sorride. -
Non fartene un cruccio, Denis. C’è tempo, non mi sposo mica prima di partire.
La mia promessa avrà sì e no dodici anni. Magari quando torniamo Renaud avrà
cambiato idea. Chi può sapere che cosa succederà mentre saremo via? E poi,
anche se non riuscissi a evitarlo, che importanza ha? Charles
lo bacia e se ne va. Sulla porta gli fa ancora un cenno di saluto. Denis
attende un momento, come gli ha chiesto Charles, poi esce anche lui dalla
locanda. * Clovis
sta bevendo vino in una taverna di Acri. Guarda la gente che passa per la
strada, mentre il buio cala. C’è un continuo viavai di gente, alcuni vestiti
all’europea, altri con gli abiti orientali; ci sono cristiani, ebrei,
musulmani, franchi, arabi, armeni, neri. Ce n’è per tutti i gusti e tutti i
colori. Clovis guarda una bella donna che cammina sicura, seguita da due
serve. Clovis pensa che se le farebbe volentieri tutt’e tre, ma sa che per
uno come lui la padrona è irraggiungibile. Al massimo potrebbe provare con le
domestiche, sono giovani e graziose, soprattutto quella bruna. Clovis le
sorride e fa il gesto di mandarle un bacio, ma la donna lo ignora
ostentatamente. Clovis
sputa per terra. Chi crede di essere quella puttana? È solo una serva, magari
una schiava. Clovis
è di cattivo umore, come sempre in questi giorni. Roger da Albi lo ha
sputtanato, raccontando a tutti che lui lo ha abbandonato. Ma Roger era
ferito, per un po’ erano riusciti a farlo camminare, poi era diventato un
peso morto. I saraceni potevano essere alle loro calcagna, che senso avrebbe
avuto crepare per cercare di salvare Roger a tutti i costi? Se quello stronzo
di Ferdinando non fosse intervenuto, Roger sarebbe schiattato e nessuno ne
avrebbe saputo niente. Vicino
a Clovis è seduto Gilles, un altro soldato, che gli chiede: -
Che hai, Clovis? Sei sempre così tetro. -
Non rompermi i coglioni, Gilles. - Ti
brucia che Ferdinando ti abbia battuto, eh? -
Quello stronzo… uno di questi giorni… -
Guarda un po’. Parli del diavolo e spunta la coda. Eccolo lì che arriva. Ben
vestito, adesso. È al servizio di un conte, lui. -
Quel pezzo di merda… Clovis
ha portato la mano al pugnale. Ferdinando
passa davanti alla taverna senza badare ai bevitori. Clovis
si alza. Mormora: -
Oggi saldo un conto… -
Prima salda quello della taverna. Clovis
butta una moneta sul tavolo, poi si allontana. Gilles gli dice: -
Bada a quel che fai, Clovis. - Te
l’ho già detto, Gilles: non rompermi i coglioni. Clovis
segue Ferdinando. Si tiene a una certa distanza, per evitare di essere visto
dal siciliano. Se Ferdinando si infilerà in qualche stradina secondaria, dove
c’è meno gente in giro, forse potrà arrivargli alle spalle e tagliargli la
gola senza che nessuno lo veda. Ferdinando
va diritto per la sua strada, senza pensare che qualcuno lo stia seguendo.
C’è ancora gente e non è abbastanza buio perché Clovis possa essere sicuro di
colpirlo senza essere scoperto. Ferdinando
arriva infine al palazzo del conte d’Espinel ed entra. Clovis sputa per
terra, mentre guarda il portone. -
Che hai Clovis? La
voce lo fa sobbalzare. Clovis si volta. È Onfroi, con cui ha combattuto in
passato. - Ho
visto entrare un pezzo di merda nel palazzo del tuo padrone. - Chi,
Ferdinando da Siracusa? Clovis
guarda Onfroi. -
Proprio lui. -
Non piace neanche a me. È entrato nelle grazie del conte, è sempre con lui. E
qualche settimana fa il conte neanche conosceva la sua esistenza. - Ho
un conto da saldare con lui. E
mentre lo dice, Clovis appoggia la mano sul pugnale. Onfroi
rimane un attimo in silenzio. Poi dice: -
Domani sera il conte è a cena dal barone Étienne di Tiro. Se il conte non si
fa accompagnare da lui, Ferdinando se ne va a spasso. Quasi di sicuro va alla
taverna della Luna. Clovis
annuisce. -
Grazie per l’informazione. * Renaud
e Charles di Soissons aspettano ad Acri l’arrivo del loro fratello minore,
Olivier. La nave su cui dovrebbe essersi imbarcato sta avvicinandosi al
porto. Renaud parla a suo fratello, riprendendo un discorso che ha già
affrontato più volte: -
Allora, Charles, non pensi che la piccola Jeanne Longuemain possa essere un
buon partito? - È
una bambina e non è neanche una grande bellezza. -
Che importa? Quello che conta è ben altro: Jacques Longuemain è un ricco
mercante e sarebbe ben felice di vedere la figlia sposata con un cavaliere,
sia pure uno senza terre. -
Non mi sembra che questo ci aiuterebbe molto. -
Non dire stupidaggini. Una maggiore disponibilità di denaro ci permetterebbe
di arruolare più uomini, di ottenere una parte maggiore del bottino e di fare
più rapidamente strada. - In
modo che tu possa sposare una nobildonna. Mentre io mi tengo la figlia di un
mercante. Renaud
è irritato dalla resistenza di Charles ed è evidente nel tono della sua voce. -
Non puoi pensare di riuscire a sposare una Hélène di Tiro. Suo fratello
Étienne non la concederebbe mai, né a te, né a me. Donne come lei vanno a
uomini che hanno un'altra posizione sociale. Charles
scuote le spalle. - Non
mi interessa. Posso fare a meno di sposarmi. -
Merda! Perché sei così ostinato, Charles? Vuoi continuare per tutta la vita a
succhiare cazzi e prenderteli in culo? Puoi continuare a farlo. Un matrimonio
non te lo impedisce. Charles
è rimasto senza parole. Temeva che Renaud sospettasse qualche cosa, ma non
che fosse così bene informato. Renaud
prosegue: -
Questo matrimonio ci serve. Tu devi sposare Jeanne. La
nave intanto ha completato la manovra di avvicinamento. Olivier è ben
visibile sul ponte. Charles
dice, per deviare il discorso: -
Ecco Olivier, infine! Renaud
sibila: - Ne
riparleremo. I
due fratelli rimangono in silenzio finché Olivier non scende dalla nave e,
dopo aver alleggerito la sua borsa per superare la barriera dei funzionari di
dogana, si avvicina loro. Dopo i saluti e le informazioni sul viaggio,
Olivier chiede: - E
come vanno le cose? La spedizione a cui vi accingevate è andata a buon fine? -
Siamo sopravvissuti per miracolo. I nostri uomini sono stati massacrati quasi
tutti. - E
noi avremmo fatto la stessa fine, se non fosse intervenuto un giovane soldato
che ci ha guidati alla salvezza. Mentre
Charles dice queste parole, Renaud gli lancia un’occhiata. Charles ha
l’impressione che Renaud sappia benissimo quali sono i suoi rapporti con Denis. Renaud
riprende: -
Avremo presto un’altra possibilità: Reginaldo di Antiochia è stato catturato
e il re intende guidare una spedizione in soccorso della città. Ne faremo
parte anche noi. Sei giunto appena in tempo. Renaud
sorride e conclude: - E
appena in tempo anche per il fidanzamento di Charles, che al ritorno dalla
spedizione sposerà una ricca ereditiera. Charles
guarda Renaud, chiaramente infastidito. Olivier osserva: -
Che hai, Charles? Si direbbe che l’ereditiera non ti vada a genio. Risponde
Renaud, senza lasciare a Charles il tempo di parlare. -
Non è una questione che gli vada a genio o no. Non ha nessuna importanza. È
la figlia di un ricco mercante e noi abbiamo bisogno di soldi. * Il
conte è uscito e Ferdinando si dirige alla taverna della Luna. Non è una
grande taverna, ma, anche se fotte il conte, il siciliano riceve la paga
degli altri soldati e non ha molto da spendere. Ferdinando
ha comunicato a Denis e Guillaume che ha una serata di libertà: se potranno,
verranno anche loro alla taverna. Guillaume lascia raramente la sede
dell’ordine, se non per eseguire qualche compito che gli viene affidato, ma
Denis può disporre liberamente del suo tempo e spesso tiene compagnia a
Ferdinando nelle serate in cui non ha impegni. Quando
Ferdinando arriva, non c’è nessuno di sua conoscenza. Ferdinando si siede a
un tavolo all’aperto, godendosi il fresco della sera. Denis arriva poco dopo. -
Come stai, Denis? -
Bene. Senti, Ferdinando, arrivando qui ho visto Clovis. - E
allora? -
Non è qui per caso. Ti sta spiando, nascosto dietro un angolo. -
Porcoddio! Quel… Ferdinando
fa per girarsi, ma Denis gli dice: -
Rimani fermo. Non deve sospettare che ti sei accorto di lui. -
Che cosa pensi che intenda fare? - Ammazzarti
in qualche viuzza. -
Non è meglio se vado da lui? Così risolviamo la questione una volta per
tutte. -
Prima verifichiamo quali sono davvero le sue intenzioni. Denis
e Ferdinando discutono un momento sul da farsi. Intanto arriva anche
Guillaume, che è potuto uscire. Denis gli spiega la situazione. Un’ora
dopo, Guillaume e Denis salutano Ferdinando e se ne vanno. È ormai buio e c’è
poca gente per le strade. Ferdinando si alza. Sembra aver bevuto troppo,
perché barcolla un po’. Si
dirige verso il palazzo del conte, ma non appena ha svoltato l’angolo,
dall’ombra esce una figura che fa per avventarsi su di lui, con il pugnale
sollevato. Prima che l’uomo abbia potuto colpire, altre due figure lo
afferrano, bloccandogli il braccio. Ferdinando
si è voltato, sfoderando il pugnale. -
Sei un vigliacco, Clovis. Volevi prendermi alle spalle! Lasciatelo, adesso,
che ce la vediamo noi. Denis
e Guillaume lasciano Clovis. -
Risolviamo la questione una volta per tutte, Clovis. Ferdinando
si mette in guardia, con il pugnale in mano. Clovis lo osserva, poi scruta le
due figure che si sono fatte da parte. Si mette anche lui in guardia, come se
si disponesse a combattere, ma poi con uno scatto si volta e corre via. -
Porcoddio! Che coniglio! - Un
coniglio pericoloso, Ferdinando. Sta’ attento! * Jacques
Longuemain ha al collo il ciondolo che Tancrède conosce bene, ma questa volta
non serve: ha già visto il mercante; ha già ricevuto da lui ordini che ha
eseguito puntualmente. - Il
sovrano di Gerusalemme sta preparando una spedizione. Voi, come tutti i suoi
fedeli vassalli, ne farete parte. Tancrède
d’Espinel non ha ricevuto terre in feudo dal re e quindi non ha fatto
giuramento di fedeltà: non è un vassallo del re di Gerusalemme e nulla lo
obbliga a combattere. Ma l’ordine viene da Damasco e Tancrède non può dire di
no a quest’uomo che odia. Il
conte annuisce. - Vi
servirà denaro per arruolare gli uomini necessari. Come
la volta precedente, Longuemain ha una borsa piena d’oro. Ora però non ne
mostra il contenuto: non è più necessario. Si limita ad appoggiarla sul
tavolo. Tancrède pensa a un’altra borsa, quella che ha provocato la morte di
Egbert. Freme di rabbia. Vorrebbe uccidere quest’uomo. -
Obbedirò. Ma non faccio parte della cerchia del re, non sono tra i suoi
consiglieri: di certo non avrò modo di conoscere i suoi piani. - Vi
diremo noi che cosa dovete fare. Con voi viaggeranno due uomini fidati. Uno
lo conoscete già, l’altro si presenterà se necessario. Il
mercante si inchina e saluta. Poco
dopo Ferdinando viene convocato dal conte. Ferdinando sa benissimo che cosa
Tancrède d’Espinel vuole da lui: dopo la prima volta, è stato chiamato quasi
tutte le sere. I compagni incominciano a guardarlo con diffidenza,
chiedendosi perché questo nuovo arrivato ha tanta familiarità con il conte,
che lo vuole con sé ogni giorno. Ferdinando
entra e s’inchina, ma vede subito che c’è qualche cosa che non funziona: il
conte appare furibondo, anche se non dice nulla. Ferdinando si chiede se può
aver combinato qualche guaio, ma non gli sembra. Di sicuro non ha parlato ad
anima viva dei loro rapporti: sa che gli conviene tenere la bocca chiusa.
Dell’incontro con Clovis nessuno sa nulla, a parte Denis e Guillaume, ma in
ogni caso non è successo niente che possa provocare l’ira del conte. Il
conte si avvicina. Apre la bocca per parlare, poi la richiude. -
Merda. Ferdinando
chiede: -
C'è qualche cosa che non va, mio signore? Posso aiutarvi? Tancrède
d’Espinel ha un ghigno. -
Aiutarmi? Scuote
la testa. Poi afferra la borsa piena d’oro e la sbatte a terra. I legacci
sono ben stretti e le monete non si spargono: si sente solo il loro rumore
metallico. Ferdinando
si chiede se deve raccogliere la borsa. Con
movimenti bruschi, Tancrède d’Espinel incomincia a spogliarsi e intanto gli
dice: -
Togliti i vestiti, stronzo. Ferdinando
incassa l’insulto: che altro potrebbe fare? Non è il caso di mostrarsi
suscettibili con il proprio signore, anche se gli pare di non aver fatto
nulla per meritare l’offesa. Ferdinando obbedisce. Vedere il conte nudo gli
ha fatto affluire il sangue al cazzo, che già si sta tendendo. Il
conte si avvicina. Per un momento Ferdinando ha l’impressione che Tancrède
voglia picchiarlo. Non ha intenzione di lasciarsi colpire senza ragione. Ma
il conte gli dice: -
Dammi un pugno nello stomaco. Poi,
di fronte all’esitazione di Ferdinando: -
Muoviti, stronzo. Ferdinando
conosce il proprio vigore, perciò colpisce cercando di dosare le forze.
Nonostante il pugno non sia stato vibrato con decisione, Tancrède si piega in
due, barcollando. -
Ancora, stronzo, ancora. Più forte. Ferdinando
esita: -
Muoviti, ce li hai i coglioni? Ferdinando
colpisce di nuovo, con maggiore decisione. Tancrède ha una nuova smorfia di
dolore e si appoggia a lui per non cadere. -
Fottimi, stronzo. Fottimi. Ferdinando
non capisce che cosa stia succedendo, ma la richiesta è chiara. Spinge contro
il tavolo Tancrède, che ancora si tiene le mani sul ventre. Lo volta e lo fa
appoggiare, poi avvicina la cappella al buco: è già pronto. -
Vacci deciso, stronzo. Ferdinando
si infila in bocca due dita, le introduce nell’apertura per inumidirla, le
toglie e poi spinge il suo cazzo dentro il buco senza troppe cerimonie, anche
se non con violenza. Il conte sussulta ed emette un gemito. -
Sì, cazzo, sì! Così. Spaccami il culo. Ferdinando
spinge in avanti, affondando nella carne, fino a che i coglioni battono
contro il culo del conte. Tancrède si dibatte, come se volesse sfuggire al
palo che lo infilza. Ferdinando sa benissimo che, per quanto il conte possa
ormai essersi abituato a farsi inculare, un ingresso così deciso non può non
provocare dolore. Ma se questa sera quello che il conte vuole è sofferenza,
Ferdinando gliela darà. E infatti Tancrède non dice alla sua guardia di smettere:
lo incita invece a spingere con maggior forza. -
Dacci dentro, merda! Dacci dentro! Più forte, stronzo! Ferdinando
fotte il conte con tutta l’energia di cui sa dare prova, implacabile. Avanza
fino in fondo e poi si ritrae, abbandonando il fodero caldo che accoglie il
suo cazzo, per poi riempirlo nuovamente, mentre Tancrède geme e sussulta a
ogni ingresso. Ma, nonostante la tensione del desiderio, nella testa del
siciliano scorrono pensieri e domande. Il conte sta scendendo lungo una china
e si serve di Ferdinando come strumento in questa discesa. Lo trascinerà con
sé nel baratro? Le
sensazioni crescono di intensità e alla fine cancellano tutti i pensieri,
mentre le spinte sempre più violente premono Tancrède contro il tavolo,
strappandogli gemiti. Tancrède
sente il dolore crescere, mentre il cazzo di Ferdinando dilania le sue
viscere. La sofferenza è intollerabile, ma il conte incoraggia ancora il
siciliano. Vuole più dolore. Infine
il seme di Ferdinando si rovescia nelle viscere del conte, che grida. Quando
infine Ferdinando si ritrae, Tancrède scivola a terra, in ginocchio. Dalla
bocca gli cola un po’ di saliva, dal culo qualche goccia di sangue.
Ferdinando si guarda la cappella, sporca di sangue e merda. Guarda il suo
signore. Il
conte prende in bocca il cazzo ancora turgido del soldato e lo pulisce con
cura. Poi congeda Ferdinando. * Il
fidanzamento di Charles di Soissons avviene prima della partenza per la
spedizione. Jeanne ha compiuto dodici anni pochi giorni fa, è appena una
ragazzina. Il matrimonio non si celebrerà prima di due anni. Ma il legame
viene ufficializzato con una grande festa. Jeanne
appare pensosa, intimidita dalla folla. Charles la guarda appena: non ha
voglia di occuparsi di questa bambina. Si limita a rivolgerle due parole di
cortesia ogni tanto. Jacques Longuemain gli ha assicurato che sua figlia è
una fanciulla timorata e rispettosa, educata all’obbedienza. Al
banchetto di nozze partecipano soprattutto guerrieri e mercanti. Renaud ha
invitato anche quei pochi nobili sulla cui presenza sapeva di poter contare,
come il conte d’Espinel, con cui ha combattuto più volte. Le famiglie più
importanti di certo non si scomodano per il fidanzamento della figlia di un
mercante con un guerriero, sia pure di famiglia nobile. Denis è tra gli
invitati. Agli altri appare sereno, come sempre, ma dentro è tormentato da
pensieri cupi. Sa che questo matrimonio non dipende dalla volontà di Charles
e che è solo una questione di interesse. Non servirà ai fratelli di Soissons
per migliorare la loro posizione sociale, perché Longuemain non è nobile, ma
certamente porterà molto denaro: il mercante è ricchissimo, tutti sanno che
ha accumulato una fortuna immensa grazie al commercio con la Siria e
l’Egitto. E ora può realizzare il sogno di imparentarsi con un nobile. Ma in
questo modo dà sua figlia a un uomo a cui non importa nulla di lei. Ogni
tanto Denis guarda la ragazza. Prova pena per questa giovinetta, poco più di
una bambina. I
fidanzati sono seduti a un lungo tavolo, insieme ai parenti. Le
portate si susseguono, una dopo l’altra, mentre i musici suonano i loro
strumenti e intonano canzoni. Alcune parlano della partenza per Gerusalemme,
altre d’amore. La
nuova stagione, maggio, le viole, gli
usignoli, mi invitano a cantare, e il
mio nobile cuore mi fa un dono d’amore così
dolce che non oso rifiutarlo. Ora
Dio mi conceda di salire all’alto onore: di
tenere una volta tra le mie braccia nude, colei
in cui sono il mio cuore e i miei pensieri, prima
di andarmene oltremare… Denis
conosce questa canzone, che viene dalla sua terra. Parla di un uomo che
prende la croce per il passaggio oltremare e pensa alla donna che ama. Denis
guarda Charles, poi distoglie gli occhi: non vuole che nessuno possa
sospettare ciò che prova. Quando
il banchetto ha termine e incominciano le danze, Charles balla con la sua
fidanzata. Denis li guarda, poi scivola via, senza salutare nessuno. Il ballo
non fa per lui e l’atmosfera della festa gli dà fastidio. La partenza per la spedizione è ormai vicina. È mattina. Nel palazzo del conte
d’Espinel, Ferdinando è seduto nel salone delle guardie. In questo momento
non ha nessun compito da eseguire: il siciliano deve rimanere sempre a
disposizione del conte, che però lo manda a chiamare quasi solo la sera.
Ferdinando ne approfitta per riflettere. Per quanto abbia la tendenza a
prendere la vita come viene, senza meditare su ciò che avviene, ora
Ferdinando sente il bisogno di mettere ordine nelle sue idee, perché la
situazione che vive lo mette a disagio. Ferdinando scopa ogni sera il suo
signore e questo gli andrebbe benissimo: Tancrède è un bell’uomo e il
siciliano è ben contento di fotterlo. Ma c’è altro. Tancrède si fa menare, si
fa pisciare addosso. Anche di questo Ferdinando non si preoccuperebbe: per
quanto riguarda il sesso, ha davvero provato di tutto e quasi tutto gli
piace. Ma per Ferdinando il sesso è gioco e piacere, mentre per Tancrède la
sofferenza e l’umiliazione non sembrano essere un mezzo per godere. Pare
quasi che il conte voglia punirsi. Ormai Ferdinando mal sopporta i bruschi
sbalzi d’umore del suo signore, le sue richieste sempre più strampalate,
l’aggressività immotivata. Più volte ha pensato di andarsene. Mentre è immerso in queste riflessioni,
Ferdinando riceve l’ordine di presentarsi da Tancrède d'Espinel. Di solito il
conte lo convoca nel pomeriggio o la sera. Che cazzo vorrà a quest’ora? Il conte ha bevuto troppo, come sempre
più spesso accade. Regge bene il vino, ma quando beve viene fuori il peggio
di lui. - Vieni con me, Ferdinando. Questa
mattina facciamo provare qualche cosa di nuovo al piccolo Louis. Il piccolo Louis è il figlio di uno dei
servitori. Ha dieci anni. Ferdinando non capisce. Solo quando, entrando nella
camera da letto del conte, vede il bambino legato e imbavagliato, con le
brache abbassate, intuisce. Si irrigidisce. Ferdinando non è tipo da andare
tanto per il sottile quando si tratta di scopare: se il bisogno preme, può
benissimo imporsi. Ma con un bambino no, di sicuro. - Che intendete fare, signor conte? Tancrède d’Espinel ride. - Adesso gli fai assaggiare il tuo
cazzo. Voglio vedere che faccia fa. Poi lo fotto anch’io. Ferdinando guarda gli occhi del
ragazzino, terrorizzato. Dice, forte: - No. Il sorriso di Tancrède si spegne. Sul
suo viso ora c’è un’espressione rabbiosa. - Tu lo fai. È un ordine. - Non se ne parla neanche. Ferdinando prende il pugnale e si mette
a tagliare i legacci che bloccano il bambino. Tancrède osserva un attimo, poi lo
afferra e cerca di fermarlo. Ferdinando lo spinge a terra e conclude l’opera.
Quando Tancrède gli è di nuovo addosso, Ferdinando lo colpisce con un pugno
che lo getta sul pavimento. Il sangue cola dal naso del conte. Ferdinando fa uscire il bambino. Tancrède urla: - Guardie! Entrano i due uomini di guardia. - Sbattete fuori questo pezzo di merda.
Non è più al mio servizio. Che se ne vada subito. I due uomini accompagnano Ferdinando
nel salone delle guardie. Agli altri soldati non dispiace che Ferdinando
venga cacciato: il siciliano non è molto amato dagli uomini del conte, per la
familiarità che ha con il loro signore. Ferdinando passa più tempo con il
conte dello stesso André Saint-Martin, che pure è il capo delle guardie, al
suo servizio da molto tempo. Onfroi, una delle guardie gli dice,
ridendo: - Si vede che al conte non piace più la
tua faccia. Ferdinando risponde d’impulso, senza
pensare: - O che a me non piace più il suo culo. Ferdinando si pente subito della sua
irruenza. Ha già raccolto le sue cose e si dirige verso l’uscita. Onfroi
grida: - Ehi, ripeti quello che hai detto. Senza voltarsi, Ferdinando chiude la
mano a pugno, con il pollice infilato tra il medio e l’anulare, la alza per
mostrarla bene a Onfroi e con questo saluto osceno se ne va. Qualcuno riferirà le sue parole e il
conte gliela farà pagare. Ferdinando si dà della testa di cazzo, ma ormai è
tardi. * Gli uomini del conte d’Espinel si
chiedono che cosa abbia oggi il loro signore. In giornata, dopo che ha
licenziato Ferdinando, ha alternato momenti di apatia a scatti di rabbia, in
cui insultava chi gli era vicino. Ha anche scagliato una coppa addosso a un
servitore. Verso sera Tancrède chiama André
Saint-Martin. - André, ho un compito da affidarti. - Ditemi, mio signore. Tancrède rimane in silenzio. Poi
riprende: - Posso fidarmi di te? - Certamente, mio signore. - Posso davvero contare sulla tua
assoluta discrezione? - Sì, signor conte. - Bisogna che Ferdinando da Siracusa
muoia. Il conte non dice altro. Fissa André
con uno sguardo torvo e il capo delle guardie, che pure è un uomo coraggioso,
si sente a disagio. Il siciliano non gli è mai stato simpatico, ma non è
contento del compito che gli è stato affidato: una cosa è combattere e
uccidere in battaglia o in duello, un omicidio è un’altra faccenda. Ma André
Saint-Martin sa di non avere alternative. Si inchina. - Provvederò, mio signore. - Bada, che nessuno ne sappia nulla.
Nessuno. Bada! La minaccia nella voce e nello sguardo
ora è ancora più forte. Non occorre che il conte dica altro: se qualcuno
venisse a sapere, la testa di André varrebbe ben poco. - Sarà fatto. André Saint-Martin pensa a come
eseguire il compito assegnato. È meglio che a farlo non sia un uomo del
conte. Ma André non conosce assassini. Potrebbe chiedere a uno dei suoi
uomini, ma deve fare attenzione: più persone sono a conoscenza della
faccenda, maggiori sono i rischi. André passa in rassegna mentalmente gli
uomini della guardia personale del conte. Onfroi gli sembra il tipo adatto:
detesta Ferdinando, frequenta gente di ogni risma e ha amicizie poco
raccomandabili, tanto che in alcune occasioni André si è chiesto se non fosse
meglio licenziarlo. Ora gli tornerà utile. André lo fa chiamare. - Ditemi, comandante. - Onfroi, so che Ferdinando da Siracusa
non ti stava simpatico. - E a chi stava simpatico quel
leccaculo, comandante? Era riuscito a entrare nelle grazie del conte, ma
grazie al cielo il signore lo ha preso a calci in culo. - Credo che Ferdinando… il conte vuole
essere sicuro che quel figlio di puttana non andrà in giro a inventare
storie. Onfroi pensa di aver capito, ma
verifica: - C’è un solo modo per essere sicuri
che un uomo non racconterà storie. - E cioè? - Metterlo nella fossa. André annuisce. - Sì. Bisogna trovare la persona
adatta. Il conte non deve essere coinvolto in nessun modo. - Posso occuparmene io, insieme a
Clovis: un soldato che ha buoni motivi per odiare Ferdinando. - Ottimo. Sarai ricompensato per
questo. * - Lo so, Denis. Non occorre che tu lo
dica. Sono una testa di cazzo. Lo so benissimo. Denis sorride: - Non posso che dichiararmi d’accordo
con te. Ferdinando annuisce. Ha raccontato
tutto a Denis, senza tacere nulla: lui e Guillaume sono gli unici di cui si
fida davvero e Denis non è tipo da scandalizzarsi. - E adesso? Credo che il conte me la
farà pagare. - Forse è meglio che tu ti sistemi qui.
Puoi dormire con me, divideremo la camera. Cerca di non uscire molto. Domani
farò qualche giro in città per sentire che cosa si dice di te, senza rivelare
che alloggi qui. Non credo proprio che il conte racconterà in giro la verità,
ma può inventarsi qualche storia. - Grazie, Denis. - Se vorrai potrai arruolarti anche tu
nella spedizione che prepara Baldovino, verso Antiochia. Ferdinando storce il naso. - Non ti va? - Mi andrebbe, certo, visto che sono
senza lavoro, ma partecipa anche il conte. Merda! - Ci saranno molti soldati e basterà
che tu ti tenga alla larga da lui e dai suoi uomini. Non tenterà niente
contro di te durante la spedizione: certe faccende si regolano nei vicoli di
Acri, dove la colpa può essere data a un bandito o a un ubriaco, non durante
una spedizione militare. Comunque spetta a te decidere. - Ci penserò. Ferdinando tace un momento, poi
riprende: - A volte mi chiedo perché sono venuto
in Terrasanta. Denis sorride: - Perché sei venuto in Terrasanta? Ferdinando scrolla le spalle. - Dalle mie parti ci sono troppi preti
pronti a ficcare il naso. Mi conosci, non sono molto prudente. Incominciavano
a circolare voci. E allora mi sono detto: perché non cercare di fare fortuna?
La Terrasanta mi sembrava il posto adatto. - Lo è. Lo è anche per morire. Ferdinando si stringe i coglioni con la
destra. Poi ride. - Morire, moriremo tutti. Ma qui non ci
si annoia. Poi Ferdinando guarda Denis e sorride. - Che ne diresti se io e te ci
divertissimo un po’? Anche se Denis è riservato, non ha
nascosto a Ferdinando di condividere i suoi gusti. Però Denis guarda
Ferdinando e scuote la testa. - No, Ferdinando. - Non mi dire che vuoi rimanere casto. - No, non lo sono. - E allora? Non ti vado a genio? Denis sorride. - Non è questo Ferdinando. C’è già un
uomo nella mia vita. E mi basta. - Come vuoi Denis. Non credo che un
uomo solo potrebbe bastarmi… Ma non si può mai sapere… * Denis ha sentito un po’ le voci che
corrono in città, ma non si dice nulla di particolare: si sa che il conte ha
licenziato Ferdinando, senza che nessuno conosca il motivo, ma la faccenda è
del tutto irrilevante. A nessuno importa del siciliano. Ferdinando è rimasto nella locanda due
giorni, ma non riesce a stare rinchiuso, per cui ha ripreso a uscire. Bada
però di guardarsi intorno, senza darlo a vedere. Denis gli ha consigliato di
fare molta attenzione. Se Ferdinando non stesse in guardia,
non vedrebbe l’uomo che si nasconde dietro l’angolo che ha appena superato e
che ora si getta su di lui. Ferdinando salta di lato e riesce a evitarlo,
mentre sguaina la lama che porta con sé, ma si sente afferrare da dietro e
due forti braccia lo bloccano in una morsa. L’uomo che non è riuscito a
colpirlo avanza. - Ammazzalo, muoviti, Clovis. Ferdinando riconosce la voce di Onfroi.
Clovis fa due passi in avanti. Ferdinando sa che ha ben poche possibilità di
cavarsela. Quando Clovis sta per vibrare il colpo, Ferdinando solleva
entrambe le gambe di slancio e lo colpisce in pieno al torace, mandandolo a
terra. Il brusco movimento ha squilibrato Onfroi, che barcolla: Ferdinando, appena
ha posato le gambe a terra, dà un colpo violento con la testa e il corpo
all’indietro e Onfroi cade, trascinando con sé Ferdinando. Prima che Clovis
si sia rialzato e possa saltargli addosso, Ferdinando ha liberato il braccio
armato e infila la lama nel petto di Onfroi, spaccandogli il cuore. Onfroi
non riesce nemmeno a urlare: emette solo una specie di grugnito e rimane
immobile. Clovis fuggirebbe, se potesse, ma alle
spalle ha la parete di una casa e Ferdinando gli blocca la strada. Ferdinando lo guarda con odio. - Questa volta chiudiamo i conti,
vigliacco. Clovis si mette in guardia, poi allunga
la mano in un colpo veloce, che tocca il braccio sinistro del suo avversario.
Ferdinando ha la sensazione di un ferro rovente che gli brucia la pelle. Si
ritrae, ma poi si lancia in un assalto, senza riuscire a colpire Clovis.
Nell’impeto Ferdinando si scopre e Clovis nuovamente attacca. Ferdinando
balza indietro, riuscendo a evitare che il pugnale gli affondi nel petto:
sente una fitta al torace, ma sa che la lama è penetrata appena. Ferdinando
reagisce con rabbia. Con la sinistra riesce a bloccare la mano di Clovis e
con la destra vibra un colpo, con tutte le sue forze. Clovis cerca di
arretrare, ma si trova contro il muro di una casa: non c’è spazio per ritrarsi
e la lama gli affonda nel ventre, lacerando la carne. Clovis emette un grido
strozzato. Ferdinando ritrae la lama e la affonda
una seconda volta, più sotto. Quando Clovis sente la lama distruggere la sua
virilità, emette il verso di un animale macellato. Ma Ferdinando non è sazio:
colpisce ancora al basso ventre, due volte. I due colpi sono accompagnati da
una specie di grugnito. Le gambe non reggono più Clovis, che scivola lungo la
parete. Ferdinando gli immerge il coltello nel cuore, poi lo ritrae e lascia
che il cadavere crolli a terra. Ferdinando si fascia la ferita al
braccio, per evitare che il sangue coli. Poi si dirige verso la locanda dove
condivide la stanza con Denis. Cerca di rimanere lontano da ogni luce, perché
nessuno lo veda. Si rende conto di procedere a fatica. Le ferite gli fanno
male. Barcolla. Riesce a stento ad arrivare alla
locanda. Bada di entrare senza che la locandiera lo veda. Arriva in camera e
gli sembra che il mondo incominci a girare. Si deve appoggiare a una parete. - Ferdinando! Sei ferito! - Niente di grave. Clovis e Onfroi
stanno peggio. Ma Ferdinando non riesce a stare in
piedi. Denis lo fa stendere, lo aiuta a spogliarsi e controlla le ferite. - Sì, davvero non dovrebbe essere
niente di grave, per fortuna, ma comunque sono due bei tagli. Mentre Denis lo benda, Ferdinando
racconta l’agguato. Poi Denis prende una boccetta e bagna le bende. - Che cazzo è? - Un liquido che aiuta a tenere pulita
la ferita. Mi ha insegnato un medico saraceno come farlo. - Un medico saraceno? Sei sicuro…
magari è un veleno… Denis scuote la testa. - I medici saraceni sono molto migliori
dei nostri. Se vuoi guarire, devi rivolgerti a loro. O agli ebrei. Ferdinando è dubbioso, ma sa che Denis
difficilmente si sbaglia. Quando ha finito di sistemare la
medicazione, Denis dice: - Qualcuno ha assistito al vostro
duello? - Chiamalo duello, quei bastardi mi
sono saltati addosso di sorpresa, Onfroi mi ha bloccato le braccia. Comunque
no, non mi ha visto nessuno, era buio come il buco del culo del diavolo. - Qualcuno ti ha visto ferito mentre
tornavi qui? - No, mi sono sempre tenuto nell’ombra.
Non ho fatto molta strada. - Per una volta sei stato prudente! Non
ti ha visto neanche la locandiera? - No, non c’era. - Va bene. Domani andrò a sentire che
cosa si dice. Ferdinando sorride: - Insomma, io mi caccio nei guai e tu
ti devi sbattere per rimediare. * Guillaume entra nella locanda dove
alloggia Denis. Non ha visto la locandiera all’ingresso ed è salito
direttamente in camera. Guillaume spinge la porta ed entra. C’è
qualcuno che dorme a letto, ma non è Denis: è Ferdinando. Guillaume rimane
interdetto. Come mai Ferdinando è nel letto di Denis? Per un momento pensa di
essere stato indiscreto, magari i suoi due amici sono diventati amanti. Poi
però si accorge che Ferdinando è fasciato e che le bende sono macchiate di
sangue. Deve essere stato ferito. Guillaume avanza, un po’ incerto. E
solo ora si rende conto che il siciliano ha una magnifica erezione, appena
velata dal telo che gli copre solo una gamba e il ventre. Come in un lampo, Guillaume rivede la
scena a cui ha assistito la notte in cui ha avuto un rapporto per la prima
volta: Ferdinando che scopava un soldato. Guillaume non ha avuto rapporti da
allora: ha cercato di evitare le tentazioni. Ma ha ventun anni e il suo corpo
si accende in un attimo. Se ne deve andare. Subito. Ferdinando apre gli occhi. - Guillaume! Benvenuto. Come stai? Guillaume sta arrossendo. Spera che
Ferdinando non se ne accorga. - Sono venuto a cercare Denis. Non
sapevo… - …che io fossi un gradito ospite? Da
due notti, da quando il conte mi ha cacciato. Ieri sera ho incontrato uno dei
suoi uomini e Clovis. Puoi vedere il risultato. E mentre parla, Ferdinando alza il
braccio fasciato, poi si gratta la pancia, dove una pulce lo ha punto nella
notte. Nel doppio movimento, sposta il lenzuolo e il cazzo appare, turgido e
appetitoso. Guillaume si sente la gola secca.
Vorrebbe guardare altrove, ma fa fatica a tenere gli occhi lontani da quel
succulento boccone. Ferdinando se ne accorge e ride: - Il mattino è sempre così. E ieri non
ho neanche scopato. Guillaume si rende conto di essere
arrossito ancora di più. - Meno male che sei arrivato tu… Ferdinando tende il braccio destro.
Guillaume vorrebbe fuggire via, ma annuisce, incapace di parlare. Ferdinando
muove il braccio facendogli segno di avvicinarsi. Guillaume porge una mano,
Ferdinando la prende e lo attira a sé. Quando Guillaume è chinato su di lui,
Ferdinando gli lascia la mano e gli passa la destra dietro la nuca,
abbassandogli il capo fino a che la bocca di Guillaume è a due dita dal
proprio cazzo. Guillaume può sentire l’odore, forte, del boccone che ha
davanti. Guillaume non ha mai preso in bocca un
cazzo. Non ha mai pensato di farlo. O forse non se l’è mai detto. Ora è il
desiderio a guidarlo, il desiderio che gli si tende imperioso nel ventre. Le
sue labbra si posano sulla cappella, in un bacio leggero. Poi avvolgono la
preda, la mollano. Guillaume solleva la testa e guarda smarrito Ferdinando,
che gli dice: - Vorrai mica rinunciare? Guillaume sorride e scuote la testa, ma
è turbato. Avvicina di nuovo la bocca. Inghiotte la cappella. È una
sensazione piacevole. Nella sua testa una voce gli dice di andarsene subito,
ma Guillaume non vuole ascoltarla. Mordicchia. - Ahi! Disgraziato! Ferdinando gli molla una sberla
amichevole. Guillaume lascia la presa e ridacchia,
cercando di nascondere il suo imbarazzo. - Dev’essere buono da mangiare. E io ho
fame… Poi lo prende di nuovo in bocca, assesta
un altro piccolo morso e incomincia a succhiare. Gli piace il sapore. Gli
piace la consistenza del cazzo. Gli piace il calore. La voce che parlava
nella sua testa è scomparsa. Ferdinando gli accarezza il viso. Poi
gli dice: - Adesso basta. Siediti su di me. Guillaume non capisce subito, ma
Ferdinando lo tira per un braccio. Guillaume si mette a sedere su
Ferdinando. Contro il culo sente il superbo cazzo dell’amico. - Sollevati un po’. Guillaume ha paura: non l’ha mai preso
in culo. E la mazza di Ferdinando non è proprio l’ideale per iniziare. - Piano, eh? Ferdinando ride. - Sei tu che cavalchi… Guillaume si solleva. Ferdinando si
bagna due dita e inumidisce il buco del culo di Guillaume. Quando un dito entra,
Guillaume sussulta. Ferdinando ripete l’operazione due volte. Poi con la mano
mette il cazzo in verticale. - Ora. Guillaume si abbassa, piano, fino a che
sente la cappella che preme contro l’apertura. Con molta cautela si abbassa
ancora un po’. La sensazione non è spiacevole. Fa male, ma non è terribile.
Guillaume si solleva e poi si cala nuovamente, questa volta di più. Il dolore
aumenta, ma questa pressione che avverte gli trasmette un brivido di piacere.
Guillaume si muove, sollevandosi e abbassandosi, senza mai scendere fino in
fondo. Ferdinando emette qualche suono sordo, Guillaume rimane in silenzio.
Dopo che si è abituato alla presenza dell’intruso, Guillaume si lascia andare
completamente, permettendo che il palo lo trafigga. Nonostante il dolore, è
una sensazione piacevole. Guillaume prosegue con il suo movimento e intanto
si accarezza il cazzo, ormai rigido. Non ci vuole molto: l’astinenza forzata
ha accumulato in lui il desiderio. Il piacere cresce in fretta e infine
esplode. Il seme si sparge sul ventre, sul torace e sulla barba di
Ferdinando. Guillaume chiude gli occhi. Ora la presenza in culo del cazzo di
Ferdinando gli appare dolorosa. Si solleva e lascia che il cazzo esca. Poi si
siede sulle cosce di Ferdinando, gli afferra l’uccello e incomincia a
masturbarlo. La sua mano stringe la carne, calda e dura, scivolando verso
l’alto e poi verso il basso, finché anche il seme di Ferdinando si sparge sul
corpo del siciliano. Ferdinando passa la destra sul ventre e
con le dita raccoglie il seme sparso in abbondanza. Porta le dita alla bocca
e le pulisce. Guarda Guillaume che lo osserva. - È buono. Non l’hai mai assaggiato? Guillaume scuote la testa. Ferdinando raccoglie il seme che ha sul
torace e avvicina le dita alla bocca di Guillaume, che prima le morde,
strappando un gemito a Ferdinando, e poi le lecca. Ridono tutti e due. - Il monaco è un bel maialino. - Senti chi parla! - Io lo so di essere un porco, l’ho
sempre detto. Mi piace essere un maiale. Secondo me anche a te piacerebbe. Guillaume scuote la testa. Ora che il
desiderio è stato soddisfatto, in realtà gli spiace aver ceduto alla
tentazione. Eppure è stato bello, deve ammetterlo. E non hanno fatto male a
nessuno. Ma perché il piacere dev’essere peccato? - Sono contento che tu sia passato di
qui, Guillaume. Avevo proprio bisogno di una bella scopata. Denis di certo
non mi permette di uscire, finché non è sicuro che non corro più rischi, e mi
sarei dovuto accontentare di farmi una sega. Guillaume scuote la testa e cambia
argomento. - Volevo dire a Denis che l’Ordine mi
manda nel castello di Toron. Denis va verso Nord e io verso Sud. Mi spiace
non poterlo neanche salutare, devo partire oggi stesso. Salutalo tu per me.
Digli che gli scriverò. - Va bene. - Chissà quando avremo occasione di
rivederci. - Glielo riferirò. Vado anch’io con
Denis. Peccato che tu non venga con noi... Ferdinando ghigna. - …magari avremmo combinato qualche
cosa di interessante, io e te… - Ferdinando! - Dai, non fare la verginella ritrosa. Guillaume scuote la testa. L’idea di
essere esposto a continue tentazioni non gli andrebbe per niente. Vorrebbe
riuscire a rimanere casto. Ferdinando riprende: - Qui ad Acri tira una brutta aria.
Preferisco togliermi dai coglioni per un po’. Anche se tra i coglioni mi
ritroverò il conte d’Espinel. - Già, perché ti ha cacciato? - Perché mi sono rifiutato di metterlo
in culo a un bambino. Ferdinando fa una smorfia e aggiunge: - In realtà l’altro giorno l’ho anche
menato, ma questo gli piaceva, di solito, me lo chiedeva spesso. Tu però non
lo raccontare in giro: Denis mi ha raccomandato di stare zitto. Non ci tengo
a beccarmi un’altra coltellata. Potrebbe essere quella buona. Guillaume annuisce. - Sì. È meglio che non si sappia. E non
raccontare nemmeno quello che abbiamo fatto io e te. - Lo so, lo so, voi templari siete
tutti casti… Ferdinando scoppia a ridere e scendendo
le scale, Guillaume può ancora sentire la risata roboante del siciliano. Il
templare raggiunge l’ingresso della locanda e poi cammina a lungo per le
strade: ha bisogno di un po’ di tempo per calmarsi, per dare ordine al gran
caos di pensieri contrastanti che fluttuano nella sua testa. Gli spiace molto che Denis non fosse in
camera: avrebbe voluto salutarlo. Ha trovato in lui un vero amico, con cui
sta bene, l’unico con cui può aprirsi completamente, senza temere di essere
giudicato. Anche Ferdinando sicuramente non lo giudicherebbe, ma non ha la
sensibilità di Denis. E in ogni caso Guillaume è contento di non vedere più
Ferdinando per un po’ di tempo, anche se è affezionato all’irruente
siciliano. Preferisce evitare le tentazioni. * La spedizione guidata dal re Baldovino
III si dirige a Nord, verso Antiochia. La città è la capitale di un
principato, che riconosce l’autorità di Costantinopoli: quando l’imperatore
Manuele è venuto in visita, Reginaldo di Antiochia ha dovuto condurre il suo
cavallo a piedi, in segno di umiltà. Ma Costantinopoli è lontana, oltre il
mare e oltre le terre occupate dai turchi. Anche il re di Gerusalemme è
interessato alla città. E Gerusalemme è molto più vicina. Ora che Rinaldo di Châtillon, principe
di Antiochia, è prigioniero del signore della Siria, Nur ad-Din, si è aperta
una lotta per il dominio sulla città. L’esercito di Baldovino III avanza,
attraversando i territori franchi, senza incontrare ostacoli. L'esercito non
procede compatto: il re manda alcune truppe in avanscoperta, ordina ad altre
di rimanere alla retroguardia, ne invia altre ancora in città vicine per gli
approvvigionamenti o per contattare qualcuno dei suoi vassalli. I domini musulmani non sono lontani, ma
per il momento i saraceni non sembrano intenzionati a spingersi in territorio
franco per attaccare l’esercito regio. Molti pensano che Nur ad-Din non sia
interessato a quella che considera solo una lotta di potere tra i cristiani. Il conte Tancrède d’Espinel, che
partecipa alla spedizione, sa che invece il signore della Siria segue con
molta attenzione l’avanzata dell’esercito cristiano: ogni giorno Tancrède
deve fornirgli tutte le informazioni in suo possesso sui movimenti delle
truppe e sui progetti del re franco. Nella lunga marcia, in attesa delle
future battaglie, c’è tempo per vivere, per amare. * Denis spoglia Charles. Gli piace togliergli
gli abiti, con lentezza, e osservare il corpo armonioso che tra poco sarà
suo, baciare Charles sulla bocca, accarezzarlo. In queste settimane hanno molte
occasioni di appartarsi tra i boschi e i sassi, quando l’accampamento è stato
montato. Oggi non si muoveranno, perché devono aspettare altre truppe. E
allora Denis e Charles possono amarsi senza attendere la sosta serale. Si sono allontanati dall’accampamento e
nascosti in un boschetto. È bello vedere Charles alla luce del
sole, guardare i suoi occhi chiari, il viso regolare, incorniciato dalla
barba. A Denis a volte pare di non aver mai visto un uomo così bello. Si baciano sulla bocca e poi Denis
incomincia a spogliare Charles, mentre lo accarezza e lo bacia ancora.
Charles lo lascia fare, ricambiando i baci, ma oggi è impaziente. Quando è
nudo, Charles spoglia Denis, poi si mette in ginocchio e prende in bocca il
sesso di Denis. Avvolge la cappella, poi la lascia andare. Passa la lingua
più volte lungo l’asta che si sta tendendo. Avvolge uno dei testicoli con la
bocca, poi molla la preda e prende l’altro, facendo sussultare Denis. Le sue
mani stringono il culo del compagno, la sua bocca riprende a lavorare la
cappella, succhiando con forza. Il cazzo di Denis è ormai teso. Charles si
stacca e lo guarda, sorridendo. Poi mette il mantello su un tronco abbattuto
e si appoggia sopra, divaricando bene le gambe. Denis sputa sul solco e
sparge la saliva con un dito. Introduce l’indice inumidito nell’apertura, poi
lo ritrae e spinge l’indice e il medio. Charles geme di piacere. Denis
avvicina il proprio cazzo, già teso e lubrificato, ed entra con dolcezza. Ha
sempre paura di fare male a Charles. Denis si appoggia su Charles, lascia
che i loro corpi aderiscano, ne aspira l’odore, ne avverte il calore. E poi incomincia
la sua cavalcata, con un movimento regolare che strappa gemiti di godimento a
Charles. Denis procede a lungo, mentre il piacere cresce dentro di lui. Le
sue mani percorrono il corpo di Charles e il suo viso, le dita si posano
sulle labbra di Charles, che le mordicchia. Denis è squassato da una felicità
più forte della stessa voluttà, che ora esplode, travolgendolo, mentre il suo
seme si riversa nelle viscere di Charles. La mano di Denis stringe il cazzo di
Charles, lo accarezza, lo stuzzica, lo sfrega vigorosamente, finché anche
Charles viene con un mugolio di piacere. Stendono il mantello sull’erba e
rimangono uno accanto all’altro. Denis pensa che questa è la felicità
perfetta. Tutto il resto non esiste. Hanno tempo davanti a loro: il viaggio è
lungo e dicono che Baldovino intenda rimanere ad Antiochia finché la
situazione della città non si sia chiarita. Denis sa che al ritorno Charles si
sposerà, ma Jeanne è una bambina ed è lontana e ora Charles è suo, soltanto
suo. Ferdinando
si tiene alla larga dal conte d’Espinel. Durante il giorno rimane di solito
con Denis. La sera, prima di stendersi accanto all’amico, va a caccia. In
realtà non ha bisogno di darsi molto da fare: dopo i primi giorni, in cui ha
avuto modo di farsi conoscere, c’è sempre qualcuno che viene a cercarlo,
spesso più d’uno in una stessa serata. La dotazione del siciliano e la sua
energia hanno parecchi estimatori e la sua fama si è diffusa. Anche
questa sera, non appena Ferdinando si muove, si avvicinano due soldati. Con
uno dei due, Yvain, Ferdinando ha scopato alcune volte. L’altro invece è una
faccia del tutto nuova: un uomo giovane, con un viso dai lineamenti duri, il
naso aquilino, il mento squadrato e i capelli biondi. - Ci
facciamo un giretto, Ferdinando? Raoul vuole conoscerti. -
Puoi dirlo, Yvain. Un bel giretto in tre mi sembra un’ottima idea. Yvain
è al servizio del conte d’Espinel, ma non fa parte della sua guardia
personale: è un soldato che Tancrède ha arruolato per la spedizione.
Ferdinando gli ha detto di essere stato al servizio del conte, ma di essersi
trovato male. Non è entrato nei dettagli e Yvain non ha mostrato curiosità. Si
allontanano nel bosco e scelgono un angolo appartato. Si spogliano tutti e
tre senza dire niente. Ferdinando guarda Raoul. È alto e muscoloso: senza
essere un Ercole, come Ferdinando, è un vero maschio e, ora che è nudo, il
siciliano può vedere che ha un bel cazzo e un paio di grossi coglioni.
Ferdinando è contento: gli piace fottere un uomo virile. Yvain è più piccolo,
ma è ben piantato. Yvain
si inginocchia davanti a Ferdinando e gli prende in bocca la cappella. -
Dammi da bere, Ferdinando. Anche
altre volte Yvain ha voluto bere il piscio di Ferdinando. Il siciliano non si
fa pregare e Yvain beve con grande soddisfazione. Ferdinando
vorrebbe dirgli che ha gli stessi gusti del suo comandante, ma si trattiene:
Denis gli ha raccomandato di non parlarne a nessuno, se non vuole che
Tancrède cerchi di nuovo di farlo ammazzare. Intanto
Raoul è passato dietro a Ferdinando, si è messo anche lui in ginocchio e ha
incominciato a passargli la lingua lungo il solco tra le natiche. Ferdinando
si chiede che intenzioni ha il soldato. Ferdinando non se lo è mai preso in
culo: fin da ragazzo gli altri giovani che volevano scopare con lui
preferivano gustare il suo cazzo, in bocca o in culo (o da tutt’e due le
parti). Ed è lo stesso oggi con i suoi compagni d’arme. Qualche volta
Ferdinando si dà da fare con la bocca: non gli dispiace per niente. Ma in
culo no, l'idea non gli va. Il
cazzo di Ferdinando cresce in fretta, come sempre. Presto Yvain non è più in
grado di tenerlo tutto in bocca, ma non molla la preda e lavora la cappella,
leccando, succhiando e mordicchiando. La lingua di Raoul fa la sua parte da
dietro e la carezza umida è maledettamente piacevole. Yvain
molla la presa. Si mette a quattro zampe, divaricando bene le gambe.
Ferdinando si china, sputa sul solco e sparge un po’ di saliva. Il suo cazzo
è già abbondantemente lubrificato, per cui il siciliano avvicina la cappella
al culo di Yvain e spinge dentro. Il soldato sussulta e geme: per quanto sia
abituato, la dotazione di Ferdinando è tale da provocare sempre un certo
dolore. Ferdinando
si appoggia su Yvain e spinge fino in fondo, poi si ritrae e incomincia a
muovere il culo avanti e indietro, affondando il cazzo nel corpo di Yvain e
poi ritraendosi. Quando
si tira indietro sente contro il culo qualche cosa di caldo e duro: è il
cazzo di Raoul, che si prepara ad entrare. Ferdinando si ferma un attimo e
avverte la pressione contro il suo buco del culo. -
No. -
Non ti va? -
No. Se vuoi posso usare la bocca. Raoul
passa davanti a Yvain. Ferdinando si china un po' di più, per accogliere in
bocca il cazzo di Raoul, un cazzo di tutto rispetto. Ferdinando riprende il
movimento. Avanza e arretra il culo, trafiggendo Yvain, mentre succhia il
cazzo di Raoul. Ferdinando
ride. Molla la preda che tiene in bocca e dice: -
Porcoddio, il lavoro lo fate fare tutto a me. Ma
questo è un genere di lavoro in cui Ferdinando non dà mai segni di
stanchezza. Cavalca a lungo, mentre Yvain geme e Raoul ansima. A un certo
punto Raoul emette una specie di grugnito e Ferdinando sente il seme
inondargli la bocca. Raoul si stacca. Ferdinando prosegue a fottere Yvain,
finché sente che il piacere deborda, strappandogli un grido, e il seme si
riversa dentro il corpo di Yvain. Ferdinando
si solleva. Yvain si alza, a fatica, e si rimette in ginocchio davanti al
siciliano. Gli prende in bocca il cazzo e si mette a leccarlo e succhiarlo,
con delicatezza. -
Lascialo riposare un attimo, porcoddio! Interviene
Raoul: -
Non mi dirai che sei già stanco. Yvain mi ha detto che sei capace di scopare
tre volte di fila. Voglio gustarlo anch’io, questo cazzo da toro. -
Sta’ tranquillo, non ti faccio andare via a bocca asciutta… e culo secco. Ma
lasciami il tempo di riprendere fiato. Yvain
si stacca e si alza. Ha il cazzo duro, ma non sembra avere fretta di venire. Raoul
si è messo al posto di Yvain. Ferdinando guarda il culo, coperto da una
leggera peluria bionda. Si inumidisce l’indice e lo avvicina all’apertura,
appoggia la punta e poi lo spinge dentro. Raoul solleva la testa. Ferdinando
si sputa sulla mano e lubrifica l’apertura, prima con un dito, poi con due.
Mentre lo fa, il sangue affluisce nuovamente all’uccello, che si tende. Ferdinando
preme la cappella contro il buco di Raoul e forza l’ingresso. Raoul mormora: -
Cazzo! Ferdinando
incomincia a cavalcare, mentre Yvain si accarezza, guardando i due compagni:
il siciliano che fotte è sempre una gran bella vista. Ha energia e potenza,
non si stanca mai. Il cazzo affonda dentro il culo di Raoul, fino in fondo,
poi arretra. A volte esce completamente e allora Yvain lo guarda, ammirato,
così grosso, così rigido, gonfio di sangue. Ferdinando entra di nuovo e
riprende il suo movimento intenso. Raoul incomincia a gemere, sempre più
forte, finché con un urlo soffocato viene. -
Non ce la faccio più a reggerlo, Ferdinando. Esci. Ferdinando
bestemmia e a malincuore estrae il grosso cazzo dal culo di Raoul. Yvain
glielo afferra con la destra e lo sfrega vigorosamente, mentre con la
sinistra si mena il proprio. Vengono entrambi sulla schiena di Raoul, quasi
insieme. Il seme del siciliano si mescola con quello di Yvain, che si china
su Raoul e lo pulisce accuratamente con la lingua, fino a che ha inghiottito
tutto. * La
spedizione del re continua a procedere senza avvistare truppe saracene. Tra
pochi giorni l’esercito raggiungerà Antiochia. Alcune
truppe, guidate da Renaud di Soissons, vengono mandate in avanscoperta, per
assicurarsi che la strada sia sgombra e che non ci sia il rischio di cadere
in un’imboscata. Denis d’Aguilard è uno dei soldati al comando di Renaud. Renaud
ha inviato alcuni soldati a perlustrare l’area circostante. Gli uomini hanno
percorso un lungo tratto, controllando due valli da cui potrebbero scendere i
nemici. Sono tornati dicendo che non c’è traccia dei saraceni. L’ultimo a
rientrare è Denis d’Aguilard. -
Tutto a posto, Denis? -
No, comandante. Non guardate verso la pietraia, ma ci sono alcuni saraceni,
lassù, che ci stanno osservando. Renaud
aggrotta la fronte: nessuno degli altri uomini mandati come esploratori ha
notato la presenza di soldati. Ma Renaud sa che Denis ha la vista acuta e ha
già avuto modo di apprezzarne il coraggio e l’intelligenza: un uomo prezioso
da avere con sé in guerra, per quanto sia giovanissimo. Denis
prosegue: -
Non credo che siano lì per caso. Ma forse se facciamo finta di non averli
visti, possiamo far cadere in trappola chi tende le trappole. -
Alcuni saraceni, dici? Potrebbero essere spie inviate per controllare i
nostri movimenti. -
Sì, potrebbero. Oppure potrebbero far parte di una schiera che intende
preparare un’imboscata. Renaud
annuisce. Poi dice: -
Bisogna appurare quanti sono e vedere se si riesce a capire che intenzioni
hanno. Denis
osserva: - Io
avrei un’idea, comandante. -
Dimmi, Denis. -
Ritiriamoci, come se fossimo convinti che qui è tutto a posto. Dietro quelle
rocce io mi staccherò e salirò per vedere di che cosa si tratta. Così
capiremo se sono solo sentinelle o se oltre il colle si trova un esercito. - Va
bene, Denis. Mi sembra una buona idea. Vuoi che qualcuno di noi venga con te? -
No, preferisco muovermi da solo: è più difficile che mi vedano. Voi
spostatevi lungo la pista, in modo che si veda la nuvola di polvere, come se
vi allontanaste, ma rimanete nelle vicinanze. Le
truppe franche ritornano indietro, ma quando giungono dietro alcuni massi e
non sono più visibili, Denis si stacca dal gruppo e incomincia a salire lungo
la parete. Si muove con sicurezza anche nei punti più impervi e procede in
modo da non essere mai visibile dal versante su cui ha avvistato alcuni
saraceni. Sale
a lungo, rapidamente, incurante della fatica e del calore. E infine arriva in
un punto da cui può osservare, nascosto, la parete dove si trovano i nemici. Sono
un gruppo numeroso, non soltanto alcune sentinelle. Poco sopra c’è un colle, da
cui proprio ora stanno arrivando altri soldati. Denis sospetta che una parte
dell’esercito si possa trovare oltre il valico. Allora sale ancora, fino a
che supera la cresta e può vedere tutto lo schieramento. Sì, c’è davvero un
esercito. Denis ne valuta la consistenza. I saraceni non sono più numerosi
delle truppe che guida Renaud, forse sono al servizio di qualche signore
locale e non sono stati inviati da Nur ad-Din, oppure il signore della Siria
non vuole impegnare il grosso delle sue truppe, ma solo ostacolare la marcia
e infliggere perdite al nemico. Con
il vantaggio della sorpresa e della posizione i saraceni potrebbero
facilmente sgominare i soldati cristiani. Ma sorpresa e posizione possono
essere un vantaggio anche per i franchi. * Renaud
di Soissons ha ascoltato la relazione di Denis e poi la sua proposta. Di
solito un semplice soldato non suggerisce tattiche al comandante, ma Denis
non è un guerriero come gli altri. Renaud
riflette un buon momento. L’idea di Denis gli sembra ottima. Se tutto andrà
come previsto, Renaud otterrà una vittoria che di certo non avrà una grande
influenza sui risultati della spedizione, ma che porterà onore al comandante. In
serata Renaud di Soissons riceve la visita del conte d’Espinel, come è
successo altre volte. Tancrède è accampato parecchie miglia più a sud, ma
questa sera è venuto fino alla tenda di Renaud. Vuole sapere i risultati
dell’esplorazione, per comunicare al re che può procedere senza attendere il
grosso dell’esercito: Baldovino III ha fretta di giungere ad Antiochia. Renaud
è ben contento che il conte venga da lui: lo ritiene un onore e un
riconoscimento per il valore dimostrato. Gli racconta dell’agguato e del
piano che hanno escogitato. Denis
vede uscire dalla tenda di Renaud di Soissons Tancrède d’Espinel. Diffida del
conte e un dubbio lo assale. Se i suoi timori sono fondati, deve agire in
fretta. Entra
nella tenda di Renaud e chiede: -
Comandante, ho visto uscire il conte d’Espinel. Scusatemi se mi permetto di
chiedervi, ma parteciperà anche lui all’agguato? Non
spetta a un soldato chiedere al comandante i suoi piani per la battaglia che
si prepara, ma è stato Denis stesso a proporre la tattica, per cui a Renaud
la domanda appare pienamente legittima. -
No, le sue truppe sono ancora lontano da qui e hanno bisogno di alcune ore di
riposo. Però partirà all’alba, così se non saremo ancora riusciti a
sconfiggere i saraceni, arriverà in tempo per darci manforte. Denis
si dice che tutto è perduto. È necessario che riveli i suoi dubbi a Renaud di
Soissons, per evitare una sconfitta, ma non è detto che venga creduto:
Tancrède d’Espinel è un nobile, uno dei comandanti cristiani, e Denis non ha
prove. Inoltre Renaud tiene molto all’amicizia del conte. Denis
decide che prima di parlare con il suo comandante, cercherà di capire se può
porre rimedio alla situazione in altro modo. Si congeda da Renaud di
Soissons. Il conte è poco distante e sta parlando con uno dei suoi uomini.
Gli altri lo aspettano a una certa distanza. Denis conosce l’uomo che sta
ascoltando con attenzione il conte: è Yvain, un soldato che Denis ha visto
alcune volte con Ferdinando, uno di quelli che lo vengono a cercare quando le
truppe del conte e quelle di Renaud sono accampate nella stessa zona. Il
conte sale a cavallo, raggiunge la sua scorta e si avvia. Yvain lo segue, ma
dopo un tratto Denis lo vede fermarsi, scendere e lasciare il proprio cavallo
legato a un tronco. Dopo essersi guardato intorno, Yvain incomincia a salire
lungo il fianco della montagna, spostandosi nella direzione dell’accampamento,
ma stando molto più in alto. Denis
non ha più dubbi. Prende anche lui a salire. Bada a non farsi vedere da
Yvain. Intanto il sole è tramontato e sta scendendo la notte. Mentre sale,
Denis medita sul da farsi. Se Yvain parlerà con la spia nemica, il piano
escogitato fallirà. Bisogna impedirgli di parlare. Ma come? Se
Denis riuscisse a catturare Yvain, lo si potrebbe tener prigioniero fino a
dopo la battaglia e poi cercare di costringerlo a confessare. Ma se non
confessasse? Denis non è per niente sicuro di riuscire a convincere Renaud di
Soissons a mettere alla tortura Yvain e anche sotto tortura Yvain potrebbe
negare. In
ogni caso catturarlo non sarebbe facile: Denis ha con sé solo il pugnale,
mentre Yvain ha la spada. Denis potrebbe seguire Yvain, verificare che
incontri una spia saracena e poi denunciarlo a Renaud. Questo però manderebbe
a monte il piano. C’è
una sola cosa da fare per impedire a Yvain di tradire. Denis
riduce la distanza che lo separa dall’uomo. Yvain non sta in guardia, non sospettando
di essere seguito. Poi Denis si porta più in alto, in modo da poterlo
superare. Yvain
ha appena oltrepassato alcune rocce quando una mano gli tappa la bocca e una
lama gli taglia la gola. Tutto avviene in un attimo: Yvain non sospettava di
nulla e fa appena in tempo a rendersi conto che sta morendo. Denis
lascia andare il corpo solo quando Yvain ha smesso di dibattersi. Non
è la prima volta che uccide, per quanto sia giovane: in battaglia gli è accaduto
molte volte. È però la prima volta che uccide in un agguato, a sangue freddo.
Il morto era un informatore del nemico e solo uccidendolo si poteva evitare
che il tradimento costasse molte vite. Ma Denis non è contento di aver ucciso
così. * Abdel
Wahid ibn Na’im, emiro di Afrin, si prepara al combattimento. Da questo
scontro dipende il suo futuro: il signore di Damasco e di tutta la Siria, Nur
ad-Din, gli ha promesso di cedergli un ampio territorio, se riusciranno a
catturare il re di Gerusalemme. Il piano è semplice: domani mattina le truppe
franche dell’avanguardia saranno colte di sorpresa e annientate. Il re
arriverà in giornata, convinto che non vi sia pericolo, scortato dagli uomini
del conte d’Espinel e da poche altre truppe. Quando scoppierà la battaglia,
il conte si metterà a inseguire i cavalieri arabi che fingeranno di
ripiegare. In questo modo il re rimarrà isolato e potrà essere catturato. È
un piano ambizioso, ma Abdel Wahid è sicuro che riuscirà nel suo intento. Conta
di dare battaglia all’alba: i franchi si sono accampati non lontano, senza
sospettare minimamente la loro presenza. Le truppe dell’emiro si
avvicineranno all’accampamento durante la notte e attaccheranno quando le
stelle incominceranno a svanire. Grazie alla sorpresa, avranno facilmente
ragione degli infedeli. La
spia che ha inviato per contattare il soldato franco è tornata riferendo che
nessuno si è presentato all’appuntamento: probabilmente il conte non aveva
nulla da comunicare. Quando
diventa buio, gli uomini incominciano a scendere verso le tende dei franchi.
Dopo qualche ora si leva la luna, che illumina il loro cammino. Scendono
lungo una valle, che al termine diventa quasi una gola. Essa si apre poco
lontano dall’accampamento nemico e di lì, muovendosi con cautela per non
essere avvistati dalle sentinelle, si disporranno per l’attacco. Il fondo
della valle è avvolto nel buio e, muovendosi in silenzio, potranno giungere
all’accampamento dei franchi senza che nessuno si accorga del loro arrivo. Sono
pervenuti al punto in cui la valle, ormai alquanto stretta, fa una svolta,
prima di aprirsi, quando un nugolo di frecce si abbatte su di loro. Molti
cadono da cavallo, alcuni colpiti a morte, altri feriti, mentre grida di
dolore si mescolano alle imprecazioni e alle richieste di aiuto. Davanti agli
uomini sbucano i cavalieri franchi, che caricano le truppe saracene. E mentre
lo scontro infuria, alle spalle dei saraceni compaiono altri guerrieri
franchi, che sono scesi nella valle più a monte e li hanno seguiti. Sono guidati
da Denis d’Aguilard. Lo
scontro si rivela impari per i saraceni, stretti tra due fuochi e bersagliati
dalle frecce nemiche. Nonostante il loro valore, non riescono ad avere la
meglio né dei cavalieri che bloccano la valle davanti a loro, né di quelli
che hanno preso posizione alle loro spalle. La conformazione del campo di
battaglia è tutta a loro sfavore, perché coloro che si trovano nella parte
mediana sono bersagliati dalle frecce, senza poter attaccare il nemico. Le
perdite diventano sempre più numerose. Il
combattimento infuria a lungo, mentre il cielo diventa progressivamente più
chiaro. Infine
Abdel Wahid capisce che la battaglia è ormai persa. Ordina ai suoi uomini di
ritirarsi, sbaragliando a ogni costo il gruppo di soldati guidati da Denis,
che bloccano la strada. Abdel Wahid stesso si scaglia contro Denis
d’Aguilard, che ha già abbattuto molti guerrieri. L’emiro è un combattente
valoroso, abile nel maneggiare la spada. Il soldato che ha di fronte è appena
un ragazzo. Anche se lo ha visto combattere, non gli sembra in grado di
contrastarlo. Ma Denis d’Aguilard è un avversario terribile, che sa
approfittare di ogni errore del nemico.
Abdel
Wahid capisce troppo tardi di aver sottovalutato il giovane franco. La spada
di Denis lo colpisce al ventre, trapassandolo. L’emiro lancia un grido
strozzato e quando Denis ritira la spada crolla a terra. I
guerrieri saraceni sono costretti a scegliere tra la resa e la morte.
Pochissimi riescono a fuggire. Quando
il re arriva, Renaud di Soissons gli presenta il corpo dell’emiro e i
prigionieri. Baldovino
III vuole conoscere i dettagli dello scontro e Renaud racconta. È un po’
reticente sulla parte avuta da Denis, perché non vuole che i meriti del
giovane soldato offuschino i suoi di comandante vittorioso. Ma Charles, che
partecipa all’incontro, parla di Denis, che è stato l’unico ad accorgersi
della presenza dei saraceni, ha escogitato il piano e infine ha ucciso
l’emiro in battaglia. Baldovino
fa chiamare Denis. Rimane stupito a vederlo così giovane: è solo un ragazzo.
Gli chiede di raccontare. Denis non ama mettersi in mostra e riferisce quanto
ha fatto senza vantarsi. Baldovino
ascolta attentamente. Gli piace questo soldato valoroso e modesto. Sentendolo
parlare, nessuno direbbe che è così giovane: è un guerriero esperto. Quando
ha finito di porre domande, il re dice: -
Denis d’Aguilard, tuo padre era un uomo prode e vedo che tu non sei da meno.
Il barone di Choiseul si è ammalato e sta morendo. Le truppe che avevo
affidato a lui sono rimaste senza comandante. Sarai tu il loro capitano. Se
vuoi, puoi portare con te un uomo fidato che ti serva come aiutante. Denis
non si aspettava un simile riconoscimento. Si ritrova a comandare delle
truppe alle dipendenze dirette del re e a poter dimostrare il suo valore. Gli
sembra che finalmente la fortuna gli sorrida. Anche se rimane
provvisoriamente separato da Charles, tra pochi giorni saranno tutti ad
Antiochia. Baldovino
III si rivolge a Renaud: - Vi
privo di un uomo valoroso, ma gli affido un compito alla sua altezza. E saprò
ricordarmi anche di voi e di ciò che avete fatto, Renaud di Soissons. Il
re se ne va. A
Renaud spiace perdere uno dei suoi migliori soldati ed è irritato con
Charles: se suo fratello fosse stato zitto, il re avrebbe ricompensato lui,
non Denis. -
Sei un coglione, Charles. Non era il caso di attribuire tutto il merito a
Denis d’Aguilard. Con il risultato di dover fare a meno di lui e non aver
ottenuto niente. Abbiamo perso molti uomini, per nulla. Charles
sorride, ironico. - Ho
raccontato solo quello che è successo, fratello. Interviene
anche Olivier: -
Non è stato un intervento saggio, Charles. Questa vittoria avrebbe potuto
essere un’occasione importante per tutti noi. Così l’unico a guadagnarci è
stato Denis d’Aguilard. Charles
alza le spalle. - Se
il re ha ritenuto di fare così, possiamo solo inchinarci. Charles
aggiunge, facendo un cenno di saluto con la testa: - A
più tardi. Charles
esce. Renaud
scuote la testa: - Mi
chiedo se è davvero così coglione… - …o
se è stato ben contento di farci rimanere a bocca asciutta. Direi che Charles
ce l’ha con te, Renaud. Forse questa faccenda del matrimonio… -
Quello stronzo non ha un minimo di ambizione. -
No, preferisce passare il suo tempo a scopare. Renaud
corregge: - A
farsi scopare. Fottuto finocchio... * -
Ferdinando, passo al servizio del re. Mi ha affidato le truppe del barone di
Choiseul. Ferdinando
è ben contento del successo dell’amico. - Te
lo meriti, Denis d’Aguilard. - Spero
di essere all’altezza del compito, Ferdinando. Non so… non ho nemmeno
vent’anni. -
Sono sicuro che riuscirai nel tuo compito meglio di chiunque altro. Denis
sorride. Poi chiede: -
Vuoi venire con me, Ferdinando? Non posso certo farti avere un grado, non
spetta a un comandante privo di esperienza, appena nominato, suggerire
promozioni, ma il re ha detto che potevo portare con me un uomo fidato come
aiutante. Denis
preferisce avere Ferdinando vicino a sé. Il siciliano è troppo irruente e non
sa controllarsi: si caccia facilmente nei guai. Denis sa che può aiutarlo a
cavarsela. -
Ben volentieri, Denis. Denis
d’Aguilard arriva insieme a Ferdinando e fa conoscenza con le truppe che si
troverà a comandare. Il re lo presenta, limitandosi a dire che, nonostante la
giovane età, Denis è un guerriero valoroso e che ha ucciso l’emiro di Afrin
nella mattinata. C’è
molta perplessità tra gli uomini, abituati a essere comandati da un capitano
che ha una lunga esperienza di guerra. Anche se nessuno osa fare obiezioni di
fronte al re, tutti si chiedono come questo ragazzo, che avrà sì e no
vent’anni, possa essere in grado di guidare soldati probabilmente assai più
competenti di lui. Molti mugugnano. Qualcuno osserva che è inutile dare
giudizi basati sull’apparenza: avranno modo di vedere quanto vale il loro
nuovo comandante. * Ai
soldati più esperti basta poco per capire di che stoffa è fatto Denis
d’Aguilard. Si rendono subito conto che, nonostante la giovanissima età, sa
dare gli ordini giusti, sa farsi obbedire e non gli sfugge nulla di quello
che accade nel campo. Se
ha ucciso l’emiro di Afrin, dev’essere anche valoroso, ma bisognerà vedere
come saprà guidare i suoi uomini in battaglia. I
soldati hanno modo di verificarlo presto, assai prima di quanto vorrebbero:
due giorni dopo, quando ormai stanno per raggiungere Antiochia, la piccola
schiera viene attaccata. Altre truppe sono andate in avanguardia e hanno
comunicato che la via è sgombra. Denis d’Aguilard però ha ugualmente mandato
alcuni uomini in ricognizione e questi tornano annunciando che un esercito
saraceno sta avvicinandosi. Se Denis non fosse molto prudente, le truppe
sarebbero state prese di sorpresa. Denis
manda due messaggeri ad avvisare il re e le truppe che li seguono a qualche
ora di marcia. Poi fa rapidamente disporre i suoi uomini su un’altura
circostante, in una posizione facilmente difendibile: i saraceni sembrano
essere molto più numerosi e prima che le altre truppe cristiane arrivino in
soccorso potrebbe passare molto tempo. Le
truppe saracene sono guidate da Taissir ibn Na’im, fratello dell’emiro di
Afrin e suo erede. Quando ha saputo della morte del fratello ha deciso di
vendicarlo, attaccando le truppe guidate da Denis: vuole la testa dell’uomo
che ha ucciso Abdel Wahid. Le sue spie gli hanno fornito le informazioni
necessarie per sorprendere la schiera di Denis d’Aguilard. L’esercito
saraceno trova le truppe cristiane arroccate in una buona posizione
difensiva. Taissir impreca. Anche se è certo di riuscire ad avere la meglio,
grazie alla superiorità numerica, sa di non avere molto tempo prima
dell’arrivo di altre truppe, che rovescerebbero i rapporti di forza. Dà
quindi ordine di attaccare frontalmente, salendo lungo il fianco della
collina: in questo modo i suoi uomini si trovano in una posizione
svantaggiosa, ma anche se avranno maggiori perdite, riusciranno ad avere la
meglio sui nemici. L’attacco
provoca molti morti e i cavalieri che giungono alle postazioni nemiche
vengono affrontati da Denis e dai suoi uomini. Essi provano due volte a fingere
una fuga, nella speranza che i cristiani li seguano, perdendo il vantaggio
della posizione, ma Denis ferma i suoi uomini che vorrebbero lanciarsi
all’inseguimento dei saraceni. La
battaglia si trascina a lungo e le truppe di Taissir subiscono pesanti perdite.
Anche tra gli uomini di Denis molti vengono uccisi o feriti. Taissir
sa che non ha più molto tempo. Valutando che il nemico sia ormai stremato,
decide di guidare personalmente l’attacco frontale. È
Denis ad affrontarlo. A
Taissir basta guardare in viso il suo avversario per riconoscerlo, anche se
non lo ha mai visto prima: gliene hanno parlato i pochi sopravvissuti alla
battaglia in cui è morto Abdel Wahid. - Il
Cane dagli occhi azzurri! Vendicherò la morte di mio fratello! La
furia dell’emiro non gioca a suo favore contro un avversario tanto padrone di
sé quanto abile nel maneggiare la spada. L’emiro cerca di colpire Denis,
incalzandolo. Questi non cede terreno e, non appena l’emiro si scopre, lo
colpisce al torace e poi gli abbatte la spada sul collo. La
testa dell’emiro di Afrin rotola a terra. La morte del loro capitano
disorienta i saraceni, che esitano. Denis e un gruppo di cavalieri attaccano
alcuni ufficiali, facendone strage e mettendo definitivamente in fuga
l’esercito nemico. Quando
il re giunge, trova il pendio della collina disseminato di cadaveri. Baldovino
III guarda Denis, che gli presenta il corpo e la testa del comandante
saraceno. - I
prigionieri dicono che è Taissir ibn Na’im, il fratello dell’emiro di Afrin,
morto nella gola di Minin. - Il
fratello dell’emiro che hai ucciso tu, Denis d’Aguilard. Baldovino
scuote la testa e prosegue. -
Come avete fatto a mettere in fuga un esercito tanto più numeroso di voi?
Solo i cadaveri dei saraceni che vedo qui sono molti di più di quanti eravate
voi prima della battaglia. Il
re sembra incredulo. Denis non sa che dire. -
Abbiamo fatto quanto potevamo. E anche noi abbiamo subito pesanti perdite,
Maestà. -
Sapevo che non mi sarei pentito di averti affidato il comando di queste truppe,
nonostante tu sia giovanissimo, Denis d’Aguilard. Ti terrò al mio servizio
anche dopo questa spedizione, se lo vorrai. E a Gerusalemme saprò dimostrarti
che non dimentico gli uomini valorosi. -
Grazie, Maestà. Il
re aggiunge altri soldati alla schiera guidata da Denis, per rimpiazzare le
perdite. Qualcuno dei nuovi arrivati esprime dubbi sulla giovane età del
capitano, ma viene subito zittito: ora che gli uomini di Denis d’Aguilard
hanno imparato a conoscere il loro comandante, il Cane dagli occhi azzurri,
come lo chiamano i saraceni, guai a chi si permette di parlarne male. * L’esercito
arriva ad Antiochia. Gli abitanti accolgono festosamente Baldovino III, come
un anno fa hanno accolto l’imperatore romano. Ma non tutti sono felici
dell’arrivo del re di Gerusalemme e delle decisioni che prende: ci sono forti
contrasti all’interno della città. Alcuni vorrebbero che Antiochia fosse del
tutto indipendente, altri la vorrebbero legata a Costantinopoli, altri ancora
a Gerusalemme. Ora che in città c’è il re di Gerusalemme, è lui a decidere e
tutti gli si inchinano, volenti o nolenti. Il
re stabilisce che il reggente sarà il patriarca Aimerico, in attesa che
l’erede raggiunga la maggiore età o il principe catturato dai saraceni venga
liberato. Baldovino
III intende rientrare nel regno di Gerusalemme al più presto: ci sono troppi
problemi aperti. Ma sa benissimo che deve lasciare alcune delle sue truppe ad
Antiochia, per evitare colpi di mano da parte dell’imperatore d’Oriente o dei
saraceni: una guarnigione regia rimarrà a presidiare la città, per garantire
che le decisioni del sovrano vengano rispettate. Il presidio verrà comandato
da Renaud di Soissons: è un compito importante e l’incarico è un onore. Anche
Denis riceve un incarico: quello di pattugliare i confini del principato di
Antiochia e difendere i villaggi cristiani dai briganti saraceni. Negli
ultimi mesi, dopo la cattura del principe di Antiochia, ci sono state
numerose razzie, interi villaggi sono stati distrutti, uomini e donne uccisi
o resi schiavi, il bestiame rubato. Baldovino vuole che l’ordine sia
ripristinato, perché tutti sappiano che il re di Gerusalemme ha a cuore la
vita e i beni di tutti i cristiani d’Oltremare. Baldovino
ritiene che il giovane Denis, di intelligenza duttile e indubbio valore, sia
l’uomo adatto per svolgere questo compito. Lo convoca, insieme a Ferdinando,
che considera il suo aiutante. Accanto al re c’è il patriarca Aimerico. -
Denis d’Aguilard, avrai sentito dire che i territori orientali del principato
vengono saccheggiati dai briganti. Ci sono diverse bande, pare sette od otto,
che fanno capo a un certo Baahir. Il
re fa una pausa. Denis dice: -
Sì, mio signore, ne ho sentito parlare. Tutta
Antiochia ne parla, perché i briganti si sono spinti fin quasi ai sobborghi
della città. -
Quei bastardi lasciano dietro di loro morte e devastazioni. Donne e ragazzi
stuprati, uomini sgozzati come pecore o infilzati con le lance come maiali
allo spiedo. Di certo sai quello che è successo al convento della Vergine. Il
re freme di rabbia. Il patriarca abbassa gli occhi. Denis sa bene a che cosa
allude il re: i briganti hanno attaccato un piccolo convento femminile non
lontano da Antiochia; le monache sono state violentate e poi rapite per
essere vendute come schiave. La badessa era una cugina del re: l’hanno
trovata con una lancia infilata nella vagina. Ci sono stati anche molti altri
saccheggi e massacri e alcune bande si sono rivelate particolarmente
sanguinarie. Baldovino prosegue: -
Denis, voglio che tu schiacci quei maledetti. Li devi sterminare. Farai
mettere a morte tutti i banditi catturati, nessuno escluso. Infilzerai le
loro teste su pali, alle porte dei villaggi, come monito per chiunque pensi
di scegliere quella strada. -
Come comandate, Maestà. Dopo
una pausa, Baldovino riprende: -
Quanto ai loro capi, saranno impalati vivi, perché siano d’esempio a chiunque
osi attaccare i territori cristiani. -
Obbedirò, Maestà. E
mentre lo dice, Denis pensa che Reginaldo di Antiochia è stato catturato
mentre razziava la regione oltre i confini. Se i capi dei briganti meritano
di essere impalati, la stessa sorte dovrebbe toccare anche a lui. Ma
Reginaldo è un nobile franco, per cui si può richiedere un riscatto, mentre i
banditi sono cani sciolti, la cui vita non vale nulla. Il
patriarca interviene: -
Quegli empi devono pagare ciò che hanno fatto. Il
re annuisce: -
Sì. Impalarli non basta. Denis
si chiede che cosa ancora si potrebbe fare: l’impalamento è una morte
inumana. Il
re stesso sembra non saperlo, perché conclude: - Se
riuscirai a catturare vivo Baahir, gli daremo una punizione esemplare. Lo
consegnerai a me. Finché rimarrà con te, che ogni suo giorno sia l’inferno in
terra. Ma bada a non farlo morire: se lo prendi prigioniero, devi portarmelo
vivo. -
Come Vostra Maestà comanda. Farò tutto il possibile. Baldovino
sorride. -
Sei in gamba, Denis d’Aguilard. Conto su di te. Il
re discute con Denis sul numero di uomini necessari per portare a termine il
compito assegnato. A questo punto il patriarca si congeda, perché si tratta
di dettagli di tipo militare, che non gli competono. Il
re decide di aggiungere alle truppe che Denis comanda altri uomini: a
differenza delle milizie che presidiano la città, quelle di Denis dovranno
combattere. Al
momento di congedarsi, il re dice ancora: -
Denis d’Aguilard, quelli sono animali, non uomini. Lascia che i tuoi soldati
si divertano con loro, soprattutto con i capi. Hanno stuprato donne e
ragazzi. Scopriranno che cosa significa subire violenza. Denis
non è contento di quest’ordine, ma si inchina. Quando
escono, Ferdinando dice: - Tu
pensa a catturarli, a quello che viene dopo ci penso io. Porcoddio, che
bell’ordine ha dato il re. Pare fatto apposta per me. E
scoppia a ridere. * Denis
e Charles sono in uno dei bagni pubblici di Antiochia, dove si sono dati
appuntamento. Si sono lavati separatamente, poi Denis ha preso una stanza
riservata, come fanno molti per riposare, per conversare con gli amici o per
dedicarsi al piacere. Charles l’ha raggiunto. Denis
lo accoglie baciandolo sulla bocca. Charles lo abbraccia e fa scivolare a
terra le strisce di tessuto che entrambi portano intorno ai fianchi. Ora sono
nudi e i loro corpi aderiscono. Si baciano a lungo, Denis spinge la sua
lingua nella bocca di Charles e poi la ritrae per accogliere quella del
compagno. Poi
Charles si stacca e si inginocchia. Prende in bocca l’uccello di Denis e
incomincia ad accarezzarlo con la lingua, a succhiarlo, a mordicchiarlo. Gli
piace sentirlo crescere nella sua bocca e irrigidirsi. Gli piace sentire il
gusto della prima goccia sulla cappella. Quando
il cazzo di Denis è perfettamente in tiro, Charles si stacca e lo ammira, poi
si stende sui cuscini. Denis
si stende su di lui. Gli bacia la nuca, una guancia, la schiena, scende fino
al culo, morde leggermente, bacia, mentre le sue mani scorrono lungo il corpo
dell’uomo che ama, lo accarezzano e lo stringono. Denis
bagna due dita e prepara l’apertura. Poi si inumidisce la cappella e spinge
il cazzo dentro il culo di Charles. Sente la carne cedere senza fatica e
Charles emettere un gemito di piacere. E, continuando ad accarezzarlo, Denis
dà inizio alla sua cavalcata. Charles
lo incoraggia, con i suoi gemiti e con parole sconce. E infine vengono entrambi,
insieme, in una serie di vibrazioni di piacere che li lasciano esausti sui
cuscini. Denis
rimane dentro Charles. Non vuole staccarsi da lui. Gli pesa la separazione
imminente: domani mattina partirà con le sue truppe per le montagne. -
Chissà quando ci rivedremo… - Di
certo tornerai ad Antiochia. Le montagne non sono lontane. Noi rimarremo qui,
lo sai. E allora, che problema c’è? Charles
non sembra soffrire per un distacco che a Denis invece pesa moltissimo.
Vorrebbe che Charles lo accompagnasse, vorrebbe dividere con lui i rischi e i
successi della spedizione, vorrebbe combattere al suo fianco, proteggerlo,
amarlo. Si rende conto che non gli basta più incontrarlo di nascosto. -
Perché non vieni con me? Sono sicuro che il re non avrebbe niente da obiettare. Charles
ride: - Il
re no, ma Renaud e Olivier di certo sì. Mi chiederebbero perché mai vado a
ficcarmi in culo ai lupi. E che gli dico? -
Che vuoi contribuire alla sconfitta dei briganti e così acquistare gloria e
fare buona impressione sul re. -
Non la bevono. E poi, sulle montagne, con l’inverno alle porte… vitaccia
infame, freddo, sporco, cimici, pulci, contadini cenciosi e pastori
puzzolenti. No, non fa per me. Denis
non insiste. Si dice che forse, se riuscirà a portare a termine il suo compito
e riceverà una ricompensa dal re, Charles accetterà di vivere al suo fianco e
rinuncerà a un matrimonio che non desidera. È ancora possibile modificare il
destino. |