16
La sera successiva Louis si recò dai Verneuil. Sarebbe stata l'ultima
volta, ma non lo sapeva ancora. Non
si parlava d’altro che della scomparsa del tenente Bernaud.
Alcuni dicevano che doveva essere stato ucciso in un agguato, ma circolava
con insistenza la voce che avesse disertato. Laure Verneuil
disse che suo cognato era passato da loro e si era dichiarato certo che Bernaud aveva abbandonato l’esercito di sua volontà.
Louis rimase sconvolto dalla notizia della scomparsa di Gaspard. Gli era sinceramente affezionato e la tenerezza
che aveva saputo offrirgli era stato un balsamo per la sua sofferenza. Ed ora
si diceva che avesse disertato. A lui pareva impossibile. Se lo aveva fatto,
c’erano certamente stati gravi motivi. Ma
la situazione della città era ingestibile. Anche il maggiore Verneuil era stato aggredito e colpito alla testa, appena
la sera prima. Ed in effetti, quando si presentò a cena, tutti videro che era
ancora fasciato. Al
termine della cena, Laure si appartò con Louis in un angolo del salotto. -
Volevo dirle che stiamo per partire. La situazione rischia di precipitare ed
è più saggio andarsene ora. L'avevamo in mente da tempo. Io e mio marito partiremo
tra tre giorni. Andremo alla Guadalupa. E lì vedremo di ricominciare. Ci
fu una pausa. -
Dottore, venga via anche lei. Venga con noi alla Guadalupa, l'aiuteremo a
rifarsi una clientela. Oppure torni in Francia, dove vuole. Non resti qui. Louis
pensò che si sarebbe sentito molto solo, ma sapeva che non sarebbe partito.
Aveva bisogno di rivedere Jorge Llera, di
sapere. Cercò di trasmettere a
Laure tutta la sua riconoscenza per l'affetto che gli aveva dimostrato: lei e
suo marito erano stati preziosi ed avrebbe sentito moltissimo la loro
mancanza. I
Verneuil partirono tre giorni dopo. Non si aveva
ancora nessuna notizia di Gaspard Bernaud, il corpo non era stato ritrovato ed ormai tutti
erano convinti che fosse vivo ed avesse effettivamente disertato. * Gabriel chiuse la porta e
consegnò la chiave ai vicini, come aveva stabilito con il nuovo proprietario.
Aveva venduto la casa ed aveva intascato il denaro qualche giorno prima, ma
l’accordo era che sarebbe potuto rimanere ancora due mesi. In effetti aveva progettato
di non partire subito, ma le cose avevano preso un’altra piega e tutto
sommato era meglio così: stava aspettando troppo ad andarsene. Rischiava di
rimanere bloccato, con un sacco di soldi che non gli sarebbero serviti a
molto, una volta che avesse avuto un coltello nella pancia. Era sera. Gabriel preferiva
muoversi di notte. Conosceva perfettamente strade e sentieri e sapeva di
correre meno rischi. Tutti e due avrebbero corso meno rischi. Quel mattino Gabriel aveva
lasciato i cavalli fuori città. Li raggiunsero senza problemi: Gabriel sapeva
come uscire dalla città evitando i controlli. Una volta a cavallo presero la
strada che portava verso la parte spagnola dell’isola. Di là si sarebbero
mossi per raggiungere la Florida e poi gli Stati Uniti. Il
viaggio si svolse senza difficoltà. Si fermarono a dormire qualche ora nella
tarda mattinata del giorno seguente e nella notte raggiunsero la loro prima
meta, una piantagione abbandonata, in una regione ancora tranquilla. Gabriel
la usava abbastanza spesso nei suoi spostamenti. La casa padronale era in
parte crollata, quando i proprietari avevano lasciato quelle terre poco
produttive, ma era rimasta in piedi un’ala, con due stanze. Gabriel ne aveva
fatto un rifugio, su cui i neri del villaggio vicino vegliavano. Si
stesero sul pagliericcio e si addormentarono rapidamente, tutti e due troppo
stanchi per pensare ad altro. Quando
però si svegliarono, il giorno seguente, e si guardarono in faccia, ognuno
lesse negli occhi dell’altro la stessa voglia. Gabriel accarezzò il petto di Gaspard e poi la sua mano scese fino al ventre ed al
cazzo, che già stava gonfiandosi. -
Direi che potremmo divertirci un po’, ma prima devo pisciare. C’era
un sorriso ironico nei suoi occhi. Gaspard si
spostò, mettendosi tra le gambe divaricate di Gabriel, e gli prese il cazzo
in bocca. Gabriel
pisciò, mentre la sua mano accarezzava la testa di Gaspard. Quando
Gabriel ebbe finito, Gaspard non abbandonò la sua
preda, ma prese ad accarezzarla con la lingua, a percorrerla con le labbra,
inghiottendola a tratti. Ben presto l’arma assunse dimensioni tali da non
poter più essere contenuta dentro la bocca, ma Gaspard
non rinunciò a darsi da fare sulla cappella, mentre Gabriel grugniva di
soddisfazione. Le mani di Gabriel continuavano ad aggirarsi tra i capelli di Gaspard, ma i loro movimenti diventavano via via più
bruschi. Poi
Gabriel forzò Gaspard a lasciare la presa e lo fece
ruotare su se stesso, mettendolo a pancia in giù sul pagliericcio. Gaspard aprì le gambe. Gabriel
inumidì appena l’apertura, afferrò il culo di Gaspard
a piene mani, stringendo forte e strappandogli un gemito, poi entrò,
infilzandolo con un movimento deciso. La
fitta acuta accese il piacere di Gaspard, come
sempre avveniva. Il cazzo gli si tese ed il dolore che gli riempiva il culo
si confondeva con il piacere intensissimo che la grande picca di Gabriel gli
dava. Gabriel
spingeva con forza, emettendo suoni inarticolati che sembravano grugniti. Gaspard gemeva, senza ritegno. Le spinte divennero sempre
più veloci e ben presto Gabriel venne, riempiendo il culo di Gaspard del proprio seme. Allora passò le braccia sotto
il torace di Gaspard, stringendolo in una morsa, e
si voltò sul dorso. Ora
Gaspard era sopra di lui e la destra di Gabriel gli
tormentava il cazzo, con strette vigorose, poi scendeva sui coglioni, che
accarezzava ruvidamente, e risaliva a strizzare e colpire. La tensione
cresceva in Gaspard ed infine esplose nell’urlo che
gli sfuggì dalle labbra e nel getto che gli si sparse sul torace e sul
ventre. Gabriel
non lo lasciò. Gli pizzicò i capezzoli, facendolo gemere di nuovo, poi prese
ad accarezzarlo, ma erano carezze aspre, che facevano male. Gabriel si mise a
sedere, forzando Gaspard a fare altrettanto. Gli
morse con forza una spalla e la nuca, poi lo forzò ad allontanarsi. Gaspard sentì l’arma di Gabriel uscirgli dal culo e gli
spiacque. Gabriel
si alzò. Con un piede forzò Gaspard a stendersi
nuovamente, supino. Si sedette sulle sue cosce ed incominciò a dargli sberle
leggere, a strizzargli i capezzoli, a tormentargli i coglioni. A
tutti e due stava tornando duro. Allora
Gabriel, sollevandosi leggermente, allargò le gambe di Gaspard
e le alzò, mettendosele sulle spalle. Poi si protese in avanti ed infilzò
nuovamente il culo che gli si offriva. Gaspard
chiuse gli occhi per il dolore, ma la sua arma si mise sull’attenti. Gabriel
si mise a spingere con tutte le sue forze ed il dolore divenne tanto intenso
da essere intollerabile, ma Gaspard avrebbe voluto
che non finisse mai. Durò
a lungo, molto a lungo, e quando infine Gabriel venne ed uscì da lui, a Gaspard sembrò che il mondo svanisse. Ma la bocca di
Gabriel avvolse la cappella e la tensione crebbe nuovamente, fino a che
esplose. Rimasero
un buon momento distesi. Gaspard si sentiva senza
forze. Guardò Gabriel, che una settimana prima conosceva appena. L’uomo che
gli aveva salvato la vita. L’uomo con cui stava andandosene da Haiti per
raggiungere un altro paese. L’uomo di cui si era innamorato. Perché questo
era successo. Gabriel
lo aveva salvato quella sera per un puro caso: utilizzava una casa vicina per
incontrare alcuni suoi soci d’affari (come li chiamava) e l’uomo che teneva
d’occhio la via, per evitare l’arrivo di ospiti indesiderati (in particolare
gendarmi e soldati, che hanno sempre la pessima abitudine di non farsi gli
affari propri) aveva visto il maggiore entrare nella casa. Ne aveva parlato a
Gabriel, che si era messo di vedetta. Aveva visto arrivare Gaspard e poi aveva sentito il suo grido. Era sceso,
aveva intuito che cosa stava per accadere ed aveva colpito il maggiore alla
testa, senza che lui lo vedesse. Poi
aveva liberato Gaspard e gli aveva dato rifugio. Gaspard aveva raccontato ed alla fine della sua
narrazione Gabriel gli aveva offerto aiuto e qualche cos’altro, di più solido
(soprattutto in quel momento), che era stato utilizzato senza perdere
tempo. * Una
settimana dopo la partenza dei Verneuil alla
ribellione si aggiunse un nuovo problema: in città incominciarono gli scontri
tra le truppe del nuovo governatore, il generale Galbaud,
e quelle del delegato Sonthonax. Gli scontri
avvenivano strada per strada e coinvolgevano tutta la popolazione. Come aveva
previsto Llera, il Cap era un inferno, in cui la
morte era sempre pronta a colpire. Al
termine dei combattimenti, le truppe di Galbaud
sembravano aver riportato la vittoria e la città viveva nella speranza di una
tregua. Gli scontri avevano
provocato molti morti e feriti. Per due notti Louis si fermò al piccolo
ospedale civile e non tornò a casa nemmeno per dormire: sarebbe stato inutile
e pericoloso e, come aveva promesso a Llera,
intendeva badare alla propria vita. All’ospedale c’era molto
bisogno di lui: non era un chirurgo, ma i suoi farmaci riuscivano a prevenire
le infezioni e ad alleviare il dolore. La terza notte dall'ospedale si
sentirono spari ed urla, poi, dai piani superiori, si vide che in città si
stavano sviluppando diversi incendi. Pensarono ad un'improvvisa
controffensiva di Sonthonax, ma la realtà era ben
peggiore. L'annunciò un uomo che arrivò, moribondo, con una mano amputata ed
una ferita al costato. -
I negri. Una banda di negri. Hanno invaso la città. Ammazzano, incendiano,
come alle fattorie. Come
avessero potuto entrare al Cap, Louis lo capì subito: il delegato Sonthonax glielo aveva consentito, per riprendere il
controllo della città. Di una città ridotta ad un cumulo di rovine, i cui
abitanti sarebbero stati sgozzati o sarebbero fuggiti via. Louis
si augurò che il maggior numero possibile di cittadini riuscisse a mettersi
in salvo sulle navi ormeggiate al porto, sotto la protezione delle truppe di Galbaud. Quanto
a lui, era finita. Questa volta, davvero. Il piccolo ospedale civile non
aveva nessuna difesa. Sarebbero giunti anche lì. E avrebbero fatto quello che
avevano fatto alle fattorie. Non c'era quasi nessuno in grado di difendere
l'ospedale: lui era l'unico dottore in quel momento e gli infermieri erano in
buona parte neri. Non avrebbero opposto resistenza: solo così avrebbero
potuto salvarsi. Louis
pensò a Llera. Non avevano potuto parlarsi. Non
aveva potuto dirgli quello che aveva dentro. La colpa era stata sua: avrebbe
dovuto cercare di parlargli quando aveva capito di amarlo, ma gli era mancato
il coraggio. Il fuoco attraverso cui era passato non era stato sufficiente.
Da quello che lo aspettava non sarebbe uscito vivo, ma questo non aveva
realmente importanza. * Il maggiore Verneuil viveva in uno stato di agitazione febbrile. Da
quando era stato colpito, nella casa dove aveva attirato Gaspard,
tutta la sua vita sembrava avere un unico scopo: trovare il tenente ed
ucciderlo. Per questo si spingeva ogni giorno nei quartieri meno sicuri, da
solo. Era una faccenda personale, un conto che lui intendeva regolare, ad
ogni costo. Quando i neri assalirono la
città, Verneuil si trovava lontano dal forte. Vide
arrivare una banda di neri armati e capì di non avere nessuna possibilità di
scampo, ma non ebbe paura: ciò che provò fu solo rabbia all’idea che non
avrebbe potuto vendicarsi di Bernaud. Estrasse immediatamente le
pistole e fece fuoco contro gli uomini che si avventavano su di lui. Ne
uccise due, ma gli altri gli furono addosso. Verneuil sguainò la spada e ferì ad un braccio
l’uomo più vicino, poi immerse la lama nello stomaco di un altro, ma in quel
momento un nero gli trapassò la gamba con una picca. Verneuil
dovette appoggiarsi alla parete di una casa, ma continuò a battersi con la
spada, menando fendenti, finché un nero gli colpì la mano e non fu più in
grado di reggere l’arma. Allora furono tutti su di lui con i coltelli e le
picche, urlando. Verneuil cercò di riparare il
torace con un braccio, ma sentì un violento dolore al ventre. Emise un grido
strozzato. Un pugnale gli trapassò il braccio, una picca gli penetrò nella
coscia, altri colpi si susseguirono. Un dolore violento al basso ventre gli
strappò un altro grido, poi una lama gli spaccò il cuore. Gli uomini si accanirono a
lungo su di lui, anche dopo aver capito che era morto. Poi uno lo afferrò per
i capelli e gli recise la testa. Un altro lo castrò e gli infilò i genitali
in bocca. Infilzarono la testa su una picca e la portarono con sé, come
trofeo. * Mentre
Louis stava medicando una donna incinta, che era rimasta ferita negli
scontri, qualcuno entrò nella stanza del primo piano che serviva come
ambulatorio. Alzò la testa: era Llera. Gli
sembrò che il suo cuore sussultasse. L'intensità della propria reazione lo
stupì. Era felice di vederlo. Poi però si rese conto della situazione e
l'angoscia lo prese. Llera era in pericolo. Perché
era venuto? -
Sono venuto a prenderla. Dobbiamo andarcene subito, se vogliamo avere qualche
possibilità di salvarci. Louis
pensò alla donna. Non poteva lasciarla così, doveva finire la medicazione.
Forse sarebbe stata uccisa dai neri, ma se non fosse stata curata, non
sarebbe sopravvissuta. Llera capì. Come sempre. -
Tra mezz'ora al massimo i neri saranno qui e l'unica cosa che potrà fare sarà
prendersi una lancia nello stomaco, se le va bene. Louis
scosse la testa. C'erano ancora alcuni altri malati a cui voleva prestare le
proprie cure. Assurdo, probabilmente. Sarebbero stati uccisi di lì a poco,
forse. No, probabilmente no. No, i mulatti ed i neri non correvano molti
rischi. -
Pensa di poter essere ancora utile? Lo sarà per ben poco tempo. Louis
alzò le spalle e fece un passo verso Llera,
tendendogli la mano. Avrebbe voluto averlo vicino, avrebbe voluto morire con
lui, ma voleva più di tutto che si salvasse. Quella stretta di mano sarebbe
stato il loro addio. L'amava. Non sapeva se Llera
l'amasse, ma non aveva importanza, ora. Non aveva più importanza. -
Lei è un imbecille, Reybert. Llera si voltò ed uscì, senza stringergli la mano, senza
neppure un saluto. Louis sentì una stretta al cuore ed un'amarezza profonda.
Perché Llera l'aveva lasciato così, negandogli
anche un piccolo gesto di amicizia? Si
tuffò nel lavoro, ma con un senso di oppressione che non lo lasciò più. Si
muoveva a fatica, con un dolore acuto nel petto. Si accorse di avere le
lacrime agli occhi. La morte non lo spaventava più. La desiderava. Il più
presto possibile. 17 Erano passati venti minuti, quando uno
degli infermieri gli si avvicinò. -
Stanno sfondando la porta d'ingresso. Ha fatto male a non andare, dottore. Questa
volta il tempo era venuto. Lo sapeva. Non ci sarebbero stati altri miracoli.
Due volte era scampato per un pelo. Alzò le spalle. Non gli importava niente;
il pensiero di quell'addio mancato gli bruciava ben di più. Aveva di nuovo le
lacrime agli occhi. In
quel momento sentì una voce alle sue spalle: -
Bene, Louis, ora puoi venire con me? Al
suono della voce di Llera, sentì una gioia intensa,
che subito si trasformò in angoscia. Si voltò, quasi sperando di essersi
sbagliato. Ma Jorge era davanti a lui. Perché? Perché non se n'era andato?
Perché? -
Non mi chiedere perché, bestia. Muoviti, ora. Lo
afferrò per la mano e cominciò a trascinarlo lungo le scale. In alto, verso
la soffitta. Louis seguiva docile, angosciato ed incredulo. Nella soffitta si
apriva un lucernario. -
Esci di lì, ma attento a non scivolare: il tetto è in pendenza e se perdi
l'equilibrio ti infilzerai da solo nelle picche di quelli là sotto. Louis
uscì sul tetto, muovendosi con cautela. Llera lo
seguì, poi lo prese per mano e, camminando lentamente, raggiunsero un
comignolo, intorno al quale era stata passata una corda. -
Dobbiamo scendere di qui. Attento che le corde non sono fissate: tieniti a
tutt'e due. Llera cominciò a scendere. Louis lo seguì. Si ritrovarono
in uno spazio ristretto, in leggera pendenza, delimitato da due spioventi del
tetto. Louis cercò di capire dove fossero. Su una parte bassa del tetto
dell'ospedale, verso il retro. Llera fece scorrere
la corda fino a che trovò il nodo che aveva stretto, lo sciolse e ritirò la
corda. -
Sediamoci qui. Si
sedettero uno di fianco all'altro. Da poco lontano provenivano urla e spari. -
Se l'ospedale non prende fuoco, abbiamo qualche possibilità di cavarcela.
Possiamo rimanere qui fino alle ultime ore della notte, poi calarci giù e
cercare di uscire da questo inferno. Louis
annuì. Ci fu un attimo di silenzio. -
Scusami se ti ho dato dell'imbecille. Ero esasperato. È stata una notte da
incubo. Ho saputo di quanto sarebbe accaduto troppo tardi. Mi sono
precipitato al Cap per prenderti e sono riuscito ad arrivare senza intoppi a
casa tua. Ero ancora in tempo. Saremmo riusciti a scappare, a raggiungere il
porto o ad allontanarci dalla città in un'altra direzione. E tu non c'eri.
Nessuno sapeva dov'eri. Ho cercato di capirlo, ma potevi essere dappertutto:
sapevo che c'erano stati combattimenti e disordini e potevi esserti rifugiato
in casa di qualcuno. Sono corso da Marie-Sophie e lei mi ha detto che
probabilmente eri all'ospedale. L'ho avvertita di scappare e sono corso qui.
Ma ormai era tardi. L'attacco era incominciato ed arrivare qui era quasi
impossibile. E non sapevo neanche se ti avrei trovato. Quando sono arrivato,
tu c'eri. Che sollievo! Ma non volevi venire via. Ti avrei sparato. Sono
corso a cercare una via di uscita. Ho visto il lucernario e ho pensato al
tetto. Ho preparato tutto e sono tornato a prenderti. Questa volta ti avrei
portato via a forza. Non so se ce la faremo, ma va bene così. Louis
appoggiò la sua mano sul dorso della sinistra di Llera
e l'accarezzò, poi infilò le dita tra le sue. -
Ora sono io che parlo troppo, ma avevo bisogno di dirtelo. Devo dirti molte
cose. Non molte. Forse una sola. Ma non ora. Rimasero
in silenzio. Louis pensava che Llera aveva
rischiato la vita per salvarlo e che... Non voleva pensare. L'amava, era
felice di averlo lì vicino, ma temeva che il suo tentativo di salvarlo lo
avesse messo in una via senza uscita. Louis
continuava ad accarezzare la mano di Jorge. Dopo un po' di tempo, Jorge parlò
nuovamente: -
Tu parli davvero con le mani. Grazie per quello che mi dici. Louis
sorrise. Proseguì le sue carezze. Passò
un'ora, forse meno. Continuavano a sentirsi urla e spari, ma Louis si sentiva
tranquillo, ora. Stare seduto di fianco a Jorge, carezzandogli la mano, lo
appagava pienamente. Il futuro non importava. Di
colpo videro un bagliore sulla destra. Capirono subito. Llera
si mosse e si sporse per guardare. -
Merda! L'ospedale brucia. Dobbiamo calarci, ma lo faremo il più tardi
possibile. Più tardi è, più possibilità abbiamo di non essere infilzati, non
subito almeno. Llera si sedette di nuovo. Ora
il calore stava aumentando sensibilmente. Sulla destra, dietro il profilo del
tetto, videro apparire lingue di fuoco. -
Vediamo un po'. Sotto sembra non esserci nessuno. Se riusciamo a calarci giù
senza che ci ammazzino, dopo possiamo difenderci. Llera salì sul tetto fino a che trovò un comignolo a cui
fissare la corda, poi si calò nel buio. Louis lo seguì. Il vicolo era molto
stretto e, nonostante l'incendio che aveva raggiunto i tetti, era immerso
nell'oscurità. Llera estrasse dalla tasca una pistola e l'impugnò, poi
si fermò. Esitava, non sapendo dove dirigersi. -
Dove diavolo siamo? Louis
lo prese per il braccio e lo guidò verso lo sbocco del vicolo. Voltato un
angolo, si trovarono a pochi passi da una strada. L'edificio di fronte a loro
bruciava. Llera si sporse a guardare. Non c'era
nessuno. -
Andiamo! Di corsa. Non ti staccare. No, è meglio che ti tenga. Se ti succede
qualche cosa... Lo
prese per il polso e cominciarono a correre. Lungo la strada non c'era
nessuno e molti edifici bruciavano. Avevano
percorso un buon tratto, quando videro di fronte a loro, a meno di venti
metri, tre neri che sbucavano da un vicolo. Llera
si fermò ed estrasse una seconda pistola. Ora aveva una pistola per mano. I
tre li guardarono. Avevano i coltelli. Louis mise una mano in tasca, come se
volesse prendere una pistola. Una finta, ma in quella situazione poteva
ottenere un certo effetto. Contro due uomini armati di pistole tre attaccanti
con i coltelli non avevano nessuna possibilità. I
neri rientrarono nella viuzza da cui erano sbucati. Llera
e Louis si spostarono sul lato opposto della strada e, camminando rasente
agli edifici, avanzarono con cautela, tenendo d'occhio l'ingresso del vicolo,
ma non si vedeva più nessuno. -
Tu guarda dietro, io davanti. Llera rimise in tasca la pistola che teneva nella
sinistra e lo afferrò nuovamente per il braccio, poi riprese a muoversi
rapidamente. Louis controllava l'ingresso del vicolo, ormai alle sue spalle.
Non c’era segno di vita. In quel momento Llera
lasciò andare il suo braccio. -
Merda! Ora
i neri erano sette, appena sbucati dalla viuzza successiva. Gli stessi di
prima, probabilmente, che erano corsi a chiamare un altro gruppo lì vicino.
Due avevano una pistola. -
Giù, Louis, giù. Louis
si gettò a terra. Llera fece fuoco con la destra,
estrasse l'altra pistola, fece nuovamente fuoco. Anche i neri fecero fuoco. Louis
vide Llera cadere. Urlò. -
Jorge! Jorge,
disteso a terra, si voltò, lo guardò un attimo con un'espressione sbigottita
sul volto, poi sorrise, mentre freneticamente caricava una delle pistole. Non
era stato colpito, si era soltanto buttato a terra. Louis provò un sollievo
infinito, per quanto disperata fosse la loro situazione. I due neri con le
pistole erano al suolo. Gli altri ebbero un momento di smarrimento, poi si
chinarono a raccogliere le pistole, mentre uno di loro si lanciò su Llera, brandendo un coltellaccio. Llera riuscì a caricare la pistola e sparò ancora,
centrando l'assalitore quando questi era a mezzo metro da lui. L'uomo girò su
se stesso e cadde a terra. Louis
si alzò, prese Llera per la mano e lo trascinò
verso un vicolo che si apriva dall'altra parte della strada. Vi si infilarono
di corsa. Dietro di loro sentivano le urla dei neri. La stradina era breve e
si divideva subito in due tronconi. Louis conosceva il posto, in quella zona
si era recato molte volte per curare alcuni mulatti e bianchi poveri. Svoltò
a destra. Continuò a correre rapidamente, tra le piccole vie. Llera lo seguiva e guardava alle sue spalle. I neri non
erano più visibili. Arrivarono ad una casa bruciata. -
Fermati. Louis
ubbidì. -
È più prudente fermarci ad aspettare. Quelli hanno perso le nostre tracce,
correndo rischiamo solo di trovarne altri. Entriamo qui. Entrarono
tra le rovine fumanti. -
Nascondiamoci qui e taci. Sorrise
e ripeté: -
Taci, non voglio sentirti dire altro. È stato bellissimo. Era la tua prima
parola? Louis
annuì. Llera poteva appena vederlo nell'oscurità.
Si inginocchiarono nella cenere. Llera ricaricò le
pistole. Rimasero
a lungo distesi tra le rovine. Ora c'era silenzio, anche se lontano si
sentivano ancora spari ed urla. Passarono due o tre ore. Llera
si alzò. -
Ora dobbiamo andare. Se riusciamo ad arrivare fuori città, è fatta. Videro
diversi cadaveri nelle strade, ma non incontrarono altri ostacoli. Coloro che
incrociavano erano ubriachi o occupati a saccheggiare; la vista delle pistole
era sufficiente a dissuaderli dall’attaccare. Ben
presto uscirono nei campi. Louis
si chiese se davvero anche quella volta ce l'avevano fatta. Forse Jorge aveva
ragione. Forse aveva davvero sette vite. E lui? Sarebbe davvero morto quando
lo voleva? Non gli sembrava probabile. Ma avrebbe difeso la sua vita. E
quella di Jorge. -
Dobbiamo proseguire, Louis. Non sei troppo stanco? Non hai passato le ultime
notti in bianco? Louis
alzò le spalle e gli fece segno di continuare. Camminarono
a lungo. Quando albeggiò erano già abbastanza lontani dalla città. Llera conosceva strade e sentieri e si muoveva con
sicurezza. Verso
mezzogiorno Louis sentì che le gambe non lo sostenevano più. Non disse nulla
e cercò di mantenere il passo, ma stava cedendo. Dopo un po' Jorge si rese
conto che Louis rimaneva indietro e rallentò il passo. -
Mi spiace, Louis, ma non possiamo fermarci qui. Non voglio correre rischi.
Sarebbe idiota farsi ammazzare ora. Louis
annuì. Ogni passo gli costava una fatica atroce, ma proseguì. Dopo un'ora
fecero una sosta. -
Dormi pure un po'. Qui non ci sono rischi. Louis
sprofondò nel sonno. Jorge lo chiamò dopo poco più di un'ora e ripresero la
marcia. Louis si sentiva le gambe irrigidite, ma dopo alcuni passi riuscì
nuovamente a muoversi abbastanza speditamente. Verso sera arrivarono ad una
radura in cui si trovavano alcune capanne. Dal margine del bosco Jorge
osservò con attenzione il posto, poi, quando vide due bambini uscire di corsa
da una delle abitazioni, sorrise e disse a Louis. -
Tutto a posto, qui possiamo mangiare e dormire. Si
fece avanti, seguito da Louis. I bambini si fermarono, poi uno gli corse
incontro, mentre l'altra, un po' più grande, rientrò nella capanna,
chiamando. Sulla
porta uscì una donna, che li accolse sorridendo. -
Benvenuti. Llera ricambiò il sorriso. -
Ti chiediamo ospitalità, Desirée. -
Sistematevi, vi preparo da mangiare. Dopo che ebbero mangiato, Llera chiese dove poteva far dormire Louis al sicuro. La
donna lo portò in un'altra capanna, in cui non sembrava esserci nessuno. Louis
non sapeva che cosa Jorge intendesse fare, ma si stese immediatamente e dormì
di un sonno profondo. Quando si svegliò era ormai pieno giorno. Nella capanna
non c'era nessuno, ma accanto alla stuoia su cui aveva riposato, ce n'era
un'altra. Jorge doveva aver dormito accanto a lui. Louis
si alzò a sedere. La stanchezza era passata. Si affacciò sulla soglia. Jorge
stava giocando con il bambino che il giorno prima gli era corso incontro. Lo
guardò. -
Direi che hai riposato bene. Hai dormito oltre dieci ore! Louis
gli sorrise. -
Jorge. Avrebbe
potuto dire altro, ma non voleva. -
Se hai ritrovato quest'unica parola, per me va bene così. Non potrei chiedere
di meglio. Louis
sorrise nuovamente. -
Puoi venire a dare un'occhiata ad un bambino che ha la febbre? E c'è anche un
uomo con una ferita infettata. Louis
visitò il bambino ed il ferito, poi andò a raccogliere le erbe necessarie per
la cura, accompagnato da Jorge. Rimasero
nel piccolo villaggio tutto il giorno. Verso sera, dopo aver mangiato, Jorge
gli espose le sue intenzioni. -
Dobbiamo partire. Il prossimo tratto è l'ultimo che presenta ancora diversi
rischi ed è meglio percorrerlo di notte. Se non ci sono problemi, domani
mattina saremo al sicuro. Louis
visitò i suoi due pazienti, poi si avviarono. Ora ognuno di loro due aveva
una borsa con alcune provviste e Louis aveva alcune delle erbe raccolte il
giorno prima. Louis si stupì della sicurezza con cui
Jorge si muoveva, anche al buio, in punti in cui non sembrava esserci
sentiero. Pensò che comunque presto l’oscurità avrebbe impedito loro di
continuare, ma poi si rese conto che erano passati su un sentiero abbastanza
sgombro e la luce lunare era sufficiente per muoversi. Il sentiero era in
forte salita e quando giunse l'alba si trovavano in alto su una montagna. -
Qui non ci sono più pericoli. Vuoi che ci fermiamo a dormire un po'? Louis
annuì. Era stanco e non gli spiaceva l'idea di riposare. Si
stesero fuori dal sentiero, in un punto riparato. Jorge lo chiamò qualche ora
dopo. Il sole era alto, ma era ancora mattino. Verso
mezzogiorno cominciarono a sentire il rumore di una cascata. -
Che ne diresti di un bel bagno? Louis
fu entusiasta dell'idea. Si sentiva sudato e lercio. Lasciarono
il sentiero e si mossero fino a raggiungere un torrente, che formava una
cascata e poi una serie di ampie pozze d'acqua. Louis ne indicò una, che
sembrava particolarmente invitante, ma Llera scosse
la testa e lo guidò più in basso. In un angolo nascosto vi era una pozza più
ampia, con un'acqua limpida, di un azzurro intenso. Louis
si spogliò, conscio degli occhi di Jorge su di lui. Non si voltò ed entrò
rapidamente in acqua. Sentì la sensazione di frescura sulla pelle. Si
immerse, si strofinò i capelli e la barba, nuotò, si lasciò galleggiare.
Accanto a lui Jorge faceva le stesse cose. Si sentiva felice. In un momento
in cui era in piedi nell'acqua, ai margini della pozza, Jorge cominciò a
spruzzargli l'acqua in faccia. Louis fece altrettanto. La battaglia proseguì
un buon momento, poi Jorge gli saltò addosso e lo immerse. Lo lasciò quasi
subito. Louis riemerse, ridendo, ma si sentiva turbato. Spruzzò di nuovo
Jorge e si issò sulla roccia ai margini della pozza. Di lì spruzzò ancora
Jorge, con i piedi. Jorge si allontanò, per non essere raggiunto dagli
schizzi, ma continuò a guardarlo. Ora
che era sulla riva Louis era di nuovo conscio dello sguardo di Jorge. Si
stese supino sull'erba, ai piedi della piccola cascata che alimentava quella
pozza. Sentì che Jorge usciva dall'acqua. Lo vide avvicinarsi e stendersi
prono di fianco a lui. Voltò il viso per guardarlo. -
Jorge. Jorge
girò la testa e lo fissò sorridendo, senza dire nulla. -
Mi sono innamorato di te, Jorge. Jorge
scoppiò a ridere, una fragorosa risata, che disorientò Louis, poi lo guardò,
con un ghigno. Smise di ridere e lo fissò. L’espressione del suo viso cambiò
completamente. Sembrava avere quasi paura, ora. -
Di me, contrabbandiere senza patria, senza Dio, puttaniere, infedele? Di me?
Lo sai cosa dicono di me. Lo sai, l'hai sentito quella maledetta sera. C'era
una contrazione sul suo viso, uno spasimo di dolore acuto. - Jorge. - Louis. Louis. Louis. Louis. Mentre
ripeteva il suo nome, Jorge protendeva le mani, gli passava due dita sulla
guancia, sfiorandolo appena, quasi avesse paura di toccarlo.
- Louis, tu non puoi sapere. Quanto ti amo, quanto ti desidero. Senza
il coraggio di dirtelo. Mi hai preso l’anima, senza che me ne rendessi conto.
Scoprirlo è stato tremendo, come sprofondare di colpo nelle sabbie mobili.
Non sapevo che cosa provavi, che cosa pensavi. Poi l’ho letto nei tuoi occhi,
ma ho letto anche i tuoi dubbi. Me l'ha detto la tua mano, sul tetto
dell'ospedale. Louis. È così bello sentirtelo dire. Dimmelo ancora.
- Ti amo, Jorge, la mia anima ti appartiene. Jorge
si avvicinò. Si mise in ginocchio di fianco a lui, gli prese il viso tra le
mani. A quel contatto Louis sentì un leggero tremito invaderlo. Si mise a
sedere, fissando Jorge negli occhi. Le loro bocche si cercarono e si
trovarono, in un bacio molto delicato, esitante, che ben presto divenne
appassionato. Le loro lingue si incontrarono ed allora Jorge spinse Louis a
terra, stendendosi su di lui. I
loro corpi aderivano ed una sensazione di benessere infinito avvolse Louis.
Le sue mani accarezzarono il viso di Jorge, chiedendo ed ottenendo un altro
bacio, lungo e profondo. Le mani di Jorge percorrevano il corpo di Louis,
scivolando lungo i fianchi e le cosce. Ed in entrambi si accendeva un unico
fuoco. Jorge
lo guardò, aprì la bocca per dire qualche cosa, ma non riuscì a trovare
parole ed allora baciò ancora Louis. Poi si staccò da lui, mettendosi a
sedere sulle ginocchia, e lo guardò a lungo, mentre le sue mani percorrevano
lentamente il torace ed il ventre, accarezzando la picca ed avvolgendo i
testicoli, per risalire subito dopo fino alle spalle ed al viso. Jorge
chinò il capo ed avvicinò le labbra all’arma tesa. La prese in bocca. Louis
ebbe un guizzo e quasi urlò. Chiuse gli occhi e si abbandonò alla carezza di
quella lingua, che scorreva impietosa, trasmettendogli brividi di piacere. Le
sue mani strinsero la testa di Jorge, si impigliarono tra i suoi capelli, poi
l’allontanarono. Jorge lo guardò senza capire. Louis
sorrise e mormorò: -
Stenditi di fianco a me. Una
mano di Louis guidò Jorge, che si distese in modo che ognuno di loro due
avesse la testa vicina alla picca dell’altro. Louis avvicinò le labbra
all’uccello di Jorge e lo avvolse con le labbra, poi lo lasciò e si mise ad
accarezzarlo con la lingua. La bocca di Jorge intanto giocava con il suo e
Louis non avrebbe saputo dire quale piacere fosse maggiore. Le mani di Louis
sfioravano Jorge e ricevevano da lui altre carezze. Infine
il piacere si tese allo spasimo ed esplose, prima in Louis, poi in Jorge ed
entrambi accolsero in bocca il seme dell’altro. Allora
Jorge si girò e si mise nuovamente su Louis, baciandolo sulla bocca. Rimasero
a lungo così, fino a che sentirono tutti e due che il desiderio premeva di
nuovo ed allora Jorge si sdraiò di fianco a Louis, sul ventre, e gli sorrise.
Louis si inginocchiò e gli morse il culo, con forza, tre volte, facendolo
gemere. Poi si adagiò su di lui ed incominciò a passargli la lingua dietro
l’orecchio e sul collo, a mordergli delicatamente la spalla, ad accarezzargli
la testa, i fianchi. Infine
si bagnò due dita, inumidì l’apertura e lentamente vi entrò. Jorge
sentì un’ondata di sensazioni travolgerlo e gridò il nome di Louis, tre
volte. Gli
sembrava che tutta la sua esistenza trovasse completezza e senso in quel
momento, mentre la sua carne e quella di Louis si fondevano. Era un piacere
sconfinato, che nasceva da dentro, cresceva in lui, diventando sempre più
forte, ed infine si scagliava fuori, mentre un urlo gli sgorgava dalle labbra. Louis
venne poco dopo di lui. Rimasero
alla pozza tutto il pomeriggio e la notte. Dormirono abbracciati e Louis si
sentì protetto e felice. 18 Il
giorno successivo partirono tardi e solo nel pomeriggio arrivarono sulla
cresta di una collina, da cui si vedeva un grosso borgo. Scesero lungo un
sentiero, fino ad arrivare ad una casa, ai margini dell'abitato. -
Questa è casa mia. Casa nostra, ora. Il terreno lì dietro è di mia proprietà,
perciò possiamo allargare l'orto, per la coltivazione delle erbe che ti
servono. Non credo che tu intenda smettere di esercitare. Fecero
alcuni passi in direzione della casa. Ne uscirono due bambini, sui sei-sette
anni, che corsero incontro a Jorge e lo abbracciarono. -
Louis, ti presento Miguel e Felipe, i miei figli. Bambini, questo è Louis, il
mio migliore amico. Abiterà con noi. Louis
era stupito. Jorge aveva due figli. Forse avrebbe dovuto pensarci, aveva
avuto modo di vedere che era a suo agio con i bambini. Si rese conto che non
sapeva nulla del passato di Jorge, solo quello che di lui dicevano gli altri. Dalla
casa uscì una donna, una mulatta sui vent'anni. Louis si irrigidì, si sentì a
disagio. Chi era quella donna che viveva nella casa di Jorge? La madre dei
suoi figli? Sembrava giovane, era possibile; i bambini erano bianchi, ma la
donna aveva la pelle molto chiara. -
Jorge! -
Salute, Maria. Come stai? Jorge
l'abbracciò e la donna nascose il capo sul suo petto. -
Ero preoccupata. Le notizie che arrivano sono terribili. -
Non c'era da preoccuparsi. È andato tutto benissimo. Questo è Louis. Questa è
Maria. La
donna lo guardò, incuriosita. -
Jorge mi ha parlato moltissimo di lei. Sono contenta di conoscerla,
finalmente. -
Grazie. Louis
cercò di fabbricare un sorriso, che uscì smorto: era confuso e spaventato. -
Ma allora parla! A
fatica, Louis articolò: -
Ho ripreso pochi giorni fa. Intervenne
Llera: -
Ma gli ho fatto riprendere l'abitudine, tra ieri ed oggi. Non sta più zitto!
Comunque potete darvi del tu, tanto Louis fa parte della famiglia, ormai. Non
era vero che aveva parlato molto, anche se si erano detti molte cose. Parlava
poco. Vagamente si rendeva conto che avrebbe sempre parlato poco, che aveva
ormai imparato a servirsi in un modo diverso delle parole. Quella di Llera era una battuta, per superare l'imbarazzo del
momento. La donna sorrise. Louis rinunciò a sorridere. Stava troppo male. La
donna rientrò nella casa, dicendo che avrebbe preparato qualche cosa da
mangiare per loro; Jorge si sedette nella veranda, facendo cenno a Louis di
sedersi accanto a lui. Come il pomeriggio in cui, per la prima volta, si
erano parlati. No, il pomeriggio in cui lui aveva parlato, quel giorno Jorge
non aveva detto nulla di sé. I
bambini non si staccavano da Jorge, che li coccolava. Louis avrebbe voluto
chiedere, non sapeva nemmeno lui che cosa, comunque non era il momento. Cercò
di trovare dentro di sé la forza che gli mancava, non era facile, non era
pronto. Si era fatto cogliere di sorpresa. Con Jorge aveva abbassato la
guardia, no, l'aveva eliminata. Aveva deciso che da Jorge non si sarebbe mai
dovuto difendere. Forse aveva sbagliato. Un'improvvisa stanchezza lo assalì,
una tristezza che divenne un dolore acuto, che gli scavava dentro. Si chiuse
in se stesso, cercando di non tradire la propria tensione. Ben
presto si rese conto che Jorge, per quanto occupato con i bambini, lo
guardava spesso e sembrava preoccupato. Evitò con cura di incrociare lo
sguardo di Jorge: aveva paura che gli leggesse dentro. Aveva paura delle
risposte alle sue domande inespresse. Fu Jorge a parlare. -
Louis. Louis
si irrigidì nuovamente. Finse di massaggiarsi una caviglia, per evitare di
guardare Jorge. Rispose: -
Che cosa c'è? -
Quella era la mia domanda. Louis
tacque. Jorge sapeva darsi le risposte giuste. Che lo facesse anche quella
volta. -
Louis, guardami. Guardami negli occhi. Louis
smise di massaggiarsi la caviglia e lo guardò. Gli sembrò che lo sguardo di
Jorge gli penetrasse fino al cuore. Jorge si rivolse ai bambini: -
Miguel, Felipe, ho bisogno di parlare un attimo con Louis. Andate da Maria,
solo un momento. Vi chiamerò. I
bambini esitarono, un po' stupiti, ma poi ubbidirono. Jorge
si alzò e si mise davanti a Louis. Lo guardò un buon momento, sconcertato e
preoccupato. Louis avrebbe voluto abbassare gli occhi, ma sentiva di non
averne il diritto. -
Che cosa c'è, Louis? Stai male, malissimo. Perché? -
Scusami, Jorge. Due bambini, una donna. Mi chiedo che cosa ci faccio qui. Il
viso di Jorge si distese in un ampio sorriso. -
Maria non è la mia amante, è mia sorella, sorellastra, se vuoi. Vive con me e
si prende cura dei bambini. Louis
respirò, ma il sorriso sul viso di Jorge scomparve. -
Non ti avrei portato qui se fosse stato così. Louis, Louis, non valgo molto,
lo so. Ma hai davvero così poca stima di me? Louis
abbassò lo sguardo, confuso. Non avrebbe dovuto pensarlo. -
Mi spiace, Jorge. Quando ho scoperto che avevi due figli, mi sono reso conto
di non sapere quasi nulla di te. E a vedere Maria mi sono spaventato.
Scusami. Tu dici che sono resistente come l'acciaio, ma nelle tue mani sono
un bicchiere di vetro. E mi sono messo nelle tue mani. Il
sorriso ritornò sul volto di Jorge. -
Avrò cura di te. Non vorrei farti male per tutto l'oro del mondo. In quel
bicchiere c'è la mia vita, la mia settima, ed ultima, vita. Sai che la mia
anima ti appartiene. Si
chinò sulla sedia e baciò Louis sulla bocca. Poi riprese: -
Mi sono sposato nove anni fa. Ho avuto due figli. Quando è nato Felipe, sei
anni fa, mia moglie se n'è andata con un ufficiale francese, lasciandomi i
due bambini. Maria è venuta ad abitare con me e si è presa cura di loro.
Questa è la mia storia. Per anni ci sono stati solo loro due, e Maria. Sì,
sono andato con molte donne, ragazzi, uomini. Ma nessuno di loro aveva
importanza. Amavo solo i miei figli. Ora ci sei tu. E vorrei che tu ci fossi
per sempre. -
Non chiedo di meglio. Nuovamente
Jorge si chinò su di lui e lo baciò. -
Ora chiamo i bambini, hanno voglia di stare con me. Non mi vedono da parecchi
giorni. Dopo
aver mangiato, si misero ancora sulla veranda. Jorge giocò a lungo con i
bambini, fino a che divenne notte. -
Miguel, Felipe, è ora di andare a letto. Poi
si rivolse a Louis: -
Andiamo a coricarci anche noi? -
Volentieri. Louis
seguì Jorge e i bambini in una camera con un grande letto. Jorge si spogliò
rapidamente e si sdraiò, imitato dai bambini, che gli si appiccicarono. Louis
rimase un attimo interdetto. Non aveva previsto i bambini. Aveva pensato ad
altro. -
Muoviti, Louis, c'è posto anche per te. Louis
si spogliò e si sistemò su un lato del letto. Jorge allungò il braccio sopra
Felipe, che era steso tra di loro, ed afferrò una mano di Louis. -
Un po' più vicino. O avrai freddo. Louis
rise: il caldo era intenso. Si spostò verso Jorge. -
Ancora. Louis
si spostò ancora più vicino. Ora quasi toccava il corpo di Felipe. -
Passa da questa parte, Felipe. Il
bimbo ubbidì e passò sul corpo del padre, mettendosi tra suo fratello e
Jorge. Jorge si voltò verso i due figli, abbracciandoli. Louis guardava la
schiena di Jorge. Ora tra loro c'era lo spazio lasciato dal bambino. -
Louis! -
Cosa c'è? -
Che diavolo aspetti? Avvicinati. Louis
ubbidì. Ora era a pochi centimetri da Jorge. Ne sentiva il calore. -
Ancora. Non ho mica la peste. Louis
rise ed aderì completamente al corpo di Jorge, abbracciandolo. -
Ce n'è voluta. Pensi di farti desiderare in questo modo tutte le volte? -
No, ma devo abituarmi. Non mi aspettavo... -
I bambini hanno una loro camera, ma quando torno preferiscono dormire con me.
Hanno voglia di starmi vicino. Ed io ho voglia di stare vicino a loro. Mi
piace dormire così. Ed ora che ci sei, non avrò più freddo alla schiena. Così
è perfetto. Per il resto, possiamo rimandare a domani mattina, quando i
bambini si sono alzati. Riesci a resistere? -
Certamente! -
Buona notte, Louis. Ti voglio bene. -
Buona notte, Jorge. Anch'io ti voglio bene. Louis
non aveva sonno. Ora sentiva il respiro leggero dei bambini. La sua mano
carezzava il corpo di Jorge, che rispondeva alle sue carezze con movimenti
leggeri. Continuò a lungo ad accarezzare i capelli, le guance, il collo, la
spalla, il fianco, senza spingersi oltre. I bambini dormivano attaccati a
Jorge. Stare disteso così gli dava una sensazione di pace infinita. Sussurrò: -
Grazie, Jorge. |
|||||