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 10                C’era
  molta gente nel salotto dei Verneuil, come spesso
  accadeva: i padroni di casa amavano ricevere ospiti e la ricca borghesia del Cap si affollava nella loro abitazione. La famiglia era
  una delle più ricche dell’isola, ma ad assicurare il successo delle serate
  era soprattutto Laure Verneuil: una donna non più
  giovane, ma ancora molto bella, che aveva trascorso quasi dieci anni in
  Francia ed esibiva una raffinatezza di maniere invidiata da tutte le signore.
         Quella
  sera si era tenuta una grande cena. Tra gli ospiti vi era il maggiore Verneuil, fratello del padrone di casa. Lo accompagnava
  il giovane tenente Bernaud, che tutti ammiravano
  per il coraggio dimostrato in molte occasioni. Bernaud
  veniva di rado, sembrava non amare molto la vita mondana, ma la sua presenza
  era sempre apprezzata, soprattutto dalle numerose madri con figlie in età da
  marito. Purtroppo, come il lettore più acuto avrà già avuto modo di
  sospettare, le loro manovre erano un puro spreco di tempo ed energie.       Era
  presente anche Jorge Llera,
  che portò notizie di alcuni dei bianchi prigionieri. Da lui si seppe che il
  giovane dottor Louis Reybert era ancora vivo e
  questa nuova fu accolta con gioia dai Verneuil,
  amici di famiglia dei Reybert da molto tempo. Se ne
  rallegrò molto anche il maggiore, fratello del padrone di casa e grande amico
  del padre di Louis. Gli altri ospiti invece conoscevano appena il giovane,
  perché prima era stato in Francia e poi era rimasto un lungo periodo lontano
  dal Cap.        Dopo
  cena venne il momento in cui gli uomini si riunirono, per bere e fumare tra
  di loro. La conversazione cadde naturalmente sugli ultimi avvenimenti ed in
  particolare sull’omicidio del tenente Feuillet,
  ucciso nella notte precedente. Si trattava di un delitto efferato, i cui
  particolari non avrebbero potuto essere narrati davanti alle signore. Le
  quali peraltro, perfettamente informate, in quel momento stavano discutendo
  dello stesso crimine.       A
  parlare dell’assassinio era il maggiore Verneuil,
  che di Feuillet era il diretto superiore.       Llera era un po’ stupito di quella narrazione truculenta,
  ricca di particolari raccapriccianti: non se la sarebbe aspettata da un uomo
  d’azione come Verneuil.       Anche
  il comportamento del tenente Bernaud era strano.
  Era seduto, un po’ proteso in avanti, rigido, e fissava le mani del maggiore,
  come se ne fosse affascinato.        Gaspard Bernaud non riusciva a
  distogliere lo sguardo da quelle mani. Erano grandi, forti, con dita corte,
  il dorso coperto da una peluria nera. Si muovevano a sottolineare con il loro
  gesto l’azione, il momento terribile in cui gli assassini avevano castrato
  l’ufficiale. Bernaud vedeva, come se avesse la
  scena davanti agli occhi, quelle grosse mani un po’ tozze che afferravano i
  suoi coglioni ed avvicinavano la lama.       Il
  fiato gli mancava e gli era difficile mantenere un’espressione impassibile.
  Il cazzo sembrava sul punto di esplodere. Il maggiore narrava con lentezza,
  insistendo sui dettagli, e Bernaud immaginava il
  maggiore al posto degli assassini e se stesso come vittima.       L’eccitazione
  era tanto intensa da farlo stare male. A fatica dissimulò il suo disagio.
  Avrebbe voluto alzarsi ed uscire a prendere una boccata d’aria. Ma quello che
  voleva davvero era altro, qualche cosa che non poteva avere in quel momento e
  che probabilmente il maggiore gli avrebbe negato anche al forte, dopo averlo
  eccitato con la sua narrazione.       Perché
  Bernaud sapeva benissimo che quel racconto aveva un
  solo reale destinatario: Verneuil non parlava per
  gli altri, ma per lui.       Quando
  infine ritornarono al forte, il maggiore gli ordinò di accompagnarlo nella
  cella sotterranea dove si trovavano tre prigionieri mulatti, che sarebbero
  stati fucilati il giorno dopo.        Entrarono
  nella stanza, dove i tre erano incatenati alla parete. C’era un forte odore
  di piscio. Alla luce della torcia i tre li fissarono, senza dire nulla.        Il
  maggiore si rivolse a Bernaud:       -
  E se domani mattina, invece di comandare il plotone, tu venissi fucilato
  insieme a loro, di fianco a questi tre assassini? Comanderei io il plotone e
  ti darei io il colpo di grazia.       Bernaud si vide al muro, colpito a morte, agonizzante al
  suolo e poi il maggiore che si avvicinava sorridendo, gli infilava la pistola
  in bocca e sparava. Deglutì e non disse niente. Non era in grado di parlare.
  L’uccello era teso e rigido.       Uscirono
  dalla cella. Bernaud la chiuse. Nessun altro li
  aveva accompagnati, il maggiore aveva ordinato ai soldati di rimanere in cima
  alle scale.       -
  Entra nella cella di fianco.       Bernaud eseguì.       -
  Spogliati.       Di
  nuovo Bernaud ubbidì.        -
  Rimarrai in questa cella, Bernaud. Nudo. Tutta la
  notte. Domani mattina deciderò se farti fucilare insieme agli altri tre o se
  permetterti di rivestirti e comandare il plotone.       -
  Sì, signor maggiore.       -
  Ma adesso inginocchiati.       Quando
  Bernaud fu in posizione, il maggiore estrasse il
  cazzo e glielo mise in bocca. Non disse una parola, ma incominciò a pisciare.
  Bernaud bevve.       -
  Alzati.       Gaspard eseguì. Verneuil gli
  passò una mano sotto i coglioni, come se li soppesasse.       -
  Ti piacerebbe se te li tagliassi, vero?       Gaspard non rispose. Conservava abbastanza lucidità da
  capire che non lo voleva, anche se una parte di lui gridava di sì, che
  qualunque violenza da parte del maggiore sarebbe stata ben accetta.        Il
  ceffone, violentissimo, quasi lo mandò a terra.       -
  Rispondi, stronzo!       Bernaud trovò la voce:       -
  No, signor maggiore.       -
  Invece io credo che ti piacerebbe. Come hanno fatto a Feuillet.
  Non è vero che ti piacerebbe?       La
  voce di Verneuil era insinuante e di nuovo Gaspard non rispose. Un nuovo violento ceffone lo
  costrinse a ripetere, debolmente:       -
  No, signor maggiore.       La
  mano afferrò e strinse con forza. Bernaud gemette.
  Il dolore fu subito intenso e goccioline di sudore gli apparvero sulla
  fronte.       Verneuil sorrise:       -
  Secondo me ti piacerebbe.       Bernaud non disse niente.       -
  Devo smettere?       Il
  dolore era troppo intenso e, facendosi forza per vincere l’effetto di quella
  voce insinuante, Bernaud rispose:       -
  Vorrei che smettesse, signor maggiore.       Verneuil mollò la presa e ritirò la mano. Bernaud respirò a fondo. Verneuil
  lo guardò e disse:       -
  Può darsi che te li spacchi, domani, prima di fucilarti…       Il
  maggiore uscì. Non chiuse a chiave la porta, sapeva che non era necessario.       Bernaud si sedette a terra, esausto.       Sapeva
  che non sarebbe stato fucilato, il maggiore non voleva di certo ucciderlo. E
  mentre se lo diceva, i dubbi lo assalivano. Era sicuro che Verneuil non lo avrebbe ucciso? Quasi completamente
  sicuro. E quel minimo margine di incertezza lo spaventava e lo eccitava. Non
  aveva paura di morire, per un ufficiale come lui la morte era un rischio del
  mestiere e nella situazione in cui vivevano, poteva capitare in qualsiasi
  momento. Come era capitato a Feuillet. Ma morire
  così, per mano di un suo superiore, sarebbe stato assurdo.       Pensò
  al maggiore. Da quanto tempo durava il loro rapporto? Quasi un anno. E via via avevano perso ogni freno. Dove si sarebbero fermati?
  Fin dove si sarebbe spinto il maggiore? Bernaud
  sapeva benissimo di essere giunto al limite. Ma anche per Verneuil
  erano arrivati al limite? E se il maggiore avesse voluto andare oltre?
  Sarebbe stato in grado di opporre resistenza? Se davvero il maggiore lo
  avesse ucciso in un ultimo gioco? Era assurdo. Ma era del tutto impossibile?
  Quanto conosceva il maggiore?       Rimase
  sveglio tutta la notte, a pensare. Non fu una notte lunga: erano rientrati
  molto tardi dalla casa dei Verneuil. Bernaud sentì dei passi nei corridoi. Si alzò, mentre
  nuovamente il sangue gli irrigidiva il cazzo.       Il
  maggiore entrò. Lo guardò e scosse la testa:       -
  Non riesci proprio a controllarti, eh, troia? 
         La
  solita frase. Ma Bernaud sapeva che sarebbe rimasto
  deluso se non lo avesse trovato eccitato.       -
  Su, bevi, che poi chiudiamo la faccenda.       Come
  la sera prima gli fece bere il proprio piscio, poi gli diede un ceffone
  violento.       -
  Alzati, ora.       Di
  nuovo la mano intorno ai coglioni. Di nuovo la pressione ed il dolore.        -
  Lo vuoi? Dillo, lo sappiamo tutti e due che lo vuoi.       Bernaud sentiva che se avesse risposto di sì, il maggiore
  avrebbe potuto farlo davvero. Sì, non era solo una provocazione, un gioco
  violento.       -
  No, signor maggiore.       Sul
  viso del maggiore apparve un sorriso sprezzante. Strizzò un po’ più forte,
  mentre Bernaud chiudeva gli occhi per il dolore,
  poi mollò la presa.       -
  Rivestiti, occupati della fucilazione, poi mi raggiungi nell’ufficio.        Bernaud si rivestì. Il cuore gli batteva velocemente, al
  pensiero che dopo sarebbe andato dal maggiore.        La
  fucilazione si svolse in fretta, senza intoppi. Due dei condannati morirono
  subito. Il terzo cadde agonizzante. Avvicinandosi per dargli il colpo di
  grazia, Bernaud si immaginò al posto dell’uomo, due
  pallottole nel torace ed una nel ventre, mentre il maggiore Verneuil gli si avvicinava con la pistola per finirlo.
  L’uomo era disteso a terra. Bernaud gli poggiò un
  piede sul rigonfio dei genitali, come sapeva che avrebbe fatto il maggiore
  con lui, e, premendo con il tacco, gli infilò la pistola in bocca. Gli pareva
  di sentire la pressione dello stivale sul proprio cazzo, gonfio di sangue,
  mentre la mano del maggiore gli spingeva la pistola in bocca. Al momento
  dello sparo vide distintamente il dorso della mano, coperto di peli, ed il
  sorriso del maggiore.       Gli
  parve che lo sparo gli risuonasse in bocca e fu quasi stupito di non sentire dolore.       Dopo
  aver dato l’ordine di gettare i tre cadaveri in un’unica fossa, raggiunse
  l’ufficio di Verneuil.       Il
  maggiore era seduto alla scrivania, i piedi sul tavolo. Fissò lo sguardo su
  di lui e non lo distolse. Bernaud si sentiva in
  imbarazzo.       Ci
  fu un lungo momento di silenzio, poi Verneuil
  chiese:       -
  Fin dove andresti, Bernaud?       Bernaud non sapeva come rispondere.       -
  Ti faresti castrare, squartare come un animale al macello, come hanno fatto
  con Feuillet?       -
  No, signor maggiore.       Verneuil si alzò e si mise davanti a lui.       -
  Credevo che avessi più coglioni.       Bernaud non rispose.       Verneuil scosse la testa.       -
  Spogliami, Bernaud.       Bernaud rimase sorpreso dall’ordine, che il maggiore non
  gli aveva mai dato. Non l’aveva mai neppure visto nudo. Il maggiore lo faceva
  spogliare, ma non si toglieva mai tutti i vestiti. Conservava sempre i
  pantaloni e spesso anche la camicia. Si limitava ad estrarre il cazzo, per
  farselo succhiare o per incularlo.       Bernaud alzò le mani ed incominciò a sbottonare la giacca
  del maggiore, ma un pugno allo stomaco quasi lo fece piegare in due dal
  dolore. Mollò la presa       -
  Prosegui.       Bernaud riprese, ricevendo un nuovo colpo. Questa volta
  se lo aspettava e riuscì a non interrompersi. Ma ad ogni suo movimento il
  maggiore rispondeva con un pugno o uno schiaffo. Non erano vibrati con tutta
  la forza di cui Verneuil era capace, ma quei colpi
  continui intontivano Bernaud. Con fatica riuscì a
  togliergli la giacca e la camicia ed il maggiore rimase a torso nudo. Aveva
  un fisico possente e Bernaud lo contemplò,
  affascinato. Guardò la peluria scura che si allargava in due ampie chiazze
  intorno ai capezzoli e poi, più rada, su tutto il torace.       Deglutì.
  Il maggiore non disse nulla per un buon momento, poi parlò, con voce secca:       -
  Datti da fare, troia. Ti ho detto di spogliarmi.       Bernaud annuì. Si inginocchiò davanti al maggiore ed
  incominciò a sfilargli i pantaloni, mentre una gragnola di colpi si abbatteva
  su di lui: schiaffi e pugni gli rendevano il compito sempre più difficile, ma
  Gaspard cercò di resistere.       Infine
  riuscì a completare l’opera, ma il sangue gli colava dal naso e dal labbro.       Il
  maggiore lo prese per i capelli e gli accostò la testa al cazzo,
  perfettamente teso.       -
  Succhia, troia, succhia.       Gaspard si sforzò di eseguire, ma il maggiore gli mise
  una mano dietro la testa ed incominciò a spingere con forza. Ogni volta che
  il cazzo gli arrivava in fondo alla bocca, premendo contro la gola, Bernaud si sentiva mancare il respiro ed aveva difficoltà
  a prendere fiato anche dal naso, premuto contro la fitta peluria che copriva
  il pube del maggiore. Più volte si sentì soffocare, ma infine Verneuil venne. Gaspard bevve
  fino all’ultima goccia, poi il maggiore gli diede una spinta decisa,
  facendogli battere la testa contro la parete.       Verneuil si rivestì. Gaspard
  rimase con la schiena contro il muro, intontito.  Il maggiore gli appoggiò lo
  stivale contro il cazzo, teso allo spasimo, si chinò e gli strinse il collo
  con una mano.       -
  E se ora ti strangolassi, stronzo?       Gaspard non diceva niente. Non era in grado di
  rispondere. Nulla esisteva, se non la pressione violenta dello stivale sul
  suo cazzo, se non il desiderio che bruciava.       Verneuil stringeva e Bernaud
  sentiva che il respiro gli mancava. Alzò la mano per fermare quella del maggiore.       -
  Non hai i coglioni, Bernaud. Questa è la verità.        Verneuil continuava a stringere e Bernaud
  usò anche l’altra mano per forzarlo ad allentare la stretta.        Il
  maggiore scosse il capo.       -
  Troia! Fatti una sega.       Gaspard lo guardò.       Il
  calcio ai coglioni gli strappò un gemito.       -
  Ti ho detto di farti una sega, muoviti!       Lottando
  contro il dolore che saliva violento, Gaspard portò
  una mano al cazzo ed iniziò ad accarezzarlo. Il suo sguardo era fisso sul
  maggiore, che aveva nuovamente aperto i pantaloni. Quando Gaspard
  venne, un getto di piscio lo prese in pieno in faccia.       -
  Rivestiti, troia, e vattene. *       Le
  giornate di Louis all'accampamento erano molto piene, ma non più frenetiche
  come al campo di Jeannot.  Nel campo vivevano molte persone
  e spesso il guaritore si rivolgeva a lui per le malattie che non sapeva
  curare. Talvolta Louis era in grado di intervenire; in altri casi, invece,
  neppure lui conosceva un rimedio. Di fronte ad ogni nuovo problema, Louis
  cercava di trovare una soluzione, mettendo insieme tutte le sue conoscenze.
  Qualche volta riusciva a salvare il malato, in altri casi poteva solo
  alleviarne le sofferenze.       Louis
  si rese conto che le parole di Llera erano vere:
  tutti lo rispettavano. Gli altri prigionieri non venivano torturati, ma erano
  disprezzati e spesso costretti a lavori umili; le donne subivano ancora
  violenze. Louis svolgeva il suo lavoro in piena libertà e poteva muoversi
  indisturbato per tutto il campo.       Quindici
  giorni dopo il suo arrivo al campo, Louis tornò, per la quarta volta, a
  raccogliere erbe. Ad un certo punto arrivarono in un'area in cui il fianco
  della collina era spoglio e si vedeva un ampio paesaggio. Louis si sedette ed
  osservò la valle davanti a lui, il gioco di colori tra il bruno ed il grigio
  delle rocce, l'azzurro velato del cielo e la vasta gamma di verdi dei diversi
  alberi, degli arbusti, dei prati. Lentamente una sensazione di pace lo
  avvolse, una sensazione che penetrava in profondità, sciogliendo un groviglio
  di angoscia. Non si rese conto di quanto tempo era passato, fino a che non
  vide che il sole stava calando. Era tardissimo, doveva essere rimasto seduto
  per ore. Si alzò e con gli occhi cercò Pilon. Non
  lo vide. Si preoccupò. Dov'era finito?        Stava
  ancora guardandosi attorno, quando Pilon uscì da un
  boschetto. Vedendolo, Louis si sentì sollevato. Pilon
  si avvicinò e gli disse:       -
  Ho capito che volevi stare solo. Possiamo andare, ora?       Louis
  annuì. Fu grato a Pilon per non aver interrotto la
  sua contemplazione. Più volte in seguito, raccogliendo le erbe, si sedette e
  rimase a guardare il paesaggio. E sempre gli sembrava di tornare
  all'accampamento più sereno.       Altri
  due mesi erano passati. Due mesi di intenso lavoro, ma anche di pace.
  L'angoscia del tempo trascorso nell'accampamento di Jeannot
  era solo un ricordo, doloroso, ma contenibile. Le sue ferite si erano
  rimarginate, lasciando piccole cicatrici: solo su uno zigomo ed al ventre
  erano rimasti segni più visibili. Le piaghe agli angoli della bocca si erano
  chiuse. Louis aveva recuperato le sue forze. Della prigionia da Jeannot gli era rimasto il silenzio. E la serenità
  interiore.       La
  notizia di una possibile liberazione dei prigionieri cominciò a circolare nel
  campo, suscitando grande entusiasmo. Louis era contento per gli altri, ma il
  suo futuro gli appariva molto dubbio. Che cosa avrebbe fatto in città? Il suo
  lavoro di medico. La risposta era chiara. Né c'erano molte alternative. Ma
  non sarebbe stato facile. Tutto era cambiato: la situazione dell'isola e la
  sua. Ed era cambiato lui.       L'annuncio
  fu dato pochi giorni dopo: sarebbero stati tutti liberati. Li condussero fino
  ad incontrare una squadra dell'esercito. Oltre alle truppe, ad aspettare i
  prigionieri c'erano molte persone: parenti ed amici che per mesi e mesi
  avevano atteso quel momento, tra speranze e delusioni atroci. Louis non aveva
  nessuno che lo aspettasse.        La
  solitudine non gli era pesata al campo, ora gli mancò uno sguardo amico. Non
  era strano. Dopo la morte dei suoi genitori, non c'era nessuno nell'isola a
  cui fosse veramente legato, anche se aveva alcuni amici di famiglia, in
  particolare i Verneuil. Gli anni passati in Francia
  e poi il periodo trascorso con i guaritori ed i mesi di prigionia avevano
  finito per allontanarlo del tutto dai suoi compagni di scuola. In città, al Cap, Louis sapeva che sarebbe stato solo. 
 11       Al
  Cap Louis aveva ancora l'appartamento che era stato
  dei suoi genitori, in cui non rimetteva piede da oltre un anno e mezzo.
  Quando arrivò in città, passò a ritirare la chiave. La teneva Justine Trenette, una mulatta che si occupava delle
  pulizie.       -
  Dottore! Non sapevamo se era vivo o morto. Ho sperato che fosse tra i
  prigionieri liberati. Mi dicevo: speriamo che ci sia anche il giovane
  dottore.       A
  quasi trent'anni Louis era il giovane dottore, lo sarebbe stato sempre per
  quella donna, che era rimasta per tanto tempo al servizio dei suoi genitori.       -
  Come sono contenta!       Louis
  sorrise e la donna, non ricevendo una risposta, si stupì.       -
  Non parla?       La
  stessa domanda che gli avevano fatto tutti quelli che aveva incontrato, dopo
  che gli era stato tolto il bavaglio. Avrebbe dovuto abituarsi.
  Gliel'avrebbero fatta ancora in molti.       -
  Le hanno fatto qualche cosa...?       Louis
  scosse la testa. Ci fu un momento di imbarazzo. Poi la donna disse:       -
  Vado a prenderle la chiave. L'appartamento è in ordine, ci vado regolarmente,
  ma non ho pulito in tempi recenti. Domani vengo a fare le pulizie.       Tornò
  con la chiave e Louis raggiunse l'appartamento dei suoi. Passò di stanza in
  stanza, poi entrò nei due locali a fianco dell'appartamento, che erano
  serviti a suo padre come studio.       Tutto
  era in ordine. Tutto era come l'aveva lasciato, oltre un anno e mezzo prima.
  No, tutto era come l'avevano lasciato i suoi genitori. In quell'appartamento,
  di suo, c'era ben poco. Dopo il suo rientro dalla Francia, non vi era mai
  rimasto abbastanza da sentire l'esigenza di cambiare qualche cosa. Aveva
  formulato grandi progetti, ma non li aveva portati a termine. Pensava che
  l'avrebbe fatto al suo ritorno in città.        Non
  sapeva che cosa avrebbe fatto ora, non ne aveva la più pallida idea.
  Risistemare l'appartamento era il suo ultimo pensiero.       Si
  sedette su una poltrona, quella su cui si sedeva sempre suo padre. Era
  rivolta verso una finestra, da cui si poteva vedere tutta la via ed uno scorcio
  del porto.        Ora
  avrebbe dovuto incominciare la vita per cui era tornato sull'isola. Sorrise,
  pensando a come tutto fosse profondamente diverso da come se l'era
  immaginato. Prima pensava che sarebbe diventato un dottore molto stimato, con
  una vasta clientela: l'alta società dell'isola, attratta dalle sue
  competenze, ma anche i poveri, che avrebbe curato gratuitamente. Ricchezza e
  filantropismo.        Quell'immagine
  di sé gli sembrò vagamente ridicola. Ma non ne aveva un'altra da proporre.
  Che cosa sarebbe diventato? Che cosa sarebbe stata la sua vita? Al campo
  tutto era stato facile, aveva un ruolo preciso. Un ruolo che non aveva
  scelto, ma che aveva svolto come meglio aveva potuto. Qui era diverso, si
  sentiva disorientato e confuso.        Aveva
  tempo. Suo padre aveva accumulato diversi risparmi e per un po' Louis non
  avrebbe dovuto preoccuparsi di mantenersi con il suo lavoro. Intanto si
  sarebbe chiarito le idee. Doveva lasciare che maturassero.       Cercò
  nel guardaroba qualche cosa da mettersi. Ciò che aveva addosso era un insieme
  di stracci che poteva essere accettato in un campo di prigionia, non in città
  o anche solo nelle fattorie. Così avrebbe potuto chiedere l'elemosina, non
  curare i malati.        Quando
  era tornato nell'isola, aveva portato con sé dalla Francia alcuni capi di
  vestiario, che, partendo per il suo apprendistato, aveva lasciato a casa. Li
  provò. Per fortuna gli andavano abbastanza bene: erano appena un po' larghi,
  perché era diventato più magro. L'abito elegante per le serate mondane, che
  gli aveva fatto un buon sarto parigino, lo fece sorridere. Era per un altro
  Louis, morto alla Fierté. O forse prima ancora,
  mentre studiava le erbe con il guaritore.           Il
  giorno dopo venne Justine ed affrontarono alcuni problemi
  pratici relativi alle pulizie ed alla cucina: la donna non ci mise molto a
  capire le esigenze di Louis e senza difficoltà si misero d'accordo.        Mentre
  la mulatta sbrigava le faccende, Louis fece un giro per la città, a ritrovare
  i luoghi della memoria. Rimase a lungo seduto al porto, a guardare le navi,
  il mare, il cielo. Era una sensazione molto diversa da quella che provava sul
  fianco della collina, sopra il campo di Biassou,
  meno facile da definire, ma non meno forte.        Quando
  tornò, la donna gli disse che l'avevano cercato tre persone. Due erano donne
  che aveva curato al campo e che gli chiedevano di passare da loro per una
  visita. La terza persona era Guillaume. Sarebbe ripassato in serata. Louis
  provò una gioia intensa. Guillaume era vivo. Era riuscito a salvarlo!       Louis
  prese la borsa con le erbe, la vecchia borsa ormai logora. Decise di cercare
  in casa qualche cos'altro di più decente, ma non trovò niente che gli
  sembrasse adatto e lasciò perdere. Mentre si recava dalle sue pazienti pensò
  a Guillaume. Era affezionato al ragazzo: i giorni che avevano trascorso
  insieme, cercando di sopravvivere, li avevano uniti con un legame profondo.
  Quanto profondo? Che cosa provava per Guillaume? La risposta venne
  semplicemente: affetto, ma nulla di più.       La
  sera suonarono alla porta. Louis andò ad aprire. Come si aspettava, era
  Guillaume.       -
  Louis, mi hanno detto che eri ritornato in città, tra i prigionieri. Non ci
  volevo credere, ma è vero!       Lo
  abbracciò. Louis lo strinse con affetto. Anche per Guillaume non doveva
  essere stato facile. Si staccò da lui e lo condusse in salotto.       -
  Mi hanno detto che non parli, ma che ne sei uscito senza troppi danni. A
  parte qualche cicatrice.       Gli
  passò due dita sullo zigomo sinistro, dove il segno era molto netto. Louis
  gli fece cenno di sedersi, ma il ragazzo rimase in piedi, accanto a lui.       -
  Stai bene, Louis?       Louis
  sorrise ed annuì. Sì, stava bene. Si stava adattando all'idea di dover
  affrontare una realtà del tutto nuova. Non sapeva dove stava andando, ma si
  sentiva abbastanza tranquillo.       -
  Quel giorno, quando arrivai al forte, dissi al comandante che bisognava
  subito inviare i soldati a salvarti. Mi guardò…
  come si guarda un deficiente e mi disse bruscamente che tu ti eri sacrificato
  per salvarmi e che non c'era più niente da fare. Mi sentii tremendamente in
  colpa per non aver capito.       Louis
  scosse il capo.        -
  Ero sicuro che fossi morto. Per salvare me. Poi cominciai a dirmi che magari
  eri riuscito a scappare, che forse ti avevano catturato, ma le notizie che
  arrivavano erano spaventose. Quando ho saputo che eri ancora vivo, ma
  prigioniero, Dio, che sollievo! Poi si parlava della liberazione dei
  prigionieri, volevo venire anch’io al luogo d’incontro, ma avevo paura che tu
  non ci fossi. Quando mi hanno detto che davvero eri tra quelli che erano
  stati liberati, ne sono stato felice. Louis, Louis!       Guillaume
  lo abbracciò di nuovo forte, poi lo baciò sulla bocca. Louis accettò il
  bacio, ma non lo ricambiò. Quando il ragazzo si staccò, gli lesse in volto la
  delusione. Si limitò a scuotere il capo.        Non
  c'era più spazio per quello che gli chiedeva Guillaume. Non avrebbe potuto
  farlo. Gli voleva bene ed avrebbe nuovamente rischiato la vita per lui, ma
  non lo amava. E sentiva, confusamente, che fare l'amore con lui senza amarlo,
  ora, sarebbe stato un inganno.  Più tardi Guillaume uscì,
  una gran confusione in testa. Era corso da Louis senza nessuna intenzione
  precisa, non pensava di chiedergli di fare l’amore con lui. Voleva vederlo
  vivo, esprimergli tutta la sua riconoscenza. Aveva provato l’impulso di
  abbracciarlo, di baciarlo. Se Louis l’avesse voluto, si sarebbero amati.         Eppure
  sapeva di non amare Louis, per quanto gli volesse bene. Amava? Rivide davanti
  agli occhi Robert.        Non
  si erano mai detti di amarsi. Robert aveva detto di desiderarlo. Spesso lo
  stringeva, ma non si erano mai scambiati parole d’amore. Robert era il suo
  schiavo. Ma lui, che cosa provava per Robert? E Robert, che cosa provava per
  lui?       Anche
  quella notte, come sempre avveniva, Guillaume si spogliò davanti a Robert.
  Gli piaceva che Robert lo vedesse mentre si toglieva i vestiti e rimaneva
  nudo. Era bello leggere negli occhi del nero il desiderio. Poi rimase in
  piedi, aspettando che fosse Robert a spogliarsi.       Il
  nero sorrise e si tolse gli abiti con movimenti rapidi. Prima ancora che si
  togliesse le mutande, Guillaume poté vedere che era eccitato. Era già
  successo in altre occasioni, ma questa volta la sua arma era completamente
  tesa e si drizzava, davanti al ventre.       Da
  tempo Guillaume provava il desiderio di prendere in bocca l’uccello di
  Robert, come aveva fatto un’unica volta con quello del tenente, al forte. Ma
  non aveva mai osato. Temeva che Robert lo disprezzasse.       In
  quel momento il desiderio fu più forte. Fece un passo avanti, sorrise a Robert
  e si inginocchiò davanti a lui. Il nero ricambiò il sorriso. Doveva aver
  capito, perché gli accarezzò il capo.       Guillaume
  guardò la cappella che svettava e, ancora incerto, avvicinò la bocca. Le sue
  labbra sfiorarono la punta, in un bacio leggero. Poi si mossero lungo l’arma
  sguainata, fino alla cima. Ci fu una vibrazione nell’asta ed a Guillaume
  parve che quel fremito si ripercuotesse in tutto il suo corpo.       In
  quel momento Robert soffiò sulla candela. L’oscurità avvolse la stanza, ma
  non era completa. Dalla finestra entrava la luce lunare. Nel buio Guillaume
  si sentiva più a suo agio e le sue mani si strinsero intorno al culo di
  Robert, lo pizzicarono, lo accarezzarono, mentre finalmente la sua bocca
  avvolgeva la cappella e la lingua la lambiva, più volte.       Era
  bello rimanere così al buio, la bocca che avvolgeva quel boccone di carne, le
  mani che stringevano il culo, le dita di Robert tra i capelli, in una carezza
  lieve, l’altra mano sulla nuca.       Guillaume
  spinse le sue mani più avanti, fino a che le dita trovarono il solco e lo
  percorsero, da cima a fondo. Nuovamente il nero fremette e l’eco di quella
  vibrazione si moltiplicò nelle mani e nella bocca di Guillaume, per poi
  diffondersi ed incendiargli i sensi.       Il
  movimento della bocca divenne più deciso, le dita iniziarono a ripercorrere
  la strada in senso inverso, ma si fermarono quasi subito, stuzzicando
  l’apertura segreta. Robert gemette, rovesciando il capo all’indietro.       Le
  sensazioni erano troppo forti. Nella camera dove i loro corpi erano appena
  ombre più scure, Robert si sentiva sprofondare in un vortice di piacere. La
  bocca di Guillaume gli toglieva il fiato e le sue mani…
  Quelle mani toccavano corde nuove, di cui Robert non conosceva il suono. Mai
  avrebbe pensato che una carezza potesse destare in lui desideri di cui non
  aveva coscienza. Eppure, nel buio, quel contatto lo faceva sognare un altro
  contatto. Nel buio il rapporto che dal primo giorno si era stabilito tra lui
  e Guillaume poteva rinnovarsi, rovesciarsi. Nel buio quella bocca stava infrangendo
  ogni regola e apriva la strada a nuove trasgressioni. Nel buio tutto era
  possibile.       Sentì
  la tensione divenire intollerabile e cercò di avvisare Guillaume, ma il suo
  avvertimento arrivò tardi o forse la bocca che avvolgeva il suo uccello non
  volle lasciare la preda, voleva sentire il gusto del seme che si spandeva.       Un
  dito di Guillaume, mentre lui veniva in un’immensità di piacere, stava
  avanzando dentro di lui e Robert fu sicuro che quel giorno le carte del gioco
  sarebbero state scompigliate. Non aveva mai pensato che potesse accadere, ma
  ora gli sembrava naturale che fosse così.       Quando
  ebbe finito di bere, la bocca di Guillaume lasciò l’uccello, ma il dito
  rimase, piantato nella carne.       Robert
  accarezzò i capelli di Guillaume, poi sussurrò:       -
  Sì.       Era
  una resa, completa, senza condizioni. Ma il suo corpo altro non desiderava in
  quel momento che cedere ed aprirsi, per la prima volta.       Guillaume
  si alzò ed il suo dito abbandonò la postazione raggiunta. Si baciarono sulla
  bocca, poi Guillaume sussurrò: - Stenditi sul letto.       Robert
  eseguì. Nei mesi precedenti si era spesso chiesto che cos’era per Guillaume.
  C’erano diversi padroni bianchi che usavano schiavi e schiave per il loro
  piacere. Sapeva che per Guillaume non era questo, ma solo ora sentiva che per
  il suo padrone lui non era semplicemente uno strumento di cui servirsi, ma
  molto di più.        Guillaume
  si sedette sopra di lui, sul suo culo.        Era
  bello sentire sotto di sé la carne calda di Robert, accarezzarne la pelle,
  scompigliarne i capelli. Era bello sapere che il suo corpo tra poco avrebbe
  posseduto quello di Robert.       Un
  desiderio incontenibile di vedere lo prese. Si alzò ed accese la lanterna.       Robert
  voltò la testa verso di lui e sorrise.       Guillaume
  tornò al proprio posto e riprese a percorrere con le mani il corpo del nero.
  Era bello vedere le proprie mani, chiare, sulla pelle scura.        Si
  spostò leggermente, sedendosi sulle cosce di Robert. Davanti a lui il culo
  del nero. Divaricò appena un po’ le natiche, per vedere l’apertura segreta. Come
  Robert l’aveva preso, così lui ora avrebbe preso Robert. Per la prima volta
  avrebbe posseduto un uomo. Per la prima volta il loro rapporto diventava
  davvero alla pari, non c’erano più uno schiavo ed un padrone, ma due uomini
  che si amavano. Perché lui amava Robert, di questo ora era sicuro, e con lui
  sarebbe vissuto, lontano da quell’isola maledetta.         Accarezzò
  l’incavo tra le natiche, morse con delicatezza il culo di Robert, una volta,
  due. Lo morse ancora, con maggiore forza. Poi allargò le gambe del nero, si
  bagnò le dita e le passò lungo il solco, fino all’apertura.       Con
  l’altra mano abbassò la punta della propria asta, in modo da avvicinarla
  all’ingresso, guardò affascinato la propria carne chiara, l’asta che forzava il
  buco, dilatandolo, e poi scompariva, inghiottita da quella carne nera.       Una
  vampata di calore lo avvolse e spinse con forza, fino a che tutta la sua
  picca fu dentro Robert e poté abbandonarsi sul suo corpo. Gli morse la
  spalla, gli passò la lingua dietro l’orecchio e poi lo baciò su un occhio.       Le
  sue mani scesero, strinsero i fianchi, ed il suo corpo incominciò a muoversi,
  avanzando e ritraendo l’arma. Le immagini vacillavano davanti ai suoi occhi,
  l’intera stanza sembrava ondeggiare intorno al corpo di Robert, che era il
  centro della camera, del mondo intero. Solo quella carne rimaneva ferma,
  appiglio sicuro nella tempesta che strappava gli ormeggi e trascinava
  Guillaume con sé, senza tregua. E, fermamente piantato in quel corpo,
  Guillaume lasciava che i venti lo portassero via, fin oltre le nuvole e poi
  nelle profondità del mare, in un’altalena che lo stordiva. Ma il piacere premeva,
  violento, e dopo poche spinte lo travolse. Venne, assai prima di quanto
  avrebbe voluto.       Si
  afflosciò, senza forze, sul corpo di Robert. Non uscì da lui, ma rimase
  ancora dentro quel culo che lo aveva accolto e, quando di nuovo il desiderio
  si irrigidì, ripresero ad amarsi e questa volta vennero entrambi.       Guillaume
  spense la lanterna. Quando la stanza piombò nel buio, non vide nulla. Allora
  le sue mani accarezzarono il corpo di Robert e la sua bocca trovò la forza
  per dire:       -
  Ti amo, Robert. 
 12                     Contrariamente alle sue previsioni, Louis riprese ad esercitare subito dopo il suo ritorno in città. Molti di coloro che aveva curato al campo scelsero di continuare a rivolgersi a lui e lo consigliarono ad altri, soprattutto per quelle malattie per cui la medicina europea si rivelava poco efficace. Louis fece sistemare il piccolo studio e si diede da fare per procurarsi i medicinali e le erbe.       La
  raccolta delle erbe costituiva il problema più serio: doveva uscire dalla
  città e questo era pericoloso, soprattutto per un bianco. Bande di ribelli si
  aggiravano spesso nelle vicinanze ed essere sorpresi da soli significava la
  morte.       Periodicamente
  Louis partiva per andare a raccogliere quanto gli serviva. Quelle escursioni
  erano molto importanti per lui: come quando era prigioniero, si sedeva in un
  luogo isolato e rimaneva ore ed ore a contemplare i boschi o il mare.
  Ritornava con un profondo senso di pace.       Cercò
  comunque di essere prudente. Si fermava in posti riparati, mettendosi tra i
  cespugli, in modo da poter osservare il paesaggio, senza essere troppo
  visibile. Affittò anche un terreno in periferia, da cui ricavò un piccolo orto:
  riuscì così a coltivare diverse tra le piante erbacee di cui aveva bisogno.
  Per altre continuò ad uscire dalla città.       I
  suoi rimedi erano accolti con diffidenza da coloro che non lo conoscevano,
  ma, poiché spesso si rivelavano efficaci, Louis ebbe ben presto una discreta
  clientela. Tutti avevano finito per accettare il suo silenzio. Per evitare
  malintesi nelle cure, Louis scriveva le prescrizioni.       Molti
  vennero da lui a raccontare. Raccontavano gli orrori che avevano visto, le
  violenze subite, le vigliaccherie commesse per salvarsi. Gli lasciavano una
  parte del loro fardello.       Louis
  non diceva nulla. Sapeva che venivano da lui proprio perché non parlava. A
  volte una sua carezza, un suo sorriso, un suo sguardo scatenavano violente
  crisi di pianto o di rabbia. Anche a questo si era abituato.       Era
  di nuovo medico. Medico dei corpi e delle anime. Era ancora in pace con se
  stesso, ma nuovamente l'angoscia che provava si accumulava in lui e non poteva
  condividerla. Solo quando era sulle colline e guardava il mare, sentiva che
  il peso si alleggeriva.       Al
  di là della sua attività di medico, che lo portava a contatto con molti,
  frequentava poche persone. Abbastanza spesso la sera andava dai Verneuil, che erano stati molto amici della sua famiglia.
  Nelle serate in cui non c’erano tanti invitati, era un ambiente tranquillo e
  raccolto. Alcuni di coloro che aveva curato al campo lo avevano invitato a
  cena a casa loro ed inizialmente Louis era andato, almeno qualche volta, ma
  si era trovato a disagio: si rendeva conto che in quelle occasioni il suo
  silenzio era fuori posto. E gli aveva dato molto fastidio il fatto di essere
  esibito: era alla moda, l'ultima novità della capitale.       Rinunciò
  a questi incontri e continuò ad andare solo dai Verneuil.
  Laure Verneuil era molto attenta alle sue esigenze,
  non lo metteva in mostra come un esemplare raro ed impediva a qualunque
  ospite di essere indiscreto con lui. Quando aveva molti invitati, avvisava
  Louis, che in questi casi preferiva non andare.       Una
  sera, tre mesi dopo il suo ritorno, arrivò presto dai Verneuil.
  Laure Verneuil stava parlando con Dumay, un avvocato.        -
  E questa sera avremo anche il signor Llera.       -
  Llera? Lo riceve?       -
  Avvocato, ma cosa dice? È amico di mio marito.        -
  Non l'avevo mai visto qui.       -
  Non viene spesso al Cap. È arrivato ieri e ripartirà domani.       -
  Deve avere qualcuno dei suoi loschi affari. Quel tipo non mi piace per
  niente.       La
  signora Verneuil sorrise, scuotendo la testa.  Louis era molto contento
  all'idea di rivedere Llera. Da quando se n'era
  andato dal campo di Biassou, non ne aveva più avuto
  notizie.       Llera arrivò per ultimo. Salutò i padroni di casa e gli
  altri ospiti, stringendo loro la mano, poi si diresse da Louis, che era rimasto
  in un angolo della stanza, e lo abbracciò.       -
  Sono felice di vederla, dottore. Sono al Cap solo
  da due giorni, ma ho già sentito parlare molto di lei. E sempre soltanto
  bene.       Laure
  intervenne.       -
  Credo che sia difficile riuscire a parlare male del dottore.       Dumay colse l'occasione per fare un complimento alla
  padrona di casa.       -
  Qualcuno dice che fa il prezioso e non si lascia vedere in giro. Signora Verneuil, lei è molto invidiata, come padrona di casa,
  perché ha conquistato una preda ambita: con i suoi talenti non c'è da
  stupirsi.       -
  Non è stata una conquista. Tra la nostra famiglia ed i Reybert
  è sempre esistita un'amicizia molto forte.       Uno
  degli ospiti, l'unico che Louis non conosceva, gli si rivolse.       -
  So che la chiamano il medico delle erbe o il medico delle mani.       Llera chiese:       -
  Il medico delle mani? Perché si esprime con i gesti?       Fu
  Laure a rispondere.       -
  No, perché le sue mani guariscono, le malattie del corpo e quelle dell'anima.       Llera guardò Louis, con un sorriso di apprezzamento.       -
  Ogni giorno scopro un suo nuovo talento.       Louis
  cominciò a sentirsi in imbarazzo. Avrebbe voluto che cambiassero discorso. Llera sorrise ed aggiunse:       -
  Basta, se continuiamo a parlare del dottore, finisce che non tornerà più e la
  nostra bella padrona di casa non sarà più così invidiata. Ditemi piuttosto le
  ultime novità sul governatore.       Louis
  pensò che Llera doveva avergli letto dentro, come
  al solito, e gli fu grato del suo intervento. Ora la conversazione proseguì
  nella nuova direzione datale da Llera e Louis, non
  più a disagio, ascoltava. Llera non gli rivolse più
  la parola, ma più volte, durante la serata, lo guardò ed ogni volta gli
  sorrideva. Quel sorriso gli faceva piacere.        Quando
  Louis si alzò per andarsene, Llera lo imitò.       -
  Esco con il dottore. Voglio fare due chiacchiere con lui.       -
  Badi, le chiacchiere le farà tutte lei.       -
  No, il dottore comunica benissimo. Se vuole.       -
  Con lei parla?       -
  Non con la bocca, ma i suoi sguardi dicono molte cose, più di quello che
  vorrebbe, a volte.       -
  Bisogna saperli leggere.       -
  Ci provo.       Louis
  sorrise: Llera ci riusciva benissimo. Uscirono.       -
  La accompagno a casa, così vedo dove abita e posso passare a trovarla una di
  queste volte.       Camminarono
  un buon momento in silenzio. La casa di Louis non era lontana da quella dei Verneuil. Davanti alla porta Louis tirò fuori la chiave.       -
  Posso venire su un attimo?       Louis
  annuì. Quando entrarono, Llera si guardò intorno e
  disse:       -
  Tutto è come l'ha lasciato suo padre. Anzi, come l'aveva lasciato sua madre.       Non
  era una domanda.       -
  Ha fatto qualche modifica nello studio, suppongo? È qui di fianco?       Louis
  annuì. Llera si sporse verso di lui.      
  - Allora, mi dia un po' notizie. Vedo che sta bene, che lavora molto,
  che cura malattie del corpo e dell'anima e che si sente un po' solo, ma
  niente di grave. La sua anima non appartiene a nessuno. Louis non capì e corrugò le sopracciglia.
  Llera scoppiò a ridere.      
  - È solo un modo di dire degli schiavi della Guinea, mi piace molto.
  Significa che non ama nessuno e direi che per il momento non ne sente il
  bisogno. Ci sono sensazioni non ben definite, che prima o poi si chiariranno.       Inizialmente
  l’analisi aveva divertito Louis, ma ora cominciava a sentirsi a disagio.        -
  Adesso è bene cambiare argomento, perché sto diventando invadente.       Louis
  lo ringraziò con un sorriso e lo guardò interrogativamente.       -
  Io sto bene. Mi occupo dei miei affari, cerco di portare a casa la pelle e
  quanto occorre per il pane ed il companatico e ci riesco abbastanza bene.
  Anche la mia anima non appartiene a nessuno. Vengo di rado in città e sono
  molto contento di averla rivista. Dottore, alla Fierté
  mi aveva divertito e devo dire che già allora provavo simpatia per lei. Al
  campo ho apprezzato moltissimo quello che ha fatto per me ed ancora di più
  come l'ha fatto. E poi ho sentito quello che dicono di lei. I miei
  complimenti, dottore. Il curatore aveva ragione. Ci voleva il fuoco per
  eliminare le scorie, ma il risultato è incredibile. Mi chiedo se il suo
  maestro avesse davvero un'idea di che cosa sarebbe diventato. Ora però è di
  nuovo in imbarazzo e quindi chiudiamo. Tanto più che lei si alza presto e
  lavora sodo. Domani parto, ma tornerò a trovarla nelle mie prossime visite,
  se le fa piacere.       Louis
  gli sorrise. Gli avrebbe fatto molto piacere. Llera
  capì e ricambiò il sorriso.       -
  Grazie.       Llera lo abbracciò e Louis ritrovò la sensazione di
  calore che aveva provato al campo di Biassou. *       -
  Il maggiore Verneuil vuole vederla.         Gaspard lasciò gli altri ufficiali, con cui stava
  discutendo delle ultime novità sulla ribellione. Mentre attraversava il
  cortile del forte, rifletté sulla propria situazione. Per oltre un anno aveva
  ansiosamente atteso le convocazioni da parte del maggiore e quando veniva
  convocato, il cazzo gli si irrigidiva immediatamente. Il suo corpo reagiva
  ancora in quel momento con la rapidità e l’intensità che gli erano ben note,
  eppure Gaspard non era più così desideroso di
  incontrare il maggiore.       In
  qualche modo sentiva che il loro rapporto si avviava alla fine. Da tempo
  aveva raggiunto il limite. Gli piaceva essere colpito ed umiliato, il
  maggiore lo attraeva fisicamente come nessun altro uomo, ma non se la sentiva
  di proseguire lungo quella strada. Verneuil avrebbe
  voluto andare avanti, ma di fronte alle sue insistenze, Gaspard
  si ritraeva. Che cosa il maggiore volesse, esattamente, Gaspard
  non avrebbe saputo dire. Forse voleva soltanto che lui gli dicesse che
  desiderava essere ferito a morte, castrato, ucciso. E Gaspard
  avrebbe potuto dirlo, se quelle parole fossero state solo un gioco, ma gli
  sembrava che non lo fossero. Si sentiva sempre più a disagio con il maggiore,
  anche se quell’uomo gli incendiava il corpo.       Avrebbe
  voluto chiudere.       Bussò
  alla porta del maggiore e si disse che, alla faccia di tutti i propri dubbi e
  della volontà di interrompere definitivamente quel rapporto, il suo corpo
  aveva tutt’altre idee, perché come sempre aveva il cazzo teso allo spasimo.       -
  Avanti.        Gaspard entrò. Il maggiore era seduto alla scrivania. Lo
  guardò senza dire niente. Erano passate due settimane dall’ultima volta che
  si erano incontrati.       -
  Perché sei venuto, Bernaud?       -
  Perché mi hanno riferito che mi voleva, signor maggiore.       -
  Sì, ma perché tu sei venuto?       Bernaud non sapeva che cosa rispondere. Tacque. Quel
  rapporto non aveva più senso. Se avesse potuto scegliere, non si sarebbe
  presentato, ma questo non era possibile, il maggiore era il suo superiore.        -
  Perché obbedisco agli ordini, signor maggiore.       -
  E se io ti ordinassi di lasciarti scannare come un porco?        -
  Direi di no, signor maggiore.       Il
  maggiore rimase per un buon momento in silenzio. Gaspard
  avrebbe voluto essere altrove, eppure il suo corpo spasimava per nuove
  violenze.       -
  Spogliati, Bernaud. A questo ordine ubbidisci?       -
  Sì, signor maggiore.       Gaspard eseguì l’ordine, togliendosi tutti i vestiti e
  ponendoli per terra, ai lati della scrivania. Si rimise sull’attenti.
  Sull’attenti era anche il suo cazzo, teso e perfettamente verticale.       -
  Sei sempre la solita troia, Bernaud. Una troia
  davvero, perché non hai i coglioni per andare fino in fondo.        Il
  maggiore gli passò dietro. Bernaud attendeva. Non
  sapeva che cosa sarebbe successo. Il suo corpo gridava il desiderio e lui non
  era capace di metterlo a tacere.       Sentì
  che il maggiore apriva una porta ed usciva. Ritornò dopo un momento,ma rimase
  dietro di lui.       Tutto
  il suo corpo era teso. Che cosa intendeva fare il maggiore? Che cosa voleva?       La
  frustata fu tanto brutale da strappargli un urlo.       -
  Chiudi la bocca, troia!        Bernaud serrò le labbra.       La
  seconda frustata fu altrettanto violenta, ma Bernaud
  si controllò. Altre frustate si susseguirono. Faceva fatica a stare in piedi
  per il dolore.        -
  Appoggiati alla scrivania, troia.       Bernaud appoggiò il petto sul ripiano ed attese.       Verneuil si mise dietro di lui. Sputò sul buco e
  distribuì la saliva con la punta delle dita. Bernaud
  controllò a fatica il mugolio di piacere.       Verneuil lo afferrò sotto le ascelle e gli infilò il
  cazzo in culo con un movimento implacabile. L’ingresso brusco fu doloroso,
  ma, come sempre, il piacere fu più forte. Verneuil
  lo stringeva e spingeva, con forza. Aveva una grande resistenza ed ogni suo
  colpo provocava dolore e piacere.        Bernaud sapeva che quello era ciò che voleva dalla vita,
  solo quello, quel cazzo che gli riempiva il culo, quelle mani che lo
  stringevano, quel corpo che premeva sul suo, sfregando le ferite delle
  frustate e accendendole di un fuoco che gli bruciava la pelle.       Il
  maggiore spingeva ed ora le sue mani percorrevano la schiena di Gaspard, le unghie scavavano là dove la pelle era stata
  martoriata dalla frusta ed il dolore esplodeva. Ma quella sofferenza atroce
  moltiplicava quell’altro dolore al culo, che era piacere.       Due
  volte Gaspard ebbe la sensazione di svenire. Infine
  una serie di spinte violente conclusero l’opera e, mentre il maggiore gli
  veniva in culo, un uragano di piacere percorse Bernaud,
  che gemette senza ritegno.       -
  Troia!       Il
  maggiore uscì da lui.       -
  Rimani così, troia.        Passò
  dall’altra parte della scrivania e prese la sciabola attaccata al muro. La
  tolse dal fodero e gli mostrò la punta, con un sorriso. Gaspard
  si tese.       Il
  maggiore passò dietro di lui. Gaspard girò la testa
  per vedere. Il maggiore si stava avvicinando con la sciabola protesa.       -
  Vediamo se questa lama in culo ti fa godere.       Gaspard scattò di lato.       -
  Vigliacco. Non hai i coglioni.       Gaspard passò dall’altra parte della scrivania. Negli
  occhi del maggiore c’era disprezzo. E follia.       Il
  maggiore si protese sopra la scrivania, cercando di colpirlo con la sciabola.
  Gaspard schivò il colpo, afferrò il braccio del
  maggiore, bloccandolo e lo colpì al viso con tutte le sue forze. Vide il
  sangue sgorgare dal naso. La spada cadde con fragore.        Gaspard mollò la presa ed il maggiore scivolò a terra. Gaspard raccattò i suoi vestiti. Il maggiore lo guardava
  con odio. Gaspard si rivestì rapidamente, senza
  smettere di fissarlo, ed uscì.  | 
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