Cap10b

 

10

 

               C’era molta gente nel salotto dei Verneuil, come spesso accadeva: i padroni di casa amavano ricevere ospiti e la ricca borghesia del Cap si affollava nella loro abitazione. La famiglia era una delle più ricche dell’isola, ma ad assicurare il successo delle serate era soprattutto Laure Verneuil: una donna non più giovane, ma ancora molto bella, che aveva trascorso quasi dieci anni in Francia ed esibiva una raffinatezza di maniere invidiata da tutte le signore.

      Quella sera si era tenuta una grande cena. Tra gli ospiti vi era il maggiore Verneuil, fratello del padrone di casa. Lo accompagnava il giovane tenente Bernaud, che tutti ammiravano per il coraggio dimostrato in molte occasioni. Bernaud veniva di rado, sembrava non amare molto la vita mondana, ma la sua presenza era sempre apprezzata, soprattutto dalle numerose madri con figlie in età da marito. Purtroppo, come il lettore più acuto avrà già avuto modo di sospettare, le loro manovre erano un puro spreco di tempo ed energie.

      Era presente anche Jorge Llera, che portò notizie di alcuni dei bianchi prigionieri. Da lui si seppe che il giovane dottor Louis Reybert era ancora vivo e questa nuova fu accolta con gioia dai Verneuil, amici di famiglia dei Reybert da molto tempo. Se ne rallegrò molto anche il maggiore, fratello del padrone di casa e grande amico del padre di Louis. Gli altri ospiti invece conoscevano appena il giovane, perché prima era stato in Francia e poi era rimasto un lungo periodo lontano dal Cap.

      Dopo cena venne il momento in cui gli uomini si riunirono, per bere e fumare tra di loro. La conversazione cadde naturalmente sugli ultimi avvenimenti ed in particolare sull’omicidio del tenente Feuillet, ucciso nella notte precedente. Si trattava di un delitto efferato, i cui particolari non avrebbero potuto essere narrati davanti alle signore. Le quali peraltro, perfettamente informate, in quel momento stavano discutendo dello stesso crimine.

      A parlare dell’assassinio era il maggiore Verneuil, che di Feuillet era il diretto superiore.

      Llera era un po’ stupito di quella narrazione truculenta, ricca di particolari raccapriccianti: non se la sarebbe aspettata da un uomo d’azione come Verneuil.

      Anche il comportamento del tenente Bernaud era strano. Era seduto, un po’ proteso in avanti, rigido, e fissava le mani del maggiore, come se ne fosse affascinato.

 

      Gaspard Bernaud non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle mani. Erano grandi, forti, con dita corte, il dorso coperto da una peluria nera. Si muovevano a sottolineare con il loro gesto l’azione, il momento terribile in cui gli assassini avevano castrato l’ufficiale. Bernaud vedeva, come se avesse la scena davanti agli occhi, quelle grosse mani un po’ tozze che afferravano i suoi coglioni ed avvicinavano la lama.

      Il fiato gli mancava e gli era difficile mantenere un’espressione impassibile. Il cazzo sembrava sul punto di esplodere. Il maggiore narrava con lentezza, insistendo sui dettagli, e Bernaud immaginava il maggiore al posto degli assassini e se stesso come vittima.

      L’eccitazione era tanto intensa da farlo stare male. A fatica dissimulò il suo disagio. Avrebbe voluto alzarsi ed uscire a prendere una boccata d’aria. Ma quello che voleva davvero era altro, qualche cosa che non poteva avere in quel momento e che probabilmente il maggiore gli avrebbe negato anche al forte, dopo averlo eccitato con la sua narrazione.

      Perché Bernaud sapeva benissimo che quel racconto aveva un solo reale destinatario: Verneuil non parlava per gli altri, ma per lui.

 

      Quando infine ritornarono al forte, il maggiore gli ordinò di accompagnarlo nella cella sotterranea dove si trovavano tre prigionieri mulatti, che sarebbero stati fucilati il giorno dopo.

      Entrarono nella stanza, dove i tre erano incatenati alla parete. C’era un forte odore di piscio. Alla luce della torcia i tre li fissarono, senza dire nulla.

      Il maggiore si rivolse a Bernaud:

      - E se domani mattina, invece di comandare il plotone, tu venissi fucilato insieme a loro, di fianco a questi tre assassini? Comanderei io il plotone e ti darei io il colpo di grazia.

      Bernaud si vide al muro, colpito a morte, agonizzante al suolo e poi il maggiore che si avvicinava sorridendo, gli infilava la pistola in bocca e sparava. Deglutì e non disse niente. Non era in grado di parlare. L’uccello era teso e rigido.

      Uscirono dalla cella. Bernaud la chiuse. Nessun altro li aveva accompagnati, il maggiore aveva ordinato ai soldati di rimanere in cima alle scale.

      - Entra nella cella di fianco.

      Bernaud eseguì.

      - Spogliati.

      Di nuovo Bernaud ubbidì.

      - Rimarrai in questa cella, Bernaud. Nudo. Tutta la notte. Domani mattina deciderò se farti fucilare insieme agli altri tre o se permetterti di rivestirti e comandare il plotone.

      - Sì, signor maggiore.

      - Ma adesso inginocchiati.

      Quando Bernaud fu in posizione, il maggiore estrasse il cazzo e glielo mise in bocca. Non disse una parola, ma incominciò a pisciare. Bernaud bevve.

      - Alzati.

      Gaspard eseguì. Verneuil gli passò una mano sotto i coglioni, come se li soppesasse.

      - Ti piacerebbe se te li tagliassi, vero?

      Gaspard non rispose. Conservava abbastanza lucidità da capire che non lo voleva, anche se una parte di lui gridava di sì, che qualunque violenza da parte del maggiore sarebbe stata ben accetta.

      Il ceffone, violentissimo, quasi lo mandò a terra.

      - Rispondi, stronzo!

      Bernaud trovò la voce:

      - No, signor maggiore.

      - Invece io credo che ti piacerebbe. Come hanno fatto a Feuillet. Non è vero che ti piacerebbe?

      La voce di Verneuil era insinuante e di nuovo Gaspard non rispose. Un nuovo violento ceffone lo costrinse a ripetere, debolmente:

      - No, signor maggiore.

      La mano afferrò e strinse con forza. Bernaud gemette. Il dolore fu subito intenso e goccioline di sudore gli apparvero sulla fronte.

      Verneuil sorrise:

      - Secondo me ti piacerebbe.

      Bernaud non disse niente.

      - Devo smettere?

      Il dolore era troppo intenso e, facendosi forza per vincere l’effetto di quella voce insinuante, Bernaud rispose:

      - Vorrei che smettesse, signor maggiore.

      Verneuil mollò la presa e ritirò la mano. Bernaud respirò a fondo. Verneuil lo guardò e disse:

      - Può darsi che te li spacchi, domani, prima di fucilarti…

      Il maggiore uscì. Non chiuse a chiave la porta, sapeva che non era necessario.

      Bernaud si sedette a terra, esausto.

      Sapeva che non sarebbe stato fucilato, il maggiore non voleva di certo ucciderlo. E mentre se lo diceva, i dubbi lo assalivano. Era sicuro che Verneuil non lo avrebbe ucciso? Quasi completamente sicuro. E quel minimo margine di incertezza lo spaventava e lo eccitava. Non aveva paura di morire, per un ufficiale come lui la morte era un rischio del mestiere e nella situazione in cui vivevano, poteva capitare in qualsiasi momento. Come era capitato a Feuillet. Ma morire così, per mano di un suo superiore, sarebbe stato assurdo.

      Pensò al maggiore. Da quanto tempo durava il loro rapporto? Quasi un anno. E via via avevano perso ogni freno. Dove si sarebbero fermati? Fin dove si sarebbe spinto il maggiore? Bernaud sapeva benissimo di essere giunto al limite. Ma anche per Verneuil erano arrivati al limite? E se il maggiore avesse voluto andare oltre? Sarebbe stato in grado di opporre resistenza? Se davvero il maggiore lo avesse ucciso in un ultimo gioco? Era assurdo. Ma era del tutto impossibile? Quanto conosceva il maggiore?

      Rimase sveglio tutta la notte, a pensare. Non fu una notte lunga: erano rientrati molto tardi dalla casa dei Verneuil. Bernaud sentì dei passi nei corridoi. Si alzò, mentre nuovamente il sangue gli irrigidiva il cazzo.

      Il maggiore entrò. Lo guardò e scosse la testa:

      - Non riesci proprio a controllarti, eh, troia? 

      La solita frase. Ma Bernaud sapeva che sarebbe rimasto deluso se non lo avesse trovato eccitato.

      - Su, bevi, che poi chiudiamo la faccenda.

      Come la sera prima gli fece bere il proprio piscio, poi gli diede un ceffone violento.

      - Alzati, ora.

      Di nuovo la mano intorno ai coglioni. Di nuovo la pressione ed il dolore.

      - Lo vuoi? Dillo, lo sappiamo tutti e due che lo vuoi.

      Bernaud sentiva che se avesse risposto di sì, il maggiore avrebbe potuto farlo davvero. Sì, non era solo una provocazione, un gioco violento.

      - No, signor maggiore.

      Sul viso del maggiore apparve un sorriso sprezzante. Strizzò un po’ più forte, mentre Bernaud chiudeva gli occhi per il dolore, poi mollò la presa.

      - Rivestiti, occupati della fucilazione, poi mi raggiungi nell’ufficio.

      Bernaud si rivestì. Il cuore gli batteva velocemente, al pensiero che dopo sarebbe andato dal maggiore.

      La fucilazione si svolse in fretta, senza intoppi. Due dei condannati morirono subito. Il terzo cadde agonizzante. Avvicinandosi per dargli il colpo di grazia, Bernaud si immaginò al posto dell’uomo, due pallottole nel torace ed una nel ventre, mentre il maggiore Verneuil gli si avvicinava con la pistola per finirlo. L’uomo era disteso a terra. Bernaud gli poggiò un piede sul rigonfio dei genitali, come sapeva che avrebbe fatto il maggiore con lui, e, premendo con il tacco, gli infilò la pistola in bocca. Gli pareva di sentire la pressione dello stivale sul proprio cazzo, gonfio di sangue, mentre la mano del maggiore gli spingeva la pistola in bocca. Al momento dello sparo vide distintamente il dorso della mano, coperto di peli, ed il sorriso del maggiore.

      Gli parve che lo sparo gli risuonasse in bocca e fu quasi stupito di non sentire dolore.

      Dopo aver dato l’ordine di gettare i tre cadaveri in un’unica fossa, raggiunse l’ufficio di Verneuil.

      Il maggiore era seduto alla scrivania, i piedi sul tavolo. Fissò lo sguardo su di lui e non lo distolse. Bernaud si sentiva in imbarazzo.

      Ci fu un lungo momento di silenzio, poi Verneuil chiese:

      - Fin dove andresti, Bernaud?

      Bernaud non sapeva come rispondere.

      - Ti faresti castrare, squartare come un animale al macello, come hanno fatto con Feuillet?

      - No, signor maggiore.

      Verneuil si alzò e si mise davanti a lui.

      - Credevo che avessi più coglioni.

      Bernaud non rispose.

      Verneuil scosse la testa.

      - Spogliami, Bernaud.

      Bernaud rimase sorpreso dall’ordine, che il maggiore non gli aveva mai dato. Non l’aveva mai neppure visto nudo. Il maggiore lo faceva spogliare, ma non si toglieva mai tutti i vestiti. Conservava sempre i pantaloni e spesso anche la camicia. Si limitava ad estrarre il cazzo, per farselo succhiare o per incularlo.

      Bernaud alzò le mani ed incominciò a sbottonare la giacca del maggiore, ma un pugno allo stomaco quasi lo fece piegare in due dal dolore. Mollò la presa

      - Prosegui.

      Bernaud riprese, ricevendo un nuovo colpo. Questa volta se lo aspettava e riuscì a non interrompersi. Ma ad ogni suo movimento il maggiore rispondeva con un pugno o uno schiaffo. Non erano vibrati con tutta la forza di cui Verneuil era capace, ma quei colpi continui intontivano Bernaud. Con fatica riuscì a togliergli la giacca e la camicia ed il maggiore rimase a torso nudo. Aveva un fisico possente e Bernaud lo contemplò, affascinato. Guardò la peluria scura che si allargava in due ampie chiazze intorno ai capezzoli e poi, più rada, su tutto il torace.

      Deglutì. Il maggiore non disse nulla per un buon momento, poi parlò, con voce secca:

      - Datti da fare, troia. Ti ho detto di spogliarmi.

      Bernaud annuì. Si inginocchiò davanti al maggiore ed incominciò a sfilargli i pantaloni, mentre una gragnola di colpi si abbatteva su di lui: schiaffi e pugni gli rendevano il compito sempre più difficile, ma Gaspard cercò di resistere.

      Infine riuscì a completare l’opera, ma il sangue gli colava dal naso e dal labbro.

      Il maggiore lo prese per i capelli e gli accostò la testa al cazzo, perfettamente teso.

      - Succhia, troia, succhia.

      Gaspard si sforzò di eseguire, ma il maggiore gli mise una mano dietro la testa ed incominciò a spingere con forza. Ogni volta che il cazzo gli arrivava in fondo alla bocca, premendo contro la gola, Bernaud si sentiva mancare il respiro ed aveva difficoltà a prendere fiato anche dal naso, premuto contro la fitta peluria che copriva il pube del maggiore. Più volte si sentì soffocare, ma infine Verneuil venne. Gaspard bevve fino all’ultima goccia, poi il maggiore gli diede una spinta decisa, facendogli battere la testa contro la parete.

      Verneuil si rivestì. Gaspard rimase con la schiena contro il muro, intontito.

Il maggiore gli appoggiò lo stivale contro il cazzo, teso allo spasimo, si chinò e gli strinse il collo con una mano.

      - E se ora ti strangolassi, stronzo?

      Gaspard non diceva niente. Non era in grado di rispondere. Nulla esisteva, se non la pressione violenta dello stivale sul suo cazzo, se non il desiderio che bruciava.

      Verneuil stringeva e Bernaud sentiva che il respiro gli mancava. Alzò la mano per fermare quella del maggiore.

      - Non hai i coglioni, Bernaud. Questa è la verità.

      Verneuil continuava a stringere e Bernaud usò anche l’altra mano per forzarlo ad allentare la stretta.

      Il maggiore scosse il capo.

      - Troia! Fatti una sega.

      Gaspard lo guardò.

      Il calcio ai coglioni gli strappò un gemito.

      - Ti ho detto di farti una sega, muoviti!

      Lottando contro il dolore che saliva violento, Gaspard portò una mano al cazzo ed iniziò ad accarezzarlo. Il suo sguardo era fisso sul maggiore, che aveva nuovamente aperto i pantaloni. Quando Gaspard venne, un getto di piscio lo prese in pieno in faccia.

      - Rivestiti, troia, e vattene.

 

*

 

      Le giornate di Louis all'accampamento erano molto piene, ma non più frenetiche come al campo di Jeannot.

Nel campo vivevano molte persone e spesso il guaritore si rivolgeva a lui per le malattie che non sapeva curare. Talvolta Louis era in grado di intervenire; in altri casi, invece, neppure lui conosceva un rimedio. Di fronte ad ogni nuovo problema, Louis cercava di trovare una soluzione, mettendo insieme tutte le sue conoscenze. Qualche volta riusciva a salvare il malato, in altri casi poteva solo alleviarne le sofferenze.

      Louis si rese conto che le parole di Llera erano vere: tutti lo rispettavano. Gli altri prigionieri non venivano torturati, ma erano disprezzati e spesso costretti a lavori umili; le donne subivano ancora violenze. Louis svolgeva il suo lavoro in piena libertà e poteva muoversi indisturbato per tutto il campo.

 

      Quindici giorni dopo il suo arrivo al campo, Louis tornò, per la quarta volta, a raccogliere erbe. Ad un certo punto arrivarono in un'area in cui il fianco della collina era spoglio e si vedeva un ampio paesaggio. Louis si sedette ed osservò la valle davanti a lui, il gioco di colori tra il bruno ed il grigio delle rocce, l'azzurro velato del cielo e la vasta gamma di verdi dei diversi alberi, degli arbusti, dei prati. Lentamente una sensazione di pace lo avvolse, una sensazione che penetrava in profondità, sciogliendo un groviglio di angoscia. Non si rese conto di quanto tempo era passato, fino a che non vide che il sole stava calando. Era tardissimo, doveva essere rimasto seduto per ore. Si alzò e con gli occhi cercò Pilon. Non lo vide. Si preoccupò. Dov'era finito?

      Stava ancora guardandosi attorno, quando Pilon uscì da un boschetto. Vedendolo, Louis si sentì sollevato. Pilon si avvicinò e gli disse:

      - Ho capito che volevi stare solo. Possiamo andare, ora?

      Louis annuì. Fu grato a Pilon per non aver interrotto la sua contemplazione. Più volte in seguito, raccogliendo le erbe, si sedette e rimase a guardare il paesaggio. E sempre gli sembrava di tornare all'accampamento più sereno.

 

      Altri due mesi erano passati. Due mesi di intenso lavoro, ma anche di pace. L'angoscia del tempo trascorso nell'accampamento di Jeannot era solo un ricordo, doloroso, ma contenibile. Le sue ferite si erano rimarginate, lasciando piccole cicatrici: solo su uno zigomo ed al ventre erano rimasti segni più visibili. Le piaghe agli angoli della bocca si erano chiuse. Louis aveva recuperato le sue forze. Della prigionia da Jeannot gli era rimasto il silenzio. E la serenità interiore.

      La notizia di una possibile liberazione dei prigionieri cominciò a circolare nel campo, suscitando grande entusiasmo. Louis era contento per gli altri, ma il suo futuro gli appariva molto dubbio. Che cosa avrebbe fatto in città? Il suo lavoro di medico. La risposta era chiara. Né c'erano molte alternative. Ma non sarebbe stato facile. Tutto era cambiato: la situazione dell'isola e la sua. Ed era cambiato lui.

      L'annuncio fu dato pochi giorni dopo: sarebbero stati tutti liberati. Li condussero fino ad incontrare una squadra dell'esercito. Oltre alle truppe, ad aspettare i prigionieri c'erano molte persone: parenti ed amici che per mesi e mesi avevano atteso quel momento, tra speranze e delusioni atroci. Louis non aveva nessuno che lo aspettasse.

      La solitudine non gli era pesata al campo, ora gli mancò uno sguardo amico. Non era strano. Dopo la morte dei suoi genitori, non c'era nessuno nell'isola a cui fosse veramente legato, anche se aveva alcuni amici di famiglia, in particolare i Verneuil. Gli anni passati in Francia e poi il periodo trascorso con i guaritori ed i mesi di prigionia avevano finito per allontanarlo del tutto dai suoi compagni di scuola. In città, al Cap, Louis sapeva che sarebbe stato solo.

 

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11

      Al Cap Louis aveva ancora l'appartamento che era stato dei suoi genitori, in cui non rimetteva piede da oltre un anno e mezzo. Quando arrivò in città, passò a ritirare la chiave. La teneva Justine Trenette, una mulatta che si occupava delle pulizie.

      - Dottore! Non sapevamo se era vivo o morto. Ho sperato che fosse tra i prigionieri liberati. Mi dicevo: speriamo che ci sia anche il giovane dottore.

      A quasi trent'anni Louis era il giovane dottore, lo sarebbe stato sempre per quella donna, che era rimasta per tanto tempo al servizio dei suoi genitori.

      - Come sono contenta!

      Louis sorrise e la donna, non ricevendo una risposta, si stupì.

      - Non parla?

      La stessa domanda che gli avevano fatto tutti quelli che aveva incontrato, dopo che gli era stato tolto il bavaglio. Avrebbe dovuto abituarsi. Gliel'avrebbero fatta ancora in molti.

      - Le hanno fatto qualche cosa...?

      Louis scosse la testa. Ci fu un momento di imbarazzo. Poi la donna disse:

      - Vado a prenderle la chiave. L'appartamento è in ordine, ci vado regolarmente, ma non ho pulito in tempi recenti. Domani vengo a fare le pulizie.

      Tornò con la chiave e Louis raggiunse l'appartamento dei suoi. Passò di stanza in stanza, poi entrò nei due locali a fianco dell'appartamento, che erano serviti a suo padre come studio.

      Tutto era in ordine. Tutto era come l'aveva lasciato, oltre un anno e mezzo prima. No, tutto era come l'avevano lasciato i suoi genitori. In quell'appartamento, di suo, c'era ben poco. Dopo il suo rientro dalla Francia, non vi era mai rimasto abbastanza da sentire l'esigenza di cambiare qualche cosa. Aveva formulato grandi progetti, ma non li aveva portati a termine. Pensava che l'avrebbe fatto al suo ritorno in città.

      Non sapeva che cosa avrebbe fatto ora, non ne aveva la più pallida idea. Risistemare l'appartamento era il suo ultimo pensiero.

      Si sedette su una poltrona, quella su cui si sedeva sempre suo padre. Era rivolta verso una finestra, da cui si poteva vedere tutta la via ed uno scorcio del porto.

      Ora avrebbe dovuto incominciare la vita per cui era tornato sull'isola. Sorrise, pensando a come tutto fosse profondamente diverso da come se l'era immaginato. Prima pensava che sarebbe diventato un dottore molto stimato, con una vasta clientela: l'alta società dell'isola, attratta dalle sue competenze, ma anche i poveri, che avrebbe curato gratuitamente. Ricchezza e filantropismo.

      Quell'immagine di sé gli sembrò vagamente ridicola. Ma non ne aveva un'altra da proporre. Che cosa sarebbe diventato? Che cosa sarebbe stata la sua vita? Al campo tutto era stato facile, aveva un ruolo preciso. Un ruolo che non aveva scelto, ma che aveva svolto come meglio aveva potuto. Qui era diverso, si sentiva disorientato e confuso.

      Aveva tempo. Suo padre aveva accumulato diversi risparmi e per un po' Louis non avrebbe dovuto preoccuparsi di mantenersi con il suo lavoro. Intanto si sarebbe chiarito le idee. Doveva lasciare che maturassero.

      Cercò nel guardaroba qualche cosa da mettersi. Ciò che aveva addosso era un insieme di stracci che poteva essere accettato in un campo di prigionia, non in città o anche solo nelle fattorie. Così avrebbe potuto chiedere l'elemosina, non curare i malati.

      Quando era tornato nell'isola, aveva portato con sé dalla Francia alcuni capi di vestiario, che, partendo per il suo apprendistato, aveva lasciato a casa. Li provò. Per fortuna gli andavano abbastanza bene: erano appena un po' larghi, perché era diventato più magro. L'abito elegante per le serate mondane, che gli aveva fatto un buon sarto parigino, lo fece sorridere. Era per un altro Louis, morto alla Fierté. O forse prima ancora, mentre studiava le erbe con il guaritore.   

      Il giorno dopo venne Justine ed affrontarono alcuni problemi pratici relativi alle pulizie ed alla cucina: la donna non ci mise molto a capire le esigenze di Louis e senza difficoltà si misero d'accordo.

      Mentre la mulatta sbrigava le faccende, Louis fece un giro per la città, a ritrovare i luoghi della memoria. Rimase a lungo seduto al porto, a guardare le navi, il mare, il cielo. Era una sensazione molto diversa da quella che provava sul fianco della collina, sopra il campo di Biassou, meno facile da definire, ma non meno forte.

      Quando tornò, la donna gli disse che l'avevano cercato tre persone. Due erano donne che aveva curato al campo e che gli chiedevano di passare da loro per una visita. La terza persona era Guillaume. Sarebbe ripassato in serata. Louis provò una gioia intensa. Guillaume era vivo. Era riuscito a salvarlo!

      Louis prese la borsa con le erbe, la vecchia borsa ormai logora. Decise di cercare in casa qualche cos'altro di più decente, ma non trovò niente che gli sembrasse adatto e lasciò perdere. Mentre si recava dalle sue pazienti pensò a Guillaume. Era affezionato al ragazzo: i giorni che avevano trascorso insieme, cercando di sopravvivere, li avevano uniti con un legame profondo. Quanto profondo? Che cosa provava per Guillaume? La risposta venne semplicemente: affetto, ma nulla di più.

 

      La sera suonarono alla porta. Louis andò ad aprire. Come si aspettava, era Guillaume.

      - Louis, mi hanno detto che eri ritornato in città, tra i prigionieri. Non ci volevo credere, ma è vero!

      Lo abbracciò. Louis lo strinse con affetto. Anche per Guillaume non doveva essere stato facile. Si staccò da lui e lo condusse in salotto.

      - Mi hanno detto che non parli, ma che ne sei uscito senza troppi danni. A parte qualche cicatrice.

      Gli passò due dita sullo zigomo sinistro, dove il segno era molto netto. Louis gli fece cenno di sedersi, ma il ragazzo rimase in piedi, accanto a lui.

      - Stai bene, Louis?

      Louis sorrise ed annuì. Sì, stava bene. Si stava adattando all'idea di dover affrontare una realtà del tutto nuova. Non sapeva dove stava andando, ma si sentiva abbastanza tranquillo.

      - Quel giorno, quando arrivai al forte, dissi al comandante che bisognava subito inviare i soldati a salvarti. Mi guardò… come si guarda un deficiente e mi disse bruscamente che tu ti eri sacrificato per salvarmi e che non c'era più niente da fare. Mi sentii tremendamente in colpa per non aver capito.

      Louis scosse il capo.

      - Ero sicuro che fossi morto. Per salvare me. Poi cominciai a dirmi che magari eri riuscito a scappare, che forse ti avevano catturato, ma le notizie che arrivavano erano spaventose. Quando ho saputo che eri ancora vivo, ma prigioniero, Dio, che sollievo! Poi si parlava della liberazione dei prigionieri, volevo venire anch’io al luogo d’incontro, ma avevo paura che tu non ci fossi. Quando mi hanno detto che davvero eri tra quelli che erano stati liberati, ne sono stato felice. Louis, Louis!

      Guillaume lo abbracciò di nuovo forte, poi lo baciò sulla bocca. Louis accettò il bacio, ma non lo ricambiò. Quando il ragazzo si staccò, gli lesse in volto la delusione. Si limitò a scuotere il capo.

      Non c'era più spazio per quello che gli chiedeva Guillaume. Non avrebbe potuto farlo. Gli voleva bene ed avrebbe nuovamente rischiato la vita per lui, ma non lo amava. E sentiva, confusamente, che fare l'amore con lui senza amarlo, ora, sarebbe stato un inganno.

 

Più tardi Guillaume uscì, una gran confusione in testa. Era corso da Louis senza nessuna intenzione precisa, non pensava di chiedergli di fare l’amore con lui. Voleva vederlo vivo, esprimergli tutta la sua riconoscenza. Aveva provato l’impulso di abbracciarlo, di baciarlo. Se Louis l’avesse voluto, si sarebbero amati. 

      Eppure sapeva di non amare Louis, per quanto gli volesse bene. Amava? Rivide davanti agli occhi Robert.

      Non si erano mai detti di amarsi. Robert aveva detto di desiderarlo. Spesso lo stringeva, ma non si erano mai scambiati parole d’amore. Robert era il suo schiavo. Ma lui, che cosa provava per Robert? E Robert, che cosa provava per lui?

 

      Anche quella notte, come sempre avveniva, Guillaume si spogliò davanti a Robert. Gli piaceva che Robert lo vedesse mentre si toglieva i vestiti e rimaneva nudo. Era bello leggere negli occhi del nero il desiderio. Poi rimase in piedi, aspettando che fosse Robert a spogliarsi.

      Il nero sorrise e si tolse gli abiti con movimenti rapidi. Prima ancora che si togliesse le mutande, Guillaume poté vedere che era eccitato. Era già successo in altre occasioni, ma questa volta la sua arma era completamente tesa e si drizzava, davanti al ventre.

      Da tempo Guillaume provava il desiderio di prendere in bocca l’uccello di Robert, come aveva fatto un’unica volta con quello del tenente, al forte. Ma non aveva mai osato. Temeva che Robert lo disprezzasse.

      In quel momento il desiderio fu più forte. Fece un passo avanti, sorrise a Robert e si inginocchiò davanti a lui. Il nero ricambiò il sorriso. Doveva aver capito, perché gli accarezzò il capo.

      Guillaume guardò la cappella che svettava e, ancora incerto, avvicinò la bocca. Le sue labbra sfiorarono la punta, in un bacio leggero. Poi si mossero lungo l’arma sguainata, fino alla cima. Ci fu una vibrazione nell’asta ed a Guillaume parve che quel fremito si ripercuotesse in tutto il suo corpo.

      In quel momento Robert soffiò sulla candela. L’oscurità avvolse la stanza, ma non era completa. Dalla finestra entrava la luce lunare. Nel buio Guillaume si sentiva più a suo agio e le sue mani si strinsero intorno al culo di Robert, lo pizzicarono, lo accarezzarono, mentre finalmente la sua bocca avvolgeva la cappella e la lingua la lambiva, più volte.

      Era bello rimanere così al buio, la bocca che avvolgeva quel boccone di carne, le mani che stringevano il culo, le dita di Robert tra i capelli, in una carezza lieve, l’altra mano sulla nuca.

      Guillaume spinse le sue mani più avanti, fino a che le dita trovarono il solco e lo percorsero, da cima a fondo. Nuovamente il nero fremette e l’eco di quella vibrazione si moltiplicò nelle mani e nella bocca di Guillaume, per poi diffondersi ed incendiargli i sensi.

      Il movimento della bocca divenne più deciso, le dita iniziarono a ripercorrere la strada in senso inverso, ma si fermarono quasi subito, stuzzicando l’apertura segreta. Robert gemette, rovesciando il capo all’indietro.

 

      Le sensazioni erano troppo forti. Nella camera dove i loro corpi erano appena ombre più scure, Robert si sentiva sprofondare in un vortice di piacere. La bocca di Guillaume gli toglieva il fiato e le sue mani… Quelle mani toccavano corde nuove, di cui Robert non conosceva il suono. Mai avrebbe pensato che una carezza potesse destare in lui desideri di cui non aveva coscienza. Eppure, nel buio, quel contatto lo faceva sognare un altro contatto. Nel buio il rapporto che dal primo giorno si era stabilito tra lui e Guillaume poteva rinnovarsi, rovesciarsi. Nel buio quella bocca stava infrangendo ogni regola e apriva la strada a nuove trasgressioni. Nel buio tutto era possibile.

      Sentì la tensione divenire intollerabile e cercò di avvisare Guillaume, ma il suo avvertimento arrivò tardi o forse la bocca che avvolgeva il suo uccello non volle lasciare la preda, voleva sentire il gusto del seme che si spandeva.

      Un dito di Guillaume, mentre lui veniva in un’immensità di piacere, stava avanzando dentro di lui e Robert fu sicuro che quel giorno le carte del gioco sarebbero state scompigliate. Non aveva mai pensato che potesse accadere, ma ora gli sembrava naturale che fosse così.

      Quando ebbe finito di bere, la bocca di Guillaume lasciò l’uccello, ma il dito rimase, piantato nella carne.

      Robert accarezzò i capelli di Guillaume, poi sussurrò:

      - Sì.

      Era una resa, completa, senza condizioni. Ma il suo corpo altro non desiderava in quel momento che cedere ed aprirsi, per la prima volta.

      Guillaume si alzò ed il suo dito abbandonò la postazione raggiunta. Si baciarono sulla bocca, poi Guillaume sussurrò:

- Stenditi sul letto.

      Robert eseguì. Nei mesi precedenti si era spesso chiesto che cos’era per Guillaume. C’erano diversi padroni bianchi che usavano schiavi e schiave per il loro piacere. Sapeva che per Guillaume non era questo, ma solo ora sentiva che per il suo padrone lui non era semplicemente uno strumento di cui servirsi, ma molto di più.

      Guillaume si sedette sopra di lui, sul suo culo.

 

      Era bello sentire sotto di sé la carne calda di Robert, accarezzarne la pelle, scompigliarne i capelli. Era bello sapere che il suo corpo tra poco avrebbe posseduto quello di Robert.

      Un desiderio incontenibile di vedere lo prese. Si alzò ed accese la lanterna.

      Robert voltò la testa verso di lui e sorrise.

      Guillaume tornò al proprio posto e riprese a percorrere con le mani il corpo del nero. Era bello vedere le proprie mani, chiare, sulla pelle scura.

      Si spostò leggermente, sedendosi sulle cosce di Robert. Davanti a lui il culo del nero. Divaricò appena un po’ le natiche, per vedere l’apertura segreta. Come Robert l’aveva preso, così lui ora avrebbe preso Robert. Per la prima volta avrebbe posseduto un uomo. Per la prima volta il loro rapporto diventava davvero alla pari, non c’erano più uno schiavo ed un padrone, ma due uomini che si amavano. Perché lui amava Robert, di questo ora era sicuro, e con lui sarebbe vissuto, lontano da quell’isola maledetta. 

      Accarezzò l’incavo tra le natiche, morse con delicatezza il culo di Robert, una volta, due. Lo morse ancora, con maggiore forza. Poi allargò le gambe del nero, si bagnò le dita e le passò lungo il solco, fino all’apertura.

      Con l’altra mano abbassò la punta della propria asta, in modo da avvicinarla all’ingresso, guardò affascinato la propria carne chiara, l’asta che forzava il buco, dilatandolo, e poi scompariva, inghiottita da quella carne nera.

      Una vampata di calore lo avvolse e spinse con forza, fino a che tutta la sua picca fu dentro Robert e poté abbandonarsi sul suo corpo. Gli morse la spalla, gli passò la lingua dietro l’orecchio e poi lo baciò su un occhio.

      Le sue mani scesero, strinsero i fianchi, ed il suo corpo incominciò a muoversi, avanzando e ritraendo l’arma. Le immagini vacillavano davanti ai suoi occhi, l’intera stanza sembrava ondeggiare intorno al corpo di Robert, che era il centro della camera, del mondo intero. Solo quella carne rimaneva ferma, appiglio sicuro nella tempesta che strappava gli ormeggi e trascinava Guillaume con sé, senza tregua. E, fermamente piantato in quel corpo, Guillaume lasciava che i venti lo portassero via, fin oltre le nuvole e poi nelle profondità del mare, in un’altalena che lo stordiva.

Ma il piacere premeva, violento, e dopo poche spinte lo travolse. Venne, assai prima di quanto avrebbe voluto.

      Si afflosciò, senza forze, sul corpo di Robert. Non uscì da lui, ma rimase ancora dentro quel culo che lo aveva accolto e, quando di nuovo il desiderio si irrigidì, ripresero ad amarsi e questa volta vennero entrambi.

      Guillaume spense la lanterna. Quando la stanza piombò nel buio, non vide nulla. Allora le sue mani accarezzarono il corpo di Robert e la sua bocca trovò la forza per dire:

      - Ti amo, Robert.

 

Cap12c

 

12

        

        

      Contrariamente alle sue previsioni, Louis riprese ad esercitare subito dopo il suo ritorno in città. Molti di coloro che aveva curato al campo scelsero di continuare a rivolgersi a lui e lo consigliarono ad altri, soprattutto per quelle malattie per cui la medicina europea si rivelava poco efficace. Louis fece sistemare il piccolo studio e si diede da fare per procurarsi i medicinali e le erbe.

      La raccolta delle erbe costituiva il problema più serio: doveva uscire dalla città e questo era pericoloso, soprattutto per un bianco. Bande di ribelli si aggiravano spesso nelle vicinanze ed essere sorpresi da soli significava la morte.

      Periodicamente Louis partiva per andare a raccogliere quanto gli serviva. Quelle escursioni erano molto importanti per lui: come quando era prigioniero, si sedeva in un luogo isolato e rimaneva ore ed ore a contemplare i boschi o il mare. Ritornava con un profondo senso di pace.

      Cercò comunque di essere prudente. Si fermava in posti riparati, mettendosi tra i cespugli, in modo da poter osservare il paesaggio, senza essere troppo visibile. Affittò anche un terreno in periferia, da cui ricavò un piccolo orto: riuscì così a coltivare diverse tra le piante erbacee di cui aveva bisogno. Per altre continuò ad uscire dalla città.

      I suoi rimedi erano accolti con diffidenza da coloro che non lo conoscevano, ma, poiché spesso si rivelavano efficaci, Louis ebbe ben presto una discreta clientela. Tutti avevano finito per accettare il suo silenzio. Per evitare malintesi nelle cure, Louis scriveva le prescrizioni.

      Molti vennero da lui a raccontare. Raccontavano gli orrori che avevano visto, le violenze subite, le vigliaccherie commesse per salvarsi. Gli lasciavano una parte del loro fardello.

      Louis non diceva nulla. Sapeva che venivano da lui proprio perché non parlava. A volte una sua carezza, un suo sorriso, un suo sguardo scatenavano violente crisi di pianto o di rabbia. Anche a questo si era abituato.

      Era di nuovo medico. Medico dei corpi e delle anime. Era ancora in pace con se stesso, ma nuovamente l'angoscia che provava si accumulava in lui e non poteva condividerla. Solo quando era sulle colline e guardava il mare, sentiva che il peso si alleggeriva.

 

      Al di là della sua attività di medico, che lo portava a contatto con molti, frequentava poche persone. Abbastanza spesso la sera andava dai Verneuil, che erano stati molto amici della sua famiglia. Nelle serate in cui non c’erano tanti invitati, era un ambiente tranquillo e raccolto. Alcuni di coloro che aveva curato al campo lo avevano invitato a cena a casa loro ed inizialmente Louis era andato, almeno qualche volta, ma si era trovato a disagio: si rendeva conto che in quelle occasioni il suo silenzio era fuori posto. E gli aveva dato molto fastidio il fatto di essere esibito: era alla moda, l'ultima novità della capitale.

      Rinunciò a questi incontri e continuò ad andare solo dai Verneuil. Laure Verneuil era molto attenta alle sue esigenze, non lo metteva in mostra come un esemplare raro ed impediva a qualunque ospite di essere indiscreto con lui. Quando aveva molti invitati, avvisava Louis, che in questi casi preferiva non andare.

 

      Una sera, tre mesi dopo il suo ritorno, arrivò presto dai Verneuil. Laure Verneuil stava parlando con Dumay, un avvocato.

      - E questa sera avremo anche il signor Llera.

      - Llera? Lo riceve?

      - Avvocato, ma cosa dice? È amico di mio marito.

      - Non l'avevo mai visto qui.

      - Non viene spesso al Cap. È arrivato ieri e ripartirà domani.

      - Deve avere qualcuno dei suoi loschi affari. Quel tipo non mi piace per niente.

      La signora Verneuil sorrise, scuotendo la testa.

Louis era molto contento all'idea di rivedere Llera. Da quando se n'era andato dal campo di Biassou, non ne aveva più avuto notizie.

      Llera arrivò per ultimo. Salutò i padroni di casa e gli altri ospiti, stringendo loro la mano, poi si diresse da Louis, che era rimasto in un angolo della stanza, e lo abbracciò.

      - Sono felice di vederla, dottore. Sono al Cap solo da due giorni, ma ho già sentito parlare molto di lei. E sempre soltanto bene.

      Laure intervenne.

      - Credo che sia difficile riuscire a parlare male del dottore.

      Dumay colse l'occasione per fare un complimento alla padrona di casa.

      - Qualcuno dice che fa il prezioso e non si lascia vedere in giro. Signora Verneuil, lei è molto invidiata, come padrona di casa, perché ha conquistato una preda ambita: con i suoi talenti non c'è da stupirsi.

      - Non è stata una conquista. Tra la nostra famiglia ed i Reybert è sempre esistita un'amicizia molto forte.

      Uno degli ospiti, l'unico che Louis non conosceva, gli si rivolse.

      - So che la chiamano il medico delle erbe o il medico delle mani.

      Llera chiese:

      - Il medico delle mani? Perché si esprime con i gesti?

      Fu Laure a rispondere.

      - No, perché le sue mani guariscono, le malattie del corpo e quelle dell'anima.

      Llera guardò Louis, con un sorriso di apprezzamento.

      - Ogni giorno scopro un suo nuovo talento.

      Louis cominciò a sentirsi in imbarazzo. Avrebbe voluto che cambiassero discorso. Llera sorrise ed aggiunse:

      - Basta, se continuiamo a parlare del dottore, finisce che non tornerà più e la nostra bella padrona di casa non sarà più così invidiata. Ditemi piuttosto le ultime novità sul governatore.

      Louis pensò che Llera doveva avergli letto dentro, come al solito, e gli fu grato del suo intervento. Ora la conversazione proseguì nella nuova direzione datale da Llera e Louis, non più a disagio, ascoltava. Llera non gli rivolse più la parola, ma più volte, durante la serata, lo guardò ed ogni volta gli sorrideva. Quel sorriso gli faceva piacere.

      Quando Louis si alzò per andarsene, Llera lo imitò.

      - Esco con il dottore. Voglio fare due chiacchiere con lui.

      - Badi, le chiacchiere le farà tutte lei.

      - No, il dottore comunica benissimo. Se vuole.

      - Con lei parla?

      - Non con la bocca, ma i suoi sguardi dicono molte cose, più di quello che vorrebbe, a volte.

      - Bisogna saperli leggere.

      - Ci provo.

      Louis sorrise: Llera ci riusciva benissimo. Uscirono.

      - La accompagno a casa, così vedo dove abita e posso passare a trovarla una di queste volte.

      Camminarono un buon momento in silenzio. La casa di Louis non era lontana da quella dei Verneuil. Davanti alla porta Louis tirò fuori la chiave.

      - Posso venire su un attimo?

      Louis annuì. Quando entrarono, Llera si guardò intorno e disse:

      - Tutto è come l'ha lasciato suo padre. Anzi, come l'aveva lasciato sua madre.

      Non era una domanda.

      - Ha fatto qualche modifica nello studio, suppongo? È qui di fianco?

      Louis annuì. Llera si sporse verso di lui.

      - Allora, mi dia un po' notizie. Vedo che sta bene, che lavora molto, che cura malattie del corpo e dell'anima e che si sente un po' solo, ma niente di grave. La sua anima non appartiene a nessuno.

Louis non capì e corrugò le sopracciglia. Llera scoppiò a ridere.

      - È solo un modo di dire degli schiavi della Guinea, mi piace molto. Significa che non ama nessuno e direi che per il momento non ne sente il bisogno. Ci sono sensazioni non ben definite, che prima o poi si chiariranno.

      Inizialmente l’analisi aveva divertito Louis, ma ora cominciava a sentirsi a disagio.

      - Adesso è bene cambiare argomento, perché sto diventando invadente.

      Louis lo ringraziò con un sorriso e lo guardò interrogativamente.

      - Io sto bene. Mi occupo dei miei affari, cerco di portare a casa la pelle e quanto occorre per il pane ed il companatico e ci riesco abbastanza bene. Anche la mia anima non appartiene a nessuno. Vengo di rado in città e sono molto contento di averla rivista. Dottore, alla Fierté mi aveva divertito e devo dire che già allora provavo simpatia per lei. Al campo ho apprezzato moltissimo quello che ha fatto per me ed ancora di più come l'ha fatto. E poi ho sentito quello che dicono di lei. I miei complimenti, dottore. Il curatore aveva ragione. Ci voleva il fuoco per eliminare le scorie, ma il risultato è incredibile. Mi chiedo se il suo maestro avesse davvero un'idea di che cosa sarebbe diventato. Ora però è di nuovo in imbarazzo e quindi chiudiamo. Tanto più che lei si alza presto e lavora sodo. Domani parto, ma tornerò a trovarla nelle mie prossime visite, se le fa piacere.

      Louis gli sorrise. Gli avrebbe fatto molto piacere. Llera capì e ricambiò il sorriso.

      - Grazie.

      Llera lo abbracciò e Louis ritrovò la sensazione di calore che aveva provato al campo di Biassou.

 

*

 

      - Il maggiore Verneuil vuole vederla. 

      Gaspard lasciò gli altri ufficiali, con cui stava discutendo delle ultime novità sulla ribellione. Mentre attraversava il cortile del forte, rifletté sulla propria situazione. Per oltre un anno aveva ansiosamente atteso le convocazioni da parte del maggiore e quando veniva convocato, il cazzo gli si irrigidiva immediatamente. Il suo corpo reagiva ancora in quel momento con la rapidità e l’intensità che gli erano ben note, eppure Gaspard non era più così desideroso di incontrare il maggiore.

      In qualche modo sentiva che il loro rapporto si avviava alla fine. Da tempo aveva raggiunto il limite. Gli piaceva essere colpito ed umiliato, il maggiore lo attraeva fisicamente come nessun altro uomo, ma non se la sentiva di proseguire lungo quella strada. Verneuil avrebbe voluto andare avanti, ma di fronte alle sue insistenze, Gaspard si ritraeva. Che cosa il maggiore volesse, esattamente, Gaspard non avrebbe saputo dire. Forse voleva soltanto che lui gli dicesse che desiderava essere ferito a morte, castrato, ucciso. E Gaspard avrebbe potuto dirlo, se quelle parole fossero state solo un gioco, ma gli sembrava che non lo fossero. Si sentiva sempre più a disagio con il maggiore, anche se quell’uomo gli incendiava il corpo.

      Avrebbe voluto chiudere.

      Bussò alla porta del maggiore e si disse che, alla faccia di tutti i propri dubbi e della volontà di interrompere definitivamente quel rapporto, il suo corpo aveva tutt’altre idee, perché come sempre aveva il cazzo teso allo spasimo.

      - Avanti.

      Gaspard entrò. Il maggiore era seduto alla scrivania. Lo guardò senza dire niente. Erano passate due settimane dall’ultima volta che si erano incontrati.

      - Perché sei venuto, Bernaud?

      - Perché mi hanno riferito che mi voleva, signor maggiore.

      - Sì, ma perché tu sei venuto?

      Bernaud non sapeva che cosa rispondere. Tacque. Quel rapporto non aveva più senso. Se avesse potuto scegliere, non si sarebbe presentato, ma questo non era possibile, il maggiore era il suo superiore.

      - Perché obbedisco agli ordini, signor maggiore.

      - E se io ti ordinassi di lasciarti scannare come un porco?

      - Direi di no, signor maggiore.

      Il maggiore rimase per un buon momento in silenzio. Gaspard avrebbe voluto essere altrove, eppure il suo corpo spasimava per nuove violenze.

      - Spogliati, Bernaud. A questo ordine ubbidisci?

      - Sì, signor maggiore.

      Gaspard eseguì l’ordine, togliendosi tutti i vestiti e ponendoli per terra, ai lati della scrivania. Si rimise sull’attenti. Sull’attenti era anche il suo cazzo, teso e perfettamente verticale.

      - Sei sempre la solita troia, Bernaud. Una troia davvero, perché non hai i coglioni per andare fino in fondo.

      Il maggiore gli passò dietro. Bernaud attendeva. Non sapeva che cosa sarebbe successo. Il suo corpo gridava il desiderio e lui non era capace di metterlo a tacere.

      Sentì che il maggiore apriva una porta ed usciva. Ritornò dopo un momento,ma rimase dietro di lui.

      Tutto il suo corpo era teso. Che cosa intendeva fare il maggiore? Che cosa voleva?

      La frustata fu tanto brutale da strappargli un urlo.

      - Chiudi la bocca, troia!

      Bernaud serrò le labbra.

      La seconda frustata fu altrettanto violenta, ma Bernaud si controllò. Altre frustate si susseguirono. Faceva fatica a stare in piedi per il dolore.

      - Appoggiati alla scrivania, troia.

      Bernaud appoggiò il petto sul ripiano ed attese.

      Verneuil si mise dietro di lui. Sputò sul buco e distribuì la saliva con la punta delle dita. Bernaud controllò a fatica il mugolio di piacere.

      Verneuil lo afferrò sotto le ascelle e gli infilò il cazzo in culo con un movimento implacabile. L’ingresso brusco fu doloroso, ma, come sempre, il piacere fu più forte. Verneuil lo stringeva e spingeva, con forza. Aveva una grande resistenza ed ogni suo colpo provocava dolore e piacere.

      Bernaud sapeva che quello era ciò che voleva dalla vita, solo quello, quel cazzo che gli riempiva il culo, quelle mani che lo stringevano, quel corpo che premeva sul suo, sfregando le ferite delle frustate e accendendole di un fuoco che gli bruciava la pelle.

      Il maggiore spingeva ed ora le sue mani percorrevano la schiena di Gaspard, le unghie scavavano là dove la pelle era stata martoriata dalla frusta ed il dolore esplodeva. Ma quella sofferenza atroce moltiplicava quell’altro dolore al culo, che era piacere.

      Due volte Gaspard ebbe la sensazione di svenire. Infine una serie di spinte violente conclusero l’opera e, mentre il maggiore gli veniva in culo, un uragano di piacere percorse Bernaud, che gemette senza ritegno.

      - Troia!

      Il maggiore uscì da lui.

      - Rimani così, troia.

      Passò dall’altra parte della scrivania e prese la sciabola attaccata al muro. La tolse dal fodero e gli mostrò la punta, con un sorriso. Gaspard si tese.

      Il maggiore passò dietro di lui. Gaspard girò la testa per vedere. Il maggiore si stava avvicinando con la sciabola protesa.

      - Vediamo se questa lama in culo ti fa godere.

      Gaspard scattò di lato.

      - Vigliacco. Non hai i coglioni.

      Gaspard passò dall’altra parte della scrivania. Negli occhi del maggiore c’era disprezzo. E follia.

      Il maggiore si protese sopra la scrivania, cercando di colpirlo con la sciabola. Gaspard schivò il colpo, afferrò il braccio del maggiore, bloccandolo e lo colpì al viso con tutte le sue forze. Vide il sangue sgorgare dal naso. La spada cadde con fragore.

      Gaspard mollò la presa ed il maggiore scivolò a terra. Gaspard raccattò i suoi vestiti. Il maggiore lo guardava con odio. Gaspard si rivestì rapidamente, senza smettere di fissarlo, ed uscì.

 

 

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