cap1b

 

1

 

Nella sala scese un silenzio gelido.

Louis si diede dell'idiota. Come al solito! Aveva parlato senza riflettere. E dire che non era più un ragazzo. A ventott'anni avrebbe dovuto saper tenere la bocca chiusa. Si lasciava trascinare nelle discussioni e diceva quello che pensava, senza badare a dov'era e soprattutto a chi stava parlando.

      Questa volta però era stato ben peggio del solito: andare a dire che tutti gli uomini devono essere liberi e che la schiavitù è contro le leggi di natura, proprio nella sala da pranzo di Louis-Jacques Grossetête, uno dei maggiori proprietari terrieri di Saint-Domingue! Uno che possedeva enormi piantagioni di canna da zucchero e centinaia di schiavi! E gli altri ospiti non erano certo più disponibili ad accogliere le nuove idee: a parte i sei figli di Grossetête, a tavola c'erano altri due proprietari della zona, un terzo possidente, del Nord, sfuggito per miracolo alla distruzione della sua piantagione da parte dei neri in rivolta, ed un certo Llera, che gli era stato presentato come commerciante, ma sulle cui attività Louis nutriva alquanti dubbi.

      Tutta l'isola era in subbuglio per le notizie che giungevano dalla Francia, dove infuriava la rivoluzione. Si parlava di diritti civili per i mulatti, addirittura di libertà per gli schiavi. Ed intanto bande di neri in rivolta avevano cominciato ad attaccare le piantagioni e ad uccidere i proprietari. Erano state commesse atrocità di ogni genere, bambini infilzati su pali e portati come insegne, donne violentate, famiglie sterminate nel sonno, fattorie incendiate, una dopo l’altra. La zona in cui si trovava la Fierté, la proprietà di Grossetête, era ancora tranquilla, ma per quanto?

      Ed in quella situazione, lui, Louis Reybert, aveva avuto la bella idea di lanciarsi in un discorso sui diritti dei neri. Ora tutti lo fissavano ostili. Si era lasciato trascinare nella foga della discussione, si era accalorato ed aveva finito per dire tutto quello che pensava. Come sempre. Mai che riuscisse a stare zitto! Mai! Stupido!

 

      Nel gelo che si era creato, Louis-Jacques Grossetête si alzò.

      - Mio caro Reybert, lei ci porta le nuove idee della capitale, ma noi, in questo piccolo angolo di Francia oltre oceano, amiamo poco le novità. Siamo fedeli al re ed attaccati alle vecchie idee. Ci scuserà, ma Parigi è così lontana.

      Sorrise, poi, con un tono cortese, ma tanto fermo da non ammettere repliche, si rivolse a tutti i commensali:

      - È meglio che lasciamo perdere questa discussione e passiamo in salotto a raggiungere le signore.

      Louis fu grato a Grossetête per non essersela presa più di tanto ed aver spezzato la tensione. Era vero che Louis era entusiasta delle nuove idee rivoluzionarie: negli anni trascorsi a Parigi, a studiare medicina, aveva ascoltato molti discorsi, aveva discusso, aveva letto e si era progressivamente imbevuto dei principi di uguaglianza e libertà; poco prima di partire per tornare a Saint-Domingue, l'anno precedente, era anche entrato nell'associazione Les Amis des Noirs, che voleva l'abolizione della schiavitù. Ma quelle idee erano polvere da sparo, qui alla Fierté ed in generale in tutta Saint-Domingue. Meno male che Grossetête teneva alle buone maniere e non voleva essere scortese con i suoi ospiti, per quanto malaccorti fossero. Altri proprietari lo avrebbero sbattuto fuori quella sera stessa, a dormire per la strada: in fondo Louis era un ospite di passaggio, accolto perché nelle fattorie dell’isola si accordava ospitalità a qualunque uomo bianco di buona famiglia si trovasse a passare da quelle parti. Ma se non sapeva come comportarsi, era logico che ne pagasse le conseguenze. E non sarebbe stato piacevole: anche se le grandi bande di briganti non erano ancora arrivate in quella parte dell'isola, vi erano molti schiavi fuggiaschi e muoversi da soli era pericoloso anche di giorno.

     

      Passarono in salotto. A differenza di quasi tutte le altre abitazioni dei piantatori, la casa padronale della Fierté era una vera e propria villa, costruita in legno, ma molto ampia ed arredata con eleganza. La padrona di casa, morta due anni prima, era l'erede di un ricco proprietario di Cuba ed aveva ottenuto dal marito che trasformasse l'abitazione, in origine molto semplice, in una grande residenza, in grado di ospitare la numerosa famiglia: nella casa vivevano Grossetête, i suoi sei figli, due dei quali erano sposati, ed una sua sorella.    

      In salotto si cominciò a parlare degli ultimi movimenti delle bande di briganti. Le quattro donne, le tre Grossetête e la moglie di uno dei piantatori, si ritirarono molto presto. Nella stanza scese il silenzio, interrotto solo da qualche osservazione irrilevante. Tutti sembravano aspettare il momento per aprire una discussione importante, ma tacevano; qualcuno ogni tanto guardava Louis con diffidenza. Questi capì di essere di troppo: pensò che probabilmente volevano concordare una strategia d'azione contro le bande di briganti che si avvicinavano e che quella doveva essere la ragione dell’arrivo degli altri due piantatori. Che ruolo aveva Llera? Forse avrebbe fornito le armi. Si alzò, scusandosi e dicendo che voleva fare due passi prima di mettersi a dormire. Nessuno cercò di trattenerlo. Prese un sentiero al margine dei campi coltivati e salì sul fianco della collina, senza allontanarsi molto dalla casa.

      La luna era alta in cielo ed il mondo sembrava immerso in una grande pace.

      Louis sapeva quanto era ingannevole quella pace. C'era pace anche alla proprietà dei Vivet, da dove proveniva, più a nord, ma due fattorie vicine erano state distrutte nelle notti precedenti. Lungo la strada non aveva visto nessun segno del passaggio delle bande, ma sapeva che in tutta l’isola nessuno poteva dirsi al sicuro.

      Rimase a lungo a guardare. Poi scese verso la casa. Dalla finestra vide che gli uomini stavano ancora discutendo tra di loro. Louis non passò dal salotto ed andò direttamente a dormire. 

 

      Il mattino dopo i Grossetête e gli altri ospiti lo trattarono con grande freddezza. Louis avrebbe voluto anticipare la partenza, ma non era possibile, doveva aspettare l'arrivo di Pierre Colas, che sarebbe giunto solo il giorno successivo: si erano accordati per fare insieme il viaggio fino alla capitale, per sicurezza.

      L'atmosfera per lui era diventata irrespirabile. Solo Louis-Jacques Grossetête, conscio del suo ruolo di padrone di casa, si mostrava cortese nei suoi confronti. E Llera. Non sapeva chi fosse Llera. L'uomo gli aveva ispirato un'immediata simpatia, per i suoi modi rilassati e... non sapeva per che cosa. Quell'uomo dai capelli lunghi fino alle spalle, raccolti da un nastro nero, appariva del tutto diverso dagli altri ospiti della Fierté: non ne aveva la durezza e l'ottusità. Louis si ripeté che probabilmente era un contrabbandiere e che doveva essere lì per discutere qualche traffico d'armi.

      Ora era seduto al suo fianco sulla veranda e tutti e due guardavano la piantagione. La casa era situata sul fianco della collina, immediatamente sopra i campi, e dalla veranda si potevano vedere gli schiavi al lavoro.

      - Lei è nato qui, vero?

      Louis si stupì della domanda di Llera.

      - Sì, come ha fatto a capirlo?

      - È evidente da come parla il creolo: nessun francese lo impara decentemente, anche dopo anni di permanenza nell'isola. E poi da come si muove. A Saint-Domingue i francesi non sono a proprio agio lontano dalle città. Suo padre era medico qui?

      Louis rimase a bocca aperta, ma questa volta non chiese a Llera come avesse capito. Rispose:

      - Sì, mio padre era medico qui. Sua sorella aveva sposato un grande proprietario nella regione di Fort Dauphin. Sono vissuto al Cap o nella fattoria di mia zia fino a quando non sono partito per la Francia per studiare medicina.

      - Ma non è tornato qui per esercitare, non subito, almeno.

      Louis rinunciò a stupirsi. Llera doveva leggere nei pensieri degli altri.

      - No, sono tornato qui per proseguire gli studi.

      - Gli studi di medicina a Saint-Domingue? Scherza? No, non scherza. Mi spieghi. Se vuole.

      - Negli anni in cui sono vissuto nella fattoria di mia zia, ho visto che gli schiavi nelle piantagioni riuscivano a guarire di ferite e malattie che mio padre non era in grado di curare. Uno schiavo, un guaritore, mi spiegò alcune cose sull'uso delle erbe. Feci alcune esperienze, ma poi dovetti andare al Cap. Mio padre voleva che completassi gli studi, per cui partii per la Francia. Quando divenni medico, decisi di tornare per studiare le erbe.

      - Non c'è qualche cos'altro?

      Louis si irrigidì leggermente. Come aveva fatto a capire? Llera riprese:

      - Solo se vuole raccontarmelo.

      - Sì, c'è.

      Ci fu un attimo di silenzio. Il ricordo faceva male, molto e per un momento Louis pensò di non dire nulla. Ma sarebbe stato infantile.

      - Avevo tredici anni ed ero alla piantagione. Mia madre era con me ed un giorno si ammalò. Una febbre violenta, che non perdonava. Mio padre venne chiamato ed arrivò dopo pochi giorni. Fece di tutto, ma mia madre continuava a declinare. Intanto mi ammalai anch'io. Lo schiavo della piantagione che faceva da guaritore propose a mio padre alcuni rimedi, ma lui rifiutò di ascoltarlo. Mia madre morì. Anch'io stavo rapidamente andandomene. Mio padre, che non si rassegnava all'idea di perdere anche me, finì per accettare la proposta del guaritore. Quell'uomo mi curò e mi salvò.       

      - E suo padre non si perdonò mai di aver lasciato morire sua madre.

      Louis non disse nulla. Non c'era nulla da dire. Il pensiero della morte di sua madre e del rimorso che aveva portato suo padre alla tomba erano ferite aperte. E poi lo intimoriva quell'uomo che, seduto tranquillamente di fianco a lui, sembrava capace di leggergli in testa. Fu Llera a riprendere.

      - E quando è arrivato ha deciso di cercare di capirne di più della medicina degli schiavi.

      - L'avevo già deciso in Francia.

      - Suo padre è morto, vero?

      - Sì.

      - E allora che cosa ha fatto?    

      - Mi sono recato nella piantagione di mia zia, ho lavorato per tre mesi con quell'uomo, che poi mi ha mandato da un altro, con cui sono rimasto un anno.

      - Un anno? Lei ha pazienza.

      - Cerco di averne.

      - E ha imparato?

      - Molto di più di quello che ero venuto ad imparare... non a tenere a freno la lingua, però, come ha avuto modo di notare.

      Llera scoppiò a ridere. Aveva una risata franca, simpatica.

      - Ieri sera mi sono chiesto se fosse un provocatore della società degli Amis des Noirs o un imbecille. L'ho seguita, quando è uscito, per vedere dove andava: pensavo che volesse solo far finta di andarsene, per spiarci, o che avesse un incontro con qualcuno.

      - No, nessun incontro, avevo capito che dovevate discutere qualche cosa di importante e che ero di troppo, che non vi fidavate. Non sono un provocatore o un cospiratore, solo un imbecille.

      Llera non replicò. Louis si era vagamente aspettato una smentita, almeno di cortesia, ma sapeva che con il suo comportamento non poteva certo essersi guadagnato la stima di Llera. Dopo una pausa sufficientemente lunga, Llera riprese:

      - E che cos'altro le ha insegnato il suo guaritore?

      - Credo di aver imparato a cercare di vedere le cose da più di un punto di vista, a non dare nulla troppo per scontato. Con il risultato che tra le idee che ho raccolto a Parigi e le mie riflessioni personali, qui, ogni volta che apro bocca, provoco uno scandalo. E dire che so benissimo che prima di parlare dovrei pensare, ma continuo a non farlo.

      - Ha già esercitato come guaritore?

      - Solo alla fattoria di mia zia ed a quella dove ho fatto apprendistato. Comunque il mio maestro mi disse che avrei dovuto passare per il fuoco e che solo allora, se ne fossi uscito vivo, avrei sviluppato pienamente le mie capacità. Non so bene che cosa intendesse dire, me lo sono chiesto più volte. Lo chiesi anche a lui, ma non mi rispose. Vediamo che cosa succederà.

      - Credo che avrà molto presto occasione di passare per il fuoco, se rimane da queste parti, ma non so se ne uscirà vivo. Glielo auguro.

      - Grazie. Comunque non sono sicuro che sarebbe una gran perdita per l'umanità. Se non ne uscissi vivo, intendo.

      Llera voltò la testa verso di lui e gli lanciò un'occhiata penetrante.

      - Non sia troppo critico con se stesso. Ci pensano già gli altri.

 

      In quel momento Guillaume, il minore dei fratelli Grossetête, uscì di casa, li salutò e fece alcuni passi verso le scuderie. Louis fissò i fianchi del ragazzo. Sentì la voce di Llera:

      - Il più bel culo di tutta l'isola.

      Louis si sentì arrossire. Non disse nulla. Llera proseguì.

      - Non si vergogni. Piacerebbe a tutti e credo che lui ci starebbe, ma è troppo pericoloso.

      La frase incuriosì Louis e fece dileguare il suo imbarazzo:

      - Pericoloso? Perché mai?

      - Perché il giorno in cui suo padre ed i suoi fratelli scoprissero che qualcuno se la spassa con l'ultimo rampollo dei Grossetête, quel qualcuno finirebbe molto male.

      - Lei pensa?

      - Non ho dubbi. Il signor Grossetête è un ospite perfetto, ma non esiterebbe un secondo a tagliare l'uccello a chiunque si permettesse di farlo gustare al figlio, se così lo possiamo chiamare.           

      - “Se così lo possiamo chiamare”? Che cosa intende dire?

      Llera rise.

      - Questa volta sono stato io a parlare troppo! Dimenticavo che lei non è di queste parti e quindi crede davvero che Guillaume sia figlio di Grossetête. Tutti sanno, anche se nessuno oserebbe dirlo ad alta voce, che l'ultima volta che sua madre andò a visitare le proprietà della famiglia a Cuba, tornò con un regalino fattole da un ufficiale spagnolo: Guillaume, per l'appunto. D'altronde basta guardarlo.

      - In che senso, scusi?

      - Lo confronti con i fratelli.

      Era vero, ora che Llera glielo diceva, si rendeva conto che era evidente: tutti i Grossetête avevano una struttura massiccia e non erano certo belli. Guillaume aveva un corpo snello, anche se muscoloso, ed una bellezza che toglieva il fiato. Louis se ne sentiva attratto, come non gli era mai successo.

      Guillaume parlò con uno dei neri ed entrò nelle scuderie. Ne uscì di lì a poco in sella ad un cavallo bianco, allontanandosi rapidamente.

      Louis si alzò. Llera lo metteva a disagio. Sembrava leggergli nel pensiero. Entrò in casa. Passando davanti alla sala sentì la voce del maggiore dei figli di Grossetête.

      - Sì, mi ripugna mettermi nelle mani di gentaglia come Llera.

      - Meglio nelle sue che in quelle dei negri. E senza di lui ci finiremmo.

      L'altra voce era quella del padre. Louis non voleva passare davanti alla porta. Avrebbero capito che li aveva sentiti. Senza far rumore girò sui tacchi ed uscì. Scese verso i campi. Due passi. Meglio fare due passi. Il suo destino alla Fierté sembrava essere quello di scomparire, non farsi vedere.

 

      Quella sera, sedendosi a tavola per la cena, Louis si ripromise di non parlare dei neri e delle loro condizioni. Lasciò che altri dirigessero la conversazione e si proibì di intervenire quando venivano toccati argomenti scottanti. Di figure ne aveva fatte già abbastanza: sarebbe stato zitto.

      Guillaume era seduto di fianco a Llera e scherzava con lui. Louis si chiese se tra i due non ci fosse un'intesa. Che Llera volesse rischiare? O che magari gli avesse raccontato quelle storie solo per mettergli paura ed evitare un concorrente? In ogni caso Louis non intendeva provarci. Gli sarebbe sembrato scorretto nei confronti del padrone di casa, cercare di sedurre il figlio, anche se figlio non era. E poi aveva davvero altre cose per la testa, anche se il suo corpo, dopo oltre un anno di completa astinenza, si accendeva facilmente.

      A cena tutto filò liscio, ma quando le donne passarono in salotto e gli uomini tirarono fuori i sigari, la conversazione prese un'altra piega. Cominciarono a parlare di un piantatore della zona che si teneva in casa due schiave nere e ne aveva riconosciuti i figli. Uno dei proprietari intervenne:

      - Questo è niente. E Malraud che vive con quel mulatto come fossero marito e moglie? Sotto gli occhi di tutti?

      Louis non aveva incluso l'argomento tra quelli su cui non doveva pronunciarsi, perciò non esercitò nessun autocontrollo ed intervenne senza riflettere.

      - Non capisco perché criticarlo. Che male fa? Se è quello che vuole, affari suoi. Non lo prende mica con la forza. Finché sono entrambi d'accordo.

      Si rese immediatamente conto della portata delle sue affermazioni. Di nuovo! C'era ricascato di nuovo. Parlava perché aveva la lingua in bocca! Tutti i proprietari abusavano delle schiave e dei giovani schiavi, salvando soltanto le apparenze del non portarseli a vivere in casa. E lui si metteva subito a criticare quello che tutti facevano e a difendere ciò che tutti criticavano. Era un imbecille, come pensava Llera. Guardò Llera e gli vide un ghigno sulla faccia. Decise che non avrebbe più detto nulla su nulla.

      Il silenzio fu breve; i piantatori ripresero a parlare, come se lui non fosse nemmeno presente.

      - Non mi stupisce che a Parigi prendano decisioni assurde per la colonia: vivono in un altro mondo.

      - Quello che mi manda in bestia è che pretendono di sapere quello che è bene per noi.

      La conversazione proseguì sull'argomento, con una serie di frecciate che colpivano Louis.

      Louis incassò e, non appena ritenne di poterlo fare, si scusò ed uscì. Uscendo, sentì uno dei proprietari dire, abbastanza forte perché lui potesse udire:

      - Dove ha scovato quel cretino presuntuoso, Grossetête?

      Non aspettò la risposta. Cominciò a salire a passi rapidi lungo il pendio. Grazie a Dio l'indomani sarebbe arrivato Pierre Colas e lui se ne sarebbe andato. E fino al giorno dopo non avrebbe più parlato. Era irritato con se stesso, assai più che con gli altri, e depresso. Non capiva come potesse essere così stupido.

 

      Salendo l'irritazione evaporò, ma affiorarono, più forti che mai, i suoi dubbi sul futuro. Si poneva mille domande, a cui non era in grado di dare una risposta. Si chiedeva se i suoi progetti non fossero assurdi. Era tornato deciso ad esercitare nell'isola la sua professione, unendo le conoscenze della medicina europea e quelle della farmacopea tradizionale. Ma nell'isola, in quelle condizioni, non sembrava esserci posto per lui. Non si trovava a proprio agio con i bianchi, di cui non condivideva le idee, ma neppure con i neri, che non erano la sua gente e di cui percepiva la diffidenza: come poteva vivere in un ambiente in cui era un pesce fuor d'acqua, in cui le sue parole suscitavano solo ostilità e disprezzo?

      Si fermò e guardò il cielo sopra la sua testa, con la grande luna che illuminava la valle. Amava quella terra, con tutta l'anima, quella era la sua patria. In Francia si era sentito straniero. Ma quella terra respingeva il suo amore, non voleva saperne di lui. O forse era lui che non sapeva come muoversi. Pretendeva di trovare una larga strada da percorrere a cavallo, mentre invece gli toccava cercare un sentiero a malapena visibile nella foresta.

      Riprese a salire. Si spinse più in alto della sera precedente, fino alla cresta della collina. Era un'imprudenza, più si allontanava dalle case, più i rischi erano forti, ma non gli importava. Si fermò e guardò la fattoria, immersa nella pace della notte. Rimase a lungo assorto nei suoi pensieri, finché sentì un rumore alle sue spalle. Trasalì. Non aveva preso con sé nemmeno una pistola.

      Rimase immobile. Un'ombra si staccò dal fitto degli alberi. Era Guillaume. Grazie al cielo!

      - Mi ha spaventato. Per un attimo ho temuto che ci fosse qualche brigante.

      Guillaume si avvicinò.

      - È stato ben imprudente a salire fin qui da solo. E scommetto che non è neanche armato.

      Louis scosse la testa.

      - No, ma là sotto mi sentivo soffocare.

      - Lei è unico. Non ho mai sentito nessuno fare affermazioni come le sue.

      - Unico. È un termine molto gentile. Come imbecille non credo di avere l'eguale.

      - Perché?

      - Perché non ha nessun senso sostenere idee come le mie nel salotto di casa sua. Sbatterle in faccia agli altri, quando so benissimo che non esiste la possibilità di discuterle.

      - Buffo. Chiunque altro avrebbe dato la colpa ai soliti piantatori pieni di pregiudizi.

      - I piantatori saranno pieni di pregiudizi ed io ho poco giudizio. Ce n'è per tutti.

      - Ho apprezzato molto il suo intervento questa sera.

      - Grazie, lei è l'unico a pensarla così.

      - Forse, ma non ha importanza. Le sue idee mi piacciono molto.

      Guillaume si avvicinò ancora. Ora era molto vicino. Troppo. Non era più possibile fingere che stessero amabilmente conversando su principi astratti.

      E Louis si rese conto che il suo corpo ardeva.

      Louis alzò la destra ed accarezzò Guillaume sulla guancia. Un gesto esplicito, ma non troppo audace. Lasciava lo spazio per ritirarsi senza troppa vergogna. Il ragazzo parlò nuovamente:

      - Anche lei mi piace molto.

      Guillaume fece l'ultimo passo. Ora i loro corpi aderivano. Louis gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Gli passò la lingua tra le labbra, poi tra i denti. Sentì il corpo del ragazzo fremere. Probabilmente non era mai stato baciato così.

      Louis si staccò e gli mise un braccio sulle spalle. Fecero alcuni passi oltre la cresta, allontanandosi dal sentiero. Poi Louis cominciò a spogliare il ragazzo. Sotto gli alberi il buio era fitto ed il corpo di Guillaume era poco più di un'ombra.

      Louis avrebbe voluto vedere quel corpo, poterlo ammirare, ma era più prudente rimanere nascosti, lontano dal sentiero.

      Lasciò che fossero le sue mani a rivelargli la morbidezza della pelle, il calore del corpo, la consistenza della carne.

      Louis non era esperto nei giochi dell’amore: anche se in Francia aveva avuto alcune esperienze con altri uomini, aveva dedicato il suo tempo e le sue energie più agli studi che alla ricerca del piacere.

     In quel momento, stringendo Guillaume tra le braccia, si disse che doveva essere attento soprattutto alle esigenze del ragazzo, perché per lui era la prima volta.   

      Dopo aver spogliato Guillaume, Louis gli prese la testa tra le mani e lo baciò nuovamente, spingendo con forza la sua lingua nella bocca del ragazzo.

 

      Quando il dottore lo baciò per la prima volta, per un attimo Guillaume si sentì svuotato di ogni forza e gli parve che le gambe non lo reggessero. Spesso aveva desiderato di stringere il corpo di un uomo, di abbracciarlo, baciarlo. Ma mai aveva osato farlo.

      I bianchi ospiti della fattoria si tenevano alla larga da lui, anche se a volte nei loro sguardi Guillaume leggeva il desiderio. Ma tutti sapevano che con suo padre ed i suoi fratelli c’era poco da scherzare.

      I neri che lavoravano per loro non lo guardavano neppure. A volte Guillaume ne contemplava i corpi scuri, quasi nudi e lucidi di sudore. Allora il desiderio gli seccava la gola e gli faceva affluire il sangue all’uccello. Faceva fatica a distogliere lo sguardo. Ma non poteva avvicinarsi a loro. Se suo padre l’avesse scoperto, lo avrebbe ucciso: non avrebbe tollerato neppure l’idea che un Grossetête desiderasse un nero.

      Eppure Guillaume, che mai aveva stretto un corpo, che aveva conosciuto solo il piacere che gli dava la sua mano, sapeva di desiderare quei corpo robusti. Voleva che quelle braccia lo stringessero, che quei corpi si impadronissero del suo.

      Quel medico che parlava senza badare a dove si trovava gli era piaciuto, sin dal primo momento. Ed era la persona adatta, perché se ne sarebbe andato il giorno dopo.

      Guillaume aveva lasciato che lo spogliasse, rimanendo del tutto passivo, incapace di esprimere con un gesto o una parola la tempesta che lo scuoteva. Gli sembrava di essere paralizzato, una preda priva di difesa. Ora che nuovamente il dottore lo baciava, spingendo la lingua nella sua bocca, Guillaume perse ogni ritegno: il suo corpo parve risvegliarsi, le sue mani scesero lungo il corpo che premeva contro il suo, si fermarono sul culo e lo strinsero, cercarono, maldestre ma decise, di spogliare l’uomo che per la prima volta nella sua vita lo baciava, che tra poco lo avrebbe posseduto. Perché di questo Guillaume aveva certezza: la notte che li avvolgeva sarebbe stata la prima in cui avrebbe conosciuto un altro corpo.

      Il dottore si lasciò spogliare, assecondando i suoi movimenti inesperti, e presto anche lui fu nudo. Guillaume poteva appena intravedere la sua figura, ma le sue mani incominciarono a percorrere il corpo che aveva davanti. Dal viso scesero piano sul torace, accarezzarono i capezzoli e poi scivolarono più rapide verso il ventre. Qui corsero fino ad incontrare l’uccello duro e teso. Guillaume ritirò di scatto le mani, come se avesse toccato una fiamma, ma poi le avvicinò nuovamente ed accarezzò quell’asta di carne, che presto, come volevano entrambi, sarebbe entrata dentro di lui.

      Louis Reybert lasciò che le mani di Guillaume lo accarezzassero, poi lo baciò ancora ed insieme a lui scivolò a terra. Guillaume si trovò disteso al suolo e sentì una carezza bagnata sul collo, che gli strappò un gemito. Poi la carezza scese sul torace, si fece più forte su un capezzolo, fu accompagnata da un leggero morso, passò sull’altro capezzolo, scese verso l’ombelico. Successivamente furono le mani a tracciare lo stesso percorso, ma scesero oltre, fino ad accarezzare l’uccello che batteva sul ventre. Guillaume gemette più forte.

      Il dottore gli passò i palmi delle mani sui testicoli, poi sui fianchi e, con delicatezza, lo voltò sulla pancia. Guillaume allargò le gambe. Sentì le dita umide scivolare lungo il solco, poi premere contro l’apertura ed infine entrare. Sussultò a quel contatto e gemette leggermente.

      Poi si abbandonò completamente, aspettando solo il momento in cui il suo corpo sarebbe stato infine penetrato e posseduto, come tante volte aveva desiderato. Nella sua mente scorrevano le immagini degli schiavi neri, i loro corpi muscolosi. Quando la picca forzò l’apertura, Guillaume avvertì un senso di pienezza ed il piacere fu subito più forte di ogni altra sensazione.

      Dopo aver aperto la strada, il dottore non spinse subito. Lasciò che l’apertura si abituasse a quella presenza estranea ed intanto le sue mani accarezzavano la pelle di Guillaume, strappandogli altri gemiti di piacere. Le dita giocavano con i capelli, con i lobi delle orecchie, sfioravano le labbra, sfuggivano ai denti che volevano morderle, scendevano fino ai fianchi, artigliavano il culo, accarezzavano le cosce.

      E poi, lentamente, molto lentamente, la picca riprese ad avanzare e Guillaume lanciò un urlo strozzato, di puro piacere, perché quell’uccello forte e gagliardo che gli dilatava le viscere era più di quanto avesse mai sognato. Tutto il suo corpo vibrava al piacere che quel contatto gli trasmetteva e quando infine il dottore giunse in fondo, Guillaume sentì che gli occhi gli si inumidivano.

      Quando ebbe completato la sua avanzata, il dottore si arrestò un buon momento, lasciando che fossero le sue mani a muoversi, a ripercorrere strade che già conoscevano, a destare nuovamente sensazioni violente nel corpo che vibrava sotto di lui.

      Poi, lentamente, molto lentamente, si ritrasse, fin quasi ad uscire da quel corpo. Guillaume gemette un “No!” e la sua preghiera fu accolta, perché l’uccello che sembrava abbandonare il suo nido caldo, riprese ad entrare, spingendosi sempre più a fondo, in un movimento ancora lento, ma più deciso rispetto alla volta precedente. E Guillaume singhiozzò senza ritegno, preda di un piacere abbagliante.

      Il dottore ripeté l’operazione una seconda volta ed a Guillaume sembrò che il piacere crescesse ancora. Poi il movimento divenne continuo, un avanti e indietro che squassava Guillaume e gli strappava altri gemiti. Quella mazza di carne che gli entrava in culo fino in fondo gli regalava il piacere più intenso che avesse mai provato ed ogni colpo accresceva quel godimento. Le spinte divennero più rapide e decise e Guillaume venne, in un urlo di piacere. Allora il dottore si fermò, lo accarezzò a lungo, gli leccò l’orecchio, gli baciò una guancia. Poi riprese a spingere, prima con lentezza, poi con maggiore intensità, fino a che anche lui venne e Guillaume sentì il seme che si spandeva nelle sue viscere.

      Il dottore rimase dentro di lui. Lo accarezzò ancora, a lungo, gli pizzicò il culo, gli scompigliò i capelli. Era bello rimanere così, sentire il peso di quel corpo sopra il suo, il contatto di quelle mani che giocavano con il suo corpo, la presenza di quella carne dentro di lui. Assaporava la dolcezza di quel momento, dopo la violenza del piacere.

      Presto però il desiderio alzò nuovamente la testa in entrambi e Guillaume avvertì che la picca riprendeva consistenza e vigore ed un’altra volta si muoveva dentro di lui. Ora Guillaume avvertiva dolore, ma il piacere era più forte, molto più forte, e per nulla al mondo avrebbe voluto che il dottore smettesse.

      Guillaume venne per primo, poi il dottore venne dentro di lui. E rimasero ancora a lungo abbracciati.

 

cap2b

 

2

     

      Erano passate almeno due ore, forse più. Ora erano distesi, uno a fianco dell'altro. Il corpo del ragazzo aderiva al suo. Louis sentiva una sensazione di profondo benessere.

      Di colpo gli tornarono in mente le parole di Llera a proposito di Guillaume. Istintivamente portò una mano a coprirsi il sesso. Se ne sarebbe andato l'indomani, ma da quel momento alla mattina successiva, potevano accadere molte cose. Era tardissimo, li avrebbero sentiti rientrare. I loro abiti erano sporchi. Se qualcuno era ancora alzato, avrebbe capito subito. E se erano tutti a letto, certamente qualcuno si sarebbe accorto che rientravano così tardi, insieme. Potevano tornare uno prima e l’altro dopo, ma avrebbero capito lo stesso. Specialmente se avessero visto i loro abiti...

      Il senso di benessere era svanito, ora Louis era seriamente preoccupato. Forse sarebbe stato meglio parlarne a Guillaume.

     In quel momento sentì due spari in lontananza. Si alzò rapidamente. Anche Guillaume era scattato in piedi. Si rivolse a lui:

      - Che cos'è stato? Spari?

      - Temo di sì, Guillaume.

      Si rivestirono in fretta. Sentirono altri spari. Prima ancora di muoversi furono colpiti dal chiarore che proveniva oltre la cresta.

      - Ma che cos'è?

      - Un incendio.

      La sua voce si spense in un sussurro. Si avvicinò a Guillaume e gli mormorò all'orecchio:

      - Silenzio. Siamo in pericolo.

      Si avviò, cercando di non fare rumore, in direzione della cresta. Aveva capito che cosa stava succedendo e non si stupì di vedere la valle in fiamme. Il fuoco stava distruggendo la piantagione, come era successo nelle altre fattorie. I neri in rivolta avevano attaccato.

      Alla luce delle fiamme potevano vedere molti uomini che correvano verso la casa; alcuni cadevano, probabilmente colpiti da pallottole. Non erano riusciti ad attaccare di sorpresa ed all'interno avevano organizzato una difesa. Inutile, del tutto inutile. I neri erano troppo numerosi ed ormai alcuni dovevano già essere dentro la casa.

      Guillaume fece per lanciarsi per il sentiero.

      - Fermati. Che cosa credi di poter fare?

      Guillaume lo guardò, sgomento. Louis riprese.

      - Non c’è più nulla da fare. Solo nasconderci ed aspettare che se ne vadano. Perfino cercare di allontanarci ora sarebbe pericoloso.

      - No, non posso andarmene così.

      - Guarda, è finita.

      Gli spari erano cessati e molti altri uomini accorrevano verso la casa. Louis aveva sentito i racconti delle atrocità commesse nei confronti dei piantatori dagli schiavi in rivolta e certamente anche Guillaume le aveva sentite. Abbracciò il ragazzo e lo strinse forte a sé.

      - Andiamo.

      Il ragazzo si lasciò trascinare via. Si allontanarono dalla cresta e poi lasciarono il sentiero, addentrandosi nella foresta. Non potevano percorrere molta strada, perché tra le piante non si vedeva nulla. Si acquattarono uno di fianco all'altro, ai piedi di un grande albero. Louis avrebbe voluto salirvi, ma al buio era praticamente impossibile. Sentì che Guillaume tremava e gli passò il braccio intorno alle spalle, forzandolo ad appoggiarsi a lui. Il ragazzo piangeva e Louis lo accarezzò con dolcezza. Rimasero a lungo in silenzio. Si sentivano ancora alcuni spari e urla molto lontane. Poi scese un silenzio totale.

      Infine Guillaume si addormentò. Louis si assopì solo molto più tardi e dormì un sonno continuamente disturbato. Si svegliò più volte, ma tutto era tranquillo intorno a loro.

      Quando il cielo incominciò a schiarirsi, Louis scosse Guillaume, che dormiva ancora.

      - Guillaume, sali sull'albero e nasconditi tra le foglie, in modo che dal basso non si veda niente. Io cercherò di avvicinarmi alla fattoria per vedere la situazione.

      - Vengo con te.

      - No, non avrebbe nessun senso. Inutile rischiare in due. Tu sali sull'albero e non scendere per nessun motivo fino a che non ritorno io. Se non torno, passa lì tutto il giorno e la notte e domani mettiti in cammino per Fort Duhaut. Evita la strada e fa' attenzione sui sentieri.

      - Louis...

      - Devo andare, prima che sia giorno pieno. È più facile passare inosservati.

      Guillaume lo abbracciò. Louis attese che fosse salito sull'albero e che fosse scomparso tra le foglie. Si sentiva responsabile nei confronti del ragazzo. Poi si mosse con cautela, cercando di memorizzare il breve percorso dall'albero al sentiero. Si guardò attorno con grande attenzione e tese l'orecchio per captare i rumori, ma si sentiva solo il canto degli uccelli.

      Si mosse rapidamente per il sentiero e camminò fino a raggiungere la cresta. Di là, rimanendo dietro un albero, guardò la pianura. I campi della piantagione erano una distesa grigia e nera ed anche delle abitazioni dei servitori non rimaneva quasi traccia.

      La casa padronale era uno scheletro bruciato. Nessun movimento, nessun segno di vita. Con molta cautela Louis cominciò a scendere verso la fattoria. Nei tratti in cui il sentiero era scoperto, si accovacciava o cercava di passare un po’ più in alto o in basso, dove c’erano alberi. Spesso si fermava dietro un cespuglio e guardava con attenzione, ma non c'era traccia di esseri umani. Quando fu un po' più in basso, vide che davanti alla fattoria erano piantati diversi pali: su ognuno di essi era infisso qualche cosa. Non era in grado di distinguere che cosa fosse, ma lo intuiva.

      Valeva davvero la pena di continuare a scendere, rischiando la pelle? Non c'erano molte speranze di trovare vivo qualcuno della casa. Ma se qualcuno fosse scampato? E poi Guillaume avrebbe voluto sapere.

 

      Più sotto ebbe la conferma di ciò che aveva temuto: sui pali erano infilzate teste umane. Sapeva di chi erano: nessuno degli uomini che dormivano nell’abitazione padronale doveva essere sopravvissuto.

      Arrivò fin quasi alla casa. Ora poteva vedere bene le teste. Su uno dei pali c’era il corpo di un bambino, il figlio di uno dei Grossetête, certamente. Louis rabbrividì.

      Non c'era molto da fare. Cercare provviste o qualche utensile, per avere una probabilità in più di arrivare vivi a Fort Duhaut? Era molto pericoloso, meglio rinunciare.

      Louis stava riprendendo a salire, quando gli venne in mente che sui pali sembrava non esserci nessuna testa femminile. Forse le donne erano ancora vive. Potevano essere state stuprate e poi abbandonate. Le bande di briganti lo facevano spesso.

      Doveva scendere.

      Arrivò alla casa. Il sole era ancora basso, ma Louis si sentiva in un bagno di sudore. Se qualche nero ubriaco fosse rimasto a dormire lì vicino, dopo le violenze? Se si fosse svegliato al suo arrivo?

      Ci sarebbe stata una testa in più su quei pali, si disse. Come aveva detto a Llera, non sarebbe stata una grande perdita per l'umanità. Il pensiero di Llera gli fece alzare il capo verso i pali. Difficile riconoscere quei volti: molti erano coperti di sangue o scuriti dal fumo. Alcuni erano stati privati delle orecchie o del naso.

      Louis respirò a fondo e decise che doveva fare in fretta. Girò dietro alla casa, guardandosi attorno con circospezione, poi fece un breve giro di perlustrazione nella zona. Trovò diversi cadaveri, decapitati e spesso castrati.

      Tornò sui suoi passi ed entrò nelle rovine della casa. Vicino all'ingresso c'era un corpo bruciato, non si sarebbe potuto dire se di un bianco o di un nero. Tra i detriti gli parve di vederne un altro, ma non poteva esserne sicuro. Inutile controllare. Lasciò la casa e riprese il sentiero, guardandosi sempre attorno con molta cautela. Non voleva portare da Guillaume gli assassini.

 

      In un punto in cui i cespugli permettevano di controllare il sentiero e la zona sottostante, senza essere visibili dal basso, si fermò a lungo a oservare la fattoria. Nessun segno di vita. Allora riprese a salire rapidamente, fino alla cima. Qui si guardò ancora intorno, poi scese sull'altro versante, fino all'albero su cui stava Guillaume. Non voleva chiamarlo da sotto, era meglio non parlare. Salì sui rami più bassi, poi sussurrò:

      - Guillaume!

      - Louis.

      - Parla piano. Scendi.

      Ai piedi dell'albero, il ragazzo lo abbracciò. Louis sapeva che non era desiderio o affetto, ma bisogno di rassicurazione e conforto.

      - Ho avuto paura, non ti vedevo tornare.

      - Sono sceso per vedere qual era la situazione.

      - Sono morti tutti, vero?

      Nella voce del ragazzo c'era un leggero tremito.

      - Sì, tutti quelli che ho visto. Credo tutti. Almeno gli uomini.

      Guillaume non disse nulla.

      - Ora però dobbiamo andare. La nostra unica speranza è raggiungere il forte.

      Parlarono del percorso da seguire e delle distanze. Louis si fece un quadro della situazione, che appariva alquanto difficile. Il forte non era lontano: seguendo la pista, a piedi ci sarebbero arrivati in due giorni, tre al massimo. Ma lungo la strada il rischio di incontrare una banda di ribelli era troppo forte. Era giocoforza cercare di muoversi lungo i sentieri o in mezzo alla vegetazione e questo avrebbe raddoppiato o triplicato i tempi. Tanto più che Guillaume, benché fosse in grado di orientarsi nella zona, conosceva solo alcuni dei sentieri.

      Non era l’unico problema: non avevano né acqua, né cibo, né attrezzi, né armi per difendersi dai neri o dagli animali. Nei boschi avrebbero trovato di che dissetarsi e nutrirsi, o almeno non morire di fame, ma certamente la loro marcia non sarebbe stata una passeggiata.

       Già il primo giorno le preoccupazioni di Louis trovarono conferma: spesso perdevano il sentiero o scoprivano che quello che avevano preso non li portava nella direzione giusta; rimanevano molte ore senza poter bere, con la gola riarsa, e quando finalmente trovavano un corso d'acqua e potevano dissetarsi, non avevano un recipiente per farne una riserva; anche il cibo disponibile era poco. Quando si fermarono la sera, per dormire, erano stanchi, affamati, assetati e scoraggiati. Louis si fece forza per non deprimere ulteriormente il ragazzo.

      - È andata abbastanza bene: non abbiamo incontrato nessuno. Domani sarà più facile, ci stiamo abituando.

      Guillaume non disse nulla.

 

      I giorni successivi non furono migliori, ma riuscirono a cavarsela. La notte cercavano un riparo e Guillaume si stringeva a Louis, in cerca di affetto. Spesso, mentre stavano distesi abbracciati, prima di dormire, il ragazzo si metteva a piangere. Le prime sere Louis cercò di consolarlo, ma si rese conto che le sue parole erano inutili. Allora lo abbracciava forte e lo accarezzava, fino a che Guillaume si calmava. Non ebbero più rapporti, fino al mattino del quinto giorno.

 

      Guillaume si svegliò, emergendo da un sogno torbido. Aveva spesso incubi in cui vedeva i suoi fratelli uccisi, la piantagione distrutta, in cui lui stesso o Louis venivano attaccati. Spesso si svegliava ansimante e solo stringendo Louis riusciva a recuperare un po’ di calma e ad addormentarsi nuovamente. In quelle notti non avrebbe dormito senza la sicurezza ed il calore che gli trasmetteva la vicinanza di Louis.

     Questa volta il sogno era stato diverso, inquietante, ma in qualche modo conturbante. Cercò di ricordare i dettagli, ma si dissolvevano rapidamente nel nulla. Il suo corpo era stretto a quello di Louis, come le altre mattine, e Guillaume fu immediatamente cosciente della propria erezione.

     Se ne vergognò e cercò di staccare il suo corpo, perché Louis, svegliandosi, non se ne accorgesse, ma il suo movimento destò Louis, che lo attrasse a sé e lo strinse, come faceva tutte le mattine. Era un abbraccio fraterno, da cui ogni volta Guillaume sentiva di ricavare la forza per affrontare la giornata. Quella mattina però Guillaume baciò Louis con trasporto e, prima ancora di rendersene conto, entrambi stavano cercando di liberarsi degli abiti che li impacciavano.

     Quando furono a torso nudo, Louis afferrò Guillaume e lo strinse a sé, gli accarezzò la schiena, il torace, il ventre, lo baciò sulla bocca, infilandogli la lingua tra i denti. Poi lo voltò e gli abbassò i pantaloni con un movimento brusco. C’era in entrambi un urgenza del desiderio che non era possibile frenare.

         Guillaume sentì le dita umide che entravano dentro di lui ed urlò:

         - Louis!

      Louis gli rispose sussurrando, con voce roca:

      - Guillaume!

      Non si dissero altro, non c’era posto per le parole. Le due dita inumidirono l’ingresso, si ritrassero e subito si affacciò la picca, impaziente. Entrò con forza, anche se Louis cercò in qualche modo di contenersi. Guillaume avvertì il dolore, più intenso delle due volte precedenti, ma il suo desiderio debordava e non c’era spazio per ritardi o lentezze: fu contento che Louis fosse entrato in lui d’impeto e che ora quello sperone gli premesse dentro, senza lasciargli tregua.

      Fu un gioco febbrile e violento, in cui ogni movimento tradiva l’incalzare del desiderio in entrambi. Guillaume sentiva ondate di piacere salire dal culo infilzato e diffondersi in tutto il suo corpo, con intensità sempre maggiore. I movimenti violenti di Louis lo schiacciavano al suolo, contro cui il suo uccello, ormai gonfio di sangue, premeva. Dalla bocca gli sfuggivano gemiti di piacere, che ancora cercava di trattenere.

      Ad un certo punto Guillaume sentì una mano di Louis afferrargli i capelli. Alzò il capo, gemendo ormai senza ritegno, mentre i colpi lo sconquassavano, sempre più violenti. 

      Louis spinse ancora con tutte le sue forze, poi lanciò un suono inarticolato e si afflosciò su Guillaume, che sentì il fiotto scorrere nelle sue viscere.

      Rimasero un momento immobili, travolti da sensazioni troppo intense per lasciare spazio alle parole. Poi Louis uscì da lui. Guillaume mormorò:

      - No!

      Louis lo voltò, si chinò su di lui, lo baciò sulla bocca, poi incominciò ad accarezzargli l’uccello. Il contatto di quella mano strappò nuovi gemiti. Chiuse gli occhi, mentre agitava la testa, incapace di dominare il fremito che dal suo uccello si diffondeva per tutto il corpo.

      Sentì che il piacere cresceva, cresceva ed infine traboccava. L’uccello vibrò, mentre un prolungato getto di seme gli si spargeva sul ventre. Il contatto con le dita di Louis ora era intollerabile. Louis capì ed allontanò la mano.

      Le ultime gocce uscirono ed a Guillaume sembrò che con esse si disperdessero le sue ultime forze.

      Rimase stordito dal piacere a guardare il volto sorridente di Louis, finché questi parlò:

      - Scusami, Guillaume. Sono stato troppo violento.

      Guillaume scosse la testa, poi trovò le parole per rispondere:

      - È stato bellissimo, Louis, bellissimo.

      Louis sorrise e lo baciò. Rimasero un momento a guardarsi, poi Louis disse:

      - Ora dobbiamo andare.

      Guillaume annuì. Per un momento aveva dimenticato dov’erano e in che situazione si trovavano.        

 

cap3a

 

3

      Quel giorno Guillaume si rese conto che, senza volerlo, si erano spostati piuttosto a nord, in direzione della piantagione dei Biddin. Lo disse a Louis.

      - Da questa parte si va alla piantagione dei Biddin. Non è lontana. Proviamo a  raggiungerla? Se i negri non l'hanno bruciata, siamo in salvo. Possiamo esserci prima di sera.

      Louis rifletté sulla proposta. Se la fattoria non era stata distrutta, avevano buone probabilità di cavarsela, anche se ovviamente la piantagione avrebbe potuto essere attaccata quella notte stessa.

      - Va bene.

      Non ci arrivarono prima di sera e dovettero dormire nuovamente all'aperto. Il giorno successivo, nella tarda mattinata, videro infine la piantagione. Non fu necessario raggiungere la casa per capire che i ribelli erano già passati di lì. Tutta l’area era un'immensa distesa grigia e nera: piante bruciate, macerie e cenere.

      Avevano perso forse due giorni, per nulla. Louis si sentì scoraggiato, ma si fece forza. Avvertiva la fragilità crescente di Guillaume, per cui stanchezza e denutrizione si aggiungevano al dramma della morte di tutti i suoi.

      - Vieni, Guillaume, forse troveremo qualche cosa che ci serve.

      Le capanne degli schiavi non erano bruciate, a differenza dell'abitazione principale. Vi trovarono un po' di cibo, un coltello, una zucca svuotata che poteva servire come contenitore per l'acqua.       Fu l'unica volta che mangiarono abbastanza.

      Si chiesero se dormire in una delle capanne. Era pericoloso, c’era il rischio che tornasse qualcuno degli schiavi che vivevano nella piantagione oppure che un gruppo di sbandati visitasse quelle abitazioni alla ricerca di qualche cosa da prendere, come avevano fatto loro. Presero una stuoia e la portarono fuori, non lontano dalle capanne, ma in un punto non visibile né dal villaggio, né dal sentiero.

      Si stesero sulla stuoia, mentre la luce del giorno incominciava a diminuire. Il cibo aveva dato loro forza e guardandosi negli occhi, capirono che avevano entrambi lo stesso desiderio.

      Louis spogliò Guillaume con molta delicatezza e le sue dita indugiarono a lungo su quel corpo, accarezzandolo. 

      Quando fu nudo, Guillaume iniziò a togliere gli abiti a Louis.

      Si stesero uno di fronte all’altro e Louis riprese a percorrere con le mani il corpo di Guillaume.

 

      Guillaume chiuse gli occhi e si abbandonò completamente a quel contatto. Le mani di Louis erano un balsamo che cacciava i ricordi atroci, regalandogli la pace. Poi, via via che la sua mente si svuotava, il suo corpo si accendeva.

      Le carezze di Louis erano lievi, ma per Guillaume quelle dita erano tizzoni ardenti. L’indice gli sfiorò appena l’uccello, che si stava tendendo. Guillaume sussultò. Aprì gli occhi e la sua mano strinse il polso di Louis, forzandolo a ritornare alla preda appena toccata. La mano si posò sull’uccello, lo accarezzò con delicatezza, mentre il sangue affluiva abbondante e la carne acquistava volume e consistenza. Le dita risalirono dalla base alla cappella che svettava, ormai libera, rossa ed ansiosa.

      Louis si avvicinò, fino a che il suo corpo aderì a quello di Guillaume. La sua mano non mollò la preda, ma proseguì, scendendo fino alle palle, stringendole leggermente, per poi risalire verso la cappella, dove una goccia gli bagnò il polpastrello.

      Guillaume fremeva. Avrebbe voluto urlare a Louis di accelerare il movimento, perché non riusciva più a reggere la tensione, ma la lentezza esasperante con cui la mano lo accarezzava era una sofferenza inebriante, che Guillaume avrebbe voluto eterna.

      La mano proseguì ancora il suo lento lavoro e Guillaume si contorse in uno spasimo di piacere. Dai testicoli un’ondata di piacere si propagò a tutto il suo corpo, sciogliendosi infine nel getto che schizzò sul ventre. La mano di Louis si mosse ancora, delicata e sapiente, poi si arrestò, posandosi delicatamente sul sesso ancora gonfio.

      Guillaume aprì gli occhi, sorrise a Louis e gli prese l’uccello nella mano. Lo guardò: era più grande del suo e di un colore un po’ più scuro, teso e duro come una lama; una vena correva su un lato leggermente in rilievo; la cappella violacea svettava, libera dalla pelle che l’avvolgeva.

      Guillaume si disse che era la cosa più bella che avesse mai visto. Avrebbe voluto prenderlo in bocca, ma provò vergogna e si limitò ad accarezzarlo, prima con delicatezza, poi con maggiore energia. Infine lo prese tra le dita ed incominciò a muovere la mano ritmicamente, stringendo quella carne calda.

      L’esplosione tardò ancora un attimo. Louis emise un suono inarticolato e dall’uccello il seme si lanciò verso l’alto. Guillaume non arrestò il movimento, ma si limitò a rallentarlo, mentre il seme gli colava sulle dita. Poi Louis lo implorò di smettere e Guillaume lasciò a malincuore la sua preda. 

     

      Avevano parlato molto poco fino ad allora e soltanto delle necessità del momento. Ora, meno stanchi e sazi, rimasero svegli, discutendo di quanto stava avvenendo nell’isola e nella lontana Francia. Guillaume ascoltava, turbato, le idee che Louis gli esponeva. Non aveva mai riflettuto molto sulla schiavitù, sull’uguaglianza, sulla libertà, sui diritti. Le idee che aveva sentito sostenere dai familiari o dagli amici di suo padre erano del tutto diverse da quelle del dottore e per Guillaume non era facile cercare di guardare la realtà da un punto di vista così inusuale. Si rendeva conto che non aveva molti argomenti da opporre, ma non si sentiva neppure pienamente convinto. Sentiva di aver bisogno di tempo e di riflessione per capire.

 

      Il giorno dopo ripresero la loro marcia verso il forte. Decisero di cercare di seguire la pista, per evitare di perdersi ancora, tanto più che Guillaume conosceva assai poco quella zona. Rimanevano però ai margini della strada, scrutando l'orizzonte per individuare per tempo presenze umane.

      A metà giornata videro un gruppo di uomini che proveniva dalla direzione opposta. Si nascosero tra gli alberi. Gli uomini passarono senza accorgersi di loro. Erano sette neri, armati di lance e coltelli, che procedevano di buon passo.

      Il resto della giornata proseguì senza intoppi. A sera si allontanarono dalla strada per cercare un posto dove dormire. Erano esausti, ma il forte non doveva più essere lontano: meno di un giorno di marcia. L’indomani avrebbero potuto arrivarci. Dormirono abbracciati, ma non fecero l’amore: erano entrambi troppo stanchi.

      Il mattino successivo appena svegli si avviarono, entrambi impazienti di mettersi al sicuro: ci sarebbe stato tempo per il gioco dei loro corpi, una volta fuori pericolo. Proseguirono mantenendosi sempre ai margini della pista.

Erano passate alcune ore, quando, in un tratto completamente scoperto, scorsero un cavallo, che pascolava ai margini della strada. Aveva la sella ed i finimenti, ma non c'era nessuno intorno: forse era stato rubato da uno dei briganti, che poi era stato disarcionato, oppure era fuggito da una fattoria incendiata. Con molta lentezza Louis si avvicinò all’animale, che non appariva irrequieto. Quando gli fu vicino gli prese le briglie e lo accarezzò. Il cavallo sembrava docile.

      Salirono in sella e lanciarono il cavallo al trotto lungo la strada. Procedere così era pericoloso, ma con il cavallo era impossibile tagliare attraverso la foresta ed ormai il forte non era più molto lontano. E forse i ribelli preferivano evitare quella zona, vicina ad una guarnigione francese. In ogni caso cavalcando avevano maggiori possibilità di sfuggire ad un gruppo di ribelli appiedati. Era difficile incontrare neri a cavallo, anche se non impossibile, ora che li rubavano nelle fattorie che distruggevano.

      Continuavano a tener d'occhio la strada, Louis in avanti, Guillaume dietro. Fu il ragazzo ad avvistare il gruppo di cavalieri.

      - Una nuvola di polvere, dietro di noi. Ci deve essere qualcuno a cavallo.

      Louis spronò il cavallo. Guillaume continuava a guardare. Aveva una vista molto acuta.

      - È una banda di negri.

      Louis sentì la vibrazione dell'angoscia nella voce del ragazzo. Sapeva che non avevano nessuna possibilità di farcela: loro erano in due su un cavallo, i neri li avrebbero raggiunti molto in fretta. Spronò ancora il cavallo, mentre la strada svoltava e si infilava in una gola.

      - Guillaume, ascoltami bene. La strada volta, ci perderanno di vista per un buon momento: sono ancora lontani. Ci fermiamo ed io scendo. Tu sproni il cavallo al massimo e raggiungi il forte, dove puoi chiedere aiuto. Io mi nascondo e vi aspetto.

      Non era quello che intendeva fare, ma era quello che Guillaume doveva credere.

      - Ma...

      - Non c'è altra soluzione. Non abbiamo armi ed in due saremmo raggiunti tra poco. Qui va bene.

      Fermò il cavallo, scese, diede a Guillaume il coltello.

      - Louis...

      - Presto!

      Diede una violenta manata sul fianco del cavallo, che partì e rapidamente scomparve dietro la curva.

 

      Guillaume spronava il cavallo, attanagliato dall’angoscia, voltandosi a guardare se i neri sbucavano dalla gola. Doveva arrivare al forte il più in fretta possibile. Louis era in pericolo: se lo avessero scoperto… Guillaume si rifiutava di pensare a quella possibilità. Sapeva che cosa facevano i neri agli uomini che catturavano, i racconti erano giunti alla Fierté ed all’idea che Louis potesse subire quanto altri avevano subito, Guillaume rabbrividiva.

Adesso che non erano più in due sul cavallo, sarebbe riuscito a distanziare gli inseguitori ed a raggiungere il forte. Il comandante avrebbe subito inviato dei soldati. Doveva fare in fretta, per salvare Louis.

      Si voltò nuovamente, ma dei neri non si vedeva traccia. Dovevano avere rinunciato, sapendo che era vicino al forte. Sì, doveva essere così.

      Il forte apparve in lontananza. Una costruzione squadrata, non imponente, ma abbastanza possente da incutere timore a gruppi privi di addestramento militare e di esperienza di guerra.

      Guillaume cercò di spronare ulteriormente il cavallo, ma l’animale correva già al massimo delle sue forze. Arrivò infine davanti alla porta, che gli venne aperta.

      - Devo parlare subito con il comandante del forte.

      Il tenente Bernaud, responsabile del distaccamento, stava già arrivando. Guillaume si rivolse a lui.

      - Presto, bisogna mandare degli uomini. I negri ci hanno assaliti, eravamo in due. Il mio amico si è nascosto, dobbiamo andare a salvarlo.

      Guillaume fremeva, ma il tenente rimaneva impassibile.

      - Mi spieghi che cosa è successo.

      Guillaume raccontò brevemente dell’inseguimento.

      - Bisogna mandare subito dei soldati a salvarlo.     

      Bernaud scosse la testa.

      - Il suo amico si è sacrificato per salvarla. A quest’ora lo hanno già ucciso, almeno spero per lui.

      Guillaume lo guardò, senza riuscire a dire una parola. Si rese conto che era così e che in fondo lo sapeva. Incominciò a tremare.

      Bernaud lo accompagnò in una stanza, lo forzò a sedersi, gli fece dare da bere e gli chiese di raccontare tutta la storia.

      Guillaume si sentiva completamente svuotato.

Narrò tutto quello che era successo dalla distruzione della Fierté in poi, tranne i rapporti tra lui e Louis, poi si mise a piangere. Un pianto silenzioso.

      Di colpo si alzò e disse:

      - Io vado. Quei bastardi se ne saranno andati. Se è ancora vivo…

      Il tenente lo interruppe:

      - Se è ancora vivo, arriverà qui. La strada la conosce. L’unico risultato che otterrebbe uscendo è quello di farsi ammazzare.

      Guillaume non intendeva cedere.

      - Io vado.

      - Lei non va da nessuna parte. Io sono il responsabile della sicurezza in questa regione e le proibisco di lasciare il forte.

      - Lei non può…

      - Io posso e lei non si muove di qui.

      Guillaume si accasciò sulla sedia. Sapeva che il tenente aveva ragione, che era tutto inutile. Sapeva ed avrebbe voluto morire. Per la seconda volta aveva perso tutto quello che aveva.

     

      Bernaud dormiva quando bussarono alla porta della sua camera. Bernaud stava sognando e si risvegliò di colpo. Chiese chi era.

      - Signor tenente, sono il soldato Pinchon.

      Non c’era il tempo di cercare la lanterna ed accenderla. Bernaud si limitò a tirare su le lenzuola per coprire la propria erezione.

      - Avanti.

      Il soldato entrò, illuminando la stanza con la lanterna che portava. Seduto sul letto, a torso nudo, Bernaud lo guardò interrogativamente. Non sapeva che ora fosse, ma si era nel pieno della notte.

      - Mi scusi, tenente, è per il ragazzo che è arrivato oggi, Grossetête. Ha cercato di uscire dal forte di nascosto, ma lo abbiamo fermato. Vuole andarsene, a tutti i costi.

      - Portatelo qui.

      Appena il soldato fu uscito, Gaspard Bernaud si infilò i pantaloni al buio, poi accese la lanterna. Era ancora intontito dal sonno interrotto, ed eccitato. Cercò di dissipare le immagini che il sogno aveva creato e che gli tornavano, vivide, nella testa.

      Stava per prendere la camicia, quando due soldati portarono il ragazzo.

      Guillaume era in lacrime, ma si dibatteva.

      - Lasciatemi, non potete tenermi qui. Lasciatemi!

      Bernaud si avvicinò a Guillaume.

      - Siediti e datti una calmata.

      Indicò con un cenno una sedia. I due soldati forzarono Guillaume a sedersi. Bernaud versò un bicchiere d’acqua dalla caraffa e lo porse al giovane, poi congedò con un gesto i due soldati, che uscirono chiudendo la porta.

      Il ragazzo piangeva a dirotto. Bernaud scosse la testa. Non si stupiva. Quel giovane aveva perso tutta la sua famiglia pochi giorni prima ed il dottore, l’unico che era scampato al massacro con lui, si era sacrificato per salvarlo.

      Il giovane bevve. Si stava calmando.

      - Non puoi fare nulla. L’unico risultato che puoi ottenere uscendo è quello di farti ammazzare. Ed il sacrificio del dottore sarebbe stato inutile. Sarebbe morto per niente.

      Il ragazzo riprese a piangere. Bernaud si diede del coglione per aver parlato del sacrificio del dottore: aveva soltanto messo il dito nella piaga.

     Gli spiaceva per lui. Era un gran bel giovane, una faccia d’angelo ed un corpo snello ed armonioso. A Bernaud non interessavano i ragazzi, di solito, ma non era fatto di ferro ed erano dieci giorni che non scopava. A venticinque anni, con un fisico robusto ed in perfetta salute, l’astinenza non faceva che accendergli i sensi.

 

      Guillaume guardava il tenente, a torso nudo davanti a lui, appoggiato al tavolo. Era un uomo robusto, con un torace muscoloso, coperto da una peluria nera, ed una faccia allungata, con due occhi azzurri. Si sentì turbato, senza sapersi spiegare il perché. Distolse lo sguardo.

      Poi chiuse gli occhi. Cercò di calmarsi.

      - Mi scusi, sono un imbecille. Lo so.

      Si rese conto di aver usato lo stesso termine con cui Louis aveva parlato di sé e riprese a piangere.

      Bernaud sbuffò.

      - Comportati da uomo. In questi tempi la morte e l’orrore sono all’ordine del giorno. 

      Non sapeva trovare le parole giuste. Avrebbe voluto accarezzare il ragazzo, come fosse stato un bambino piccolo, ma sapeva benissimo che se lo avesse toccato, avrebbe perso il controllo di sé. Era ancora eccitato ed il ragazzo era troppo bello. Guardandosi i pantaloni, si rese conto che li aveva malamente abbottonati nella fretta di vestirsi ed ora, più che coprire, mettevano in mostra il suo cazzo teso, che non sarebbe comunque stato facile nascondere. Il ragazzo seguì il suo sguardo e vide il grosso rigonfio dei pantaloni.

      Bernaud si irritò con se stesso, ma ormai non c’era niente da fare. Qualunque movimento avrebbe soltanto sottolineato quanto era già ben visibile. Era una situazione fastidiosa, ma il sogno della notte lo aveva eccitato ed ora quel ragazzo dalla faccia d’angelo ed un corpo… Cristo! Il cazzo era duro come una canna di fucile, ormai. 

      Il ragazzo fissava la protuberanza dei pantaloni, ammutolito, senza più piangere. Con un sussulto, Bernaud capì e si disse che era la cosa migliore, forse. Almeno si sarebbero rilassati entrambi un po’: il ragazzo avrebbe per un momento scordato la sua situazione e lui si sarebbe sfogato.

      Si alzò. Guillaume sollevò lo sguardo e si mise in piedi anche lui. Bernaud gli prese la testa tra le mani, avvicinò la bocca alla sua e lo baciò, con impeto. Spinse con forza la lingua nella bocca, che si aprì.

      Rapidamente le sue mani si infilarono sotto la giacca del ragazzo e la fecero scivolare a terra. Poi gli tolse la camicia, gli slacciò la cintura, gli abbassò pantaloni e mutande.

      Il ragazzo lo lasciava fare, senza muoversi, ma era evidente che era eccitato quanto lui. Bernaud gli guidò le mani fino ai propri pantaloni, in modo che fosse lui ad abbassarli, poi fece un passo indietro, si spogliò completamente e guardò il ragazzo: aveva davvero un corpo splendido, agile e forte.

      Vide con piacere che anche il ragazzo lo contemplava ammaliato: ad affascinarlo era evidentemente il grosso cazzo, che svettava imponente, teso sul ventre.

      A Bernaud sarebbe piaciuto ammirare a lungo quel corpo meraviglioso che si offriva al suo sguardo, esplorarlo con lentezza, esasperando il proprio desiderio e quello dell’altro, ma la sua voglia era troppo forte. Forzò il ragazzo ad inginocchiarsi davanti a lui. Gli mise una mano dietro la testa e la avvicinò alla cappella. Guillaume aprì la bocca.

 

Il contatto delle labbra con quel tizzone lo scosse dal suo torpore e, con un movimento brusco, Guillaume avvolse con la bocca la cappella, accarezzandola con la lingua.

      Non aveva mai pensato che si potesse fare una cosa del genere. Nella sua fantasia il rapporto tra due uomini consisteva nel penetrare e nell’essere penetrati oppure nel portarsi al piacere con le carezze. Quando aveva provato l’impulso di prendere in bocca l’uccello di Louis, gli era sembrata una follia, una fantasia malata.

 

      Bernaud chiuse gli occhi. Il ragazzo era inesperto e questo pensiero lo eccitava, ma a tendergli il cazzo allo spasimo era un’altra certezza, quella del prezzo che avrebbe dovuto pagare per quanto stava facendo.

      Il ragazzo leccava con avidità.

      - Succhia, forza, succhia.

      Il ragazzo ubbidì. Era un piacere intensissimo, che dalla cappella si espandeva. Non sarebbe durato molto: troppo a lungo era rimasto senza scopare.

      Ed in effetti Gaspard sentì che dai coglioni il piacere si moltiplicava in un’onda d’urto che gli percorreva il cazzo ed esplodeva nella bocca che lo accoglieva, penetrando poi in ogni fibra del suo corpo e strappandogli un grugnito.

      Era stato bellissimo.

      Guillaume cercò di inghiottire il seme che gli riempiva la bocca. Poi tossì ed un po’ gli colò sul mento.

      Gaspard tolse la mano che teneva la testa di Guillaume.

      - Alzati.

      Guillaume si alzò, lasciando malvolentieri l’uccello che la sua bocca aveva accolto.

      Bernaud vide che il ragazzo aveva il cazzo duro. Si chiese se farlo venire. Forse era meglio, per calmarlo un po’.

      Gli prese i coglioni con la sinistra, accarezzandoli in modo brusco, e Guillaume sobbalzò.

      Li lasciò andare e fece girare il ragazzo su se stesso, poi lo strinse a sé.

      Guillaume poteva sentire il grande uccello del tenente contro il suo culo, non più rigido, ma ancora gonfio di sangue.

      Bernaud si inumidì due dita ed incominciò a strofinare energicamente la cappella di Guillaume. Il ragazzo sussultò, ma Bernaud continuò rapido il movimento. Guillaume gemette, abbandonandosi completamente contro quel corpo che lo stringeva. Negli occhi gli passavano visioni rapidissime, che infine divennero una sola, quella di Bernaud che lo penetrava. Ma il piacere deflagrò ed il suo seme schizzò in alto.

      Guillaume sentì che gli mancava il respiro. Solo lentamente, molto lentamente, ritornò alla realtà.              

      Quando comprese che infine il ragazzo si era ripreso, Bernaud disse:

      - Questa notte dormirai qui.

      Poi aggiunse:

      - Domani arriva il comandante del forte, che io sostituisco in questo periodo. Raggiungo il Cap con otto uomini. Ti accompagneremo noi in città. Può essere una strada pericolosa, anche se nella regione che si estende da qui al Cap non ci sono ancora stati saccheggi e devastazioni. Ma ogni giorno la rivolta avanza.

      Guillaume annuì, incapace di parlare.

 

 

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