4 Quando Louis vide il
cavallo scomparire oltre la curva, salì lungo la parete scoscesa, seguendo
alcune tracce di sentieri che si perdevano tra le rocce. Aspettò l’arrivo dei
neri davanti ad un grande masso: voleva essere sicuro che lo vedessero.
Quando gli inseguitori giunsero al galoppo, urlò, come se Guillaume fosse
davanti a lui: -
Arrivano. Presto, Guillaume. Corri! Corri! I
sei dovevano credere che loro due erano smontati e stavano cercando di
fuggire lungo i fianchi della gola: solo se i neri si fossero fermati, anche
solo per pochi minuti, Guillaume avrebbe potuto arrivare al forte senza
rischiare di essere raggiunto. In effetti i neri fermarono i cavalli.
Cinque di loro si slanciarono a piedi al suo inseguimento, mentre il sesto
rimaneva a badare agli animali. Bene, ce l'aveva fatta. Non ci avrebbero
messo molto a capire che era da solo, perché la parete non offriva
nascondigli, ma quel poco tempo era più che sufficiente per Guillaume. Louis
correva disperatamente. Si rendeva conto che non aveva nessuna possibilità di
sfuggire ai suoi assassini, ma sapeva che più tempo loro impiegavano a
prenderlo, più certa era la salvezza di Guillaume e più lontana la propria
agonia. I neri guadagnavano
terreno. Lui correva veloce, ma doveva cercare un passaggio tra le rocce. I
suoi inseguitori invece potevano vedere i suoi movimenti ed avanzavano
sicuri. Non sarebbe riuscito a
cavarsela. Se
ci fosse stata una vegetazione più fitta, forse avrebbe potuto cercare di
nascondersi, ma c’erano solo pochi arbusti. Arrivò in cima alla parete
e scoprì di trovarsi sull'orlo di un nuovo dirupo: davanti a lui si apriva
un'altra gola, molto più profonda e scoscesa, sul cui fondo scorreva un torrente.
Non poteva proseguire. Correre sul bordo era inutile. Si chiese se gettarsi
nel precipizio, in modo da morire sfracellato e sfuggire almeno alle torture.
A pochi passi da lui vide
arrivare un nero. D'istinto riprese a correre lungo il bordo del dirupo. Poco
dopo però si trovò la strada bloccata da uno sperone roccioso. Cercò di
arrampicarsi, ma le sue mani non riuscirono a trovare una presa. Scivolò a
terra. Un nero gli fu addosso e lo bloccò ponendogli un piede sulla schiena.
Gli altri lo raggiunsero. Aveva guadagnato abbastanza
tempo. Guillaume non correva più nessun rischio. Quanto a lui, aveva finito.
La sua corsa, la sua vita. Sperava solo che facessero in fretta. Gli
passarono davanti agli occhi le immagini della Fierté
il giorno dopo la strage. Ripensò ai racconti, spaventosi, uditi. Pensò che
per quanto ciò che lo aspettava potesse essere atroce, e lo sarebbe stato,
prima o poi sarebbe finita. Sperò di morire presto. I
neri ridevano e parlavano tra loro. -
Credeva di scapparci. -
L'altro però ci è sfuggito. -
Non può essere lontano. -
Lo è, sarà quasi al forte, ormai. Questo ci ha imbrogliato, l'altro non è mai
sceso dal cavallo. Non l'hai ancora capito? Il
nero che gli teneva un piede sulla schiena estrasse il coltello e glielo puntò
alla gola. -
Ci hai giocato. Pazienza, vorrà dire che ci divertirai per due. Louis
si diede dell'imbecille per non essersi lanciato nel precipizio. La sua
vigliaccheria lo aveva frenato e presto avrebbe rimpianto di essere ancora
vivo. In quel momento un altro
degli uomini parlò: -
Fermo, lo conosco. È il dottore che era alla Grande Rouge.
E meglio portarlo da Jeannot. Può servirci. Il
barlume di speranza che si era acceso in Louis alle prime parole del nero, si
spense subito. Aveva sentito parlare di Jeannot.
Sapeva che torturava i suoi prigionieri con un piacere sadico che non aveva
l'eguale in tutte le bande di neri in rivolta. Di
nuovo si pentì di non essersi lanciato nel vuoto. Il nero che gli teneva il
piede sulla schiena ed il coltello alla gola ridacchiò. -
Va bene, c'è sempre tempo per divertirsi. Ora andiamo. Lo
afferrò per i capelli e tirò con violenza. Louis cercò di sollevarsi il più
in fretta possibile, per sfuggire al dolore. -
Cammina. Si
avviarono lungo la cresta. Louis pensò nuovamente di buttarsi nel dirupo, ma
il nero con il coltello gli stava alle costole. Difficilmente sarebbe
riuscito a sfuggirgli. E soprattutto gli mancava il coraggio di lanciarsi. Raggiunsero
i cavalli. Gli altri montarono. La sua guardia gli legò le mani con una corda
e la fissò alla sella. Poi salì e partirono. Procedevano al passo, ma a
tratti si lanciavano al trotto. Louis cercava di correre il più in fretta
possibile ed i neri ridevano. Man mano che procedevano, le forze cominciarono
a mancargli e ad un certo punto cadde. Il cavallo lo trascinò per alcuni
metri e Louis pensò che sarebbe morto così, ma il nero bloccò l’animale e
scese. Con due calci alle costole, forzò Louis ad alzarsi. Louis si sollevò a
fatica. Ripresero la marcia, ma il nero non lanciò più il cavallo al trotto. Dopo
due ore lasciarono la pista e presero attraverso sentieri, fino a giungere ai
fianchi di una montagna. Qui Louis vide diverse capanne e capì di essere
arrivato. Lo
portarono in una costruzione più grande delle altre, alla presenza di Jeannot. Il
nero che aveva riconosciuto Louis parlò al capo: -
Abbiamo catturato quest'uomo, non lontano dal forte. È un dottore. È bravo a
curare e conosce le erbe. -
Era da solo? -
Sì, camminava lungo la strada. Louis
si chiese perché quell'uomo mentisse, ma la risposta era ovvia: per evitare
che Jeannot li punisse per essersi lasciati
scappare un bianco. Ed un cavallo. -
Che ci facevi? Era
inutile mentire. Louis disse la verità: -
Cercavo di raggiungere il forte. -
Perché eri a piedi? Da dove venivi? -
Dalla Fierté. -
La Fierté l'abbiamo distrutta noi. -
Dopo che è stata distrutta mi sono messo in cammino per raggiungere il forte. Jeannot lo guardò un momento. -
Bene, ci servirai. Ma non t'illudere. Farai la stessa fine degli altri. Louis
non disse nulla. Si sentiva sollevato al fatto di essere utilizzato come
medico e quindi di non venire torturato a morte. Non subito. Un piccolo
rinvio. Avrebbe respirato ancora un po'. Lo
portarono subito a curare due neri feriti, ma Louis non aveva nulla. Pulì le
ferite e disse che aveva bisogno di raccogliere le erbe necessarie. Era ormai
sera, per cui la raccolta fu rinviata al giorno successivo. Louis venne
portato in una grande capanna, dove erano rinchiusi i prigionieri bianchi.
Sulla porta sentì il fetore che proveniva dall’interno: merda e piscio. Si
fermò sulla soglia. Lo spinsero dentro. Nella penombra vide contro le pareti
molti bianchi, tutti maschi. Avevano le catene ai piedi. Anche lui venne
incatenato. Poi i due che lo avevano portato lì uscirono. Chiusero la porta.
Il locale piombò nel buio. Non vi erano finestre. A fatica, man mano che gli
occhi si abituavano all'oscurità, riusciva a intravedere le sagome dei prigionieri. Sentì
alla sua destra una voce. -
Benvenuto. Non
avrebbe saputo dire se c'era ironia, in quelle parole. Probabilmente sì. Ma
non aveva importanza. -
Grazie. -
Da dove viene? -
Mi hanno catturato mentre cercavo di raggiungere Fort Duhaut.
Sono sopravvissuto per caso alla distruzione della Fierté. Un'altra
voce intervenne, con una forte nota di angoscia: -
La Fierté è stata distrutta? -
Sì, credo otto giorni fa. -
Non sono arrivati prigionieri, qui. -
Credo che li abbiano uccisi tutti. Tranne il minore dei Grossetête,
che è fuggito insieme a me. -
Hanno catturato anche lui? -
No, lui dovrebbe essere riuscito a raggiungere il forte. Spero. -
Buon per lui. -
Lei non è un piantatore, vero? -
No, sono medico. Mi chiamo Louis Reybert. Qualcun
altro intervenne. -
È il figlio del dottor Reybert? Sono André Griveaulx, conoscevo suo padre. Mi ricordo anche di lei.
Era a Parigi, no? -
Sì, fino a poco più di un anno fa. Un'altra
voce ancora: -
Non ha avuto una bella idea a tornare qui. Louis
sorrise nel buio e replicò: -
Questo l'avevo sospettato. La
voce riprese: -
Ogni giorno, o quasi, prendono uno di noi e lo torturano a morte, per ore ed
ore, nei modi più orrendi. E tutti noi dobbiamo assistere. Se qualcuno
abbassa lo sguardo, viene scelto per essere il prossimo. Ogni tanto quel
figlio di puttana di Jeannot annuncia a qualcuno
che lo ammazzerà il giorno tale, in modo che quel disgraziato cominci a
tormentarsi prima. Intervenne
qualcun altro: -
Morire sarebbe una liberazione. Qui siamo come delle bestie. Rimaniamo tutto
il giorno nella capanna, senza poter uscire, se non per assistere a qualche
esecuzione. Ma le torture che Jeannot inventa ogni
giorno sono talmente atroci, che tutti noi guardiamo fisso chi muore, per non
essere scelti per il turno successivo. Louis
pensò alle teste mozzate ed infilate sui pali alla Fierté,
agli schiavi che aveva visto mutilati o uccisi nei modi più orrendi per un
tentativo di fuga, un lavoro eseguito male, un bicchiere rotto o anche solo
perché il loro padrone aveva bevuto troppo o era nervoso. -
Abbiamo seminato violenza e ne raccogliamo i frutti. Ci
fu un momento di silenzio nella capanna. Louis chiuse gli occhi,
conscio di quanto aveva detto. Si chiese se avrebbe mai imparato a tacere.
Probabilmente no. Sarebbe morto dicendo quello che gli passava per la testa,
senza pensare, dicendo l’ennesima idiozia mentre esalava l’ultimo respiro.
No, non erano idiozie, non era quello il problema, è che diceva sempre cose
sbagliate alle persone sbagliate nel momento sbagliato. La
voce che parlava ora era dura, ostile. -
Che stupidaggine! I negri sono bestie e per tenere una bestia serve il
bastone. Non l'abbiamo usato abbastanza. Se lo avessimo usato di più, non
saremmo arrivati a questo punto. Sono state le nuove idee di Parigi a
rovinarci. Louis
non disse più niente. Era inutile. Peggio: era stupido. Lasciò che la
discussione si spegnesse. * Bernaud non riusciva a dormire. Il ragazzo era steso
accanto a lui e quella presenza metteva in fuga il sonno e gli accendeva il
corpo. Il sangue affluiva al cazzo e l’eccitazione cresceva. Non
voleva svegliare il ragazzo: quel disgraziato aveva bisogno di riposare,
aveva passato giorni d’inferno. Bernaud si sforzava
di rimanere immobile e di svuotare la mente, ma invano: mille immagini si
affollavano nella sua testa: il corpo del ragazzo che al buio poteva appena
intravedere, ma di cui sentiva il calore; un altro corpo, ben diverso, più
massiccio, con un pelame scuro in cui spiccavano molti peli bianchi, mani forti
e spietate. E sensazioni temute e desiderate. Il cazzo era un tizzone
ardente. Non poteva continuare così. L’immobilità forzata lo esasperava. Muovendosi
con estrema cautela Bernaud si alzò. Dalla finestra
filtrava un po’ del chiarore lunare, che gli permetteva di vedere almeno le
sagome dei pochi mobili: le sedie, il tavolo, l’armadio. Camminò un po’ per
la stanza, poi si sedette su una sedia. Il desiderio non si acquietava, era
tanto violento che più di una volta portò la mano al cazzo palpitante, ma si
frenò, non voleva, si era impegnato a non farlo. Ad
un certo punto gli parve che dalla finestra entrasse più luce. Si avvicinò e
guardò nello spiraglio tra le ante. Sì, il giorno stava nascendo. Meno male.
Rimase un buon momento a spiare fuori, poi si voltò. Anche se le ante erano
accostate, l’interno della stanza era abbastanza visibile. Gaspard guardò il corpo del ragazzo, disteso sul letto.
Gli dava la schiena, mettendo in mostra un culo perfetto. Fu come se una mano
gli strizzasse di colpo i coglioni, un desiderio tanto intenso da essere puro
dolore. Emise un grugnito. Il
ragazzo lo sentì e si mosse, si voltò verso di lui e lo guardò. Fissò un
punto preciso, il grosso cazzo illuminato dal primo raggio di luce che
filtrava nella stanza. Gaspard sorrise. Si avvicinò al letto. -
Voltati, a pancia in giù. Si
accorse che la voce gli era uscita roca. Il
ragazzo ubbidì, divaricando le gambe. Gaspard aprì le ante completamente. Voleva vedere. Da fuori
nessuno poteva guardare dentro, erano al primo piano e la finestra dava
sull’esterno. Si
avvicinò al letto. Guardò il culo glabro del ragazzo che gli si offriva.
Appoggiò le mani sulle natiche, aprendole bene. Guardò quel buco che stava
per infilzare. Sorrise, incapace di contenere il proprio desiderio. Avvicinò
il viso a quel culo e morse, con forza. Il ragazzo lanciò un urlo soffocato. Gaspard morse di nuovo ed il corpo di Guillaume vibrò, ma
dalla sua bocca uscì solo un gemito. Guardò i segni rossi che i suoi denti
avevano lasciato nella carne del ragazzo. Passò la lingua lungo il solco tra
le natiche. Di nuovo sentì il corpo vibrare. La
lingua indugiò sul buco, poi Gaspard si stese su
Guillaume ed avvicinò il cazzo al culo che gli si offriva. Spinse
ed entrò. Il ragazzo ebbe un sussulto. Quando
Louis lo aveva penetrato, non era stato molto doloroso. La seconda volta un
po’ di più, ma non era vera sofferenza. Era avvenuto tutto con molta
dolcezza. In
quel momento invece l’ingresso di quell’uccello vigoroso, troppo grosso, era
un tormento. Guillaume non avrebbe voluto che uscisse, desiderava quella
presenza dentro di lui, ma era doloroso. Si
morse il labbro e non disse nulla. Il tenente rimase un buon momento
immobile, lasciandogli il tempo di abituarsi a quell’invasione, poi scivolò
in avanti, riempiendolo completamente. Il
dolore fu di nuovo intenso, ma anche questa volta Bernaud
si fermò e la sofferenza si attenuò, senza scomparire. Poi
Bernaud prese a muovere avanti e indietro,
spingendo ogni volta fino in fondo e poi ritraendosi. Ogni colpo lo
squassava, ma dilatava il piacere. Guillaume
provava una sensazione nuova. Louis lo aveva posseduto, con molta dolcezza,
ma Guillaume non si era sentito una sua proprietà. In quel momento invece,
sotto le spinte vigorose del tenente, a Guillaume sembrava di appartenergli
completamente, di essere uno strumento per soddisfare un bisogno e
nient’altro. E dentro di lui Guillaume sentiva che era quello che voleva, che
nient’altro desiderava che quella schiavitù. Il
piacere era troppo forte e Gaspard non voleva
venire subito. Estrasse il cazzo. Attese un buon momento, godendo del calore
del corpo sotto il suo. Poi entrò di nuovo, con un movimento rapido che
strappò al ragazzo un singhiozzo. A
Bernaud piacque quel gemito e di nuovo uscì, per
poi rientrare con maggiore forza. Il ragazzo ebbe un movimento convulso, ma Gaspard spinse fino in fondo, inchiodandolo al letto. Gli
strinse con forza il culo e riprese a muoversi, sempre più rapidamente,
mentre il seme si spargeva nel culo del ragazzo. Dai coglioni e dal cazzo il
piacere si allargò a tutto il corpo, strappandogli un grugnito sordo. Spinse
ancora e si afflosciò sul corpo di Guillaume. Lo sentì gemere violentemente e
capì che anche lui stava venendo. Sarebbe
rimasto volentieri dentro quel culo caldo, ma era ora che si alzassero. -
Dobbiamo alzarci. Tra qualche ora, appena arriva il cambio, partiamo.
Dobbiamo raggiungere Fort Rivière prima che sia buio. Partirono
nella tarda mattinata. La cavalcata fu un incubo per Guillaume.
Contrariamente a quanto gli aveva detto il tenente, la rivolta si era estesa
e scoprirono che due fattorie che erano state distrutte quella stessa notte.
I pensieri di Guillaume ritornavano incessanti alla Fierté,
a Louis. Solo
la notte, nella cameretta che fu assegnata loro, quando Bernaud
lo prese nuovamente, solo in quel dolore violento che si rinnovava e nel
piacere non meno forte che lo accompagnava, solo allora Guillaume ritrovò un
po’ di pace. Il
giorno dopo sarebbero arrivati al Cap. 5 Quel
mattino Louis dormiva ancora quando vennero a prenderlo. Un calcio lo svegliò
di soprassalto. Davanti a lui, alla fioca luce che entrava dalla porta della
capanna, c’erano due uomini, armati di fucile e coltello. -
Bada, se cerchi di scappare, te ne pentirai. Non ti ammazzeremo subito. Non
aveva nessuna intenzione di fuggire. Sarebbe stato del tutto inutile. Non
avrebbe certo fatto molta strada: non conosceva la regione, non avrebbe
saputo dove dirigersi. Passò alcune ore a
raccogliere erbe di diverso tipo. Se doveva prestare servizio come medico,
senza nessun farmaco europeo, era bene che facesse una buona provvista.
Girando tra i boschi ed i prati, intento ad individuare ed a raccogliere le
erbe che gli servivano, si sentiva a suo agio, anche se la presenza dei due
guardiani gli impediva di dimenticare la propria situazione. Si
disse che era molto fortunato: poteva muoversi senza catene e respirare
un'aria meno fetida, almeno durante il giorno. Impiegò
parecchio tempo a macerare erbe per impasti, che poi mise in zucche. Quando
fu pronto si mise a visitare feriti e malati, sempre accompagnato da una
guardia: talvolta usava gli impasti che aveva con sé, talvolta preparava
infusi o decotti. Più volte, mentre sistemava un impacco per curare una
ferita da arma da fuoco, si disse che l'uomo che stava curando era
probabilmente uno di quelli che avevano assaltato la Fierté,
uccidendo e mozzando teste. Non importava. Lui svolgeva il suo compito. Lui
curava. Altri ammazzavano. Non poteva fermarli. La
sera lo riportarono nella capanna. Quando entrò, vide al centro della sala
uno dei prigionieri steso per terra, la schiena coperta di sangue. Louis si
diresse verso di lui, ma una delle guardie lo fermò. Gli mise una catena ai piedi
e la bloccò al muro, poi gli disse: -
Tu questi non li curi. Devono crepare tutti. Louis non rispose. Sarebbe
stato inutile. Il
nero attaccò ad un gancio la sacca che Louis utilizzava per i medicinali e si
allontanò, insieme alle altre guardie. Quando furono usciti, Louis chiese: -
Riuscite a portarlo da me? Alcuni
uomini si mossero e sollevarono il ferito, che gemette. -
Passatemi la borsa. Quando
ebbe la sacca, Louis prese da una delle zucche un impasto, poi cominciò, con
un movimento lento, a spalmarlo sulla schiena del ferito. Questi mugolò più
volte nel corso dell'operazione, ma quando Louis ebbe finito, lo ringraziò.
Un prigioniero osservò che era meglio spostarlo, per evitare che l'indomani i
loro carcerieri capissero che era stato curato. L’uomo venne spostato. Alcuni
imprecarono contro i loro carcerieri. Poi ci fu un lungo silenzio. Ad
un certo punto un uomo si rivolse a Louis: -
Le fanno curare i malati? -
Sì, malati e feriti. Intervenne
qualcun altro: -
E lei cura quegli assassini? -
Sì, sono un medico. L’uomo
che aveva parlato per primo intervenne: -
Ha ragione. Se non li curasse, lo ammazzerebbero subito. -
Lo ammazzeranno comunque, solo un po' più tardi. -
Non li curo perché non mi ammazzino, ma perché sono uomini anche loro. -
Sono bestie, bestie da macellare. Louis
non disse più niente. Le parole erano inutili. O, meglio, lui non sapeva
usare le parole. Doveva imparare a tacere. Nei
giorni successivi, curando feriti e malati, ebbe modo di girare per
l'accampamento, che sembrava essere molto grande. Le capanne erano certamente
oltre un centinaio, alcune raggruppate, altre sparse tra gli alberi. Il
quarto giorno vide due donne bianche, accompagnate da alcuni neri. Una delle
donne sorreggeva l'altra, molto giovane, che si reggeva a fatica in piedi.
Louis si fermò e si rivolse alla guardia: -
Quella donna ha bisogno di cure. -
Non sei qui per curare i bianchi. Louis
non sapeva come convincere i due neri. Le due donne stavano già scomparendo
dietro un gruppo di alberi, quando gli venne un’idea. Cercò le parole giuste
per esprimerla. -
Se le donne vi servono, vi servono vive. I
due confabularono un buon momento. Poi uno dei due andò a chiedere istruzioni.
Tornò dopo una mezz’ora. -
Va bene, dopo che avrai finito nel campo, ti porteremo dalle donne. Nel
tardo pomeriggio Louis venne accompagnato nel recinto in cui si trovavano le
prigioniere. Le donne si stupirono di vedere un medico bianco, ma il suo arrivo
fu per loro un sollievo: molte avevano febbri e malesseri che nessuno si
occupava di curare. Louis cominciò a tirar fuori le erbe di
cui si serviva. -
Ma cura con le erbe? Louis
sorrise. -
Non penserà mica che abbia una scorta di medicinali con me? Sono scampato per
miracolo al massacro della Fierté e... Una
donna lo interruppe: -
La Fierté? L'hanno attaccata? E che ne è stato
della famiglia? Louis
la guardò, poi abbassò gli occhi, conscio di avere, per l’ennesima volta,
parlato senza riflettere. -
Guillaume Grossetête si è salvato, almeno credo. -
E tutti gli altri? Louis
mormorò. -
Credo di no. La
donna urlò un nome, Anne, e scoppiò a piangere. Alcune delle sue compagne la portarono
in un angolo e cercarono di consolarla. Una delle donne meno giovani guardò
Louis e gli disse, senza nascondere la sua irritazione: -
Lei deve essere più attento. Qui ognuna di noi vive chiedendosi che ne è
stato dei propri cari. Anne Grossetête era la
sorella di Diane. Louis
si diede per l'ennesima volta dell’imbecille. Sarebbe mai riuscito a
cambiare? Non gli sembrava probabile, ma questo lo preoccupava. Qui non si
trattava solo di fare una pessima figura. Provocava dolore. Dopo
aver curato le diverse donne, Louis rimase un momento in silenzio. Sapeva che
molte avevano ferite ed infezioni dovute ai ripetuti stupri: bastava vederle
camminare per rendersene conto. Louis non sapeva come fare. Avevano bisogno
di cure, era evidente che le infezioni le facevano soffrire molto ed
avrebbero anche potuto portarle alla morte. Ma non lo conoscevano e si
vergognavano di parlarne con lui. Allora
Louis estrasse dalla sua borsa alcune erbe e spiegò, senza guardare nessuna
in particolare, come dovevano fare per curarsi: quali erbe ed in che misura
usare per irritazioni senza perdite di sangue, quali per ferite, quali per
infezioni in corso. Fornì tutte le istruzioni e se ne andò, dicendo che
sarebbe tornato il giorno dopo. Quella
sera nella capanna degli uomini Louis disse che aveva visto le donne. Molti
gli chiesero notizie delle loro mogli e figlie, ma Louis poté dare
informazioni molto limitate: non si era fatto dire i nomi. Tutti coloro che
avevano, o speravano di avere ancora, tra le donne prigioniere, la moglie,
una figlia, una sorella, gli dissero i loro nomi e Louis cercò di
memorizzarli, per poterli comunicare alle donne. Il
giorno dopo raccolse nuovamente molte erbe, poi curò i neri e solo nel tardo
pomeriggio, avendo finito le altre visite, gli fu permesso di passare dalle
donne. Prima si occupò delle cure. Vide che la riserva di erbe che aveva
lasciato era diminuita. Adèle Varlet,
la moglie di un piantatore che era prigioniera con la figlia, gli chiese una
serie di precisazioni. Riguardavano situazioni diverse e Louis comprese che
faceva da portavoce per le altre. Louis fornì tutte le istruzioni e disse che
era disponibile in qualunque momento ad una visita. Poi,
senza farsi sentire dalla guardia, che, poco distante, stava parlando con una
donna, cominciò a dare notizie degli uomini e a raccogliere le informazioni
che gli erano state chieste. Tra le donne ci fu un'immediata agitazione, che
richiamò l'attenzione della guardia. -
Che succede? -
Niente, le mie erbe non bastano, dovremo raccoglierne altre domani. L’uomo
si allontanò per riprendere il dialogo interrotto. Louis
riprese a dare ed a chiedere notizie. Quando ebbe finito, ci fu un momento di
silenzio. Poi una donna gli si avvicinò: -
E non sa nulla di Henri Latour? Sono sua moglie, Madeleine. Era prigioniero, lo hanno portato qui insieme
a me. Louis
aveva sentito quel nome. Era il ferito che aveva curato la seconda sera e che
era stato ucciso il giorno successivo. Sapeva come era stato ucciso, glielo
avevano raccontato. Abbassò lo sguardo. Poi si fece forza e lo alzò sulla
donna. Le prese le mani e le strinse forte. La donna lo guardò. C'era una
tale disperazione nei suoi occhi, che Louis avrebbe voluto annullarsi. Ma non
poteva fare nulla. La donna liberò le mani e se le portò sul viso. Cominciò a
singhiozzare. Louis l'abbracciò, stringendola con forza. La donna si mise a
piangere a dirotto. Louis la stringeva e con una mano l'accarezzava con molta
delicatezza, come aveva fatto con Guillaume. Dopo un po' la donna si calmò.
Allora Louis la lasciò alle altre donne e se ne andò. Quella
notte Louis portò agli uomini i messaggi delle loro donne; per molti fu un
sollievo sapere che erano ancora vive. Louis non parlò delle loro malattie,
ma il discorso passò rapidamente agli stupri di cui quasi tutte erano, o
erano state, vittime. Si
scatenò una ridda di commenti. -
E quei porci le violentano. -
Jeannot se le prende una dopo l'altra. Si è tenuto
quindici giorni la povera Marie e se n’è anche vantato. -
Le trattano come se fossero una loro proprietà. Louis
osservò: -
È quello che i bianchi hanno sempre fatto con le schiave. Non
aveva ancora finito di pronunciare la frase che si rese conto di quanto aveva
detto. Ancora!
Ancora una volta aveva gettato il suo inutile e presuntuoso granello di
saggezza, aveva parlato senza pensare. Ma perché? Perché era così stupido?
Perché dire una cosa del genere, lì, in quel momento? Che senso aveva? -
Ma lei da che parte sta, dottore? La
domanda lo colpì. Lui, da che parte stava? Da quella degli imbecilli, su
questo non c'era dubbio. Ma a parte quello? Dalla parte dei bianchi
schiavisti, per cui i neri erano bestie di cui si poteva usare ed abusare
senza remore? Dalla parte dei neri che violentavano e massacravano, che
infilzavano i bambini sulle picche? Da nessuna delle due. Questo gli era
chiaro, ma da che parte stava? C'era qualcuno, qualche cosa in cui si
ritrovasse? O era solo un imbecille che pensava di saperne più degli altri?
Un senso di nausea lo assalì, nausea per la propria incapacità a tacere, a
riflettere prima di parlare. Nausea di se stesso. * Al
Cap Guillaume possedeva una casa. Sua madre vi si
recava spesso, soprattutto negli ultimi anni, mal sopportando la vita della piantagione.
Dopo la sua morte la casa non era più stata abitata in modo continuativo, ma
i Grossetête la usavano spesso, quando venivano in
città per affari o per altri motivi. Nella casa vivevano tre schiavi: due
neri ed un mulatto, che tutti sapevano essere un figlio bastardo di Louis-Jacques Grossetête. Il
mulatto era una specie di intendente, gli altri due servitori, un uomo
giovane ed una donna di mezz’età, obbedivano ai suoi ordini. Quando qualcuno
dei Grossetête veniva in città per rimanervi a
lungo, si portava altri servitori, ma questo da tempo avveniva di rado. Quella
era ormai la casa di Guillaume e l’unica sua proprietà, a parte alcune terre
nell’isola di Martinica, dove la situazione sembrava essere più tranquilla. Bernaud accompagnò Guillaume alla casa, poi proseguì per
il forte con i suoi uomini. Guillaume bussò e gli venne
ad aprire Robert, lo schiavo più giovane, un uomo vigoroso che aveva solo tre
anni in più di lui. Robert era stato il suo compagno di giochi e di avventure
per i primi sedici anni della sua vita, durante i quali Guillaume era stato
al Cap quasi quanto alla Fierté.
Negli ultimi due anni invece, dopo la morte della madre, era tornato di rado
in città. Robert
fu felice di vederlo. La notizia della distruzione della piantagione era già
arrivata in città: l’aveva portata Pierre Colas,
l’uomo con cui Louis Reybert avrebbe dovuto
viaggiare dalla Fierté al Cap. Pierre aveva detto
di aver visto diversi cadaveri, irriconoscibili, ma non sapeva se vi fossero
superstiti e nelle mani di quale banda potessero trovarsi. Jean,
il mulatto, accolse il padrone con la dovuta deferenza, ma non mostrò
particolare contentezza. In altre occasioni Guillaume non se ne sarebbe
neanche accorto, perché non badava molto agli schiavi: dava per scontata la
loro presenza, ma non si occupava certo di ciò che potevano pensare. Dopo il
dialogo con Louis, però, si era reso conto di questo ed ora osservava con
attenzione Robert e Jean. Guillaume
si trovò a riflettere. In quella società di uomini liberi ed uguali che Louis
sognava, Jean avrebbe avuto diritto all’eredità e quindi alla proprietà di
quella stessa casa di cui Guillaume ora era il padrone. Ne aveva diritto
assai più di lui, Guillaume, che aveva un altro padre. Ma invece era
Guillaume il signore e Jean era uno schiavo che lui avrebbe potuto vendere. Per
la prima volta Guillaume vedeva la realtà da un punto di vista del tutto
diverso e questo lo confondeva. Avrebbe voluto parlarne ancora con Louis, ma
Louis doveva essere morto. Il
pensiero, come sempre, lo sprofondò nell’angoscia. Di lui conservava un
ricordo fortissimo, anche se si erano conosciuti ed amati per pochi giorni,
anche se le sensazioni che gli aveva fatto provare Bernaud
erano molto più forti. Quella
notte, la prima che trascorreva del tutto da solo, si svegliò più volte e ad
un certo punto gli incubi divennero talmente angosciosi, che urlò nel sonno.
Robert accorse, spaventato. Alla
luce della candela Guillaume guardò il nero davanti a lui, a torso nudo, i
pantaloni malamente sistemati nella fretta. Non lo vedeva, vedeva i neri che
uccidevano i suoi fratelli, che sgozzavano Louis. Poi riprese contatto con la
realtà. -
Scusami, Robert, ho avuto un incubo. Mi spiace averti svegliato. -
Non c’è problema, padrone. Dopo quello che ha passato… Guillaume
sentì l’impulso, violento, di chiedergli di fermarsi a dormire nella camera.
Sapeva che era l’unico modo per calmare le sue ansie, ma l’idea di avanzare
quella richiesta lo disturbava. -
Vai pure a dormire, Robert. Cercherò di riaddormentarmi. Il
nero esitò un attimo. -
Vuole che mi fermi qui? Posso dormire sulla stuoia, così se ha bisogno di me… Guillaume
fece per dire di no, ma l’idea di rimanere da solo lo angosciava. Avrebbe
dovuto abituarsi, ma forse, per quella notte… -
Sì, Robert, ti ringrazio. Stenditi qui sul letto, c’è posto per entrambi. Ed
accendi la lanterna, forse mi aiuterà a mettere in fuga i brutti sogni. Gli
sembrava di essere un bambino piccolo, che ha paura del buio e vuole luce e
compagnia. Ed in fondo si sentiva davvero così, sperso, senza nessuno al
mondo a cui importasse davvero di lui, a parte Robert e Rose, la schiava
della casa. Robert
accese la lanterna, spense la candela e fece per stendersi sulla stuoia ai
piedi del letto. -
No, Robert, qui con me. Il letto è abbastanza grande per due. Era
vero, in quel letto spesso dormivano più persone, Guillaume vi aveva dormito
una volta con due dei suoi fratelli. -
Ma padrone, io non voglio disturbare. -
Preferisco averti vicino. Robert
si tolse i pantaloni e si infilò sotto il lenzuolo. Guillaume lo vide solo un
attimo, un corpo nudo e scuro, un uccello vigoroso. Fu sufficiente a
turbarlo. Si
voltò in direzione opposta. -
Grazie Robert, spero di non essere io a disturbare te. -
Non si preoccupi per me, padrone. Perché
aveva fatto accendere la lanterna? Ora, se si fosse steso sulla schiena, il
lenzuolo leggero avrebbe rivelato chiaramente il suo uccello duro. Non era
una cosa che preoccupasse i padroni, di solito: gli schiavi per loro erano
animali, di fronte a cui si poteva fare qualunque cosa, anche mostrarsi
eccitati, come non ci si vergogna ad avere l’uccello in tiro davanti ad un
cane. Ma per Guillaume non era più così. E poi sapeva benissimo che la causa
di quell’erezione era proprio il corpo di Robert. Rimase
a lungo su un fianco, senza dormire, poi la stanchezza ebbe il sopravvento e
scivolò in un sonno nuovamente agitato da incubi. Lui e Louis stavano
scappando, i neri li stavano raggiungendo, Louis era rimasto indietro, erano
su di lui con i coltelli… -
Padrone, padrone… Robert
gli aveva posato una mano sulla spalla, cercava di scuoterlo dall’incubo.
Guillaume si voltò e, ancora sospeso tra il sonno e la veglia, vide il volto
di Robert a una spanna dal suo. Di nuovo per un attimo pensò che fosse uno
dei neri che lo assalivano nel sogno, poi si destò del tutto. Si mise a sedere sul letto
di scatto. Era in un bagno di sudore. Gettò via il lenzuolo. Ed allora vide
che Robert era eccitato. Fissò, senza riuscire a distogliere lo sguardo,
quella grossa mazza nera che batteva sul ventre del giovane. Era imponente.
La luce della lanterna l’accendeva di riflessi che sembravano lampi. Robert
mormorò: -
Mi scusi, padrone, io… Tacque,
perché Guillaume aveva allungato la mano e, con delicatezza, quasi temesse di
scottarsi, l’aveva appoggiato su quel tizzone. Guardò Robert negli occhi. -
Padrone… Il
nero non sapeva che cosa fare. Guillaume
lo fissò negli occhi, senza togliere la mano. -
Lo vuoi, Robert? Perché io lo vorrei, ma solo se tu lo vuoi. Il
nero trattenne il fiato un momento, poi si mise anche lui a sedere e gli
sussurrò: -
Da anni lo desidero, padrone. Guillaume
tolse la mano e la poggiò sulla guancia di Robert. -
Posso baciarti? Il
nero non rispose. Lo avvicinò a sé e le loro bocche si incontrarono, la
lingua di Guillaume avanzò per prima verso la bocca di Robert, poi arretrò,
lasciando che quella del nero la seguisse. Robert
lo spinse di nuovo disteso e si mise su di lui, baciandolo con passione. Le sue
mani accarezzavano il corpo di Guillaume ed i loro uccelli erano uno di
fianco all’altro, ugualmente tesi e smaniosi, ma i loro padroni sembravano
averli dimenticati ed erano intenti a baciarsi, accarezzarsi, stringersi,
pizzicarsi. Il
gioco continuò un buon momento, poi Guillaume disse: -
Mettiti in ginocchio, voglio vederti. Robert
si sollevò, sedendosi sulle gambe di Guillaume. Il ragazzo guardò il grande
uccello scuro. Nella sua testa passavano immagini della fattoria, degli
schiavi neri che aveva visto al lavoro e che aveva desiderato. Con la mano
accarezzò quella mazza robusta. -
Sollevati un po’. Robert
obbedì e Guillaume si voltò sulla pancia. Non disse nulla, non era
necessario. Robert si stese su di lui. A
Robert sembrava di muoversi in un sogno. Aveva spesso desiderato il corpo del
padrone più giovane, ma mai aveva pensato che un giorno avrebbe potuto
toccarlo. Era ora stava per incularlo. Sì, stava per infilzare il suo cazzo
nero nel culo del padrone, che glielo chiedeva. Robert
voleva bene al suo padrone, molto. Era l’unico di tutta la famiglia a cui
davvero fosse affezionato. Non certo ai suoi fratelli, che erano simili al
padre, brutali e meschini. Non
voleva fargli male. Si inumidì le dita e preparò il terreno. Sentì che il
corpo di Guillaume attendeva impaziente il suo ingresso. Avvicinò la cappella
al buco. Guardò ammaliato il candore di quelle carni, che contrastava con il
colore scurissimo della sua pelle. La punta iniziò a penetrare, la cappella
scomparve all’interno del culo e Robert guardò quanto ancora rimaneva fuori
del suo cazzo nero, contro quella pelle rosata. Scivolò in avanti, spingendo
l’arma ancora più a fondo. Sentì Guillaume gemere, ma era un gemito di puro
piacere. Era
dentro di lui. Poggiò le mani sul culo del ragazzo, ancora incredulo. Stava
inculando il suo padroncino ed entrambi godevano di quel momento. Iniziò
a muoversi, molto lentamente. Guillaume gemette di nuovo. Robert impresse al
suo movimento un ritmo più intenso. Si sollevò leggermente sulle braccia e,
senza distogliere lo sguardo dall’arma che affondava nel culo fino a
scomparire del tutto e poi emergeva, ci diede dentro ad arare con tutta la
sua energia. Guillaume
provava un piacere intenso, sempre più forte. Anche il dolore cresceva, ma il
ragazzo non vi avrebbe rinunciato, perché era un segno della presenza
tangibile di Robert dentro di lui. Ogni fibra del suo corpo era piacere e
dolore, che salivano entrambi dal suo culo penetrato e si trasmettevano ad
ondate, più intensi ad ogni nuova spinta. Sia
Louis, sia Bernaud erano rimasti a lungo dentro di
lui, ma gli sembrò che Robert vi rimanesse un tempo interminabile, fino a che
il piacere ed il dolore divennero intollerabili. Le spinte più violente con
cui Robert venne dentro di lui sembrarono ripercuotersi in tutto il suo corpo
ed il seme che Robert gli versava nelle viscere era tutt’uno con quello che
Guillaume spargeva sul lenzuolo. Quando
il piacere si fu placato, Guillaume sussurrò: -
Non uscire, ti prego. Dormiamo così. Si
stesero su un fianco, ma nessuno dei due dormì. Ben presto Guillaume sentì
che l’uccello nel suo culo riprendeva vigore ed il proprio rispondeva al
richiamo. Si
amarono ancora una volta, poi Robert uscì da lui, ma lo abbracciò e Guillaume
trovò infine un sonno tranquillo. Il
mattino dopo Guillaume si risvegliò tra le braccia di Robert, che gli
sorrise. Allora lo baciò ed ancora una volta si amarono. Quel
giorno Guillaume camminò a lungo per la città. Non riusciva a mettere ordine
nel caos di sentimenti, sensazioni, emozioni che giravano per la sua testa. Pensava
a Louis, a Bernaud, a Robert. Due settimane prima
non aveva mai avuto un rapporto. Adesso aveva già conosciuto tre uomini. Che
cosa intendeva fare di sé? Voleva farsi scopare dalla popolazione di mezza
isola, bianchi e neri? Sapeva
benissimo che il sesso gli permetteva di calmare la sua angoscia, ma
intendeva continuare così? Cercò
di analizzare quello che provava. Per il tenente, nulla. Era stato molto
bello, ma non gliene importava. Louis era stato ben più importante, in
qualche modo gli sembrava di amarlo, ma ormai doveva essere morto. Quanto a
Robert, era quello che gli aveva dato più piacere, era affezionato a lui, ma… Qual era il ma? Il ma era che Robert era uno schiavo. Guillaume
avrebbe voluto poterne parlare con Louis, ma non era possibile. Stava
provando a vedere le cose da un altro punto di vista. Non era facile. Voleva
bene a Robert, molto, ma poteva pensare di mettersi a tavola con lui? Di
ricevere gli amici insieme? Nessuno sarebbe più andato a casa sua, se in
qualche modo fosse circolata la voce che erano amanti. Che
cosa poteva fare? Trasferirsi alla Martinica, dove aveva ancora una
proprietà? Ma la situazione laggiù non sarebbe stata diversa. Trasferirsi in
Francia? Poteva
anche rimanere al Cap, in casa era libero di fare
quello che voleva, badando soltanto a non farsi scoprire. Ma forse alla
Martinica, in quella proprietà che sapeva isolata, lontano dai centri
abitati, avrebbe potuto vivere al fianco di Robert in modo più libero. Era
davvero quello che voleva? 6 La
raccolta delle erbe, la preparazione dei medicinali e la cura dei pazienti
richiedevano molto tempo, perciò Louis, a differenza degli altri prigionieri,
non era tenuto ad assistere al grande spettacolo del campo: la tortura e
l'omicidio dei prigionieri bianchi. Spesso la sera, quando veniva rinchiuso
nella capanna, scopriva che uno dei prigionieri era stato torturato ed ucciso
oppure che era legato al palo: talvolta l'esecuzione si svolgeva in due
giorni, per offrire uno spettacolo più divertente. L'undicesimo
giorno però, mentre stava curando un ferito, due guardie lo vennero a
prendere e lo portarono nello spiazzo dove avvenivano le esecuzioni, non
lontano dalla capanna dei prigionieri. Al palo era legato il piantatore Frédéric Bourdieux. Qualche
cosa non aveva funzionato nello spettacolo, che stava finendo prima del
previsto: l’uomo aveva perso conoscenza ed era evidente che presto sarebbe
morto. Jeannot era di fronte al prigioniero ed aizzava un
aguzzino perché lo svegliasse. L'uomo colpiva il prigioniero, lo punzecchiava
con la punta del coltello, gli passava le mani sulle ferite, ma senza
ottenere nessun risultato. Le
due guardie portarono Louis davanti a Jeannot, che
lo guardò appena e gli intimò: -
Fallo rinvenire. Louis
non capì immediatamente. -
Ti ho detto che devi farlo rinvenire. Muoviti. Certo,
doveva far rinvenire il prigioniero perché potesse soffrire ancora. Questo
gli si chiedeva. Louis
capì che era giunto il momento. Il momento di scegliere. Tra la vita e la
morte. Sentì una stretta allo stomaco. Aveva paura, una paura feroce. Fece un
passo verso l'uomo, ne guardò la testa reclinata, le ferite aperte. Almeno
ora non sentiva più il dolore. Lui l’avrebbe sentito. A lungo. Si
voltò verso Jeannot e, tenendo basso lo sguardo,
disse: -
Non ne sono capace. Jeannot si irrigidì. Non era abituato a non essere
ubbidito. -
Se non ne sei capace, ti metterò al suo posto. Jeannot l'avrebbe fatto, lo sapeva. Ma lui non avrebbe
contribuito a prolungare l'agonia di quella vittima inviata al macello. Cercò
dentro di sé la forza per resistere. Con fatica, cercando invano di rendere
ferma la propria voce, ripeté: -
Non ne sono capace. Jeannot si alzò
in piedi, di scatto. -
Bada. Io ho il potere di vita e di morte su tutti. Louis
lo guardò. Gli sembrava che fosse distante. Gli sembrava di stare arretrando
e che Jeannot non potesse più raggiungerlo. Non era
così, lo sapeva. Eppure, in un certo senso, era al di fuori della portata di Jeannot: c'era una parte di lui che quell'uomo non
avrebbe raggiunto. Ripeté, quasi senza pensarci: -
Di vita e di morte? -
Ne dubiti, forse? C'era
una furia contenuta, e per questo ancora più temibile, in quelle parole.
Ormai era in un vicolo cieco, Louis lo sapeva benissimo. Lo aspettava la
morte, una morte atroce, come quella di quell'uomo di cui avrebbe dovuto
prolungare l'agonia. Non avrebbe obbedito all’ordine, non avrebbe fatto
soffrire ancora Bourdieux. Vittima, sì, non
carnefice. Dalla parte delle vittime, questa forse era la risposta alla
domanda che si poneva da giorni. Provvisoria, incompleta, debole, ma era la
sua risposta. E contro Jeannot, contro il
carnefice, sentiva salire una rabbia sorda.
Rispose: -
Non potresti far vivere quest'uomo neanche se lo volessi, ora. Tu hai solo il
potere di morte. Si
rese immediatamente conto che nella sua situazione replicare era stata l'idea
più stupida che potesse avere. Sfidare Jeannot
significava solo prolungare la propria agonia, spingerlo ad inventare qualche
nuovo supplizio. Stranamente
Jeannot sorrise, come se la sua rabbia fosse
svanita. -
Tu parli troppo. Ma non parlerai più. Louis
fu sicuro che gli avrebbero tagliato la lingua. Punizione meritata, pensò,
con quel tanto di autoironia che la paura gli lasciava ancora. Vide Jeannot sussurrare qualche cosa ad uno dei suoi uomini,
poi fare un cenno. Lo portarono via, lontano dagli altri prigionieri. Si
stupì che la sua punizione non fosse pubblica, come pubblica era stata
l'offesa. La paura lo attanagliava. Si pentiva delle sue parole, ma non della
sua scelta. Rimase
ad aspettare un buon momento, tra due uomini impassibili. Poi vide arrivare
un altro nero. Aveva in mano un grosso straccio e due cinghie. Con la destra
gli strinse la gola, costringendolo ad aprire la bocca, poi gli infilò lo
straccio in bocca e lo spinse. Gli passò una cinghia tra i denti e la bloccò,
in modo che tenesse fermo lo straccio. La cinghia premeva ai margini della
bocca ed insieme allo straccio costituiva un bavaglio che bloccava
interamente la lingua. Louis non avrebbe più potuto parlare. Pensò che il
bavaglio era esattamente quello di cui aveva bisogno: almeno avrebbe evitato
di dire stupidaggini. Poi
lo riportarono sul luogo dell'esecuzione e gli fecero assistere allo
squartamento del condannato: lo spettacolo non diede nessuna soddisfazione,
perché Bourdieux non riprese i sensi. Più
tardi lo condussero a curare alcuni malati. Rifece il suo giro di sempre,
soltanto che ora doveva farsi capire a gesti. Quando
le donne lo videro imbavagliato si fecero intorno a lui, chiedendogli
spiegazioni. Louis avrebbe potuto cercare di farsi capire a gesti, ma altro
gli premeva. Andò
dalla figlia di Bourdieux, la guardò negli occhi.
La ragazza abbassò lo sguardo. Louis le prese il viso tra le mani e
l'appoggiò sul suo petto. La ragazza scoppiò in singhiozzi. Nel
tardo pomeriggio, dopo che ebbe finito il suo giro di visite, lo portarono in
uno spiazzo tra gli alberi, subito fuori dall’accampamento. C’erano una
dozzina di neri. Louis
si disse che la sua ora era arrivata e sperò che la sua agonia non fosse
troppo lunga e dolorosa. Non si sentiva la forza di sopportare ciò che altri
avevano subito. Non era coraggioso. Gli
tolsero il bavaglio. Louis si disse che volevano sentire le sue urla. -
Spogliati. A
parlare era stato un gigante. Louis
ubbidì. Procedeva lentamente, sperando, senza nemmeno rendersene conto, di
ritardare quello che lo attendeva. -
Muoviti. L’ordine
fu accompagnato da un ceffone che sbatté Louis per terra. Louis si rialzò,
mentre il sangue gli colava da un angolo della bocca, e finì di spogliarsi. Il
gigante nero scoppiò in una sonora risata. Poi si sciolse la fascia che
portava ai fianchi, rimanendo nudo. Mise in mostra un grande sesso e Louis
sentì un brivido percorrerlo. Aveva capito ciò che lo aspettava. -
Succhiami il cazzo, dottore bianco. Che poi te lo metto in culo. Louis
esitò. Una spinta violenta lo fece nuovamente cadere a terra, di fronte al
nero. Si sollevò, mettendosi in ginocchio. Per
un attimo si chiese se resistere, ma non aveva senso. Lo avrebbero violentato
e sarebbe morto comunque, soltanto la sua fine sarebbe stata peggiore. Per la
prima volta la sua bocca avrebbe accolto il sesso di un uomo, ma questo non
lo spaventava. C’erano molte cose che si vergognava di aver fatto e
soprattutto detto nella sua vita, quel cedere alla violenza gli sembrava del
tutto irrilevante. Aprì
la bocca. L’uomo gli prese la testa per i capelli e la avvicinò all’uccello,
infilandoglielo tra le labbra. Louis incominciò a leccare. -
Succhia, forza! Louis
cercò il movimento giusto delle labbra e della lingua. Non era abile. Si
disse che non avrebbe fatto in tempo ad imparare.
Man mano che procedeva il grande uccello del nero acquistava spessore
e volume, fino a che divenne tanto grosso e rigido, da rendere difficile ogni
manovra. A
quel punto il nero estrasse il membro e diede a Louis un violento ceffone con
il dorso della mano, facendogli sanguinare il naso. Prima ancora che Louis si
fosse riavuto dal dolore del colpo, il nero lo afferrò per i capelli, tirando
con forza e gettandolo a terra. Louis sentì una fitta alla testa, che però
durò solo un attimo. Subito dopo avvertì il peso del corpo che gravava sul
suo. Non
oppose una resistenza che sarebbe stata risibile. Accettò l’ultimo oltraggio.
Quello che non si aspettava fu il nuovo dolore, feroce: il nero entrò con una
spinta violenta, che strappò a Louis un grido. Il grosso uccello nero dilatò
di colpo l’apertura, più di quanto non fosse mai avvenuto prima, e penetrò in
profondità. Louis sentì che gli occhi gli si riempivano di lacrime. Quando
fu giunto in fondo, il nero estrasse completamente l’arma e la inserì di
nuovo di colpo, rinnovando la sofferenza. La sua risata roboante sovrastò
quelle degli spettatori, che sghignazzavano e deridevano Louis. -
Allora, dottore bianco, ti piace un bel cazzo nero? Il
nero incominciò a spingere con decisione e Louis sentì che il fiato gli
mancava. Le poche volte che era stato penetrato, aveva sempre provato un
certo piacere ed un dolore molto ridotto, ma in quel momento c’era solo
sofferenza, una sofferenza intollerabile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa perché
quel tormento finisse. Questa
era la sua capacità di reggere il dolore?
Come avrebbe reagito a quello che lo aspettava? Era stato pazzo a
sfidare Jeannot. Le
spinte divennero ancora più brutali ed a Louis si annebbiò la vista. Poi
il nero venne, riempiendogli il culo del suo seme, e si ritrasse. Fu un nuovo
momento doloroso, ma il venir meno di quell’arma che gli trapassava il culo
gli diede un senso di sollievo. Il
nero lo afferrò per i capelli, forzandolo a mettersi in ginocchio. Louis
lo guardò. L’uomo sorrideva, beffardo. -
Pulisci. Sul
grosso uccello nero, ancora gonfio, c’era un po’ di sangue e di seme che
colava dalla cappella. Louis avvicinò ancora la bocca e leccò, ripulendo con
cura. -
Ora prendilo in bocca e bevi. Louis
eseguì. L’uomo
lo guardò, mentre incominciava a pisciare. Louis bevve, come gli era stato
ordinato. Gli
altri neri osservavano ridendo. Nessuno di loro si mosse. Louis pensò con
sollievo che probabilmente non lo avrebbero violentato anche loro. In
effetti nessuno si avvicinò. Uno dei neri gli gettò in faccia i vestiti
laceri e sporchi, poi gli rimisero il bavaglio e lo riportarono nella
capanna. Quella
sera, oltre ad incatenargli le gambe e bloccare la catena ad uno dei pali,
gli legarono le mani. Poi uscirono. -
Bravo, dottore, l'abbiamo ammirata tutti. -
Ha dimostrato di avere i coglioni. -
Dopo quell'intervento glieli taglieranno, i coglioni, come hanno fatto a Chatel e Latour. La
replica fu seguita da un momento di silenzio. -
Se lo lasci dire: se parla poco, la stimiamo tutti di più. Qualcuno
rise. Anche a Louis venne da sorridere alla battuta. Sì, aveva tutto da
guadagnare dal silenzio. Quella
notte dormì male. Non aveva mangiato e bevuto dalla mattina, ad eccezione del
piscio del nero, e sentiva la bocca riarsa. Il culo gli faceva un male cane.
Due volte sentì colare un po’ di seme, probabilmente misto a sangue. Sperava
che la ferita non si infettasse. Nei
due mesi successivi rimase con il bavaglio per tutto il giorno, ad eccezione
di un breve momento il mattino ed un altro la sera, in cui gli veniva tolto
per permettergli di mangiare e bere. Agli angoli della bocca si formarono
presto due piaghe, che s'infettavano. Dalle ferite colavano sangue e pus, ma
ciò che più tormentava Louis era la sete, che poteva placare solo quando gli
toglievano il bavaglio. Non
lo violentarono più, ma per diversi giorni, ogni qual volta incrociava il
nero che lo aveva preso a forza, Louis sentiva che le gambe gli tremavano. Due
giorni dopo l’esecuzione di Bourdieux arrivarono
alcuni nuovi prigionieri. Quel pomeriggio le donne gli passarono, senza farsi
notare dalla guardia, un foglio su cui davano notizie di sé: qualcuna delle
nuove arrivate doveva avere qualche cosa per scrivere. La
sera, quando Louis fu condotto nella capanna, era ancora chiaro. Louis
avrebbe voluto indicare che aveva un bigliettino in tasca, ma, come avevano
già fatto un'altra volta, gli avevano legato le mani dietro la schiena.
Abbassò più volte il capo verso la propria tasca, ma nessuno sembrava capire.
Alla fine uno dei prigionieri comprese e gli mise la mano in tasca, ridendo: -
Ma ditemi un po', alla mia età, ridurmi a ficcare la mano nei pantaloni di un
altro uomo. Coloro
che erano prigionieri da più tempo, sghignazzarono. Erano meno angosciati. In
fondo l'arrivo di nuovi prigionieri aumentava le loro probabilità di
sopravvivenza. Lessero
le notizie. Poi i nuovi venuti gli diedero le loro. All'inizio fu difficile.
Parlavano tutti insieme e sembravano sovrastimare la memoria di Louis. Gli ci
volle un po' di tempo prima di riuscire a farli parlare uno per volta e
lentamente, in modo da riuscire a memorizzare i messaggi. Poi si fece ridare
il bigliettino e si sedette contro la parete, ripetendosi le informazioni
ricevute e pensando a come trasmetterle. C'era molta agitazione nella
capanna, perché i nuovi venuti volevano sapere che cosa li aspettava e coloro
che erano prigionieri da più tempo cercavano di avere notizie sull’andamento
della rivolta. La situazione non era buona: la rivolta dilagava, l'esercito
non era in grado di fermarla. Per
un bel pezzo Louis fu troppo concentrato a mandare a mente quanto gli
serviva, per badare ai discorsi degli altri uomini. Poi incominciò ad
ascoltare. Cercò di trovare il filo dei discorsi, ma era un filo che si
ingarbugliava e si spezzava in continuazione. Ognuno mirava solo a sapere
quello che gli interessava, ad avere risposte. Non ascoltavano. Non si
ascoltavano l'uno l'altro. E
lui, ascoltava? No,
anche lui non aveva mai ascoltato. Ora, che era costretto a farlo, si rendeva
conto di molte cose. Sentiva le domande dei nuovi venuti, a cui l'orrore
della loro situazione cominciava ad apparire in tutta la sua realtà. E capiva
che le risposte degli altri non affrontavano quell'orrore, non tenevano conto
dell'angoscia in quelle voci. Lui
era stato come loro. Il
giorno dopo rimase a lungo dalle donne. Dopo le cure, tirò fuori il
bigliettino. Vide tra le donne Madeleine Bourdieux e, d'impulso, lo diede a lei. All'inizio non
capirono: era il biglietto che loro avevano scritto il giorno prima, perché
glielo rendeva? Poi Madeleine comprese. Cominciò a
leggere i nomi ed ogni donna, quando veniva letto il proprio nome, chiedeva
notizie. Louis muovendo la testa comunicava se l'uomo era prigioniero o no,
se era morto, se non si sapeva nulla di lui. La
mattina successiva lo portarono da Jeannot. Louis si chiese se fosse
arrivato il suo momento. Cercò di dominare la paura. Accanto a Jeannot c'era un giovane, che lo guardò con un ghigno.
Anche sul viso di Jeannot c'era un’espressione
beffarda. Il capo gli disse: -
Kestania ti accompagnerà nei prossimi giorni ed
imparerà da te a curare. Quando avrà imparato, tu farai la fine degli altri. Louis
respirò sollevato. La sua fine non era ancora così vicina come aveva temuto.
Guardò Kestania: non doveva avere più di vent'anni.
Doveva imparare. Avrebbe cercato di insegnargli, di trasmettergli quello che
sapeva, tutto quello che sapeva, con cura. Formare qualcuno in grado di
alleviare le sofferenze era una bella cosa, era giusto che fosse l’ultima
cosa che faceva prima di morire. Mentre
si allontanavano, Kestania gli disse subito: -
Bada, voglio imparare in fretta. E tu devi insegnarmi. Louis
annuì. Poi fece segno alla guardia che lo accompagnava, per comunicargli che
voleva andare a raccogliere erbe. Mostrava ogni erba a Kestania,
gli faceva vedere come si prendeva il frutto, o la foglia, o la radice. Kestania voleva sapere a che cosa serviva e Louis
cominciò a spiegarglielo a gesti, ma si rese conto che era impossibile
trasmettere le informazioni in quel modo. Si concentrò sulla raccolta delle
piante. Dopo aver fatto vedere come si faceva, fece segno a Kestania di farlo al suo posto. Se il ragazzo non aveva
capito o non ricordava, ripeteva l'operazione. Kestania
imparava in fretta, ma in qualche caso Louis dovette farlo ripetere due o più
volte, perché il ragazzo non riusciva a capire che doveva fare attenzione a
non schiacciare il frutto o a tagliare la pianta in un certo modo. Ad un
certo punto Kestania si irritò, sospettando che
Louis volesse prenderlo in giro o fargli perdere tempo. -
Ho fatto esattamente quello che hai fatto tu. Louis
scosse la testa e prima ripeté il proprio gesto, poi quello di Kestania. Il giovane scosse la testa. Louis ripeté ancora
il gesto, ma Kestania lo colpì al viso con il dorso
della mano. Louis non si aspettava il colpo e cadde. Sentì un dolore acuto
alla bocca e si portò la mano al bavaglio. La ritirò insanguinata. Si rialzò
e prese con delicatezza la mano di Kestania. La
sentì irrigidirsi nella sua. La guidò nel gesto che doveva compiere.
Finalmente il giovane capì: -
Non devo tenere la foglia mentre la stacco? Non deve essere schiacciata? Louis
annuì. Kestania eseguì correttamente il gesto. Quando
scesero Louis gli fece vedere come si preparavano alcune delle piante che
avevano raccolto: gli fece nuovamente ripetere le operazioni. Anche questa
volta ci furono alcune difficoltà, ma Kestania non
si innervosì più e si sforzò di comprendere quanto Louis cercava di
trasmettergli. Infine cominciò il giro dei malati. Il
ragazzo lo seguì dappertutto. Solo dalle prigioniere non andò. Lo disse
subito: -
Le bianche non le curerò. Louis
scosse la testa, ma non era in suo potere far cambiare idea al ragazzo. Tra le donne Madeleine
gli servì da interprete. Louis fu contento di aver dato a lei il bigliettino,
il giorno prima. Lo aveva fatto d'istinto, con la vaga idea di distrarla per
un momento dal suo dramma. Madeleine gli poneva le
domande giuste, quelle a cui era possibile rispondere con un cenno. Riusciva
a comprendere le sue risposte. Spiegava alle altre con cura. Louis
l'ascoltava e guardava le altre donne. Ora stava imparando ad ascoltare e si
rendeva meglio conto delle loro esigenze. Alla
fine della giornata, Kestania gli disse: -
Ho imparato molte cose. Imparerò in fretta. Non ne hai più per molto. Louis
pensò che era vero, presto il ragazzo sarebbe stato convinto di sapere tutto.
Anche lui dopo due mesi di pratica era convinto di possedere tutti i segreti
delle erbe. Era rimasto ancora un mese con il suo primo maestro ed un anno
con il secondo, ma sapeva che aveva ancora molto da scoprire. * Nella casa di Guillaume Grossetête, al Cap, Jean
osservava furente la crescente intimità tra il padrone e Robert. Nei confronti dei suoi fratellastri Jean
aveva sempre provato rabbia, nient’altro che rabbia. Essi avevano tutto; lui,
nato dallo stesso padre, era il loro schiavo. Era stato contento quando
Pierre Colas aveva portato la notizia che la Fierté era stata attaccata e che i padroni erano stati
tutti uccisi. Poi era comparso Guillaume, scampato al
massacro. E tutte le notti Robert dormiva con il
padrone, che a volte usciva perfino con lui. L’unica soddisfazione di Jean
era stata quella di comandare nella casa, quando i padroni non c’erano.
Robert e Rose erano alle sue dipendenze. Ora non aveva più nessun potere su
Robert e quel bastardo, perché tale era, un bastardo, di Guillaume lo aveva
anche rimproverato, senza dubbio su istigazione di Robert, perché voleva
battere Rose. Non aveva nessuna intenzione di
continuare così, l’ultimo degli schiavi in una casa di cui avrebbe dovuto
essere il proprietario ed in cui era stato a lungo almeno il principale
servitore. Da alcuni giorni gli erano venuti dei
dubbi sui rapporti tra Robert ed il padrone. C’era troppa familiarità tra loro.
Spesso si guardavano e sorridevano, quando pensavano che nessuno li
vedesse. Jean aveva incominciato a
chiedersi quanto legati fossero. Quella sera avrebbe controllato. Quando il padrone e Robert furono
entrati nella camera da letto, Jean si assicurò che Rose fosse nella propria
cameretta e si avvicinò alla porta. Guardò attraverso il buco della
serratura. Guillaume si stava spogliando di fronte a
Robert. Questo non significava molto, Robert era uno schiavo. Ma Guillaume
sembrava guardare Robert, che dava la schiena alla porta e doveva ricambiare
lo sguardo. Uno schiavo non si sarebbe mai permesso di fissare il padrone che
si spogliava, al massimo lo avrebbe aiutato. Guillaume fu presto nudo. Aveva un gran
bel corpo ed al pensiero che Robert, uno schiavo negro, potesse godere di
quel corpo, Jean si sentì sopraffare dalla rabbia, anche se a lui non
piacevano i maschi. Vide Guillaume avvicinarsi a Robert. Quei
due maiali si stavano baciando! Jean avrebbe voluto entrare e gridare
loro in faccia che erano due luridi porci, ma che cosa avrebbe guadagnato? Il
padrone lo avrebbe venduto, magari frustato. Robert si era spostato, Jean non
riusciva più a vederlo. Guillaume sorrideva, seguendo con lo sguardo Robert.
Gli stava venendo duro. Si voltò e si diresse verso il letto.
Aveva un bel culo. Di colpo Jean non vide più nulla. Robert
doveva aver spento la lanterna. Rimase un buon momento con l’orecchio
incollato alla porta. Poteva sentire sospiri, gemiti, risate sommesse. Quei due maiali stavano scopando. Ora
capiva la preferenza che il padrone aveva per Robert. Ma avrebbero pagato,
tutti e due. Presto, molto presto. |
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