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 13       La
  vita di Louis procedeva regolare, ma le uscite dalla città diventavano sempre
  più pericolose. Due volte sfuggì per un soffio ad un gruppo di neri armati.       Era
  l'inizio di giugno quando Llera tornò al Cap, due mesi dopo la sua ultima
  visita, e venne a trovare Louis. Fecero di nuovo conversazione, come l'ultima
  volta che si erano visti. Louis pensò che sembrava più una diagnosi che un
  dialogo. Llera individuò alcuni sintomi di malessere. Era vero: il carico di
  angoscia e la solitudine cominciavano a pesargli.        -
  Lei ha bisogno di un amico. Mi proporrei volentieri, perché le voglio molto
  bene e credo di esserle simpatico, ma al Cap vengo non più di quattro-cinque
  volte l'anno. Prima ci venivo di più, ma adesso muoversi è pericoloso e non
  intendo correre rischi che posso evitare.       Louis
  abbassò lo sguardo. Forse Llera aveva ragione, aveva bisogno di rapporti
  umani più autentici. Ma in qualche modo era lui stesso a renderli difficili,
  se ne rendeva perfettamente conto. I suoi silenzi non aiutavano.       Quella
  sera, dai Verneuil, ad un certo punto si parlò del dottore. Llera osservò:       -
  Meno male che le comunicazioni con la Francia sono abbastanza regolari, per
  cui le arrivano i medicinali che non produciamo qui.       Laure
  Verneuil intervenne:       -
  Usa soprattutto erbe.       Llera
  guardò perplesso Louis.       -
  E come se le procura?       Ci
  fu un attimo di silenzio. Tutti rimasero perplessi. Nessuno di loro ci aveva
  pensato. Llera riprese, guardando Louis fisso.       -
  Dottore, lei ha un orto qui in città, vero?       Louis
  annuì. Era vero, anche se non era tutta la verità. E Llera l'aveva capito
  benissimo.       -
  Ma le erbe dell'orto non bastano. Dottore, non mi dirà che esce dalla città,
  per raccogliere le erbe. E senza scorta, ci scommetto la testa! Non le manca
  la parola, le manca qualche rotella!       Louis
  sorrise. Curare era il suo lavoro, comportava dei rischi, lo sapeva, ma non
  avrebbe rinunciato a curare per stare al sicuro.       Llera
  parve riflettere ancora un attimo.       -
  E senza pistole, vero?       Fu
  Laure a rispondere:       -
  Gira sempre disarmato. Di questi tempi!       Louis
  abbassò lo sguardo. Complesso spiegare. Si rendeva conto che la sua era una
  scelta strana, in un periodo in cui la vita di tutti era continuamente
  minacciata e chiunque possedeva un'arma non se ne separava mai, neppure la
  notte, a letto: quanti padroni erano stati assassinati nel sonno dai loro
  schiavi! Ma l'idea di portare armi gli ripugnava: era medico, non se la
  sentiva di uccidere, neppure per difendersi.        Llera
  si rivolse al maggiore Verneuil, sapendo che era stato molto legato al padre
  di Louis.       -
  Maggiore, ma vuole che lo infilzino? Vuole far assegnare una scorta a questo
  incosciente, almeno quando si allontana dalla città, o preferisce vederlo
  morto e perdere il miglior medico dell'isola?        Il
  maggiore era rimasto disorientato, come tutti. Assunse un tono ufficiale:       -
  Certamente. Dottore, in quanto responsabile della sicurezza degli abitanti,
  le proibisco formalmente di uscire dalla città da solo. Ogni volta che
  intenderà uscire, venga da me e le assegnerò una scorta. Darò domani stesso
  le istruzioni.       Cambiando
  poi completamente tono, concluse:       -
  Louis, quando suo padre morì mi chiese di badare a lei. Glielo giurai. Non mi
  faccia questi scherzi. Me lo promette?       Louis
  annuì e con un sorriso ringraziò il maggiore per l'affetto che gli
  dimostrava. L'idea di avere una scorta gli faceva piacere, perché riduceva i
  rischi, ma lo privava dei suoi momenti di contemplazione solitaria e di
  questo avrebbe sofferto, lo sapeva.       Per
  un buon momento fu nuovamente al centro della conversazione. L'avvocato Dumay
  gli disse:       -
  In meno di sei mesi lei si è fatto una clientela di tutto rispetto. Gli altri
  medici sono gelosi. Se continua così diventerà ricco come un piantatore.       -
  O come un avvocato - interloquì Llera. Dumay lo fulminò con un’occhiata: era
  arrivato dalla Francia pochi anni prima, proprio per fare fortuna, ma non
  aveva avuto molto successo. Intervenne Laure Verneuil:       -
  Se lo pagano. Non chiede mai e molti ne approfittano per non pagarlo. E non
  parlo solo dei più poveri, quelli che cura gratis infilandosi, a volte anche
  di notte, nei peggiori vicoli della città, dove in questo periodo i bianchi
  armati preferiscono non farsi vedere nemmeno di giorno. Anche i più ricchi
  spesso non pagano.       Louis
  la guardò stupito. Tutto perfettamente vero, ma come diavolo lo sapeva?
  Intervenne ancora l'avvocato.       -
  A fine anno manderà il conto a tutti.       -
  In questo caso a fine anno al Cap ci sarà una crisi economica.       La
  battuta del maggiore chiuse l'argomento e Llera spostò la conversazione su un
  altro tema.        Il
  giorno successivo Llera si presentò da lui.       -
  Dottore, ho pensato che lei ha bisogno di un'infermiera, che l'assista e che
  le faccia anche da segretaria, richiedendo l'onorario.       A
  Louis l'idea dell'infermiera che richiedeva ai clienti di pagare il conto
  sembrava un po' assurda, ma un aiuto gli sarebbe servito.       -
  Vedo che, con qualche perplessità, è d'accordo. Vado a prenderle la persona
  giusta. Lavora seriamente, è onesta ed è in grado di capire le sue esigenze.
  E lei darà del lavoro a una persona che ne ha bisogno.       Tornò
  nel tardo pomeriggio, con una mulatta sui quarant'anni, che doveva essere
  stata una gran bella donna. Con la mediazione di Llera, Louis e la donna, che
  si chiamava Marie-Sophie, si misero d'accordo.       Al
  momento di andarsene, Louis sorrise per ringraziare Llera, ma questi lo prese
  in contropiede:       -
  Non mi ringrazi. Le devo la vita. Due volte.       Louis
  lo guardò interrogativamente.       -
  Di una non ha molto merito. Quella sera alla Fierté, controllando la
  situazione, avevo visto che Guillaume la stava seguendo lungo il sentiero. Ho
  pensato che sarebbe finita... com'è finita. E quando abbiamo concluso la nostra
  riunione, sono salito per aspettarvi sul sentiero, in modo che non rientraste
  da soli. Contavo di lasciar rientrare Guillaume per conto proprio e poi di
  tornare io con lei, per evitare che qualcuno capisse. Ero abbastanza in alto
  quando ho visto la piantagione prendere fuoco e mi sono reso conto di quanto
  succedeva. Ho sparato due colpi per avvertire quelli della casa, tutto quello
  che potevo fare, e poi sono scappato lungo il sentiero e mi sono nascosto.
  Avrei voluto raggiungervi, ma non sapevo dove trovarvi e non potevo certo
  mettermi a chiamarvi. Così il mattino all’alba ho preso un sentiero che
  conoscevo e me ne sono andato. Comunque quella volta, se non fosse stato per
  lei, non mi sarei salvato.       Louis
  scosse la testa.       -
  Sì, capisco quello che vuole dire, non ha nessun merito, se non quello di
  essermi stato simpatico. Ma quanto ha fatto al campo e come l'ha fatto,
  quello è un altro discorso. Basta. Me ne vado o la metto in imbarazzo, ma lei
  è una mammoletta, dottore. Una mammoletta d'acciaio, comunque.       Sorrise,
  lo abbracciò e se ne andò.       Louis
  non lo rivide fino a due giorni dopo, quando Llera passò a salutarlo.        -
  Contento della sua infermiera?       Era
  ancora presto per giudicare, ma la prima impressione era ottima e nei mesi
  successivi fu pienamente confermata.        Marie-Sophie
  era molto attenta alle esigenze di Louis ed a quelle dei clienti, teneva in
  ordine lo studio, controllava le riserve delle erbe e dei medicinali,
  segnalando per tempo a Louis le possibili carenze. Segnava le visite, in modo
  da poter richiedere gli onorari e si occupava della loro riscossione.        Ora
  che c’era Marie-Sophie ad aiutarlo, Louis si chiese come aveva fatto a stare
  dietro a tutto. Le giornate erano molto dense ed anche dai Verneuil andava
  con minore frequenza, perché la sera era sempre molto stanco. Ma non era solo
  stanchezza. C'era una sottile inquietudine, un senso di insoddisfazione.
  Llera aveva ragione, si sentiva solo.       La
  solitudine lo spinse ad interrogarsi sul proprio silenzio. Era strano: gli
  capitava di riflettere sui diversi aspetti del suo lavoro, sui problemi
  dell'isola, sulla condizione dell'uomo, a volte su di sé, ma non pensava mai
  al suo silenzio. Lo dava per scontato, non si era più posto il problema.
  Aveva via via affrontato le difficoltà che nascevano dal non usare le parole,
  ma non lo aveva mai messo in discussione.       Non
  avrebbe saputo spiegare perché taceva. Probabilmente perché si era sentito
  troppo inadeguato con le parole. Perché le sue parole erano state una delle
  scorie che erano bruciate nel fuoco. Avrebbe taciuto per sempre? No,
  probabilmente avrebbe ripreso a parlare. Ma anche quello, doveva venire da
  sé. Non sarebbe stata una sua decisione, non una decisione cosciente, almeno.
  Quando si fosse sentito pronto, avrebbe parlato. Quando? Non ne aveva la più
  pallida idea.             Jorge
  Llera non ritornò al Cap per altri due mesi.        Quando
  arrivò, come al solito andò da Gabriel. Rimase da lui poco tempo, perché
  aveva molti affari da sbrigare: da quando aveva smesso di venire regolarmente
  in città, concentrava nei pochi giorni di permanenza molte incombenze.       La
  sera però non prese nessun impegno: aveva voglia di stare un po’ con Gabriel,
  che era la persona a cui teneva di più al Cap. Anche al dottore teneva,
  molto. Quello strano dottore che non usava le parole.       Discusse
  con Gabriel della situazione dell’isola, sempre più drammatica.       Gabriel
  sentì le ultime notizie, poi disse.       -
  Conto di partire, Jorge.       Jorge
  lo guardò stupito.       -
  Qui la situazione va peggiorando di giorno in giorno. Non ho nessuna voglia
  di continuare così. Ho intensificato le mie attività, per racimolare un
  piccolo gruzzolo e ricominciare da un’altra parte. Martinica, Guadalupa,
  magari gli Stati Uniti.        Jorge
  annuì. Non poteva dargli torto.       -
  Hai mai pensato di stabilirti nei territori spagnoli, dalle mie parti,
  insomma?        -
  Pensi mica che i problemi non arriveranno anche lì, ragazzino?       Gabriel
  aveva ragione. I neri dei domini spagnoli non sarebbero stati a guardare ed
  era probabile che anche in quella parte dell’isola ci fossero disordini.
  Jorge guardò Gabriel. Sapeva che avrebbe sentito la sua mancanza, molto.       -
  Quando conti di partire?       -
  Non tanto presto. Mi troverai ancora qui, la prossima volta che vieni, e
  magari anche quella dopo. Può darsi che rimanga tre mesi, come un anno. Ma mi
  tengo pronto e se la situazione peggiora di colpo, lascio baracca e
  burattini.       Jorge
  scosse la testa.       -
  Mi farà effetto venire al Cap e non fermarmi più in questa casa.       Gabriel
  ghignò.       -
  Se vuoi te la vendo, basta che mi paghi bene.       -
  In questo periodo sono in tanti a lasciare l’isola, penserai mica di trovare
  qualcuno disposto a pagarti bene questa catapecchia?       -
  Senti ragazzino, sono in tanti ad andarsene, ma sono ancora di più a venire
  da tutta l’isola al Cap, sperando di essere un po’ più al sicuro. Questa casa
  ha il suo valore, ma mi rivolgerò a qualcuno che la sappia apprezzare.
  Comunque la prossima volta che vieni al Cap, ti puoi cercare un altro posto
  dove posare il culo.       Jorge
  rise. Poi fece un sorriso malizioso, si alzò e raggiunse la poltrona su cui
  sedeva Gabriel. Lo guardò in faccia, ghignò, si voltò e si sedette su
  Gabriel, dicendo:       -
  Questo mi sembra un ottimo posto per posare il culo!        Gabriel
  grugnì. La sua mano si appoggiò sulla patta di Jorge e la carezza completò un’evoluzione
  già in atto. Gabriel emise un altro grugnito, chiaramente di approvazione,
  poi slacciò la cintura di Jorge e lo forzò ad alzarsi. Gli abbassò i
  pantaloni ed osservò il bel culo sodo che aveva davanti agli occhi. Mollò un
  morso deciso, poi passò la lingua sul solco, due volte. Si aprì i pantaloni,
  da cui emerse, perfettamente pronta all’uso, una picca di tutto rispetto.
  Rimise le mani sui fianchi di Jorge e lo guidò a sedersi di nuovo. Solo che
  questa volta, nell’abbassare il culo, Jorge trovò uno strumento destinato a
  limitare i suoi movimenti.       Gabriel
  usò una mano per tenere l’arnese in posizione e lentamente Jorge s’impalò su
  quel bastone di carne. Non fu un’operazione indolore e la fronte di Jorge si
  coprì di goccioline di sudore. Eppure per nulla al mondo si sarebbe sottratto
  a quel palo che lo infilzava: era un tormento che avrebbe voluto non avesse
  mai fine.         Quando
  la picca fu completamente dentro di lui, Jorge si abbandonò sul corpo di
  Gabriel, che lo stringeva. Sentì che le sue mani gli aprivano la camicia ed
  ora gli accarezzavano il torace, gli stringevano i capezzoli, facendolo
  sussultare, scendevano fino al ventre, stringendo l’asta, meno grande ma non
  meno tesa di quella che aveva in culo. Quando la mano accarezzò i coglioni,
  Jorge gemette.        -
  Gabriel!       Le
  mani di Gabriel si muovevano decise e le loro carezze gli incendiavano la
  pelle. Jorge chiuse gli occhi, abbandonandosi completamente alle sensazioni
  che gli trasmettevano l’arma che aveva in culo e le mani che si muovevano su
  di lui.       Gabriel
  accarezzò a lungo il corpo di Jorge, che si sentiva fluttuare in un’immensità
  di piacere. Poi le sue mani si posarono sui fianchi di Jorge, lo sollevarono
  leggermente e lo fecero poi ricadere. Jorge assecondò i movimenti di quelle
  mani, mentre a sua volta Gabriel spingeva. Il piacere si mescolò con il
  dolore, ne ricavò forza, si avvolse in spirali di desiderio in cui Jorge si
  smarriva.       I
  colpi divennero più forti, la sofferenza più intensa, ma una mano di Gabriel
  ora si era posata sulla sua mazza ed era un tizzone che suscitava un
  incendio.  Piacere e dolore divennero
  troppo forti e Jorge gemette, mentre un fiotto saliva altissimo, fino a
  raggiungergli il torace. E dentro di lui, nel suo culo martirizzato, Gabriel
  veniva con uguale impeto.  Il giorno dopo, Jorge Llera
  entrò nello studio di Louis Reybert, lo guardò in faccia ed esordì, brusco:       -
  Da quanto tempo non si prende un giorno di riposo? I suoi pazienti possono
  sopravvivere anche senza di lei, ma lei non sopravviverà a lungo a questo ritmo,
  anche se è di acciaio.       Louis
  sapeva che era vero: riposava poco. Durante la settimana, lavorava
  intensamente. La domenica, a parte qualche visita ai pazienti che ne avevano
  bisogno, c'era da organizzare il lavoro della settimana, controllare la situazione
  delle erbe e dei medicinali, ripensare agli interventi effettuati ed a quelli
  necessari: nonostante l'aiuto di Marie-Sophie, le giornate erano tutte piene.
            
  Llera si rivolse alla donna.       -
  Marie-Sophie, prendi nota: dalla settimana prossima il dottore non riceve più
  di giovedì.       Si
  rivolse a Louis, sorridendogli.       -
  Il giovedì va bene, no, come giorno di riposo? E non mi guardi così. Mi
  verrebbe da pensare che non sono più il suo ex-paziente preferito.       Sorridendo
  si avvicinò a lui e lo abbracciò. Louis era un po' irritato dalla pretesa di
  Llera di decidere per lui, ma gli era anche grato: gli sembrava che fosse
  l'unica persona che veramente si preoccupava per lui.       A
  differenza degli altri interventi di Llera, il giovedì di riposo non fu
  rispettato, o, meglio, lo fu solo la prima settimana, quando Llera lo venne a
  prendere e lo accompagnò a raccogliere erbe.       -
  Con me è più sicuro che con la scorta del maggiore Verneuil.        Dopo
  aver raccolto erbe, Louis si sedette nuovamente a guardare il mare. Llera non
  disse nulla e rimase discosto. Quando Louis si rialzò, Llera lo guardò in
  viso e gli disse:       -
  Mi spiace che lei debba servirsi della scorta. Vedo che venire qui senza
  importuni la aiuta molto. È senz'altro più sereno di quando è partito. Ma i
  rischi sono troppo alti. 
 14 Passarono di nuovo alcuni
  mesi prima che Llera ritornasse al Cap. Gabriel non era ancora partito,
  perché le attività a cui si stava dedicando, in larga parte illecite, erano
  alquanto lucrose: in un periodo di disordini continui, in cui era impossibile
  circolare liberamente, un uomo deciso era in grado di guadagnare somme
  considerevoli. E Gabriel non difettava certamente di decisione.    Quando Llera arrivò,
  Gabriel era sulla soglia di casa: stava partendo per alcuni giorni. Perciò,
  come era già successo altre volte, Llera avrebbe avuto la casa tutta per sé.  Llera aveva diversi impegni
  in città, ma prima di tutto contava di passare dal dottore. Mentre stava
  raggiungendo lo studio di Louis, incontrò Guillaume Grossetête.  Si erano già visti alcune
  volte al Cap, soprattutto a casa di Laure Verneuil. Jorge avrebbe volentieri
  intinto il biscotto con il bell’erede dei Grossetête, visto che ormai
  Guillaume era stato svezzato e non aveva più intorno parenti minacciosi. Ma
  in quella situazione le sue visite al Cap, alquanto sporadiche, erano
  semplicemente viaggi d’affari, in cui non c’era il tempo per nuove conquiste.
  Gabriel gli dava sesso e tenerezza e di altro non aveva bisogno. All’amore
  non pensava: una volta gli era bastata. Si misero a parlare. Come
  tutti, Guillaume aveva molte preoccupazioni sul futuro del paese e si
  chiedeva che cosa fare. Vedendo Llera, pensò di consultarsi con lui: era un
  uomo ben informato, che aveva contatti in ambienti diversi, ed in quella
  specie di gioco d’azzardo che era la situazione di Haiti, aveva qualche
  possibilità in più di prevedere le prossime mosse.  Perciò, dopo aver scambiato
  qualche parola di cortesia, gli disse che avrebbe voluto porgli alcune
  domande sulla situazione dell’isola. Non erano molto lontani dalla casa di
  Gabriel e Jorge decise di invitare Guillaume. Avrebbero parlato
  tranquillamente. E magari alla conversazione avrebbe fatto seguito altro… Arrivando a casa ebbe però
  una sorpresa: Gabriel era ritornato indietro, per motivi che naturalmente non
  spiegò davanti all’ospite. Jorge Llera accantonò i suoi progetti e coinvolse
  Gabriel nella conversazione con Guillaume: anche lui era in grado di
  consigliare il ragazzo. Discussero a lungo e
  Gabriel offrì da bere. Dopo aver bevuto, Jorge si chiese se davvero era il
  caso di rinunciare all’idea che aveva accarezzato quando aveva invitato
  Guillaume a casa sua. Provare non costava nulla. Guillaume non si sarebbe
  scandalizzato: con Louis Reybert aveva scopato. Gabriel sarebbe stato al
  gioco. Ed era un gioco che si poteva fare in tre.  Guillaume era seduto su una
  sedia, di fronte al tavolo. Jorge, che era in piedi, si appoggiò al tavolo,
  esattamente di fianco a Guillaume. Le sue gambe sfioravano i pantaloni del
  giovane. Jorge sapeva di essere attraente e vide che Guillaume lo guardava
  con un certo interesse. - Non le spiace lasciare il
  Cap? Non ha legami qui?  Guillaume esitò un attimo.
  Jorge pensò che qualche legame c’era, certamente, ma non doveva essere così
  importante o forse Guillaume se ne sarebbe andato con l’uomo o la donna a cui
  teneva. Chi fosse, Jorge non avrebbe saputo dire, ma non aveva importanza. - Non lascio nessuno, non
  ho parenti, neppure molti amici. Nessuno a cui sia realmente affezionato. - Parte da solo? - Con il mio schiavo, se
  tale posso ancora chiamarlo. Llera si disse che
  probabilmente scopava con lo schiavo. - Peccato, sarà molto
  rimpianto… - Non mi prenda in giro,
  signor Llera. Nessuno si accorgerà neppure della mia partenza. - Scherza, un bel ragazzo
  come lei? Conosco un sacco di gente che farebbe carte false per… conoscerla
  meglio. Guillaume sorrise. - Ad esempio? Anche Jorge sorrise, mentre
  diceva: - Ad esempio il signore che
  ha di fronte e quell’altro che se ne sta seduto su una sedia nell’angolo.  Si guardarono un momento
  direttamente negli occhi e Jorge si disse che era fatta. Non c’era bisogno di
  altro, Guillaume ne aveva voglia come ne aveva voglia lui. E Gabriel si
  sarebbe unito al gioco volentieri. Guillaume aveva capito
  abbastanza in fretta le intenzioni di Llera. D’altronde conosceva la sua
  fama. Da quando era iniziata la sua relazione con Robert, non aveva più avuto
  rapporti con altri uomini. Qualche donna gli aveva fatto capire il proprio
  interesse, ma nessuna gli sembrava attraente. Quanto agli uomini, non aveva
  cercato altri, non ne aveva sentito il bisogno, ma ora che questa occasione
  gli si offriva, non gli dispiaceva.  Non conosceva quel Gabriel,
  ma di Llera si fidava. Se Gabriel era amico suo, non c’erano rischi. E poi lo
  stuzzicava l’idea di scopare in tre. Non gli sarebbe dispiaciuto se ci fosse
  stato anche Robert. Il pensiero di vedere Robert infilzare Llera o succhiare
  l’arma di Gabriel era alquanto stimolante. Magari, un’altra volta. Si spostarono nella camera
  da letto. Gabriel lasciò che fosse Jorge ad aprire la strada. Llera spogliò
  il ragazzo. Le sue mani si muovevano abili, accarezzando e sfilando gli
  indumenti (che non erano molti, viste le temperature dell’isola). Guillaume
  lo lasciò fare, un po’ impacciato. Ma quando Jorge si inginocchiò davanti a
  lui e gli sfilò l’ultimo capo, divenne evidente che l’uccello non era per
  niente intimorito dalla presenza di due maschi vigorosi, anzi, sembrava
  piuttosto interessato a partecipare. Jorge sorrise, fece un commento
  apprezzativo ed aprì la bocca ad accogliere l’ospite. Guillaume sussultò e chiuse
  gli occhi, preso in un vortice di sensazioni fortissime. Llera ci sapeva fare
  con la lingua, come ci sapeva fare! In quel momento sentì una carezza umida
  lungo il culo, poi due morsi delicati ed uno più deciso. Gabriel si era
  avvicinato e, mettendosi anche lui in ginocchio, aveva incominciato a
  preparare il terreno. La sua lingua percorreva il solco, indugiando ogni
  volta sull’apertura segreta, forzandola. Guillaume incominciò a
  gemere. Le sue mani si perdevano nei lunghi capelli di Jorge Llera,
  accarezzando e tirando, ora delicate, ora più brusche, ogni qual volta la
  bocca di Jorge o la lingua di Gabriel accendevano un nuovo fuoco.  Quando le labbra di Jorge
  lasciarono la presa, Guillaume sentì un senso di vuoto. Jorge era davanti a
  lui, sorridente. Guillaume gli sfilò la camicia ed incominciò a spogliarlo,
  cercando di non muoversi troppo, perché la bocca che continuava a
  mordicchiare ed a leccare il suo culo non si staccasse. Quando Guillaume gli calò i
  pantaloni, mettendo in mostra un uccello già perfettamente pronto, Jorge finì
  di spogliarsi da solo. Poi le sue mani accarezzarono il viso ed il collo di
  Guillaume e le loro labbra si incontrarono. Due volte la lingua di Jorge
  entrò nella bocca di Guillaume e quando si ritirò, fu quella di Guillaume ad
  avanzare.  La bocca di Gabriel
  interruppe la sua opera. Guillaume si voltò e vide che Gabriel si stava
  spogliando. Guardò quel corpo massiccio, la pancia sporgente, il pelo fitto.
  Quando infine Gabriel si calò le mutande, fissò ammaliato il grande uccello.
  Non riusciva più a distoglierne gli occhi. Gabriel sorrise, gli si avvicinò e
  lo voltò, poi si appoggiò contro di lui, stringendolo tra le sue braccia, in
  una morsa di ferro. I loro corpi ora aderivano e la grande picca di Gabriel
  premeva lungo il solco tra le natiche di Guillaume. Guillaume si sentiva
  smarrito. Sapeva quello che sarebbe successo e lo voleva, con tutte le sue
  forze, ma il pensiero lo turbava. Gabriel gli mise le mani
  sotto le ascelle e lo spinse, con delicatezza, a piegarsi in avanti.
  Guillaume ubbidì docilmente, allargando un po’ le gambe per avere una
  migliore base di appoggio. Quando il suo torso fu perpendicolare alle gambe,
  Guillaume si trovò ad un palmo dalla faccia la picca di Jorge. Con le mani afferrò il culo
  di Jorge e lo avvicinò a sé. Prese in bocca la picca e la avvolse. Era bello
  assaporare quel pezzo di carne calda dentro la bocca, un boccone appetitoso. In quel momento Guillaume
  sentì che due dita umide si facevano strada dentro di lui. Si abbandonò
  completamente, privo di ogni volontà. Le sue mani stringevano il culo di
  Llera e quelle di Gabriel ora avevano afferrato il suo, lo allargavano. La
  picca avanzò, fu sull’apertura, la costrinse a dilatarsi, sempre di più. Poi,
  lentamente, l’arma entrò nella carne. Guillaume avrebbe voluto
  gemere, ma l’arma che aveva in bocca gli rendeva difficile emettere suoni.
  Chiuse gli occhi e lasciò che le due sensazioni, entrambi fortissime, lo invadessero
  completamente. La picca, imponente, che gli devastava il culo, entrava sempre
  più a fondo; l’altra gli riempiva la bocca. Guillaume avrebbe voluto lavorare
  con la lingua e le labbra, ma le forze gli mancavano. Aveva l’impressione che
  sarebbe crollato se le mani di Gabriel non l’avessero sostenuto.  Gabriel prese a spingere
  con maggior vigore ed anche Jorge iniziò a muovere il culo avanti indietro,
  facendo avanzare la sua arma nella bocca di Guillaume e poi ritirandola.  Le spinte di Gabriel divennero
  ancora più forti, fino a che Guillaume sentì un sonoro grugnito ed un fiotto
  gli riempì le viscere. Ora la picca riprendeva dimensioni più tollerabili ed
  era bello sentirla, ancora grande e forte, dentro il culo. Guillaume afferrò
  con forza il culo di Jorge e riprese a succhiare e leccare, fino a che la sua
  bocca si riempì del seme. Guillaume inghiottì. Allora Gabriel uscì da lui
  ed anche Jorge arretrò di un passo. Guillaume si raddrizzò. Jorge e Gabriel
  si scambiarono le posizioni, ma questa volta Gabriel si inginocchiò e prese
  in bocca l’uccello di Guillaume, mentre Jorge si mise a leccargli e mordergli
  il culo. La bocca di Gabriel era
  accogliente e la sua lingua si muoveva decisa. Le labbra accarezzavano ed a
  tratti i denti mordicchiavano, con molta delicatezza. La tensione era troppo
  forte e presto Guillaume sentì che il piacere debordava. Un’ondata lo
  travolse, sommergendolo. La stanza gli sembrò svanire e sarebbe forse caduto,
  se Gabriel e Jorge non lo avessero sostenuto. Gabriel lo sollevò e lo adagiò
  sul letto. Jorge gli si stese a fianco, accarezzandolo. Guillaume si
  abbandonò a quelle carezze. Gabriel rimase a guardare per un po’, poi si mise
  su Jorge ed entrò dentro di lui. Guillaume lesse sul viso di
  Jorge il piacere e la tensione di quell’ingresso e con le dita gli accarezzò
  una guancia. Era bello vedere il corpo possente di Gabriel su quello robusto,
  ma meno massiccio di Jorge.  Una mano di Gabriel gli
  accarezzò l’uccello e Guillaume si rese conto che il suo corpo stava di nuovo
  reagendo. Sorrise. Il pomeriggio era appena agli inizi. *       Così
  quel giorno Llera non passò da Louis, che non sapeva del suo arrivo, ma lo
  vide la sera dai Verneuil. Arrivò con Guillaume, che zoppicava leggermente.
  Mentre salutavano, Guillaume spiegò:       -
  Oggi ho fatto un giro a cavallo, ma ad un certo punto sono caduto e ho preso
  una botta. Niente di grave.       Llera
  stava abbracciando Louis e gli sussurrò in un orecchio:       -
  Eh, sì. Se uno non fa attenzione, cavalcare a lungo può far male.       Poi
  arretrò di un passo e fissò Louis negli occhi, con un sorriso sardonico.
  Louis capì e si sentì a disagio.       A
  tavola Guillaume e Llera ridacchiavano e Louis si interrogava, confuso e
  spaventato. Perché la loro relazione lo turbava? Non desiderava Guillaume. Di
  questo era sicuro. Poi, di colpo, capì. Ebbe l'impressione di aver ricevuto
  una botta improvvisa, si sentì sbilanciato, non più padrone di se stesso.
  Fortunatamente nessuno guardava nella sua direzione, ma ora Louis aveva paura
  di incrociare lo sguardo di Llera. In quelle sere a tavola, Llera lo guardava
  spesso, e sempre gli sorrideva. Per tutta la serata, evitò di ricambiare
  quello sguardo, ma quando era sicuro che Llera stava guardando da un'altra
  parte, lo fissava.        Louis
  si alzò per andarsene molto prima del solito. Vide che Llera diceva qualche
  cosa a Guillaume e poi si avvicinava a lui.       -
  Se non le spiace, la accompagno, avrei piacere di parlare un momento con lei.
         Salutò
  tutti, dicendo che sarebbe tornato dopo aver riaccompagnato il dottore a
  casa.       Louis
  avrebbe preferito rimanere da solo. Era a disagio. Camminarono in silenzio.
  Poi, giunti a casa di Louis, Llera disse:       -
  Salgo un attimo. Con lei si può parlare solo alla luce e qui è troppo buio.       Quando
  furono in casa, Llera si sedette su una poltrona e fece cenno a Louis di
  accomodarsi sull'altra, come se fosse stato lui il padrone di casa.       Louis
  si sedette.       -
  Mi spiace, non pensavo che le importasse di Guillaume. Credevo che non…       Tacque,
  vedendo l'espressione di Louis. Si doveva essere reso conto che Louis effettivamente
  non teneva a Guillaume, ma ora era perplesso, non capiva. Meglio così.        -
  Mi scusi, lei questa sera era molto turbato, durante la cena, mentre non lo
  era quando siamo entrati noi. Ho pensato che la mia allusione alla… faccenda
  tra me e Guillaume fosse la causa del suo turbamento. Ma non devo avere
  indovinato.       Aveva
  indovinato, come sempre, ma non aveva capito. Difficile capire: Louis stesso
  lo aveva realizzato solo quella sera.       -
  Ho la pretesa di leggere i suoi pensieri, ma, come vede, non sempre azzecco.
  E questa sera lei non ha nessuna intenzione di farsi leggere i pensieri da
  me. Mi sembrerebbe scorretto insistere, non voglio essere invadente, anche
  se... Nei suoi confronti sono molto più curioso di quanto sia corretto. Me ne
  rendo conto. Ma lei mi piace molto, Reybert.       Si
  alzò per andarsene e Louis respirò sollevato. Llera lo abbracciò, come faceva
  sempre, ma questa volta le sensazioni di Louis furono molto confuse.       Sulla
  soglia, Llera si voltò:       -
  Quello che c'è stato tra Guillaume e me è stato molto piacevole, ma privo di
  importanza, come ...       Non
  proseguì, ma Louis capì. Abbassò il capo, confuso. Era un altro Louis, quello
  che aveva conosciuto il corpo di Guillaume, quella notte.        -
  È stato solo un gioco. Piacevole, le dicevo, molto, ma tutto di superficie.
  L’anima di Guillaume appartiene ad un altro. Quanto alla mia… da molto tempo
  mi guardo bene dal darla a qualcuno. Una volta m'è bastato. Fa troppo male.       Louis
  si stupì della confidenza di Llera. Questi capì e sorrise.       -
  Le sto dicendo di me cose che non dico a nessuno. Lei non parla più e fa
  parlare gli altri. Una bella vendetta.       Si
  avvicinò e lo abbracciò di nuovo.       -
  Abbia cura di sé, Reybert. Ci vedremo presto. Dopodomani sera sono di nuovo
  dai Verneuil, venga anche lei. E comunque, rimango in città una settimana.       Quella
  sera Louis si coricò molto presto, ma passò lunghe ore ad occhi aperti. Amava. Questa era la
  semplice verità. La sua anima apparteneva a Llera, di cui non sapeva neppure
  il nome di battesimo.               Due
  sere dopo tornò dai Verneuil: era invitato sempre, per lui c'era comunque un
  posto a tavola ogni sera, ma da tempo non riusciva più ad andare due sere a
  così breve distanza. Vide che Laure era stupita, ma contenta. Stava parlando
  con un'amica, Ève Hauteville, che Louis aveva visto di rado da loro. Era la
  moglie di un piantatore ed abitualmente trascorreva solo alcuni mesi in
  città: ora l'estendersi della ribellione aveva suggerito un trasferimento al
  Cap, per un periodo indeterminato.       -
  Ho saputo che Jorge Llera è in città.        Jorge!
  Si chiamava Jorge. Scoprire il nome di Llera gli trasmise una sensazione di
  piacere intenso. Bastava così poco? Era tanto innamorato? Sì, lo era, inutile
  negarselo. Jorge era un bel nome.       La
  signora Hauteville proseguì.       -
  Qual è la sua ultima conquista?       Louis
  si sentì gelare. Laure rise.       -
  Per il momento, non si sa. E poi ormai viene poco in città, forse non ha più
  il tempo per fare stragi di cuori.       -
  Mi chiedo come sia possibile che una donna per bene si metta con un tipo come
  lui.       -
  Perché no? È un bell'uomo. Certo, non è un amante fedele, ma almeno non c'è
  il rischio di ritrovarselo tra i piedi, dopo. Basta non innamorarsi.          Louis
  si rese conto di non essere in grado di reggere. Doveva andarsene. Subito.
  Con uno sforzo, lasciò passare un momento, aspettando che la conversazione si
  spostasse ad un altro argomento, poi salutò Laure.       -
  Ma, dottore, se ne va?       Louis
  annuì. Non era in grado di restare. Sorrise, cercando di nascondere l'inferno
  che aveva dentro, e si diresse rapidamente a casa.       Non
  tornò più dai Verneuil per tutta la settimana. Aveva paura di incontrare
  Llera. E desiderava vedere Llera più di ogni altra cosa al mondo. La frase di
  Laure gli ritornava continuamente in testa: basta non innamorarsi. Basta non
  innamorarsi di Jorge Llera. Jorge. Troppo tardi. Ormai la sua anima
  apparteneva a Jorge.       Llera
  non passò a salutarlo. Louis ne soffrì.       Una
  notte, qualche tempo dopo l'ultima visita di Llera, sentì bussare alla sua
  porta.        -
  Dottore, sono io, Justine.       Louis
  aprì.       -
  Venga subito, la prego, mio figlio sta male.       Louis
  si vestì rapidamente, prese la sua borsa ed uscì. La donna lo condusse nel
  suo piccolo appartamento, in una parte della città dove ormai i bianchi
  andavano malvolentieri. Ma Louis non aveva paura. In città aveva poco da
  temere: era conosciuto e rispettato da tutti.        Il
  bambino aveva la febbre molto alta ed accessi di vomito, ma non era nulla di
  grave. Le cure di Louis fecero rapidamente effetto. Mentre aspettava per
  assicurarsi che la febbre scendesse, Louis si guardò intorno. In un angolo,
  poggiato a terra, vide un candelabro d'argento. Rimase a fissarlo, stupito di
  quell'oggetto di lusso, fuori posto in quella casa. Poi comprese: proveniva
  da casa sua. Non si era neanche accorto della sua scomparsa.       Justine
  seguì il suo sguardo ed ebbe un movimento di paura. Louis alzò le spalle.       Quando
  fu sicuro che il bambino stava ormai meglio, Louis si alzò per andarsene.
  Justine prese il candelabro, lo avvolse in uno straccio e glielo diede, con
  gli occhi bassi.       -
  Mi perdoni, dottore.       Louis
  alzò nuovamente le spalle ed uscì. Che senso aveva che se lo riprendesse? Non
  gliene importava niente. Non si era nemmeno accorto della sua scomparsa.                          Il
  lavoro proseguiva, intenso. Di Llera nessuna notizia. Passarono diversi mesi.
  Non era mai capitato che rimanesse tanto tempo lontano. Louis era
  preoccupato: che gli fosse successo qualche cosa? Non sapeva chi potesse
  avere informazioni.              Un
  giorno Laure gli disse:       -
  Llera le manda i suoi saluti. Non è più tornato in città, ma ci ha scritto,
  dicendo che sta bene e pregandoci di salutarla.        Era
  vivo, l'importante era questo. No, l'importante non era solo questo. Era vivo
  e lontano e quella lontananza era un macigno che lo schiacciava. Perché lo
  aveva evitato, l'ultima volta che era venuto in città? Perché Llera se n'era
  andato senza salutarlo? Perché? 
 15 Ora che alla fatica del lavoro si
  aggiungeva la sua sofferenza personale, c'erano momenti in cui Louis non si
  sentiva in grado di reggere.       
  Si sforzò di reagire e decise di seguire i consigli di Llera. Cercò di
  prendersi un giorno di riposo fisso, da dedicare a se stesso, e di tener
  maggiormente conto delle proprie esigenze.       
  Non andò più a richiedere la scorta quando usciva per andare a
  raccogliere le erbe. Aveva bisogno di stare da solo.       Circa
  un mese dopo, il tenente Bernaud, che spesso lo aveva accompagnato, venne da
  lui.       -
  Dottore, non è più venuto a chiedere la scorta. Inizialmente mi sono chiesto
  se il dottore era ammalato, ma mi hanno detto che è sano come un pesce. Va da
  solo?       Louis annuì.       -
  Perché? È molto pericoloso. Due giorni fa un soldato è scomparso, proprio
  nella zona dove di solito va lei. Io dico scomparso, ma lei sa benissimo che
  cosa significa. Louis avrebbe dovuto parlare, per spiegare, ma aveva
  rinunciato alla parola. Bernaud lo guardò negli occhi.       -
  Ha bisogno di stare da solo?       Louis
  annuì, stupito e contento che il tenente avesse indovinato.       -
  L'accompagnerò io e, quando sarà necessario, rimarrò indietro. Se deve
  visitare qualcuno, faccia conto che io non esisto. Mi terrò a debita
  distanza.       No,
  Bernaud non aveva indovinato, ma non era importante: Louis gli era comunque
  grato della sua premura. A volte gli sembrava che tutti gli chiedessero cose,
  ma che nessuno si preoccupasse di lui.        Bernaud
  tenne fede alla parola. Lo accompagnò senza stargli troppo vicino. Quando
  Louis si sedette, si mise un po' discosto. Quando, un’ora dopo, Louis si alzò
  per tornare in città, gli sorrise e gli disse:       -
  Avevo indovinato: aveva davvero un appuntamento. Ma non avevo capito che era
  con se stesso.       Bernaud
  lo accompagnò più volte e si dimostrò sempre molto discreto. Louis gliene fu
  riconoscente.        Le
  passeggiate per raccogliere le erbe contribuirono a ridargli un po' di
  serenità; l'affetto dei Verneuil e l'attenzione di Bernaud lenivano la sua
  solitudine; i limiti posti al lavoro gli permisero di riprendere un ritmo di
  vita più tranquillo.        Si
  diceva che non era felice, ma abbastanza sereno. Era già un buon risultato,
  di quei tempi.        Il
  dottore era uno strano tipo, davvero. Poteva parlare, ma stava zitto, girava
  senza armi quando ad ogni angolo poteva trovare qualcuno intenzionato a
  fargli la pelle, si fermava a meditare in posti in cui potevano arrivare
  bande di negri a squartarlo. Bernaud sorrise di sé. E lui non era un bel
  tipo? Poco c’era mancato che il maggiore non lo ammazzasse infilandogli una
  sciabola in culo e se era arrivato a quel punto lui aveva la sua buona parte
  di responsabilità.       Dopo
  quella volta in cui lo aveva colpito, non si erano più incontrati a tu per
  tu. Di fronte agli altri simulavano completa indifferenza. Bernaud era
  contento che quella storia fosse finita, non aveva nessuna intenzione di
  farsi ammazzare. Ma adesso il desiderio lo tormentava.        Guardò
  il dottore. Gli piaceva molto. Era davvero una bella persona. Non era
  esattamente il suo tipo d’uomo, lui aveva bisogno di qualcuno che lo
  dominasse. Ma gli piaceva davvero.       Il
  dottore era triste, gli sembrava che ogni volta fosse più solo. Ma se non
  parlava, era inevitabile.       Quel
  giorno, tornando in città, Gaspard decise di accompagnarlo a casa. Di solito
  si lasciavano poco dopo aver raggiunto il Cap. Gaspard sapeva benissimo che
  per le vie il dottore correva pochi rischi: in città lo conoscevano tutti e
  ben difficilmente sarebbe stato attaccato di giorno.       Il
  dottore fu un po’ stupito, ma gli sorrise. Con un cenno lo invitò a salire.        Quando
  furono in casa, Gaspard si chiese che cosa era venuto a fare. Guardò il viso
  sorridente del dottore. Un sorriso gentile, ma non allegro. Gaspard si
  avvicinò e gli carezzò una guancia. Non era abituato ad esprimere tenerezza.
  Il suo rapporto con il maggiore era stato di tutt’altro tipo.       Louis
  incominciò a piangere. Gaspard gli prese le guance tra le mani e lo baciò
  sulla bocca. Poi gli sfilò la giacca e la camicia e lo strinse contro il
  proprio corpo. Non avrebbe saputo dire che cosa intendeva fare. Sapeva che
  voleva consolarlo. Sentì che il dottore si abbandonava a quella stretta e
  sorrise.       Lo
  baciò ancora, poi si tolse la giacca e la camicia ed incominciò ad armeggiare
  con la cintura di Louis, che lo guardava, ma non opponeva nessuna resistenza.
  Finì di spogliarlo e quando fu in ginocchio davanti a lui, dopo avergli
  sfilato gli stivali, ne guardò il cazzo. Alzò gli occhi e vide che Louis lo
  fissava. Allora prese il cazzo in bocca e lentamente incominciò a succhiarlo.
  Un brivido percorse il corpo di Louis. Gaspard gli strinse il culo con le
  mani e continuò con la sua opera.       Avvertì
  che il cazzo si gonfiava e si irrigidiva nella sua bocca. Quando lo sentì
  perfettamente rigido e teso, Gaspard si alzò, sollevò il dottore come se
  fosse stato un bambino e lo portò nella camera. Lo stese sul letto e lo
  guardò in viso. Il dottore sorrideva, un sorriso incerto.       Allora
  Gaspard lo baciò ancora sulla bocca e lo voltò con delicatezza, come fosse
  stato un bambino piccolo.        Finì
  di spogliarsi. Era già pronto e guardò il proprio cazzo, duro ed a testa
  alta.       Divaricò
  le gambe di Louis e si inginocchiò sul letto. Accarezzò a lungo il corpo che
  gli si offriva, sforzandosi di mettere in quelle carezze tutta la tenerezza
  di cui era capace. Le sue mani si mossero leggere, percorrendo più volte i
  capelli, le guance, la schiena, il culo, le gambe, senza mai stringere la
  carne. Ed il corpo che sfioravano si abbandonava completamente a quel tocco
  lieve.        Poi
  Gaspard si piegò in avanti fino a che il suo viso non fu vicinissimo al culo
  di Louis e gli passò la lingua lungo il solco, indugiando a lungo
  sull’apertura. Infine si stese su di lui e, con una lentezza infinita,
  attento ad ogni reazione del corpo che lo accoglieva, lo penetrò.       Sentì
  che il corpo del dottore vibrava, che ogni fibra della carne rispondeva al
  suo ingresso. Avanzò senza fretta, lasciando che Louis avesse il tempo di
  abituarsi a quella presenza estranea. Sapeva, senza nessun dubbio, che da
  tempo il dottore non scopava e che lui stava risvegliando un desiderio tenuto
  a freno troppo a lungo.        Quando
  infine giunse al termine della sua avanzata, le sue mani si mossero ancora
  per accarezzare e la sua lingua percorse l’orecchio di Louis e scese sulla
  nuca. Poi prese a muoversi, sempre con delicatezza. Sentì che il corpo di
  Louis si tendeva e seppe, con assoluta certezza, che stava trasmettendogli
  piacere. Era quello che desiderava, null’altro gli importava, neppure il
  proprio desiderio che premeva.        Si
  ritrasse ed avanzò più volte. Il corpo di Louis reagiva a quel movimento con
  vibrazioni che si propagavano alle mani di Gaspard.       Infine
  Gaspard comprese che non era più in grado di trattenere il proprio desiderio,
  spinse con maggiore forza e sentì Louis gemere. Dopo alcune spinte vigorose,
  vennero insieme.       Allora
  Gaspard uscì da Louis e si sdraiò al suo fianco. Louis gli posò due dita
  sulla bocca, poi incominciò a piangere e si rifugiò tra le sue braccia.       Gaspard
  lo accarezzò, fino a che le lacrime non si fermarono.   *       La
  rivolta continuava ed a periodi più tranquilli se ne alternavano altri di
  grandi violenze. In città affluivano uomini e donne sconvolti. Alcuni di loro
  si rivolgevano a Louis.      
  Un giorno un piantatore gli raccontò della morte della sua famiglia,
  poi si infuriò di fronte al silenzio di Louis e lo colpì allo stomaco. Subito
  dopo se ne andò, lasciandolo steso sul pavimento, boccheggiante.       Quella
  volta, nonostante il dolore, a Louis venne quasi da ridere. Non era la prima
  volta che qualcuno lo colpiva. Era sopravvissuto ai nemici, sarebbe
  sopravvissuto anche ai suoi pazienti? Cominciava a dubitarne.       Rimase
  a lungo disteso sul pavimento. Il dolore si ridusse fino a scomparire, ma gli
  mancavano le forze. No, era diverso, gli mancava la volontà di alzarsi.
  Disteso a terra sentiva il freddo e la tristezza invaderlo, mentre un senso
  di solitudine totale lo sommergeva: gli sembrava che avrebbe potuto rimanere
  lì per sempre, senza che nessuno si preoccupasse di lui.       Senza
  accorgersene, aprì le labbra e disse:       -
  Jorge.       La
  sua voce lo stupì. Era molto diversa da come se la ricordava. Probabilmente
  perché era molto tempo che non parlava. Quanto tempo? Almeno un anno e mezzo.       Ripeté
  il nome, una, due, dieci volte. La sua voce cambiava, cominciava ad
  assomigliare di più a quella di un tempo. Ma non era la stessa.       Tacque.
  Portandosi una mano al viso, si rese conto che stava piangendo. Lasciò che le
  lacrime gli scorressero sulle guance, poi si alzò. Jorge Llera era lontano.
  Il suo amore era una ferita aperta. Aveva accettato quella sofferenza, ma gli
  pesava.        Basta
  non innamorarsi.       Llera
  si presentò da lui una sera, mentre Marie-Sophie se ne stava andando. Louis
  ne sentì la voce dallo studio, dove stava riordinando le sue cose. Cominciò a
  tremare e la penna ed i fogli che stava sistemando gli caddero di mano.
  Dovette sedersi: le gambe non lo sostenevano. La violenza della propria
  reazione lo stupì.        Llera
  lo trovò seduto.       -
  Dottore, sta male? È pallido come un morto.       Louis
  scosse la testa. Lentamente, le forze stavano ritornandogli. Si alzò,
  cercando di nascondere un leggero tremito.       Llera fece due passi e lo abbracciò. Louis
  lo strinse con forza. Avrebbe voluto rimanere così, stretto a Jorge, per
  sempre, ma non era possibile. Si staccò.       -
  Dottore, che cosa c'è che non va?       Louis
  scosse di nuovo la testa. Llera lo fissava, perplesso. Louis si sedette
  nuovamente.       -
  Sono appena arrivato in città. Avevo troppa voglia di vederla per aspettare
  domani. L'ultima volta che sono passato, l'ho vista pochissimo. Dai Verneuil
  non è venuto.       Llera
  lo guardava. Louis sorrise. Il suo sorriso non significava niente, soltanto
  voleva celare quello che provava, la lacerazione e la gioia di vederlo
  davanti a sé.       -
  Starò molto poco, partirò già domani sera.       Louis
  sentì il dolore violento, troppo violento per poterlo nascondere. Senza riflettere,
  senza nemmeno rendersene conto, si alzò, dando la schiena a Llera. Si diresse
  alla finestra, come se volesse guardare fuori. Appoggiò una mano sul
  davanzale. Vide che tremava. Cercò di tenerla ferma poggiandovi sopra l'altra
  mano.       Non
  sapeva che cosa Llera stesse pensando. Non era in grado di controllarsi.        -
  Dottore, che cosa le è successo?        Llera
  era dietro di lui, ora, vicinissimo. Con uno sforzo Louis bloccò il tremito
  delle sue mani.       -
  Mi perdoni la mia curiosità. Tengo molto a lei.       Louis
  sentì le proprie mani contrarsi.       -
  Lei è sconvolto e non vuole dirmi perché. Vuole che me ne vada? Preferisce
  non vedermi?       Fu
  una fitta violenta, come un colpo di lancia. Louis si voltò e guardò Llera
  negli occhi, poi gli afferrò il braccio. Leggesse pure nei suoi occhi quello
  che provava, non voleva che se ne andasse, non voleva rinunciare a quella
  minima occasione di vederlo. Non si era reso conto della violenza del suo
  sentimento, che ora gli faceva paura. La sua serenità si era dissolta, era
  rimasta solo la sofferenza.       Dopo
  un attimo abbassò lo sguardo e lasciò andare il braccio, confuso e pieno di
  vergogna.       Llera
  rimase in silenzio. Louis non osava alzare lo sguardo, non sapeva che cosa
  avesse letto Llera nei suoi occhi.       In
  quel momento Marie Sophie si affacciò all'uscio.       -
  C'è il signor Godier. L'ho fatto accomodare e gli ho detto che deve
  aspettare.       Louis
  annuì. Llera lo guardò, poi disse:       -
  Domani sera andrò a cena dai Verneuil e poi me ne andrò. Se le va bene, passo
  a prenderla nel tardo pomeriggio e facciamo due passi, fuori di qui. Vorrei
  parlarle, senza essere interrotto da qualche paziente.        Louis
  annuì. Llera fece un passo verso di lui, sembrò esitare, poi lo abbracciò.       Quando
  Llera fu uscito, Louis si accasciò su una sedia. Era esausto.       Il
  pomeriggio successivo Llera passò a prenderlo. Aspettò che Louis avesse
  finito e si diressero verso il porto. Louis aveva passato la notte in bianco,
  ma ora riusciva a controllarsi. Aveva recuperato un minimo di autocontrollo.       Al
  porto si fermarono su uno dei moli. Ci fu un lungo momento di silenzio.       -
  C'è una cosa che vorrei dirle. Non sono stato via tutto questo tempo perché
  non avevo niente da fare qui. Avevo bisogno di staccare per un po', di capire
  quello che provavo, di riflettere per poter decidere.       Ci
  fu un nuovo silenzio. Staccare da che cosa? Perché? Capire che cosa? Che cosa
  provava Llera? Che cosa doveva decidere? Louis cercò di imporsi un po’ di
  calma. Avrebbe saputo, tra poco.       -
  Questa sera mi passeranno a prendere dai Verneuil, per un affare importante,
  e non tornerò in città per almeno venti giorni. Quindi non avrò più
  l'occasione di parlarle da solo per un po' di tempo.       Llera
  era imbarazzato. Louis sentì che il proprio cuore stava accelerando il ritmo.
  Si stupì di quanto poco bastasse a fargli perdere la sua tranquillità
  interiore.       -
  C'è qualche cosa che devo dirle ora. Che è importante che le dica ora.       In
  quel momento sentirono una voce:       -
  Dottore, dottore! Presto!       Mentre
  si voltava per vedere chi lo chiamava, Louis sentì Llera imprecare sottovoce.       -
  Merda!       Al
  porto era successo un incidente: la corda che reggeva una cassa si era rotta
  ed il carico  era caduto addosso a due
  uomini, che erano rimasti feriti. Uno dei due era stato colpito di striscio e
  le sue condizioni non erano preoccupanti, ma l’altro era stato preso in pieno
  e perdeva molto sangue. Louis bloccò l’emorragia, fasciò la ferita ed
  accompagnò l’uomo all’ospedale, dove aiutò il chirurgo. Llera lo accompagnò.       Quando
  ebbe finito, Louis era sporco di sangue ed era ormai ora di andare a cena dai
  Verneuil. Louis passò a casa a cambiarsi, mentre Llera andava ad avvisare i
  Verneuil del ritardo.       Quando
  infine Louis raggiunse i Verneuil, si misero subito a tavola. Louis realizzò
  che Jorge aveva fatto in modo di mettersi di fronte a lui.       Durante
  la cena, Louis si accorse che spesso Llera lo guardava, ma in modo assai
  diverso dalle altre volte. Era chiaramente nervoso. Ad un certo punto, Laure
  Verneuil gli disse:       -
  Llera, lei mi sembra irrequieto. Proprio lei che è sempre stato serafico.       Llera
  sorrise e la guardò.       -
  Inseguo un sogno. Cerco di volare, forse troppo in alto.       Finendo
  la frase guardò Louis. Qualche cosa gli diceva che lui faceva parte di quel
  sogno, ma non voleva illudersi: il risveglio sarebbe stato atroce.       L'avvocato
  Dumay intervenne:        -
  Forse il nostro medico potrebbe aiutarla.       -
  Non desidero essere curato. Anche se un brujo come lui può curare di tutto.       -
  Un brujo?       -
  Uno stregone, uno di quelli che forse nemmeno cinquant'anni fa sarebbero
  stati bruciati vivi sul rogo. Lei è fortunato, dottore, ad essere nato in
  questo secolo. Ed io sono fortunato ad essere nato nel suo stesso tempo.
  Forse troverò quello che cerco. Forse. Forse no. Non lo so. Devo partire, ma
  la prossima volta che tornerò, e sarà molto presto, saprò se posso avere
  quello che voglio.       -
  Lei parla per enigmi, questa sera. Ma noi non siamo così bravi da
  interpretarli.       -
  Meglio così.       Fu
  Ève Hauteville ad intervenire.       -
  Secondo me è innamorato.       Llera
  sorrise e rispose.       -
  Potrebbe essere.       -
  E chi è la sfortunata, volevo dire... la fortunata? Non ce lo dirà, lei è
  troppo discreto. Teme che l'avviseremmo di tenersi alla larga?       Llera
  non replicò. Un’altra delle signore intervenne:       -
  Forse sarà un grande amore.       -
  Ma certo. È sempre un grande amore! Un grande amore che si consumerà in...
  quanto? Dieci giorni? Un mese?       C'era una tale asprezza nella voce della
  signora Hauteville, che sembrava uno schiaffo. Ora Llera era evidentemente a
  disagio.       Ci
  fu un momento di silenzio. Laure Verneuil intervenne per spezzare la
  tensione.       -
  Noi donne pensiamo sempre che l'amore possa essere eterno e la realtà ci
  delude. Così soffriamo.       Fu
  Dumay a rispondere, con un sorriso galante.       -
  Anche gli uomini soffrono d'amore.       Ève
  Hauteville intervenne nuovamente.       -
  Oh, il signor Llera di certo non soffre d’amore. È troppo saggio per questo.               Jorge
  era irritato e non lo nascondeva. Ma più ancora che irritato, appariva
  preoccupato. Louis si rendeva conto che ogni tanto gli lanciava un'occhiata.
  Non sapeva che cosa comunicasse il proprio sguardo, sapeva che soffriva, un
  dolore acuto. Louis cercava di sorridere, ma capiva che il risultato del suo
  sforzo doveva essere men che mediocre. Gli sembrava che ognuna di quelle
  frasi fosse una mano che passava su una ferita aperta. Una ferita che non era
  in grado di curare. Non era un buon guaritore, non con se stesso, almeno.       Più
  tardi Llera fu nuovamente attaccato, questa volta da parte dell'avvocato
  Dumay, che faceva la corte ad Ève Hauteville e cercava di ingraziarsela.             -
  Signor Llera, lei è spagnolo, no?       -
  Sì, e vivo nella parte spagnola dell'isola.       -
  Ma ora, con la guerra tra Francia e Spagna, lei continua a fare affari con i
  francesi? È un tradimento della sua patria.        Llera
  lo guardò gelido:       -
  Mio nonno scappò dalla Spagna all'inizio del secolo per non finire sotto le
  asce dei carnefici del re, come successe a tutta la sua famiglia. Non mi
  sento particolarmente legato alla mia patria.       -
  Un uomo senza patria...       Dumay
  non completò la frase, lo sguardo che gli lanciò Llera lo bloccò. Laure
  Verneuil cambiò rapidamente argomento.        Llera
  non aprì più bocca, ma spesso guardava Louis, chiaramente inquieto. A Louis
  quei discorsi importavano poco. Pensava che tra non molto se ne sarebbe
  andato, che non si erano potuti parlare. Soffriva.       Alla
  fine della cena, un domestico entrò ad avvisare Llera.       -
  Signor Llera, la cercano.       -
  Ora devo andare. Grazie per la serata.       Poi
  si rivolse a Louis.       -
  Posso parlarle un attimo, dottore?       Louis
  annuì.       -
  Venga con me.       Passarono
  nell'anticamera.       -
  Dottore, faccia attenzione. Il prossimo periodo sarà turbolento, qui al Cap.
  La vita di tutti sarà in pericolo.       Louis
  lo guardò interrogativamente, ma Llera ignorò la domanda.       -
  Faccia attenzione, non si esponga inutilmente. Si ricordi che un dottore
  morto non cura più nessuno.        Louis
  sorrise, senza allegria.        Come
  al solito, Llera sembrò leggergli in testa.             -
  Lei non deve cedere. Non deve lasciarsi andare. Lei non è sereno. Al campo di
  Biassou, con le ferite ancora aperte, prigioniero, appena uscito
  dall'inferno, era molto più in pace con se stesso e con il mondo. Adesso mi
  preoccupa. Basta un piccolo cedimento. È facile cedere alla morte. Può essere
  una tentazione quando si è stanchi, soli ed infelici. E lei è tutte e tre
  queste cose, non lo neghi. Oggi non sono riuscito a parlarle. Vorrei farlo la
  prossima volta. Ma per farlo ho bisogno di ritrovarla vivo. Non vorrei
  dialogare sulla sua tomba.       Llera
  tacque un attimo, poi proseguì:       -
  Mi promette che avrà cura di se stesso, se non altro per avere il piacere di
  parlare ancora una volta con me?        C'era
  ironia, ma anche molto affetto in quelle parole. Louis si sentiva confuso.
  Forse a Llera importava qualche cosa di lui. Forse quello che gli era parso
  di intuire non era solo una sua illusione. Forse. Forse. Annuì.       -
  Grazie.       Lo
  guardò allontanarsi, ma quando fu sulla soglia, Llera si fermò, tornò
  indietro e gli sussurrò.       -
  Non sono come mi dipingono. Non creda alla volpe che non riesce a raggiungere
  l'uva.       Gli
  prese una mano nelle sue e gliela strinse con calore.       -
  Per favore. Ha promesso. La verrò a cercare. Voglio ritrovarla vivo. Ne ho
  bisogno. Ho bisogno di lei.       L'ultima
  frase diede un brivido a Louis. Posò la sinistra sulla mano che stringeva la
  sua e guardò Llera negli occhi.       -
  Grazie per la promessa.       Per
  tutta la sera Louis fu completamente assente. Quando tornò a casa si accorse
  di non sapere neanche di che cosa si era parlato dopo la partenza di Llera.       Pochi
  giorni dopo venne a trovarlo Guillaume.        -
  Sono venuto a salutarla.       Era
  buffo che Guillaume gli desse nuovamente del lei. Si rendeva conto che in qualche
  modo il ragazzo era in soggezione davanti a lui. Probabilmente perché non
  parlava. O perché l'aveva respinto. Non sapeva. Guillaume non lo capiva.
  Niente di strano. Non era tanto sicuro di capirsi nemmeno lui.        Louis
  gli fece cenno di entrare. Guillaume fece pochi passi e si fermò. Louis gli
  mostrò la sedia, ma il ragazzo non si sedette. Era a disagio.       -
  Vado alla Martinica, dove ho una piccola proprietà. Partiamo io e Robert.
  Anche Jorge ... Llera mi ha consigliato di andarmene al più presto. La situazione
  sta precipitando ed il Cap rischia di trasformarsi in una trappola mortale
  per i bianchi. E non solo per loro.       Ci
  fu un momento di silenzio. Louis pensò che Llera non gli aveva detto niente.
  Forse perché pensava che comunque non se ne sarebbe andato. O forse perché
  non gli era nemmeno venuto in mente. Forse si era sbagliato, di lui a Jorge
  non importava niente. No, non era così, lo sapeva. Ma quanto importava a
  Jorge di lui?       Sorrise
  a Guillaume. Gli voleva bene. Era contento che si togliesse da quell'inferno.
  Aveva già sofferto abbastanza. Fece un passo e gli tese le braccia. Guillaume
  lo abbracciò. Louis lo strinse e gli accarezzò la guancia.       -
  Vattene anche tu, Louis. Non voglio che tu muoia. Non voglio...       Voleva
  dire ancora qualche cos'altro, ma tacque.       -
  Addio, Louis. Grazie. Grazie di tutto.       Quando
  Guillaume se ne fu andato, a Louis venne l'idea che forse quel giorno al
  porto Llera voleva soltanto consigliargli di andarsene. Ne provò una
  delusione violenta. Si diede dello stupido. Si era aspettato una
  dichiarazione d'amore?       Sì,
  si era aspettato una dichiarazione d'amore. *       La
  porta era aperta, come il maggiore gli aveva detto. Gaspard Bernaud entrò,
  con molta cautela. La missione che gli aveva affidato il maggiore sembrava
  semplice, ma il tenente era diffidente.        Dopo
  quella volta in cui lui lo aveva colpito, entrambi avevano evitato ogni
  occasione di incontro e se il maggiore doveva affidargli un compito, lo
  faceva sempre davanti a qualcun altro. Quel pomeriggio invece Verneuil lo aveva
  mandato a chiamare, come avveniva un tempo. La convocazione lo aveva stupito,
  aveva temuto che il maggiore volesse riprendere i loro rapporti. Temuto o
  sperato? Entrambe le cose, ma più temuto che sperato, perché, per quanto il
  suo corpo potesse desiderare la violenza, sapeva benissimo che il maggiore
  costituiva un pericolo mortale. E Bernaud non aveva nessuna intenzione di
  farsi scannare per il piacere di Verneuil.       Quella
  volta il maggiore non aveva fatto nessun cenno a ciò che c’era stato tra
  loro, ma gli aveva affidato una missione che doveva rimanere assolutamente
  segreta. Doveva raggiungere una casa in un quartiere periferico, per
  incontrare una spia che gli avrebbe portato notizie di capitale importanza
  sulle intenzioni dei ribelli.       Raggiungere
  la casa senza farsi notare non era stato difficile. In abiti civili, nessuno
  poteva sospettare che si trattasse di un ufficiale.        Bernaud
  spinse la porta alle sue spalle e fece tre passi nel corridoio. Come il
  maggiore gli aveva spiegato, c’era una scala che portava nello scantinato.
  Scese, nel buio più completo: non doveva accendere nessuna luce, per non
  attirare l’attenzione di qualcuno. Solo quando fu al termine della scala,
  accese la piccola lanterna che aveva con sé. 
         In
  quel momento sentì un violento dolore alla testa e cadde a terra.              Fu
  un secchio d’acqua in faccia a risvegliarlo. La testa gli faceva male e per
  un momento le immagini gli apparvero confuse, vaghi punti di luce nel nero.
  Poi, lentamente, riuscì a mettere a fuoco. Era in una stanza buia, quella in
  cui era sceso, probabilmente. C’era un tavolo, su cui era stata poggiata una
  lanterna. Proiettava una luce fioca, rischiarando appena il tavolo ed una
  parte del pavimento.        Gaspard
  cercò di muoversi e si rese conto di essere legato alla parete, a gambe e
  braccia divaricate. Era nudo. Che cazzo era successo?       Ci
  fu un movimento e nella zona di luce Bernaud vide comparire due stivali.
  C’era qualcuno, la persona che lo aveva colpito, spogliato, legato ed infine
  risvegliato gettandogli addosso l’acqua.       Non
  poteva vedere chi era. Ma l’uomo parlò: - Allora, troia, sei pronto
  per il gran finale?       Gaspard
  capì che era finita. L’incontro con la spia era una trappola ed ora era nelle
  mani del maggiore.       Verneuil
  fece due passi avanti. Ora la luce della lanterna lo illuminava per intero.       -
  Non hai avuto i coglioni per andare fino in fondo, Bernaud. Feuillet li ha
  avuti. Ma finirai allo stesso modo. Gaspard rimase paralizzato.
  Era stato Verneuil ad uccidere in quel modo orribile Feuillet. Come aveva
  fatto a non capirlo? Ed ora avrebbe ucciso lui. - Assassino! Bastardo! - È inutile che tu urli.
  Nessuno verrà a salvarti. Era vero, in quella zona,
  anche se qualcuno lo avesse sentito urlare, avrebbe preferito girare alla
  larga. Era finita. Il maggiore incominciò a
  spogliarsi.  | 
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