13 La
vita di Louis procedeva regolare, ma le uscite dalla città diventavano sempre
più pericolose. Due volte sfuggì per un soffio ad un gruppo di neri armati. Era
l'inizio di giugno quando Llera tornò al Cap, due mesi dopo la sua ultima
visita, e venne a trovare Louis. Fecero di nuovo conversazione, come l'ultima
volta che si erano visti. Louis pensò che sembrava più una diagnosi che un
dialogo. Llera individuò alcuni sintomi di malessere. Era vero: il carico di
angoscia e la solitudine cominciavano a pesargli. -
Lei ha bisogno di un amico. Mi proporrei volentieri, perché le voglio molto
bene e credo di esserle simpatico, ma al Cap vengo non più di quattro-cinque
volte l'anno. Prima ci venivo di più, ma adesso muoversi è pericoloso e non
intendo correre rischi che posso evitare. Louis
abbassò lo sguardo. Forse Llera aveva ragione, aveva bisogno di rapporti
umani più autentici. Ma in qualche modo era lui stesso a renderli difficili,
se ne rendeva perfettamente conto. I suoi silenzi non aiutavano. Quella
sera, dai Verneuil, ad un certo punto si parlò del dottore. Llera osservò: -
Meno male che le comunicazioni con la Francia sono abbastanza regolari, per
cui le arrivano i medicinali che non produciamo qui. Laure
Verneuil intervenne: -
Usa soprattutto erbe. Llera
guardò perplesso Louis. -
E come se le procura? Ci
fu un attimo di silenzio. Tutti rimasero perplessi. Nessuno di loro ci aveva
pensato. Llera riprese, guardando Louis fisso. -
Dottore, lei ha un orto qui in città, vero? Louis
annuì. Era vero, anche se non era tutta la verità. E Llera l'aveva capito
benissimo. -
Ma le erbe dell'orto non bastano. Dottore, non mi dirà che esce dalla città,
per raccogliere le erbe. E senza scorta, ci scommetto la testa! Non le manca
la parola, le manca qualche rotella! Louis
sorrise. Curare era il suo lavoro, comportava dei rischi, lo sapeva, ma non
avrebbe rinunciato a curare per stare al sicuro. Llera
parve riflettere ancora un attimo. -
E senza pistole, vero? Fu
Laure a rispondere: -
Gira sempre disarmato. Di questi tempi! Louis
abbassò lo sguardo. Complesso spiegare. Si rendeva conto che la sua era una
scelta strana, in un periodo in cui la vita di tutti era continuamente
minacciata e chiunque possedeva un'arma non se ne separava mai, neppure la
notte, a letto: quanti padroni erano stati assassinati nel sonno dai loro
schiavi! Ma l'idea di portare armi gli ripugnava: era medico, non se la
sentiva di uccidere, neppure per difendersi. Llera
si rivolse al maggiore Verneuil, sapendo che era stato molto legato al padre
di Louis. -
Maggiore, ma vuole che lo infilzino? Vuole far assegnare una scorta a questo
incosciente, almeno quando si allontana dalla città, o preferisce vederlo
morto e perdere il miglior medico dell'isola? Il
maggiore era rimasto disorientato, come tutti. Assunse un tono ufficiale: -
Certamente. Dottore, in quanto responsabile della sicurezza degli abitanti,
le proibisco formalmente di uscire dalla città da solo. Ogni volta che
intenderà uscire, venga da me e le assegnerò una scorta. Darò domani stesso
le istruzioni. Cambiando
poi completamente tono, concluse: -
Louis, quando suo padre morì mi chiese di badare a lei. Glielo giurai. Non mi
faccia questi scherzi. Me lo promette? Louis
annuì e con un sorriso ringraziò il maggiore per l'affetto che gli
dimostrava. L'idea di avere una scorta gli faceva piacere, perché riduceva i
rischi, ma lo privava dei suoi momenti di contemplazione solitaria e di
questo avrebbe sofferto, lo sapeva. Per
un buon momento fu nuovamente al centro della conversazione. L'avvocato Dumay
gli disse: -
In meno di sei mesi lei si è fatto una clientela di tutto rispetto. Gli altri
medici sono gelosi. Se continua così diventerà ricco come un piantatore. -
O come un avvocato - interloquì Llera. Dumay lo fulminò con un’occhiata: era
arrivato dalla Francia pochi anni prima, proprio per fare fortuna, ma non
aveva avuto molto successo. Intervenne Laure Verneuil: -
Se lo pagano. Non chiede mai e molti ne approfittano per non pagarlo. E non
parlo solo dei più poveri, quelli che cura gratis infilandosi, a volte anche
di notte, nei peggiori vicoli della città, dove in questo periodo i bianchi
armati preferiscono non farsi vedere nemmeno di giorno. Anche i più ricchi
spesso non pagano. Louis
la guardò stupito. Tutto perfettamente vero, ma come diavolo lo sapeva?
Intervenne ancora l'avvocato. -
A fine anno manderà il conto a tutti. -
In questo caso a fine anno al Cap ci sarà una crisi economica. La
battuta del maggiore chiuse l'argomento e Llera spostò la conversazione su un
altro tema. Il
giorno successivo Llera si presentò da lui. -
Dottore, ho pensato che lei ha bisogno di un'infermiera, che l'assista e che
le faccia anche da segretaria, richiedendo l'onorario. A
Louis l'idea dell'infermiera che richiedeva ai clienti di pagare il conto
sembrava un po' assurda, ma un aiuto gli sarebbe servito. -
Vedo che, con qualche perplessità, è d'accordo. Vado a prenderle la persona
giusta. Lavora seriamente, è onesta ed è in grado di capire le sue esigenze.
E lei darà del lavoro a una persona che ne ha bisogno. Tornò
nel tardo pomeriggio, con una mulatta sui quarant'anni, che doveva essere
stata una gran bella donna. Con la mediazione di Llera, Louis e la donna, che
si chiamava Marie-Sophie, si misero d'accordo. Al
momento di andarsene, Louis sorrise per ringraziare Llera, ma questi lo prese
in contropiede: -
Non mi ringrazi. Le devo la vita. Due volte. Louis
lo guardò interrogativamente. -
Di una non ha molto merito. Quella sera alla Fierté, controllando la
situazione, avevo visto che Guillaume la stava seguendo lungo il sentiero. Ho
pensato che sarebbe finita... com'è finita. E quando abbiamo concluso la nostra
riunione, sono salito per aspettarvi sul sentiero, in modo che non rientraste
da soli. Contavo di lasciar rientrare Guillaume per conto proprio e poi di
tornare io con lei, per evitare che qualcuno capisse. Ero abbastanza in alto
quando ho visto la piantagione prendere fuoco e mi sono reso conto di quanto
succedeva. Ho sparato due colpi per avvertire quelli della casa, tutto quello
che potevo fare, e poi sono scappato lungo il sentiero e mi sono nascosto.
Avrei voluto raggiungervi, ma non sapevo dove trovarvi e non potevo certo
mettermi a chiamarvi. Così il mattino all’alba ho preso un sentiero che
conoscevo e me ne sono andato. Comunque quella volta, se non fosse stato per
lei, non mi sarei salvato. Louis
scosse la testa. -
Sì, capisco quello che vuole dire, non ha nessun merito, se non quello di
essermi stato simpatico. Ma quanto ha fatto al campo e come l'ha fatto,
quello è un altro discorso. Basta. Me ne vado o la metto in imbarazzo, ma lei
è una mammoletta, dottore. Una mammoletta d'acciaio, comunque. Sorrise,
lo abbracciò e se ne andò. Louis
non lo rivide fino a due giorni dopo, quando Llera passò a salutarlo. -
Contento della sua infermiera? Era
ancora presto per giudicare, ma la prima impressione era ottima e nei mesi
successivi fu pienamente confermata. Marie-Sophie
era molto attenta alle esigenze di Louis ed a quelle dei clienti, teneva in
ordine lo studio, controllava le riserve delle erbe e dei medicinali,
segnalando per tempo a Louis le possibili carenze. Segnava le visite, in modo
da poter richiedere gli onorari e si occupava della loro riscossione. Ora
che c’era Marie-Sophie ad aiutarlo, Louis si chiese come aveva fatto a stare
dietro a tutto. Le giornate erano molto dense ed anche dai Verneuil andava
con minore frequenza, perché la sera era sempre molto stanco. Ma non era solo
stanchezza. C'era una sottile inquietudine, un senso di insoddisfazione.
Llera aveva ragione, si sentiva solo. La
solitudine lo spinse ad interrogarsi sul proprio silenzio. Era strano: gli
capitava di riflettere sui diversi aspetti del suo lavoro, sui problemi
dell'isola, sulla condizione dell'uomo, a volte su di sé, ma non pensava mai
al suo silenzio. Lo dava per scontato, non si era più posto il problema.
Aveva via via affrontato le difficoltà che nascevano dal non usare le parole,
ma non lo aveva mai messo in discussione. Non
avrebbe saputo spiegare perché taceva. Probabilmente perché si era sentito
troppo inadeguato con le parole. Perché le sue parole erano state una delle
scorie che erano bruciate nel fuoco. Avrebbe taciuto per sempre? No,
probabilmente avrebbe ripreso a parlare. Ma anche quello, doveva venire da
sé. Non sarebbe stata una sua decisione, non una decisione cosciente, almeno.
Quando si fosse sentito pronto, avrebbe parlato. Quando? Non ne aveva la più
pallida idea. Jorge
Llera non ritornò al Cap per altri due mesi. Quando
arrivò, come al solito andò da Gabriel. Rimase da lui poco tempo, perché
aveva molti affari da sbrigare: da quando aveva smesso di venire regolarmente
in città, concentrava nei pochi giorni di permanenza molte incombenze. La
sera però non prese nessun impegno: aveva voglia di stare un po’ con Gabriel,
che era la persona a cui teneva di più al Cap. Anche al dottore teneva,
molto. Quello strano dottore che non usava le parole. Discusse
con Gabriel della situazione dell’isola, sempre più drammatica. Gabriel
sentì le ultime notizie, poi disse. -
Conto di partire, Jorge. Jorge
lo guardò stupito. -
Qui la situazione va peggiorando di giorno in giorno. Non ho nessuna voglia
di continuare così. Ho intensificato le mie attività, per racimolare un
piccolo gruzzolo e ricominciare da un’altra parte. Martinica, Guadalupa,
magari gli Stati Uniti. Jorge
annuì. Non poteva dargli torto. -
Hai mai pensato di stabilirti nei territori spagnoli, dalle mie parti,
insomma? -
Pensi mica che i problemi non arriveranno anche lì, ragazzino? Gabriel
aveva ragione. I neri dei domini spagnoli non sarebbero stati a guardare ed
era probabile che anche in quella parte dell’isola ci fossero disordini.
Jorge guardò Gabriel. Sapeva che avrebbe sentito la sua mancanza, molto. -
Quando conti di partire? -
Non tanto presto. Mi troverai ancora qui, la prossima volta che vieni, e
magari anche quella dopo. Può darsi che rimanga tre mesi, come un anno. Ma mi
tengo pronto e se la situazione peggiora di colpo, lascio baracca e
burattini. Jorge
scosse la testa. -
Mi farà effetto venire al Cap e non fermarmi più in questa casa. Gabriel
ghignò. -
Se vuoi te la vendo, basta che mi paghi bene. -
In questo periodo sono in tanti a lasciare l’isola, penserai mica di trovare
qualcuno disposto a pagarti bene questa catapecchia? -
Senti ragazzino, sono in tanti ad andarsene, ma sono ancora di più a venire
da tutta l’isola al Cap, sperando di essere un po’ più al sicuro. Questa casa
ha il suo valore, ma mi rivolgerò a qualcuno che la sappia apprezzare.
Comunque la prossima volta che vieni al Cap, ti puoi cercare un altro posto
dove posare il culo. Jorge
rise. Poi fece un sorriso malizioso, si alzò e raggiunse la poltrona su cui
sedeva Gabriel. Lo guardò in faccia, ghignò, si voltò e si sedette su
Gabriel, dicendo: -
Questo mi sembra un ottimo posto per posare il culo! Gabriel
grugnì. La sua mano si appoggiò sulla patta di Jorge e la carezza completò un’evoluzione
già in atto. Gabriel emise un altro grugnito, chiaramente di approvazione,
poi slacciò la cintura di Jorge e lo forzò ad alzarsi. Gli abbassò i
pantaloni ed osservò il bel culo sodo che aveva davanti agli occhi. Mollò un
morso deciso, poi passò la lingua sul solco, due volte. Si aprì i pantaloni,
da cui emerse, perfettamente pronta all’uso, una picca di tutto rispetto.
Rimise le mani sui fianchi di Jorge e lo guidò a sedersi di nuovo. Solo che
questa volta, nell’abbassare il culo, Jorge trovò uno strumento destinato a
limitare i suoi movimenti. Gabriel
usò una mano per tenere l’arnese in posizione e lentamente Jorge s’impalò su
quel bastone di carne. Non fu un’operazione indolore e la fronte di Jorge si
coprì di goccioline di sudore. Eppure per nulla al mondo si sarebbe sottratto
a quel palo che lo infilzava: era un tormento che avrebbe voluto non avesse
mai fine. Quando
la picca fu completamente dentro di lui, Jorge si abbandonò sul corpo di
Gabriel, che lo stringeva. Sentì che le sue mani gli aprivano la camicia ed
ora gli accarezzavano il torace, gli stringevano i capezzoli, facendolo
sussultare, scendevano fino al ventre, stringendo l’asta, meno grande ma non
meno tesa di quella che aveva in culo. Quando la mano accarezzò i coglioni,
Jorge gemette. -
Gabriel! Le
mani di Gabriel si muovevano decise e le loro carezze gli incendiavano la
pelle. Jorge chiuse gli occhi, abbandonandosi completamente alle sensazioni
che gli trasmettevano l’arma che aveva in culo e le mani che si muovevano su
di lui. Gabriel
accarezzò a lungo il corpo di Jorge, che si sentiva fluttuare in un’immensità
di piacere. Poi le sue mani si posarono sui fianchi di Jorge, lo sollevarono
leggermente e lo fecero poi ricadere. Jorge assecondò i movimenti di quelle
mani, mentre a sua volta Gabriel spingeva. Il piacere si mescolò con il
dolore, ne ricavò forza, si avvolse in spirali di desiderio in cui Jorge si
smarriva. I
colpi divennero più forti, la sofferenza più intensa, ma una mano di Gabriel
ora si era posata sulla sua mazza ed era un tizzone che suscitava un
incendio. Piacere e dolore divennero
troppo forti e Jorge gemette, mentre un fiotto saliva altissimo, fino a
raggiungergli il torace. E dentro di lui, nel suo culo martirizzato, Gabriel
veniva con uguale impeto. Il giorno dopo, Jorge Llera
entrò nello studio di Louis Reybert, lo guardò in faccia ed esordì, brusco: -
Da quanto tempo non si prende un giorno di riposo? I suoi pazienti possono
sopravvivere anche senza di lei, ma lei non sopravviverà a lungo a questo ritmo,
anche se è di acciaio. Louis
sapeva che era vero: riposava poco. Durante la settimana, lavorava
intensamente. La domenica, a parte qualche visita ai pazienti che ne avevano
bisogno, c'era da organizzare il lavoro della settimana, controllare la situazione
delle erbe e dei medicinali, ripensare agli interventi effettuati ed a quelli
necessari: nonostante l'aiuto di Marie-Sophie, le giornate erano tutte piene.
Llera si rivolse alla donna. -
Marie-Sophie, prendi nota: dalla settimana prossima il dottore non riceve più
di giovedì. Si
rivolse a Louis, sorridendogli. -
Il giovedì va bene, no, come giorno di riposo? E non mi guardi così. Mi
verrebbe da pensare che non sono più il suo ex-paziente preferito. Sorridendo
si avvicinò a lui e lo abbracciò. Louis era un po' irritato dalla pretesa di
Llera di decidere per lui, ma gli era anche grato: gli sembrava che fosse
l'unica persona che veramente si preoccupava per lui. A
differenza degli altri interventi di Llera, il giovedì di riposo non fu
rispettato, o, meglio, lo fu solo la prima settimana, quando Llera lo venne a
prendere e lo accompagnò a raccogliere erbe. -
Con me è più sicuro che con la scorta del maggiore Verneuil. Dopo
aver raccolto erbe, Louis si sedette nuovamente a guardare il mare. Llera non
disse nulla e rimase discosto. Quando Louis si rialzò, Llera lo guardò in
viso e gli disse: -
Mi spiace che lei debba servirsi della scorta. Vedo che venire qui senza
importuni la aiuta molto. È senz'altro più sereno di quando è partito. Ma i
rischi sono troppo alti. 14 Passarono di nuovo alcuni
mesi prima che Llera ritornasse al Cap. Gabriel non era ancora partito,
perché le attività a cui si stava dedicando, in larga parte illecite, erano
alquanto lucrose: in un periodo di disordini continui, in cui era impossibile
circolare liberamente, un uomo deciso era in grado di guadagnare somme
considerevoli. E Gabriel non difettava certamente di decisione. Quando Llera arrivò,
Gabriel era sulla soglia di casa: stava partendo per alcuni giorni. Perciò,
come era già successo altre volte, Llera avrebbe avuto la casa tutta per sé. Llera aveva diversi impegni
in città, ma prima di tutto contava di passare dal dottore. Mentre stava
raggiungendo lo studio di Louis, incontrò Guillaume Grossetête. Si erano già visti alcune
volte al Cap, soprattutto a casa di Laure Verneuil. Jorge avrebbe volentieri
intinto il biscotto con il bell’erede dei Grossetête, visto che ormai
Guillaume era stato svezzato e non aveva più intorno parenti minacciosi. Ma
in quella situazione le sue visite al Cap, alquanto sporadiche, erano
semplicemente viaggi d’affari, in cui non c’era il tempo per nuove conquiste.
Gabriel gli dava sesso e tenerezza e di altro non aveva bisogno. All’amore
non pensava: una volta gli era bastata. Si misero a parlare. Come
tutti, Guillaume aveva molte preoccupazioni sul futuro del paese e si
chiedeva che cosa fare. Vedendo Llera, pensò di consultarsi con lui: era un
uomo ben informato, che aveva contatti in ambienti diversi, ed in quella
specie di gioco d’azzardo che era la situazione di Haiti, aveva qualche
possibilità in più di prevedere le prossime mosse. Perciò, dopo aver scambiato
qualche parola di cortesia, gli disse che avrebbe voluto porgli alcune
domande sulla situazione dell’isola. Non erano molto lontani dalla casa di
Gabriel e Jorge decise di invitare Guillaume. Avrebbero parlato
tranquillamente. E magari alla conversazione avrebbe fatto seguito altro… Arrivando a casa ebbe però
una sorpresa: Gabriel era ritornato indietro, per motivi che naturalmente non
spiegò davanti all’ospite. Jorge Llera accantonò i suoi progetti e coinvolse
Gabriel nella conversazione con Guillaume: anche lui era in grado di
consigliare il ragazzo. Discussero a lungo e
Gabriel offrì da bere. Dopo aver bevuto, Jorge si chiese se davvero era il
caso di rinunciare all’idea che aveva accarezzato quando aveva invitato
Guillaume a casa sua. Provare non costava nulla. Guillaume non si sarebbe
scandalizzato: con Louis Reybert aveva scopato. Gabriel sarebbe stato al
gioco. Ed era un gioco che si poteva fare in tre. Guillaume era seduto su una
sedia, di fronte al tavolo. Jorge, che era in piedi, si appoggiò al tavolo,
esattamente di fianco a Guillaume. Le sue gambe sfioravano i pantaloni del
giovane. Jorge sapeva di essere attraente e vide che Guillaume lo guardava
con un certo interesse. - Non le spiace lasciare il
Cap? Non ha legami qui? Guillaume esitò un attimo.
Jorge pensò che qualche legame c’era, certamente, ma non doveva essere così
importante o forse Guillaume se ne sarebbe andato con l’uomo o la donna a cui
teneva. Chi fosse, Jorge non avrebbe saputo dire, ma non aveva importanza. - Non lascio nessuno, non
ho parenti, neppure molti amici. Nessuno a cui sia realmente affezionato. - Parte da solo? - Con il mio schiavo, se
tale posso ancora chiamarlo. Llera si disse che
probabilmente scopava con lo schiavo. - Peccato, sarà molto
rimpianto… - Non mi prenda in giro,
signor Llera. Nessuno si accorgerà neppure della mia partenza. - Scherza, un bel ragazzo
come lei? Conosco un sacco di gente che farebbe carte false per… conoscerla
meglio. Guillaume sorrise. - Ad esempio? Anche Jorge sorrise, mentre
diceva: - Ad esempio il signore che
ha di fronte e quell’altro che se ne sta seduto su una sedia nell’angolo. Si guardarono un momento
direttamente negli occhi e Jorge si disse che era fatta. Non c’era bisogno di
altro, Guillaume ne aveva voglia come ne aveva voglia lui. E Gabriel si
sarebbe unito al gioco volentieri. Guillaume aveva capito
abbastanza in fretta le intenzioni di Llera. D’altronde conosceva la sua
fama. Da quando era iniziata la sua relazione con Robert, non aveva più avuto
rapporti con altri uomini. Qualche donna gli aveva fatto capire il proprio
interesse, ma nessuna gli sembrava attraente. Quanto agli uomini, non aveva
cercato altri, non ne aveva sentito il bisogno, ma ora che questa occasione
gli si offriva, non gli dispiaceva. Non conosceva quel Gabriel,
ma di Llera si fidava. Se Gabriel era amico suo, non c’erano rischi. E poi lo
stuzzicava l’idea di scopare in tre. Non gli sarebbe dispiaciuto se ci fosse
stato anche Robert. Il pensiero di vedere Robert infilzare Llera o succhiare
l’arma di Gabriel era alquanto stimolante. Magari, un’altra volta. Si spostarono nella camera
da letto. Gabriel lasciò che fosse Jorge ad aprire la strada. Llera spogliò
il ragazzo. Le sue mani si muovevano abili, accarezzando e sfilando gli
indumenti (che non erano molti, viste le temperature dell’isola). Guillaume
lo lasciò fare, un po’ impacciato. Ma quando Jorge si inginocchiò davanti a
lui e gli sfilò l’ultimo capo, divenne evidente che l’uccello non era per
niente intimorito dalla presenza di due maschi vigorosi, anzi, sembrava
piuttosto interessato a partecipare. Jorge sorrise, fece un commento
apprezzativo ed aprì la bocca ad accogliere l’ospite. Guillaume sussultò e chiuse
gli occhi, preso in un vortice di sensazioni fortissime. Llera ci sapeva fare
con la lingua, come ci sapeva fare! In quel momento sentì una carezza umida
lungo il culo, poi due morsi delicati ed uno più deciso. Gabriel si era
avvicinato e, mettendosi anche lui in ginocchio, aveva incominciato a
preparare il terreno. La sua lingua percorreva il solco, indugiando ogni
volta sull’apertura segreta, forzandola. Guillaume incominciò a
gemere. Le sue mani si perdevano nei lunghi capelli di Jorge Llera,
accarezzando e tirando, ora delicate, ora più brusche, ogni qual volta la
bocca di Jorge o la lingua di Gabriel accendevano un nuovo fuoco. Quando le labbra di Jorge
lasciarono la presa, Guillaume sentì un senso di vuoto. Jorge era davanti a
lui, sorridente. Guillaume gli sfilò la camicia ed incominciò a spogliarlo,
cercando di non muoversi troppo, perché la bocca che continuava a
mordicchiare ed a leccare il suo culo non si staccasse. Quando Guillaume gli calò i
pantaloni, mettendo in mostra un uccello già perfettamente pronto, Jorge finì
di spogliarsi da solo. Poi le sue mani accarezzarono il viso ed il collo di
Guillaume e le loro labbra si incontrarono. Due volte la lingua di Jorge
entrò nella bocca di Guillaume e quando si ritirò, fu quella di Guillaume ad
avanzare. La bocca di Gabriel
interruppe la sua opera. Guillaume si voltò e vide che Gabriel si stava
spogliando. Guardò quel corpo massiccio, la pancia sporgente, il pelo fitto.
Quando infine Gabriel si calò le mutande, fissò ammaliato il grande uccello.
Non riusciva più a distoglierne gli occhi. Gabriel sorrise, gli si avvicinò e
lo voltò, poi si appoggiò contro di lui, stringendolo tra le sue braccia, in
una morsa di ferro. I loro corpi ora aderivano e la grande picca di Gabriel
premeva lungo il solco tra le natiche di Guillaume. Guillaume si sentiva
smarrito. Sapeva quello che sarebbe successo e lo voleva, con tutte le sue
forze, ma il pensiero lo turbava. Gabriel gli mise le mani
sotto le ascelle e lo spinse, con delicatezza, a piegarsi in avanti.
Guillaume ubbidì docilmente, allargando un po’ le gambe per avere una
migliore base di appoggio. Quando il suo torso fu perpendicolare alle gambe,
Guillaume si trovò ad un palmo dalla faccia la picca di Jorge. Con le mani afferrò il culo
di Jorge e lo avvicinò a sé. Prese in bocca la picca e la avvolse. Era bello
assaporare quel pezzo di carne calda dentro la bocca, un boccone appetitoso. In quel momento Guillaume
sentì che due dita umide si facevano strada dentro di lui. Si abbandonò
completamente, privo di ogni volontà. Le sue mani stringevano il culo di
Llera e quelle di Gabriel ora avevano afferrato il suo, lo allargavano. La
picca avanzò, fu sull’apertura, la costrinse a dilatarsi, sempre di più. Poi,
lentamente, l’arma entrò nella carne. Guillaume avrebbe voluto
gemere, ma l’arma che aveva in bocca gli rendeva difficile emettere suoni.
Chiuse gli occhi e lasciò che le due sensazioni, entrambi fortissime, lo invadessero
completamente. La picca, imponente, che gli devastava il culo, entrava sempre
più a fondo; l’altra gli riempiva la bocca. Guillaume avrebbe voluto lavorare
con la lingua e le labbra, ma le forze gli mancavano. Aveva l’impressione che
sarebbe crollato se le mani di Gabriel non l’avessero sostenuto. Gabriel prese a spingere
con maggior vigore ed anche Jorge iniziò a muovere il culo avanti indietro,
facendo avanzare la sua arma nella bocca di Guillaume e poi ritirandola. Le spinte di Gabriel divennero
ancora più forti, fino a che Guillaume sentì un sonoro grugnito ed un fiotto
gli riempì le viscere. Ora la picca riprendeva dimensioni più tollerabili ed
era bello sentirla, ancora grande e forte, dentro il culo. Guillaume afferrò
con forza il culo di Jorge e riprese a succhiare e leccare, fino a che la sua
bocca si riempì del seme. Guillaume inghiottì. Allora Gabriel uscì da lui
ed anche Jorge arretrò di un passo. Guillaume si raddrizzò. Jorge e Gabriel
si scambiarono le posizioni, ma questa volta Gabriel si inginocchiò e prese
in bocca l’uccello di Guillaume, mentre Jorge si mise a leccargli e mordergli
il culo. La bocca di Gabriel era
accogliente e la sua lingua si muoveva decisa. Le labbra accarezzavano ed a
tratti i denti mordicchiavano, con molta delicatezza. La tensione era troppo
forte e presto Guillaume sentì che il piacere debordava. Un’ondata lo
travolse, sommergendolo. La stanza gli sembrò svanire e sarebbe forse caduto,
se Gabriel e Jorge non lo avessero sostenuto. Gabriel lo sollevò e lo adagiò
sul letto. Jorge gli si stese a fianco, accarezzandolo. Guillaume si
abbandonò a quelle carezze. Gabriel rimase a guardare per un po’, poi si mise
su Jorge ed entrò dentro di lui. Guillaume lesse sul viso di
Jorge il piacere e la tensione di quell’ingresso e con le dita gli accarezzò
una guancia. Era bello vedere il corpo possente di Gabriel su quello robusto,
ma meno massiccio di Jorge. Una mano di Gabriel gli
accarezzò l’uccello e Guillaume si rese conto che il suo corpo stava di nuovo
reagendo. Sorrise. Il pomeriggio era appena agli inizi. * Così
quel giorno Llera non passò da Louis, che non sapeva del suo arrivo, ma lo
vide la sera dai Verneuil. Arrivò con Guillaume, che zoppicava leggermente.
Mentre salutavano, Guillaume spiegò: -
Oggi ho fatto un giro a cavallo, ma ad un certo punto sono caduto e ho preso
una botta. Niente di grave. Llera
stava abbracciando Louis e gli sussurrò in un orecchio: -
Eh, sì. Se uno non fa attenzione, cavalcare a lungo può far male. Poi
arretrò di un passo e fissò Louis negli occhi, con un sorriso sardonico.
Louis capì e si sentì a disagio. A
tavola Guillaume e Llera ridacchiavano e Louis si interrogava, confuso e
spaventato. Perché la loro relazione lo turbava? Non desiderava Guillaume. Di
questo era sicuro. Poi, di colpo, capì. Ebbe l'impressione di aver ricevuto
una botta improvvisa, si sentì sbilanciato, non più padrone di se stesso.
Fortunatamente nessuno guardava nella sua direzione, ma ora Louis aveva paura
di incrociare lo sguardo di Llera. In quelle sere a tavola, Llera lo guardava
spesso, e sempre gli sorrideva. Per tutta la serata, evitò di ricambiare
quello sguardo, ma quando era sicuro che Llera stava guardando da un'altra
parte, lo fissava. Louis
si alzò per andarsene molto prima del solito. Vide che Llera diceva qualche
cosa a Guillaume e poi si avvicinava a lui. -
Se non le spiace, la accompagno, avrei piacere di parlare un momento con lei.
Salutò
tutti, dicendo che sarebbe tornato dopo aver riaccompagnato il dottore a
casa. Louis
avrebbe preferito rimanere da solo. Era a disagio. Camminarono in silenzio.
Poi, giunti a casa di Louis, Llera disse: -
Salgo un attimo. Con lei si può parlare solo alla luce e qui è troppo buio. Quando
furono in casa, Llera si sedette su una poltrona e fece cenno a Louis di
accomodarsi sull'altra, come se fosse stato lui il padrone di casa. Louis
si sedette. -
Mi spiace, non pensavo che le importasse di Guillaume. Credevo che non… Tacque,
vedendo l'espressione di Louis. Si doveva essere reso conto che Louis effettivamente
non teneva a Guillaume, ma ora era perplesso, non capiva. Meglio così. -
Mi scusi, lei questa sera era molto turbato, durante la cena, mentre non lo
era quando siamo entrati noi. Ho pensato che la mia allusione alla… faccenda
tra me e Guillaume fosse la causa del suo turbamento. Ma non devo avere
indovinato. Aveva
indovinato, come sempre, ma non aveva capito. Difficile capire: Louis stesso
lo aveva realizzato solo quella sera. -
Ho la pretesa di leggere i suoi pensieri, ma, come vede, non sempre azzecco.
E questa sera lei non ha nessuna intenzione di farsi leggere i pensieri da
me. Mi sembrerebbe scorretto insistere, non voglio essere invadente, anche
se... Nei suoi confronti sono molto più curioso di quanto sia corretto. Me ne
rendo conto. Ma lei mi piace molto, Reybert. Si
alzò per andarsene e Louis respirò sollevato. Llera lo abbracciò, come faceva
sempre, ma questa volta le sensazioni di Louis furono molto confuse. Sulla
soglia, Llera si voltò: -
Quello che c'è stato tra Guillaume e me è stato molto piacevole, ma privo di
importanza, come ... Non
proseguì, ma Louis capì. Abbassò il capo, confuso. Era un altro Louis, quello
che aveva conosciuto il corpo di Guillaume, quella notte. -
È stato solo un gioco. Piacevole, le dicevo, molto, ma tutto di superficie.
L’anima di Guillaume appartiene ad un altro. Quanto alla mia… da molto tempo
mi guardo bene dal darla a qualcuno. Una volta m'è bastato. Fa troppo male. Louis
si stupì della confidenza di Llera. Questi capì e sorrise. -
Le sto dicendo di me cose che non dico a nessuno. Lei non parla più e fa
parlare gli altri. Una bella vendetta. Si
avvicinò e lo abbracciò di nuovo. -
Abbia cura di sé, Reybert. Ci vedremo presto. Dopodomani sera sono di nuovo
dai Verneuil, venga anche lei. E comunque, rimango in città una settimana. Quella
sera Louis si coricò molto presto, ma passò lunghe ore ad occhi aperti. Amava. Questa era la
semplice verità. La sua anima apparteneva a Llera, di cui non sapeva neppure
il nome di battesimo. Due
sere dopo tornò dai Verneuil: era invitato sempre, per lui c'era comunque un
posto a tavola ogni sera, ma da tempo non riusciva più ad andare due sere a
così breve distanza. Vide che Laure era stupita, ma contenta. Stava parlando
con un'amica, Ève Hauteville, che Louis aveva visto di rado da loro. Era la
moglie di un piantatore ed abitualmente trascorreva solo alcuni mesi in
città: ora l'estendersi della ribellione aveva suggerito un trasferimento al
Cap, per un periodo indeterminato. -
Ho saputo che Jorge Llera è in città. Jorge!
Si chiamava Jorge. Scoprire il nome di Llera gli trasmise una sensazione di
piacere intenso. Bastava così poco? Era tanto innamorato? Sì, lo era, inutile
negarselo. Jorge era un bel nome. La
signora Hauteville proseguì. -
Qual è la sua ultima conquista? Louis
si sentì gelare. Laure rise. -
Per il momento, non si sa. E poi ormai viene poco in città, forse non ha più
il tempo per fare stragi di cuori. -
Mi chiedo come sia possibile che una donna per bene si metta con un tipo come
lui. -
Perché no? È un bell'uomo. Certo, non è un amante fedele, ma almeno non c'è
il rischio di ritrovarselo tra i piedi, dopo. Basta non innamorarsi. Louis
si rese conto di non essere in grado di reggere. Doveva andarsene. Subito.
Con uno sforzo, lasciò passare un momento, aspettando che la conversazione si
spostasse ad un altro argomento, poi salutò Laure. -
Ma, dottore, se ne va? Louis
annuì. Non era in grado di restare. Sorrise, cercando di nascondere l'inferno
che aveva dentro, e si diresse rapidamente a casa. Non
tornò più dai Verneuil per tutta la settimana. Aveva paura di incontrare
Llera. E desiderava vedere Llera più di ogni altra cosa al mondo. La frase di
Laure gli ritornava continuamente in testa: basta non innamorarsi. Basta non
innamorarsi di Jorge Llera. Jorge. Troppo tardi. Ormai la sua anima
apparteneva a Jorge. Llera
non passò a salutarlo. Louis ne soffrì. Una
notte, qualche tempo dopo l'ultima visita di Llera, sentì bussare alla sua
porta. -
Dottore, sono io, Justine. Louis
aprì. -
Venga subito, la prego, mio figlio sta male. Louis
si vestì rapidamente, prese la sua borsa ed uscì. La donna lo condusse nel
suo piccolo appartamento, in una parte della città dove ormai i bianchi
andavano malvolentieri. Ma Louis non aveva paura. In città aveva poco da
temere: era conosciuto e rispettato da tutti. Il
bambino aveva la febbre molto alta ed accessi di vomito, ma non era nulla di
grave. Le cure di Louis fecero rapidamente effetto. Mentre aspettava per
assicurarsi che la febbre scendesse, Louis si guardò intorno. In un angolo,
poggiato a terra, vide un candelabro d'argento. Rimase a fissarlo, stupito di
quell'oggetto di lusso, fuori posto in quella casa. Poi comprese: proveniva
da casa sua. Non si era neanche accorto della sua scomparsa. Justine
seguì il suo sguardo ed ebbe un movimento di paura. Louis alzò le spalle. Quando
fu sicuro che il bambino stava ormai meglio, Louis si alzò per andarsene.
Justine prese il candelabro, lo avvolse in uno straccio e glielo diede, con
gli occhi bassi. -
Mi perdoni, dottore. Louis
alzò nuovamente le spalle ed uscì. Che senso aveva che se lo riprendesse? Non
gliene importava niente. Non si era nemmeno accorto della sua scomparsa. Il
lavoro proseguiva, intenso. Di Llera nessuna notizia. Passarono diversi mesi.
Non era mai capitato che rimanesse tanto tempo lontano. Louis era
preoccupato: che gli fosse successo qualche cosa? Non sapeva chi potesse
avere informazioni. Un
giorno Laure gli disse: -
Llera le manda i suoi saluti. Non è più tornato in città, ma ci ha scritto,
dicendo che sta bene e pregandoci di salutarla. Era
vivo, l'importante era questo. No, l'importante non era solo questo. Era vivo
e lontano e quella lontananza era un macigno che lo schiacciava. Perché lo
aveva evitato, l'ultima volta che era venuto in città? Perché Llera se n'era
andato senza salutarlo? Perché? 15 Ora che alla fatica del lavoro si
aggiungeva la sua sofferenza personale, c'erano momenti in cui Louis non si
sentiva in grado di reggere.
Si sforzò di reagire e decise di seguire i consigli di Llera. Cercò di
prendersi un giorno di riposo fisso, da dedicare a se stesso, e di tener
maggiormente conto delle proprie esigenze.
Non andò più a richiedere la scorta quando usciva per andare a
raccogliere le erbe. Aveva bisogno di stare da solo. Circa
un mese dopo, il tenente Bernaud, che spesso lo aveva accompagnato, venne da
lui. -
Dottore, non è più venuto a chiedere la scorta. Inizialmente mi sono chiesto
se il dottore era ammalato, ma mi hanno detto che è sano come un pesce. Va da
solo? Louis annuì. -
Perché? È molto pericoloso. Due giorni fa un soldato è scomparso, proprio
nella zona dove di solito va lei. Io dico scomparso, ma lei sa benissimo che
cosa significa. Louis avrebbe dovuto parlare, per spiegare, ma aveva
rinunciato alla parola. Bernaud lo guardò negli occhi. -
Ha bisogno di stare da solo? Louis
annuì, stupito e contento che il tenente avesse indovinato. -
L'accompagnerò io e, quando sarà necessario, rimarrò indietro. Se deve
visitare qualcuno, faccia conto che io non esisto. Mi terrò a debita
distanza. No,
Bernaud non aveva indovinato, ma non era importante: Louis gli era comunque
grato della sua premura. A volte gli sembrava che tutti gli chiedessero cose,
ma che nessuno si preoccupasse di lui. Bernaud
tenne fede alla parola. Lo accompagnò senza stargli troppo vicino. Quando
Louis si sedette, si mise un po' discosto. Quando, un’ora dopo, Louis si alzò
per tornare in città, gli sorrise e gli disse: -
Avevo indovinato: aveva davvero un appuntamento. Ma non avevo capito che era
con se stesso. Bernaud
lo accompagnò più volte e si dimostrò sempre molto discreto. Louis gliene fu
riconoscente. Le
passeggiate per raccogliere le erbe contribuirono a ridargli un po' di
serenità; l'affetto dei Verneuil e l'attenzione di Bernaud lenivano la sua
solitudine; i limiti posti al lavoro gli permisero di riprendere un ritmo di
vita più tranquillo. Si
diceva che non era felice, ma abbastanza sereno. Era già un buon risultato,
di quei tempi. Il
dottore era uno strano tipo, davvero. Poteva parlare, ma stava zitto, girava
senza armi quando ad ogni angolo poteva trovare qualcuno intenzionato a
fargli la pelle, si fermava a meditare in posti in cui potevano arrivare
bande di negri a squartarlo. Bernaud sorrise di sé. E lui non era un bel
tipo? Poco c’era mancato che il maggiore non lo ammazzasse infilandogli una
sciabola in culo e se era arrivato a quel punto lui aveva la sua buona parte
di responsabilità. Dopo
quella volta in cui lo aveva colpito, non si erano più incontrati a tu per
tu. Di fronte agli altri simulavano completa indifferenza. Bernaud era
contento che quella storia fosse finita, non aveva nessuna intenzione di
farsi ammazzare. Ma adesso il desiderio lo tormentava. Guardò
il dottore. Gli piaceva molto. Era davvero una bella persona. Non era
esattamente il suo tipo d’uomo, lui aveva bisogno di qualcuno che lo
dominasse. Ma gli piaceva davvero. Il
dottore era triste, gli sembrava che ogni volta fosse più solo. Ma se non
parlava, era inevitabile. Quel
giorno, tornando in città, Gaspard decise di accompagnarlo a casa. Di solito
si lasciavano poco dopo aver raggiunto il Cap. Gaspard sapeva benissimo che
per le vie il dottore correva pochi rischi: in città lo conoscevano tutti e
ben difficilmente sarebbe stato attaccato di giorno. Il
dottore fu un po’ stupito, ma gli sorrise. Con un cenno lo invitò a salire. Quando
furono in casa, Gaspard si chiese che cosa era venuto a fare. Guardò il viso
sorridente del dottore. Un sorriso gentile, ma non allegro. Gaspard si
avvicinò e gli carezzò una guancia. Non era abituato ad esprimere tenerezza.
Il suo rapporto con il maggiore era stato di tutt’altro tipo. Louis
incominciò a piangere. Gaspard gli prese le guance tra le mani e lo baciò
sulla bocca. Poi gli sfilò la giacca e la camicia e lo strinse contro il
proprio corpo. Non avrebbe saputo dire che cosa intendeva fare. Sapeva che
voleva consolarlo. Sentì che il dottore si abbandonava a quella stretta e
sorrise. Lo
baciò ancora, poi si tolse la giacca e la camicia ed incominciò ad armeggiare
con la cintura di Louis, che lo guardava, ma non opponeva nessuna resistenza.
Finì di spogliarlo e quando fu in ginocchio davanti a lui, dopo avergli
sfilato gli stivali, ne guardò il cazzo. Alzò gli occhi e vide che Louis lo
fissava. Allora prese il cazzo in bocca e lentamente incominciò a succhiarlo.
Un brivido percorse il corpo di Louis. Gaspard gli strinse il culo con le
mani e continuò con la sua opera. Avvertì
che il cazzo si gonfiava e si irrigidiva nella sua bocca. Quando lo sentì
perfettamente rigido e teso, Gaspard si alzò, sollevò il dottore come se
fosse stato un bambino e lo portò nella camera. Lo stese sul letto e lo
guardò in viso. Il dottore sorrideva, un sorriso incerto. Allora
Gaspard lo baciò ancora sulla bocca e lo voltò con delicatezza, come fosse
stato un bambino piccolo. Finì
di spogliarsi. Era già pronto e guardò il proprio cazzo, duro ed a testa
alta. Divaricò
le gambe di Louis e si inginocchiò sul letto. Accarezzò a lungo il corpo che
gli si offriva, sforzandosi di mettere in quelle carezze tutta la tenerezza
di cui era capace. Le sue mani si mossero leggere, percorrendo più volte i
capelli, le guance, la schiena, il culo, le gambe, senza mai stringere la
carne. Ed il corpo che sfioravano si abbandonava completamente a quel tocco
lieve. Poi
Gaspard si piegò in avanti fino a che il suo viso non fu vicinissimo al culo
di Louis e gli passò la lingua lungo il solco, indugiando a lungo
sull’apertura. Infine si stese su di lui e, con una lentezza infinita,
attento ad ogni reazione del corpo che lo accoglieva, lo penetrò. Sentì
che il corpo del dottore vibrava, che ogni fibra della carne rispondeva al
suo ingresso. Avanzò senza fretta, lasciando che Louis avesse il tempo di
abituarsi a quella presenza estranea. Sapeva, senza nessun dubbio, che da
tempo il dottore non scopava e che lui stava risvegliando un desiderio tenuto
a freno troppo a lungo. Quando
infine giunse al termine della sua avanzata, le sue mani si mossero ancora
per accarezzare e la sua lingua percorse l’orecchio di Louis e scese sulla
nuca. Poi prese a muoversi, sempre con delicatezza. Sentì che il corpo di
Louis si tendeva e seppe, con assoluta certezza, che stava trasmettendogli
piacere. Era quello che desiderava, null’altro gli importava, neppure il
proprio desiderio che premeva. Si
ritrasse ed avanzò più volte. Il corpo di Louis reagiva a quel movimento con
vibrazioni che si propagavano alle mani di Gaspard. Infine
Gaspard comprese che non era più in grado di trattenere il proprio desiderio,
spinse con maggiore forza e sentì Louis gemere. Dopo alcune spinte vigorose,
vennero insieme. Allora
Gaspard uscì da Louis e si sdraiò al suo fianco. Louis gli posò due dita
sulla bocca, poi incominciò a piangere e si rifugiò tra le sue braccia. Gaspard
lo accarezzò, fino a che le lacrime non si fermarono. * La
rivolta continuava ed a periodi più tranquilli se ne alternavano altri di
grandi violenze. In città affluivano uomini e donne sconvolti. Alcuni di loro
si rivolgevano a Louis.
Un giorno un piantatore gli raccontò della morte della sua famiglia,
poi si infuriò di fronte al silenzio di Louis e lo colpì allo stomaco. Subito
dopo se ne andò, lasciandolo steso sul pavimento, boccheggiante. Quella
volta, nonostante il dolore, a Louis venne quasi da ridere. Non era la prima
volta che qualcuno lo colpiva. Era sopravvissuto ai nemici, sarebbe
sopravvissuto anche ai suoi pazienti? Cominciava a dubitarne. Rimase
a lungo disteso sul pavimento. Il dolore si ridusse fino a scomparire, ma gli
mancavano le forze. No, era diverso, gli mancava la volontà di alzarsi.
Disteso a terra sentiva il freddo e la tristezza invaderlo, mentre un senso
di solitudine totale lo sommergeva: gli sembrava che avrebbe potuto rimanere
lì per sempre, senza che nessuno si preoccupasse di lui. Senza
accorgersene, aprì le labbra e disse: -
Jorge. La
sua voce lo stupì. Era molto diversa da come se la ricordava. Probabilmente
perché era molto tempo che non parlava. Quanto tempo? Almeno un anno e mezzo. Ripeté
il nome, una, due, dieci volte. La sua voce cambiava, cominciava ad
assomigliare di più a quella di un tempo. Ma non era la stessa. Tacque.
Portandosi una mano al viso, si rese conto che stava piangendo. Lasciò che le
lacrime gli scorressero sulle guance, poi si alzò. Jorge Llera era lontano.
Il suo amore era una ferita aperta. Aveva accettato quella sofferenza, ma gli
pesava. Basta
non innamorarsi. Llera
si presentò da lui una sera, mentre Marie-Sophie se ne stava andando. Louis
ne sentì la voce dallo studio, dove stava riordinando le sue cose. Cominciò a
tremare e la penna ed i fogli che stava sistemando gli caddero di mano.
Dovette sedersi: le gambe non lo sostenevano. La violenza della propria
reazione lo stupì. Llera
lo trovò seduto. -
Dottore, sta male? È pallido come un morto. Louis
scosse la testa. Lentamente, le forze stavano ritornandogli. Si alzò,
cercando di nascondere un leggero tremito. Llera fece due passi e lo abbracciò. Louis
lo strinse con forza. Avrebbe voluto rimanere così, stretto a Jorge, per
sempre, ma non era possibile. Si staccò. -
Dottore, che cosa c'è che non va? Louis
scosse di nuovo la testa. Llera lo fissava, perplesso. Louis si sedette
nuovamente. -
Sono appena arrivato in città. Avevo troppa voglia di vederla per aspettare
domani. L'ultima volta che sono passato, l'ho vista pochissimo. Dai Verneuil
non è venuto. Llera
lo guardava. Louis sorrise. Il suo sorriso non significava niente, soltanto
voleva celare quello che provava, la lacerazione e la gioia di vederlo
davanti a sé. -
Starò molto poco, partirò già domani sera. Louis
sentì il dolore violento, troppo violento per poterlo nascondere. Senza riflettere,
senza nemmeno rendersene conto, si alzò, dando la schiena a Llera. Si diresse
alla finestra, come se volesse guardare fuori. Appoggiò una mano sul
davanzale. Vide che tremava. Cercò di tenerla ferma poggiandovi sopra l'altra
mano. Non
sapeva che cosa Llera stesse pensando. Non era in grado di controllarsi. -
Dottore, che cosa le è successo? Llera
era dietro di lui, ora, vicinissimo. Con uno sforzo Louis bloccò il tremito
delle sue mani. -
Mi perdoni la mia curiosità. Tengo molto a lei. Louis
sentì le proprie mani contrarsi. -
Lei è sconvolto e non vuole dirmi perché. Vuole che me ne vada? Preferisce
non vedermi? Fu
una fitta violenta, come un colpo di lancia. Louis si voltò e guardò Llera
negli occhi, poi gli afferrò il braccio. Leggesse pure nei suoi occhi quello
che provava, non voleva che se ne andasse, non voleva rinunciare a quella
minima occasione di vederlo. Non si era reso conto della violenza del suo
sentimento, che ora gli faceva paura. La sua serenità si era dissolta, era
rimasta solo la sofferenza. Dopo
un attimo abbassò lo sguardo e lasciò andare il braccio, confuso e pieno di
vergogna. Llera
rimase in silenzio. Louis non osava alzare lo sguardo, non sapeva che cosa
avesse letto Llera nei suoi occhi. In
quel momento Marie Sophie si affacciò all'uscio. -
C'è il signor Godier. L'ho fatto accomodare e gli ho detto che deve
aspettare. Louis
annuì. Llera lo guardò, poi disse: -
Domani sera andrò a cena dai Verneuil e poi me ne andrò. Se le va bene, passo
a prenderla nel tardo pomeriggio e facciamo due passi, fuori di qui. Vorrei
parlarle, senza essere interrotto da qualche paziente. Louis
annuì. Llera fece un passo verso di lui, sembrò esitare, poi lo abbracciò. Quando
Llera fu uscito, Louis si accasciò su una sedia. Era esausto. Il
pomeriggio successivo Llera passò a prenderlo. Aspettò che Louis avesse
finito e si diressero verso il porto. Louis aveva passato la notte in bianco,
ma ora riusciva a controllarsi. Aveva recuperato un minimo di autocontrollo. Al
porto si fermarono su uno dei moli. Ci fu un lungo momento di silenzio. -
C'è una cosa che vorrei dirle. Non sono stato via tutto questo tempo perché
non avevo niente da fare qui. Avevo bisogno di staccare per un po', di capire
quello che provavo, di riflettere per poter decidere. Ci
fu un nuovo silenzio. Staccare da che cosa? Perché? Capire che cosa? Che cosa
provava Llera? Che cosa doveva decidere? Louis cercò di imporsi un po’ di
calma. Avrebbe saputo, tra poco. -
Questa sera mi passeranno a prendere dai Verneuil, per un affare importante,
e non tornerò in città per almeno venti giorni. Quindi non avrò più
l'occasione di parlarle da solo per un po' di tempo. Llera
era imbarazzato. Louis sentì che il proprio cuore stava accelerando il ritmo.
Si stupì di quanto poco bastasse a fargli perdere la sua tranquillità
interiore. -
C'è qualche cosa che devo dirle ora. Che è importante che le dica ora. In
quel momento sentirono una voce: -
Dottore, dottore! Presto! Mentre
si voltava per vedere chi lo chiamava, Louis sentì Llera imprecare sottovoce. -
Merda! Al
porto era successo un incidente: la corda che reggeva una cassa si era rotta
ed il carico era caduto addosso a due
uomini, che erano rimasti feriti. Uno dei due era stato colpito di striscio e
le sue condizioni non erano preoccupanti, ma l’altro era stato preso in pieno
e perdeva molto sangue. Louis bloccò l’emorragia, fasciò la ferita ed
accompagnò l’uomo all’ospedale, dove aiutò il chirurgo. Llera lo accompagnò. Quando
ebbe finito, Louis era sporco di sangue ed era ormai ora di andare a cena dai
Verneuil. Louis passò a casa a cambiarsi, mentre Llera andava ad avvisare i
Verneuil del ritardo. Quando
infine Louis raggiunse i Verneuil, si misero subito a tavola. Louis realizzò
che Jorge aveva fatto in modo di mettersi di fronte a lui. Durante
la cena, Louis si accorse che spesso Llera lo guardava, ma in modo assai
diverso dalle altre volte. Era chiaramente nervoso. Ad un certo punto, Laure
Verneuil gli disse: -
Llera, lei mi sembra irrequieto. Proprio lei che è sempre stato serafico. Llera
sorrise e la guardò. -
Inseguo un sogno. Cerco di volare, forse troppo in alto. Finendo
la frase guardò Louis. Qualche cosa gli diceva che lui faceva parte di quel
sogno, ma non voleva illudersi: il risveglio sarebbe stato atroce. L'avvocato
Dumay intervenne: -
Forse il nostro medico potrebbe aiutarla. -
Non desidero essere curato. Anche se un brujo come lui può curare di tutto. -
Un brujo? -
Uno stregone, uno di quelli che forse nemmeno cinquant'anni fa sarebbero
stati bruciati vivi sul rogo. Lei è fortunato, dottore, ad essere nato in
questo secolo. Ed io sono fortunato ad essere nato nel suo stesso tempo.
Forse troverò quello che cerco. Forse. Forse no. Non lo so. Devo partire, ma
la prossima volta che tornerò, e sarà molto presto, saprò se posso avere
quello che voglio. -
Lei parla per enigmi, questa sera. Ma noi non siamo così bravi da
interpretarli. -
Meglio così. Fu
Ève Hauteville ad intervenire. -
Secondo me è innamorato. Llera
sorrise e rispose. -
Potrebbe essere. -
E chi è la sfortunata, volevo dire... la fortunata? Non ce lo dirà, lei è
troppo discreto. Teme che l'avviseremmo di tenersi alla larga? Llera
non replicò. Un’altra delle signore intervenne: -
Forse sarà un grande amore. -
Ma certo. È sempre un grande amore! Un grande amore che si consumerà in...
quanto? Dieci giorni? Un mese? C'era una tale asprezza nella voce della
signora Hauteville, che sembrava uno schiaffo. Ora Llera era evidentemente a
disagio. Ci
fu un momento di silenzio. Laure Verneuil intervenne per spezzare la
tensione. -
Noi donne pensiamo sempre che l'amore possa essere eterno e la realtà ci
delude. Così soffriamo. Fu
Dumay a rispondere, con un sorriso galante. -
Anche gli uomini soffrono d'amore. Ève
Hauteville intervenne nuovamente. -
Oh, il signor Llera di certo non soffre d’amore. È troppo saggio per questo. Jorge
era irritato e non lo nascondeva. Ma più ancora che irritato, appariva
preoccupato. Louis si rendeva conto che ogni tanto gli lanciava un'occhiata.
Non sapeva che cosa comunicasse il proprio sguardo, sapeva che soffriva, un
dolore acuto. Louis cercava di sorridere, ma capiva che il risultato del suo
sforzo doveva essere men che mediocre. Gli sembrava che ognuna di quelle
frasi fosse una mano che passava su una ferita aperta. Una ferita che non era
in grado di curare. Non era un buon guaritore, non con se stesso, almeno. Più
tardi Llera fu nuovamente attaccato, questa volta da parte dell'avvocato
Dumay, che faceva la corte ad Ève Hauteville e cercava di ingraziarsela. -
Signor Llera, lei è spagnolo, no? -
Sì, e vivo nella parte spagnola dell'isola. -
Ma ora, con la guerra tra Francia e Spagna, lei continua a fare affari con i
francesi? È un tradimento della sua patria. Llera
lo guardò gelido: -
Mio nonno scappò dalla Spagna all'inizio del secolo per non finire sotto le
asce dei carnefici del re, come successe a tutta la sua famiglia. Non mi
sento particolarmente legato alla mia patria. -
Un uomo senza patria... Dumay
non completò la frase, lo sguardo che gli lanciò Llera lo bloccò. Laure
Verneuil cambiò rapidamente argomento. Llera
non aprì più bocca, ma spesso guardava Louis, chiaramente inquieto. A Louis
quei discorsi importavano poco. Pensava che tra non molto se ne sarebbe
andato, che non si erano potuti parlare. Soffriva. Alla
fine della cena, un domestico entrò ad avvisare Llera. -
Signor Llera, la cercano. -
Ora devo andare. Grazie per la serata. Poi
si rivolse a Louis. -
Posso parlarle un attimo, dottore? Louis
annuì. -
Venga con me. Passarono
nell'anticamera. -
Dottore, faccia attenzione. Il prossimo periodo sarà turbolento, qui al Cap.
La vita di tutti sarà in pericolo. Louis
lo guardò interrogativamente, ma Llera ignorò la domanda. -
Faccia attenzione, non si esponga inutilmente. Si ricordi che un dottore
morto non cura più nessuno. Louis
sorrise, senza allegria. Come
al solito, Llera sembrò leggergli in testa. -
Lei non deve cedere. Non deve lasciarsi andare. Lei non è sereno. Al campo di
Biassou, con le ferite ancora aperte, prigioniero, appena uscito
dall'inferno, era molto più in pace con se stesso e con il mondo. Adesso mi
preoccupa. Basta un piccolo cedimento. È facile cedere alla morte. Può essere
una tentazione quando si è stanchi, soli ed infelici. E lei è tutte e tre
queste cose, non lo neghi. Oggi non sono riuscito a parlarle. Vorrei farlo la
prossima volta. Ma per farlo ho bisogno di ritrovarla vivo. Non vorrei
dialogare sulla sua tomba. Llera
tacque un attimo, poi proseguì: -
Mi promette che avrà cura di se stesso, se non altro per avere il piacere di
parlare ancora una volta con me? C'era
ironia, ma anche molto affetto in quelle parole. Louis si sentiva confuso.
Forse a Llera importava qualche cosa di lui. Forse quello che gli era parso
di intuire non era solo una sua illusione. Forse. Forse. Annuì. -
Grazie. Lo
guardò allontanarsi, ma quando fu sulla soglia, Llera si fermò, tornò
indietro e gli sussurrò. -
Non sono come mi dipingono. Non creda alla volpe che non riesce a raggiungere
l'uva. Gli
prese una mano nelle sue e gliela strinse con calore. -
Per favore. Ha promesso. La verrò a cercare. Voglio ritrovarla vivo. Ne ho
bisogno. Ho bisogno di lei. L'ultima
frase diede un brivido a Louis. Posò la sinistra sulla mano che stringeva la
sua e guardò Llera negli occhi. -
Grazie per la promessa. Per
tutta la sera Louis fu completamente assente. Quando tornò a casa si accorse
di non sapere neanche di che cosa si era parlato dopo la partenza di Llera. Pochi
giorni dopo venne a trovarlo Guillaume. -
Sono venuto a salutarla. Era
buffo che Guillaume gli desse nuovamente del lei. Si rendeva conto che in qualche
modo il ragazzo era in soggezione davanti a lui. Probabilmente perché non
parlava. O perché l'aveva respinto. Non sapeva. Guillaume non lo capiva.
Niente di strano. Non era tanto sicuro di capirsi nemmeno lui. Louis
gli fece cenno di entrare. Guillaume fece pochi passi e si fermò. Louis gli
mostrò la sedia, ma il ragazzo non si sedette. Era a disagio. -
Vado alla Martinica, dove ho una piccola proprietà. Partiamo io e Robert.
Anche Jorge ... Llera mi ha consigliato di andarmene al più presto. La situazione
sta precipitando ed il Cap rischia di trasformarsi in una trappola mortale
per i bianchi. E non solo per loro. Ci
fu un momento di silenzio. Louis pensò che Llera non gli aveva detto niente.
Forse perché pensava che comunque non se ne sarebbe andato. O forse perché
non gli era nemmeno venuto in mente. Forse si era sbagliato, di lui a Jorge
non importava niente. No, non era così, lo sapeva. Ma quanto importava a
Jorge di lui? Sorrise
a Guillaume. Gli voleva bene. Era contento che si togliesse da quell'inferno.
Aveva già sofferto abbastanza. Fece un passo e gli tese le braccia. Guillaume
lo abbracciò. Louis lo strinse e gli accarezzò la guancia. -
Vattene anche tu, Louis. Non voglio che tu muoia. Non voglio... Voleva
dire ancora qualche cos'altro, ma tacque. -
Addio, Louis. Grazie. Grazie di tutto. Quando
Guillaume se ne fu andato, a Louis venne l'idea che forse quel giorno al
porto Llera voleva soltanto consigliargli di andarsene. Ne provò una
delusione violenta. Si diede dello stupido. Si era aspettato una
dichiarazione d'amore? Sì,
si era aspettato una dichiarazione d'amore. * La
porta era aperta, come il maggiore gli aveva detto. Gaspard Bernaud entrò,
con molta cautela. La missione che gli aveva affidato il maggiore sembrava
semplice, ma il tenente era diffidente. Dopo
quella volta in cui lui lo aveva colpito, entrambi avevano evitato ogni
occasione di incontro e se il maggiore doveva affidargli un compito, lo
faceva sempre davanti a qualcun altro. Quel pomeriggio invece Verneuil lo aveva
mandato a chiamare, come avveniva un tempo. La convocazione lo aveva stupito,
aveva temuto che il maggiore volesse riprendere i loro rapporti. Temuto o
sperato? Entrambe le cose, ma più temuto che sperato, perché, per quanto il
suo corpo potesse desiderare la violenza, sapeva benissimo che il maggiore
costituiva un pericolo mortale. E Bernaud non aveva nessuna intenzione di
farsi scannare per il piacere di Verneuil. Quella
volta il maggiore non aveva fatto nessun cenno a ciò che c’era stato tra
loro, ma gli aveva affidato una missione che doveva rimanere assolutamente
segreta. Doveva raggiungere una casa in un quartiere periferico, per
incontrare una spia che gli avrebbe portato notizie di capitale importanza
sulle intenzioni dei ribelli. Raggiungere
la casa senza farsi notare non era stato difficile. In abiti civili, nessuno
poteva sospettare che si trattasse di un ufficiale. Bernaud
spinse la porta alle sue spalle e fece tre passi nel corridoio. Come il
maggiore gli aveva spiegato, c’era una scala che portava nello scantinato.
Scese, nel buio più completo: non doveva accendere nessuna luce, per non
attirare l’attenzione di qualcuno. Solo quando fu al termine della scala,
accese la piccola lanterna che aveva con sé.
In
quel momento sentì un violento dolore alla testa e cadde a terra. Fu
un secchio d’acqua in faccia a risvegliarlo. La testa gli faceva male e per
un momento le immagini gli apparvero confuse, vaghi punti di luce nel nero.
Poi, lentamente, riuscì a mettere a fuoco. Era in una stanza buia, quella in
cui era sceso, probabilmente. C’era un tavolo, su cui era stata poggiata una
lanterna. Proiettava una luce fioca, rischiarando appena il tavolo ed una
parte del pavimento. Gaspard
cercò di muoversi e si rese conto di essere legato alla parete, a gambe e
braccia divaricate. Era nudo. Che cazzo era successo? Ci
fu un movimento e nella zona di luce Bernaud vide comparire due stivali.
C’era qualcuno, la persona che lo aveva colpito, spogliato, legato ed infine
risvegliato gettandogli addosso l’acqua. Non
poteva vedere chi era. Ma l’uomo parlò: - Allora, troia, sei pronto
per il gran finale? Gaspard
capì che era finita. L’incontro con la spia era una trappola ed ora era nelle
mani del maggiore. Verneuil
fece due passi avanti. Ora la luce della lanterna lo illuminava per intero. -
Non hai avuto i coglioni per andare fino in fondo, Bernaud. Feuillet li ha
avuti. Ma finirai allo stesso modo. Gaspard rimase paralizzato.
Era stato Verneuil ad uccidere in quel modo orribile Feuillet. Come aveva
fatto a non capirlo? Ed ora avrebbe ucciso lui. - Assassino! Bastardo! - È inutile che tu urli.
Nessuno verrà a salvarti. Era vero, in quella zona,
anche se qualcuno lo avesse sentito urlare, avrebbe preferito girare alla
larga. Era finita. Il maggiore incominciò a
spogliarsi. |
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