Due
mummie per un ispettore Seconda inchiesta dell’ispettore
Ferraris
1 Poche
persone a Torino sono entusiaste della mummia come l’ispettore (quasi
commissario) Ferraris. Non che lui sia un esperto di egittologia o che abbia
il minimo interesse per mummie, vasi canopi, papiri, scarabei e quant’altro
si collega all’antica civiltà del Nilo. Al Museo Egizio poi non mette piede
da quando era bambino (visita con la classe, terza elementare) e se lo
ricorda ancora come una successione interminabile di vetrine polverose e
spazi angusti. Se fosse tornato a visitarlo, saprebbe che l’allestimento è
stato radicalmente trasformato, ma Ferraris non ha un grande interesse per
l’antichità. Il
suo entusiasmo per quel cadavere rinsecchito (ci scusiamo con i lettori ed in
particolare con gli amanti dell’egittologia: la definizione non è
dell’autore, ma dell’ispettore) ha una motivazione che esula dall’archeologia
o dalla storia: la mummia, emersa dagli scantinati del museo, sta finalmente
conquistando l’interesse dei media ed il caso delle teste tagliate, che
Ferraris ha da poco risolto rischiando la pelle, sta finalmente abbandonando
le prime pagine dei quotidiani e, soprattutto della cronaca locale.
Ferraris, che detesta vedersi sui giornali ed in televisione quasi
quanto detesta i giornalisti, è ben felice della grande passione cittadina e
nazionale per il mistero della mummia: se giornalisti e pubblico si occupano
del suddetto cadavere rinsecchito, si riduce l’interesse per i delitti di cui
Ferraris ha scoperto il colpevole e l’ispettore, che ha già superato il
concorso per diventare commissario, può sperare di ritrovare un po’ di pace. Perciò
in questi giorni la lettura mattutina del quotidiano lo mette di buon umore
(evento quanto mai insolito) ed oggi Ferraris entra sorridente in centrale.
L’agente Petrini che lo incrocia, a vederlo così, il sorriso sulle labbra, ha
un attimo di panico.
Diciamo pure che alla contentezza di Ferraris contribuiscono anche
altri fattori, tra cui l’attività mattutina a cui si è dedicato con Michele,
il suo agente preferito, ancora convalescente (ma non tanto da non potersi
dedicare a certe pratiche: l’importante è rimanere a letto il più possibile,
il dottore ha detto così, no?). La ferita di Michele è ormai quasi guarita,
lunedì prossimo l’agente riprende servizio. In una stanza del
commissariato due agenti discutono con l’ispettore Orsini: - Ma ispettore, secondo lei
è vero che è una mummia maledetta? - Ma certo, a quel tizio
hanno spaccato la testa con un colpo alla nuca, poi è stato gettato in un pozzo
chiuso da una pietra, ma gli hanno lasciato addosso i gioielli. Da come Orsini ne parla, si
direbbe che l’assassinio sia avvenuto ieri mattina. Probabilmente Orsini sta
pensando di intervenire per risolvere il caso, sicuramente ha già dei
sospetti sul colpevole, che so, Mosè o Hammurabi, magari Giulio Cesare, che
era l’amante di Cleopatra, no? L’avrà fatto fuori per togliere di mezzo un
rivale. Orsini, ignaro delle
considerazioni poco lusinghiere che Ferraris ha in mente, ma non formula,
prosegue: - Doveva essere una
personalità importante, per avere quei gioielli. Lo hanno ammazzato in quel
modo, ma lo hanno sepolto con i gioielli. È un caso davvero misterioso. E
pensate che anche la mummia della Colombia, quella che deve essere arrivata
in questi giorni, è stata ammazzata. E per di più allo stesso modo: il cranio
sfondato con un colpo. Due misteri, forse collegati tra di loro. Da quel poco che Ferraris
ha sentito, le due mummie sono separate da almeno duemila anni ed un oceano
(quello Atlantico), ma questo per Orsini non è così rilevante, i due misteri
sono già diventati uno. Ferraris si dice che il
vero mistero è come sia riuscito Orsini a diventare ispettore, ma ormai il
problema non lo tocca più: tra meno di due mesi Ferraris, avendo superato il
concorso, diventerà commissario e prenderà servizio in una nuova sede. Con
Orsini non avrà più a che fare. Tutto procede per il
meglio, nessuna novità significativa. In centrale ci si occupa dei casi della
notte, le solite bazzecole quotidiane: una rissa, un alloggio svaligiato, due
incendi (uno doloso, di una fabbrica; l’altro sospetto, di un negozio) ed una
rapina a mano armata. Ordinaria amministrazione, insomma. Ferraris sta per
sedersi alla scrivania, quando il commissario lo chiama. Ferraris entra nell’ufficio
del superiore ed il suo buon umore vacilla: la faccia del commissario non
promette nulla di buono. Il commissario non perde
tempo e sputa subito fuori il rospo: - Ferraris, c’è un guaio
grosso. Ha telefonato la direttrice dell’Egizio. Hanno trovato uno dei
custodi cadavere nei magazzini. Devono averlo ammazzato. La mattinata era
incominciata troppo bene. 2 Ferraris si dirige
all’Egizio con gli agenti Diotallevi, Martino e Ghibaudo. Mentre procedono l’ispettore
si dice che questo omicidio, se tale è davvero, sarà oggetto di molta
curiosità da parte del pubblico: in questo periodo non si fa altro che
parlare della misteriosa mummia, che hanno tirato fuori dagli scantinati del
museo in occasione di una mostra con materiali provenienti dalla Colombia. E Ferraris, che è appena
sceso dalla graticola della notorietà, rischia di risalirci di corsa, se è
lui ad occuparsi del caso. Il buon umore di Ferraris ha avuto vita breve,
come spesso avviene, e l’ispettore che esce dall’auto davanti all’Egizio
(zona pedonale, ma la macchina è della polizia) è già incazzato come una iena
prima ancora di varcare la soglia di uno dei più importanti musei del mondo. Al suo ingresso Ferraris è
accolto da un flash, perché qualcuno, Dio solo sa chi (e sapendolo lo
incenerisca) ha avvisato i giornalisti e ce ne sono già due. L’ispettore
esplode: - Per il culo di Satana,
levatevi dai coglioni! Il buon umore di Ferraris è svanito senza lasciare tracce,
morto, sepolto e dimenticato. L’altro morto, il custode, è ancora in attesa
di sepoltura e non sarà presto dimenticato. Giace riverso nello scantinato e,
se Ferraris sperava in un incidente, un infarto, un ictus o almeno un
suicidio (in mancanza di meglio…), le sue illusioni svaniscono in fretta: il
tizio ha il cranio spaccato. L’arma del delitto, perché di omicidio si
tratta, sembra essere una grossa pietra imbrattata di sangue: si trova di
fianco alla testa della vittima, dove qualcuno sembra averla posata, non
gettata, perché è messa in verticale. - Merda! Dopo aver espresso in modo
sintetico, ma chiaro, i suoi pensieri, Ferraris esamina la situazione. Lo
scantinato è un lungo corridoio; su di esso si aprono diverse stanze, in cui
sono accatastate casse di varie dimensioni. Il morto è in uno di questi
locali, con i piedi nel corridoio. Deve essere stato colpito mentre stava
entrando, da qualcuno che era dietro di lui o che si era nascosto nella
stanza. L’assassino ha poi posato
la pietra accanto al morto. Ferraris esamina con attenzione
il locale, tocca il morto, anche se non dovrebbe farlo per non alterare
nulla, verifica che ormai il cadavere è freddo, chiama la scientifica e poi
risale al piano terra, dove nel frattempo sono arrivati altri giornalisti. Il
rischio di un’esplosione dell’ispettore, che potrebbe provocare una strage, è
altissimo, ma interviene un signore che Ferraris ha l’impressione di aver già
visto, sul giornale o in televisione. Il tizio invita i giornalisti a
seguirlo, dicendo di avere comunicazioni importanti da fare. Ferraris tira un sospiro di
sollievo e si fa accompagnare in direzione. La direttrice è un’elegante
signora, dai modi decisi, con un leggero accento toscano. Si presenta come
Monica Balestrieri, ma dopo trenta secondi Ferraris ha già dimenticato il
cognome. Non ha molte informazioni da dare, si limita in poche parole a
fornire un quadro preciso della situazione. - Sono arrivata in ufficio
presto, perché ieri sono finalmente arrivati i materiali che aspettavamo
dalla Colombia. Come lei saprà (Ferraris non sa nulla, ma non si sbilancia)
tra una settimana si apre un’esposizione dedicata alla mummificazione, che
comprende una sezione con reperti provenienti dalla Colombia ed una con
materiali del nostro museo, solitamente non esposti, ed in particolare la
mummia di cui tanto si parla. La direttrice sembra
esitare un attimo. Sì, di quella fottuta mummia si parla moltissimo, impreca
mentalmente Ferraris che solo poche ore fa la benediceva (ah, l’umana incostanza!).
È stata prelevata dai magazzini per la mostra e si è scoperto che aveva
indosso gioielli preziosi e che doveva essere stata assassinata (non la
mummia, ovviamente, il tizio che prima di essere morto era ancora vivo,
lapalissiano, no?). - Siamo in forte ritardo,
il materiale colombiano avrebbe dovuto arrivare già una settimana fa,
dobbiamo completare l’allestimento per la data prevista… La direttrice s’interrompe.
Sorride. Ha un sorriso gentile. - Mi scusi, le sto facendo
perdere tempo, questa mostra sembra nata sotto una cattiva stella. Torno
all’omicidio. Antonio Messinese, la vittima, aveva il turno di notte, ma
quando sono arrivati i custodi del turno di giorno, non lo hanno visto. Non
riuscivamo a capire che cosa fosse successo, non risultava che fosse già
uscito. Poi un altro custode, Bertenghi, ha accompagnato due dei tecnici
addetti alla realizzazione della mostra. Dovevano andare a prendere gli
ultimi oggetti da inserire in una vetrina, ma nei sotterranei hanno visto il
cadavere di Messinese. Ferraris
chiede informazioni sui turni dei custodi, sulle persone presenti durante la
notte e sulle possibilità di accedere al museo nelle ore notturne, poi passa
ad interrogare coloro che hanno scoperto il cadavere. Il
custode, un uomo magro, un po’ pelato, che va verso i sessanta, sembra essere
lui il cadavere, tanto è pallido. Non sa niente, è sotto shock, quando
Ferraris gli chiede il suo nome, lo guarda un attimo fisso, stralunato, poi
ricorda di chiamarsi Attilio Bertenghi. Ha prestato servizio nella notte, è
rimasto nella sala di controllo due ore, poi, subito prima che finisse il suo
turno, dato c’era da sistemare l’ultima vetrina, il responsabile gli ha detto
di accompagnare i due tecnici, lui è sceso sotto, ha visto i piedi, ha visto… Bertenghi
si alza di scatto, ma non fa in tempo a raggiungere il bagno: vomita sul
pavimento del corridoio, poi si accascia e finirebbe a terra, se Diotallevi e
Martino non lo sorreggessero. Ferraris storce il naso e lascia in pace il
poveretto: se quello sta fingendo, può concorrere all’Oscar. I
due tecnici non si sono spaventati più di tanto, non conoscevano la vittima.
Uno dei due sembra pure piuttosto eccitato all’idea di aver scoperto il
cadavere. Ma non hanno informazioni utili da fornire: sono scesi nei
sotterranei per ritirare gli ultimi reperti, le pietre che chiudevano il
pozzo dove era stata sepolta la mummia. Il
responsabile della squadra che si occupa dell’allestimento, un certo Gio
Strillacci, chiede di parlare urgentemente con l’ispettore. Ferraris spera in
un indizio: una soluzione rapidissima del caso aiuterebbe a contenere i
danni; senza indagini e sospetti, con il colpevole già acciuffato,
l’interesse per il delitto sarebbe ridotto. Ferraris
dice di far entrare il tizio. L’ispettore lo guarda e lo soppesa, per capire
che tipo è e farsi una prima idea della sua attendibilità. Deve aver superato
la quarantina ed è piuttosto massiccio. Poi c’è la seconda occhiata, quella
estetica. Come è noto a tutti, sul lavoro Ferraris è di ferro e non ha cedimenti
(Michele a parte, ma quello fu un caso particolare, dovuto ad un evidente uso
di armi improprie da parte dell’agente), ma l’estetica è l’estetica e la
seconda occhiata un maschio che si rispetti la riceve. Il tizio indossa
maglie XL, ma a Ferraris gli orsi non dispiacciono, per niente. Strillacci
non ci gira intorno e viene subito al sodo, come piace a Ferraris. Purtroppo
in questo caso l’ispettore non sarà così soddisfatto della concretezza del
tecnico. -
Ispettore, è necessario intervenire subito. Ferraris già si frega le
mani soddisfatto. - Il dottor Gando ci ha
raccomandato di finire tutto per le dieci. Sa, il fotografo arriva in
mattinata, oggi pomeriggio interviene anche il dottor Mantovani, per la
presentazione ai giornalisti della sezione egiziana, già pronta, sa, per
mantenere vivo l’interesse, non possiamo perdere altro tempo, sa... Ferraris non sa chi è
Mantovani, non sa chi è Gando, non capisce bene che cosa intende dire il
tecnico ed al sentire la parola “giornalisti” già gli girano. Ma si
trattiene, ancora speranzoso. - Mi dica tutto quello che
sa e non perdiamo tempo. Il tecnico lo guarda un
attimo, interdetto. - Quello che so? Quello che so è che dobbiamo concludere l’allestimento entro un’ora al massimo, dovevamo finire già ieri pomeriggio, se non fosse per quel coglione che ha lasciato cadere il vetro, così abbiamo dovuto rinviare la preparazione dell’ultima teca. Già i materiali colombiani sono arrivati con parecchio ritardo, per cui dovremo montarli a passo di corsa, ma la mostra non può essere rinviata: dobbiamo assolutamente prendere le pietre che ci sono nei sotterranei, le assicuro che non toccheremo niente, scavalchiamo il morto e… - Cooosa? Per il culo di
Satana, lei mi voleva parlare per questo? Per questo?! - Ma dobbiamo finire
l’allestimento, anche i materiali colombiani ci servono… - Se lei mette un piede nei
sotterranei, io l’arresto per complicità! - Ma il fotografo deve
scattare le foto per il catalogo. E poi il dottor Gando, il responsabile… - Il dottor Gando può prenderselo
in culo! E dopo aver così liquidato
il dottor Alessandro Gando, uno dei massimi esperti di antichità egizie in
Europa, per non dire del mondo, Ferraris prosegue con alcune altre
espressioni dello stesso tenore, prima di far allontanare Strillacci,
allibito ed irritato, ma abbastanza saggio da non mostrarlo davanti
all’ispettore: “Quello è una belva!” sarà la conclusione del suo resoconto
davanti al dottor Dadotto, responsabile dell’allestimento, ed al dottor
Gando, che ha curato la sezione egizia della mostra. Ferraris prende i nomi
degli altri custodi notturni, che sono andati a casa senza sapere nulla
dell’accaduto. Li convocherà in commissariato. Poi Ferraris sente alcuni
dei colleghi del morto, per avere un’idea della sua personalità e soprattutto
dei suoi rapporti con gli altri. Messinese non era
particolarmente amato dai compagni di lavoro, anche se nessuno ovviamente si
sbilancia: non ci tengono a destare sospetti. Messinese apparteneva alla
categoria, abbastanza rappresentata nel Bel Paese (l’Italia, non il
formaggio), che considera un impiego pubblico una sinecura e che, contando su
qualche medico di famiglia compiacente, si presenta al lavoro in modo, come
dire, non propriamente regolare. Si sa: l’età (45 anni), gli acciacchi, i
problemi di famiglia (separato senza figli, ma chi non tiene famiglia nel Bel
Paese?) e tutto il resto influivano negativamente sulla sua presenza al
lavoro ed anche quando era fisicamente presente, spesso non era al suo posto.
Motivi probabilmente
insufficienti a giustificare un omicidio, ma più che sufficienti a spiegare
perché i colleghi conoscevano poco Messinese. A parte, sì, ricorda uno dei
custodi, c’è Busini, naturalmente, lui era amico del morto. Dov’è Busini? A
casa, in malattia, naturalmente. Naturalmente. Non rimane molto altro da
fare, in attesa dei risultati della scientifica: tutto il personale presente
è arrivato ore dopo l’assassinio, per cui nessuno può fornire molti elementi. |