18 Il
dottor Mantovani dovrà presentarsi in commissariato. Lo trovano in albergo
all’ora di pranzo e nel primo pomeriggio è già nell’ufficio di Ferraris. Lorenzo
Mantovani sembra molto giovane, ha un sorriso simpatico ed un’aria indifesa.
Insomma: un bravo ragazzo, non certo il classico funzionario ministeriale
come uno se lo immagina. L’ispettore è alquanto diffidente, l’esperienza gli
ha insegnato che quelli con la faccia da bravo ragazzo sono i peggiori.
Intanto però lancia una seconda occhiata. Niente male neanche lui, insomma,
questa fottuta inchiesta almeno ha degli aspetti positivi. -
Avrei bisogno di porle alcune domande, dottor Mantovani. -
Sono a sua completa disposizione, commissario. È un piacere per me poter
collaborare con la giustizia italiana. Mantovani
ha risposto in un italiano perfettamente corretto, perfino forbito, con
appena un leggero accento straniero. La direttrice lo aveva detto, ma
Ferraris è diffidente per natura. -
Come mai parla così bene l’italiano? -
I miei nonni erano italiani ed in famiglia spesso parliamo italiano. -
Non sapevo che ci fossero molti italiani in Colombia. -
Non ce ne sono, i miei stavano in Argentina, ma nel periodo della dittatura
preferirono emigrare, mio padre era un sindacalista, sfuggì per un pelo ad un
tentativo di rapimento… Sa, pochi di quelli che sparivano ne sono usciti
vivi. Ferraris
annuisce: in effetti di uno dei suoi cugini, sequestrato durante la
dittatura, non si è più saputo nulla. Adesso però è ora di venire al dunque. -
Allora, dottor Mantovani, ci vuole spiegare come è nata l’idea di organizzare
questa mostra? Mantovani
esita un momento: -
Come è nata la mostra? Non capisco bene che legame… Ferraris
interviene, con delicatezza (non vuole creare problemi internazionali): -
Lei risponda alle domande e non si preoccupi di capire. Mantovani
è un po’ infastidito, ma non protesta. -
Il ritrovamento della mummia, sul Nevado Cumbal, è stato un avvenimento di
grande rilevanza per l’archeologia colombiana. In passato diverse mummie
preincaiche sono state ritrovate ad alta quota in Perù, ma reperti di questo
genere non erano mai stati scoperti in Colombia. Siamo molto orgogliosi di… Ferraris
sta fumando, ha uno scatto d’impazienza, ma ancora si contiene. Mantovani
continua imperterrito. -
… questa scoperta sensazionale, che aggiunge una pagina gloriosa alla lunga
storia dell’archeologia colombiana. -
Sono felice per l’archeologia colombiana, ma può essere tanto gentile da
rispondere alla mia domanda, invece di menare il can per l’aia, per il culo
di Satana! Il
self-control di Ferraris, dote di cui madre natura è stata avara nei
confronti dell’ispettore, è giunto al capolinea ed anche Mantovani,
probabilmente più versato nell’archeologia preincaica che nella psicologia
umana, lo intuisce. Perciò corregge un po’ il tiro, senza nascondere
completamente la sua irritazione per la mancanza di rispetto. -
Un ritrovamento di questa importanza richiede uno spazio museale adeguato ed
i tempi di allestimento sono lunghi. Lasciare in magazzino un reperto di
questo genere, una volta conclusi gli esami, ci sembrava un delitto.
Organizzare una mostra itinerante permetteva di far conoscere in altri paesi
la ricchezza archeologica e culturale delle civiltà precolombiane, mentre il
museo provvedeva a sistemare lo spazio destinato a accogliere il reperto… -
Chi ha organizzato la mostra? -
L’organizzazione di mostre all’estero è di mia competenza. Con i dottori
Campos e Umbral, di cui certo lei conoscerà i nomi, abbiamo individuato gli
elementi che potevano essere utilizzati per la mostra ed abbiamo avanzato la
proposta a due musei europei, il Museo Egizio di Torino, con cui avevamo già
contatti, ed il museo Guimet di Parigi. Mantovani
risponde paziente. Ferraris invece perde la pazienza e decide di giocare un’altra
carta. -
Sappiamo che cosa c’era in quelle casse, Mantovani. Il
cambio di tono dell’ispettore disorienta Mantovani, che risponde, un po’
stupito: -
Ah sì, che cosa? Ferraris vede aprirsi uno
spiraglio. Se Mantovani non ne sapesse niente, non avrebbe neanche capito la
domanda. Nelle casse ci sono i reperti colombiani. Non è certamente un
indizio significativo, men che mai una prova, ma l’ispettore naviga a vista e
gli sembra di aver finalmente scorto qualche cosa. - Lei non lo sapeva,
Mantovani? Se c’è stato un attimo di
cedimento, è superato. Mantovani risponde, serafico: - Certo, ci sono i reperti
che abbiamo collocato a Bogotà. Ho seguito personalmente le operazioni di
imballaggio, per assicurarmi che avvenissero correttamente. - C’era anche altro,
Mantovani, e lei lo sa benissimo. - Non capisco che cosa
intende dire, ispettore. Mantovani appare
leggermente irritato. E dire che Ferraris è stato di una cortesia
assolutamente squisita! Comunque di elementi per
incastrare Mantovani non ce ne sono e Ferraris se ne rende perfettamente
conto. L’unica è mettergli paura e sperare che faccia una mossa falsa. - Se non l’ha capito, lo
capirà molto presto. Mantovani non replica. Ha
scelto la parte di chi non capisce, dell’innocente stupito ed un po’ seccato
dalle vessazioni che subisce. Ferraris esce dall’ufficio, dicendo a Mantovani
di aspettarlo, e va a dare alcuni ordini. Si occupa d’altro per un buon
momento, in modo da dare a Mantovani il tempo di cuocere nel suo brodo, poi rientra
e chiede ancora alcuni dettagli sulla spedizione. - Lei ha assistito
personalmente alla sistemazione del materiale nelle casse? - Certo, era il mio
compito. - Quanto tempo ha richiesto
la sistemazione dei reperti? - Tre giorni. - Quindi non può escludere
che qualcuno abbia aperto le casse durante la notte. - Ma… non capisco. I
materiali ci sono tutti, non mi risulta che manchi nulla. Qual è il senso di
queste domande? - Senta, qui le domande le
faccio io, ci siamo capiti? Mantovani è ormai offeso (o
finge di esserlo, se l’ipotesi di Ferraris è giusta). Ferraris non se ne
preoccupa. Come si diceva a casa sua, se è offeso, ha solo da tagliarsi la
parte offesa. L’ispettore riprende: - Può rispondere alla
domanda che le ho fatto? La voce di Mantovani è fredda,
chiaramente ostile: - Certo, non ho dormito
sulle casse, ma durante la notte vi era una sorveglianza continua. E durante il trasporto
all’aeroporto? - Ho viaggiato io stesso su
uno dei furgoni ed ho seguito tutte le operazioni di imbarco e sbarco. - Quindi le casse possono
essere state aperte solo al museo di Bogotà? - Ma perché dice che le
casse sono state aperte? - Può rispondere alla mia
domanda? Mantovani alza le spalle. - Se sono state aperte, può
essere avvenuto a Bogotà, durante la notte, o qui a Torino, dopo il loro
arrivo. - Sì, tutte e due le volte
e credo che lei ne sappia qualche cosa… L’ispettore tiene sotto
pressione la sua vittima ancora per un’oretta, ma Mantovani nulla sa, nulla
sospetta, non ha visto, non ha sentito, non parla, appare sempre più offeso,
anche se mantiene modi cortesi e non protesta. Ferraris ha guadagnato il
tempo che gli serviva. Ora rimane solo più una domanda: - Dov’era martedì verso le
sette di sera? - Martedì verso le sette di
sera? Martedì… - Il giorno del primo omicidio,
non se ne sarà dimenticato, vero? - No, certamente. Verso le
sette… Ero con la direttrice. Abbiamo avuto un incontro alla sei, per
discutere delle difficoltà che ci creava l’impossibilità di accedere ai
sotterranei. Come riuscire a rispettare i tempi previsti, pur non potendo
incominciare a sistemare i reperti. - A che ora è finito
l’incontro? - Direi verso le sette e
mezzo. Può chiedere alla direttrice. - E poi? - Poi avevo una cena con il
dottor Contreras, console onorario della Colombia a Torino. - È andato direttamente dal
museo a cena? - Il dottor Contreras mi è
passato a prendere al museo. Gli avevo telefonato che avevo questo incontro
non previsto, per cui il dottore è stato tanto cortese da venire ad
aspettarmi. - A che ora è arrivato? - Non so, quando sono
uscito, verso le sette e mezzo, come le dicevo, era già fuori ad attendermi. - E dove avete cenato? - Un posto delizioso,
vicino ad un campo da golf. Aspetti, come si chiama, La Volpe e l’Uva, mi
pare, non è a Torino, è dietro la collina, a… Paciotto? - Pecetto. Ferraris si dice che ormai
può lasciarlo andare. Mantovani esce dal
commissariato salutando in modo alquanto freddo. È irritato per come è stato
trattato. Ferraris spera di averlo spaventato abbastanza. La sua unica
possibilità è che Mantovani faccia un passo falso. Ed i suoi passi saranno
rigorosamente controllati, perché l’ispettore lo ha fatto mettere sotto
sorveglianza. Anche le sue telefonate saranno intercettate, almeno quelle
dall’albergo. Le operazioni per mettere sotto controllo il cellulare saranno
più lunghe, trattandosi probabilmente di un contratto colombiano, ma Ferraris
si è procurato il numero e non dovrebbero esserci problemi neanche da quella
parte. Se Mantovani cercherà di avvisare qualcuno, fornirà una traccia. 19 Intanto il commissario
convoca Ferraris. Ha la classica aria un po’ imbarazzata di quando deve
mettere i bastoni tra le ruote al suo migliore ispettore (questa è la
versione Ferraris. Quella del commissario sarebbe: di quando deve ridurre alla
ragione quella testa dura di Ferraris. Qual è il punto di vista più vicino
alla verità? Ai lettori l’ardua sentenza). - Ispettore, sono molto
contento dei progressi di questa inchiesta. Ferraris emette un suono
inarticolato ed aspetta: sa benissimo che quando il commissario lo loda, sta
per dargli qualche botta. - Visto che ormai sappiamo
che cosa c’era in quelle casse, ho autorizzato il museo a riprendere il
montaggio della mostra lunedì. - Cooooosa? - L’inaugurazione è
martedì, si tratta di un evento internazionale, che non può essere rimandato.
Avrebbero voluto riprendere oggi, ma non sapevo se lei aveva ancora controlli
da fare. Ferraris avrebbe molte cose
da dire e da fare (sbranare il commissario, in primissimo luogo; impalare i
responsabili della mostra, dal Gando, del tutto estraneo alla faccenda, al
Mantovani; torturare la direttrice), ma evidentemente il capo ha ricevuto
pressioni a cui non ha saputo dire di no e l’ispettore non può opporsi. Ferraris mugugna ed incassa il colpo. Mentre esce dall’ufficio
del capo, gli consegnano i tabulati delle telefonate di Bertenghi, appena
arrivati. Nessuna comunicazione nella giornata di martedì, se non quella con
il figlio, finita alla 19.20. A quell’ora qualcuno ha suonato. Diotallevi ha
fatto un rapido giro tra i vicini, ma nessuno è andato da Bertenghi, nessuno
ha visto uno sconosciuto sulle scale o in ascensore, nessuno sa un cazzo, si
sa, ognuno si fa gli affari propri, in quel fottuto condominio. Se l’assassino è arrivato
alle 19.20, si può vedere dov’erano i principali sospetti a quell’ora.
Sannarcoti ha detto che era a casa sua, ma non ha un alibi. Mantovani pare
averlo, invece; bisognerà chiedere alla direttrice se conferma, ma è
difficile che Mantovani si sia inventato l’incontro, a meno che non abbia
barato sperando di non essere scoperto: l’incontro con la direttrice potrebbe
essere finito prima oppure quel Contreras potrebbe essere un complice. Prima
della cena potrebbero essere passati ad ammazzare Bertenghi. Dadotto e Strillacci sono
al Museo Egizio. Stanno allestendo la mostra, senza metà dei reperti,
naturalmente, quelli potranno metterli solo lunedì. Tra loro ci sono anche due
poliziotti: Ferraris li ha mandati nel caso Mantovani decidesse di
presentarsi al museo, con l’ordine di non perderlo di vista neanche un
secondo, neppure quando va al cesso. Mantovani in effetti è
passato al museo, ma se n’è andato quasi subito. Questo è un elemento
positivo, perché in qualche modo conferma i sospetti di Ferraris: probabilmente
è venuto per parlare con qualcuno, ma vista la situazione, ha deciso che
rischiava di destare sospetti e se n’è andato. Anche se ovviamente potrebbe
essere passato solo per vedere com’era la situazione o prendere accordi per
lunedì. Quando Dadotto vede il
commissario, nei suoi occhi c’è un inequivocabile lampo di furia omicida. - Mi dica lei come faccio
ad allestire le vetrine e sistemare le luci, basandomi solo sulle fotografie
dei pezzi! Ferraris ignora la domanda.
Dà un’occhiata alla parte già montata. Bisogna riconoscere che Dadotto ha
fatto un bel lavoro. Quanto alla parte che manca, ha tutto lunedì per
concludere. Di che si lamenta? - Ho bisogno di parlarle. - Non ha ancora finito di
scassare… Dadotto si interrompe e
Ferraris lo guarda, ghignando. - No, non ho ancora finito,
per il culo di Satana. Se non vuole perdere tempo, non me ne faccia perdere. Ferraris e Dadotto si
mettono in un ufficio vuoto. - Dov’era martedì alle
19.20? - Questo martedì, quello
degli omicidi? - Sì. - A spasso per Torino. Era
una bella giornata ed ho deciso di fare due passi dopo che abbiamo finito. O,
meglio, dopo che abbiamo sospeso senza neppure incominciare, visto che lei ce
l’ha vietato. Ferraris non coglie la
sottile allusione al suo ruolo nel mancato allestimento della mostra. - Era da solo? - Sì. - E poi? - Poi ho mangiato una pizza
ed infine sono tornato in albergo. - Tutto da solo? - Sì. - Quindi non ha un alibi?
Nessuno che possa testimoniare? - No. - In che pizzeria è stato? - In nessuna, ho solo preso
un trancio di pizza. - Sì, ma dove l’ha preso? - Non mi ricordo, credo…
sì, in quella piazza dove c’è il conservatorio. - Piazza Bodoni? Dadotto alza le spalle. - Se lo dice lei… - Non ha incontrato
nessuno? Qualcuno che possa garantire che lei era davvero in centro e non da
un’altra parte, ad esempio a casa del custode assassinato? - No. C’è un chiaro tono di
sfida, ma Ferraris lo ignora. Quello che conta è che Dadotto non ha un alibi.
Ferraris si informa ancora sull’albergo e su alcuni altri dettagli, poi
congeda Dadotto e fa chiamare Strillacci. Strillacci appare più
disponibile di Dadotto. - Dov’era questo martedì
alle 19.20? Strillacci guarda il
commissario, si gratta un attimo la testa. - Martedì… martedì… Quando
hanno ammazzato il primo custode… Dadotto ha subito fatto
riferimento ai due omicidi, anche se di quello di Bertenghi si è saputo solo
giovedì. È vero che è stato detto che la morte di Bertenghi risale a martedì,
quindi non è strano che Dadotto abbia fatto il collegamento a tutti e due i
morti. Però gli è proprio venuto subito. Un piccolo indizio? Strillacci sta ancora
pensando: - Dunque, mi pare… Sono
uscito dopo le sette e sono andato subito in albergo, a cena. Per la cena ovviamente
basterà fare un controllo all’albergo. Sull’ora a cui Strillacci è uscito dal
museo, non ci possono essere certezze. È uscito dopo Dadotto, questo se lo
ricorda benissimo. È andato in albergo a piedi. L’alibi
va verificato. È debole, se nessuno sa a che ora è uscito e se in albergo non
sanno indicare l’ora dell’arrivo di Strillacci, come è probabile, per non
dire sicuro. Può comunque essere uscito, essere andato da Bertenghi ed averlo
ucciso e poi essere andato in albergo. Se c’era un complice con l’auto che
l’aspettava, ha avuto tutto il tempo per farlo. Perfino con la metropolitana
non ci vuole moltissimo, da Porta Nuova alla casa di Bertenghi si arriva in
un quarto d’ora, anche meno. Ancora
qualche domanda, poi Ferraris congeda Strillacci. Quando l’ispettore esce dal
museo, Dadotto non lo saluta neanche. Povero Ferraris, ci dormirà male questa
notte! |