12 LA MALEDIZIONE DELLE MUMMIE titolano i giornali, chi più cautamente, inserendo punti interrogativi ed un “si dice”, chi più sfacciatamente: due mummie di persone uccise, due custodi del museo assassinati in meno di ventiquattr’ore (la morte di Bertenghi risale alla sera del martedì, tra le sei e le undici, più o meno). Su alcuni blog in Internet si dice che il numero di secoli intercorsi tra l’uccisione dell’uomo egiziano e il sacrificio della donna colombiana corrisponde certamente al numero di ore trascorse tra la morte del primo custode e quella del secondo. Insomma, c’è spazio per tutta l’ampia gamma di idiozie che la mente umana è in grado di concepire. Su un punto però Ferraris è
perfettamente, completamente, assolutamente ed integralmente d’accordo. Quelle
mummie sono una maledizione, perché i giornalisti lo assediano ed anche se
Ferraris non rilascia interviste (con l’OK del capo, che conosce Ferraris e
preferisce saperlo lontano dalla stampa), la sua faccia appare in TV quasi
quanto quella di alcuni politici di professione. Tra un po’ lo inviteranno a Porta
a Porta e ci sarà un nuovo serial-killer, l’ispettore (quasi commissario)
Ferraris. Il mattino seguente,
venerdì, si presenta in commissariato il figlio di Bertenghi. Si chiama
Matteo, è sui trenta ed ha grandi occhi azzurri. Il colloquio non è lungo,
Matteo non ha molte informazioni da fornire: abita a Bologna e viene (veniva)
a Torino a trovare il padre una volta al mese, non lo vedeva da tre
settimane. - Suo padre era a corto di
soldi. Perché? Matteo si morde il labbro.
È pallido, deve aver passato la notte in bianco. Povero cristo anche lui, non
è piacevole sentirsi telefonare che il proprio padre è stato assassinato. - La casa, quella maledetta
casa. Finché c’era mia madre, con due stipendi, tiravano avanti abbastanza
bene. Da solo non ce la faceva. Cercavo di aiutarlo, ma mio padre era
orgoglioso, non voleva. Ferraris sa che l’aiuto c’è
stato. Su questo Matteo Bertenghi è sincero. - Gli ha mandato dei soldi
in diverse occasioni, non è vero? Matteo lo guarda un po’
stupito. Si starà chiedendo come fa a saperlo Ferraris. - Sì, ma ogni volta era una
fatica farlo accettare. - Perché non cambiava casa? - Perché lui e mia madre
erano vissuti lì da quando si erano sposati, sempre. Lui non voleva
rinunciare a quella casa. Erano stati felici, insieme… Matteo ha le lacrime agli
occhi e Ferraris si sente a disagio. Preferisce avere a che fare con ladri,
assassini, spacciatori, rapinatori e quanti altri. Per trattare con i parenti
delle vittime, ci vorrebbe Michele, che è in gambissima: l’agente preferito
dell’ispettore non ha avuto una vita facile, ma le sofferenze hanno
sviluppato la sua sensibilità. Ferraris, che di tale dote difetta alquanto,
ne sente la mancanza in questo frangente.
Matteo continua a parlare e
dice cose che non c’entrano niente. - Lui e mia madre erano
molto uniti. Da quando lei è morta, mio padre ha perso ogni voglia di vivere.
Passa le ore a guardare le vecchie foto di mia madre, di loro due insieme. Matteo
parla del padre come se fosse ancora vivo. Ora piange, voltando la testa per
non farsi vedere dall’ispettore. Ferraris è sul punto di lasciarlo andare, ma
ha ancora qualche domanda da fare. Quando Matteo si è calmato e si è soffiato
il naso, l’ispettore riprende: -
Ha sentito suo padre negli ultimi giorni? -
Gli telefonavo più o meno ogni due giorni, ci siamo sentiti martedì nel tardo
pomeriggio. Mio padre era sconvolto, nella notte avevano ammazzato un
collega, aveva scoperto lui il cadavere. Era talmente agitato che gli ho
chiesto se voleva che venissi su. Mi sono spaventato. Ma lui non voleva. Poi
mercoledì sera l’ho cercato di nuovo, prima non ho potuto, è stata una
giornata infernale. Lui non ha risposto. Ero preoccupato. L’ho cercato
parecchie volte, poi è diventato troppo tardi. Non sapevo che cosa fare. Qui
a Torino non abbiamo nessun parente, con i vicini… non ci sono rapporti. C’è
un momento di silenzio. Poi Matteo Bertenghi conclude: - Giovedì l’ho cercato il
mattino, ho anche pensato di telefonare al museo, poi mi avete telefonato
voi. Matteo rabbrividisce e
rimane in silenzio. Non urla che vuole sapere chi è l’assassino, che la
polizia deve prenderlo, che ci vuole la pena di morte. Ferraris lo sa già:
tra coloro che hanno perso qualcuno a cui tenevano davvero, molti sono troppo
inebetiti dal dolore per chiedere, pretendere, minacciare. Invece quelli che
fingono soltanto e che magari sono stati loro ad uccidere, spesso esigono
rapide indagini e giustizia implacabile, alzano la voce, accusano. - Senta, negli ultimi
giorni, prima di martedì, ha notato in suo padre cambiamenti? L’ha sentito
più teso, agitato? - No, no, anzi, era più
contento del solito, diceva che contava di fare delle ore di straordinario
che gli avrebbero permesso di risolvere i problemi con la banca, almeno per
un po’. Io non volevo che si affaticasse, ma lui era tutto contento… Sì, Bertenghi aveva in
mente di incassare un po’ di soldi, ma non con gli straordinari. Con un’unica
notte in sala videosorveglianza, togliendo un allarme ed aprendo una porta.
Non gli è andata bene. Un ultimo dettaglio: - A che ora ha sentito suo
padre, martedì? - Al ritorno dall’ufficio,
verso le sette. Quindi Bertenghi è stato
assassinato dopo le sette di martedì. - Va bene, la ringrazio.
Lei si ferma a Torino in questi giorni? Matteo Bertenghi annuisce,
ma sta pensando a qualche cos’altro. Guarda Ferraris e dice: - Non so se è importante,
ispettore, ma mi è venuta in mente una cosa… - Dica. - Martedì sera, quando
stavamo parlando al telefono, io e mio padre, qualcuno ha suonato alla porta.
Mi sono stupito, mio padre aveva pochi amici e non li vedeva mai la sera. Ho
pensato ad un vicino, anche se non è che avesse molti rapporti con loro… L’elemento è molto
interessante. Potrebbe indicare con precisione l’ora dell’omicidio. Bisognerà
controllare se qualcuno dei vicini ha suonato alla porta di Bertenghi. In
caso contrario l’uomo che ha suonato era il suo assassino. Che forse aveva
già deciso di ucciderlo oppure era venuto solo per ricordargli di stare zitto
e lo ha ammazzato quando ha capito che Bertenghi aveva troppa paura per non
cedere al primo interrogatorio. Ferraris annuisce. I pezzi
presenti vanno al loro posto. Ne mancano tanti, troppi, ma almeno la
situazione a grandi linee è chiara. 13 La convinzione
dell’ispettore dura meno di cinque minuti. Perché quando Matteo Bertenghi
esce, Ferraris ha un altro interrogatorio in vista, anche se ancora non lo
sa: è una conseguenza del grande can-can mediatico, che, nonostante quello
che pensa l’ispettore, ha anche effetti positivi. Diotallevi entra
nell’ufficio di Ferraris e gli dice: - C’è un ragazzo che dice
di aver visto un furgone fuori dal Museo Egizio, martedì, alle tre di notte,
e della gente. Lo faccio entrare? Ferraris è sempre dubbioso
sui testimoni che si presentano spontaneamente. Questo magari neanche sa dove
si trova il Museo Egizio o ha scambiato il camion della raccolta rifiuti con
un furgone. Ma non si sa mai. Magari è attendibile. Ed un testimone sarebbe
molto apprezzato in questo momento. Il ragazzo ha meno di
trent’anni, barbetta nera ed occhioni scuri. Ferraris gli lancia una prima
occhiata per farsi un’idea del tipo e della sua possibile attendibilità come
testimone; giudizio: sufficiente, non sembra fuori di testa, non sembra tonto
(in campo professionale Ferraris non è largo di manica). Una seconda
occhiata, del tutto privata, è la solita valutazione estetica; giudizio:
niente male, sì, niente male (la ripetizione è dovuta ad una terza occhiata).
- Come ti chiami? - Fabio Traldi. - Che cosa hai da
raccontare? - Lunedì notte, cioè,
martedì mattina, verso le tre, sono passato in via Principe Amedeo, di fianco
al museo Egizio. - Che ci facevi a quell’ora
lì? - Ero andato a trovare un
amico. Stavo tornando a casa. L’impulso di Ferraris
sarebbe quello di ottenere, con le buone o con le cattive, una risposta più
precisa: il nome dell’amico, le motivazioni della visita e così via, ma,
considerando che probabilmente tutto ciò è completamente inutile per
l’indagine, si dice che se servirà, glielo chiederà dopo. Ci sono altri elementi più
importanti, da verificare. - Sei sicuro dell’ora? - Sì, avevo guardato
l’orologio quando ero uscito da casa del mio amico. Erano le tre meno dieci.
Lui sta in una soffitta di piazza Vittorio, quindi dovevano essere le tre,
tre e cinque. Ferraris annuisce, il
ragazzo deve essere uno che cammina, i tempi corrispondono. - Prosegui. - Nella viuzza lì dietro,
via Eleonora Duse, si chiama, quella chiusa al fondo, c’era un furgone,
fermo, con le porte dietro aperte e quattro tizi. Portavano dei grossi sacchi
sulla schiena. Sono entrati da un portone. Io mi sono detto: “Che strano, a
quest’ora portano merci! E dove poi?” Lì per lì non ho capito che era il
Museo Egizio. L’entrata principale è dal lato opposto. Ci ho riflettuto solo
dopo, quando ho visto alla tv dei furti. - Ferma un attimo. Ripeti: hai detto che sono entrati nel museo
con quattro grossi sacchi? Stavano entrando? Non uscendo? - Sì, certo, stavano
entrando, con i sacchi. Li ho visti entrare con i sacchi sulla schiena. - E poi? - E poi niente, me ne sono
andato. Era già abbastanza tardi. Ah sì, credo che il furgone sia ripartito
subito. Ho sentito mettere in moto e non credo che ci fosse un’altra auto. - Quattro uomini sono
entrati dentro il museo. Ed in più ci doveva essere l’autista, allora. - Credo di sì. - Allora, pensa bene a
quello che hai visto. Quando tu sei passato, com’erano messi i quattro
uomini? Avevano già i sacchi sulla schiena? - Sì, certo, almeno, tre di
loro sì. Il quarto è spuntato dopo, come se fosse sceso in quel momento dal
retro del furgone. Anche lui aveva un sacco. - E tu ti sei fermato a
guardare? - No, io ho tirato diritto,
ma guardando da quella parte. Ero curioso di capire dove andavano. - E li hai visti entrare
nel Museo? Qualcuno ha aperto la porta? - No, la porta era già
aperta. - Quindi poteva esserci
anche qualcun altro. - Sì, certo. Io ho visto
solo quei quattro, ma magari c’erano anche altri. - Sono entrati e poi? - E poi niente. Li ho visti
entrare, ma io intanto ero passato oltre, per cui non mi sono girato più a
guardare. Ma dopo un po’ ho sentito avviare un motore. L’interrogatorio procede,
ma Fabio non ha altri elementi da fornire. Non sarebbe in grado di descrivere
gli uomini. Ha fornito una testimonianza precisa, anche se difficile da
interpretare. 14
Ferraris non ci capisce più niente. Meno male che i pochi pezzi a
disposizione sembravano incastrarsi uno dentro l’altro!
Fino ad ora ha pensato ad un ladro, anche se ovviamente non ha escluso
che i ladri potessero essere due o più. Adesso saltano fuori quattro tizi,
che invece di rubare, portano sacchi pieni dentro il museo. Che cosa hanno
portato? Quattro uomini, con grossi sacchi, per di più. Forse il problema è
lì: lui ha sempre cercato di scoprire che cosa mancava, invece deve scoprire
che cosa è stato portato dentro. Ma che cazzo si può portare dentro un museo
alle tre di notte ed ammazzare anche il custode che ti scopre?
Di tornare al museo, Ferraris non ha propria voglia. Ha la sensazione
che, conclusa l’inchiesta, non metterà più piede in quell’edificio, neanche
dovessero, che so… tenerci la prossima edizione del festival Da Sodoma a
Hollywood ed in particolare la sezione notturna, quella dei film hard.
Prende il telefono, chiama il museo e si fa passare la direttrice. La
signora spera in un’autorizzazione a completare l’allestimento. Ferraris
invece le chiede se al museo sono stati trovati sacchi o altri oggetti che
non dovrebbero esserci. Alla direttrice non risulta, non capisce nemmeno bene
che cosa vuole l’ispettore, l’idea le sembra assurda. Ferraris non riesce ad
essere convincente: non è convinto nemmeno lui! Alla fine l’ispettore manda
Diotallevi e Martino, che facciano un controllo loro, insieme a qualcuno del
museo, il Sannarcoti, ad esempio.
Intanto Ferraris va all’istituto di medicina legale. Vuole parlare con
il dottor Merli, che si è occupato delle due autopsie. L’ispettore ha già le
informazioni essenziali, ma il rapporto definitivo non è ancora arrivato e
Ferraris vuole sapere qualche cosa di più.
Ferraris entra nello studio del dottore senza farsi annunciare. I due
si conoscono da tempo e sono in buoni rapporti, anche se Marco Merli si
diverte a stuzzicare l’ispettore, che, come è facilmente intuibile, non
subisce senza reagire.
Marco Merli è al computer, ma non sta scrivendo la relazione. Ferraris
si dice che sta chattando oppure scambiando messaggi con qualcuno.
- Buongiorno, Ferraris, qual buon vento la porta? Marco Merli sa benissimo che cosa vuole Ferraris, ma gli piace tenerlo sulle spine. Ferraris sbotta:
- Per il culo di Satana, stiamo aspettando i rapporti. Che ne direbbe
di smetterla di girare sui siti porno e provare a fare quello per cui la
pagano?
Il dottore inarca le sopracciglia, fingendosi profondamente offeso
dall’insinuazione di Ferraris.
- Ispettore, lei conosce i tempi previsti dalla legge…
Ferraris interrompe con la finezza che lo contraddistingue:
- Con i suoi tempi mi pulisco il culo! Voglio sapere che cosa è emerso
dalle autopsie.
Merli sospira, lancia un’ultima occhiata al monitor, dove troneggia
l’immagine di Parker Williams, porn-star ed escort (300 dollari l’ora, si
potrebbe anche fare, adesso che il dollaro vale così poco rispetto all’euro,
ne varrebbe la pena, pensa Merli, ma bisogna andare fino a San Diego) e si
rassegna a rispondere a Ferraris.
- Niente di particolare. Messinese è stato ucciso con un unico colpo,
sferrato con grande forza. Mi verrebbe da dire: un professionista. Ma non
credo che i killer di professione usino più le pietre come armi, almeno dalla
fine del Neolitico. Gli ha sfondato la base del cranio.
- Un colpo vibrato mentre Messinese stava entrando nel locale…
- Messinese non stava entrando da nessuna parte. -
Per il culo di Satana, questo come cazzo fa a dirlo? -
Messinese era steso a terra, quando l’hanno ammazzato. -
Steso a terra? Ma… ne è sicuro? Il
dottor Merli assume di nuovo un’aria offesa e questa volta non è tutta scena.
Che Ferraris si permetta di dubitare della sua competenza, è proprio un po’
troppo… -
Certo che ne sono sicuro. Inequivocabile. Era steso a terra e qualcuno lo ha
colpito. Si dev’essere messo su di lui, probabilmente seduto, e lo ha
colpito. Una sola volta. Più che sufficiente. -
Quindi… -
Quindi le conclusioni le può tirare lei. Io adesso avrei da fare. Ferraris
grugnisce, lancia un’occhiata in tralice al monitor e chiede. -
E Bertenghi? Merli
alza le spalle. -
Niente. Gli hanno sparato da nemmeno due metri, mentre era seduto. Ferraris
annuisce. Lancia un’ultima occhiata al monitor e colpisce: -
Non si affatichi troppo con il lavoro. Sa, dicono che uno rischi di diventare
cieco… a guardare troppo il monitor… Merli
sorride: -
Occorre sacrificarsi per il lavoro. E poi, non creda a tutto quello che
dicono. Merli
ritorna alla sua occupazione, chiedendosi se non visitare la California, a
giugno, quando andrà in ferie. Certo, sarebbe un viaggio molto costoso, ma si
vive una volta sola…
Ferraris esce dall’ufficio di Merli, ponendosi altre domande.
Messinese era steso sul pavimento. Probabilmente è stato buttato a terra da
quelli che lo hanno sorpreso e poi eliminato. Niente di strano. Nessun passo
avanti in questa fottuta inchiesta. Dopo
un po’ che Ferraris è ritornato in ufficio, arrivano Diotallevi e Martino.
Hanno fatto un giro completo del museo con il dottor Sannarcoti, ma non è
emerso nulla. Non ci sono cumuli di sabbia, cadaveri sezionati nascosti in un
angolo, schede elettorali ficcate in un sarcofago. Nulla di nulla. Che cazzo
è stato portato al museo nella notte? Ferraris
torna a casa prima del solito, questa sera va all’opera. Da quando Michele
vive da lui, il ritorno a casa ha tutt’un altro senso. Prima era soltanto il
chiudere con l’ufficio e le inchieste, il potersi riposare. Adesso c’è
l’attesa di rivedere Michele. Ma, ahimè, ci sono anche sorprese amare. C’è
chi trova il proprio uomo (o la propria donna) a letto con l’amante. Ferraris
trova Michele che fa merenda con pane e marmellata di marroni.
Ferraris lo guarda e per una volta non si dice che è bellissimo, ma
che si sta allargando un po’ troppo. Non in senso letterale, Michele non sta
ingrassando, ma in senso domestico. È vero che Ferraris gli ha messo a
completa disposizione la casa, il collegamento ad internet, il proprio corpo.
Ma la marmellata di marroni della sua mamma, questo è davvero troppo. La
produzione casalinga è alquanto limitata e rimanere senza marmellata prima
dell’autunno, quando arriveranno i rifornimenti, sarebbe una tragedia, peggio
del naufragio del Titanic. Ci sono altre marmellate, ad esempio quella
di cotogne, per cui la produzione è più abbondante e quindi il rischio di
esaurimento scorte è più ridotto. Michele deve imparare a selezionare.
Purtroppo Michele ha molto buon gusto, come ama dirsi il nostro ispettore, in
campo alimentare come in fatto di uomini… Ferraris
interviene con l’energia e l’efficacia degne di un quasi commissario: lui sa
come affrontare le situazioni di emergenza. Si avvicina a Michele, lo bacia
sulle labbra, sentendo ancora il gusto dei marroni, poi chiude il barattolo e
lo mette via. Michele
protesta. -
Ehi, io ho ancora fame!
- È quasi ora di cena, questa sera mangiamo presto, che io vado al
Regio.
Michele tiene il broncio: è un provocatore nato. Ferraris, ora che la
marmellata è al sicuro, sorride ed aggiunge:
- Ma se proprio sei affamato, ti do un bel pezzo di carne.
Ferraris si apre i pantaloni e mostra un altro boccone, alquanto
appetitoso. Non sarà proprio la marmellata di marroni, ma comunque presenta
un certo interesse e permette di saziare un altro tipo di appetito. Di fronte
a questa brillante manovra diversiva, Michele si distrae e la marmellata di
marroni viene dimenticata. Il tempo passa in fretta ed arriva l’ora di cena,
come Ferraris aveva previsto, senza che Michele abbia più pensato al
barattolo proibito.
Comunque l’ispettore non ha scordato il rischio corso e si sta
chiedendo se non sia opportuno occultare le scorte. Non è gentile nei
confronti del suo ospite, però una convivenza può funzionare solo se si
mettono dei paletti. |