4 – Un omicidio Il mattino seguente Albert
Rothaus non si presentò all’esercitazione. Lo cercarono in camera, ma non
aveva dormito nel suo letto. Una diserzione appariva improbabile, ma nessuno
era in grado di spiegare la sua scomparsa. Fu uno dei guardacaccia
del duca a trovare Albert, ai margini del bosco, vicino al cancello posteriore
della villa. Il suo cadavere giaceva a terra, le braccia un po’ allargate, la
faccia contro l’erba, il foro di un proiettile alla nuca. Il guardacaccia avvisò il duca,
che mandò immediatamente due servitori per informare la Gendarmeria e il
colonnello Schneider. Il colonnello Schneider e
il commissario distrettuale Kramer giunsero quasi contemporaneamente. Esaminarono il luogo del
ritrovamento, ma non c’erano tracce significative. Poi il colonnello voltò il
cadavere ed esaminò le tasche. - Qui c’è il portafogli. E
una chiave. Qui un orologio d’oro. - Questo esclude un
omicidio per rapina. - Che comunque mi sembrerebbe
molto improbabile. - Sì, mi sembra più
un’esecuzione. E non vedo segni di lotta. Il sottotenente… come si chiamava? - Rothaus. - Rothaus dava le spalle
al suo assassino. Evidentemente pensava di non avere niente da temere. - Dev’essere così. - O forse è stato preso di
sorpresa. Non si è accorto dell’arrivo dell’assassino. - Anche questo è
possibile. - Bisognerà capire che
tipo era questo Rothaus. Lei lo conosceva appena, suppongo. Era appena
arrivato, no? Il viso del colonnello si
contrasse. - Lo conoscevo bene. Era
figlio di amici di famiglia. Ero stato suo padrino di battesimo. - Oh, mi spiace. Non
sapevo, mi avevano detto che era arrivato da poco e credevo che non avesse
avuto molte occasioni di parlargli. Il colonnello scosse la
testa e disse: - Era un bravo ufficiale,
ma aveva ventiquattro anni e a quell’età... Schneider non completò la
frase, il cui senso era comunque abbastanza chiaro. Il commissario riprese: - Un’altra cosa che è
importante capire è perché si trovava qui. È stato dal duca ed è uscito dal
cancello posteriore? In questo caso qualcuno può averlo atteso qui per
ucciderlo, qualcuno che sapeva che sarebbe uscito da questa parte. - Solo il duca può dirci
se Rothaus è stato da lui ieri. Dopo aver fatto portare
via il cadavere, i due investigatori si recarono dal duca. Marko Jergović si mostrò disponibile a
rispondere a tutte le domande dei due investigatori. - Sì, è passato a trovarmi
nel pomeriggio. Nell’ultimo periodo avevamo avuto spesso modo di vederci: era
simpatico e lo invitavo sempre alle mie cene. Qualche volta, come ieri, è
venuto nel pomeriggio. - È successo qualche cosa
di particolare ieri pomeriggio? - No, assolutamente.
Abbiamo passeggiato nel parco, ci siamo bagnati nel laghetto, abbiamo
chiacchierato del mio viaggio a Zagabria e di vari argomenti, nulla di
significativo. - Le è sembrato turbato,
preoccupato? - No, per nulla. Non era
diverso dal solito. - È uscito dal cancello
posteriore, vero? - Sì, l’ha chiesto lui:
voleva fare due passi, prendendo il sentiero che attraversa il bosco - Non è certo la strada
più rapida per tornare alla caserma. - No, ma come le ho detto,
aveva voglia di camminare un po’. Almeno, così mi ha detto. - Lei lo ha accompagnato
al cancello? - No, avevo alcune cose da
fare. Gli ho dato la chiave del cancello. Me l’avrebbe restituita alla cena
di questa sera. Il colonnello tirò fuori
la chiave che aveva ritrovato in tasca di Albert. - È questa la chiave? - Sì, certo. L’avete
trovata addosso al sottotenente, suppongo. - Sì, esattamente. Poi il commissario chiese: - Lei non ha qualche idea
su chi possa avere ucciso il sottotenente e perché? - Assolutamente no. Non mi
ha mai detto di avere nemici, non si è mai mostrato preoccupato. Quando ebbero concluso con
il duca, il colonnello e il commissario interrogarono i servitori. Non
ottennero nessuna informazione significativa. Soltanto uno dei guardacaccia,
quello che aveva trovato il cadavere, disse di aver sentito una denotazione
nel pomeriggio precedente, un po’ dopo le sei. Infine Schneider e Kramer
raggiunsero la caserma. Il cadavere di Albert Rothaus giaceva nudo su un
tavolaccio. Il dottor Komives si stava lavando le mani. Kramer salutò con un
sorriso il dottore, che era sempre contento di vedere, anche in quelle
circostanze. - Buongiorno, dottore. - Buongiorno, commissario.
Buongiorno, colonnello. - È emerso qualche cosa
dall’esame del cadavere? - No. È stato ucciso con
un colpo alla nuca e la morte dev’essere stata istantanea. Non ha ecchimosi o
ferite, per cui non sembra che abbia lottato con il suo assassino. Non ho
fatto un’autopsia, perché non mi sembra ci siano dubbi sulle cause della
morte. - A che ora è morto? - Non posso dire l’ora
precisa, ma sicuramente nel tardo pomeriggio, tra le cinque e le otto di
sera, direi. Kramer si voltò verso Schneider: - Questo conferma la
testimonianza del guardacaccia, che ha sentito lo sparo un po’ dopo le sei. Sándor annuì. - Sì, è l’ora più
probabile. - Altro non è emerso? - No. Schneider lanciò
un’occhiata al cadavere del figlioccio. Scosse la testa. Poi il commissario e
il colonnello uscirono. Sándor guardò il corpo.
Non aveva detto tutto. Tra i fianchi del morto aveva trovato un po’ di seme,
che era uscito al momento della morte. Sapeva benissimo di chi era quel seme,
ma anche il commissario doveva aver intuito che Rothaus non incontrava il
duca per giocare a carte. E probabilmente lo sospettava anche il colonnello. Sándor aveva eliminato le
tracce: per quanto Rothaus non gli fosse simpatico, preferiva evitare che si
sparlasse di lui. E del duca. Si sapeva che era stato da Jergović, il
fatto che avessero scopato non aggiungeva nulla. I soldati incaricati di
lavare e rivestire il corpo per la sepoltura non avrebbero notato nulla. Il colonnello e il
commissario discussero nell’ufficio di Schneider, in caserma. - Dovremo interrogare gli
ufficiali. Lei ha un’idea di chi frequentasse, qui? - Senz’altro il
sottotenente Holzkammer. Erano arrivati insieme e già si conoscevano a
Vienna. Le due famiglie sono legate. Per il resto, non saprei dire.
Chiederemo. - Sentiamo subito
Holzkammer? - Senz’altro. Dovrebbe
poterci fornire qualche informazione. Friedrich fu convocato.
Come tutti gli ufficiali, era rimasto in caserma, perché dopo la scoperta del
cadavere il colonnello aveva trasmesso l’ordine che nessuno si allontanasse,
se non per incarichi assegnati dai superiori. Schneider incominciò dicendo: - Sottotenente, risulta
che lei fosse amico di Rothaus. Può raccontare al commissario la storia del
vostro rapporto? - Sì, signor colonnello. Poi si rivolse a Kramer: - Ci conoscevamo da quando
eravamo bambini. Le nostre famiglie sono sempre state legate, le nostre nonne
dal lato paterno erano sorelle. Abbiamo prestato servizio insieme a Vienna e
poi siamo stati mandati qui insieme. Kramer chiese: - In primo luogo le chiedo
ciò che ci interessa più direttamente. Lei ha qualche sospetto, anche vago,
su chi può aver ucciso il sottotenente Rothaus? - No, assolutamente. Non
mi aspettavo certo che venisse ucciso. E non se l’aspettava neanche lui. - Non le è sembrato teso,
preoccupato in questi ultimi giorni? Friedrich ebbe un momento
di esitazione. Si chiese se parlare dei debiti di gioco. Avrebbe preferito
non dire nulla, ma il colonnello probabilmente lo sapeva già, visto che il
padre di Albert gli aveva scritto. E se non lo sapeva, sarebbe comunque
venuto a saperlo molto presto. Se avesse taciuto, gli avrebbero chiesto
perché non ne aveva parlato. - Di certo non temeva per
la sua vita, non ha mai espresso preoccupazioni di questo genere. Però è vero
che era teso, aveva problemi di denaro, debiti di gioco. Schneider chiese a
bruciapelo: - E lei? Lei non ne ha? Friedrich non poteva
negare. - Sì, ne ho anch’io.
Abbiamo perso entrambi al gioco. Il colonnello era
chiaramente irritato. Kramer intervenne: - Perché il sottotenente temeva
di non riuscire a saldare i debiti? Da quel che ho capito, la sua famiglia è
molto ricca. - Suo padre si rifiutava
di ripagare i debiti che Albert aveva contratto. Il colonnello osservò: - Qualcuno perciò poteva
avercela con Rothaus perché non pagava i debiti. Friedrich ammise: - Può essere. Kramer rimase un momento
pensieroso, poi disse: - Escludo che qualcuno lo
abbia ammazzato per questo. Uccidendo un debitore, il creditore perderebbe
ogni speranza di ottenere la restituzione del prestito. Schneider intervenne: - Se parliamo degli
usurai, è così come dice lei, commissario. Ma se qualcuno gli avesse prestato
del denaro in via amichevole e poi avesse capito di non avere più speranza di
vedere restituito il prestito… Poi, voltandosi verso
Friedrich continuò, a bruciapelo. - A quanto ammontano i
suoi debiti, sottotenente? Friedrich non si aspettava
la domanda. Annaspò. - Non so esattamente. La voce del colonnello era
durissima: - Un’idea non può non
averla. Holzkammer disse una
cifra. Il commissario lo guardò, allibito. - Lei è qui da meno di due
mesi. Come diavolo ha fatto… Non completò la domanda. Il colonnello chiese: - Ha mai chiesto soldi al
sottotenente Rothaus? Friedrich era sicuro che
il colonnello non potesse sapere della sua richiesta. Difficile che Albert ne
avesse parlato con qualcuno. Cercò di sottrarsi: - Non era nelle condizioni
di prestarmene. Aveva lui stesso parecchi debiti, come le ho detto, signor
colonnello. - Risponda alla mia
domanda: lei non gli ha mai chiesto un prestito? - No, quando parlammo dei
nostri debiti mi disse che gli spiaceva, ma non poteva aiutarmi. Non era proprio la verità,
ma nessuno poteva più smentirlo. Kramer riprese
l’interrogatorio. - Adesso ci dice quali
persone frequentava il sottotenente. Friedrich parlò del
salotto della baronessa Kressmann, di alcuni degli ufficiali di grado
superiore con cui Albert aveva qualche rapporto, del duca, dei giocatori al
Cavallo nero, delle altre taverne dove a volte giocavano. Il commissario e il
colonnello gli posero molte altre domande. Infine il colonnello
chiese: - Lei dov’era ieri
pomeriggio, tra le cinque e le otto? - Ho giocato a carte alla
taverna della Luna Piena fin verso le sei, credo… - Crede? - Sì, non ho guardato
l’ora quando sono venuto via. - E poi? - Poi sono tornato in
caserma e un po’ più tardi sono andato a cena con il capitano Nagy e il maggior Fernstein. - A che ora? - Siamo usciti un po’
prima delle otto, credo. - Crede? Friedrich represse un moto
d’impazienza. Il commissario chiese i
nomi dei giocatori alla taverna. Ci furono ancora alcune domande, dopo le
quali il colonnello concluse: - Nessuno può testimoniare
che lei non era alla villa all’ora in cui è avvenuto l’omicidio, Friedrich strinse i denti. - Se è avvenuto nel tempo
intercorso tra quando sono uscito dalla taverna a quando sono andato a cena,
è così. - Quando ha visto il
sottotenente Rothaus per l’ultima volta? - Due giorni fa. Siamo
andati dalla contessa Kressmann e poi siamo tornati insieme. - E ieri non vi siete
visti? - No, in mattinata, dopo
l’esercitazione, avevamo tutti e due da fare. Nel pomeriggio Albert… il
sottotenente Rothaus andava dal conte. Doveva venire a cena con noi, ma non
lo vedemmo. - E lei non si stupì? - No, a volte si fermava a
cena dal conte. Quando l’interrogatorio
ebbe fine, era ormai notte. Friedrich era esausto. Mentre il colonnello e il
commissario conducevano le indagini, tutta la città parlava del delitto, che
aveva fatto scalpore: a Mala Sad non si
verificavano omicidi da quasi un secolo, da quando un farmacista era stato
assassinato dall’amante della moglie. Dato che nessuno sapeva nulla e tutti i
militari erano confinati in caserma, incominciarono a circolare ipotesi di
ogni tipo. Nel salotto della contessa
Kressmann quella sera, come anche nei giorni successivi, non si parlò
d’altro. Le donne propendevano per un delitto passionale: un così bel giovane
doveva essere stato ucciso da un rivale in amore. - Bello com’era, di sicuro
aveva un grande successo con le donna. - Certo, sarebbe stato
strano che non fosse così. Era così bello… La baronessina Von Meyer represse a fatica un singhiozzo. La contessa
Kressmann notò che aveva gli occhi arrossati. Doveva aver pianto. - Bello ed elegante. Si
vedeva che era abituato a frequentare la corte. - È stato certamente un
altro ufficiale. Qualcuno che faceva senza successo la corte a una giovane.
Il sottotenente è stato più fortunato e il rivale non l’ha sopportato. Rothaus faceva una corte
formale alla contessa, ma era chiaro a tutti i frequentatori del salotto,
contessa compresa, che si trattava di una cortesia nei confronti della
padrona di casa e nulla più. Doveva esserci un’altra donna, corteggiata in
maniera più discreta, ma con maggiore successo. La contessa Bretter reagì indignata: - Un ufficiale che spara
alla schiena? Sarebbe una vergogna. È contrario a ogni codice d’onore. - È vero. È più facile che
sia stato un borghese, un marito geloso che ha deciso di vendicarsi del
tradimento. Nuovamente la contessa
intervenne: - Il giovane Rothaus
avrebbe sedotto una donna sposata? È un comportamento indegno di un
ufficiale. - Queste cose succedono,
lo sappiamo tutti. In effetti anche nella
sonnolenta Mala Sad c’erano stati casi di donne
sposate sedotte da ufficiali: dieci anni prima la moglie di un negoziante di
tessuti era fuggita con un maggiore e in città se ne parlava ancora. In altri
casi l’esito non era stato così clamoroso, ma alcune vicende erano note a
tutti. - Potrebbe aver sedotta
una popolana. Un marito, un padre, un fratello che voleva vendicare l’onore
della famiglia, ma per non correre rischi ha preferito colpire a tradimento. - Forse nessuna donna è
stata sedotta, ma soltanto corteggiata, magari con le migliori intenzioni. Il
sottotenente pensava di chiedere la fanciulla in sposa. Per questo un rivale
l’ha ucciso, quando si è reso conto che l’amore del sottotenente era
ricambiato, mentre il suo no. - Mi sembra difficile. Lo
hanno colpito alla schiena. Come mai il sottotenente ha dato le spalle al suo
assassino, sapendo che era un suo rivale in amore? - Forse perché era troppo
leale per pensare di essere colpito alla schiena. - Potrebbe essere stato un
agguato. Il rivale l’ha colto di sorpresa. - E se invece fosse stata
una donna, sedotta e poi abbandonata dal giovane? - Una donna! Che cosa
dice, baronessa?! - Perché no? Una donna che
aveva chiesto al sottotenente un incontro per avere spiegazioni o piuttosto
per ucciderlo, dopo aver scoperto che lui la tradiva con un’altra. Magari una
donna che lui aveva conquistato facendole credere che sarebbero fuggiti
insieme? Anche tra gli uomini
l’ipotesi di un delitto passionale era considerata la più verosimile e i
discorsi non erano molto diversi. - Il bel sottotenente aveva
un buon successo con le donne. Non veniva fatto nessun
nome, ma ognuno dei partecipanti si immaginava una delle dame del salotto
Kressmann oppure una borghese o addirittura a una popolana, che il giovane
poteva aver sedotto senza fatica, grazie alla sua bellezza e alla sua
posizione. - A correre dietro alle
gonnelle si corrono dei rischi. Un mio prozio, il barone Repitch, fu
ucciso in duello dal marito di una donna a cui faceva una corte molto
discreta. - Un bel giovane, di
famiglia nobile… Il conte Axelrode interruppe, osservando: - Famiglia importante, è
vero, ma non di origine molto antica. Il suo commento fu
ignorato e la discussione riprese, - Non escluderei una
vendetta privata, non legata a passioni. Qualcuno nei cui confronti il
sottotenente Rothaus si è comportato in modo scorretto e che ha preferito un
omicidio a un duello. - Un vile. Sparare alla
schiena! Che vergogna! - Non potrebbe essere una
rapina? - Barone! Non è stato
rubato nulla. Nelle sue tasche hanno trovato denaro e persino un orologio
d’oro. - Il bandito potrebbe
essere stato disturbato dopo aver ucciso il sottotenente e quindi aver deciso
di allontanarsi. - Il cadavere è stato
trovato solo in mattinata, molte ore dopo il delitto. Non dev’essere passato
nessuno di lì la sera prima. - Qualcuno invece potrebbe
essere passato, ma quando ha visto il cadavere ha preferito allontanarsi, per
paura di trovarsi coinvolto. L’ipotesi non convinceva
nessuno degli altri. - Il corpo è stato
ritrovato vicino al cancello posteriore della villa del duca. Non pensate che
l’assassino potrebbe essere un servitore del duca? - E che motivi potrebbe
aver avuto un domestico del duca per uccidere un ufficiale? No, è assurdo. Anche al di fuori del
salotto l’ipotesi del delitto passionale prevaleva e circolava perfino
qualche nome: la figlia del banchiere Silbermann, una
bella ragazza che aveva appena debuttato in società, con un padre molto
rigido; la contessa Broz, che aveva quindici anni in più di Rothaus ma era
molto bella e aveva un marito piuttosto geloso; la sarta della contessa
Kressmann, alquanto seducente e civetta, nonostante suo marito fosse
sospettoso. Erano solo chiacchiere: nessuno sapeva niente di preciso e il
morto non era mai stato visto intrattenersi con le tre donne citate. Quando si seppe che
Rothaus era stato dal duca nel pomeriggio e aveva la chiave del cancello,
qualcuno pensò anche alla possibilità che l’assassino fosse da cercare tra i
giovani che avevano frequentato assiduamente il duca in passato, ma questi
sospetti non venivano formulati ad alta voce: il duca era pur sempre il duca
e non era proprio il caso di parlarne male. Nessuno invece pensò alla
possibilità che fosse stato il duca stesso a uccidere il sottotenente: a
parte il fatto che avrebbe fatto scomparire la chiave del cancello posteriore,
per quale motivo avrebbe dovuto farlo? In serata Marko Jergović si recò dal dottor Komives. Bussò
alla porta e la domestica venne ad aprire. - Vorrei parlare con il
dottore. - Certamente, signor duca.
Vado ad avvisarlo. Sándor arrivò subito. - Buonasera, Marko. - Posso parlarti, Sándor? - Naturalmente. Andiamo nel
mio studio. Sándor riceveva gli ospiti
nel salotto al piano terra, ma quando aveva un colloquio più personale
preferiva lo studio al primo piano, dove c’erano due poltrone, una scrivania
e una grande biblioteca che copriva tre pareti. Entrarono e si sedettero. Marko rimase in silenzio un buon momento, poi disse: - Credo che tu sappia di
che cosa voglio parlarti. - Dell’omicidio del sottotenente
Rothaus, suppongo. - Esatto. Ci fu di nuovo un momento
di silenzio - Con Albert, il sottotenente
Rothaus… ci scopavo. Sándor non apparve
stupito. - Lo so. Marko aggrottò la fronte. - Come fai a saperlo? Sándor sorrise e scosse la
testa. Preferiva non raccontare del seme che aveva trovato tra le natiche del
cadavere. Si limitò a dire: - Ti conosco abbastanza. L’ho
visto avvicinarsi a te e mi sembrava intenzionato a sedurti. E tu non sei il
tipo da opporre molta resistenza. Il viso di Marko si rabbuiò. - Mi consideri un porco,
vero, Sándor? Il medico scosse il capo. - No. E lo sai. Ma non è
di questo che vuoi parlarmi. - No, non è di questo. Con
Rothaus ho scopato ieri pomeriggio, poco prima che venisse ucciso. L’orologio
d’oro che gli hanno trovato in tasca gliel’ho regalato io. - Non ci metteranno molto
a scoprire che l’hai acquistato tu. Ci avevi fatto incidere le sue iniziali
sulla cassa, no? - Sai anche questo? - Di solito quando regali
un oggetto, orologio, portasigarette, gemelli o fermacravatta, rigorosamente
in oro, ci fai incidere le iniziali del destinatario. Marko aprì la bocca per dire qualche cosa, ma
la richiuse. Dopo un momento disse: - Sándor, non ho ucciso io
Rothaus. - Non credo che ti
accuseranno: non hanno nessun elemento per farlo. Vi frequentavate. E allora? - Lo hanno ritrovato vicino
al cancello della mia villa. Era venuto da me quel pomeriggio. - Non significa niente.
Non credo che tu debba preoccuparti per questo. - Hai un’idea di chi possa
aver ucciso Albert? - Io? Non lo conoscevo per
niente, mi sarà capitato due o tre volte di scambiare qualche parola con lui
a una delle tue cene, ma non ho mai cercato la sua compagnia. Confesso che
non ne avevo una buona opinione. Marko chinò il capo. - Neanch’io. Ma era un bel
giovane e aveva… Certe volte mi chiedo perché lo faccio. - Perché ti piacciono i
bei maschi giovani, suppongo. - Perché sono un coglione,
Sándor. Sándor scosse la testa. Scambiarono ancora qualche
parola, poi Marko se ne andò. Sándor rimase a guardarlo
dalla finestra mentre si allontanava. Quando scomparve, scosse nuovamente la
testa e tornò nel suo studio. Si sedette alla scrivania, ma rimase a lungo
inoperoso: un comportamento insolito per lui. Era immerso in pensieri che lo
portavano lontano. Mentre il duca parlava con
il medico, Georg era seduto nella stanza di Konrad. Teneva il capo abbassato
e sembrava guardarsi fissamente i piedi. - Qual è il problema,
Georg? - L’omicidio di Albert. - Allora? Georg sollevò il capo e
guardò l’amico. Da quando aveva saputo dell’omicidio era tormentato da un
pensiero che poteva esprimere solo a Konrad: la natura del suo rapporto con
Richard gli impediva di parlargliene. - Non pensi che potrebbero
sospettare di me? Konrad apparve alquanto
stupito. Chiese: - Perché mai dovrebbero? Georg abbassò la testa,
vergognandosi. Solo allora Konrad capì: - Perché eri l’amante del duca
e Albert ha preso il tuo posto? Georg si morse il labbro
inferiore. Non avrebbe dovuto parlare. Sollevò lo sguardo su Konrad: - Non mi disprezzi,
Konrad? - E perché mai? Lo
desideravi, hai fatto bene a farlo. Le parole di Konrad lo
disorientarono. Non si aspettava che Konrad lo approvasse. - Non lo consideri… una
vergogna, un peccato? Konrad scosse la testa. - Io no. Tu lo vivi così? - No… io… non so. È quello
che desidero, ma… - Ma ci hanno insegnato a
considerarlo una vergogna. Mi sembra assurdo. Georg tacque. Konrad
riprese: - Ti hanno interrogato? - No. Ma prima o poi lo
faranno. - Può darsi, credo che
interrogheranno tutti coloro che lo frequentavano, soprattutto Friedrich, che
era suo amico. Ma non hai niente da temere. Dopo un momento di
silenzio, Georg parlò di nuovo: - Marko,
il duca Jergović, mi piaceva molto. Mi ha insegnato tante cose e a letto… Si interruppe ed arrossì.
A Konrad sfuggì un sorriso. Georg riprese senza completare la frase iniziata. - Mi piaceva, è gentile e
generoso. Mi è spiaciuto quando si è stufato di me, ma non è stato un dramma.
Non sono mai stato innamorato di lui. E in ogni caso non ucciderei mai qualcuno
perché sono geloso. E men che mai a tradimento. - Ne sono sicuro, Georg.
Smetti di preoccuparti. Georg annuì. Salutò
l’amico e raggiunse Richard, che lo aspettava. - Sei turbato, Georg. - Sì, questo omicidio… non
so che cosa pensare. - Nessuno di noi lo sa,
almeno credo. D’altronde non frequentavo Rothaus, lo conoscevo appena, non ho
la più pallida idea di chi possa averlo ucciso. - Era arrivato insieme a me. - Sì, ma anche tu lo
conoscevi appena, no? - È vero. E non mi stava
neanche simpatico, lo ammetto. Spero che nessuno pensi di accusarmi. - E perché mai dovrebbero
accusare te, se lo conoscevi appena? Georg si rese conto di
aver parlato troppo. Alzò le spalle. - Un’idea stupida, è vero. Richard lo guardò
sorridendo e per un momento Georg sospettò che l’amico sapesse della sua
relazione con il duca: non era da escludere. Preferì non affrontare
l’argomento. - Allora lasciamo perdere
Rothaus e dedichiamoci ai nostri giochi. Che ne dici? - Molto volentieri. Marko tornò alla villa. Andò nello studio,
aprì uno scomparto dell’armadio che teneva sempre chiuso a chiave, guardò il
fucile infilato nella rastrelliera e lo prese. Controllò che fosse carico,
poi si sedette alla scrivania. Infilò la canna del fucile in bocca. Sentiva il freddo del
ferro contro il palato. Accarezzò la canna, poi le dita scesero sul grilletto
e si fermarono. Rimase un buon momento così, poi le dita si spostarono sulla
canna e allontanarono il fucile. Si alzò e andò a posare l’arma al suo posto.
Chiuse nuovamente a chiave l’armadio. Sapeva, con assoluta
certezza, che un giorno non lontano avrebbe premuto il grilletto. Avrebbe
potuto essere quel giorno stesso o un altro. Non l’avrebbe deciso prima.
Semplicemente l’avrebbe fatto. Nessuno avrebbe capito il
perché. Tutti si sarebbero stupiti: il duca Jergović aveva tutto quello
che si può desiderare. Era vero, aveva avuto tutto quello che si può
desiderare dalla vita. E aveva buttato via l’unica cosa che davvero gli
importava, quella per cui avrebbe dato tutto il resto, senza esitare un
attimo. Ma aveva capito tardi. Guardò lo scomparto
dell’armadio. Sì, un giorno da quel fucile sarebbe uscita la pallottola che
avrebbe messo fine a rimorsi, rimpianti, ricordi, gli avrebbe reso la pace. Nei giorni seguenti le
indagini proseguirono, senza portare a nessun risultato significativo. Il
colonnello Schneider sembrava essere furente e nessuno se ne stupiva: per lui
doveva essere inconcepibile non riuscire a scoprire l’assassino di uno dei
suoi ufficiali. E per di più Albert Rothaus era figlio di amici di famiglia. Il
commissario Kramer aveva un carattere più flemmatico, ma anche lui avrebbe
voluto risolvere il caso e viveva la mancanza di progressi come un insuccesso
personale. Era l’unico omicidio avvenuto nella cittadina da quando lui era a
capo della gendarmeria e non riusciva a cavare un ragno dal buco. Georg venne interrogato,
come gli altri sottufficiali che conoscevano un po’ di più il morto, ma
l’interrogatorio non durò a lungo: lui e Albert non erano amici e non si
frequentavano. Le indagini si
concentrarono anche sui debiti di gioco di Albert. Per quanto il commissario
e il colonnello mantenessero il massimo riserbo, in città si venne a sapere
che Albert Rothaus aveva perso grandi somme al gioco, tanto da doversi
indebitare. Lui e Friedrich erano stati spennati da alcuni giocatori, che
prendevano di mira i nuovi arrivati, al Cavallo Nero. Pare che uno degli
ufficiali, di cui nessuno ammetteva di conoscere il nome, avesse forti debiti
e che i creditori, giocatori professionisti, accettassero di pazientare a
condizione che lui gli procurasse nuovi polli. Il padre di Albert si era
rifiutato di pagare i debiti del figlio, che aveva dovuto far ricorso a un
usuraio. Il colonnello avrebbe voluto che la faccenda rimanesse nascosta, ma
trapelò e incominciarono a circolare voci. Il colonnello Schneider
convocò una riunione di tutti gli ufficiali. Tenne un discorso molto duro sul
gioco d’azzardo, a cui sapeva benissimo che moltissimi dei suoi sottoposti si
dedicavano. E fustigò anche altri vizi, che secondo lui erano indegni di un
ufficiale: condannò l’abuso di alcol, che portava all’ubriachezza; criticò
l’eccessiva ricerca dei piaceri della carne, che induceva alcuni a cercare di
sedurre donne per bene; alluse anche al vizio infame, cioè i desideri contro
natura, che tutti avrebbero dovuto guardare con orrore. Concluse dicendo: - Un ufficiale deve essere
un esempio per tutti i cittadini, un modello per i giovani. Il suo
comportamento deve essere sempre irreprensibile. Un ufficiale è l’erede dei
cavalieri medioevali, quelli che combatterono in Terrasanta, e per lui
l’onore dev’essere tutto. Se perde l’onore, è meglio che si dia la morte. Il discorso non fece molto
effetto sugli ufficiali: le donne, il gioco, l’alcol erano gli unici svaghi
di una vita sostanzialmente noiosa, quale è in tempo di pace quella di una
guarnigione dislocata in una tranquilla cittadina di provincia. I rapporti
omosessuali erano tutt’altro che rari, anche se venivano tenuti nascosti e
nessuno si vantava delle sue conquiste in quel campo. Konrad si disse che
Albert, che a quanto si diceva faceva la corte a una donna sposata, giocava
perdendo grandi somme, beveva volentieri e scopava con il duca, era stato il
perfetto esempio di tutto ciò che un ufficiale non doveva essere, secondo il
colonnello. Ed era il suo figlioccio. L’unico effetto del
discorso di Schneider fu quello di riaccendere le discussioni che si
protraevano dal giorno in cui era stato scoperto il cadavere e vertevano sempre
sulle stesse due domande: perché Rothaus era stato ucciso e da chi? Il capitano
Furlan, un triestino che fungeva da segretario al
colonnello Schneider, osservò: - E dire che il colonnello
lo aveva avvisato. Konrad non ne sapeva
niente, ma non era strano: tra lui e Albert non c’era nessuna confidenza. Si
fermò nel gruppo, ad ascoltare. Furlan proseguì: - Gli aveva fatto una
lavata di capo terribile, due giorni prima che venisse ucciso. Per il gioco e
le donne. E non solo. Uno degli ufficiali
chiese: - E per che cos’altro? Il capitano alzò le
spalle. - Non so, non ho sentito.
C’è stato un momento in cui ha abbassato molto la voce. Poi aggiunse: - Il resto l’ho sentito solo
perché il colonnello era molto alterato e parlava a voce molto alta. Credo
che lo sentissero anche dal cortile. - Ma perché prendersela
tanto con Albert? - Era il suo figlioccio.
Per il colonnello il suo comportamento era inaccettabile. - Faceva quello che fanno
tutti. Sul viso di Furlan apparve per un attimo un’espressione di dubbio.
Poi rispose: - Credo che il padre di
Albert gli avesse mandato una lettera, dopo che il figlio gli aveva chiesto
una grossa somma per saldare i debiti di gioco. Ma basta, ho parlato fin
troppo. Furlan si allontanò. Konrad non aveva detto
niente, lasciando che gli altri parlassero ed esprimessero anche i suoi
dubbi. Non sapeva che cosa pensare, ma di una cosa era sicuro: Furlan aveva mentito quando aveva detto che non sapeva
che cosa il colonnello aveva detto ad Albert quando aveva abbassato la voce. Konrad
non riusciva a raccontare bugie, ma molto spesso coglieva quando gli altri
non dicevano la verità ed era convinto che il maggiore tacesse qualche cosa
che non poteva o voleva raccontare. Forse ciò che lui taceva era legato alla
morte di Albert. In questo caso il colonnello, che ne era informato, forse
sarebbe riuscito a risalire al colpevole. A meno che… Konrad scosse la testa,
sorridendo per la propria ingenuità: avrebbe dovuto capire subito. Quello che
Furlan preferiva non dire probabilmente era la
relazione di Albert con il duca. A Konrad non sembrava probabile che
l’omicidio fosse legato a quel rapporto, ma nessuna ipotesi poteva essere
esclusa. Konrad non frequentava
Friedrich, ma incontrandolo, il giorno dopo il discorso del colonnello, gli
chiese che idea si era fatto della faccenda. Friedrich scosse la testa e
rispose: - Non so che dire. Nulla
che possa spiegare un omicidio. Qualche cosa nel tono di
voce non convinse Konrad, ma era inutile insistere se Friedrich non aveva
intenzione di parlare. Probabilmente aveva qualche sospetto, sapeva qualche cosa
che gli altri ignoravano. In questo caso ne aveva senza dubbio parlato con il
colonnello. Non spettava certo a Konrad sostituirsi a coloro che indagavano. |
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