2 – Il duca Giunse infine la sera del
ricevimento dal duca. Konrad e Georg arrivarono insieme alla villa. Albert e
Friedrich erano arrivati prima di
loro, perché Konrad aveva dovuto svolgere alcune incombenze e Georg aveva
preferito aspettarlo. La vicenda che li aveva coinvolti con il dottor Komives
aveva rafforzato il loro legame. Georg era molto riconoscente nei confronti
di Konrad, che non gli aveva fatto pesare il suo comportamento, e sentiva di
potersi fidare di lui. Konrad avvertiva la fragilità dell’amico e questo lo
spingeva ad aiutarlo, come aveva sempre fatto con i tre fratelli minori: la
morte precoce del padre aveva costretto Konrad ad assumersi responsabilità
che i giovani di solito non hanno a quell’età e lo aveva portato a maturare
in fretta. Entrambi avevano avuto
modo di vedere la villa dal cancello d’ingresso del parco: la strada che
passava davanti alla villa era la più importante tra quelle che portavano in
città e avevano avuto modo di percorrerla più di una volta, anche se erano
arrivati da poco tempo. Entrando nel parco e
avvicinandosi, la villa appariva in tutta la sua maestosità: un grande
edificio, con un corpo centrale a tre piani e due ali laterali a due piani,
che delimitavano un cortile. L’ala sinistra al piano terreno era interamente
occupata da due saloni, riservati uno alle grandi cene e l’altro alle feste
da ballo. Dalle finestre la luce
delle sale rischiarava il cortile e, dalla parte opposta, le aiuole del
giardino. All’interno, oltre le grandi vetrate, i due ufficiali vedevano gli
ospiti che chiacchieravano nel salone. Quando entrarono, si
diressero dal padrone di casa per presentarsi e salutarlo. Konrad osservò il duca. Doveva
essere più vicino ai quaranta che ai trenta, era di statura media e piuttosto
massiccio. Era molto elegante, ma questo era noto: in tutta Mala Sad si ammirava l’eleganza del duca. D’altronde
trascorreva molto tempo a Zagabria, Budapest, Parigi e soprattutto Vienna,
dove frequentava l’alta società e anche la corte. Aveva un viso non bello, ma
aperto e cordiale, con capelli e barba di un castano rossiccio e occhi scuri. Il duca li accolse con
grande cortesia. Dopo le presentazioni, osservò: - Dal suo accento, direi
che lei, von Kassa, viene da Vienna, ma il suo
cognome è ungherese. O mi sbaglio? - No, non si sbaglia. Mia madre
è viennese, mio padre era ungherese. Ma morì presto e allora ci trasferimmo a
Vienna, dove vivevano i genitori e i fratelli di mia madre. - Capisco. L’Impero è un
crogiolo di popoli e abbiamo tutti radici molto ramificate. - Marko
è un nome molto insolito, né austriaco, né ungherese, ma neppure croato… Mi
sembra di ricordare un personaggio leggendario che si chiamava Marko. - Esatto. Mia madre era
serba e mi chiamò Marko in onore di Marko Kraliević, l’eroe
delle leggende. Se immaginava per me una vita eroica, sbagliò completamente. Georg intervenne: - Mi ricordo di aver
sentito alcune di queste leggende. Avevamo una domestica croata, che mi
raccontava di questo eroe giusto, generoso, leale. Il duca rise e disse: - Grazie per aver
ricordato solo gli aspetti positivi. Nelle leggende è descritto anche come
irascibile, crudele e gran bevitore, per non dire ubriacone. Georg arrossì. Per un
attimo pensò che il duca fosse in qualche modo venuto a conoscenza di quanto
era successo, ma non doveva essere così, perché Marko
Jergović proseguì: - Comunque secondo le
leggende visse trecento anni: magari farò anch’io lo stesso… - Si narra che Marko non sia mai morto. Vive in una caverna e quando la
sua spada, infissa nella roccia, cadrà a terra, uscirà e tornerà tra di noi.
Magari è lei, in incognito… Konrad seguiva stupito la
conversazione di Georg con il duca, che gli appariva brillante: non si
aspettava che l’amico fosse così sicuro di sé. Georg sorrise e aggiunse: - Il cavallo miracoloso lo
tiene nella scuderia? Il duca rise. Aveva una
risata potente, che fece voltare alcuni degli ospiti. - Sottotenente Kraus, vedo
che è maledettamente bene informato. Lei vorrebbe conoscere i miei segreti,
ma non posso andare in giro a raccontarli. Come farò a sconfiggere i turchi,
se i miei piani diventano di pubblico dominio? In quel momento arrivarono
altri ospiti e il duca li salutò e si staccò da loro. Konrad osservò: - Molto simpatico, il duca.
E direi che lo hai colpito. - Sì, davvero simpatico,
ma… quel riferimento all’ubriacarsi… non pensi che abbia saputo…? - Georg! Non dire
sciocchezze. Parlava delle caratteristiche del personaggio e non c’è stato un
ammiccamento, niente. Non mi sembra proprio il tipo da dire cattiverie. E
sono sicuro che il dottore non ne ha parlato con nessuno. - E il suo padrino? - No, lo escludo. Konrad non conosceva
l’avvocato Kleist, ma nel dottore aveva riconosciuto una natura simile alla
sua: una persona della cui parola ci si può fidare ciecamente. Se aveva
garantito che l’avvocato non avrebbe detto nulla, così era, di sicuro. Georg
si rilassò. Quando tutti gli ospiti
furono arrivati, si diressero a tavola. La cena era ottima e Konrad e Georg,
provenienti entrambi da famiglie non ricche, apprezzarono particolarmente la qualità
e la notevole varietà di piatti. Bevvero molto poco, per quanto il vino fosse
eccellente. Per Konrad moderarsi nel bere non comportava nessuna rinuncia:
non amava gli alcolici e un bicchiere di vino era per lui abbastanza. Georg
invece apprezzava il vino e gli spiaceva non bere di più, ma la presenza del
dottor Komives, dall’altra parte del tavolo, pochi posti più in là, era più
che sufficiente a fargli passare ogni voglia di alzare il gomito. Il dottore
li aveva salutati con un cenno del capo cortese, ma non si era avvicinato.
Meglio così: davanti a lui Georg si sentiva in imbarazzo. I loro posti erano accanto
a quelli degli altri due ufficiali, Albert Rothaus e Friedrich Holzkammer. Erano
arrivati tutti e quattro insieme, ma si erano rapidamente divisi in due
coppie. Albert e Friedrich mantenevano un tenore di vita che di sicuro la
loro paga di ufficiali non avrebbe potuto garantire. Inoltre Albert era
figlio di amici di famiglia del colonnello Schneider, comandante in capo
della guarnigione, che era stato anche suo padrino di battesimo. Grazie a
questo fatto, Albert era riuscito a inserirsi facilmente nella ristretta
cerchia degli ufficiali di grado superiore. Secondo alcuni la bellezza di Albert
aveva già fatto colpo sulla contessa Kressmann. Le famiglie di Georg e
Konrad appartenevano alla piccola nobiltà, ma si erano impoverite nel tempo e
i due potevano contare solo su quanto ricevevano come ufficiali in servizio. Inoltre
non avevano conoscenze altolocate. Friedrich stuzzicava
volentieri Georg, che vedeva incline a cedere alle tentazioni. Era stato lui
a convincerlo ad andare al casino, prendendolo in giro. Vedendolo bere poco, gli
chiese: - Come mai bevi così poco,
Georg? L’altra sera al casino ti sarai scolato due bottiglie! Konrad si accorse che Georg
arrossiva. Era appena un velo di rossore, che si sarebbe potuto attribuire al
vino, se l’amico avesse bevuto di più. Konrad sorrise, perché quel rossore
giovanile gli faceva tenerezza. Anche il più giovane dei suoi fratelli
arrossiva spesso e nella carnagione molto chiara dei von Kassa
l’effetto era molto forte, assai più che nella carnagione più scura di Georg.
- Non voglio fare brutte
figure. Dal casino sono uscito completamente ubriaco e non so neppure come ho
fatto ad arrivare in caserma. Alzarmi da tavola barcollando la prima volta
che sono a cena dal duca… temo che sarebbe anche l’ultima: oltre alla
figuraccia, rischierei di non essere più invitato. Vorrai mica che rinunci a
cene come questa? Nonostante il suo
imbarazzo, Georg riusciva a rispondere a tono, senza tradire nulla di ciò che
provava. Konrad invidiava questa sua capacità: era sempre stato un pessimo
conversatore. Nelle riunioni mondane cercava di passare inosservato: non
amava mettersi in mostra e sapersi al centro dell’attenzione lo metteva a
disagio. Di lui dicevano che era tagliato con l’accetta e Konrad non poteva
dar torto ai suoi detrattori. In realtà era molto sensibile e nei dialoghi a
due rivelava una capacità di ascolto non comune, ma era del tutto inadatto a
brillare in società. Alle parole di Georg Friedrich
replicò, sorridendo: - Certo, sarebbe davvero
un peccato, perdere l’occasione di mangiare bene per una volta. Il sorriso era in
apparenza cordiale, ma le parole contenevano una frecciata malevola, perché
ricordavano a Georg che non poteva permettersi un buon pasto al ristorante.
Georg lo colse, ma celò il fastidio sotto un ampio sorriso e replicò: - Sicuramente non solo per
il cibo. Anzi, direi che, per quanto sia ottimo, non è l’essenziale. Una
bella compagnia. Il duca poi è una persona squisita. Abbiamo chiacchierato un
buon momento, prima, ed è stato molto piacevole. Konrad sorrise: Georg
aveva risposto bene, mettendo in risalto la chiacchierata con il duca, che
con Friedrich e Albert aveva solo scambiato due parole. I due frequentavano
la contessa Kressmann, ma il suo salotto, per quanto fosse ambito, riuniva
pur sempre una piccola nobiltà di provincia, priva di contatti con l’alta
società dell’Impero. Il duca apparteneva a un’altra sfera. In effetti Albert e
Friedrich avevano subito notato, entrando nel salone, l’eleganza
dell’arredamento, che non aveva nulla da invidiare a quella delle residenze
nobiliari di Vienna. Non c’era l’ostentazione di ricchezza che a volte si
trovava in alcune ville, ma una raffinatezza nella scelta di ogni elemento
che indicava un sicuro buon gusto e una grande disponibilità di mezzi. Il
duca non doveva certo sfigurare quando si trovava a Vienna o a Parigi, dove
il salotto della contessa avrebbe suscitato risate di scherno. Quando si alzarono da cena,
gli uomini passarono nella sala per fumare, bere e scambiare qualche
chiacchiera in libertà. Il duca si avvicinò di nuovo a Georg. - Da dove viene, se non
sono indiscreto? - La mia famiglia è di Schäßburg. - La Sighişoara
dei romeni. Transilvania, quindi. Ma aspetti, sottotenente Kraus… ora che ha
parlato di Schäßburg, il suo nome mi dice qualche
cosa. Georg Kraus… - Il notaio Georg Kraus
scrisse una cronaca della città nel XVII secolo. - Ah, ecco! Ora che me
l’ha detto, mi ricordo. Era un suo antenato? - Sì. E il nome Georg
viene tramandato di generazione in generazione nella nostra famiglia. A Schäßburg attualmente ci saranno almeno sette o otto
Georg Kraus. - Mi sbaglio o Vlad Dracul, detto Ţepeş,
l’Impalatore, visse in esilio a Schäßburg? - Non si sbaglia. Vlad
nacque a Schäßburg e lì si rifugiò in uno dei
periodi in cui fu esiliato. Lei è molto ben informato. - Un personaggio
affascinante. Anche se non proprio simpatico. - No, direi di no. Pare
che un membro della mia famiglia avesse avuto a che fare con lui. - Davvero? Questo mi
incuriosisce molto. Mi racconti. - Un Karl Kraus combatté
al suo fianco e pare che fosse il suo favorito per alcuni anni. Secondo una
tradizione gli salvò anche la vita nella battaglia di Szendro.
Ma Vlad lo fece impalare e tenne un banchetto ai piedi del palo su cui il suo
favorito agonizzava. - E come mai decise di
infliggere un supplizio così atroce proprio all’uomo che gli aveva salvato la
vita? - Davvero non glielo so
dire. Un mio zio sosteneva che la causa fosse la gelosia. - La gelosia? Questo Karl
Kraus era l’amante dell’Impalatore? - Così diceva mio zio, ma
non so se fossero sue congetture o voci tramandate di generazione in
generazione... o chiacchiere di uno che amava inventare storie per intrattenere
gli ascoltatori. - Se questo suo antenato
era un bell’uomo come lei, capisco la gelosia di Vlad. Georg si sentì nuovamente
arrossire, anche se il complimento gli faceva piacere. Probabilmente il duca
se ne accorse, perché deviò il discorso: - Vlad era implacabile.
Certamente non tutto quello che si racconto di lui è vero, ma sulla sua
ferocia non esistono dubbi. Esistono tante leggende e tradizioni diverse, un
po’ come per Marko Kraliević,
ma alcuni elementi comuni ci sono: in tutte Vlad è un sovrano spietato. - Come Marko
è un grande eroe in tutte le tradizioni. Il duca sorrise. - Anche Vlad per alcuni è
un eroe: nella tradizione rumena la sua ferocia è giustificata e la sua lotta
contro i turchi esaltata. - È comprensibile, per un
popolo oppresso dai Turchi. - Non sapremo mai qual è
la verità, temo. Come non sapremo mai nulla di sicuro sulla sua morte. - Pare che sia stato fatto
uccidere da suo fratello, Radu il Bello. - Ma un’altra leggenda
dice che fu ucciso dai Turchi. Dicono che poi mandarono al sultano la sua
testa e la sua spada, con cui era stato ucciso… in un modo molto particolare. - Ah sì? Come? Il duca rise e disse: - Infilandogliela da
dietro, come se fosse un palo… Impalato sulla sua spada. Come si dice di Edoardo
II. Georg non conosceva le
tradizioni sulla morte di Edoardo II, ma aveva capito benissimo. Si sentì a
disagio. L’idea della spada che penetrava nel culo di Vlad lo turbava. - Non l’avevo mai sentito
dire. - È una delle tante
leggende che circolano su di lui. Probabilmente non c’è niente di vero, anche
se deve ammettere che sarebbe stata la fine adatta a uno come lui, che aveva
impalato migliaia di uomini. Georg annuì. - Sì, credo di sì. Mentre il duca parlava con
Georg, Sándor si era avvicinato a Konrad. - Buona sera, sottotenente.
Come sta? - Bene, grazie. E lei? - Bene. Mi scuso se la
disturbo… - Nessun disturbo. - Volevo sentire da lei
come sta il suo amico, se si è tranquillizzato. L’episodio dell’altro giorno
lo aveva alquanto turbato. - Sta bene. Si è ripreso.
La ringrazio per averlo impegnato a non uccidersi. Non so se sarei riuscito a
convincerlo a non farlo. - Morire a quell’età per
essersi ubriacati… pura follia! Non aveva ammazzato nessuno, per fortuna. Mi
è sembrato doveroso chiedergli quell’impegno. - Non so quanti altri ci
avrebbero pensato. Per questo la ringrazio. Sándor alzò le spalle. Non
era in cerca di complimenti. - Non la trattengo oltre.
Non so se vuole giocare… - Non gioco mai. La mia
famiglia non ha grandi mezzi e ci mancherebbe solo che buttassi via al gioco
quel poco che guadagno. Oltre tutto con le carte sono una frana e perderei
sempre. Konrad non disse che
almeno la metà della sua paga andava alla sua famiglia. - Invece gli altri due
nuovi ufficiali paiono divertirsi molto. In effetti Albert e
Friedrich si erano seduti a uno dei tavoli a cui si giocava a carte. Konrad
notò che ogni tanto Albert lanciava un’occhiata a Georg e al duca,
evidentemente stupito di vederli parlare amichevolmente. Konrad sorrise e disse: - Hanno altri mezzi. Anche
se devo dire che non mi interessa molto il gioco. - Credo che esistano molti
modi migliori di divertirsi e di spendere il proprio denaro. Ma non faccio
testo. Konrad sorrise. Con il
dottore si trovava bene. Ne apprezzava la serietà e l’umanità, l’attenzione
agli altri e l’intelligenza. Anche la conversazione del
duca e di Georg si era spostata sul gioco. - Lei ama il gioco, sottotenente? Georg preferiva non dire
che non se lo poteva permettere, per cui si limitò a rispondere: - No, non mi diverte. Gioco
di rado. - Che cosa le piace fare
nel tempo libero? Georg non sapeva bene come
rispondere. Non avendo grandi mezzi, le sue possibilità erano molto limitate. - Mi piace cavalcare,
camminare nei boschi, ballare, andare a teatro o ai concerti. In realtà anche quando era
in città, di rado riusciva ad assistere a concerti o spettacoli, per quanto
amasse la musica e il teatro: i limitati mezzi di cui disponeva non gli
permettevano molti divertimenti. Non frequentava l’alta società e partecipava
solo ai balli popolari. - Ottimo. Darò una festa
da ballo presto e conto su di lei. - A sua disposizione. Marko rise. Si guardò intorno un momento, poi
disse, abbassando un po’ la voce: - Se le piace camminare
nei boschi, potrebbe venire a trovarmi domani pomeriggio, se non ha impegni
in caserma. Possiamo fare una passeggiata nel parco, poi magari salire al
castello e al ritorno bagnarci al laghetto. Che ne dice? L’invito era cortese e
quanto mai stimolante per l’amor proprio di Georg. Il fatto che il duca
avesse abbassato un po’ la voce e si fosse guardato intorno prima di parlare
gli dava un valore particolare, lo rendeva un fatto privato. Georg era un po’
turbato, ma accolse volentieri la proposta: - Mi sembra una bellissima
idea. Marko sorrise, poi aggiunse: - E ora mi scusi, devo
badare agli altri ospiti. Venga quando preferisce, dalle tre in poi va bene. Il duca si allontanò e
Georg rimase sovrappensiero, un sorriso sulle labbra. Konrad gli si avvicinò: - Direi che hai fatto
colpo sul duca. Si è di nuovo avvicinato a te. - Sì, abbiamo parlato di
alcuni miei antenati… - Il duca si interessa ai
tuoi antenati? Georg spiegò brevemente come
era arrivato a parlare del notaio Georg Kraus e di Karl Kraus, senza entrare
nei dettagli. Non disse nulla dell’invito ricevuto: preferiva non parlarne
con nessuno. Il duca gli aveva parlato controllando che nessun altro potesse
sentirli: non era il caso di parlarne. Quando tornarono in
caserma, Georg era euforico: di certo nessun altro era stato invitato dal duca
e aver fatto colpo su di lui era una bella soddisfazione per il suo amor
proprio. Il giorno dopo Georg si
recò alla villa del duca. Era un po’ incerto, timoroso di non sapere come
muoversi: non aveva mai avuto occasione di trovarsi a tu per tu con nobili
facoltosi come il duca Jergović. Il sorriso cordiale con cui venne
accolto dissipò le sue paure. - Mi fa davvero piacere
che sia venuto. - Grazie per l’invito. È
stato molto gentile da parte sua. - Mi ha detto che ama
camminare nei boschi e nuotare in laghi e torrenti. Sono due cose che amo
molto anch’io ed è sempre piacevole farle in compagnia, scambiando due
chiacchiere. Georg era sicuro di aver
parlato solo di camminare nei boschi: era stato il duca ad accennare alla
possibilità di bagnarsi nel lago. Non gli sembrava certo il caso di
correggere Jergović e in ogni caso l’idea non gli spiaceva: era una
bella giornata di maggio, alquanto calda, perché dal mattino il sole brillava
in cielo e non c’era un alito di vento: davvero l’ideale per un bagno. - Venga, le faccio vedere
il parco. Se ha voglia, poi possiamo prendere il sentiero nel bosco che sale
fino al castello… a ciò che ne rimane, dovrei dire. - A giudicare dalle due
grandi torri che si vedono dalla caserma, doveva essere una fortezza
imponente. - Lo era e i turchi
dovettero faticare non poco per espugnarla. Si vendicarono facendo strage di
tutta la guarnigione. Il mio antenato, Miroslav
Jergović, e i suoi due figli vennero impalati. Anche le teste di tutti i
maschi, soldati o servitori, furono infilzate su pali. Le risparmio alcuni
dettagli, ma credo che lei sappia di quali efferatezze erano capaci i Turchi. Mentre parlavano si erano
avviati. Georg aveva già avuto modo di ammirare il grande viale alberato che
conduceva dal cancello alla villa, ma ora il duca lo portò nell’area dietro
l’abitazione. Anche qui c’era un viale ai cui lati si innalzavano alberi
secolari: al fondo si vedeva un altro cancello e il castello in cima alla
collina. Dal viale principale se ne dipartivano altri, più piccoli. Diverse
statue ornavano il viale e altre si vedevano sparse nei giardini, sul lato
sinistro. Sul lato destro invece si vedevano prati e macchie di vegetazione. - Questo parco è immenso! Georg aveva parlato senza
riflettere, ma appena ebbe concluso, si disse che non avrebbe dovuto mostrare
il suo entusiasmo: il duca lo avrebbe giudicato un pezzente. E in effetti, rispetto a lui, lo era. Ma
Jergović si limitò a raccontare la storia del parco. - All’inizio del secolo
scorso i miei antenati fecero edificare la villa e crearono il parco: non
erano più interessati a vivere in un castello, per cui non lo fecero
ricostruire. Recintarono tutto il terreno pianeggiante intorno al luogo
scelto per la villa, in modo da creare un parco molto vasto, che fecero
progettare a un architetto italiano. Il duca si infilò in uno
dei viali laterali. - L’architetto era
italiano, ma in tutta quest’area, a sud del viale, i giardini sono alla
francese: grandi viali, aiuole fiorite, statue, fontane, prospettive. Tutti gli
elementi tipici dell’epoca. Alcune statue sono copie di originali romani e
greci, altre furono create da artisti italiani, che comunque si ispiravano a
modelli classici… Mentre lo diceva, il duca
svoltò in un altro viale, dove campeggiava una grande statua di Ercole,
appoggiato a una clava. - Questa è una copia
dell’Ercole Farnese. Molte statue furono commissionate da un mio antenato, un
libertino che amava molto la mitologia greca e di statue di Ercole ce ne sono
almeno una dozzina. Jergović rise e
aggiunse, ammiccando: - Pare che gli piacessero
gli uomini forti... e ben dotati, come può vedere. L’Ercole in effetti aveva
un sesso alquanto vigoroso e due testicoli di grandi dimensioni, ma Georg,
non conoscendo l’originale, aveva pensato che la riproduzione fosse fedele in
ogni dettaglio. Ridacchiò, ma si sentiva un po’ in imbarazzo, non sapendo
bene che dire. Il duca proseguì, cambiando soggetto: - Dall’altra parte del
viale principale, il parco non venne completato. Il mio antenato libertino
esaurì i fondi e il fratello rifiutò di prestargli anche solo un centesimo.
Quando mio nonno ereditò il parco, fece realizzare una specie di giardino
all’inglese, ma lo vedremo al ritorno. Girarono tra i viali per
una mezz’ora, poi il duca si diresse verso il cancello al fondo del viale. - Allora, che ne dice di
salire alle rovine del castello? - Molto volentieri. Poco oltre il cancello, un
sentiero si inoltrava nel bosco, salendo sul fianco della collina. Il duca
procedeva di buon passo e, anche se gli alberi offrivano un riparo, il calore
era intenso. Giunti alle rovine del
castello, Georg ammirò le torri: erano molto più alte di quanto avesse pensato,
vedendole da lontano. - Doveva essere davvero
poderoso. - Ma non imprendibile,
come la guarnigione ebbe modo di scoprire, a sue spese. L’assedio durò
quarantadue giorni, ma alla fine i turchi l’espugnarono. Parlarono un buon momento
della storia del castello, poi ritornarono verso la villa del duca. - Ho parlato sempre io:
non sono stato un buon ospite. Mi racconti un po’ di lei. Georg non aveva molto da
narrare, ma il duca era curioso e sembrava davvero interessato a conoscerlo
meglio. Georg parlò un po’ della sua infanzia e della sua famiglia. Rientrarono nel parco e
questa volta Jergović lo fece passare dalla parte opposta rispetto al
viale. Il paesaggio era del tutto diverso: non più grandi viali, statue, aiuole
fiorite e prospettive, ma prati e boschetti, piccoli laghi e alberi isolati. - Giardini all’inglese,
nel gusto del secolo scorso. C’è pure il falso tempietto greco, ma a parte
questo gli interventi furono ridotti al minimo: mio nonno non era molto interessato
al parco. Il mio antenato libertino ci avrebbe messo una statua di Ercole,
nudo, naturalmente. Jergović rise, poi
aggiunse: - Tra poco arriviamo al
lago che le dicevo. L’ideale per bagnarsi. Erano accaldati e a Georg
l’idea di un bel bagno appariva quanto mai attraente. Il lago aveva una forma
allungata. La parte più settentrionale era circondata da prati e si vedeva la
villa, non molto distante. L’estremità meridionale era invece riparata da un
boschetto, che celava le rive alla vista. Qui c’era un padiglione, da cui un
pontile portava sul lago. Sul retro del padiglione si trovava una piccola
area cintata da un’alta siepe. - E in questo laghetto
vengo spesso a bagnarmi, in estate. Poi mi rifugio nel padiglione, dove
nessuno viene a disturbare. Solo io ho la chiave e la do ai servitori soltanto
per le pulizie. È il mio regno personale. Entrarono nel padiglione,
che era immerso nella penombra, perché le tende erano tirate. C’erano un
divano, due poltrone, un tavolo più grande e uno più piccolo, due cassapanche
e un letto, seminascosto da un paravento giapponese. Jergović sorrise e
disse: - Possiamo spogliarci qui. Incominciò a togliersi gli
indumenti, gettandoli su una cassapanca. Georg guardò il duca
spogliarsi. Aveva un corpo massiccio, in cui qualche chilo di troppo non
nascondeva la muscolatura ben sviluppata. Quando si abbassò le mutande, Georg
sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Il duca era ben dotato, ma non
era questo a turbarlo. Aveva avuto qualche sospetto fin dalla sera prima, quando
il duca l’aveva invitato, abbassando la voce perché nessuno potesse sentire.
E poi l’insistere sul bagnarsi nel lago, la penombra del padiglione, il fatto
che nessun altro potesse entrare. Aveva intuito che poteva esserci altro, ma
aveva accantonato l’idea, preferendo non soffermarsi su di essa. Perché? Non
avrebbe saputo dirlo. Adesso però aveva piena coscienza della situazione e
delle sue implicazioni. Aveva avuto alcuni rapporti con coetanei, prima di
entrare nell’esercito, e poi con commilitoni, ma li aveva sempre considerati
poco più che giochi tra giovani maschi. - Intenderà mica fare il
bagno vestito? - No, no. Georg si spogliò in
fretta. Il duca lo attendeva sulla porta. - In acqua, pigrone! Jergović rise e corse
sul pontile, dalla cui estremità si tuffò nel lago. Georg lo seguì, sollevato
all’idea che non era successo niente. Si disse che era tutta la sua
immaginazione. Si tuffò anche lui. Il duca era un ottimo
nuotatore, ma, accorgendosi che Georg faceva fatica a stargli dietro,
rallentò il ritmo. Nuotarono un buon momento, poi ritornarono a riva. - Andiamo ad asciugarci. Rientrarono nel
padiglione. Il duca prese da una delle cassapanche due grandi teli e ne gettò
uno a Georg, poi prese a strofinarsi energicamente con l’altro. Georg si
asciugava più lentamente, fissando il duca. Non riusciva a distogliere lo
sguardo da lui. Il duca lo guardò e rise. - Le do una mano ad
asciugarsi dietro. Passò dietro di lui e
incominciò a passargli il telo sul collo, sulla schiena, scendendo fino al
culo. Georg sentì il tessuto infilarglisi tra le natiche. La pressione delle
dita del duca sul solco gli strappò un gemito. Ebbe l’impressione che le
gambe non lo sostenessero più e smise di reggere il telo. Il duca si avvicinò
ancora e i loro corpi quasi si toccarono. Georg chiuse gli occhi. Sentiva su
di sé le mani che, sempre muovendo il telo, gli scorrevano sul petto, poi sul
ventre, fino al sesso. Nuovamente gli sfuggì un gemito. Contro il culo sentiva la
pressione di qualche cosa di caldo e duro. Il telo cadde a terra. - Stenditi qui. Georg lasciò che il duca
lo guidasse a mettersi prono su un grande letto: non aveva più un volontà
propria. Sentì la carezza umida delle dita di Jergović, che spargevano
la saliva e poi la pressione contro l’apertura di un dito, che la stuzzicava.
Il dito si staccò, per ritornare poco dopo, umido di saliva. Con molta
lentezza il dito premeva sull’ingresso, fino a introdursi nell’apertura.
Intanto con l’altra mano il duca accarezzava la testa di Georg. Il dito uscì, Marko si stese su Georg, che sentì il cazzo del duca
appoggiarsi sul solco tra le natiche. Poi il duca si sollevò un po’ e Georg
avvertì la pressione della cappella contro l’apertura. Di colpo le forze gli
mancarono. Il suo corpo si abbandonò completamente al maschio che ne prendeva
possesso. Il cazzo si introduceva, lentamente, senza incontrare resistenza.
Ad ogni spinta Georg sentiva un’ondata di piacere salire dal suo culo e
percorrergli tutto il corpo, più forte del dolore che pure era presente. Una
mano di Marko gli accarezzava i capelli, poi scese
sul viso. Marko era dentro di lui, il suo cazzo
fermamente piantato in culo a Georg. Era una sensazione bellissima. Georg
avrebbe voluto rimanere per sempre così, il peso del corpo del duca che lo
schiacciava, il cazzo che lo infilzava, le mani che lo accarezzavano. Lentamente Marko incominciò a muoversi dentro di lui, ritirando il
cazzo e poi spingendolo nuovamente a fondo. E tutto il corpo di Georg veniva
percorso da un fremito. Piacere e sofferenza si mescolavano, ma il piacere
era molto più forte, un piacere che dal fuoco che aveva in culo si propagava
a tutto il corpo, lo faceva gemere senza ritegno. E contro il lenzuolo steso
sul letto, il suo cazzo vibrava in una tensione che cresceva, fino a diventare
tanto forte da essere intollerabile, fino ad esplodere in puro piacere. Non avrebbe voluto venire
o almeno avrebbe voluto poter trattenere l’urlo che gli sfuggì, mentre il
piacere lo squassava e il suo seme si spargeva. Il duca venne subito dopo e
Georg sentì la scarica in culo. Rimasero immobili, poi il duca
si ritrasse e si stese accanto a Georg. - Era la prima volta,
vero, Georg? Si stupì a sentirsi
chiamare per nome. E si rese conto che il duca gli stava dando del tu. Non
sapeva bene come interpretarlo: un segno di intimità o di scarsa
considerazione? - No, non proprio... io… Aveva avuto rapporti con
coetanei, ma era la prima volta che era stato penetrato. Non osava dirlo,
anche se si rendeva conto che la sua reticenza non aveva molto senso. - Però ti ha turbato. - No, no… solo un po’. Non era vero e il duca se
n’era accorto. Perché era rimasto così turbato? I rapporti che aveva avuto
con coetanei erano stati solo la soddisfazione di un bisogno, un gioco a cui
non aveva mai dato importanza. O almeno così aveva creduto. O aveva finto di
credere. Perché la verità era che le donne non avevano mai suscitato il suo
desiderio, anche se immaginava un giorno di sposarsi. Con il duca non era più
un gioco tra coetanei. Georg non disse nulla. Una
mano del duca gli sfiorò il viso, poi scese ad accarezzargli il torace, il
ventre, il sesso. - Sei molto bello, Georg. - Grazie. Georg era imbarazzato. La
sensazione della mano del duca che gli sfiorava la pelle lo turbava, forse lo
infastidiva. - Adesso è ora che io
vada. - Come vuoi. Il duca non si mosse, ma
quando Georg si mise a sedere, si alzò e raggiunse la cassa su cui aveva
deposto gli abiti. Si voltò a guardare l’ufficiale, che lo fissava senza
muoversi. Gli sorrise, poi, vedendolo rimanere fermo, gli si avvicinò. Ora Georg
poteva vedere a due spanne dal suo viso, il sesso ancora turgido del duca. - Che cosa c’è, Georg? L’ufficiale si riscosse. - Niente, è meglio che
torni in caserma. Si alzò, aggirò il duca e
raggiunse gli abiti. Incominciò a vestirsi con movimenti rapidi. Il duca lo guardò, poi
sorrise e prese a rivestirsi. Quando entrambi furono
pronti, lasciarono il padiglione e si diressero verso la villa. - Questa sera offro una
cena ristretta. Ha voglia di venire anche lei, sottotenente? Il passaggio al lei prese
di sorpresa Georg, che si chiese se non fosse ironico, Poi si disse conto che
era logico: non poteva dargli del tu davanti ai domestici o a estranei, che
si sarebbero immediatamente chiesti i motivi di questa improvvisa intimità. E
al di fuori del momento in cui avevano scopato, quando il lei sarebbe apparso
assurdo, era sensato che il duca ritornasse a un tono più formale. Georg esitò un attimo, poi
rispose: - Volentieri, la
ringrazio. Il duca Jergović non
lo trattenne e Georg lasciò la villa. Raggiunta la caserma, si rifugiò in
camera: non aveva voglia di parlare con nessuno. Era alquanto scombussolato.
Si stese sul letto e rimase a fissare il soffitto della sua stanza. Aveva scopato con il duca.
Le sue esperienze con i coetanei erano state limitate: aveva usato le mani e
la bocca, ma non era mai stato penetrato. Il duca invece lo aveva preso. Non
aveva saputo dirgli di no. Perché avrebbe dovuto dirgli di no? Era stato
bello, anche se adesso il culo gli faceva male. Aveva goduto. Non si rese conto del
passare del tempo, finché non sentì qualcuno bussare alla porta. Si alzò di
scatto e guardò l’ora: era già tardi, non aveva molto tempo se voleva
prepararsi per andare a cena dal duca. - Avanti. Konrad entrò e gli
sorrise. Aveva un sorriso dolce, Konrad. Era sempre gentile. - Volevo chiederti se
vieni a cena con me, Ludwig e Heinrich. - No… no, grazie… sono
invitato dal duca. Si pentì subito di averlo
detto, ma non era abituato a mentire. - Dal duca! Accidenti! Hai
fatto colpo. Georg si sentiva in
imbarazzo. Cercò di nasconderlo rispondendo con una battuta: - I miei antenati lo
incuriosiscono. - Ti invidio: farai
un’ottima cena e ti divertirai. Il duca Jergović mi sembra un uomo
affascinante. Georg annuì. Avvertiva un
disagio crescente. - Sì, sì, lo è. Senza
dubbio. Lo è. - C’è qualche cosa che non
va, Georg? - No, no. Perché me lo
chiedi? - Mi sembri un po’
turbato. - No, no… è che… mi sono
steso a riposare e mi sono addormentato. Mi sono appena svegliato. - Ti ho svegliato io,
bussando? - No, ero già sveglio.
Adesso mi devo preparare. - Va bene. Ti lascio. Non
voglio farti fare tardi. Konrad sorrise e aggiunse: - Mi sa che Albert e
Friedrich moriranno d’invidia quando sapranno che sei a cena dal duca. L’idea che gli altri due
sottotenenti venissero a sapere del suo invito inquietò Georg, che disse: - Non gli dire niente. Non
ho voglia che sappiano… Non dire niente a nessuno. Konrad lo guardò un po’
sorpreso, poi annuì. - Sarò muto come un pesce. Georg sorrise, un sorriso
un po’ tirato. Konrad aggiunse: - Buona serata. Ci vediamo
domani. E lasciò la stanza. Georg si sedette
nuovamente sul letto. Aveva una grande confusione in testa. Doveva prepararsi. L’idea della cena dal duca
lo sgomentava. Non sapeva nemmeno chi c’era. In che modo il duca avrebbe giustificato
la sua presenza? Probabilmente proprio con la faccenda degli antenati: quello
che aveva detto a Konrad per spiegare l’invito, sarebbe stato usato anche dal
duca con lo stesso scopo. Per un momento pensò di
non presentarsi. Avrebbe potuto mandare un biglietto scusandosi, adducendo
qualche pretesto. No, era assurdo. Non c’era
motivo per non andare. Si vestì con cura: sapeva
di essere un bell’uomo e la divisa gli donava. Ci teneva a fare bella figura
con il duca e con i suoi ospiti. Gli invitati erano solo
otto, tutti uomini, ma tra loro c’era il dottor Komives. Quando lo vide nella
sala da pranzo, Georg si sentì a disagio e si pentì di essere venuto. Il
dottore però non fece nessun cenno a quanto era successo: sembrava averlo
dimenticato. All’inizio comunque Georg intervenne poco nella conversazione
comune, per paura di sfigurare, ma il duca lo coinvolse: come il giovane
aveva previsto, lo fece proprio invitandolo a parlare dei suoi antenati.
L’argomento suscitò la curiosità del professor Szepes,
appassionato di storia, e si accese una discussione. Georg parlò del suo
antenato che aveva combattuto al fianco di Vlad Dracul
e poi era stato impalato. Evitò di raccontare che forse Karl Kraus era stato l’amante
di Vlad, limitandosi a dire che non si sapeva il motivo per cui Dracul l’aveva fatto impalare. Mentre lo diceva guardò il
duca e gli parve che avesse un sorriso ironico. Con il passare del tempo,
Georg si rilassò, ma, memore di quanto era successo al casino, bevve poco. Quelle
rare volte che si portò il bicchiere del vino alle labbra, il suo sguardo
corse al dottore, ma questi non sembrava fare caso a lui, come se avesse
completamente dimenticato l’episodio di qualche giorno prima. Jergović
era molto cortese nei suoi confronti, ma non ci fu da parte sua nessun
ammiccamento, che avrebbe messo Georg in imbarazzo. Gli altri ospiti non
avrebbero potuto sospettare che tra Georg e il dottore e tra Georg e il duca
era successo qualche cosa. A Georg sembrava tutto un po’ irreale. Parlavano
del più e del meno con i vari commensali e nessuno sapeva che lui aveva
scopato con il duca e che aveva sfidato a duello il dottore. Si chiese se
anche gli altri avessero segreti che non trapelavano. A tratti gli sembrava
che dovesse essere così, che esistesse tra tutti i convitati una rete di
legami nascosti, che non apparivano in superficie e che nessuno avrebbe
saputo indovinare. In altri momenti invece questi pensieri gli sembravano
assurdi. Alla fine della serata, quando
gli ospiti si congedarono, il duca gli parlò, scegliendo nuovamente un
momento in cui non c’era nessuno vicino. - Se ha voglia di bagnarsi
domani, venga a trovarmi nel pomeriggio. Venerdì parto per Zagabria e per alcuni
giorni non avremo altre occasioni. Jergović sorrideva cordialmente. Sembrava molto
sicuro di ricevere una risposta positiva. Georg esitò un attimo, poi annuì.
Aveva paura, ma lo desiderava e non aveva senso negarsi. - La ringrazio, verrò. Tornò dalla serata in uno
stato di esaltazione. Gli sembrava di essere leggermente ubriaco, anche se
aveva bevuto pochissimo. Il giorno dopo il duca lo
guidò direttamente al laghetto. Si bagnarono e poi trascorsero due ore a
letto. Georg era meno teso rispetto al giorno prima: sapeva che cosa lo
aspettava. Marko aveva colto le incertezze e le
paure di Georg, per cui non introdusse nessuna variazione: voleva lasciare al
giovane il tempo di abituarsi. Lo prese due volte e per il resto del tempo si
limitò ad abbracci, baci e carezze. Il duca partì il mattino
seguente. A Georg non spiacque avere qualche giorno in cui pensare a ciò che
era successo, a porsi domande e cercare risposte. Il duca gli piaceva, molto.
Non era innamorato, questo lo sapeva, ma a letto Marko
gli aveva regalato sensazioni fortissime. Al ritorno da Zagabria
Jergović invitò a cena un gruppo di amici e Georg. Al termine della
serata, in un momento in cui gli altri ospiti non potevano sentire, disse a
Georg: - Passa a trovarmi domani
pomeriggio? Potremmo bagnarci nel laghetto. - Volentieri, se non sono
impegnato in caserma: ieri sono stato di servizio tutto il giorno. Il
colonnello Schneider sta affidando spesso incarichi a noi nuovi arrivati: ci
ha lasciato il tempo di ambientarci, ma adesso vuole metterci alla prova. - Mi sembra sensato da
parte sua. Spero di vederla domani, ma se non può, possiamo pensare a venerdì.
Dopodomani non ci sarò. - Molto volentieri. Il giorno seguente pioveva
a dirotto. Georg si presentò un po’ prima del solito. Il duca, avvisato da un
domestico, scese ad accoglierlo. - Mi chiedevo se sarebbe
venuto, sottotenente. A parte gli impegni di servizio, con questa pioggia! Sono
contento che non si sia fatto spaventare. Georg sorrise e disse,
scherzoso: - Un militare non dovrebbe
temere neanche il fuoco dei cannoni, figuriamoci la pioggia. - Venga, saliamo di sopra.
Di bagnarci oggi non si parla… a meno di non fare una passeggiata nel parco,
ma non mi sembra il caso. Il duca fece salire Georg
nel salotto accanto alla sua camera da letto: era uno spazio raccolto, con
una libreria su due lati e alcuni quadri sugli altri due. Georg fu colpito
dal ritratto di un uomo che sembrava essere un operaio, ma assomigliava
moltissimo al duca. Marko colse la perplessità di Georg e gli
disse: - Sì, sono io. Mi ha
dipinto Menzel. Ha fatto di me un operaio e mi ha
un po’ invecchiato, ma il quadro mi è piaciuto moltissimo. - È molto bello, davvero. - In questa stanza ho ben
due miei ritratti. - Due? Georg si guardò intorno,
ma non vedeva il secondo. Il duca gli indicò un quadro che raffigurava un
lussuoso palco all’opera. All’interno c’erano tre donne in abiti da sera e un
uomo, che senza dubbio era il duca. - Non ti avevo proprio
visto! - Di’ la verità, pensavi
che fossi l’uomo che dorme in treno! In un altro quadro si
vedeva l’interno di uno scompartimento ferroviario di prima classe con due
personaggi: una donna che sembrava assorta nelle sue riflessioni e un uomo
che dormiva, abbandonato sul sedile. Georg rise, perché l’uomo, pur avendo il
viso in parte coperto da un cappello, non poteva certo essere il duca: era
decisamente più grasso e molto più vecchio. - Nessuno potrebbe pensare
che sei tu. - Magari tra un po’ di
anni… - Non scherzare. Non ti ci
vedo proprio. È una caricatura. Scambiarono ancora alcune
parole, poi Marko disse: - Passiamo in camera. Una porta conduceva nella
camera da letto. Georg si guardò intorno, ammirando l’eleganza
dell’arredamento, poi la sua attenzione fu attratto da alcuni disegni posati
su un tavolo. Incuriosito si avvicinò e li guardò. Rappresentavano tutti e
tre un uomo nudo, visto di schiena, con il viso di profilo. Le parole gli
sfuggirono: - Ma è il dottore! Il duca annuì. - Sì, Menzel,
il pittore, fu mio ospite per un mese due anni fa. Una volta che io e Sándor,
il dottore Komives, ci bagnavamo al lago, fece questi schizzi. Li stavo mettendo
a posto quando sei arrivato. Non avrei dovuto lasciarli in giro. Georg si chiese se anche il
dottore fosse stato l’amante del duca o se lo fosse stato il pittore, che
conosceva solo di nome, ma non poteva certo porre la domanda. Il duca ripose
i disegni, poi incominciò a spogliare Georg. Dopo che ebbero scopato, Marko prese da un cassetto un pacco. - Ti ho preso un piccolo
regalo a Zagabria. Georg non si aspettava di
ricevere un dono e gli fece piacere. - Grazie! Sei stato molto
gentile … Non era abituato a ricevere
regali. Aprì il pacco e ne estrasse un portasigarette, molto semplice, ma con
un motivo decorativo sobrio ed elegante. - Che bello! Grazie! Il portasigarette era
dorato, ma Georg non pensò che potesse essere d’oro. - Domani nel pomeriggio
sono occupato. Ci vediamo per il ballo. - Molto volentieri. Le feste da ballo del duca,
come le grandi cene che offriva, erano molto attese. Nessuno dei nobili della
città aveva un palazzo in cui si potessero tenere grandi balli. Tutti gli ufficiali erano
invitati e questo garantiva un ampio numero di cavalieri. Konrad non era entusiasta
all’idea di partecipare: sapeva ballare, ma non era certo un’attività in cui
eccellesse. Nel corso della serata si limitò a invitare le signore che vedeva
trascurate dagli altri uomini presenti e a chiacchierare con alcuni degli
ospiti. Se ne andò insieme ad alcuni ufficiali quando gli fu possibile farlo
senza apparire scortese. Georg e Albert invece erano
due ottimi ballerini: avevano un grande senso del ritmo e sapevano condurre
una dama. Essendo anche belli, erano molto apprezzati dalle dame. Albert invitò a ballare la
contessa Kressmann: la donna si avvicinava ai cinquanta e non era mai stata
bella, ma era la dama più altolocata tra le presenti. Albert ci teneva a
mantenere buoni rapporti e a farsi vedere a ballare con lei: a molti degli
altri ufficiali la contessa avrebbe detto di no. Georg preferì evitare di
invitare la gran dama, temendo di subire un rifiuto. Invitò le giovani donne,
che si mostrarono tutte contente di avere un cavaliere così bello e capace.
Ballò tutta la serata. A un certo punto il duca gli si avvicinò. Poiché c’era
molta gente intorno, si rivolse a lui come se si conoscessero appena. - Lei è davvero un
ballerino eccellente. E credo che questa sera abbia fatto strage di cuori. - Non mi prenda in giro, duca.
Credo che le signore con cui ho ballato avranno dimenticato la mia faccia già
prima di lasciare la sua villa. - A giudicare dalle
occhiate che le lanciano, direi proprio di no. Georg rise. Il duca solleticava
il suo amor proprio e come sempre questo non gli spiaceva. Friedrich ballò poco. Non
amava molto il ballo e non voleva vedersi rifiutare. Quando Albert non
ballava, scambiava con lui qualche battuta: - Hai visto la Baronessa Monder? Dove si sarà procurato quell’abito? Da un
rigattiere? - Dev’essere stato di moda
a Vienna quando la balia mi allattava. - A Vienna? Forse era di
moda in qualche paesino della Russia. - E la contessa Bretter? Sembra una vecchia gallina infilata in un sacco
per essere portata al mercato. - Quella, comunque si
vesta, sempre vecchia gallina rimane. Friedrich rimase a
guardare l’amico che ballava. Il successo di Albert come ballerino lo
irritava, perché sapeva che in questo non poteva competere con lui e che
alcune delle dame che danzavano volentieri con Albert gli avrebbero detto di
no, adducendo come scusa la stanchezza o un po’ di mal di testa: esperienze
che aveva già vissuto e che non desiderava ripetere. Se ne andò più tardi di
Konrad, ma prima che la festa si spegnesse. Georg e Albert furono tra
gli ultimi ad andarsene, insieme a un nutrito gruppo di ufficiali. Non si
parlarono: ad Albert dava fastidio che anche Georg riscuotesse grande
successo presso le donne e che fosse molto bravo a ballare; Georg provava
un’istintiva antipatia per Albert, che trovava scostante e presuntuoso. Georg divenne un ospite
fisso del duca. Cenava alla villa quasi ogni sera, che ci fossero molti
invitati o pochi. In alcune occasioni cenò da solo con Marko,
ma non lo raccontò a nessuno. Si ritrovavano molto
spesso il pomeriggio. Dopo un periodo iniziale, in cui si era mosso con
prudenza, Marko incominciò a proporre a Georg nuove
variazioni sul tema, guidandolo a esplorare il mondo del piacere. Un pomeriggio entrarono nel padiglione.
Georg pensò che si sarebbero spogliati per bagnarsi e avrebbero ripreso i
loro giochi dopo il bagno, come al solito, ma Marko
disse: - Che ne dici di provare
qualche cosa di nuovo? Georg non sapeva che cosa
volesse fare il duca e non era sicuro che gli sarebbe piaciuto, ma era
curioso. - Va bene. - Non ti preoccupare,
Georg. Quando ti accorgi che non ti va bene, ci fermiamo. Georg annuì. Sapeva che
poteva fidarsi del duca. Marko sorrise, un sorriso sornione, e disse: - Adesso mettiti in ginocchio
davanti a me e calami i pantaloni. Georg esitò. Aveva intuito
che cosa gli chiedeva il duca: nei giochi con i commilitoni due volte glielo
avevano succhiato, ma lui non aveva mai preso in bocca un cazzo. Tutto
sommato, non gli spiaceva provare. Si avvicinò a Marko e si mise in ginocchio. Gli calò pantaloni e
mutande. Quando avvicinò il viso al cazzo di Marko,
ne sentì l’odore. Non gli spiacque. Il cazzo stava crescendo di volume e la
cappella, di un colore rosso quasi violaceo, emergeva. - Bene, Georg. Che cosa ne
diresti di passarci la lingua sopra? Georg annuì. La visione del
grosso cazzo di Marko aveva su di lui un effetto
strano. L’idea di leccarlo un po’ gli ripugnava, un po’ lo eccitava. Aprì la
bocca e protese la lingua, fino a che toccò la cappella. Fece scorrere la
punta della lingua due o tre volte sull’apertura. Il cazzo si tese ancora di
più, mettendosi in verticale. - Ora tutto intorno. Georg cominciò a passare
la lingua sulla pelle. - Scendi giù. Georg percorse il grande
membro con la punta della lingua, fino ad arrivare alla base, là dove la
pelle formava un incavo, prima di tendersi nelle due voluminose sfere. - Che ne diresti di leccare
anche i coglioni? Georg scese e sentì sotto la
lingua la pelle più ruvida e i peli spessi che coprivano i coglioni di Marko. Il pensiero di quello che stava facendo era disturbante,
ma le sensazioni che la sua lingua gli trasmetteva erano piacevoli. - Bene, ora prendimelo in
bocca. Georg aprì la bocca e si
avvicinò alla cappella. La prese in bocca, ma a quel punto non sapeva più
bene che fare. - Avanti e indietro, Georg,
inghiotti e poi lasci andare. Georg eseguì. Era
piacevole. Era maledettamente piacevole. Georg andò avanti a lungo, fino a
che il duca disse: - Sto per venire, Georg.
Se non vuoi assaggiare, è meglio che tu ti ritragga e finisca con la mano. Georg esitò un attimo, poi
lasciò il succulento boccone, lo afferrò con la destra e muovendo la mano,
fece venire il duca. Si disse che forse un’altra
volta avrebbe inghiottito. Lo fece, in effetti, tre giorni dopo. E una
settimana dopo aver bevuto lo sborro di Marko,
bevve anche il suo piscio: Marko non aveva pudore e
non si poneva nessun limite. Georg a volte si ritraeva, disorientato, ma di
solito la curiosità e il desiderio erano più forti delle sue remore. Un giorno, dopo essersi
bagnati, Marko lo fece stendere sul letto, con la
pancia su un cuscino, in modo che il culo rimanesse sollevato. Poi incominciò
a mordergli e leccargli il culo. Georg rimase disorientato. Le sensazioni
erano molto piacevoli, ma l’idea che Marko gli
passasse la lingua sul solco tra le natiche lo turbava, anche se si erano
appena bagnati ed erano puliti. Marko lavorò a
lungo e Georg si rese conto con stupore che il desiderio in lui cresceva,
tanto da non essere più contenibile. Finì per venire sul cuscino. - Direi che ti è piaciuto,
maialino. - Io, maialino? E tu che
cosa sei? - Un vecchio porco. Georg rise. Il duca aveva
forse una dozzina d’anni in più di lui e non era certamente vecchio. Marko proseguì: - Un vecchio porco che
intende insegnarti un po’ delle cose che sa. Perché nella tua candida anima
innocente, si nasconde un giovane porco smanioso di imparare. Georg rise nuovamente. Era
vero, lo sapeva benissimo. Si abbracciarono,
baciarono, accarezzarono ancora un momento, poi Marko
disse: - Hai voglia di ricambiare
il favore? Georg esitò. L’idea di
mordere un po’ il culo del duca lo solleticava, ma passargli la lingua sul
solco… non se la sentiva. Marko colse la sua
incertezza e disse: - Fa’ solo quello che ti
senti. - Va bene. Un po’ di
morsi, ben volentieri. Ho fame. Il duca rise mentre si
metteva in posizione. - Guarda che poi c’è la
cena. E la carne cucinata è migliore di quella cruda. - Non ne sono convinto. In realtà, dopo aver morso
alquanto, facendo anche sussultare il duca, Georg incominciò a usare anche la
lingua. Marko si era lavato bene e leccare il solco
non era per niente sgradevole. Ci fu un momento, mentre leccava l’apertura,
in cui si disse che gli sarebbe piaciuto fottere il duca, ma non osò dirlo. E
non era nemmeno sicuro di volerlo davvero fare: era così bello quando era il duca
a fotterlo! Nelle settimane seguenti
Georg scoprì molte delle cose che due uomini possono fare insieme per
ricavare e dare piacere. E superò in fretta le remore iniziali. |
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