Mentre
Denis e Ferdinando tornavano a Rougegarde, Bohémond ha percorso la stessa strada in direzione
opposta. È vescovo anche di San Giacomo d’Afrin e
abitualmente vi trascorre una parte del tempo. Non aveva previsto di
recarvisi ora, in questa estate rovente: preferisce trascorrere i mesi più
caldi a Rougegarde. Adesso però ha bisogno di
allontanarsi dalla città e vuole parlare con il barone Olivier. Ha
incominciato a elaborare un piano per perdere definitivamente il duca: è ora
di risolvere la faccenda una volta per tutte. Vuole vedere il suo nemico
squartato in piazza, come avvenne con il conte d’Espinel.
E riuscirà a ottenerlo. Il momento è favorevole: Guido da Lusignano è ostile
al duca e non gli dispiacerebbe poter assegnare Rougegarde
a qualcuno di coloro che hanno favorito la sua ascesa al trono e che ora lo
sostengono. Bohémond sa che anche il re deve muoversi con
prudenza, perché il duca è molto potente, ma se ci fossero le prove
inconfutabili di un tradimento, la sorte di Denis di Rougegarde
sarebbe segnata. Arrivato
a San Giacomo d’Afrin, raggiunge il suo palazzo,
posto a fianco della cattedrale. Comunica il proprio arrivo al barone e lo
informa che vorrebbe parlargli il giorno seguente. Bohémond considera Olivier un alleato prezioso:
a differenza del duca, ha l’appoggio del nuovo re, che ha sostenuto contro le
pretese di Raimondo di Tripoli. Il sostegno del barone di San Giacomo d’Afrin non è certo stato determinante, ma Guido da
Lusignano è ben disposto nei confronti di questo signorotto. Olivier,
in quanto reggente per il nipote Philippe, ha tutto l’interesse a perdere il
duca: per diventare signore della città a pieno titolo, dovrebbe eliminare
entrambi i nipoti, ma Jacques è sotto la protezione di Denis di Rougegarde. Per poter sopprimere il giovane, bisogna che
il duca muoia. Bohémond ha messo a punto un piano per
provocare la rovina del duca, del figlio Pierre e di Jacques: in questo modo sa
che avrà l’appoggio incondizionato di Olivier. Il
barone comunica che verrà in mattinata: nei confronti del vescovo è sempre
molto deferente. Bohémond sa benissimo che Olivier
lo appoggia solo perché hanno gli stessi nemici e interessi comuni, ma l’alleanza
può essere vantaggiosa per entrambi. Il
giorno dopo Olivier si presenta al palazzo vescovile. Saluta il vescovo, si
informa del viaggio, gli chiede notizie di Rougegarde.
A sua volta Bohémond pone qualche domanda sulla
salute di Olivier, su quella del nipote Philippe, sulla città. Dopo
i preamboli di cortesia, Bohémond incomincia: -
Ho chiesto di parlarvi perché ho bisogno di confrontarmi con voi. Ora che il
Saladino ha riunito tutta la Siria sotto il suo possesso e che, dominando
anche l’Egitto, stringe il Regno di Gerusalemme in una morsa, la situazione è
diventata molto più difficile. Non possiamo aspettarci aiuti dall’imperatore
o dai re d’Europa, troppo occupati a guerreggiare tra di loro, per difendere
la città santa dove il Figlio di Dio si è sacrificato per il riscatto dei
nostri peccati. Olivier
non ha idea di dove voglia arrivare il vescovo, ma sa che lo scoprirà presto,
per cui si milita a un generico: -
Purtroppo è così, eccellenza. -
In queste circostanze si vedono coloro che davvero sono animati dalla vera
fede e sono pronti ad affrontare il martirio. Olivier
annuisce. Le parole del vescovo non lo ingannano, come il suo assenso non
inganna Bohémond. Si conoscono a fondo e sanno
benissimo che agiscono entrambi per brama di potere, ma fingono di
condividere una grande fede. Bohémond fa una pausa, poi prosegue: -
Ma si vedono anche coloro che pensano solo al potere e sono disposti a
tradire per ottenerlo… o per conservarlo. -
Certamente. Di fronte al pericolo si rivela la vera natura dell’uomo. Olivier
continua a manifestare la sua approvazione, mentre attende una spiegazione. Il
vescovo fa un passo avanti, avvicinandosi, e abbassa la voce, per dire: -
Pare che il duca stia cercando un accordo con il Saladino. Sa che Rougegarde è troppo esposta per poter essere difesa a
lungo. Intende sottomettersi al Saladino, in cambio del riconoscimento della
sua autorità sulla città. Non teme ribellioni: in città sono numerosi i
maomettani e gli ebrei, ansiosi di ricongiungersi agli altri infedeli. Olivier
guarda Bohémond. Sa benissimo che ciò che gli
racconta il vescovo è falso, ma coglie l’intenzione del vescovo: ciò che è
falso deve diventare la verità, una verità infamante, che ribalterebbe la
situazione. Se si scoprisse che il duca cerca un accordo segreto con i
saraceni, sarebbe la sua fine. Lo squarterebbero in piazza, come fecero con Tancrède d’Espinel. Sarebbe
magnifico: a Olivier piacciono le esecuzioni cruente e non c’è uomo al mondo
che vedrebbe più volentieri squartato e castrato di Denis d’Aguilard, duca di Rougegarde. E
con lui Ferdinando: nessuno dei tre fratelli ha mai sopportato quello zotico
siciliano, che ha un titolo superiore al loro e non sa nemmeno leggere. Con
l’appoggio del vescovo Olivier potrebbe prendere il loro posto e divenire signore
di Rougegarde e dell’Arram. Risponde: -
Non sospettavo nulla, ma ciò che mi dite non mi stupisce. Il duca è sempre
stato un uomo molto ambizioso e credo che lui e il conte Ferdinando, che è
sempre al suo fianco, siano disposti a tutto, pur di conservare i loro
territori. Ora
il vescovo sa che Olivier vuole la fine anche di Ferdinando. Bohémond non aveva pensato a lui, non dando nessuna
importanza al conte, ma in effetti è meglio sbarazzarsene. Tutti sanno che è
molto legato al duca ed è comprensibile che nelle trattative segrete sia
coinvolto anche lui. -
Certo. L’ambizione è ciò che li muove. Entrambi sono traditori, a cui Iddio
riserverà la fine che meritano. Stabilito
che sono d’accordo, ora devono trovare il modo di ottenere ciò che
desiderano. Olivier osserva: -
Il duca è molto potente, anche se non gode del favore del nuovo re: molti
vedono in lui il difensore della Cristianità. Bohémond storce la bocca in una smorfia di
disprezzo. -
Un empio che non ha rispetto per la Chiesa, che tollera eretici, maomettani,
ebrei. -
Purtroppo molti non sanno vedere oltre la superficie delle cose. -
Quando l’infamia sarà rivelata, dovranno riconoscere di essersi sbagliati.
Grande sarà la loro vergogna. -
Certo, ma per perdere il duca, bisognerebbe avere prove certe del suo
tradimento. - Credo che ci siano delle carte: uno scambio
di lettere tra il duca e l’emiro di Jabal al-Jadid.
Sapete che il duca è in buoni rapporti con lui e credo che l’emiro faccia da
intermediario tra il duca e il Saladino. -
Non fatico a crederlo. So che insieme hanno sgominato la setta che ha ucciso
mio fratello, con un’operazione che ha preso di sorpresa tutti. Il
vescovo annuisce. Olivier prosegue: -
Bisognerà trovare quelle carte e portarle al re. -
Certo, questo occorrerà fare. Richiederà un certo tempo, ma so come venirne
in possesso. Olivier
sorride. Sa bene come il vescovo ne verrà in possesso: fabbricandole. È
un’ottima cosa, purché non faccia errori. -
Benissimo. Suppongo che anche il figlio sia coinvolto. In ogni caso, se il padre
è un traditore, non è pensabile che il figlio possa ereditare il feudo. -
No, di certo, comunque credo che sia complice anche lui: non può essere
all’oscuro delle manovre del padre. Quando ci saremo procurate queste carte,
vedremo esattamente qual è la situazione, ma esiste di certo una vasta rete
di complicità. -
Mi chiedo se… -
Ditemi. -
Mi chiedo se anche mio nipote Jacques non sia coinvolto. Bohémond fissa Olivier. Ha capito benissimo
l’obiettivo del barone: sbarazzarsi definitivamente di Jacques, in modo da
poter eliminare Philippe e diventare il signore di San Giacomo d’Afrin. -
È possibile. Sarebbe suo interesse eliminare il cugino, in modo da potersi
impadronire della città. Certamente, se Rougegarde
venisse consegnata al Saladino, San Giacomo si troverebbe del tutto isolata e
non potrebbe resistere. Mi sembra molto probabile che il duca abbia coinvolto
vostro nipote. Olivier
sorride: l’accordo è concluso, le carte dimostreranno il tradimento di Denis,
del figlio, di Ferdinando e di Jacques. Tutto verosimile, poiché di certo se Rougegarde finisse nelle mani dei saraceni, l’Arram e San Giacomo subirebbero la stessa sorte. -
Vedremo che cosa emerge dalle carte. -
Certamente. Olivier
riflette un momento, poi aggiunge: -
Bisognerà riuscire a convincere il re e la corte: molti non vorranno credere
a un simile tradimento. -
Sì, sarà necessario muoversi con molta cautela. Il duca è potente e di certo
sosterrà che si tratta di un falso. Purtroppo ha ancora molti amici a corte.
Ma quando avremo trovato le carte e la avremo consegnate al re... -
Le carte, certo. Però… -
Sì? -
Non credete che sarebbe opportuno preparare il terreno, prima, eccellenza? -
Che cosa intendete? In che modo? -
Creare qualche sospetto, in modo che le carte appaiano come una conferma. Bohémond annuisce: l’idea è buona, ma non
facile da realizzare. -
Potrebbe essere una bella idea, ma come? -
A questo dobbiamo pensare. Olivier
non ha in mente niente di preciso, ma diffondere qualche sospetto sarebbe
utile per ottenere più facilmente il risultato desiderato. Riflette un
momento e aggiunge: -
Una prima cosa che potrei fare io, è comunicare al re che ci sono scambi di
messaggi tra Rougegarde e Jabal al-Jadid, comunicazioni segrete che arrivano direttamente
all’emiro. Posso dire che mi ha informato una mia spia. -
Sì, potrebbe essere. Il re penserebbe a un traditore, senza sospettare del
duca, probabilmente. Però… se il re chiedesse al duca stesso di indagare? -
Questo non cambierebbe molto. Il duca indagherebbe davvero, senza scoprire
nulla. -
Sì, è probabile. Direi che è una buona idea. -
Sarebbe utile trovare anche qualche cos’altro, senza scoprirsi troppo. -
Ditemi. -
Potrei segnalare al re che i saraceni sembrano informati di certi movimenti
delle mie truppe… no, non ha senso. E se invece voi… Il
vescovo lo interrompe: -
Io non devo figurare in nessun modo. Vedremo come far arrivare quelle carte
al re, ma non posso essere io a consegnarle. Tutti sanno che il duca mi è
ostile e se le trovassi io, direbbero che è una manovra da parte mia per
perderlo. Olivier
si passa una mano sulla barba. -
Sì, avete ragione. Potrei sorprendere io nel territorio di San Giacomo un
uomo del duca con carte compromettenti e rivelare al re il tradimento. -
Esatto, rendereste così al re un servizio di cui non si dimenticherà. Saprà
come ricompensare chi ha permesso di scoprire un orribile tradimento. Bohémond non lo dice, ma il pensiero inespresso
è chiaro: il re dovrebbe affidare Rougegarde a
colui che l’ha salvata, impedendo che il duca la consegnasse nelle mani del
Saladino. Per Olivier è l’occasione a lungo attesa. Molti
dettagli vanno definiti, ma nelle grandi linee il piano è chiaro. Olivier e Bohémond sanno di rischiare moltissimo entrambi. La
manovra è azzardata e i rischi sono forti: se si scoprisse che hanno prodotto
carte false per eliminare quello che tutti considerano il baluardo della
Cristianità oltremare, verrebbero giustiziati, come Tancrède
d’Espinel. Il loro è un tradimento e la loro
esecuzione sarebbe probabilmente altrettanto infamante e atroce. Olivier non
ha nessuna intenzione di finire squartato in piazza. -
Bisogna essere molto cauti. Il duca è potente. -
Quanto più si è in alto, tanto più fragorosamente si cade. Olivier
sorride. Dopo
la partenza di Ferdinando e Adham, Denis guida il
figlio Pierre nella rete di passaggi sotterranei. Con loro ci sono Manrique, Solomon e Pierre da Caen, l’ufficiale che abita
nella casa di Giovanni: le persone in cui Denis ha completa fiducia. Denis li
ha presi con sé per avere una scorta e per far conoscere anche a loro una
parte del labirinto sotterraneo. Pierre
conosce già alcuni di questi cunicoli, tra cui i due che dal palazzo ducale
portano fuori città, oltre le mura. -
Avete un’idea di chi li fece costruire, padre? -
Non furono costruiti tutti insieme Pierre. Avrai modo di notarlo anche tu: le
tecniche di costruzione sono diverse e anche la funzione di questi passaggi
non è la stessa. I due che conducono fuori città furono senza dubbio scavati
per obiettivi bellici: poter uscire dalla città in caso d’assedio o poter far
entrare persone e rifornimenti. Gli altri credo che servissero per permettere
al signore della città di spostarsi in segreto, ma anche di sorvegliare
nemici… e amici. È
l’ufficiale a chiedere: -
E come li avete scoperti? -
Mi informarono della loro esistenza e individuai senza difficoltà alcuni di
quelli che partivano dal palazzo ducale. Non tutti, vero, Solomon? Solomon
sorride. In effetti Denis non aveva pensato al condotto dell’acqua che permette
di raggiungere la grande cisterna sotterranea: gli Hashishiyya
se ne servirono per cercare di uccidere il duca, ma fu proprio l’intervento
dell’ebreo a salvare il signore di Rougegarde. -
Quello a cui alludete non è un vero e proprio passaggio, anche se può essere
usato per entrare. -
Non più. Ora una grata lo blocca. Dopo
aver risposto a Solomon, Denis si volta verso Pierre e dice: -
In seguito trovai qualche cosa di cui sospettavo l’esistenza. -
E sarebbe? -
Una mappa di questi passaggi. Custodita nella biblioteca, ma nascosta. E così
proseguii con l’esplorazione. È
di nuovo l’ufficiale a chiedere. -
È una rete molto estesa, da quel che dite. -
Immensa. Collega al palazzo le principali dimore signorili della città e le
moschee più importanti. Con ingressi segreti, che possono essere bloccati
solo da chi arriva dal palazzo ducale. Manrique osserva: -
Si direbbe quasi che questi passaggi siano stati costruiti per ordine
dell’emiro, per poter tenere sotto controllo la città. -
Come dicevo, sono stati costruiti in epoche diverse, ma uno degli ultimi
emiri, forse il padre di quello a cui tolsi Rougegarde,
li fece sistemare. E di sicuro il suo obiettivo era quello che dici, Manrique. Procedono
ancora per un tratto, poi Denis dice: -
Ora siamo di fianco al palazzo vescovile. Pierre
d’Aguilard dice: -
Potremmo fare una visita al vescovo. -
Sì, ci sono ben due passaggi che conducono in punti diversi del suo palazzo. -
Il vescovo ne è a conoscenza? -
Lo escludo. -
Perché secondo voi ben due passaggi tra i due palazzi? Uno non era
sufficiente? Chi viveva qui? -
Apparteneva a una delle famiglie più importanti di al-Hamra,
ma non so a quando risalgano i passaggi, né perché l’emiro di quel tempo li
avesse fatti scavare. -
Siete sicuro che fosse l’emiro? -
Era certamente il proprietario dell’attuale palazzo ducale, perché i passaggi
partono di lì e, come gli altri, possono essere bloccati dall’interno, ma non
dall’attuale palazzo vescovile. -
Avete verificato? -
Sì, li esplorai, prima dell’arrivo del vescovo. Fu una delle prima cose che
feci quando divenni signore di Rougegarde:
esplorare i passaggi che partivano dal palazzo. Volevo essere sicuro che
nessuno potesse entrare nel palazzo servendosi dei cunicoli sotterranei. La
conquista di Rougegarde era avvenuta facilmente, ma
non tutti erano felici del cambiamento e preferivo essere sicuro di non
venire assassinato nel sonno. -
Mi rimane il dubbio del perché ben due passaggi. -
Non ho nessuna risposta sicura, ma un’ipotesi. Un passaggio immette dalla
parte dell’appartamento principale, quello dove sta il vescovo, e credo che
chi abitava allora nel palazzo ne fosse a conoscenza: un buon modo per
incontrarsi senza che nessuno lo sapesse. Il secondo passaggio invece scende
nei sotterranei, dove ci sono le celle, e forse il proprietario del palazzo
ne ignorava l’esistenza. -
Poteva servire per attaccare il palazzo, ad esempio? -
O per mandare qualche sicario. Raccogliendo informazioni ho scoperto che
quasi un secolo fa, al tempo in cui i franchi si stavano preparando a partire
per conquistare Gerusalemme, il potente Tahir ibn Ikram, proprietario del
palazzo e suocero dell’emiro, fu trovato morto sul letto: strangolato nel
sonno. Nessuno seppe mai come gli assassini fossero potuti entrare e poi
uscire senza essere scoperti. -
Dici che potrebbe averlo fatto uccidere l’emiro? -
Potrebbe essere. È solo un’ipotesi: non conosco queste vicende. Ma è molto
probabile che il passaggio sotterraneo sia stato utilizzato in
quell’occasione. Adesso però c’è un’altra cosa che voglio farvi vedere, nel
passaggio inferiore. Scendono
per una ripida scala. Denis
indica qualche cosa al centro del passaggio. -
Ecco: quello. -
Quello cosa? Che cosa c’è? -
Se metti un piede lì sopra, precipiti in una fossa. Denis
fa pressione su una pietra nel muro, che cede. Abbassa una leva e un tratto
del pavimento scompare. Denis
si inginocchia sull’orlo e si sporge con la lanterna sul vuoto. -
Lì al fondo ci sono molte ossa. -
Ossa? Di uomini? -
Sì. Non so se persone cadute in una trappola, magari mentre cercavano di
entrare, o se il pozzo servisse per sbarazzarsi dei cadaveri. Ma di ossa ce
ne sono tante. -
Come lo sapete? -
Mi ci sono calato. -
E se uno vuole proseguire? Denis
si alza. Aziona la stessa leva, sollevando la botola. Poi fa vedere come
bloccarla. -
Così possiamo passare. Proseguono
ancora il giro, poi tornano al palazzo ducale. Quando gli altri se ne sono
andati, Denis dice al figlio: -
Pierre, adesso hai un quadro più preciso dei passaggi. Attraverso uno di
questi abbiamo fatto fuggire i giovani che Emich
aveva riunito. Costituiscono una risorsa importante, anche perché nessuno sa
dove si trovino. -
Certamente. -
Voglio che tu li conosca e possa servirti della mappa, perché quando sarò lontano
dalla città, in guerra o a Gerusalemme o impegnato in qualche missione, tu
possa utilizzarli, se è necessario. Non li userai tu direttamente: ci sono Manrique e Pierre, che possono scegliere alcuni uomini
sicuri. O Solomon. Pierre
dice, pensieroso: -
Solomon… Denis
avverte che Pierre è dubbioso. -
Che c’è, Pierre? Qual è il problema con Solomon? -
Vedo che siete in ottimi rapporti con lui ed è un uomo che apprezzo, ma sono
rimasto stupito che oggi fosse con noi. -
Pierre, ci sono pochissime persone al mondo su cui posso davvero contare,
sempre. Tu e Manrique e alcuni dei miei
uomini. Ma se parliamo di coloro che non sono legati a me da vincoli di
parentela o di lavoro, ho una fiducia totale soltanto in due persone:
Guillaume di Hautlieu, che però vedo di rado, e
Solomon. -
Non nel conte Ferdinando? È un uomo leale. -
Sì, Pierre, certamente leale, ma irruente e talvolta incapace di dominarsi.
Agisce prima di pensare, si lascia guidare dall'impulso del momento. Non è
certo uomo da tradire: sarebbe disposto a morire per me senza esitare. So che
posso contare su di lui sempre quando si tratta di agire. Ma preferisco che
non sappia troppo, perché potrebbe rivelare un segreto o commettere un
errore. Puoi sempre rivolgerti a lui, se io fossi via. Pierre
annuisce. Denis
continua: ha colto che Pierre ha delle riserve su Solomon e vuole capire di
che cosa si tratta. Sospetta forse il legame che li unisce? -
Non mi hai detto quali sono i tuoi dubbi su Solomon. -
Padre… è un’ottima persona, ma è un ebreo. Mi stupisce che abbiate completa
fiducia in un ebreo. -
Pierre! Non dire sciocchezze. Non è certo la comunanza o la diversità di fede
che rende un uomo leale o infido, come una fede non rende un uomo grande o
meschino. Pensa al vescovo Bohémond. Pierre
annuisce. Ha sempre guardato a Solomon con una certa diffidenza, proprio
perché ebreo. Pierre si rende conto che negli anni trascorsi a Bellerivière ha acquisito tutta una serie di pregiudizi
che ora, di fronte alle esperienze di ogni giorno in Terrasanta, rivelano la
loro infondatezza. Ma non è facile liberarsene. -
Avete ragione, padre. In Francia, da vostro zio, c’è molta diffidenza nei
confronti degli ebrei. -
Sì, lo so. Noi cristiani non siamo capaci di accettare che altri possano
credere in modo diverso. O non credere. Ma questo non vale solo per i
cristiani. Vale anche per musulmani ed ebrei. Non tutti, naturalmente, ma
molti sono così. -
Sì, c’è molta intolleranza. -
Esatto. E per molti baroni del regno la mia tolleranza nei confronti di
musulmani ed ebrei è inaccettabile, quasi un tradimento. Mahmud
si è rimesso completamente. Denis ha avuto l’impressione che fosse un forte
guerriero e ora che è in grado di combattere, decide di metterlo alla prova,
facendogli affrontare Manrique. Mahmud
si rivela subito un avversario temibile. Manrique
alla fine ha la meglio, ma il curdo lo ha fatto sudare alquanto. Denis ha
assistito e dice: -
Bene, Mahmud, resterai qualche mese qui a dare lezioni a mio figlio e al
barone Jacques. Poi ti renderò la tua libertà. Ti va bene? Mahmud
si stupisce che il duca gli chieda se gli va bene: è uno schiavo e non ha
certo il diritto di dire la sua. Ma ha capito che Denis di Rougegarde non è un padrone come gli altri. -
Certamente, duca, ti ringrazio per la tua generosità. -
Credo che tu sia anche un buon lottatore. O mi sbaglio? -
Amo lottare. E me la cavo bene. -
Perfetto. Voglio che i due giovani imparino anche la lotta. Ti farò conoscere
l’altro uomo che insegna loro la lotta. Domani vi affronterete. L’incontro
previsto si svolge in modo del tutto inatteso. Solomon arriva che Mahmud è
già presente. Guarda Mahmud, allibito e gli dice: -
Mahmud!? Che ci fai qui? -
Solomon, fratello! Per
quanto abbiano avuto poco modo di frequentarsi, si considerano fratelli, in
quanto entrambi fratelli adottivi di Ishan. Si
abbracciano. Denis, Pierre e Jacques li guardano, stupefatti. Quando
si staccano, Mahmud risponde alla domanda, indicando Denis: -
Sono schiavo del duca. Solomon
aggrotta la fronte. -
Il duca non tiene schiavi. -
Lo so. Mi ha detto che mi lascerà libero, ma che per il momento mi tiene: mi
ha acquistato e mi guadagnerò la libertà facendo fare esercizio di uso delle
armi e di lotta ai due giovani. Denis
non è intervenuto e Pierre e Jacques, per quanto estremamente curiosi, hanno seguito
il suo esempio e non si sono mossi. Solomon si volta verso Denis e dice: -
Allora Mahmud è vostro schiavo. -
Sì, provvisoriamente. Ma come mai lo conosci? -
È mio fratello. Denis,
Pierre e Jacques lo guardano perplessi.
Solomon ride. -
Vi ho parlato di Boran, il capo curdo che fu
assassinato da Jorge da Toledo. Mi adottò perché avevo salvato uno dei suoi
figli da una leonessa. Loro mi considerano un fratello e anch’io li considero
miei fratelli. Certamente più simili a me di Amos, a cui voglio un gran bene,
ma con cui non riesco a intendermi. -
E Mahmud che c’entra? -
Mio fratello Ishan, il figlio maggiore di Boran, ha adottato Mahmud come fratello, perciò adesso
anche lui è mio fratello. L’ho visto per la prima volta quando sono andato da
loro per farmi accompagnare da Sinan. Fu Ishan a portarmi dal capo dei nizariti. Denis
sorride. -
Strana combinazione. Mahmud
ha capito che si parlava di lui, ma non ha potuto seguire il discorso. In
questo periodo trascorso a Rougegarde ha imparato
solo alcune parole ed espressioni della lingua dei franchi. Invece
Denis, Pierre e Jacques conoscono bene l’arabo, per cui Solomon torna a
rivolgersi a Mahmud e gli chiede: -
Come mai sei finito qui? Mahmud
racconta brevemente la sua vicenda. -
I nostri fratelli sanno che sei a Rougegarde? -
No, sanno che sono stato catturato, ma credono che io sia ancora prigioniero
del barone. -
Bisogna che li informi. Saranno in ansia per te. Mahmud
guarda il duca, incerto. Non si è chiesto se Denis di Rougegarde
gli avrebbe permesso di scrivere ai suoi fratelli. -
Duca, saresti disposto a far arrivare un messaggio ai miei fratelli? -
Certamente. Per me non c’è problema. Puoi scrivere oggi stesso, dopo la
lezione. Poi
Solomon si rivolge a Denis: -
So che dovevamo affrontarci, perché poteste valutare il nuovo maestro, ma non
è necessario: Mahmud è un lottatore molto forte. Ho avuto modo di vederlo
all’opera e credo che sarà un ottimo maestro. I miei fratelli sono tutti
bravi nella lotta, ma lui è il migliore. -
Perfetto. Allora vi lascio: darete voi le istruzioni per la lezione di lotta.
Dopo passate da me, Solomon, per favore. -
Certamente, duca. Solomon
spiega a Mahmud come si svolgono di solito le lezioni, poi i due maestri
affrontano i giovani allievi. Jacques
si trova a lottare contro Mahmud. Preferisce affrontare questo avversario
sconosciuto. Quando si trova a lottare con Solomon non riesce a concentrarsi
e il desiderio emerge prepotente. Mahmud
è davvero un lottatore formidabile. Jacques si ritrova bloccato in pochissimo
tempo. D’altronde il divario di forze e di esperienza è troppo grande. Mahmud
non ha mai dato lezioni di lotta, ma Solomon lo guida a spiegare ai due
giovani tecniche e posizioni. Provano
diverse volte, poi Solomon affronta Jacques e Mahmud Pierre. Jacques cerca di
concentrarsi, ma il desiderio è troppo forte. Fortunatamente Solomon quando
lo blocca a terra lo lascia subito, perché altrimenti Jacques verrebbe. Si è
messo un pezzo di stoffa nelle brache, per evitare che si vedesse la macchia
umida, nel caso venisse. Dopo
un’ora di lotta, sono tutti sudati, per quanto non faccia caldo. Pierre
propone: -
Solomon, mi piacerebbe vedervi affrontare Mahmud. Credo che vedervi lottare
sia un bellissimo spettacolo. Pierre
ha parlato nella lingua dei franchi. Solomon si volta verso Mahmud e gli
dice: -
Il figlio del duca avrebbe piacere che ci affrontassimo. Ti va bene? -
Certamente, fratello. L’incontro
di lotta è davvero spettacolare. I due avversari sono molto forti e rapidi
nei movimenti. Solo dopo una lunga lotta, in cui i loro corpi si sono coperti
di sudore, Mahmud riesce a mettere sotto Solomon e a bloccarlo. Mahmud è
steso su Solomon, che è schiacciato dal peso del fratello e non può
liberarsi, perché Mahmud gli ha piegato il braccio dietro la schiena,
rendendo ogni movimento impossibile. A
Jacques è venuto duro. Immagina Mahmud che cala i pantaloni di Solomon e lo
incula con un movimento brusco. Anche
Mahmud si rende conto di avere il cazzo duro. Sono mesi che non scopa e
sentire il corpo di Solomon sotto il suo ha destato il suo desiderio. Si
vergogna, perché l’ebreo è suo fratello e teme che possa accorgersene: le
brache che entrambi hanno indossato per la lezione di lotta sono corte e
leggere e probabilmente Solomon sente contro il proprio culo la pressione
esercitata dal cazzo duro di Mahmud. Solomon
non sembra averlo notato. Dice: -
Hai vinto, Mahmud. Devo arrendermi. Ma sapevo che mi avresti vinto. Sei più
forte. Mahmud
si stacca. Tiene le mani davanti, per nascondere il rigonfio nei pantaloni. -
Forse, ma non mi sarei stupito se fossi stato tu a vincere: sei un avversario
temibile, fratello. Solomon
si alza. Ride e osserva: -
Averti sulla schiena è come essere sotto un cumulo di massi, fratello. Poi
si rivolge a Jacques e Pierre e dice: -
Adesso direi che abbiamo tutti bisogno di un buon bagno. Pierre
annuisce: -
Certamente. Solomon
mette un braccio sulle spalle di Mahmud e si dirigono ai bagni. Solomon
e Pierre si spogliano in fretta, ben contenti di liberarsi dei vestiti che il
sudore gli ha appiccicato addosso. Mahmud si spoglia più lentamente, perché
l’erezione si riduca. Jacques si volta per non vedere il corpo di Solomon. Si
toglie gli abiti molto lentamente. Quando ha finito, gli altri tre si stanno
già lavando. Dopo
che si sono lavati, Jacques dice che preferisce andare e Pierre lo imita.
Mentre si rivestono, Pierre chiede: -
Mi sembri alquanto turbato, Jacques. Che cosa c’è? Jacques
ridacchia, un po’ nervoso. Sa che a Pierre può raccontare tutto, ma è in
imbarazzo. -
Non ce la faccio a vedere quei due magnifici maschi. Se stavo lì a guardarli…
no, non ce la facevo proprio. Pierre
ride. -
Capisco. Meglio andarsene, in questi casi. Mahmud
e Solomon sono rimasti nel bagno. Solomon si fa raccontare tutti i dettagli
della cattura e poi della prigionia. Osserva i segni delle frustate, ben
visibili sulla schiena del fratello. -
Olivier di San Giacomo d’Afrin è un figlio di
puttana, Mahmud. Mahmud
annuisce. -
Spero un giorno di trovarmelo davanti in battaglia. -
Te lo auguro. E lo auguro anche a lui. -
È stata una fortuna che il duca mi abbia visto e acquistato. Altrimenti a
quest’ora sarei un eunuco. O sarei morto. -
Sì. Il duca è generoso. Chiacchierano
un buon momento. Quando si alzano per rivestirsi, Solomon dice: -
Sapevo che eri un lottatore formidabile. Oggi me ne hai data un’altra prova.
Mi hai bloccato senza fatica. Mahmud
scuote la testa. -
Senza fatica? Scherzi, fratello? Credo di non aver mai faticato tanto a
bloccare qualcuno. Solomon
ignora l’osservazione e prosegue: -
Credo che il duca abbia fatto un buon affare. I due giovani impareranno molto
da te, più che da me. -
Non ne sono sicuro. So lottare, ma non ho mai insegnato la lotta. -
Andrà benissimo. E già solo vederti lottare è una buona lezione. -
Ci affronteremo ancora? -
Senz’altro. Ogni lezione prevede anche un incontro tra i maestri: per i
giovani è una bella occasione per imparare. Mahmud
annuisce, senza dire niente. Teme che ciò che è successo si ripeta. Mentre si
infilano i pantaloni, Solomon chiede: -
C’è qualche cosa che non va, fratello? Mahmud
guarda Solomon. Decide di essere sincero con lui. -
Credo che tu ti sia accorto, Solomon… quando ti ho bloccato… Solomon
annuisce. -
Sì, ho notato che tra i macigni che mi schiacciavano ce n’era uno che mi
premeva sul culo. Credo che sia normale. Probabilmente non scopi da un po’.
Ti preoccupa questo? -
Non vorrei mancare di rispetto a mio fratello. Solomon
scuote la testa. -
Nessuna mancanza di rispetto. Siamo fratelli, ma questo non significa che non
possa esserci desiderio tra di noi. Siamo due maschi e i nostri corpi hanno
le loro esigenze. Mahmud
guarda Solomon, immobile. È un bell’uomo, suo fratello l’ebreo, dal corpo forte
e armonioso. -
Solomon, io… -
Mi hai lealmente battuto nella lotta, Mahmud. Vuoi prenderti il premio del
vincitore? -
Non c’era nessun premio per il vincitore. -
Ci può essere. Sai che non di rado in un incontro di lotta si mette in palio
qualche cosa. Mahmud
è fortemente tentato. Il fratello gli piace molto e il desiderio è forte, ma
gli sembra di non avere il diritto di fare ciò che Solomon gli propone.
L’orafo coglie la sua esitazione e dice: -
Facciamo un secondo incontro, Mahmud. Poi
si sfila i pantaloni. -
Nudi, così siamo già pronti. Solomon
va alla porta che dà sul cortile e la blocca. Poi fa lo stesso con la porta
interna. Mahmud
si è calato i pantaloni. Il cazzo gli si sta irrigidendo. Si affrontano di
nuovo. Solomon si scaglia su Mahmud, che cerca di evitarlo, riuscendoci solo
in parte. Finiscono entrambi a terra, ma Solomon riesce a impedire al
fratello di bloccarlo e lo manda invece a gambe all’aria. Mahmud ha capito
che Solomon non si sta offrendo come una facile preda e ne è contento. Si
getta di nuovo su di lui e rotolano insieme. Solomon riesce a immobilizzarlo,
ma Mahmud sguscia via, sottraendosi alla stretta, poi si scaglia su di lui e
lo fa volare via. Sono di nuovo uno di fronte all’altro, chinati in avanti. Solomon
sorride e dice: -
Non sono una preda facile! -
Non ho mai pensato che lo fossi. Si
avvinghiano ancora, poi si staccano e si guardano. Lo stringersi dei corpi ha
attizzato il desiderio: i loro cazzi hanno drizzato il capo. La lotta
prosegue, si stringono e si separano, si avviluppano l’uno all’altro per poi
lanciarsi lontano. E
infine Mahmud si lancia su Solomon e quando rotolano a terra, riesce a
bloccarlo a pancia in giù. Con le ginocchia puntate a terra, gli tiene un
braccio dietro la schiena e con la mano gli preme la testa contro il suolo.
La presa è troppo salda perché Solomon possa liberarsi e non lo vorrebbe: ha
proposta di affrontarsi per venire incontro al desiderio di Mahmud, non
perché desiderasse possederlo. -
Hai vinto, Mahmud. Lealmente. Mahmud
annuisce e poi il desiderio è troppo forte. Lascia la presa, si sputa sulla
mano e sparge un po’ di saliva sull’apertura. Poi avanza il suo formidabile
uccello e con molta lentezza infilza il culo del fratello. Le sue mani
accarezzano le spalle del suo avversario, mentre la picca avanza,
inesorabile. Il
piacere che Mahmud prova è violento e rende la sua cavalcata più impetuosa di
quanto vorrebbe. Infine il piacere lo travolge e allora Mahmud afferra il
cazzo di Solomon e lo porta al piacere. È
stato bellissimo, ma ora Mahmud è confuso. -
Solomon, io… Mahmud
non sa come continuare. -
È stato bello Mahmud. Siamo fratelli e ti ho sentito più vicino. Grazie. Mahmud
annuisce. Anche lui si è sentito più vicino a Solomon, questo suo fratello
d’elezione che poco conosce. E ne è contento. -
Grazie a te. Si
puliscono e si rivestono. Solomon
raggiunge Denis. Gli dice subito: -
Mi sono fermato un po’ con Mahmud. -
L’ho pensato. Poi
Denis chiede ciò che gli preme sapere: -
Vuoi che lo lasci libero? -
Senz’altro, ma non è necessario che tu lo faccia subito. Dare qualche lezione
a Pierre e Jacques sarà per lui un buon modo per guadagnarsi la libertà e non
sentirsi troppo in debito nei tuoi confronti. Puoi lasciarlo libero più
avanti. L’importante è che Ishan e i fratelli siano
avvisati. -
Ottimo. Penso che potrei servirmene anche per altro. Non ho ancora chiare le
idee, ma se le cose vanno come penso, potrebbe essermi utile. Devo parlarti
di ciò che si prepara, ma non è ancora il momento. Comunque per Mahmud,
rimaniamo d’accordo che scrivete tutti e due ai vostri fratelli. Vedremo come
fare arrivare le lettere a destinazione. Non credo che sia un problema. -
No, di certo. Le affidiamo a qualche mercante in viaggio. Durante
la giornata sia Mahmud, sia Solomon scrivono una lettera. Le missive vengono
affidate a mercanti in viaggio verso il nord della Siria. La
due lettere raggiungono Ishan e i suoi fratelli.
Sono tutti felici di sapere che Mahmud è nelle mani di Denis di Rougegarde, che ha fama di essere un signore giusto e
generoso, e non più schiavo di Olivier di Afrin,
che i musulmani disprezzano. Lo scoprire i dettagli su come è avvenuto il
passaggio di proprietà tra i due signori conferma l’opinione che già avevano
di entrambi, aumentando il loro disprezzo per Olivier e la loro ammirazione
per Denis. Solomon scrive che il duca intende lasciare libero Mahmud, anche
se non lo farà subito: della parola del duca e di quella di Solomon nessuno
dubita. Perciò c’è molta allegria in casa e anche la moglie di Mahmud è
sollevata a sapere che il marito è prigioniero di un uomo giusto, che intende
lasciarlo libero presto. Riccardo
coglie l’allegria, ma non ne capisce i motivi: la sua conoscenza del curdo è
ancora limitata. Ishan è sul punto di dirgli che
Mahmud potrà ritornare a casa, ma poi decide di non dire nulla. Ha promesso a
Riccardo di liberarlo, se Mahmud fosse stato affrancato. Preferisce evitare
di affrontare l’argomento, perché gli pesa l’idea che Riccardo se ne vada. Nella
casa però non si parla d’altro, per cui infine Riccardo scopre che Mahmud è
prigioniero del duca e prima o poi verrà liberato. In lui si riaccende la
speranza di recuperare la libertà. Preferisce non ricordare la promessa a Ishan, ma si limita a dirgli: -
Mahmud ha potuto scrivervi. Posso mandare una lettera a mio zio a Rougegarde? Starà in pena per me. Ishan non può certo dire di no. -
Va bene, Riccardo. Scrivi la lettera. Farò in modo che arrivi da tuo zio. C’è
sempre un gran viavai di mercanti per al-Hamra. Riccardo
ottiene l’occorrente per scrivere e può infine comunicare allo zio e ai
cugini la sua situazione. Dice di essere stato catturato da un gruppo di
curdi e di essere loro schiavo. Spiega che lo trattano bene e aggiunge che
spera di poter ottenere la libertà, prima o poi. Come
le lettere di Mahmud e Solomon, quella di Riccardo placa l’ansia dei
familiari: Riccardo è ancora vivo e può comunicare con loro. Giovanni spera
di ottenere la sua liberazione. Anche
Solomon viene a saperlo: nella casa di Giovanni non si parla d’altro. Dopo
una lezione di lotta, lascia che Jacques e Pierre se ne vadano e parla con
Mahmud, chiedendogli come mai Riccardo è diventato schiavo dei suoi fratelli.
Si accorge che Mahmud è un po’ in imbarazzo nel raccontare. -
Ci eravamo incontrati a Damasco, nei bagni. Ci eravamo già visti. Lui… lui
era attratto da noi e ce ne siamo accorti. Allora… -
Allora avete scopato. Mahmud, conosco Riccardo. So che gli piacciono gli
uomini e che i miei fratelli sono esattamente il tipo d’uomo che desta il suo
desiderio. Conoscendo l’avversione di Ishan nei
confronti dei cristiani, temo che siate stati alquanto bruschi, ma penso che
anche questo non sia dispiaciuto a Riccardo. -
Sì, è vero, dopo il primo giorno non l’abbiamo visto per un po’, ma poi è
sempre tornato. A Ishan piaceva molto e ha deciso
di prenderselo come schiavo. Da quando l’abbiamo catturato è il suo schiavo
di piacere. -
Credo che a Riccardo questo non dispiaccia, ma di certo vorrebbe essere
libero. -
Se lo chiedi a Ishan, senz’altro lo libererà. Solomon
sa che quanto dice Mahmud è vero, ma non vuole obbligare il fratello a fare
ciò che questi non vorrebbe. -
Non voglio forzarlo. Ishan deciderà liberamente che
cosa vuole fare. -
Lo schiavo gli piace davvero molto. Ha un bel corpo. -
Come tutti i miei fratelli. -
E come te. Si
guardano un attimo, poi Solomon chiede, un po’ ironico: -
Un altro incontro di lotta? -
Se ti va bene… -
So già quale sarà il risultato, ma va bene. Solomon
scrive a Ishan una lettera, in cui gli dice che
Riccardo è un suo amico e lo prega di trattarlo bene. La
lettera turba molto Ishan. Ne comunica il contenuto
ai fratelli: -
Solomon mi ha scritto. Mi dice che Riccardo è un suo caro amico. Yilmaz
ridacchia. Non perde mai occasione di punzecchiare, per cui dice: -
Avrà anche lui gustato il suo culo? Sarebbe giusto, sarebbe l’unico di noi
fratelli a non averlo fatto. Sarajil vede che Ishan
è infastidito dalla battuta del fratello. Si dice che deve parlare a Yilmaz e
invitarlo a non provocare Ishan su questo tema:
Yilmaz non è maligno, parla perché non ha capito che Ishan
è davvero affezionato a Riccardo. Osserva: -
Se Riccardo è amico di Solomon dovremo trattarlo bene. Sarebbe una vergogna
se non ci prendessimo cura di un amico di nostro fratello. Yilmaz
osserva, ora serio: -
Se è amico di nostro fratello, forse dovresti lasciarlo libero. Ishan non replica. Si morde il labbro. L’ha
pensato anche lui, ma gli spiace rinunciare al suo schiavo cristiano. Sarajil capisce e interviene: -
Ti ha forse chiesto di liberarlo? - No,
no. Scrive solo che spera che stia bene. -
Allora non c’è problema. Nessuno di noi gli manca di rispetto. Ciò
che è successo a Bagdad pare del tutto dimenticato, anche se i tre fratelli
lo hanno ben presente. Sarajil aggiunge: -
Quando Solomon verrà a trovarci, vedremo il da farsi. Negli
ultimi anni Solomon è venuto di rado, per cui il problema non appare urgente. Ishan annuisce e si dichiara d’accordo: è
contento di aver un po’ di tempo, di non dover prendere ora una decisione.
Yilmaz non ha obiezioni. Tutto
rimane come prima. Riccardo dorme sempre sulla stuoia, ma
ben coperto. Un
giorno però si sveglia indolenzito. Svolge i suoi compiti, ma con lentezza,
tanto che Ishan lo rimprovera. Man mano che passano
le ore, fatica sempre di più a stare in piedi. Nel primo pomeriggio, mentre
sta portando a Ishan da bere, si rende conto che le
gambe non lo reggono più. Barcolla. Vorrebbe riuscire a posare la coppa senza
versarne il contenuto, ma il mondo oscilla paurosamente e Riccardo crolla a
terra. La coppa si rovescia e una parte della bevanda si versa sulla veste di
Ishan. Riccardo vorrebbe scusarsi, me non riesce
nemmeno a parlare. Pensa che Ishan ora lo batterà. Ma Ishan non sembra irritato, piuttosto preoccupato, mentre
si china su di lui, chiamandolo per nome. Riccardo non è più in grado di
alzarsi. Devono sollevarlo di peso, Ishan, Sarajil e due servitori. Riccardo perde i sensi. Quando
si risveglia, è steso nel letto di Ishan, che si
prende cura di lui. Riccardo è stupito della sua sollecitudine. Poco dopo
arriva il medico, che Ishan ha mandato a chiamare. La
febbre continua a salire, Riccardo ha i brividi, ma gli pare che il suo corpo
bruci. Si chiede se morirà qui, tra queste montagne, schiavo di uomini di cui
conosce poco la lingua, senza neppure potersi confessare. I momenti di
lucidità diventano sempre più rari, gli sembra di avere un incendio nei
polmoni, fa fatica a respirare. Dopo tre giorni Riccardo perde completamente
coscienza. A tratti delira. Passano così due giorni, poi la febbre cala e Riccardo
sprofonda in un torpore da cui non riesce a emergere neppure quando gli danno
qualche cosa da mangiare o da bere. Quando
riapre gli occhi, finalmente lucido, Ishan è al suo
fianco e gli sorride. Dopo
qualche giorno Riccardo incomincia a migliorare. Presto sta bene e riprende
ad alzarsi. Ishan passa parecchio tempo con lui, lo
invita a non affaticarsi, lo fa accudire da un servitore. Riccardo
continua a dormire nel letto di Ishan. Si aspetta
che Ishan gli dica di tornare a coricarsi sulla
stuoia, ma un giorno il tappetino scompare. E
adesso, dopo averlo posseduto Ishan spesso lo
abbraccia. È bello dormire tra le braccia forti di Ishan,
una sensazione splendida. Sono catene che valgono la libertà. Ishan passa molto tempo con lui e gli
insegna il curdo. Riccardo impara a seguire le conversazioni che si svolgono
nella casa di Ishan. Chiacchiera con gli altri
servitori, con cui continua a mangiare: è sempre uno schiavo, ma gode di un
trattamento di favore e può uscire dalla casa anche da solo. Nessuno sembra
sorvegliarlo, ma Riccardo sa benissimo che fuggire sarebbe impossibile:
verrebbe subito raggiunto e riportato indietro. Solomon
e Mahmud si fermano spesso a chiacchierare insieme. Hanno preso l’abitudine
di fare un incontro di lotta più o meno una volta la settimana. Mahmud ha
regolarmente la meglio, ma Solomon gli dà sempre più filo da torcere: l’ebreo
ormai conosce bene il suo avversario e sa come affrontarlo. Ogni
volta il vincitore si prende il premio. Mahmud ha superato l’imbarazzo
iniziale e non ha più remore a scopare con Solomon. Ora dopo il rapporto
rimangono spesso abbracciati. Un
giorno però succede ciò che Mahmud stesso si aspettava: Solomon riesce a
bloccarlo e non gli permette di liberarsi. Mahmud ha un attimo di
smarrimento, perché nessuno lo ha mai posseduto, ma non intende certo
sottrarsi: è un uomo leale. È
però Solomon stesso a dirgli: -
Mahmud, credo che tu non sia mai stato preso.
-
Questo è vero, fratello. - Se
non te la senti, possiamo lasciar perdere. Mahmud
corruga la fronte. - Perché
mi offendi, fratello? Da te non me lo sarei mai aspettato. -
Non è mia intenzione offenderti, ma non voglio forzarti. -
Solomon, non ho mai provato. Adesso proverò e sono contento che sia mio
fratello a farlo. Sottrarmi… sarebbe infame. E
senza dire altro Mahmud si mette a quattro zampe. Solomon
accarezza il culo forte che gli si offre. Non vuole fare male a Mahmud, in
nessun modo. Sarebbe disposto a rinunciare, ma si rende conto che per Mahmud
sarebbe uno schiaffo. E allora tanto vale assaporare il momento. Le sue mani
forti risalgono lungo le cosce scure di Mahmud, poi lungo la schiena, fino ad
arrivare al collo. La destra indugia sulla nuca e poi sul capo. Poi le sue
mani ridiscendono lungo il corpo, caldo e madido di sudore per la lotta. Solomon
si inginocchia dietro il fratello e gli morde leggermente il culo, più volte,
lasciando piccoli segni rossi che rapidamente scompaiono. La prima volta
Mahmud sussulta, poi non ha più reazioni, fino a che a un certo punto gli
sfugge un gemito Rimanendo
in ginocchio, Solomon passa due dita tra le gambe di Mahmud, stuzzicandone i
coglioni, poi le fa scorrere lungo il solco tra le natiche, due volte. Le
inumidisce con la saliva e stuzzica delicatamente l’apertura. Sente il corpo
di Mahmud tendersi e poi, man mano che ripete il movimento, rilassarsi. Si
alza e guarda il culo, forte, coperto da una peluria scura. Il desiderio
preme. Inumidisce bene l’apertura, poi, facendo entrare appena la punta di un
dito, inumidisce anche l’interno. Anche questa volta Mahmud si tende, ma poi
la tensione svanisce e nuovamente geme, più forte. Il fratello lo sta
guidando in un mondo che non conosce e il suo corpo reagisce disorientato a
ogni nuova mossa, ma si abitua a ciò che inizialmente lo sorprende e quasi lo
spaventa, fino a provare un piacere crescente. Solomon
avvicina l’arma all’apertura, mette le mani sulle natiche di Mahmud, le
allarga e sorride. Con delicatezza, molta delicatezza, spinge il cazzo fino a
che la cappella non forza lo sfintere. Poi si ferma. Le
sue mani sul culo di Mahmud avvertono la nuova tensione del corpo, che si sta
abituando alla presenza estranea. Gli dà il tempo di rilassarsi e poi avanza
leggermente. Gli accarezza nuovamente il culo, più volte, contenendo
l’impulso a spingere subito fino in fondo. Le sue carezze ora sono più
ruvide, perché il desiderio preme. Avanza ancora, lentamente. Mahmud
emette un gemito quando l’arma di Solomon entra completamente. Solomon si
ritrae leggermente, poi avanza di nuovo. Il corpo di Mahmud si tende ancora e
Solomon lo accarezza, lentamente, pizzicandogli ogni tanto il culo. Poi la
sua mano passa davanti, scende sul ventre, dove trova il cazzo di Mahmud, che
ha già alzato la testa. Incomincia
a spingere con decisione, avanti e indietro, imprimendo al culo un vigoroso
movimento. Mahmud geme più forte, ma nella mano Solomon sente che
l’eccitazione del fratello va crescendo. È
bello avanzare e arretrare in questo culo caldo, sodo, sentire il proprio
cazzo scorrere contro le pareti di carne che si dilatano al suo avanzare, per
poi ritrarsi. Sente
nei coglioni la tensione salire e l’ondata di piacere crescere. Spinge, con
forza, con un ritmo sempre più rapido. La tensione si scioglie in una
corrente che furiosa lo travolge, mentre il seme si sparge nelle viscere di
Mahmud. Si
abbandona riverso sul corpo del fratello, ma la sua mano destra incomincia a
scorrere rapida intorno alla calda preda che stringe, fino a che sente il
cazzo di Mahmud vibrare e un gemito violento uscire dalla bocca, mentre il
seme si sparge. Accarezza
il capo di Mahmud e chiede: -
Come va, fratello? Tutto bene? Mahmud
annuisce: -
Sì, fratello. Grazie. Solomon
pensa che è strano che Mahmud lo ringrazi, anche se intuisce i motivi: grazie
per essersi battuto sul serio, fino al punto da vincerlo; grazie per non aver
rifiutato di prendersi il premio della vittoria; grazie per averlo fatto
godere. Forse grazie anche per avergli fatto scoprire un piacere nuovo. -
Grazie a te, fratello. Solomon
esce e si stende accanto a Mahmud. Questi si sdraia anche lui sulla schiena.
Gli prende una mano e la stringe. Vorrebbe esprimere ciò che ha dentro, ma
non trova le parole. Va bene così. Solomon è in grado di capire. Solomon
si lava e poi passa da Denis, che gli ha detto di volergli parlare. - È ora
che ti parli di ciò che si prepara, Solomon. E di quello che intendo fare. Solomon
ha colto che da tempo Denis è preoccupato per qualche cosa, ma non ha chiesto
niente: non vuole che l’amico si senta forzato a raccontare. -
Dimmi, Denis. - Il
vescovo sta facendo preparare una mia lettera, diretta all’emiro di Jabal al-Jadid. Non ne conosco esattamente il contenuto, ma
essenzialmente io chiedo all’emiro di fare da intermediario con il Saladino.
Gli offro Rougegarde e Ferdinando offre l’Arram: gli cederemmo i nostri domini, giurandogli
fedeltà, a condizione che ce li lasci. Suppongo che ci dichiariamo disposti a
convertirci. Solomon
annuisce. Non chiede come fa Denis a saperlo: di certo il duca ha un suo uomo
nella cancelleria del vescovo. Si limita a dire: -
Sai quello che penso del vescovo e non occorre che lo ripeta. Questo si
chiama alto tradimento: per la sua ambizione cerca di mandare a morte due
signori leali, uno dei quali è il principale baluardo del regno, il signore
più temuto dai saraceni. Meriterebbe la fine di Tancrède
d’Espinel. -
Conto di farlo finire in quel modo. -
Ottimo. Non amo gli spettacoli molto sanguinosi, ma in questo caso assisterei
con grande piacere. Come intendi muoverti? -
Quella lettera deve finire nelle mani del re. Il problema è come intendono
farlo. Il vescovo potrebbe consegnarla direttamente a Guido da Lusignano, ma
non mi sembra probabile: credo che preferisca non apparire. -
Giustamente. In questo caso è probabile che sia Olivier a farlo, dicendo che
ha fermato un tuo messaggero. -
Esatto. La domanda è: ci sarà davvero un messaggero? - In
qualche modo deve esserci. Per dare credibilità alla faccenda. Un uomo che
verrà fermato da alcuni soldati. -
Quando il re lo farà interrogare, scoprirà che non sono stato io a mandarlo. - In
effetti, credo che il messaggero sarà ucciso al momento in cui lo fermeranno.
Una volta morto, sarà difficile dimostrare che non era un tuo uomo. Denis
annuisce. Solomon prosegue: -
Che cosa conti di fare? -
Chiudere la partita con il vescovo, usando le sue stesse armi. -
Ottimo. Denis
espone il suo piano. Conclude: -
Adesso bisogna capire chi è il messaggero. -
Se deve morire, sarà un uomo di cui il vescovo vuole sbarazzarsi. O comunque
qualcuno che non gli serve più a molto. -
Hai un nome in testa, vero? -
Sì. Dev’essere qualcuno che non risulta alle dipendenze del vescovo, ma che è
abbastanza affidabile da potergli affidare questo compito. -
E allora? -
Jules Randonnay potrebbe essere un buon candidato.
Ormai sono in molti a sapere che lavora per il vescovo, ma ufficialmente non
è alle sue dipendenze. Vedo di sondare il terreno. Denis
non chiede a Solomon come intende fare, come Solomon non gli ha chiesto in
che modo ha saputo del piano. Bohémond è di nuovo a San Giacomo d’Afrin. Ha preparato tutto l’occorrente perché Denis di Rougegarde venga accusato di alto tradimento. Parla
a Olivier: -
È bene che siate voi a trovare quelle carte e a consegnarle al re. Il sovrano
sa che i rapporti tra me e il duca non sono mai stati facili e non vorrei che
qualcuno insinuasse… c’è chi mi odia, a corte, lo sapete bene. Uomini
invidiosi, che vorrebbero perdermi. Olivier
annuisce. I suoi rapporti con il duca sono in apparenza cordiali, per quanto
si detestino, per cui il re non dovrebbe avere sospetti. Osserva: -
Dobbiamo fare molta attenzione. Non possiamo permetterci errori. Il re vorrà
indagare. Si tratta del duca, non di un signorotto qualunque. -
Certo. -
Bisognerebbe che ci fosse effettivamente un messaggero. Un uomo di Rougegarde, che noi potremmo fermare, prendendogli le
carte. -
Io non posso certo mandare un uomo del duca o indurre il duca a mandarne uno. -
No, questo è chiaro. Ma noi potremmo ucciderlo, dicendo che ha cercato di
sfuggire all’arresto, per cui non potrebbe dire che non è stato il duca a
mandarlo. Bohémond riflette un momento -
Quindi… voi dite… provvedere davvero a mandare una lettera. Voi potreste dire
che siete stato avvisato e avete deciso di fermare il messaggero e farvi
consegnare le carte. Ma l’uomo ha reagito, cercando di uccidere le guardie
che volevano arrestarlo ed è rimasto ucciso -
Potrebbe essere un’idea, no? -
Bisogna capire chi mandare. Non può essere un mio uomo. -
Ma dev’essere qualcuno di cui vi fidate. Bohémond appare alquanto perplesso. Olivier
riprende. -
Tra gli uomini al vostro servizio ce ne sarà qualcuno di cui vi fidate, ma
che non è poi così utile. Lo mandate a San Giacomo con le carte, dicendogli
che sarà catturato e imprigionato e che la notte qualcuno lo farà scappare. Il
vescovo non nasconde la sua perplessità. -
Scappare? Il barone di San Giacomo cattura un uomo con carte compromettenti e
se lo lascia scappare? -
Non scapperà, perché non verrà arrestato. Verrà ucciso quando lo cattureremo,
ma lui deve credere che potrà fuggire, altrimenti… dubito che collabori. -
Questo si potrebbe fare. -
Avete un uomo che potete sacrificare? Bohémond riflette un momento. Il pensiero va a
Jules Randonnay: l’ha usato per anni come spia, ma
ormai è conosciuto. Non è più molto utile. -
Sì, credo di avere l’uomo che fa al caso nostro. -
Perfetto. Lo fermeremo fuori città e lo uccideremo. Manderò solo due uomini
in cui ho piena fiducia, che diranno che il messaggero ha cercato di
scappare. Bohémond riflette un momento, poi dice: - Sarebbe
meglio fare in un altro modo. Farlo arrestare da un drappello, gente che
possa testimoniare. Gli suggerirò di dire che viaggia per conto del duca. La
notte in carcere… si ucciderà. -
Mi sembra un’ottima idea. Tutti i soldati avranno sentito che ha affermato di
essere un uomo del duca. -
Perfetto. Il duca e il conte sono perduti: il re avrà la prova del loro
tradimento. Il
vescovo non ha fatto riferimento a Pierre d’Aguilard
e soprattutto a Jacques. Olivier vuole sbarazzarsi di questo nipote, che in realtà
è suo figlio. -
E il barone Jacques? Bohémond sorride. -
Di lui e del giovane Pierre intendo occuparmi in altro modo. A Rougegarde non ci sono mai stati roghi di peccatori.
Molti sono convinti di poter vivere nel peccato impunemente. Ci sarà un processo
e il rogo ricorderà a tutti la verità: nessuno è tanto in alto da sfuggire
alla giustizia divina. Olivier
vorrebbe saperne di più: per lui l’eliminazione di Jacques è un obiettivo
prioritario. -
Che cosa intendete? -
Farò arrestare un uomo e attraverso di lui colpirò il giovane barone e il
figlio del duca: saliranno sul rogo, ve lo garantisco. E con loro numerosi
altri. A Rougegarde in assenza del vescovo, i suoi uomini
rimangono per gran parte del tempo rintanati nel palazzo: in città c’è una
grande ostilità nei loro confronti e non è raro che siano insultati per
strada se vengono riconosciuti. È già capitato che venissero presi a sassate. Non
possono accettare questa umiliazione, ma sanno che se reagissero
rischierebbero di essere arrestati, senza che il vescovo, lontano, possa
intervenire a chiedere la loro liberazione. Jules
Randonnay non risulta essere al servizio del
vescovo, ma ormai diversi sanno che fa da spia. Un giorno esce dalla sua
abitazione per recarsi nella locanda della Luna piena: ci va spesso, perché è
uno dei posti che il vescovo vuole tenere sotto controllo. Arrivato vicino
alla locanda, si accorge che un gruppetto di uomini lo guarda in modo
minaccioso. Si allontana fingendo indifferenza, ma voltandosi scopre che lo
stanno seguendo. Ha paura, vorrebbe ritornare alla propria abitazione, ma il
gruppetto che lo segue gli blocca la via del ritorno. Svolta in una via che
costeggia la casa del mercante. Sente
un grido alle sue spalle. -
Bastardo! La
prima pietra colpisce Jules alla coscia destra. La seconda gli sfiora la
testa. Jules ha paura. Fa per mettersi a correre, ma dal fondo della via vede
altri uomini che vengono nella sua direzione, fissandolo ostili. È un
agguato. Si blocca, paralizzato dal terrore. Qualcuno del gruppo grida: -
Ammazziamo questo bastardo. Un’altra
pietra lo manca di poco. -
No! No! Jules
non vede vie d’uscita: davanti e dietro uomini minacciosi, una pietra lo
prende al petto. Jules barcolla. Improvvisamente
una porta si apre. Un uomo appare: è Solomon, l’orafo del duca. È a torso
nudo: evidentemente stava lavorando. -
Presto, venite dentro. Jules
non esita: si precipita verso quella che gli appare l’unica salvezza. Appena
la porta viene richiusa, si sentono dei colpi: pietre scagliate contro il
legno, poi qualcuno che bussa rabbioso, voci concitate che chiedono di
aprire. Jules
trema. -
Non temete, la porta è solida. La bottega di un orafo è ben protetta. Ma
togliamoci di qui. Venite al piano superiore: quelli si stuferanno. Solomon
conduce Jules nel suo appartamento. Jules
trema. Non si aspettava l’attacco e la violenza. È la prima volta che gli
capita una cosa del genere. Non ha mai combattuto, non si è mai trovato a
rischiare la vita e questa aggressione del tutto inattesa lo ha sconvolto.
Ora che è passato il pericolo, gli sembra di non riuscire a stare in piedi. -
Sedetevi. Vi hanno colpito? Jules
annuisce, mentre si abbandona su una sedia. -
Dove? -
Qui. E qui. Jules
si mette una mano sul petto e sulla coscia. -
Spogliatevi, che do un’occhiata alle ferite, ho una certa esperienza. Se sono
gravi cerco il medico. Ce n’è uno che vive nella casa. Jules
si toglie la tunica. Sul petto ha una vera foresta scura. Dove ha preso il
colpo c’è solo un’escoriazione. Solomon si china a esaminarla. -
Niente di grave, direi. Vi verrà un livido, probabilmente, ma non credo che
la pietra abbia rotto nulla. E alla gamba? Jules
esita. L’idea di calarsi i pantaloni davanti a questo sconosciuto lo turba.
Guarda Solomon. È un bell’uomo, forte. -
Su, calatevi i pantaloni, così vediamo. Jules
obbedisce. Anche le gambe sono piuttosto pelose. Sulla coscia c’è un po’ di
sangue. La vista della piccola ferita e del sangue lo fa impallidire. Solomon
prende una ciotola, la riempie d’acqua e lava con cura la ferita. Jules
guarda quest’uomo chino a terra, che lo pulisce. Pensieri torbidi affiorano
nella sua mente. È conscio del proprio corpo sgraziato e della bellezza di
questo maschio, di cui può sentire il leggero odore di sudore. Un profumo
gradevole, che lo confonde e lo turba. -
Siete molto pallido. Vi siete spaventato molto. Forse è meglio che vi
stendiate. -
Non voglio disturbare… -
Non disturbate. Tanto per il momento non potete andarvene. È bene aspettare
che si siano dispersi. Poi magari vi farò uscire dalla parte della locanda, è
più sicuro. Venite, stendetevi un momento sul letto. Solomon
fa strada e Jules lo segue. È un po’ in imbarazzo a stare quasi nudo in casa
di uno sconosciuto, ma Solomon non sembra porsi nessun problema. Jules
si stende e sente una grande stanchezza invaderlo. -
Siete ancora molto pallido. Jules
annuisce. Vorrebbe rispondere, ma non trova le parole. -
Riposate, ora. Jules
chiude gli occhi. Un torpore lo invade. Non è vigile, ma neppure
addormentato. Il mondo sembra non avere una consistenza definita, se
socchiude le palpebre le immagini fluttuano: la stanza sembra dissolversi
nella penombra; il corpo possente di Solomon, seduto accanto al letto, pare
divenire più grande e più vicino. Lentamente
Jules riprende a respirare normalmente, il senso di debolezza lo abbandona.
Apre gli occhi. Le immagini sono ferme. Nella stanza si sta bene. È bello
vedere Solomon vicino, che sorride. -
Grazie, mi avete salvato la vita. -
Salvato la vita, non so. Diciamo che avreste passato un brutto momento. -
Molto brutto. Jules
guarda il corpo di Solomon, le spalle larghe, il torace villoso. Si rende
conto troppo tardi del proprio desiderio, che il suo corpo rivela. Solomon
sorride, un sorriso un po’ ironico. -
Vedo che state meglio e avete ripreso le forze. Jules
annuisce. Non sa che cosa dire. Dovrebbe alzarsi, rivestirsi e andarsene, ma
rimane a fissare Solomon. -
Tutto bene? Le ferite non fanno più male? Solomon
gli passa una mano sul petto, senza sfiorare la ferita. È una carezza
leggera. Jules mette una mano su quella di Solomon, poi si vergogna e si
blocca. Lascia la mano, che continua a muoversi sul suo corpo, incendiandolo. Poi
Solomon la ritrae. -
Non voglio turbarvi. Jules
lo guarda, poi gli prende la mano e la guida al proprio corpo. Non osa parlare,
gridare il suo desiderio. Lascia che sia il suo corpo a farlo. Solomon
finisce di spogliarlo, poi si toglie i pantaloni e rimane nudo davanti a lui.
Jules pensa che quest’uomo è bellissimo. Gli guarda il cazzo. È la prima
volta che può osservare da vicino un cazzo. Non è più a riposo. Jules
lo vorrebbe gustare, lo vorrebbe dentro di sé, ma non sa come chiedere, non
sa che cosa dire. Prova vergogna e paura. Le
mani di Solomon lo accarezzano, giungono al cazzo e le dita lo percorrono,
prima molto delicatamente, poi in modo più energico. Jules geme. Il piacere
esplode improvviso. Il seme si sparge sul ventre, sul petto. Qualche goccia
arriva fino alla barba. Jules ha chiuso gli occhi, sopraffatto dal piacere.
Ora però si vergogna. Dice: -
Scusate. Solomon
sorride. -
Che cosa dovrei scusare? Eravate teso dopo questo brutto episodio e ho
cercato di calmarvi. Le mie carezze hanno avuto un effetto imprevisto, ma
nessuno di noi due sarà tanto ingenuo da raccontarlo. Solomon
gli porge uno straccio con cui Jules si asciuga. Il pensiero va al vescovo.
Si mette a sedere di colpo. Ora è agitato. -
No, no, certo! Non è il caso di raccontare nulla. Poi
dice ancora: -
Forse è meglio che vada. -
No, è troppo presto. Non è detto che non girino ancora da queste parti. E poi
siete ancora scosso. Rimanete qui. State disteso, scambiamo due chiacchiere. Mentre
Jacques si stende nuovamente, Solomon aggiunge: -
Vi ho visto più volte. Dicono che lavoriate per il vescovo, forse per questo
ce l’avevano con voi. -
Io… no, sì… qualche volta mi affida un incarico, piccole cose con cui mi
guadagno da vivere. -
Purtroppo in questo momento il vescovo non è molto popolare qui in città. -
No… è vero, l’ho sentito. Ma io non c’entro. - Certo.
Ma sapete com’è la gente. Se la prende con i pesci piccoli. È sempre così. Chiacchierano
un momento. Solomon non si è rivestito e Jules lo guarda. Si tira un po’ su,
appoggiandosi su un gomito, in modo da vederlo meglio. Solomon
gli parla di sé e del suo lavoro; Jules racconta della sua infanzia di
trovatello in convento. Nulla di molto personale. Infine
Jules si rende conto che è ora di andare. Si alza e Solomon lo imita. Ora
sono a un passo l’uno dall’altro. Il desiderio si riaccende in Jules. Ripensa
alla mano di Solomon. Guarda il cazzo dell’uomo davanti a lui, un cazzo
circonciso, grosso. Guarda il viso, un bel viso. Il desiderio di stringere
questo corpo è violento. Jules non ha mai stretto un altro corpo. Fa un mezzo
passo. Ora i loro corpi si sfiorano. -
Siete ancora molto turbato, Jules. Solomon
lo abbraccia e lo attira a sé. Per la prima volta Jules è tra le braccia di
un maschio, per la prima volta il suo corpo aderisce a quello di un altro
uomo, per la prima volta ne sente il calore, la forza. Chiude gli occhi.
Vorrebbe che questo momento durasse, non vuole staccarsi. Appoggia la testa
sul petto di Solomon. Questo è il paradiso. Solomon
gli accarezza la testa. Jules pensa a Emich e
Lucas. Vuole… non osa formulare il pensiero. Ma la sua bocca dice parole che
non ha pensato: -
Prendetemi. Solomon
lo guida a stendersi sul letto. -
Come… come devo mettermi? -
Non avete mai avuto un rapporto con un uomo, vero, Jules? Jules
scuote la testa. -
Siete sicuro di desiderarlo? Un
cenno d’assenso. Jules non riesce a parlare. -
Stendetevi sulla schiena. Jules
esegue. Solomon gli allarga le gambe e si inginocchia nello spazio così
creato. Gli prende un piede e lo poggia su una spalla, poi fa lo stesso con
l’altro piede. Raccoglie un po’ di saliva e la sparge prima sulla cappella,
poi sull’apertura. Jules lo guarda, spaventato. -
Se non ve la sentite, mi fermo qui. Jules
scuote la testa. Ha paura, ma non vuole fermarsi. Vuole scoprire che cosa
significa scopare, essere posseduti. -
No, va bene così. -
In qualunque momento, se volete fermarvi, ditelo. La
frase tranquillizza Jules. Ha fiducia in quest’uomo, sente che non gli farà
male. Solomon
si accarezza il cazzo, fino a che è completamente rigido. Lo avvicina
all’apertura e lentamente lo spinge in avanti. Al sentire la pressione Jules
si irrigidisce. -
Non tendetevi, Jules, o vi farà male. Jules
annuisce, ma rimane teso. Solo quando Solomon gli accarezza il petto,
dolcemente, si rilassa. Solomon lascia passare un po’ di tempo, prima di
avanzare ancora. Jules sente dentro di sé, per la prima volta, il cazzo di un
altro maschio. È una strana sensazione, in cui si mescolano piacere e dolore.
Solomon si muove con molta lentezza e il piacere lentamente cresce, supera il
dolore, lo ricaccia in un angolo. Una mano di Solomon gioca con il cazzo di
Jules, che si tende. Jules
chiude gli occhi, si abbandona completamente alle sensazioni che gli
trasmettono il cazzo che si muove dentro di lui e la mano di Solomon. La
tensione cresce e infine Jules sente il piacere travolgerlo. Viene. Solomon
si ritrae. Posa le gambe di Jules sul letto. Gli passa una mano sul viso e
sul torace in una carezza leggera. A
Jules sembra di non essere mai stato così bene nella sua vita, anche se il
culo gli fa un po’ male. Ora sa che cosa vuole dire scopare. Sa che cosa
significa sentire dentro di sé il cazzo di un maschio vigoroso. Rimane
disteso, assaporando il benessere di questo momento. Quasi senza
accorgersene, scivola nel sonno. Solomon
si stacca, si pulisce, si riveste e poi torna a sedersi. Tutto ha funzionato
come immaginato: il gruppo che di fatto ha costretto Jules a prendere la
strada della bottega, il finto attacco, il salvataggio. Quello che è successo
dopo, Solomon non l’aveva previsto: il suo obiettivo era quello di fare
conoscenza e conquistare la fiducia di Jules, apparendo come il suo
salvatore. Non aveva calcolato di avere un rapporto con Jules, perché non
intendeva correre rischi. Ma non ne aveva escluso la possibilità, perché
avrebbe potuto essere un modo per legarlo a sé. Quello che non si aspettava
era questo abbandono totale, questo corpo vergine che gli si è offerto. Ne ha
colto la fragilità, il desiderio, la solitudine. È un uomo infame, una spia
al servizio del vescovo, disposto a qualsiasi bassezza. Eppure gli fa pena. Jules
si sveglia dopo un’ora. Per un attimo non capisce dove si trova, poi i
ricordi riaffiorano. È disorientato. Solomon non è nella stanza. Jules si
alza e si riveste. Solomon lo sente muoversi e arriva. -
Tutto bene? Jules
si blocca. -
Sì, sì. Ho dormito. -
Avevate bisogno di riposare. Avevate passato un brutto momento. Jules
pensa che è valsa la pena di vivere quel brutto momento, per quello che è
seguito dopo. -
Grazie. Grazie per avermi salvato. Grazie… di tutto. Solomon
sorride. -
Grazie a voi. Jules
prosegue: -
Spero… spero che ci vedremo ancora. -
Lo spero anch’io. Prendendo le dovute precauzioni. Jules
pensa un attimo. Poi chiede. -
Se venissi domani sera? Appena
l’ha detto si vergogna e china la testa. Gli sembra di essere stato
sfacciato, teme di aver offeso Solomon, ma l’orafo annuisce e sorride. -
Sì, al buio è meglio. Dopo i Vespri. Bussate alla porta del laboratorio, in
un momento in cui non ci sia nessuno nella via. Jules
esce dalla locanda. Si guarda intorno, temendo di vedere nuovamente gli
uomini che lo hanno assalito, ma non incrocia sguardi ostili: la gente che
passa nella via non bada a lui. Jules preferisce comunque tornare a casa e
rimanervi al sicuro. Nel corso della giornata il pensiero va spesso a
Solomon. Lo rivedrà domani sera. Il
vescovo rientra in città la sera stessa. Il mattino dopo convoca Jules. Jules
si sente a disagio davanti al vescovo. Se sapesse quello che lui ha fatto il
giorno prima, quello che intende fare in serata… Ma
il vescovo non nota il suo turbamento. Lo fa sedere e gli dice: -
Jules, devo affidarti una missione importante. Importante e molto delicata. -
Cercherò di svolgerla nel miglior modo possibile. -
Domani mattina partirai con una lettera. Sarai arrestato quando entrerai nel
territorio di San Giacomo: alcuni soldati del barone ti fermeranno. Jules
è sorpreso. -
Arrestato? -
Sì. Ti bloccheranno e ti ingiungeranno di andare con loro. Dirai che non
possono fermarti, che ti manda il duca di Rougegarde,
che devi andare a Jabal al-Jadid. -
Il duca? -
Sì, dirai che è il duca ad averti mandato. Ti sequestreranno la lettera e ti
metteranno in una cella a San Giacomo. Nella notte qualcuno ti farà evadere e
ti porterà in un luogo segreto, dove rimarrai qualche giorno, prima di
tornare qui. Jules
annuisce. -
Ti interrogheranno. Tu rifiutati di rispondere. Non dirai il tuo nome. Dirai
solo che dovevi portare all’emiro Jabal al-Jadid
una lettera da parte del duca di Rougegarde. -
Non mi tortureranno? Il vescovo ride. -
Certamente no, Jules! Siamo d’accordo, il barone e io. Jules
chiede ancora qualche dettaglio, poi il vescovo lo congeda. Riceverà la
lettera solo domani mattina, al momento di partire. La missione è del tutto
diversa dai compiti che il vescovo di solito gli affida. Non gli sembra
pericolosa, ma è insolita. Gli spiace sapere che per diversi giorni non potrà
rivedere Solomon. Il suo pensiero va in continuazione all’ebreo, a ciò che
hanno fatto. Se il vescovo lo sapesse… ma il vescovo non lo saprà mai. Jules
conta le ore che lo separano dalla sera, quando infine potrà raggiungere
Solomon. La
giornata gli sembra interminabile. Non ha compiti da svolgere e preferisce
non uscire, perché ha paura di incontrare nuovamente il gruppo che lo ha
assalito. Infine
arriva la sera e può recarsi da Solomon. Si rende conto di essere molto
agitato all’idea di rivederlo. Pensa alle sensazioni del giorno precedente. Nel
buio percorre la strada. Tutto sembra tranquillo. Arrivato alla porta della
bottega bussa, piano. La porta si apre subito. Jules entra e la porta viene
richiusa. Una lanterna getta una fioca luce nella stanza. -
Solomon! Jules
fa un passo, poi si ferma intimorito. Solomon si avvicina, sorridendo. -
Sono contento che siate venuto. Jules
l’osserva, senza dire nulla. Poi avvicina il suo viso, senza distogliere lo
sguardo dagli occhi di Solomon. Non osa andare oltre ed è Solomon a baciarlo
sulla bocca. Il primo bacio è appena uno sfiorarsi delle labbra. Il secondo è
più ardente, le braccia dell’ebreo cingono il corpo di Jules, che ricambia
l’abbraccio. Scivolano
entrambi su una stuoia posta a terra, stretti l’uno all’altro. Jacques è
impacciato, ma il desiderio guida i suoi gesti: carezze, strette e poi baci,
abbracci. Le mani di Solomon accarezzano, poi si infilano nei pantaloni di
Jules, stringono con forza il culo e infine incominciano a spogliarlo. Ora
hanno i pantaloni abbassati e lo stesso desiderio si manifesta in entrambi.
L’uccello vigoroso di Solomon preme contro quello di Jules, che riesce a
dire, facendosi forza: -
Prendetemi. Solomon
lo guarda, sorride e finisce di spogliarsi e di spogliarlo. Lo bacia ancora,
poi, come il giorno precedente, si inginocchia davanti a lui, si pone le
gambe sulle spalle e, mentre le sue mani accarezzano il ventre e l’uccello
dell’uomo, avvicina la cappella all’apertura. Dopo aver inumidito con un po’
di saliva spinge in avanti la sua arma, facendola affondare nella carne.
Jules geme, un gemito di piacere. Solomon passa delicatamente le sue mani sul
corpo dell’uomo che sta possedendo, gli sfiora il viso, poi prende a muoversi
con vigore. Guarda il volto dell’uomo del vescovo, su cui legge il piacere.
Jules fa scorrere la sinistra sul viso di Solomon, poi la mano scende lungo
il corpo. Solomon
procede nella sua cavalcata a un ritmo costante e sente che il piacere cresce
in entrambi. E quando infine avverte che il momento è vicino, con la destra
stringe l’uccello di Jules, già gonfio di sangue e rigido, e lo guida a
venire insieme a lui. Gemono entrambi, mentre il seme di Jules si sparge sul
suo ventre, quello di Solomon nelle sue viscere. Giacciono
sulla stuoia, appagati. Jules
pensa che è stato bellissimo, che vorrebbe potersi dare a Solomon tutti i
giorni, ma domani deve partire. -
Sarò via alcuni giorni. -
Partite? -
Sì, devo andare a… Jules
esita. Si rende conto che non può certo dire che il duca lo manda a Jabal al-Jadid, tra gli infedeli: non sarebbe credibile, dovrebbe
spiegare. Ma non può neanche dire la verità. Prosegue: -
…a San Giacomo d’Afrin. Solomon
è a conoscenza del ritorno del vescovo e giunge alla conclusione che sia
proprio Jules il messaggero, come aveva sospettato. Decide di attuare la
strategia che ha elaborato. -
Che combinazione! Parto domani anch’io. Che strada contate di seguire? -
La via meridionale, non quella di castello San Marco, naturalmente, quella
che passa ai piedi delle Alture dell’Orso. Ma anche voi andate in quella
direzione? -
Sì, devo consegnare un monile a un emissario dell’emiro che incontrerò a Labiteh. Possiamo fare la strada insieme, che ne dite? L’idea
di fare un pezzo di strada con Solomon lo tenta, ma Solomon non deve vederlo
quando verrà arrestato. Jules è incerto. -
Prima di passare nel territorio di San Giacomo forse dovrò fermarmi. Possiamo
fare insieme le prime due tappe. -
Va benissimo. Quando partite? -
In mattinata, non so esattamente quando. -
È meglio che non ci vedano insieme, ci possiamo dare un appuntamento. Stabiliscono
di ritrovarsi nei pressi di un villaggio non lontano. Jules è contento
pensando che domani scoperà ancora con Solomon. Il suo corpo lo chiede Jules
si congeda. Solomon sale in casa e bussa alla porta di Pierre e Sarah. Parla
un momento con Pierre, poi si dirigono a palazzo, Solomon incappucciato,
Pierre a capo scoperto. Tutto
è pronto. Solomon ritira ciò che deve, si fa dare alcune provviste per il
viaggio e torna a preparare l’occorrente. L’indomani
mattina si ritrova con Jules al posto indicato, poco lontano dalla città.
Cavalcano tutto il mattino e nelle ore più calde si fermano ai piedi di un
pendio boscoso. Tra gli alberi scorre un torrente e i due viaggiatori si
riposano all’ombra di un grande cedro. Solomon osserva: -
Mi lavo un momento. Si
spoglia in fretta. Jules osserva il corpo robusto emergere dagli abiti:
l’ampia schiena, il culo vigoroso. Il desiderio gli secca la bocca e gli
tende il cazzo. Si guarda intorno. Sono in un angolo tranquillo, ma la pista
non è lontana e qualcun altro potrebbe arrivare. Torna a fissare Solomon, che
entra in acqua e si sciacqua rapidamente, poi esce e rimane in piedi al sole,
per asciugarsi. Jules osserva il torace villoso, il ventre, il cazzo
vigoroso. Il desiderio cresce ancora. Guarda alle sue spalle, dove la
vegetazione è un po’ più fitta. -
Solomon, io… Non
prosegue, perché si vergogna. Solomon capisce. -
No, Jules. Non qui. Non dobbiamo correre rischi. Jules
annuisce, ma non riesce a distogliere lo sguardo dal cazzo di Solomon. Solo
quando l’orafo si riveste, la tensione si riduce. La
sera si fermano a una locanda, dove c’è parecchia gente, ma il locandiere ha
una stanza libera per loro due. Quando sono in camera, Jules si avvicina a
Solomon. Vorrebbe stringerlo, baciarlo, ma è imbarazzato. L’ebreo capisce e
lo abbraccia. La stretta accende il desiderio di Jules, che riesce a dire: -
Prendimi. Solomon
annuisce. Lo spoglia e poi lo depone sul letto. Dopo essersi tolto gli abiti,
si stende su di lui, lo abbraccia ancora e poi lo prende. A Jules sembra di
essere in paradiso. Dopo
aver scopato scendono a cenare. Alla fine del pasto Jules è preso da una
sonnolenza molto forte. Quando risalgono in camera ha l’impressione di fare
fatica a stare in piedi. Solomon lo aiuta a spogliarsi e lo mette a letto. In
pochi minuti Jules incomincia a russare: l’oppiaceo che Solomon ha versato
nel vino ha fatto effetto. Solomon
fruga nello scarno bagaglio di Jules fino a trovare ciò che cerca. Procede
spedito, con la sicurezza che gli dà la lunga esperienza di lavori manuali di
precisione. Quando
infine ha concluso, guarda Jules che dorme. È una spia del vescovo, pronto a
compiere qualsiasi lavoro sporco, eppure Solomon prova nuovamente pena per
quest’uomo mandato al macello dal suo padrone: anni e anni di cieca fedeltà
ricompensati con la morte. Il
mattino dopo Solomon sveglia Jules. -
È ora che ci prepariamo e andiamo. Jules
è ancora assonnato e ha la testa pesante. -
Solomon. Che è successo? Ieri sera… -
Vi siete addormentato. Forse avete bevuto un po’ troppo e il vino non era
buono. Jules
annuisce. Si alza e si veste: adesso in effetti è ora di andare. La
sera si fermano in un altro villaggio, dove un contadino affitta loro una
camera. Dopo aver cenato, scopano e quando entrambi hanno raggiunto il
piacere, Solomon continua ad accarezzare Jules, sfiorandogli il petto, il
viso, le labbra, le braccia, il ventre, il cazzo, in un movimento continuo.
La spia del vescovo non ha mai sperimentato tanta tenerezza in tutta la sua
vita: gli sembra di essere in paradiso. Infine
si mettono a dormire. Prima di abbandonarsi al sonno, Jules si dice che è
innamorato di quest’uomo. Quando potrà tornare a Rougegarde,
andrà ogni giorno da lui. L’indomani
si separano: in tarda mattinata Jules entrerà nel territorio di San Giacomo
d’Afrin, dove lo fermeranno. Solomon
guarda Jules che si allontana. Va a morire, senza saperlo. Ma le carte che
ora porta con sé lo vendicheranno. Solomon
è triste. Anche se disprezza Jules, gli sembra orribile che venga mandato a
morire in questo modo. In serata ha cercato in qualche modo di regalargli un
po’ di quella tenerezza che nessuno deve avergli mai dato, quasi per
indennizzarlo di ciò che lo attende. L’ebreo
fa un giro e torna a Rougegarde: non ha motivo per
proseguire il viaggio. Jules
raggiunge Villeneuve, un paese fondato da coloni franchi, che i signori di
San Giacomo hanno fatto venire dalla Picardia.
Quando lascia il paese, incrocia un drappello di dodici uomini, che gli
bloccano la strada. Jules
si ferma. Sa che tutto è stato concordato, ma nel vedere questi soldati
dall’aspetto truce e l’atteggiamento ostile si sente un po’ a disagio. Il
dialogo si svolge come stabilito. L’ufficiale che guida il drappello dice: -
Siamo soldati del barone di San Giacomo. Sappiamo che porti un plico di
carte. -
Non sono affari vostri. Intanto
gli uomini hanno circondato Jules. -
Devi consegnarci quelle carte e venire con noi. -
Non avete nessun diritto di chiedermi queste carte. Mi manda il duca di Rougegarde. -
Appunto. Dacci le carte. -
Non avete nessun diritto di... L’ufficiale
lo interrompe: -
L’hai già detto! Poi
fa un cenno a uno dei soldati, che strattona Jules e gli prende la borsa. -
Sei in arresto. Vieni con noi. Jules
protesta ancora. -
Non potete arrestarmi! L’ufficiale
gli risponde brusco: -
Sta’ zitto, o ti faccio gustare la lama della mia spada. Jules
tace: ha fatto la sua parte e non è il caso di insistere. Arrivano
a San Giacomo nel tardo pomeriggio. La gente vede sfilare i soldati con il
loro prigioniero. Molti si chiedono chi sia costui e i motivi dell’arresto. Presto
si diffonde la voce che si tratta di un corriere proveniente da Rougegarde e diretto nei territori saraceni: una voce che
Olivier stesso ha fatto mettere in circolazione. Qualcuno
però sta dando anche un’altra informazione: l’uomo è un certo Jules Randonnay, una spia del vescovo Bohémond.
La notizia di questo arresto desta la curiosità dei cittadini: perché mai il
barone ha fatto arrestare un uomo del vescovo? Tra il signore della città e
il prelato i rapporti sono molto buoni. Jules
viene interrogato, ma rifiuta di dare informazioni, a parte il fatto che lo
manda il duca e che il messaggio è per l’emiro di Jabal al-Jadid. Nega di conoscerne il contenuto, il che è vero:
non sa che cosa conteneva il plico quando è partito da Rougegarde
e non sa che cosa contenga ora. Non sospetta minimamente che il contenuto sia
stato cambiato. Jules
viene rinchiuso in una cella, come il vescovo gli aveva annunciato. Si
distende sul pagliericcio. Conta di dormire un po’: dopo la sua liberazione
non sa dove dovrà nascondersi, né quando tempo dovrà rimanere. Il sonno però
non viene. La situazione nuova in cui si trova lo turba. Si pone domande su
questo piano di cui costituisce un elemento, ma di cui non sa nulla. E, man
mano che le ore passano, il pensiero va sempre più spesso a Solomon e il
desiderio si accende, impetuoso. La
cella è completamente buia e la mano di Jules scende al cazzo, lo stringe con
forza, mentre Jules ripensa all’abbraccio dell’orafo, al suo odore di maschio
pulito, a quello di sudore la prima volta nella bottega, alle carezze, al
cazzo che gli è entrato in culo, al piacere intensissimo che ha provato. Viene
con un gemito. Spera di ritrovare presto il bell’ebreo, di scopare ancora con
lui. Infine
si addormenta, ma poco dopo la porta si apre e due uomini entrano nella
cella. -
Alzati. È ora di andare. Jules
obbedisce. Uno dei due uomini gli si avvicina, poi muove la sua mano,
vibrando un colpo di taglio, con tutta la sua forza, sul collo di Jules. Si sente il rumore
secco della trachea che si rompe. Jules boccheggia, gli occhi dilatati dal
terrore. Cerca invano di far entrare aria nei polmoni. Si rende conto di
stare morendo, di essere stato tradito. I
due non si occupano di lui: stanno fissando un cappio alla parete. -
Sollevalo, Joscelin. Joscelin afferra Jules, che non è in grado di
reagire, e lo mette contro la parete, sotto la corda. L’altro uomo gli passa
il cappio intorno al collo. -
Lascialo pure. Joscelin molla Jules. Il corpo scivola. Jules
scalcia, ma l’agonia si conclude in fretta. Il
giorno dopo il cadavere viene ritrovato nella cella. Il prigioniero si è
impiccato con una corda che probabilmente usava come cintura. In
tutta San Giacomo si parla dell’arresto e della morte di questo messaggero
proveniente da Rougegarde. Olivier
scrive il mattino stesso al re. Spiega che da tempo i suoi uomini segnalavano
scambi di messaggeri tra Jabal al-Jadid e Rougegarde e che infine è riuscito a intercettare un
messaggero, con un plico di carte. L’uomo arrestato ha cercato di sfuggire
all’arresto sostenendo di essere stato inviato dal duca di Rougegarde. Poi non ha voluto più dire nulla. Nella notte
si è ucciso in cella. Olivier
non ha aperto il plico di carte, sigillate: preferisce che sia il re stesso a
farlo: in questo modo nessuno potrà accusarlo di aver manomesso il contenuto. Il
messaggero parte immediatamente per Gerusalemme. Più
tardi nella giornata Joscelin chiede di parlare a
Olivier. -
Barone, devo riferirvi una cosa. -
Dimmi, Joscelin. - In
città circola voce che l’uomo arrestato fosse un certo Jules Randonnay, al servizio del vescovo. Olivier
non si aspettava che qualcuno lo riconoscesse. Non può supporre che sono
stati alcuni uomini al soldo di Denis a diffondere la voce, già il giorno
precedente. -
Merda! Olivier
riflette. Si dice che non dovrebbe essere un problema: il re non lo verrà mai
a sapere, nessuno certo andrà a riferirglielo. Guido
da Lusignano guarda il sigillo sul plico intercettato dagli uomini di
Olivier, ma si tratta solo di una croce su un po’ di cera, che non
corrisponde al sigillo di nessuno. All’interno c’è un secondo sigillo, che
Guido riconosce e guarda stupito. Il suo stupore cresce mentre legge le carte
che gli sono state consegnate. Appena
ultimata la lettura, convoca il duca di Rougegarde,
scrivendo solo che ha bisogno di parlargli con estrema urgenza. Denis parte
non appena riceve il messaggio. Affida la città a Pierre e chiama Ferdinando:
preferisce che ci sia anche il conte in città a dare una mano, se necessario. Non
appena Bohémond viene informato che il duca è stato
convocato dal re a Gerusalemme, decide di agire. Solomon
è uscito dalla casa del mercante Giovanni e si dirige al palazzo ducale.
Denis è via, ma Solomon vuole concludere un lavoro che ha lasciato in
sospeso. Vede
all’angolo un gruppo di guardie del vescovo e qualche cosa nel loro
atteggiamento lo mette in sospetto. Non ci sono vie laterali in cui svoltare
e in ogni caso sarebbe inutile: se vogliono fermarlo per qualche motivo, lo
faranno. In
effetti quando arriva vicino al gruppo, l’ufficiale si mette davanti a lui e
gli uomini lo circondano. - Tu
sei l’orafo Chlomo, detto Solomon, vero? Inutile
negare. -
Sì, sono io. -
Sei in arresto, vieni con noi. - In
arresto? Avete un ordine del re? -
Non ci serve un ordine del re, porco giudeo. Muoviti o assaggi questo. L’ufficiale
estrae la spada e gliela punta al petto. Solomon
sa di non avere scelta. Lo
conducono per le vie. Le persone che incrociano guardano incuriosite, ma
senza prestare molta attenzione: non c’è nulla di strano che le guardie del
vescovo portino al palazzo un uomo, forse lo hanno arrestato perché sorpreso
a rubare in chiesa. Solo chi conosce Solomon è stupito. Solomon
sa che deve far arrivare la notizia del suo arresto al palazzo ducale: Denis
non c’è, ma Pierre cercherà di fare qualche cosa. Quando
arrivano nella piazza davanti al palazzo vescovile, dove si tiene il mercato
e c’è parecchia gente, Solomon vede alcune persone che lo conoscono. Allora
dice, forte: - Mi
hanno arrestato mentre camminavo per la strada, senza nessun diritto. È un
abuso. L’ufficiale
scatta, mollandogli un ceffone. -
Taci, porco giudeo! Si
sente un mormorio correre tra la folla. Questo ebreo è Solomon, l’orafo del
duca. Perché è stato arrestato come un comune malfattore? Come è possibile?
Per un momento l’attenzione si concentra tutta su Solomon e chi è più
indietro cerca di alzarsi sulle punte dei piedi per vedere quest’uomo tra le
guardie vescovili. Qualcuno
dice: - È
un ebreo, chissà che cosa ha combinato… - È
l’orafo del duca. Perché il vescovo lo ha fatto arrestare? -
Per fare arrestare il vescovo ha bisogno dell’autorizzazione del re. O deve
sorprenderlo mentre compie un reato. Ma Solomon è un ricco orafo… di certo
non va a rubare nelle chiese. Domande
si accavallano. Tutti conoscono l’ostilità esistente tra il duca e il
vescovo. Il vescovo ha fatto arrestare l’orafo del duca sperando di poter in
qualche modo danneggiare il signore della città? Non ci sarebbe da stupirsi. -
Quel bastardo ha fatto ammazzare un povero vecchio. Adesso se la prende con
l’orafo. Solomon
sente i mormorii della gente e coglie il nervosismo delle guardie. Potrebbe
cercare di fuggire, ma sarebbe una mossa molto rischiosa. Ripete: - Mi
hanno arrestato mentre camminavo per la strada. L’ufficiale
lo colpisce con un pugno. Non è un colpo così forte, ma Solomon finge di non
riuscire a reggersi e si lascia cadere a terra. Tutta
la gente ormai segue la scena. -
Picchiano un innocente. - È
un ebreo, qualche cosa deve aver combinato. -
Perché il vescovo lo ha fatto arrestare? -
Non siamo più liberi di camminare per le strade, adesso? -
Questo è un abuso. Molti
pensano che nella partita mortale che lo oppone al duca il vescovo abbia
fatto una mossa azzardata. Chi avrà la meglio? Il duca è fuori città, è
partito per Gerusalemme, e di certo, anche se qualcuno dei suoi uomini
riuscisse a raggiungerlo per avvertirlo dell’arresto, non potrà rientrare
prima di alcuni giorni: l’ebreo sarà già stato torturato e magari avrà
confessato. Ma che cosa dovrebbe confessare? Qual è l’accusa? E se Solomon
non confessasse, se non ci fossero prove nei suoi confronti? Allora sarebbe
il vescovo a rischiare. -
Vorranno fargli confessare cose che non ha fatto. - È
probabile. I loschi tiri di quel bastardo… Intanto
l’ufficiale, sempre più nervoso, ha fatto alzare Solomon. -
Muoviti, porco giudeo! Se dici ancora una parola, ti becchi due palmi di
ferro in pancia. Solomon
lo guarda, senza dire nulla. -
Cammina, porco! Solomon
segue l’ufficiale. Sa che la notizia del suo arresto arriverà presto a
palazzo. In
effetti non passa molto tempo prima che Pierre, reggente della città in
assenza del padre, riceva l’informazione. Pierre sa che Solomon è molto
legato a Denis e la notizia del suo arresto lo preoccupa alquanto. Per quale
motivo Solomon è stato arrestato? Pierre
manda subito Manrique al palazzo vescovile. Il
vescovo lo fa attendere a lungo prima di riceverlo. Manrique dice: -
Vengo da parte del reggente. Questa mattina è stato arrestato l’orafo del
duca, Chlomo, detto Solomon. Il reggente vuole
sapere se il re ha autorizzato il suo arresto. -
Non vedo perché dovrei rispondere. -
Perché solo il duca può fare arrestare un cittadino che non sia stato
sorpreso mentre commetteva un reato. E l’orafo stava camminando per strada
quando è stato arrestato. -
Non ho più bisogno dell’autorizzazione del re. -
Quello che avete fatto è un grave abuso. Il
vescovo sorride e aggiunge: - Il
tempo dell’Anticristo è finito. Il regno di Dio tornerà e coloro che hanno
servito Satana pagheranno. Manrique sa che ormai è inutile proseguire. Le
parole del vescovo lo preoccupano molto. Dice comunque quello che deve: -
Dovete liberare immediatamente l’orafo. -
Andate, finché potete farlo. Pagherete anche voi i vostri peccati. Dio
abbatte i suoi nemici. Manrique esce e torna al palazzo ducale. Solomon
viene portato nei sotterranei del palazzo. Non sa quale sia l’accusa, ma
sospetta che la sua situazione sia molto grave. Nessuno può essere arrestato
dal vescovo a Rougegarde se non su ordine del re,
perciò o c’è un ordine regio o il vescovo ha infranto le norme perché sicuro
di poterlo fare impunemente. Con ogni probabilità Bohémond
è convinto che Denis sarà arrestato a Gerusalemme. Questo non avverrà, ma
prima che il duca sia di ritorno, il destino di Solomon si sarà compiuto. Si
dice che scoprirà presto che cosa vogliono da lui. L’interrogatorio
ha luogo in un’ampia stanza, dove sono ben visibili gli strumenti di tortura.
Solomon sa che avrà modo di provarli e che il suo corpo sarà devastato. A
condurre l’interrogatorio è padre Joaquim, un sacerdote che Solomon ha visto
qualche volta: un uomo di fiducia del vescovo, ovviamente. Accanto a lui ci
sono solo lo scrivano, che prende nota di tutte le domande e delle risposte,
e il carnefice, un uomo robusto a torso nudo, la cui presenza equivale a una
condanna. -
Qual è il tuo nome? Solomon
potrebbe rispondere che lo sanno benissimo, ma non ha senso. - Chlomo, detto, Solomon. -
Chi fu tuo padre? - Un
soldato cristiano che stuprò mia madre, come spesso fanno i cristiani con le
donne ebree. Solomon
coglie un irrigidirsi del sacerdote, che prosegue: - La
tua religione? -
Sono ebreo. -
Dove abiti? - In
un appartamento nella casa del mercante Giovanni. Gli
vengono chieste altre informazioni che tutti sanno. Per il momento Solomon
non ha la più pallida idea di dove voglia arrivare padre Joaquim. Un primo
indizio viene da un’altra domanda: - Tu
ti rechi molto spesso nei territori saraceni. -
Sì. -
Perché? -
Perché alcuni signori saraceni mi richiedono gioielli. - Perché
mai dei signori saraceni dovrebbero rivolgersi a un giudeo? -
Perché apprezzano i miei lavori. -
Chi sono questi signori? Le
domande successive riguardano i suoi rapporti con i signori arabi e curdi. Il
sacerdote insiste in particolare sull’emiro di Jabal al-Jadid. -
Vai spesso da lui? -
No. Mi capita ogni tanto. -
Ogni quanto? -
Forse una volta l’anno. -
Che cosa prepari? -
Gioielli: bracciali, collane, fermagli. -
Sappiamo che il duca ti affida dei messaggi per l’emiro. Solomon
aggrotta la fronte. Questo è il primo attacco. Non è detto che sia l’unico.
Vogliono un’ulteriore conferma dei rapporti tra il duca e l’emiro, per dare
maggiore peso ai documenti falsi che il vescovo ha fatto produrre. -
No, non è mai successo. -
Non mentire. Sappiamo benissimo che è avvenuto. Eri uno dei messaggeri che il
duca inviava. I gioielli erano una scusa. - È
falso. -
Temo che ricordi male. Abbiamo molti sistemi per farti ricordare meglio.
Dobbiamo usarli? -
Per farmi dire il falso? -
Per farti ricordare cose che forse hai dimenticato. - Ho
detto la verità. - Ve
bene. Torneremo dopo su questo e credo che ci dirai la verità. Padre
Joaquim sorride. Poi il sorriso scompare. - Tu
vivi nella casa del mercante Giovanni. - Ve
l’ho già detto. -
Conoscevi Emich di Freiburg, l’eretico? -
Certo, viveva nella locanda che fa parte della casa. -
Sai che aveva rapporti contro natura, con altri uomini? -
Non ne so niente. È la prima volta che lo sento. - Tu
menti. Anche tu avevi rapporti con lui. -
No, mai. - Tu
menti. Hai partecipato alle riunioni che si tenevano in una sala sotterranea
vicino alla chiesa di Santo Stefano? -
Non ho mai sentito parlare di queste riunioni. - Tu
menti. Tu hai partecipato a queste riunioni e hai avuto rapporti contro
natura con il figlio del duca, Pierre di Rougegarde,
e con il barone Jacques di San Giacomo d’Afrin. -
Mai avuto rapporti con loro, né con nessun altro. - Tu
menti. Bada, sappiamo come farti dire la verità. -
Non mento. - Tu
hai avuto rapporti anche con il conte Ferdinando. Ormai
non sono più domande, ma affermazioni. -
Mai. - Tu
menti. Se non ti decidi a confessare, dovremo ricorrere alla tortura. -
Non posso confessare colpe che non ho. Non posso accusare innocenti. Solomon
ormai ha un quadro preciso della situazione. Il suo arresto serve per perdere
anche Pierre e Jacques, in modo da sgomberare completamente la strada a
Olivier o a chi altri dovrebbe prendere il posto di Denis. Il
vescovo è convinto che Denis verrà arrestato a Gerusalemme. Non sarà così. Ma la confessione di Solomon
metterebbe sotto accusa Pierre e Jacques, che verrebbero a loro volta
arrestati. -
Non vuoi confessare? -
Non ho nulla da confessare. Il
sacerdote fa un cenno al carnefice. Questi si avvicina a Solomon, gli ordina
di togliersi tutti gli indumenti, tranne i pantaloni, e lo fa distendere su
un tavolaccio alle cui estremità ci sono delle corde e da un lato un
ingranaggio. Solomon sa che sarebbe inutile resistere. Il
carnefice passa la lama sulla pelle di Solomon, recidendo la peluria che, ora
più densa, ora meno, copre il corpo. Le sue mani si muovono sicure, in gesti
che conosce bene, che ha ripetuto molte volte: ogni prigioniero, prima di
essere sottoposto alla tortura, viene depilato. Solomon
tace, disteso sul tavolaccio, mentre l’uomo maneggia il suo corpo, prima
davanti, poi dietro, fino a completare l’operazione. Pensa che la sua vita si
avvia alla fine. Prima che Denis torni, sarà morto o storpiato per sempre,
probabilmente castrato, forse accecato. L’uomo
gli prende le braccia e le solleva, legandole all’ingranaggio che tenderà il
suo corpo fino a slogare le articolazioni. Poi lega le caviglie dalla parte
opposta. Padre
Joaquim si avvicina e chiede: -
Prima che dia ordine di incominciare, sei disposto a rispondere alle domande? - Ho
già risposto. - Ma
non hai detto la verità. - Ho
detto la verità, non le menzogne che vuoi estorcermi. -
Dirai la verità? Solomon
guarda il soffitto della stanza. Non risponde nemmeno a quest’uomo che disprezza.
Non cambierebbe nulla: sa bene che sarà torturato fino a che gli estorceranno
una confessione o fino a che il suo corpo sarà straziato. La morte lo
attende. Solomon non intende cedere: nessuno al mondo lo forzerà ad accusare
Denis d’Aguilard e gli altri. Padre
Joaquim dà ordine di procedere. Solomon
guarda il carnefice che sopra di lui gira il meccanismo che tende le corde.
Sente la tensione nelle braccia e nelle spalle crescere. Il
sacerdote pone la domanda: - Il
duca ti affidava messaggi per l’emiro di Jabal al-Jadid? -
No. A un
cenno del sacerdote, il carnefice fa girare l’ingranaggio. La tensione cresce
ancora. -
Di’ il vero. Il duca ti affidava messaggi per l’emiro di Jabal al-Jadid? -
No. Il
sacerdote fa un cenno. Il
nuovo strattone gli strappa un gemito. Il dolore ai polsi e alle spalle
aumenta ancora anche le caviglie e le anche sono tese. Solomon si chiede se
intendono proseguire fino a che le articolazioni cederanno o se si fermeranno
prima. È più probabile che oggi si fermino: spesso preferiscono non provocare
gravi danni il primo giorno di tortura. Il prigioniero sperimenta umiliazioni
e sofferenze su cui potrà meditare durante la notte. Molti cedono dopo aver
passato una notte di terrore e gli inquisitori ottengono una confessione senza
che la vittima abbia troppi segni evidenti di tortura, senza che lo
spettacolo del rogo sia rovinato dal fatto che il prigioniero deve essere
trascinato fino al luogo dell’esecuzione perché le gambe non lo reggono più. Se
invece non confessano, il giorno dopo la tortura prosegue senza limiti. Poco
cambia per Solomon: lo hanno arrestato dopo la partenza di Denis, per evitare
che il duca potesse far valere la sua autorità. Quando il duca tornerà, per
Solomon sarà troppo tardi. Solomon sa che la tortura può fare impazzire e che
pur di farla cessare c’è chi è disposto ad ammettere qualunque colpa. Sa che
anche lui potrebbe cedere, ma sicuramente non intende dare al vescovo nessuna
arma per colpire. - Il
duca sarà arrestato per tradimento a Gerusalemme. Noi sappiamo che il duca e
il conte Ferdinando sono in contatto con l’emiro. Confessa che porti messaggi
del duca all’emiro e le risposte dell’emiro al duca. - È
falso. Il
confessore chiede ancora. Solomon tace. La pressione aumenta, il dolore
diventa intollerabile, Solomon stringe i denti. Il
carnefice riduce leggermente la tensione. Solomon respira più
liberamente. Il confessore continua a
porre domande, ma non riceve risposte. A un suo cenno, la tortura riprende. Infine
Joaquim fa segno al carnefice, che scioglie le corde. Solomon
è esausto, coperto di sudore. Il suo corpo è percorso da brividi. Anche
quando le braccia e le gambe non sono più tese dalla corda, il dolore alle
articolazioni è feroce. A tratti batte i denti. Il
carnefice sta scaldando un ferro su un braciere. -
Adesso proverai il fuoco, se non dici la verità. - Ho
detto la verità. -
Confessa di aver partecipato alle riunioni segrete accanto alla chiesa di
Santo Stefano. -
Non so di che cosa parli. A un
cenno di padre Joaquim, il carnefice avvicina il ferro rovente al torace di
Solomon, poi lo appoggia. Solomon lancia un urlo di dolore, mentre nella
stanza si diffonde il lezzo della carne bruciata. Solomon ha l’impressione
che il mondo svanisca, ma è solo un attimo. Il sudore gli imperla la fronte.
Nuovamente rabbrividisce. È esausto. -
Confessa di aver avuto rapporti con il figlio del duca e con il barone
Jacques durante quegli incontri. -
Non ho mai… avuto… rapporti con loro. Non ho mai… partecipato… a nessuna
riunione. Il carnefice
ha nuovamente posto sulla fiamma il ferro. Ora lo prende. Il corpo di Solomon
si tende, la bocca si apre. Padre Joaquim gli intima ancora di confessare, ma
il prigioniero tace. Il carnefice appoggia nuovamente il ferro sulla carne.
L’urlo di Solomon sembra dissolvere la realtà. Ha perso i sensi. Sui
pantaloni si allarga una chiazza: si sta pisciando addosso. Sono
ore che l’interrogatorio procede. Il vescovo ha ordinato di aspettare un
giorno prima di storpiare per sempre l’orafo. Il sacerdote chiede ancora,
furente per la resistenza che incontra. Si era illuso di avere la meglio nel
primo giorno di interrogatori, ma ormai ha capito che dovrà spezzare questo
corpo per estorcergli la verità. -
Per oggi basta così. Vedo che non intendi cedere. Domani mattina faremo sul
serio. Ti spezzeremo le gambe e le braccia, ti slogheremo le spalle, ti
schiacceremo i testicoli. Confesserai. Te lo assicuro. Confessano tutti. Poi
si rivolge al carnefice: -
Portatelo nella cella. Padre
Joaquim se ne va. Entra una guardia. Il
carnefice libera Solomon dai lacci. L’orafo vede il mondo oscillare e poi
scomparire. Vedendolo
privo di sensi il carnefice e la guardia lo prendono uno sotto le ascelle e
l’altro per le gambe, strappandogli una serie di gemiti. Solomon riprende coscienza
e guarda il suo aguzzino, che sorride. Lo
portano in una cella e lo depongono sul giaciglio. Solomon si abbandona, del
tutto inerte, esausto, ma i suoi occhi scorrono lungo le pareti. Il carnefice
si volta verso la guardia e ghigna. -
Adesso ci gustiamo questo bel culo. Solomon
ha sentito dire che a volte il carnefice e le guardie stuprano i prigionieri:
il vescovo finge di non saperne niente o davvero non sa; gli ufficiali li
lasciano fare, anche se dovrebbero impedire un peccato mortale, perché l’umiliazione,
come la tortura, piega molti uomini. Solomon
non ha la forza per opporsi. Mormora: -
Bastardi! Il
ceffone del carnefice gli fa colare un po’ di sangue dal labbro. Il
primo a prenderlo è il carnefice. Gli toglie i pantaloni, l’unico indumento
rimasto e li getta di lato. Poi volta il prigioniero, gli allarga le gambe,
gli mette le mani sul culo e divarica le natiche. Ride. Si abbassa i
pantaloni, si accarezza il cazzo fino a che è duro, poi lo spinge con forza
attraverso l’apertura, ben dentro nel culo. Gli piace fottere questo maschio
vigoroso che non ha voluto abbassare la cresta, ma domani cederà. -
Quando non avrai più i coglioni, quando ti taglieremo il cazzo, cederai,
stronzo, cederai, te lo assicuro. Il
carnefice spinge con forza. È un uomo robusto, ben dotato, con una buona
resistenza. Fotte Solomon con spinte decise. L’orafo non dice più nulla.
Sopporta questo ulteriore sfregio, a cui non può sottrarsi. Non è la prima
volta che viene posseduto, ma non gli era mai capitato di essere stuprato.
Ormai non ha più nessuna importanza. Pensa che è nato da uno stupro e uno
stupro accompagna la sua morte. Il
carnefice lo fotte a lungo, finché viene. Poi
è il turno della guardia, che lo infilza con un movimento deciso, ma viene
molto rapidamente. Quando si ritira, lo sborro dei due uomini scivola dal
culo di Solomon. Con
fatica Solomon si rimette supino, ma non guarda i suoi stupratori. Il suo
sguardo vaga per le pareti I
due uomini escono, ridendo. - A
domani. Domani il galletto sarà un cappone e canterà. La
cella sprofonda nel buio: c’è solo una finestrella e ormai è calata la sera.
Ma Solomon ha visto quello che cercava. Rimane
disteso: muoversi è troppo doloroso. Sa
che le nuove torture rischiano di farlo cedere: il vescovo non si pone limiti,
è sicuro che Denis non tornerà e allora nessuno gli chiederà mai conto
dell’agonia di un giudeo. E se non cedesse, lo aspetta comunque la
devastazione del suo corpo. Domani sera non sarà più un uomo, non sarà più in
grado di camminare, di muovere le braccia. Ma non ci sarà domani sera per
lui. Anche
rimanendo fermo, ogni tanto ondate di dolore lo assalgono. Può riposare
ancora, ha tempo. È appena sera. Basta che faccia quello che deve prima di
domani mattina. Non ci sarà domani mattina per lui. Solomon
lascia che la sua mente vaghi e raggiunga Denis. Sa che il duca soffrirà
moltissimo per la sua morte I
pensieri del vescovo sono di ben altra natura. Joaquim gli ha detto che il
prigioniero non ha voluto confessare, ma è sicuro che domani cederà e confesserà:
il tradimento del duca e del conte e il peccato di Sodoma di cui si sono
macchiati il figlio del duca, il barone Jacques, Emich,
il conte. Il
vescovo è soddisfatto. Denis d’Aguilard sarà
certamente squartato a Gerusalemme e con ogni probabilità il re farà
arrestare anche Ferdinando, che si è macchiato della stessa colpa. I due
giovani nobili finiranno sul rogo, insieme a Solomon: Rougegarde
conoscerà infine il potere del vescovo, i musulmani e gli ebrei saranno
scacciati. Gli eretici conosceranno il rogo. Bohémond
pregusta il suo completo trionfo. Nella
cella Solomon si alza. Ogni movimento è dolore, ma la forza di volontà lo
guida. Prende i pantaloni con una mano. Si appoggia alla parete e alza il
braccio. Fa fatica a contenere l’urlo: il dolore alla spalla è una lama che
lo trafigge. Trova infine il gancio che ha visto sporgere, che di certo serve
per fissare le catene dei prigionieri. I pantaloni sono di stoffa leggera, ma
riuscire ad annodarli gli costa uno sforzo. Ora rimane la parte più
difficile: fissarli al gancio. Per riuscirci deve alzare le braccia e le
fitte sono lancinanti. Ma la volontà è di ferro e infine tutto è pronto: le
brache formano una specie di cappio. Basterà infilare la testa e avvitarsi su
se stessi perché il cappio gli stringa il collo in una morsa mortale. Anche
se i piedi non si staccheranno da terra, sarà il peso stesso del suo corpo a
trascinarlo verso il basso e a permettere al tessuto di strangolarlo.
Probabilmente sarà una fine lenta, perché non è una corda con un nodo
scorsoio, per cui la pressione che eserciterà è limitata, ma prima che la
guardia lo scopra, tutto sarà compiuto. Solomon
si siede. Ha bisogno di riprendere fiato. Pensa
ancora a Denis, l’unico uomo che ha davvero amato nella sua vita. A Morqos e Manrique, che sono i
suoi amici. Ai nipoti, a cui lo unisce un affetto profondo. A Ishan e Mahmud, suoi fratelli d’elezione. Ad Amos, suo
fratello di carne. Alle donne e agli uomini della casa di Giovanni, a tutto
il suo mondo da cui tra poco uscirà, sospeso per il collo ai suoi pantaloni,
perché quel mondo non vada in pezzi. Decide
di riposarsi un momento. Non ha timore di restare addormentato: è abituato a
svegliarsi quando gli serve. Avrà bisogno di tutte le sue energie per morire. A
destarlo è il rumore della serratura della porta che scatta. Per un attimo
teme di aver dormito troppo a lungo e che sia già mattina, ma dalla minuscola
finestrella in alto non si vede nessun chiarore. La
porta si apre. Alla luce di una lanterna può vedere alcuni uomini
incappucciati. Uno porta una lanterna e gli si avvicina. -
Riesci a camminare? Solomon
conosce la voce dell’uomo che ha parlato e, nelle condizioni di prostrazione
in cui si trova, quasi un nome gli sfugge, ma si controlla. Il cuore gli
batte forte. Come è possibile? Solomon
scuote la testa. -
No, non credo di farcela. L’uomo,
un colosso, lo solleva e se lo mette in spalla senza sforzo apparente. Muove
la lanterna per vedere se c’è qualche cosa da prendere. Vede i pantaloni
annodati. Li guarda un attimo senza capire, poi comprende. Rabbrividisce. Escono
dalla cella e passano nel corridoio, dove c’è il cadavere della guardia. Al fondo
del corridoio c’è un’apertura. Vi si introducono, chinandosi. Poi l’apertura
viene richiusa e ora avanzano lungo un corridoio. Solomon
ha capito: uno dei passaggi sotterranei che collegano il palazzo ducale con
altri edifici della città, quello che il duca ha mostrato loro non molto
tempo fa. Solomon
chiude gli occhi. Il dolore è forte, perché le ustioni premono contro il
corpo dell’uomo che lo sta portando. Solomon sa chi è: il conte Ferdinando.
Pensa che ci sarà ancora un domani e che rivedrà Denis. Ferdinando
tiene una mano sul culo di Solomon, per evitare che il corpo gli sfugga e
cada. Il contatto gli trasmette una sensazione piacevole. Solomon gli piace
molto e se non fosse l’uomo di Denis, ci avrebbe già provato. La sua mano si
sposta un po’, accarezzando questo bel culo forte su cui appoggia. Si accorge
che il cazzo gli si sta tendendo. Si dice: “Sei il solito cazzone,
Ferdinando. Solo a scopare pensi!” Ride. Raggiungono
il palazzo ducale. Solomon viene portato in una delle stanze dell’appartamento
dove sono ospiti il conte e Adham. Qui Ferdinando e
gli altri si tolgono il cappuccio. Mentre
il conte lo depone sul letto, Solomon riesce a dire: -
Grazie, conte. Ferdinando
gli sorride, senza dire nulla. Istfan li attende e si mette subito al lavoro,
aiutato da un inserviente e dal conte. Pone domande, muove con cautela
braccia e gambe, medica le ustioni. L’inserviente lava il corpo, con grande
delicatezza. Quando
Istfan ha medicato Solomon, Ferdinando chiede: -
Qual è la situazione? -
Avrà bisogno di un lungo periodo di riposo, ma credo che si rimetterà
completamente. Non gli hanno slogato le articolazioni. Di fatto, niente di
davvero grave. Rimarranno le cicatrici delle bruciature. Poi Istfan si stende nel letto vicino: dormirà nella camera,
pronto a intervenire se il paziente avrà bisogno di assistenza. Ferdinando
chiede ancora: -
Avete bisogno di qualcosa, Solomon? - Di
dormire e dimenticare. Grazie, conte. Ferdinando
gli passa la mano sul viso in un gesto affettuoso e si ritira. Raggiunge
la stanza dove Pierre lo aspetta. Il giovane è già stato informato del
successo dell’impresa, ma attende notizie di Solomon. - Istfan dice che non ci sono stati danni irreparabili.
Siamo intervenuti in tempo. Ferdinando
pensa al cappio che ha visto nella cella. Hanno rischiato di trovare un
cadavere appeso a un gancio nel muro. Pensa a quanto ne avrebbe sofferto
Denis. Ripete: -
Sì, siamo intervenuti in tempo. Parlano
un momento, poi Ferdinando si congeda e raggiunge la camera dove dorme con Adham. Mentre si corica pensa alla sensazione del culo di
Solomon sotto la sua mano. Sorride. L’indomani
mattina gli uomini del vescovo trovano il cadavere della guardia e scoprono
la fuga di Solomon. Bohémond viene avvisato
immediatamente. Non riesce a capire che cosa possa essere successo. Gli
sembra difficile che il prigioniero sia riuscito a uccidere la guardia: da
quello che gli ha detto padre Joaquim e che il carnefice ha confermato,
riusciva a malapena a stare in piedi. Ma nessuno può essere entrato nel
palazzo e essere arrivato alle segrete senza farsi notare. E, posto che
invece qualcuno sia riuscito a entrare, magari confondendosi con altre
persone in ingresso e poi nascondendosi da qualche parte, come ha fatto a
uscire trasportando un uomo che non era in grado di camminare? Bohémond può fare ben poco. Protestare con il
figlio del duca sarebbe inutile: quell’infame negherebbe qualsiasi addebito e
di certo il fuggiasco è nascosto bene. Bisognerà
attendere l’arresto del duca e l’arrivo degli inviati del re, che di sicuro
si faranno accompagnare da diversi soldati, per poter arrestare anche
Ferdinando. A meno che il conte non sia convocato a Gerusalemme, per essere
arrestato là. In
ogni caso per il duca e il conte non c’è speranza. E Bohémond
è sicuro di riuscire a mettere le mani anche su Solomon, una volta che a
governare la città ci sia un inviato del re, in attesa della condanna e
dell’esecuzione del duca. Al
pensiero del processo con cui si concluderà l’esistenza di Denis di Rougegarde, il vescovo sorride. Nonostante la fuga di
Solomon, la vita del duca è giunta alla fine e nulla ormai può salvarlo. Intanto
i servitori comunicano un’altra novità. Lungo le strade che conducono al
palazzo vescovile stanziano gruppi di armati, piuttosto numerosi: almeno una
quindicina di soldati per ogni via. Qual è il senso di queste manovre? È
impensabile che il figlio del duca voglia attaccare il palazzo ducale,
d’altronde gli uomini non si muovono. Il
vescovo manda un messaggero, che ritorna con la spiegazione: il figlio del
duca vuole essere sicuro che nessun altro cittadino venga arbitrariamente
arrestato. Questo significa che se le guardie del vescovo cercassero di
tornare a palazzo con un uomo che hanno fermato, i soldati del duca li
bloccherebbero. È un vero affronto, come lo è anche la richiesta del figlio
del duca di liberare l’orafo ebreo: Bohémond è
sicuro che dietro la scomparsa del giudeo ci sia proprio Pierre d’Aguilard. Per quanto ritenga la presenza dei soldati del
duca offensiva, non gli conviene tentare una prova di forza, in una città che
gli è profondamente ostile. Non è un problema: il giorno della vendetta è
molto vicino. Il
giorno delle vendetta è davvero molto vicino. Il re è a colloquio con Denis
di Rougegarde e non nasconde il suo turbamento. Ha
ricevuto il duca non nella sala delle udienze, ma in una stanza interna, dove
non c’è nessun altro. -
Duca, vi ho convocato perché un messaggero che portava delle carte da Rougegarde a Jabal al-Jadid è
stato intercettato e ora queste carte sono nelle mie mani. Denis
finge stupore. -
Delle carte, mi dite? Da Rougegarde a
Jabal al-Jadid? Una corrispondenza privata? Sul
viso di Guido appare una smorfia. - Privata
nel senso di segreta, sì, ma purtroppo non viene da un qualunque cittadino. -
Non so di cosa parliate. Ditemi. Il
re prende un fascio di carte e le porge al duca, dicendo: -
Leggete voi stesso, duca. Denis
prende le carte e incomincia a esaminarle. C’è una lettera diretta all’emiro
di Jabal al-Jadid e ci sono una serie di fogli con
le mappe delle fortificazioni di Rougegarde e di
San Giacomo d’Afrin e alcune altre indicazioni
sulle difese delle due città. Le due mappe sono piuttosto dettagliate e ricche
di informazioni anche sulle guarnigioni delle città. La
lettera non lascia nessun dubbio: facendo seguito a scambi precedenti
avvenuti attraverso l’emiro di Jabal al-Jadid, Bohémond, vescovo di Rougegarde
e San Giacomo d’Afrin, offre al Saladino informazioni
strategiche molto importanti per la conquista delle due città. Ricorda al
signore della Siria e dell’Egitto, che questi in cambio gli ha promesso la
signoria sulla città. Si dichiara disposto a invitare il duca a palazzo e a
farlo avvelenare, per poi aprire le porte la notte, in modo che il Saladino
possa entrare nella città senza incontrare resistenza. Denis
interrompe la lettura due volte, guardando il re, come se non potesse credere
ai suoi occhi. Appare sconvolto. -
Dio mio… mai avrei pensato… le mappe delle fortificazioni… ma… è incredibile!
No, non è possibile. Guido
da Lusignano annuisce, torvo. -
Sì, se non avessi questa lettera tra le mani, se non vedessi con i miei
occhi… Suppongo che le mappe e le informazioni fornite riguardo a Rougegarde corrispondano alla realtà. Denis
annuisce. -
Con una precisione tale da farmi pensare a uno studio sistematico della
situazione. Non basta vivere a Rougegarde per
conoscere tutto questo. - È
spaventoso. -
Ma, Vostra Maestà, non è possibile. È il vescovo. Come può rivolgersi a un
maomettano, proporgli di consegnare una città cristiana, fornendogli le
informazioni per conquistare l’altra? Con che garanzie poi, che il Saladino
mantenga i patti? Sarebbe comunque sotto un signore che lo considera un
infedele. No, non è possibile. Denis
appare davvero scettico, come se fosse convinto che la lettera non sia
autentica. -
Duca, ho confrontato la scrittura con quella di due lettere riservate del vescovo
in mio possesso. Non esistono dubbi su chi ha scritto quelle parole. E vi
dirò di più: l’uomo che portava questa lettera prima ha detto di essere stato
mandato da voi… - Da
me? -
Sì, di certo queste erano le istruzioni che aveva ricevuto nel caso fosse
stato fermato: pensava di potersela cavare. Nella notte si è ucciso in cella.
-
Ucciso in cella? Intendete… So che un uomo del vescovo è stato arrestato a
San Giacomo, un certo Jules Randonnay. Lo hanno
riconosciuto. Mi sono stupito, non capivo perché fosse stato arrestato. Era
lui? Mi hanno riferito che si è impiccato nella prigione. -
Certamente era lui. Denis
scuote il capo. -
Non ho mai avuto buoni rapporti con il vescovo, ma non avrei certo pensato… - È
un uomo ambizioso. So che sperava di diventare patriarca di Gerusalemme, ma
non ci è riuscito: la nomina di Eraclio gli ha fatto perdere ogni ritegno.
Farebbe di tutto per il potere. -
Ma… pensate davvero che il Saladino accetterebbe di lasciare la perla della
Terrasanta nelle mani di un cristiano.? -
Credo che si sia dichiarato disposto a convertirsi. C’è un accenno nella
lettera, a un impegno preso. E si rivolge al Saladino chiamandolo “Campione
della fede” e poi “Principe dei credenti”! Un vescovo che chiama un
maomettano “Campione della fede”! “Principe dei credenti”! Come lo spiegate,
duca? C’è
un ghigno di scherno sul viso del re. Denis china la testa, come se
riconoscesse la propria sconfitta. Guido
riprende: -
Comunque, duca, non ha importanza sapere se il Saladino avesse intenzione di
mantenere la sua promessa. Quello che conta è la prova inoppugnabile del
tradimento. Queste carte non lasciano spazio a dubbi. Denis
ha esaurito tutte le argomentazioni fasulle che ha preparato per difendere il
vescovo. Il re ha dato le risposte prevedibili: se non l’avesse fatto, Denis
avrebbe provveduto lui a fornirle. -
Purtroppo è così. - Ho
già convocato il patriarca. Umfredo di Toron mi
rappresenterà. Intendo agire in fretta. Denis
è tornato nei suoi appartamenti. Conta di partire l’indomani per Rougegarde, con Eraclio e Umfredo,
quando riceve un messaggio dal figlio. La
lettera gli comunica che l’orafo Solomon è stato arrestato dalle guardie del
vescovo e interrogato, ma non si sa di che cosa sia accusato. Denis capisce
bene di che cosa si tratta ed è angosciato per Solomon: il vescovo, sicuro
del proprio trionfo, vuole estorcergli una confessione per perdere altri. Non
si fermerà davanti a nulla, pensando che nessuno potrà chiedergliene conto. Per
Denis è una giornata d’inferno. Ha bisogno di tutto il suo autocontrollo per
non tradire ciò che prova. Vorrebbe tornare subito a Rougegarde,
ma non può partire e in ogni caso prima che sia arrivato sarà troppo tardi.
La sua rabbia nei confronti del vescovo cresce a dismisura. La
sera stessa arriva un secondo messaggio: nella notte il carceriere è stato
ucciso e Solomon è fuggito o è stato portato via dalla prigione. Altro non si
sa. Denis legge. Non capisce, ma almeno Solomon non è più nelle mani del
vescovo. C’è un altro messaggio per il duca d’Aguilard,
un foglio che il messaggero gli consegna quando sono soli. C’è solo una
frase, molto generica: A
palazzo tutto a posto Denis
sorride, tranquillizzato: Pierre è intervenuto, risolvendo la faccenda, ed è
stato tanto saggio da scrivergli un messaggio che, anche se fosse caduto
nelle mani di uno dei suoi nemici, non avrebbe compromesso nessuno. Solomon
si sta riprendendo. Rimane per la maggior parte del tempo seduto o disteso,
ma è in grado di alzarsi e camminare. Solo la spalla sinistra gli fa ancora
molto male, per cui Istfan gli ha fatto una
fasciatura che gli blocca il braccio. Della sua presenza a palazzo sono
informati, oltre a Pierre d’Aguilard e a Istfan, solo coloro che lo hanno salvato: Ferdinando, Adham e due uomini del conte. È stato Ferdinando stesso a
proporre di assumersi l’intero carico dell’impresa: se qualche cosa fosse
andato storto, Pierre sarebbe stato implicato solo marginalmente. Ferdinando
avrebbe sostenuto di essere a conoscenza del passaggio perché glielo aveva
mostrato Denis e di aver deciso di agire autonomamente. Istfan passa due volte al giorno a visitare
Solomon. Ferdinando viene più spesso. Il
terzo giorno gli dice: - Ho
visto il cappio, Solomon. -
Non c’era altra via. -
Pensavi… - Mi
avrebbero costretto a confessare o, se non fossero riusciti, mi avrebbero
comunque castrato, storpiato. Ferdinando
annuisce. - Mi
chiedo come hai fatto a prepararlo, in quelle condizioni. Anche adesso muovi
a fatica la sinistra. Solomon
passa al tu, adeguandosi a Ferdinando. -
Dovevo farlo, Ferdinando. -
Dovevi farlo, sì, lo capisco. Ma mi chiedo come ci sei riuscito… L’indomani
mattina, molto presto. Ferdinando si alza per pisciare, mentre Adham dorme ancora.
Poi raggiunge la camera di Solomon, che riposa sul letto. Non si è
coperto e la luce che filtra dagli scuri socchiusi è sufficiente per vederlo.
Dorme, ma ha il cazzo duro. Ferdinando si avvicina e lo osserva. È un
bell’uomo, Solomon, un maschio forte, come quelli che piacciono al conte.
Ferdinando sa che dovrebbe uscire dalla stanza e tornare nella propria
camera, ma non riesce a staccare lo sguardo dal cazzo di Solomon, dal corpo
che si offre ai suoi occhi. La
mano scivola sul cazzo dell’orafo. Solomon
si desta. -
Ferdinando! -
Che c’è, Solomon? - Che
cosa stai facendo? -
Controllo che tu stia bene. Se a un maschio viene duro, significa che non sta
così male. Solomon
scuote la testa, mentre la mano di Ferdinando giocherella con il suo cazzo. - Mi
piaci, Solomon, davvero. Se tu non fossi l’uomo di Denis credo che ti avrei
già preso, con le buone o con le cattive. Solomon
sorride. Non ha mai dato davvero importanza ai giochi del corpo. Il legame
che lo unisce a Denis è fortissimo ed unico. Ma del suo corpo può servirsi
per essere più vicino a un amico, per ottenere ciò che gli serve o per
offrire piacere. -
Puoi farlo, se lo desideri, Ferdinando. Ferdinando
rimane senza parole. -
Davvero? Solomon
sorride. -
Sì, ma Denis non deve saperlo. -
Non sarò certo io a dirglielo. - Né
io. Ferdinando
vorrebbe farlo ora, ma teme che le ustioni e il dolore alle articolazioni
rendano il rapporto doloroso per Solomon. Non è uomo da procrastinare il
piacere, ma in questo momento sarebbe disposto a farlo. - Te
la senti, Solomon? -
Sì. Muoviti con cautela. Ferdinando
annuisce. Riflette un attimo, poi si spoglia completamente, passa di lato e
solleva Solomon, spostandolo, in modo che abbia il culo all’estremità del
letto. Si poggia le gambe dell’ebreo sulle spalle. Sul viso di Solomon
compare una smorfia. - Ti
ho fatto male? -
Solo un po’, non ti preoccupare. Ferdinando
si accarezza il cazzo, già duro e guarda il culo che sta per prendere, poi
sorride a Solomon. Gli piace fottere
in questa posizione, guardando in faccia l’uomo che sta inculando. Si
sputa sulla mano, inumidisce bene la cappella, sputa di nuovo e passa le dita
intorno al buco del culo, lubrificandolo. Sorride e preme la cappella contro l’apertura. Entra lentamente, per quanto il desiderio sia violento: vorrebbe spingere con forza, impadronirsi di questo corpo che gli si offre. Vede per un attimo una smorfia di dolore sul viso di Solomon, che lascia il posto a un sorriso. Spinge piano, fino a penetrare a fondo, poi si ritira. Mette le mani sulle ginocchia dell’orafo e guarda il viso, un po’ contratto. Sa che il piacere che gli trasmette non è scevro da dolore. E mentre lo fotte, rivede la scena che gli è apparsa quando hanno aperto la cella, ripensa al gorgoglio della gola tagliata della guardia, che ora sembra mescolarsi con i gemiti di Solomon e con i proprio grugniti. Le sue dita stringono le gambe dell’ebreo, mentre lo cavalca, prima cauto, poi più deciso, senza pietà, trascinato dal piacere che cresce sempre di più. Vorrebbe continuare ancora a lungo, ma il desiderio è incontenibile e l’ondata del piacere lo travolge. Viene con una serie di spinte violente e un grugnito. Chiude gli occhi. Dice: - Grazie. La sua mano afferra il cazzo di Solomon e lo guida al piacere. Gli piace vedere la tensione sul viso dell’orafo, la bocca che si schiude in un gemito, il seme che schizza sul ventre. Ripete
ancora: -
Grazie. Solomon
sorride. Poi
Ferdinando lo sposta di nuovo, con molta cautela. -
Tutto a posto. Il dolore non è aumentato? -
Adesso ho male anche al culo, ma questo l’avevo messo in conto. Ferdinando
gli accarezza il viso con le dita, un tocco lieve. Poi, d’impulso, si china e
lo bacia sulla bocca. Il
duca è tornato a Rougegarde, con il barone Umfredo IV di Toron, rappresentante del re, e con il
patriarca Eraclio. Il vescovo è molto stupito quando gli comunicano la
notizia. Contava che Denis venisse arrestato a Gerusalemme. Bohémond si pone mille domande. Perché il re ha
lasciato in libertà il duca e gli ha permesso di tornare a Rougegarde? Pensa di farlo arrestare qui? Sarebbe una manovra
molto rischiosa, perché il duca potrebbe sfuggire facilmente alla cattura: i
suoi uomini certo lo difenderebbero, anche contro gli emissari del re. Oppure
il re non ha creduto ai documenti? Eppure la lettera non lasciava dubbi.
Vuole altre prove? E
perché il duca non è tornato solo? Perché c’è Umfredo?
E, soprattutto, perché Eraclio? Il patriarca di Gerusalemme non ha nessun
ruolo nell’arresto di uno dei signori del regno. Non è una faccenda
religiosa, questa. Dopo
aver sistemato i suoi ospiti, Denis parla con Pierre, che racconta quanto è
avvenuto. Denis
lo abbraccia e dice: -
Sono orgoglioso di te, figlio. Pierre
è felice dell’approvazione del padre. L’arresto di Solomon lo ha costretto a
prendere una serie di decisioni delicate, per cui avrebbe preferito avere il
padre al suo fianco. Denis
chiede ancora: -
Dov’è Solomon, ora? -
Nell’appartamento di Ferdinando. -
Perfetto. Denis
si reca dall’amico e si fa accompagnare da Solomon. Ferdinando esce e li
lascia soli. Solomon
è seduto su una poltrona, il braccio al collo. È a torso nudo e i segni delle
ustioni sono ben visibili. Denis non dice nulla, sopraffatto dall’emozione:
le parole gli mancano e gli sembra di essere senza forze. Solomon sorride. -
Sono qui, Denis. Sono vivo e intero. Il braccio sinistro mi fa male, ma Istfan dice che non è niente di grave, andrà a posto,
bisogna solo dargli tempo. E delle bruciature rimarranno soltanto le
cicatrici. Denis
annuisce. Tende un braccio e la sua mano traccia una carezza leggera sul viso
dell’uomo che ama, scende al petto, evitando le zone bruciate. Denis ha un
groppo alla gola, non riesce a parlare, a esprimere la propria sofferenza. La
sua mano scende fino alle brache, si ferma. Solomon
coglie la domanda inespressa. -
Non mi hanno fatto niente. Mi hanno detto che il giorno dopo mi avrebbero
castrato, ma non hanno fatto in tempo. Non angosciarti, Denis, è stato solo
un brutto momento. Denis
annuisce. Poi chiede: -
Che cos’altro ti hanno fatto? - Mi
hanno stuprato, la guardia e il carnefice. E a parte quello, niente di
significativo. Di
nuovo Denis fa un cenno con il capo. Solomon
allunga il braccio destro, posa la mano sulla nuca di Denis e lo attira a sé.
Denis scivola in ginocchio davanti a lui, appoggia la testa sulle ginocchia.
Solomon gli accarezza il capo. - Va
tutto bene, Denis. Va tutto bene. Denis
chiude gli occhi. Si abbandona a questa carezza che lenisce il suo dolore. Solomon
dice ancora: -
Voleva perdere Pierre e Jacques. Voleva farmi confessare che avevo avuto rapporti
con loro, con Emich, con Ferdinando. Sperava di
accendere un grande rogo. Denis
freme. -
Pagherà, Solomon, pagherà. Nulla gli sarà risparmiato, te lo garantisco. Si alza e bacia Solomon sulla bocca. -
Ora devo andare a preparare tutto. A più tardi. L’indomani
mattina Bohémond riceve una convocazione al palazzo
ducale. Una comunicazione formale, in cui Umfredo,
in qualità di rappresentante del re, con pieni poteri, gli intima di
presentarsi immediatamente. Non è un invito: è un ordine perentorio, a cui Bohémond non può certo sottrarsi. Sembra quasi che
sospettino di lui. Il duca potrebbe aver convinto il re che la lettera è
falsa e che è una manovra del vescovo? Potrebbe essere. In questo caso la
manovra è fallita, ma il duca non potrà provare niente. Bohémond è nervoso. Viene introdotto nella
sala, dove Denis di Rougegarde ha ceduto il seggio
ducale al barone e si è messo alla sua sinistra. Alla destra c’è invece
Eraclio. I tre uomini sono seduti e Bohémond, a cui
non è stata data una sedia, rimane in piedi davanti a loro. Ha l’impressione
di essere l’imputato in un processo, un’impressione che le parole di Umfredo confermano: - Bohémond, vescovo di Rougegarde
e di San Giacomo d’Afrin, sono qui in qualità di
rappresentante dei nostri sovrani per interrogarvi. -
Interrogarmi? -
Sì. Dovete rispondere alle domande che vi farò. Bohémond fa un cenno d’assenso. -
Ubbidisco all’ordine del re. - Un
messaggero diretto ai territori dei nostri nemici è stato intercettato, con
una vostra lettera, che non lascia dubbi sulle vostre intenzioni. Bohémond è rimasto stupefatto: non si aspettava
un’accusa del genere. Guarda
il duca, che assiste impassibile. Il colpo viene da lui e la presenza di Umfredo e di Eraclio gli dice che è un colpo mortale. È
la sua vita stessa a essere in pericolo. Cerca di difendersi. -
Non ho inviato nessun messaggero. -
Jules Randonnay non era un vostro uomo? Mi dicono
che fosse uno dei più fidati e che gli affidaste spesso missioni delicate. Bohémond impallidisce. Se sanno che il
messaggero era Jules, di certo non crederanno mai che l’abbia mandato il
duca. Ha
l’impressione che gli manchi l’aria . Intuisce di essere perduto. Cerca di
difendersi, ma non si aspettava l’accusa, è disorientato, confuso. Commette
un errore, che cancella le sue già minime possibilità di riuscire a
discolparsi: -
No… cioè… sì, era un mio uomo, ma non l’ho inviato io dall’emiro. Umfredo lo guarda, poi dice con una voce
gelida: -
Come sapete che era diretto all’emiro? Io non l’ho detto. Bohémond rimane paralizzato - Negate
di aver ricevuto diverse lettere dall’emiro? -
Nego, non ho mai corrisposto con lui. Io, vescovo di Rougegarde,
corrispondere con l’emiro? Come avrei potuto corrispondere con un infedele? Umfredo scuote la testa. Si rivolge a Denis: - Fate
entrare l’uomo. A un
gesto di Denis un arabo viene introdotto. È un
uomo di circa quarant’anni, brutto di viso, ma con un corpo forte. Il suo
portamento altero fa pensare che abbia una posizione importante. Umfredo si rivolge a Bohémond. -
Quest’uomo è stato fermato ieri sera, mentre stava venendo da voi. - Da
me? L’uomo
parla a Denis, in arabo. -
Duca, devo nuovamente protestare per il trattamento che mi è stato riservato.
Non sono un malfattore. Sono venuto in pace a portare un messaggio da parte
del mio signore e sono stato arrestato ieri sera, mentre mi apprestavo a
svolgere il compito assegnatomi dal mio signore. -
Non siete stato arrestato, ve l’ho già detto, ma ho dovuto trattenervi. Non è
mio costume trattenere a forza chi non commette reati, ma nel vostro caso è
stato necessario per scoprire un crimine. Bohémond conosce abbastanza l’arabo per
comprendere la conversazione, ma non riesce a capire chi sia quest’uomo e
perché lo abbiano fatto venire. L’uomo
replica, con durezza: -
Non ho partecipato a nessun crimine. -
Voi no, lo so. Rispondete a ciò che vi verrà richiesto e recupererete la
vostra libertà. Il
duca fa un cenno a Umfredo. Il
barone guarda l’uomo e chiede: -
Chi sei? - Mi
chiamo Qais ibn Rashad, detto al-Albashie. Sono
un ufficiale al servizio dell’emiro ‘Izz ibn Ashraf, signore di Jabal al-Jadid. -
Perché sei qui a Rougegarde? -
Sono venuto ad al-Hamra perché mi ha inviato il mio
signore, come sapete benissimo, visto che mi avete sottratto il messaggio che
portavo con me. Qais appare irritato da queste domande, che
evidentemente gli appaiono inutili. - E
perché ti ha mandato qui? -
Per portare un messaggio, quel messaggio che mi è stato preso quando sono
stato arrestato. Qais lancia un’occhiata al duca, lasciando
trapelare un’irritazione crescente. - È
la prima volta che portavi un messaggio del tuo signore? Qais esista un attimo, poi risponde: -
No, sono già venuto due volte. - A
portare messaggi del tuo signore? -
Sì. - Li
hai ricevuti da lui in persona? -
Sì, sempre dalle sue mani. - E
a chi erano destinati? -
Anche questo lo sapete, penso. Comunque dovevo consegnarli al vescovo. Bohémond rimane un momento senza parole. Poi
esplode: -
Non è vero! Non è vero! Quest’uomo mente! È una congiura! Umfredo guarda il vescovo con una smorfia di disprezzo.
Il duca dice, con un sorriso ironico: -
Parlate di congiura, voi? Qais sembra perplesso, come se non capisse
che cosa succede. Le sue conoscenze della lingua dei franchi sembrano
limitate, probabilmente non capisce pienamente ciò che viene detto. Umfredo si rivolge di nuovo a lui. - Li
hai sempre consegnati al vescovo? -
Certo, nelle sue mani. Avevo ordine di non darli a nessun altro. - Ti
presentavi al palazzo vescovile? -
No, avevo ordine di rivolgermi a un uomo che vive lì vicino, Jules Randonnay. - Li
davi a lui? -
No, ve l’ho detto. Potevo darli solo al vescovo. Jules andava a chiamarlo e
io gli davo i messaggi. Bohémond è schiacciato. Si rende conto di
essere perduto. -
Non ho ricevuto niente. Quest’uomo mente! Non mi ha mai portato niente. Umfredo lo guarda. Nei suoi occhi Bohémond legge infinito disprezzo. -
Vescovo, come vi ho detto un vostro messaggero è stato intercettato. La
vostra lettera è nelle mani del re e ora io ho la lettera che vi ha inviato
l’emiro, per chiedervi come mai non gli avete ancora inviato ciò che vi
eravate impegnato a mandare. La testimonianza di quest’uomo… Bohémond lo interrompe, con una voce che
l’angoscia rende stridula: - È
un saraceno, un maomettano, un infedele. La sua parola contro quella di un
vescovo? Umfredo scuote la testa. - Le
vostre parole, vescovo, quelle che avete scritto voi, sono sufficienti a
condannarvi. -
Non è possibile, non è possibile. È una congiura contro di me. È quest’uomo! Bohémond punta un braccio contro Denis. -
Questo figlio del demonio, che protegge eretici, ebrei e maomettani.
L’Anticristo. È lui, è lui… Eraclio
non ha detto nulla fino a ora. Interviene: -
Vescovo, non è più il tempo delle accuse, questo. Neanche il tempo della
difesa. È ora di confessarvi e raccomandare la vostra anima a Dio. Bohémond è impallidito. Arretra. Denis
fa un cenno ai soldati, che portano via il finto Qais.
Poi guarda Umfredo, che si alza in piedi e dice: - Le
loro maestà hanno pronunciato una condanna a morte e mi hanno inviato qui per
interrogarvi e valutare se farla eseguire o richiedere ulteriori indagini.
Ciò che è emerso non lascia spazio a dubbi di sorta e rende inaccettabile
qualsiasi rinvio. Patriarca, avete qualche cosa da dire? Eraclio
risponde: -
Che Iddio abbia pietà della sua anima. Umfredo conclude: - In
nome delle nostre maestà, Guido e Sibilla, confermo il verdetto di
colpevolezza che è stato pronunciato e affido al duca il compito di eseguire
al più presto la sentenza. L’esecuzione non sarà pubblica, in segno di
rispetto per nostra Santa Madre Chiesa, che voi così indegnamente avete
rappresentato. Denis
fa un cenno a Pierre, che è al fondo della sala. Pierre apre la porta.
Entrano otto soldati armati. Bohémond grida: -
No, no, non ho tradito. È lui, è il duca, il traditore, l’Anticristo. Eraclio
sibila: -
Tacete e pensate all’anima vostra. La
notizia dell’arresto e della condanna a morte del vescovo viene messa in
circolazione poche ore dopo e per tutto il pomeriggio a Rougegarde
non si parla d’altro: per quanto le tensioni tra il duca e il vescovo fossero
note a tutti, nessuno si aspettava che Bohémond
fosse colpevole di alto tradimento. Ma il rappresentante del re e il
patriarca di Gerusalemme sono venuti per il processo e la condanna. Il
vescovo sarà giustiziato domani stesso: il re ha dato ordine di procedere al
più presto all’esecuzione, se quanto emerso dalla lettera intercettata fosse
stato confermato dall’interrogatorio. Eraclio
di Cesare è molto turbato. In questa terra dove molti cristiani hanno versato
il loro sangue in nome della fede, è la prima volta che un vescovo deve
essere giustiziato. - È
terribile. Che un uomo così si sia lasciato condurre a tal punto dal
desiderio di potere… Denis
d’Aguilard annuisce. - L’ambizione
lo ha accecato. Contava di diventare patriarca. Non ha mai accettato che
siate stato scelto voi. Eraclio
annuisce. Sapendo che i rapporti tra il duca e il vescovo sono sempre stati
molto difficili, teme che Denis voglia giustiziare pubblicamente Bohémond per vendicarsi, nonostante l’ordine del re. -
Duca, l’uomo che renderà domani l’anima al suo Signore, è un servitore
dell'Onnipotente. Come ha detto l’inviato del re, la condanna non può essere
eseguita pubblicamente. Sarebbe un’offesa per la Chiesa. Il
duca annuisce. -
Certamente, patriarca. L’avevo pensato anch’io, prima di sentire l’ordine
esplicito dato dai sovrani. Sarebbe stato infamante. Lo giustizieremo
nell’appartamento in cui lo teniamo prigioniero. - Se
penso che un cristiano spegnerà la vita di un vescovo… - Ho
pensato anche a questo. Prenderemo uno schiavo musulmano. Ne posseggo uno che
fa al caso nostro. Eviteremo così che sia un cristiano a uccidere un vescovo. Il
patriarca sembra sollevato. Ora che i problemi di procedura sono stati
risolti, può tornare a occuparsi d’altro. Per quanto l’esecuzione di un
vescovo lo turbi, se tutto avverrà a porte chiuse, non ci sarà un ulteriore
scandalo. D’altronde Bohémond non ha mai riscosso
la sua simpatia: troppo ambizioso, questo vescovo di Rougegarde
che ambiva a diventare patriarca di Gerusalemme. Umfredo parla con Denis in un momento in cui
Eraclio non è presente. - Il
re avrebbe voluto un’esecuzione pubblica. Eviscerazione, castrazione e
squartamento. Il patriarca si è opposto. Capisco le sue ragioni, ma è un
crimine talmente orrendo… Sua maestà ritiene comunque che il vescovo debba
avere una pena infamante, anche se rimarrà segreta. Denis
è sorpreso: con il re ha parlato, ma non gli ha detto niente. È vero che il
colloquio è avvenuto prima che il re convocasse Umfredo
ed Eraclio, affidando loro il compito di giudicare il vescovo. -
Sarà fatto. Denis
aveva già deciso di vendicarsi, ma l’invito del re gli lascia carta libera.
Il vescovo non ha tradito per consegnare Rougegarde
ai saraceni, ma voleva far morire il principale difensore del regno per i
suoi obiettivi di potere e per desiderio di vendetta: un tradimento non meno
grave. Umfredo prosegue: -
Quell’uomo non merita riguardi. Un vescovo disposto ad abiurare e a
consegnare una città in mano al Saladino… Meriterebbe di finire affogato in
una cloaca. Non deve essere sepolto in terra cristiana. Gettate davvero il
suo cadavere nelle fogne: è la fine che merita. Denis
annuisce. Concorda con il suo interlocutore. L’indomani
mattina Eraclio e Umfredo partono per Gerusalemme.
Poiché l’esecuzione non sarà pubblica, non ritengono necessario assistere. Umfredo sarebbe rimasto, ma Eraclio preferisce lasciare
la città prima che il vescovo venga giustiziato. Denis
manda un sacerdote da Bohémond per confessarlo.
Dopo mezz’ora il confessore esce. Si
rivolge a Denis e dice: - Si
protesta innocente, duca. Denis
risponde, fermo: - Le
loro maestà hanno pronunciato una condanna a morte. L’inviato del re l’ha
confermata. Il patriarca l’ha approvata. Denis
non aggiunge altro. Il sacerdote china la testa. Il vescovo gli è parso
sincero, per cui ha preferito esprimere il suo dubbio, ma non può sapere come
stanno le cose. E in ogni caso, ora è tardi. Il vescovo verrà giustiziato.
Che Iddio abbia pietà della sua anima. Se davvero voleva consegnare Rougegarde ai saraceni… Quando
il duca e Mahmud entrano nella stanza, Bohémond si
alza in piedi. Il vescovo fissa il duca. Nel suo sguardo si legge un odio
senza limiti. - È
giunta l’ora, vescovo. In bocca al duca il titolo ha un sapore di scherno. Il vescovo non dice nulla: sa bene che ormai le parole sono inutili. Il
duca fa un cenno. Mahmud passa una corda intorno al polso destro del vescovo,
poi la stringe intorno al sinistro, legandogli le mani dietro la schiena. Il
vescovo ha un piccolo scatto. -
Venite con noi, vescovo. Il
duca prende una chiave dalla cintura e apre una porta della stanza, percorre
un breve corridoio, poi apre una seconda porta, prende una torcia che
qualcuno ha acceso e lasciato appesa a un anello nel muro e incomincia a
scendere le scale. Il vescovo segue, riluttante, spinto da Mahmud. -
Dove mi portate? - Al
luogo dell’esecuzione, vescovo. Al
termine della scala, un nuovo corridoio, in cui si aprono tre porte. Il duca
prende un’altra chiave e fa scattare la serratura della prima. La stanza in
cui entrano è spoglia. Solo un tavolo, una sedia, qualche straccio, due
secchi di legno sotto il tavolo, uno pieno d’acqua e uno vuoto. Il vescovo
registra mentalmente queste cose. Si accorge di rabbrividire. Mahmud
gli scioglie la corda che gli stringe i polsi. -
Spogliatevi, vescovo. -
Spogliarmi? Perché mai? Che cosa volete fare? -
Verrete strangolato, vescovo, lo sapete. Perciò perderete il controllo dei
vostri visceri. Volete che le vostre vesti siano lordate? Che coloro che vi
chiuderanno nella bara raccontino che il vescovo puzzava di piscio e merda?
Spogliatevi. Un’ultima
umiliazione. Bohémond non può sapere che nessuno
vedrà il suo cadavere e che Denis sta inventando una scusa per realizzare più
facilmente quello che ha in mente. Il
vescovo lentamente si spoglia. Prima di abbassare i calzoncini, esita un
attimo, ma poi obbedisce. Mahmud gli lega di nuovo le mani dietro la schiena. Il
vescovo stringe i denti. Fa per sedersi sulla sedia, ma il duca sorride e
scuote la testa. Prende il secchio vuoto e vi getta dentro uno straccio. Poi
si abbassa le brache e incomincia a pisciare nel secchio. Il vescovo non
capisce. Quando
Denis d’Aguilard ha concluso, Mahmud prende il
secchio e lo posa sulla tavola. Poi con tutte le sue forze colpisce al ventre
il vescovo con un pugno. Bohémond si piega in due,
inebetito dal dolore, e spalanca la bocca per far entrare aria. Con un
movimento rapido, il boia afferra lo straccio intriso di piscio e glielo infila
in bocca, poi gli passa intorno alla testa una striscia di panno,
imbavagliandolo. Il vescovo volge lo sguardo al carnefice, che sorride e di
nuovo lo colpisce con forza allo stomaco. Bohémond
si piega in due e Mahmud lo spinge contro il tavolo, forzandolo ad appoggiare
il torace sul ripiano. Denis
dice: -
Questo è un mio regalo personale, vescovo. Perché dalla vostra bocca sono
uscite solo falsità e calunnie. Il
duca fa un cenno. Mahmud si cala i pantaloni, esibendo una mazza tesa ed
imponente. Si mette di fianco al vescovo e gliela fa vedere. Bohémond capisce e cerca di alzarsi, ma il boia glielo
impedisce. -
Questo invece è per Solomon. È quello che ha subito ad opera dei vostri
uomini. Il
vescovo cerca di gridare, ma il bavaglio gli impedisce di farlo: riesce solo
a emettere una serie di mugolii. Mahmud
gli divarica le natiche e lo incula con una spinta decisa. Il vescovo ha un
guizzo: il dolore è lancinante. Denis d’Aguilard
sorride. Mahmud
fotte con energia, a lungo. Infine
il vescovo sente le spinte più violente che gli riempiono le viscere di un
liquido caldo. Le lacrime gli colano sul viso. Mai ha subito una simile
umiliazione. Il
duca prende il secchio e ne lancia il contenuto in faccia al vescovo. - Siamo
alla fine, vescovo. Ma vi devo ancora qualche cosa per Pierre, che avete
cercato di far morire solo perché era mio figlio. Mahmud
afferra i testicoli del vescovo e incomincia a stringere. Il viso di Bohémond diventa rosso. Ondate di dolore lo invadono.
Quando i coglioni cedono, sviene. È il
liquido che gli scorre sulla faccia a farlo rinvenire: Mahmud gli sta
pisciando in faccia. Quando vede che il vescovo ha aperto gli occhi, lo
schiavo gli passa un laccio intorno al collo. Bohémond
ringrazia Dio che il suo martirio sia giunto alla fine. Lo
schiavo si appoggia su di lui, schiacciandolo contro il tavolo. Il
vescovo sente ancora la voce del duca: -
Ora avrete la morte che vi meritate, prima che il vostro corpo sia gettato
nella cloaca. Non avrete sepoltura in terra consacrata. Per uno come voi, c’è
posto solo nelle fogne. Le
parole del duca sono una staffilata, ma svaniscono di fronte al dolore che
gli esplode in culo, atroce oltre ogni misura. Bohémond
cerca di liberarsi, di sfuggire alla spada che è stata introdotta attraverso
l’apertura e ora lentamente gli penetra nelle viscere. Ma la spada non si
arresta: avanza molto piano, squarciandogli gli intestini. Vorrebbe gridare,
ma riesce solo a emettere un mugolio disperato. Quando la spada è tutta dentro
il suo corpo e l’elsa preme contro l’apertura lacerata, Bohémond
sente un nuovo inferno accendersi nella sua gola. Il laccio stringe e il
respiro gli manca. Non ha più la forza di dibattersi. La morte è una
liberazione. Denis
fa un cenno con la testa e Mahmud si carica il cadavere su una spalla. Segue
il duca, che scende ancora lungo una scala, fino a raggiungere un pozzo al
fondo del quale scorre un canale della fognatura. A un cenno di Denis, Mahmud
fa scivolare il suo carico nel pozzo. Il cadavere precipita fino a
sprofondare nel liquame, che lo inghiotte. Il
duca e Mahmud risalgono le scale. Mahmud guarda il duca davanti a lui. Pensa
che al posto di Denis d’Aguilard altri lo farebbero
uccidere, perché non possa raccontare l’orrenda vendetta che il duca ha preso
sul vescovo. Ma Mahmud sa che otterrà la libertà che gli è stata promessa:
Denis d’Aguilard è un uomo di parola. Mahmud potrà
raggiungere i suoi fratelli, dopo mesi di prigionia. Dopo
la morte del vescovo il carnefice che ha torturato e stuprato Solomon viene
arrestato. Processato in segreto, viene condannato a morte per stupro e
sodomia. Lo impiccano in uno dei cortili del palazzo. La
stessa sorte è riservata allo scrivano che ha scritto la falsa lettera di
Denis all’emiro: viene condannato per tradimento e impiccato. Il
palazzo del vescovo viene perquisito. Il duca scrive al re di aver trovato
altri documenti che confermano il tradimento di Bohémond
di Tours. Dopo
qualche giorno Ferdinando e Adham ripartono.
Solomon ormai sta bene, anche se porta ancora il braccio al collo. Mahmud
passa a salutare il fratello, che gli dà alcuni doni da portare agli altri
fratelli e alle donne della casa. -
Avevo preparato questi monili per quando saresti tornato dai nostri fratelli. Mahmud
prende gli oggetti. Sono gioielli splendidi, come tutti quelli opera di
Solomon. -
Questo invece è per te. Solomon
porge un bracciale su cui è incisa una scena di lotta: due uomini che si
affrontano nudi. Guarda il fratello, sorride e aggiunge: -
Per un valente lottatore. - Il
mio fratello è generoso, ma questo lo sapevo già. Vorrei lottare con te
un’ultima volta, ma non è possibile. -
Forse avremo modo di farlo ancora, in futuro. Solomon
fa un passo avanti, passa una mano dietro la vita di Mahmud e lo attira a sé.
Si abbracciano e rimangono stretti così un momento. Ishan e i suoi fratelli sono a casa quando
arriva un messaggero, con una notizia che provoca una grande agitazione: sta
per giungere Mahmud, che è stato liberato dal duca Denis. Ishan
dà ordine di preparare una grande festa e con i suoi fratelli si avvia
incontro a Mahmud. Nella
casa tutti si mettono al lavoro, sotto la direzione delle mogli dei fratelli
di Ishan. Anche Riccardo collabora ai preparativi,
mentre alcuni servitori vengono mandati a invitare le altre famiglie della
valle. In
serata arrivano Ishan e i suoi fratelli con Mahmud.
Appaiono tutti felici e si abbracciano in continuazione. La
sera si svolge il grande banchetto, a cui sembra partecipare tutta la valle. Ma
Riccardo sente dire che è solo il primo di una serie di festeggiamenti in
onore di Mahmud, che andranno avanti per un’intera settimana. Il banchetto
prosegue fin quasi al mattino e quando si corica Ishan
sprofonda immediatamente nel sonno. Riccardo rimane sveglio un momento a
pensare, ma poi la stanchezza ha la meglio e anche lui si addormenta. Il
mattino dopo fervono i preparativi per i nuovi festeggiamenti, che proseguono
per diversi giorni, come è stato annunciato. Ishan
è sempre indaffarato e si occupa ben poco di Riccardo, che aiuta gli altri
servitori a preparare i banchetti. La sera si coricano sempre molto tardi,
dopo aver bevuto e mangiato molto, e Ishan si
addormenta senza cercare il corpo di Riccardo. Riccardo
si chiude in un silenzio che interrompe solo quando è indispensabile. Osserva
Ishan e i suoi fratelli, guarda le altre persone
intorno a sé. Pensa molto, forse troppo: le sue riflessioni lo fanno stare
male, ma Riccardo si rende conto che è giunto il momento di fare chiarezza
dentro di sé. Infine
i festeggiamenti si concludono. Riccardo ha meditato ancora a lungo
nell’ultima notte, un’altra di quelle in cui si sono messi a letto molto
tardi e non hanno fatto l’amore. Questa volta non ha quasi dormito. Si
sente lacerato, ma sa che parlerà. Quando
si alzano, Riccardo si rivolge a Ishan: -
Avevi promesso che mi avresti lasciato libero se tuo fratello Mahmud fosse
tornato. Ishan si irrigidisce. Guarda Riccardo negli
occhi. Riccardo sostiene lo sguardo. Gli sembra di leggere sofferenza, forse rabbia.
Ishan si volta e si allontana, senza dire nulla. Per
tutto il giorno Ishan non gli rivolge più la
parola, ma ogni tanto lo guarda. L’allegria dei giorni precedenti è svanita. Riccardo
rimane in silenzio: non parla con nessuno. Quando
arriva la notte e tutti si coricano, Ishan si
rivolge a Riccardo. -
Vieni con me. Escono
nello spiazzo davanti alla casa. Un cavallo è legato a un palo, con una
bisaccia sul dorso. Ishan gli indica il destriero,
uno splendido animale. Poi gli prende un braccio e gli mette in mano una
borsa. Riccardo la sente pesante, carica di monete. - Ho
una parola sola. Nessuno ti fermerà. Sali a cavallo e vattene. Potrai
raggiungere Aleppo in due giorni. Ishan si volta e rientra in casa, accostando
la porta dietro di sé. Riccardo
rimane fermo nell’oscurità a guardare il cavallo, tenendo la borsa piena
d’oro in mano. La luna è alta in cielo e c’è abbastanza luce per seguire
senza difficoltà la pista che percorre la valle. La notte è fresca, il calore
del giorno è svanito. Condizioni ideali per cavalcare. Oltre
la valle ci sono cittadine, in cui Riccardo può fermarsi: nella borsa ci
devono essere abbastanza monete per vivere mesi interi. Aleppo non è lontana
e i possedimenti cristiani neppure. Riccardo potrà ritrovare gli amici, la famiglia,
riprendere la sua attività. Riccardo
annuisce, come se si dichiarasse d’accordo con un interlocutore invisibile. Si
volta e spinge la porta che Ishan non ha chiuso. La
casa è immersa nell’oscurità, ma un po’ di luce lunare filtra dalle finestre.
Riccardo raggiunge la camera da letto di Ishan. Sa
che Ishan lo ha sentito arrivare, ma il curdo non
dice nulla. A tentoni Riccardo cerca la cassa e vi posa la borsa. Poi si
spoglia e si stende sulla sua parte del letto. Con un movimento lento si
avvicina al centro, fino a che avverte che il corpo di Ishan
è vicinissimo al suo. Allora si volta verso la parete, dando la schiena a Ishan. Sente
la mano di Ishan sul suo fianco, poi il corpo che
aderisce al suo, il braccio che lo stringe. Rimangono un momento immobili,
poi Ishan lo accarezza, a lungo, e per la prima
volta lo bacia. Infine
Ishan si sposta leggermente e le sue dita
inumidiscono l’apertura. Ishan spinge lentamente e
Riccardo sente la poderosa mazza trafiggerlo. Quando arriva in fondo, Ishan lo bacia di nuovo sul collo e gli sussurra: -
Grazie, fratello. |