Il
mercante Giovanni è uno degli uomini più ricchi di Rougegarde. Possiede una
grande casa, che forma un intero isolato e comprende la sua abitazione
personale, la sua bottega con il magazzino, altre due botteghe, alcuni
appartamenti affittati e la locanda della Luna Piena, la più rinomata del
ducato. In
città tutti conoscono la casa e sanno che Giovanni gode della fiducia del
duca. Denis di Rougegarde ha sistemato nella sua casa due donne che molti
ritengono essere state le sue amanti, l’ebrea Sarah e l’araba Mara. Secondo
le dicerie Sarah avrebbe avuto due figli da Denis e Mara uno. Entrambe le
donne si sono poi sposate: Sarah con Pierre da Caen, un ufficiale del duca;
Mara con Shirkuh, uno scrivano della cancelleria
ducale, che stende i testi in arabo e in curdo. Anche
uno dei due medici di fiducia del duca abita nella casa: Istfan,
un arabo cristiano. E una delle botteghe che danno sulla strada è affittata
al miglior orafo di Rougegarde, l’ebreo Solomon, che lavora spesso per il
duca e ha un proprio laboratorio nel
palazzo. La
locanda è nota anche perché da molti anni vi vive Emich. È un uomo anziano,
che i saraceni hanno reso eunuco, ma che non conserva rancore nei loro
confronti e pare non odiare nessuno: parla invece spesso di amore e sostiene
che tutti gli uomini dovrebbero essere fratelli. Su di lui circolano voci
diverse. Alcuni dicono che sia un eretico, altri invece lo considerano un
santo. Tutti sanno che il vescovo lo odia e vorrebbe perderlo, ma il duca lo
protegge. Nella
casa di Giovanni c’è una mescolanza di gente, lingue e religioni come non
avviene in nessun’altra città del regno, ma Rougegarde stessa è un’eccezione,
con la sua popolazione molto composita. Quando Denis d’Aguilard la conquistò,
senza colpo ferire, non scacciò musulmani ed ebrei e tutte le religioni sono
tollerate. È uno dei motivi per cui esiste un’aperta ostilità tra il duca e
il vescovo. Giovanni
ha ormai sessant’anni. Continua a seguire i suoi affari, ma non viaggia più
sulle lunghe distanze: talvolta va al magazzino di Santa Maria in Aqsa, dove
un tempo risiedeva e dove abitualmente imbarca le merci dirette verso i
mercati europei, o raggiunge qualche barone che ha richiesto delle merci:
Giovanni rifornisce di stoffe pregiate molti dei principali signori del
regno. Ormai non ha più voglia di stare a lungo lontano dalla famiglia. La
moglie Louison, che un tempo gestiva la locanda con
Mariette, gli ha dato tre figli, di cui il
maggiore, Nino, ha quasi vent’anni e lo affianca nella gestione della
bottega. La seconda, Maria, si è appena sposata con un facoltoso artigiano
della città. È
invece il nipote Riccardo a viaggiare, spingendosi fino a Damasco, ad Aleppo
e ad Amman: gli scambi commerciali della bottega avvengono soprattutto con i
territori saraceni a oriente e con i mercati europei a occidente, oltre che
naturalmente all’interno del regno di Gerusalemme. Riccardo
ha trentott’anni e viaggia volentieri. Non ha una famiglia e neppure un
compagno e nei territori saraceni può dedicarsi agli affari e guardarsi
intorno, alla ricerca di qualche maschio interessante. Anche nei domini
cristiani non mancano le occasioni, ma bisogna fare più attenzione: c’è una
notevole intolleranza e da ragazzo Riccardo ha rischiato di finire sul rogo a
Santa Maria in Aqsa, dove in più d’una occasione alcuni sodomiti sono stati
bruciati. A Rougegarde i rischi sono ridotti, perché il duca è molto
tollerante e il vescovo Bohémond ha un’autorità limitata. Ma Riccardo deve
anche badare a non farsi una cattiva reputazione, che potrebbe danneggiare
gli affari della famiglia. Nella
casa ha qualche volta rapporti con Morqos e, di rado, con Solomon, che gli
piace moltissimo. Riccardo
si appresta a partire per Damasco, con un carico di merci. Conta di ritornare
entro un mese, con un altro carico. Questi spostamenti presentano sempre
diversi rischi, perché ci sono banditi che a volte assalgono le carovane: per
questo i mercanti evitano di viaggiare da soli. Riccardo partirà tra
tre-quattro giorni, con una carovana
che dovrebbe arrivare da Tiro: trasporta merci arrivate da Venezia e da
Costantinopoli, con le ultime navi che hanno affrontato il viaggio. Con
l’avvicinarsi dell’inverno, sono sempre meno le navi che solcano il
Mediterraneo e per i prossimi carichi bisognerà aspettare la primavera.
Adesso è tardo autunno, stagione ideale per viaggiare: le strade e le piste
sono percorribili e se pernottare all’aperto nelle aree montuose è disagevole,
perché le temperature sono basse, muoversi durante il giorno è meno faticoso
che in estate, quando il calore diviene soffocante. Quando
smette di lavorare, Riccardo passa nella locanda per mangiare. Di solito si
ferma a cena dallo zio, ma questa sera Giovanni ha invitato alcuni mercanti,
tanto ricchi e importanti, quanto tronfi e noiosi, e Riccardo non ha voglia
di mangiare con loro. C’è anche un altro motivo che lo spinge a mangiare
nella locanda, oltre agli invitati dello zio e alla cucina molto buona: da
due giorni vi si è stabilito un nuovo ospite, Lucas. Si
tratta di un uomo sui venticinque anni, alto e forte, con lunghi capelli
biondi e una fitta barba, di un colore più scuro dei capelli. Appartiene a
una ricca famiglia lionese ed è giunto da pochi mesi in Terrasanta, per
compiere il pellegrinaggio a Gerusalemme, ma, come per molti altri che
compiono il passaggio oltremare, nella scelta di viaggiare il gusto
dell’avventura e il desiderio di conoscere nuove terre non sono stati di
certo meno importanti della fede. Dopo
essersi recato nella capitale, ha deciso di visitare alcune città. Tra queste
non poteva mancare Rougegarde, la perla della Siria, più bella della stessa
Gerusalemme, di Damasco, di Aleppo, di Jabal al-Jadid:
la città dai palazzi in pietra rossa, celebrata in infiniti racconti,
descritta dai viaggiatori con un entusiasmo unanime, cantata dai poeti: Al-Hamra, splendido sogno che si disvela agli occhi increduli di tanta bellezza. Al-Hamra, cascata di palazzi che dall’alto della collina scende al fiume dalle acque lucenti. Al-Hamra delle cento moschee minareti aguzzi da cui si leva il richiamo per l’umile preghiera dei credenti. Al-Hamra delle grandi dimore superbe torri svettanti ombre silenti di antichi cortili frescura di giardini segreti. Al-Hamra delle mura possenti, baluardo invalicabile, degno scrigno di un gioiello inestimabile. Per
i musulmani la sua perdita è stata una tragedia, seconda solo alla conquista
crociata di Gerusalemme. Piangi, figlio dell’Islam, piangi le tue lacrime Al-Hamra, la splendida, Al-Hamra, nostro orgoglio, Al-Hamra, rubino purissimo Al-Hamra, cittadella della fede, è nelle mani dell’infedele. I credenti devono sottostare al volere di un miscredente. I cuccioli di cani hanno scacciato i leoni. Alla terra di gloria è stato strappato il mantello dello splendore e ha dovuto indossare l’abito infame dell’umiliazione. Questa città, un tempo così regale piange la perduta forza. Chiunque tu sia, afferma la tua fede con i fatti distruggi i cani latranti che dilaniano la città. Svegliati al canto delle spade, alzati e combatti, ché non ti venga rimproverata la tua fede troppo debole. Preparati a combattere. Ventidue
anni sono passati dal giorno della conquista, ma nessun sovrano musulmano è
mai riuscito a riprendere Rougegarde. Neppure il Circasso, che aveva
soggiogato molte città in Siria, ha potuto assediare le sue mura: il duca lo
ha fermato sui monti e il luogo della battaglia, dove un intero esercito è
stato distrutto, si chiama ancora Passo dei Morti. Quando
l’ha vista per la prima volta, dalla collina antistante, Lucas è rimasto
ammirato. Temeva di essere deluso, perché l’aveva sentita decantare troppo
volte, ma la bellezza di questa città, che si allunga su un pendio, è davvero
senza pari. Le case sono tutte in quella pietra rossa, che è valsa alle città
il nome arabo, al-Hamra, la rossa,
e poi quello franco di Rougegarde. Molti edifici sono veri e propri palazzi,
dalle facciate spesso finemente decorate. E la residenza ducale, in alto, è una
fortezza imponente, che tutti giudicano imprendibile. Entrando
in città, Lucas è rimasto colpito dalla pulizia. Le città europee e quelle
che ha visitato oltremare sono sporche: i canali di scolo, dove la gente
svuota i rifiuti, scorrono in mezzo alle vie; maiali e altri animali
domestici spargono i loro escrementi dappertutto, contribuendo alla sporcizia
e al fetore che, soprattutto nei mesi caldi, ammorba l’aria. Rougegarde
invece appare molto pulita a chi arriva da fuori. La città ha la migliore
rete di fognature dell’Oriente, le rigide norme sugli animali domestici e la
frequente pulizia delle strade evitano l’accumulo di sporcizia. Anche la
gente si lava molto più spesso di quanto accada in Europa e nelle altre città
del regno di Gerusalemme: camminando per le vie Lucas sente spesso la
fragranza di un profumo che qualcuno si è messo e non soltanto l’intenso
odore di sudore e di panni sporchi, onnipresente in tante città. D’altronde
gli hanno detto che a Rougegarde sono rimasti in funzione tutti i bagni
pubblici esistenti già quando la città era sotto dominio dell’emiro e che il
duca stesso ha l’abitudine di lavarsi quotidianamente. Lucas
è entrato in città da una delle due porte occidentali, la porta della
vittoria, che gli arabi chiamano ancora con il vecchio nome di Bab al-gabiyah, porta del serbatoio d’acqua. Ha percorso la via
che conduce verso il cuore della città, guardandosi intorno e ammirando i
palazzi. Rougegarde non ha subito danni al tempo in cui venne conquistata,
perché il duca Denis se ne impadronì in una notte, con uno stratagemma. Di
lui dicono che sia il guerriero più temibile del regno. I saraceni lo
chiamano il Cane dagli occhi azzurri e provano nei suoi confronti un terrore
indicibile: la sua sola presenza è sufficiente a rovesciare le sorti di una
battaglia. Lucas spera di riuscire a vedere quest’uomo che dicono essere
tanto brutto quanto valoroso. Lucas
ha deciso di stabilirsi nella locanda della Luna piena, perché gli è stata
consigliata da altri viaggiatori. È stato soddisfatto della sua scelta: le
camere sono comode e pulite; le lenzuola hanno il buon odore della biancheria
lavata di fresco; il cibo è eccellente, con una sapiente mescolanza di piatti
arabi e piatti europei; il posto è ben frequentato e non c’è il rischio di incontrare
gli attaccabrighe che pullulano in certe bettole. La locanda è più costosa di
altre, ma il trattamento vale quanto si paga. Riccardo
ha visto Lucas il giorno del suo arrivo e ne è rimasto colpito: gli piacciono
gli uomini forti. Il mercante gli ha girato un po’ intorno, poi ha attaccato
bottone e gli ha lasciato intuire i suoi gusti. Lucas è apparso interessato.
Si sono dati appuntamento per cena e questa sera Riccardo conta di andare al
sodo. A
tavola parlano del viaggio di Lucas e dei suoi progetti per il futuro. Il
giovane vorrebbe visitare anche altre città della Terrasanta. Non gli
spiacerebbe spingersi fino a Damasco, ma si chiede se per un cristiano non
sia pericoloso viaggiare tra i saraceni. Riccardo,
che viaggia molto spesso, fornisce alcune informazioni. -
Per strada ci sono bande di briganti, che costituiscono un pericolo. Ti
attaccano, che tu sia cristiano o musulmano, ma alcuni sono più inclini a
risparmiare i confratelli. Per questo noi mercanti di solito preferiamo
viaggiare in carovane, che corrono meno rischi. Solo le bande più importanti
assalgono anche i gruppi numerosi. Per il resto, se non c’è una guerra in
corso non è un problema viaggiare. - Mi
piacerebbe venire con te, ma adesso ho voglia di rimanere un po’ qui. Com’è
San Giacomo d’Afrin? -
Niente di speciale. Era una bella città, ci ero stato con mio zio quando era
ancora in mano ai saraceni, ma subì parecchi danni quando il duca di
Rougegarde la espugnò e poi, qualche anno fa, bruciò anche il quartiere degli
ebrei. Maomettani ed ebrei sono stati scacciati e la città è in declino. Non
vale proprio la pena di visitarla. Parlano
ancora delle città più interessanti: Riccardo conosce molto bene le terre dei
saraceni. - La
cittadella di Aleppo è impressionante, in alto, sopra una collinetta. E anche
il grande mercato. - E
Damasco? - La
grande moschea di Damasco è la più bella che io abbia mai visto. - Ci
vai spesso? A Damasco, voglio dire, non alla moschea. -
Sì, almeno una o due volte l’anno. Riccardo
pensa ai bagni di Damasco, dove ha fatto molti incontri interessanti: un
ottimo ambiente per il tipo di caccia che preferisce. Hanno
finito di cenare e la conversazione procede, senza che si siano ancora
avvicinati a ciò che interessa a Riccardo. Lucas
indica un uomo con i capelli bianchi, che mangia a un tavolo in un angolo.
Chiede: -
Chi è quel vecchio? L’ho già notato ieri sera. - È
Emich di Freiburg. Molti lo considerano un santo, anche se il vescovo non è
di questo parere. - Un
santo? - È
un uomo molto buono, che è stato prigioniero dei saraceni. Ha subito… di
tutto. A
Riccardo non sembra corretto dire che è stato evirato: anche se non è un
segreto per nessuno, non è il caso di andarlo a raccontare al primo venuto.
Prosegue: - Ma
non conserva rancore. Crede nell’amore tra tutti gli uomini. Io lo ritengo un
vero cristiano, ma per il nostro vescovo è in odore di eresia. Bohémond non
crede molto nell’amore universale. - A
me sembra invece una bella cosa. Una fraternità che vada oltre la religione,
le divisioni sociali, il sesso. -
Credo che Emich ti piacerebbe molto. -
Poi me lo presenti. Lucas
fissa Riccardo, sorride e prosegue: - E
tu che ne dici delle sue idee, dell’amore universale? Anche
Riccardo sorride. Adesso è abbastanza sicuro di come evolverà la serata. - A
me sembra una bella cosa. L’amore come fraternità, che non si pone limiti. -
Sì, l’ho spesso pensato anch’io. Ma non tutti sono d’accordo. -
No. Tanti divieti, tanti limiti. Come se il piacere dovesse essere sempre
peccato. -
Quando non si fa male a nessuno, perché dovrebbe essere peccato? Gesù ha
parlato sempre di amore. Riccardo
annuisce. Non ha grande interesse per la religione. Nel suo viaggiare è
entrato in contatto con molti maomettani, ebrei, cristiani di altre Chiese,
ma anche persone che non credevano. Non si è mai posto troppe domande su Dio,
non si confessa e non va in chiesa se non quando è necessario per la
posizione che occupa nella società. Lucas sembra invece più sinceramente
religioso, anche se probabilmente le sue idee non avrebbero l’approvazione
del vescovo. -
Sì, è vero. Questa ossessione per il peccato… certi preti sembrano sempre
voler spiare sotto le lenzuola degli altri. Lucas
ride. -
Probabilmente perché sotto le loro non succede niente di interessante. -
Sì, lo credo anch’io. Riccardo
pensa che ormai si sono detti abbastanza. Anche Lucas deve pensarlo, perché
dice: -
Proviamo a vedere se succede qualche cosa di interessante sotto le mie? - Mi
sembra un’ottima idea. Hanno
finito di mangiare, per cui salgono in camera di Lucas. Quando
Riccardo è entrato, Lucas chiude la porta, sorride e dice: -
Che cosa ti piace fare? Riccardo
preferisce offrirsi: gli piace la sensazione forte di un bel cazzo che gli
entra in culo. Gli piace anche prenderlo in bocca e succhiare, fino a bere il
seme che sgorga. Risponde: -
Diciamo che mi piacerebbe gustare il tuo cazzo, nel modo che preferisci. Ci
sono anche altre cose che ama. In particolare gli piace il piscio: ama berlo
e fare una bella doccia, che però in camera è meglio evitare, per non
sporcare tutto. Su questi gusti preferisce non dire niente, per il momento:
conosce troppo poco Lucas e sa che alcuni si ritraggono schifati all’idea. Lucas
annuisce, mentre si sfila la tunica e si abbassa i pantaloni. A Riccardo
piace che l’altro lo spogli, con delicatezza o brutalmente: entrambi i modi
hanno il loro fascino. Ma Lucas sembra dare per scontato che ognuno si tolga
i propri abiti, per cui anche lui incomincia a spogliarsi. Ora
sono entrambi nudi, uno davanti all’altro. Lucas ha sciolto i lunghi capelli,
che ricadono sulle spalle e sul petto. Riccardo osserva il torace, coperto da
una leggera peluria bionda, il ventre, il cazzo vigoroso, le gambe e le
braccia muscolose. Lucas
gli indica con la mano il letto, senza dire nulla, ma Riccardo si inginocchia
davanti a lui e guarda il cazzo, a nemmeno una spanna dal suo viso. Ne sente
l’odore, abbastanza intenso. Oltremare Riccardo ha preso l’abitudine di
lavarsi spesso, ma i franchi non hanno questi usi e, che siano guerrieri,
pellegrini o mercanti, sono spesso alquanto sporchi. A Riccardo non dispiace
l’odore intenso di sudore, piscio e sborro di questi cazzi mal lavati e ne
apprezza anche il gusto forte. Qualcuno gli ha detto che è un porco e Riccardo
in fondo concorda. Riccardo
avvicina la bocca alla cappella e le sue labbra l’avvolgono, poi incominciano
a succhiare. Lucas gli accarezza la testa, mentre sente il piacere crescere.
Il cazzo gli si drizza in fretta e quando è teso e rigido, Riccardo lascia la
preda e passa la lingua dalla cappella ai coglioni, più volte. Intanto ha
appoggiato le mani sul culo di Lucas e stringe la carne calda. Lucas
ride. Sembra quasi un po’ sorpreso. Forse non è abituato a ricevere un simile
trattamento. Riccardo sa che per molti uomini scopare è solo infilare il
cazzo in un buco caldo e spingere fino a venire. Infine
Riccardo lascia la preda e si mette sul letto, allargando bene le gambe.
Lucas versa un po’ di saliva sull’apertura che gli si offre, la spalma bene intorno,
poi avvicina la cappella e spinge dentro, piano. Ha capito che Riccardo
dev’essere abituato e infatti la carne cede subito alla pressione. Lucas
è contento di questo bel culo caldo che gli si offre. A Lione conosce alcuni
giovani che condividono i suoi gusti e non ha difficoltà a soddisfare i
propri desideri, ma qui nell’Oltremare deve muoversi con cautela. Ha sentito
dire che alcuni uomini accusati del peccato di Sodoma sono finiti sul rogo:
una morte orribile. Non conosce nessuno e non vuole rischiare. Ha avuto
rapporti solo tre volte da quando è sbarcato a Tiro, oltre due mesi fa: per
un uomo energico e giovane, è davvero poco. Lucas
si dà da fare. Ha vigore e resistenza e Riccardo geme, senza ritegno, badando
solo a non farlo troppo forte, perché non si senta nelle altre camere. È
bello sentire un cazzo forte e duro che avanza e arretra nel culo,
trasmettendogli ondate di piacere. La
cavalcata dura a lungo, finché Lucas accelera il movimento e viene con una
serie di spinte vigorose. Riccardo sente in culo la scarica e geme più forte.
Lucas
esce e si stende di fianco a lui. Riccardo si volta sulla schiena, si afferra
il cazzo e muove la mano fino a che viene anche lui. Dopo
chiacchierano ancora un momento. - Mi
spiace che tu parta tra tre giorni. Conto di fermarmi un po’ qui e devo dire
che mi piacerebbe approfondire la conoscenza. -
Spiace anche a me. Ma magari sarai ancora qui quando ritorno. Non conto di
rimanere lontano a lungo. Damasco non è molto distante, di lì andrò
direttamente a Tiro e poi rientrerò a Rougegarde. Qualche settimana in tutto.
Tu conti di fermarti molto? -
Vedremo. La città è molto bella e qui si sta benissimo: mi avevano detto che
era una bella locanda, ma non pensavo che fosse un posto così accogliente.
Devo dire che non credo di aver mai mangiato e dormito meglio da quando sono
passato oltremare. - Se
sarai ancora qui al mio ritorno, potremo… chiacchierare ancora un po’. -
Volentieri. Lucas
sorride e aggiunge: - Mi
piacciono i tuoi argomenti di conversazione. Riccardo
si alza e incomincia a rivestirsi. Aggiunge: -
Comunque prima di partire possiamo fare un bis… e un tris. -
Sono d’accordo. Quando
Riccardo sta per aprire la porta, Lucas gli ricorda: - Mi
hai promesso di presentarmi Emich. -
Domani te lo faccio conoscere. Sono sicuro che ti piacerà. Riccardo
esce e scende nella locanda, da cui passa direttamente nell’ala della casa
dove vive: c’è una porta interna, di cui ha la chiave. Il
giorno dopo Riccardo dice a Emich che vorrebbe presentargli Lucas, un
pellegrino arrivato da poco alla locanda. Emich non ha obiezioni e nel primo
pomeriggio i due bussano alla sua porta. -
Emich, questo è Lucas. Gli ho parlato un po’ di te. -
Piacere di conoscerti, Lucas. Da dove vieni? - Da
Lione. - Ci
andai una volta, prima di partire per venire qui in Terrasanta. Una
quarantina di anni fa. Sarà cambiata la città, da allora. -
Non so come fosse quarant’anni fa, non ero ancora nato. Posso dirti che
adesso stanno ricostruendo la cattedrale: la vogliono fare più grande e più
bella. Si sta costruendo molto in Francia in questi anni. -
Molti dicono di costruire per rendere gloria a Dio. Ma costruiscono per se
stessi, per mostrare la ricchezza e la potenza della città, non per Dio. A
Dio è più gradita la fede sincera di un cuore puro che una cattedrale immensa
dove gli uomini vanno a mostrarsi, non a pregare Dio. -
Credo che abbiate ragione. -
Dammi del tu, Lucas. Tra di noi ci diamo tutti del tu. Dio ci ha creato
fratelli. Il
dialogo prosegue. Lucas ed Emich sembrano intendersi bene, per cui Riccardo
si congeda: ha parecchio da fare per organizzare il viaggio. Deve
finire di scegliere le stoffe adatte, che potranno essere vendute a Damasco,
permettendo di realizzare buoni guadagni. È una scelta impegnativa, perché
deve evitare sia di portare troppo, con il rischio di non vendere tutto e di
dover riportare indietro una parte del carico, sia di portare troppo poco,
rinunciando a qualche possibilità di guadagno. Mentre procede, stende un
inventario di tutte le mercanzie che trasporterà e lo confronta con quello di
viaggi precedenti. Naturalmente
deve pensare anche a tutto ciò che servirà durante il cammino: dormiranno
spesso in caravanserragli, ma a volte dovranno sistemarsi in tende e avere
con sé del cibo e delle bevande. Per quanto il viaggio che ha in programma
sia relativamente breve – Riccardo è stato via anche per diversi mesi di
seguito – le condizioni in cui avverranno gli spostamenti richiedono
un’organizzazione rigorosa. Nei
due giorni successivi Riccardo e Lucas scopano ancora, con reciproca
soddisfazione: i loro corpi hanno trovato rapidamente un’intesa. Lucas non è
particolarmente attento alle esigenze di Riccardo, ma ha una buona dotazione
e il vigore di cui dà prova trasmette al mercante sensazioni piacevolissime. Si
ritrovano la sera, quando Riccardo ha finito la sua giornata di lavoro. Il
mattino Lucas gira per la città, ma il pomeriggio lo trascorre nella camera
di Emich. Quest’uomo anziano e mite, che parla di amore e fraternità, lo
affascina. -
Credo che il mondo sarebbe migliore se davvero ci lasciassimo guidare
dall’amore, come tu dici, Emich. -
Purtroppo non è così. Ambizione, orgoglio, avidità ci portano a vedere negli
altri dei rivali e non dei fratelli. -
Eppure l’insegnamento di Gesù è un insegnamento d’amore. -
Già. E in nome di Gesù si uccide, senza pietà. Anch’io ho ucciso in nome di
Gesù. Se ci penso… che orrore! -
Tu? Tu hai ucciso? Emich
scuote la testa. -
Sono venuto qui come guerriero, Lucas. Avevo ventidue anni quando sentii
Bernardo, l’abate di Chiaravalle, predicare. Girava per la Fiandre e
l’Impero, per reclutare guerrieri. Edessa era caduta nelle mani dei Saraceni,
che minacciavano il Regno di Gerusalemme. Andai ad ascoltarlo a Worms. Le sue
parole mi infiammarono: volevo anch’io partire, andare oltremare, combattere
per la fede. Avrei dovuto capire la verità vedendo ciò che succedeva
nell’Impero: i predicatori che diffondevano l’odio contro gli ebrei, i
massacri indiscriminati. C’era un predicatore, Radulf,
che incitava a uccidere tutti gli Ebrei. E molta gente lo seguiva. -
Non ne sapevo niente. - Tu
non eri ancora nato e forse in Francia non fu così. Da noi fu terribile. - Ma
tu partecipasti? -
No, io non intendevo far male agli ebrei che vivevano da secoli nell’Impero.
Mi astenni da ogni violenza, anzi: la nostra famiglia ospitò due donne ebree
che alcuni volevano uccidere o almeno scacciare. - Ma
quando parli di uccidere… - Fu
in guerra. Partii al seguito del duca di Baviera, Enrico, fratello
dell’imperatore Corrado. Attraversammo l’Impero Romano d’Oriente,
raggiungemmo Costantinopoli e poi incominciò l’orribile viaggio attraverso i
territori dei Turchi, che ci attaccavano continuamente. Subimmo diversi
rovesci prima di giungere in Terrasanta. Combattemmo, uccidemmo, fummo
sconfitti. Non voglio raccontarti gli orrori che vidi, gli orrori che feci.
Sai una cosa, Lucas? Emich
si interrompe. -
Dimmi, Emich. -
Quando i saraceni mi catturarono, in una sortita durante l’assedio di
Damasco, mi sentii perduto. Ero uno schiavo, privato della mia libertà.
Eppure… eppure fu quasi un sollievo. Non dovevo più combattere, uccidere in
nome di Dio. Accettai la mia schiavitù come la punizione per i miei peccati.
Fu meno facile accettare quando mi evirarono. Lucas
è sbalordito. -
Cosa? Vuoi dire che… -
Sì, Lucas, mi tagliarono i testicoli. Mi resero eunuco. Lucas
scuote la testa. Gli sembra incredibile. Non si aspettava una cosa del
genere. Emich
ormai non si vergogna a parlarne. La gente lo sa e preferisce che Lucas lo
venga a sapere da lui, piuttosto che sia qualcun altro a raccontarglielo: il
giovane si sentirebbe in imbarazzo davanti a lui, non sapendo come
comportarsi. -
Dev’essere stato terribile. -
Sì, allora lo fu. Ma, come mi capita di dire quando ne parlo, credo che in
qualche modo questa mutilazione mi abbia reso migliore. Lucas
riflette. -
Non so, io penso che se mi facessero una cosa del genere, proverei rabbia.
Credo che odierei tutti. - La
mia prima reazione non fu molto diversa. Ma con il tempo ho imparato a vedere
le cose in altro modo e ad accettare ciò che era successo. Il
loro dialogo prosegue ancora a lungo. Emich racconta della sua prigionia,
della liberazione, degli anni successivi. Il
giorno seguente Lucas ritorna da Emich. Discutono di religione, fratellanza,
amore. -
L’amore è dell’anima e della carne, perché non siamo solo anima. Dio non ci
ha creati puro spirito. -
Eppure molti, soprattutto tra i sacerdoti, considerano il corpo solo una
fonte di tentazione e peccato, da umiliare in tutti i modi. - Lo
so, ma è una visione terribile: Dio ci avrebbe dato un corpo solo per
tentarci, per perderci? Che razza di Dio hanno in mente? Un Dio crudele, che
si diverte a far soffrire? Sono blasfemi. Emich
si ferma. Poi aggiunge: -
Lucas, io ti sto parlando molto liberamente, perché ho piena fiducia in te,
ma ciò che ci diciamo non deve uscire da questa stanza per nessun motivo. - Lo
so Emich, non occorre che tu lo dica. Non desidero finire torturato nelle
segrete del vescovo. E di certo non voglio che ci finisca tu. Emich
scuote la testa. - Il
vescovo mi odia e credo che venderebbe l’anima al diavolo per perdermi. Anche
se penso che la sua anima il diavolo ce l’abbia già da molto tempo. È un uomo
meschino e ambizioso. Dicono che aspirasse a diventare patriarca di
Gerusalemme, ma è stato scelto un altro. Parlano
ancora, senza stancarsi: Lucas si rende conto che passerebbe le giornate a
dialogare con Emich. La
sera Lucas e Riccardo scopano ancora una volta. Lucas dice nuovamente: - Mi
spiace molto che tu parta. Prosegue: -
Conto di essere ancora qui quando ritornerai. Penso di fermarmi a Rougegarde.
Sto bene con Emich. Non mi stanco mai di parlare con lui. -
Anche a me piace molto. E ciò che dice è molto bello. Il
giorno dopo arriva la carovana da Tiro che Riccardo aspettava, per cui il
mercante parte con gli altri. Si tratta in larga maggioranza di cristiani, ma
vi sono anche alcuni arabi, di ritorno nelle loro terre. Tra questi Riccardo
riconosce Hamza, un commerciante di Cordoba che ha incontrato circa tre anni
fa a Damasco. Si tratta in realtà del templare Jorge da Toledo, che compie
spesso spedizioni nei territori saraceni, per spiare o per uccidere uomini
che costituiscono una minaccia, ma Riccardo non ne conosce la vera identità. Jorge
viaggia con un mercante arabo, Fathi, che è al
servizio dei franchi: è lui a occuparsi degli affari che servono come
copertura per Jorge. Riccardo
ha scopato con Jorge a Damasco e ne ha apprezzato la dotazione e il vigore,
per cui non gli spiacerebbe riprovare. Perciò, in un momento in cui Hamza è
da solo, gli si avvicina. -
Buongiorno, Hamza. Jorge
lo guarda. Riconosce quest’uomo, che ha incontrato tre anni fa, a Damasco, ma
non ne ricorda il nome. - Tu
sei… -
Riccardo Micheles. Riccardo da Verona, se
preferisci. Ci siamo incontrati… Jorge
lo interrompe: - …
tre anni fa, in un bagno di Damasco. Jorge
lancia una rapida occhiata intorno per assicurarsi che nessuno possa sentirli
e prosegue, con un ghigno: -
Ricordo che hai un bel culo. Jorge
ride. C’è scherno nella sua risata, perché disprezza gli uomini che si
offrono. Un solo maschio lo ha posseduto: Ishan, di
cui lui ha ucciso il padre. Quella volta non era stato possibile evitarlo,
senza mandare a monte la missione. Riccardo
non coglie il disprezzo. È contento che Jorge si ricordi di lui. Ricambia il
sorriso e dice: -
Spero che tu abbia voglia di gustarlo di nuovo, Hamza. Nuovamente
Jorge si guarda intorno. - Lo
farò molto volentieri, Riccardo. Ma non mi chiamare Hamza. È un soprannome
che mi avevano affibbiato e che mi piaceva, ma da tempo preferisco il mio
vero nome, Nabil. Nelle
sue missioni nei territori saraceni Jorge ha usato vari nomi, che cambia ogni
volta, per ridurre i rischi di essere scoperto: qualcuno potrebbe ricordare
che l’assassino di Abdul-Qaadir, comandante della
guarnigione di Damasco, si faceva chiamare Hamza. D’altronde anche cambiare
nome presenta dei rischi: se qualcuno che lo ha incontrato in precedenza,
senza sapere la sua vera identità, lo sentisse chiamare con un nome diverso,
potrebbe insospettirsi. Riccardo
non ha motivo per sospettare e non si stupisce: si sono parlati un’unica
volta e non è strano che Nabil si sia presentato
con il suo soprannome. Hamza, come Asad, indica il
leone ed entrambe le parole sono usate sia come nomi per i maschi, sia come
soprannomi per uomini coraggiosi. - Va
bene, Nabil. Io vado a Damasco. E tu? - Io
vado a Jabal al-Jadid. -
Peccato, allora faremo solo una parte della strada insieme. -
Sì, fino a Labiteh. Tre notti. Jorge
sorride, a indicare che in quelle tre notti ha intenzione di far gustare a
Riccardo il suo cazzo. Jorge
è ben contento di scopare. Questo cavaliere, figlio di un nobile spagnolo e
di una schiava araba, è entrato nell’ordine dei Cavalieri del Tempio
esclusivamente per odio contro i musulmani. Poco gli importa delle regole
religiose e la castità non fa per lui. Gli piacciono i maschi e se ne ha
l’occasione soddisfa i suoi desideri. Bada solo a non farsi scoprire, perché
le regole dell’ordine sono rigide e il peccato di Sodoma, come viene
chiamato, è punito duramente: a Santa Maria in Aqsa e a San Giacomo d’Afrin ci sono stati roghi di sodomiti. Quelli di Santa
Maria sono stati organizzati proprio dai suoi confratelli, che hanno il
controllo della città. La
prima sera pernottano in parte in un caravanserraglio, in parte nelle tende
montate a fianco delle mura: la carovana è molto numerosa e altri mercanti
che viaggiano in direzione opposta sono arrivati prima, occupando gran parte
dello spazio. Riccardo, disponibile a pagare, è riuscito a sistemarsi
all’interno; Jorge è rimasto fuori, in tenda, come gli altri mercanti
musulmani: nel caravanserraglio la precedenza è stata data ai cristiani.
Nella camera dove alloggia Riccardo dormono anche i servitori, per cui i due
decidono di ritrovarsi nella tenda di Jorge. Questi
ha dato istruzioni a Fathi di ritornare più tardi,
perché deve parlare con un mercante cristiano. Fathi
perciò ha raggiunto il gruppetto degli arabi, che chiacchierano intorno al
fuoco. Magari può scoprire qualche cosa di interessante da riferire. E in
ogni caso non potrebbe unirsi ai mercanti franchi, che lo guarderebbero con
diffidenza. Gli
argomenti sono gli stessi di tutte le carovane che si muovono tra i territori
cristiani e quelli musulmani: i briganti e la fragile pace tra Saladino e il
regno dei Franchi. Poi si raccontano storie, reali o inventate. -
Speriamo che la pace regga. Non vorrei che la guerra scoppiasse mentre sono
in viaggio. -
Tra due giorni saremo tra i nostri. -
Sempre che non incontriamo i briganti. Ce ne sono parecchi, nel territorio di
Afrin. L’uomo
abbassa la voce e aggiunge: -
Dicono che a comandarli sia quel cane di Olivier, il barone. -
L’ho sentito dire anch’io. - Se
ci attaccano saremo noi ad avere la peggio, in quanto credenti. - Quei
cani prendono tutto, non guardano in faccia nessuno. -
No, ma se sei cristiano, è difficile che ti ammazzino. Se sei credente, sono
capaci di farlo, magari perché non gli piace la tua faccia. La
discussione procede. I briganti fanno paura a tutti. -
Briganti ne possiamo incontrare anche in Siria. Purtroppo non sono solo i
cani cristiani ad attaccare le carovane. -
Soldati di Salah ad-Din, sia gloria a lui, hanno sterminato la banda di al-Hahadi. Hanno impalato tutti gli uomini. Quando al-Hahadi è morto, dopo due giorni di agonia, gli hanno
tagliato la testa per portarla al signore. - È
vero che li hanno castrati tutti? -
Sì: violentavano le donne e dicono che sia stato Salah ad-Din stesso a dare
l’ordine. Questo ha abbreviato la loro agonia, ma è un buon esempio per
tutti. Gli attributi di al-Hahadi glieli hanno
messi in bocca. Molti
ridono. Qualcuno commenta: -
Salah ad-Din è un grande signore. Iddio gli dia lunga vita. -
Speriamo che riesca presto a distruggere i franchi, che siano maledetti. L’uomo
che ha parlato ha una voce forte. Qualcuno si guarda intorno e dice,
sottovoce: -
Parla piano, ci sono un sacco di mercanti cristiani, qui. E siamo ancora
nelle loro terre. - E
che, non possiamo nemmeno dire quello che pensiamo? - È
sempre meglio essere prudenti. -
Comunque Salah ad-Din ha stipulato un accordo di pace con i franchi, nemmeno
due anni fa, che vale per quattro anni, lo sapete benissimo. -
Sì, ma tu sai che il mese scorso quel porco di Rinaldo di Châtillon ha
catturato una carovana egiziana diretta a Damasco, nonostante l’accordo. -
Salah ad-Din ha protestato. Ha richiesto la liberazione dei prigionieri e la
restituzione del bottino. - E
quel porco di Rinaldo si è rifiutato. -
Dite che scoppierà la guerra? Sono
in tanti a porsi la domanda. La guerra significa buoni affari per alcuni,
seri problemi per altri, grossi rischi per tutti. Intanto
Riccardo ha raggiunto la tenda di Jorge. È ormai buio. Jorge ha una lanterna
quasi completamente oscurata, che proietta una luce molto fioca: vuole
evitare che qualcuno veda le ombre e capisca che cosa sta avvenendo nella
tenda. -
Sei arrivato! Bene. Spogliati. Riccardo
si ricorda che Jorge ha modi spicci, un po’ brutali. A Riccardo piace la
brutalità, purché non sia eccessiva, ma gli piace anche un po’ di tenerezza.
Sa che questa volta non ne avrà, si ricorda bene dell’uomo che ha di fronte:
una dotazione eccellente, ma nessun interesse per un contatto che non sia
puramente fisico, scarsa fantasia e nessuna attenzione all’altro. Se non
fosse per questo magnifico cazzo, che gli fa venire l’acquolina in bocca, non
varrebbe davvero la pena di scopare con Nabil. Jorge
ha il cazzo già duro. Riccardo lo osserva. È alquanto grosso e la pelle
dell’asta ha un colore decisamente più scuro del resto del corpo, quasi da africano.
La cappella, rossastra, spicca come un fiore sulla corteccia di un albero. A
Riccardo pare di ricordare che Nabil gli avesse
detto di provenire da Cordoba. Può darsi che abbia sangue africano nelle
vene, ma non è il caso di chiederglielo: gli arabi, come i franchi,
considerano i neri africani poco più di animali e l’uomo potrebbe offendersi.
Ma anche nel viso di Nabil ci sono tratti che
potrebbero fa pensare a qualche antenato africano. -
Che hai da guardare? Jorge
si è accorto che Riccardo lo sta fissando. Il
mercante ride e dice: -
Guardo uno dei più bei cazzi che abbia mai visto. - Mi
sa che hai una buona esperienza di cazzi. -
Non mi lamento, in effetti. -
Dai, mettiti a quattro zampe. -
Aspetta. Riccardo
ha voglia di assaggiare questo magnifico cazzo prima di prenderselo in culo.
Si inginocchia, ne sente l’odore, forte: Jorge non si è lavato e dopo una
giornata a cavallo, c’è un aroma intenso, in cui si mescolano sudore, piscio
e l’odore del cavallo. Prende
in bocca il cazzo e incomincia a succhiarlo. Lo sente, grande, caldo e
rigido, nella sua bocca. Accarezza i grossi coglioni scuri. Jorge
scuote la testa. Disprezza quest’uomo che si abbassa a succhiare il cazzo di
un altro. -
Sei una vera troia. Riccardo
coglie il tono ostile, che lo infastidisce. Non è la prima volta che gli
succede. Gli sembra stupido che uno debba giudicare i gusti degli altri, ma
ha imparato a non dar peso alla faccenda. Lascia un momento la presa e dice: -
Spero che tu sia un vero porco, allora. Jorge
ride. -
Mettiti a quattro zampe, che ti fotto. Riccardo
succhia ancora un attimo, poi obbedisce. -
Entra con cautela. -
Non mi dire che non ci sei abituato. -
Sì, sono abituato, ma tu hai una mazza ferrata, non un cazzo, Nabil. Jorge
ride di nuovo. Il cazzo è stato ben inumidito da Riccardo, per cui si limita
a sputare sul buco del culo e spargere un po’ la saliva, poi avanza fino a
che la cappella preme contro l’apertura e la spinge dentro. Riccardo
geme, sentendo questa mazza poderosa che gli entra dentro. È una sensazione
splendida. Jorge avanza con una certa cautela e il piacere è molto più forte
del dolore. Quando è arrivato in fondo, Jorge si ritrae, per poi avanzare di
nuovo, dando inizio a una lunga cavalcata, che strappa Riccardo gemiti di
piacere. Non fossero in una tenda nell’accampamento, Riccardo urlerebbe, ma
non vuole farsi sentire. Jorge va avanti a lungo e il piacere cresce, fino a
divenire incontenibile: Riccardo viene mentre Jorge accelera il ritmo del
movimento, con spinte violente, che squassano Riccardo. Jorge
emette un suono soffocato quando il piacere lo travolge e il suo sborro si
riversa nel culo di Riccardo. Poi si alza, si pulisce e dice: -
Ora è meglio che tu vada. Riccardo
annuisce. Non si aspettava certo carezze o abbracci. Si riveste, saluta ed
esce. È soddisfatto, nonostante il culo un po’ dolorante. Il
giorno dopo il viaggio prosegue. La carovana segue la pista a nord, che non
passa per San Giacomo d’Afrin: è una via meno
battuta di quella meridionale, ma più diretta. È quella scelta da tutti i
mercanti musulmani, che preferiscono evitare San Giacomo, ma anche da molti
cristiani. Dormono in tenda la notte seguente, poi passano dai territori
franchi a quelli arabi e a metà pomeriggio raggiungono Labiteh,
una cittadina poco popolosa, dove si trova un grande caravanserraglio. Qui le
strade che portano a Damasco e a Jabal al-Jadid si
dividono. Gli stanzoni ospitano parecchie persone, per cui è difficile
appartarsi. Riccardo
e Jorge decidono di passare nelle scuderie, dove sono ospitate le diverse
cavalcature: cavalli, asini e muli, dromedari. Jorge
dice allo stalliere: -
Vogliamo controllare i nostri cavalli. L’uomo
forse ha intuito, ma non ha motivo per obiettare, tanto più che Riccardo gli
dà una moneta. Trovano
un angolo tranquillo, tra la paglia. C’è un odore forte, di piscio di
cavalli, che a Riccardo non dispiace e a Jorge è indifferente. Qualcuno
potrebbe arrivare in qualsiasi momento, per cui non si spogliano. Jorge
spinge Riccardo sulla paglia, gli cala i pantaloni, si abbassa i propri,
inumidisce con la saliva la propria cappella e il buco del culo che
l’attende, poi spinge. L’ingresso è un po’ troppo brusco. Riccardo mormora: -
Merda! Vacci piano. Jorge
è irritato: a questa troia piace prenderselo in culo, ma fa il difficile. Si
ritrae un momento, poi avanza, un po’ più lentamente. -
Ecco, così va bene. Jorge
spinge a ritmo sostenuto e in Riccardo piacere e dolore si mescolano, ma la
sensazione è bella. Bello sentire questo cazzo forte in culo, che scava in
profondità, dilata le viscere, riempie. Jorge
prosegue a lungo, finché viene. Poi si ritrae e si rassetta, senza
preoccuparsi di Riccardo. Questi si accarezza il cazzo già duro, fino a
venire. Jorge
dice: - È
meglio che vada. Rimani un momento, che non ci vedano uscire insieme. Jorge
si allontana. Ormai non ha più niente da ricavare da questa troia, non gli
interessa più tenersela buona. Riccardo
ha capito benissimo il pensiero di Jorge. Non è la prima volta che gli
capita. Aspetta
un po’, prima di lasciare la scuderia. Poi sale sulla terrazza. Ha voglia di
stare ancora un momento all’aperto, prima di rinchiudersi nel camerone. La
scopata è stata soddisfacente, ma il disprezzo di quello che ritiene essere
un mercante arabo lo infastidisce. Sono tanti i maschi ben felici di
approfittare di un culo caldo e poi pronti a dimostrare disprezzo nei
confronti di chi ha soddisfatto le loro voglie. Per quanto Riccardo ci sia
abituato, non è piacevole. Riccardo
guarda il cielo, coperto da nuvole oscure. La notte sta scendendo e presto il
buio sarà completo: lo strato di nubi spegnerà la luce delle stelle e della
luna, che è solo un piccolo spicchio. I
pensieri vagano. Nella casa dello zio Riccardo sta bene. Allo zio lo lega un
affetto profondo, anche se non scopano più da tempo: in fondo zio Giovanni è
stato per lui un padre, oltre ad averlo iniziato al piacere. Ha buoni
rapporti con i nipoti, soprattutto con Nino, che ogni tanto lo accompagna nei
suoi viaggi, e con la moglie dello zio, Louison.
Negli appartamenti affittati vivono persone a cui è legato, in particolare Morqos e Solomon. Per lungo tempo tutto questo è stato
sufficiente, ma negli ultimi anni Riccardo si è reso conto che gli manca
qualche cosa. Vorrebbe avere un compagno. Vorrebbe avere un rapporto come
quello che lega Istfan, il medico, a Tristan, che gestisce la locanda insieme a Mariette: un legame profondo, che dura da tempo e si
rafforza con il passare degli anni. Ma gli sembra un sogno impossibile. Riccardo
scende e va a mangiare. Il suo corpo è sazio, ma c’è un fondo di tristezza. Dopo
cena è Jorge a salire sulla terrazza. Si è alzato un vento forte, che sta
spazzando via le nubi. Verso occidente si vedono già le stelle, mentre in
alto le nuvole le nascondono ancora. Fa freddo, ma il templare non ci bada: è
uomo abituato ad affrontare ogni tipo di disagio. Pensa alla missione che
vuole portare a termine e alle difficoltà che si troverà ad affrontare. Ora
sono in territorio arabo e i rischi sono fortissimi. In
questi anni ha compiuto numerose missioni. La prima importante è stata
l’eliminazione del capo curdo Boran, che avrebbe
potuto unire le tribù del Nord contro i domini cristiani. Ne sono seguite
numerose altre, ma a ogni missione il rischio cresce, perché ormai parecchie
persone sono in grado di riconoscerlo, malgrado i travestimenti che adotta. I
suoi capi sono sempre più perplessi all’idea di inviarlo nei territori
saraceni, perché temono che venga scoperto, ma Jorge insiste: queste missioni
sono da tempo la sua ragione di
vivere. Ama ammazzare e non c’è nulla che gli procuri più piacere di uccidere
un maomettano, affondando il pugnale nella carne, più volte: non un unico
colpo al cuore, che è una fine troppo rapida. Gli piace colpire al ventre,
sentire il gemito della vittima a ogni colpo, il rumore della lama che
squarcia la carne. Questi omicidi gli trasmettono emozioni fortissime. Quando
si tratta di un capo, un comandante, un guerriero, cerca di stuprarlo prima
di finirlo, se gli è possibile: nessuna scopata gli procura altrettanta
soddisfazione. Castrare la sua vittima, imponendo un ultimo sfregio, gli dà
altrettanto piacere. Jorge
pensa alle sue vittime e il pensiero gli fa nuovamente drizzare il cazzo,
anche se è venuto nel pomeriggio. Avrebbe
voluto uccidere il Saladino, ma le due volte che ha provato si è reso conto
che era impossibile avvicinarglisi. Ora il suo obiettivo è un altro: Barbath,
detto dai cristiani il Flagello, il comandante delle truppe dell’emiro di
Jabal al-Jadid. È il comandante più esperto e
valoroso, l’uomo più temuto dai cristiani, il vincitore di Aleppo. Fu
catturato da Denis di Rougegarde quando questi sconfisse il Circasso e il re
di Gerusalemme diede ordine di ucciderlo. Quel coglione del conte Ferdinando
organizzò una caccia all’uomo, una di quelle che gli piacciono, ma se lo
lasciò sfuggire. Jorge non può saperlo, ma in realtà le cose non andarono
come tutti credono: la caccia aveva proprio l’obiettivo di far scappare il
comandante arabo, che Denis di Rougegarde non voleva sopprimere. Per il duca
di Rougegarde è inconcepibile uccidere un prigioniero solo perché è un
guerriero valoroso. Quando
il Saladino organizza spedizioni contro i domini franchi, sceglie Barbath
come comandante dell’esercito, perché ne apprezza la competenza e il valore.
Nei periodi di pace, Barbath rimane con il suo signore, l’emiro ‘Izz ibn Ashraf, a Jabal al-Jadid:
è lì che Jorge intende raggiungerlo e sopprimerlo. Il
templare sa che la sua vita è a rischio e la sua fine sarà terribile, se
verrà scoperto, ma questo non lo spaventa. Conta di darsi la morte per non
cadere vivo nelle mani dei nemici. Jorge
ritorna nella camera e si stende per dormire, ma il sonno non viene. Il
pensiero degli ultimi omicidi ha destato il desiderio. Il buio nello stanzone
è completo. Qualcuno russa in lontananza, qualcun altro respira pesantemente.
Jorge immagina di trovarsi di fronte Barbath, di essere con lui in un bagno e
di aver nascosto un coltello nell’asciugamano. Sono entrambi nudi. Si
avvicina a Barbath e con un movimento rapido gli immerge il coltello nel
ventre, una, due, tre volte. Barbath geme e barcolla. Jorge colpisce ancora.
Barbath non riesce più a stare in piedi e si appoggia alla parete. Jorge gli
afferra i coglioni. Sono tre, infatti lo chiamano Tre-coglioni. La lama li
recide. Barbath urla. Jorge gli infila i coglioni in bocca, poi afferra il
cazzo e lo recide. Barbath scivola a terra. Jorge lo volta sulla pancia.
Guarda il buco del culo. Ride e lo infilza con un colpo secco. E mentre
immagina di fottere il comandante, viene. Si
pulisce e poi si abbandona al sonno. L’indomani
Jorge si dirige verso Jabal al-Jadid, mentre
Riccardo prosegue per Damasco. Jorge
deve riuscire ad avvicinare Barbath. Sa che anche la setta degli Hashishiyya
cercò di sopprimerlo, senza riuscirci. È un uomo tanto intelligente quanto
forte e valoroso. Probabilmente non si aspetta che un cristiano venga a
ucciderlo, ma dopo l’assassinio di Boran e quello
del comandante della guarnigione di Damasco, Abdul-Qaadir,
sicuramente i personaggi di spicco dell’esercito sono divenuti più
diffidenti. Jorge
prende in affitto una casa e Fathi provvede a
piazzare le merci: essendo davvero un mercante, sa come fare. Jorge appare
così uno dei tanti ricchi commercianti che delegano la gestione degli affari
ai suoi dipendenti. Fathi aiuterà nei preparativi,
ma ripartirà quando verrà il momento di agire e i rischi cresceranno: di
solito non viene coinvolto direttamente negli omicidi. Jorge
visita la città, studiandone le fortificazioni, e si reca regolarmente al
bagno e nella moschea. Si inginocchia al momento della preghiera, rispettando
tutte le apparenze della devozione, ma bestemmiando dentro di sé Maometto e
Allah. Al
bagno ha modo di fare conoscenza con altri, a cui racconta di venire dal
Maghreb. Cerca di raccogliere alcune informazioni, senza farlo notare. Il
secondo giorno chiacchiera con un mercante, che gli dice: -
Non ti ho mai visto qui. - È
la prima volta che vengo a Jabal al-Jadid. - È
una delle più belle città della Siria. Certo, non è come al-Hamra, che adesso
è in mano a quei cani infedeli. - Ci
sei stato? -
Sì, prima che il Cane dagli occhi azzurri la conquistasse. Tu hai avuto modo
di vederla? -
Sì, ci sono passato venendo qui. È davvero una bella città. Parlano
un po’ di affari, poi il templare passa all’argomento che lo interessa. - So
che qui in città vive il pittore Waahid ibn Munthir. Waahid
è il più importante pittore della Siria. Jorge conta di servirsene come
strumento per arrivare a Barbath. -
Sì, vive nel palazzo dell’emiro: lavora spesso per lui. - Mi
piacerebbe acquistare una sua miniatura. O magari farmi fare un ritratto. -
Non ti costerà poco, amico. Le sue miniature sono richieste perfino a Baghdad
e in Egitto. So che anche tra i Franchi alcuni conoscono Waahid e
l’apprezzano. Jorge
lo sa. Ha sentito dire che il duca di Rougegarde possiede diversi dipinti di
questo pittore, grazie anche ai suoi buoni rapporti con l’emiro di Jabal al-Jadid. Jorge non capisce come un signore cristiano possa
mantenere contatti con un emiro, ma il duca non ha nemmeno scacciato i
maomettani dalla città che ha conquistato. Se non sapesse che il duca è il
miglior guerriero del Regno e ha guidato più volte le truppe franche alla
vittoria, dubiterebbe della sua lealtà. -
Hai un’idea di quanto chiede? - No,
ma dicono che abbia ritratto anche Salah ad-Din ibn Ayyub.
Di certo avrai bisogno di molti dinari. Jorge
sa che farsi ritrarre da un grande pittore costa molto, ma è l’unico modo che
ha individuato per fare conoscenza con Barbath e colpirlo. Ha bisogno di una
o due sedute di posa per riuscire a parlare un po’ con il pittore e
conquistare la sua fiducia. A quel punto Waahid sarà disponibile a fare da
tramite con il comandante. Vale la pena di spendere una somma consistente, se
il ritratto darà la possibilità di avvicinare e uccidere Barbath. E se le
cose andranno come Jorge si augura, non dovrà nemmeno pagare il ritratto: un
morto non si paga. Jorge
si reca a palazzo. Al primo cortile si può accedere liberamente: le guardie
all’ingresso non bloccano nessuno. In questo cortile più esterno si trovano
diverse botteghe di artigiani e artisti che lavorano anche per l’emiro, tra
cui quella di Waahid. Il pittore non c’è, ma Jorge spiega che sta pensando di
fare un ritratto e fissa un appuntamento per il giorno dopo. Il
mattino seguente il templare ritorna a palazzo. Waahid è presente. Jorge
chiede di vedere qualche sua opera, perché gli piacerebbe tornare al proprio
paese con un suo dipinto. Waahid non ha molto materiale da mostrare, perché
di solito lavora su commissione. Gli fa perciò vedere alcune miniature che
gli sono state ordinate e non potrà vendere ad altri. Quattro
raffigurano uccelli: sono le prime di
una serie che gli ha richiesto un allevatore. Ci sono un falco su un
trespolo, un pellicano su un ramo d’albero, uno struzzo e un fenicottero. - E
quante saranno, in tutto? -
Otto. -
Dev’essere un uomo molto ricco per permettersi otto miniature di Waahid ibn Munthir. Waahid
sorride. - È
molto ricco, sì, Nabil, ma questi non sono dipinti
complessi. C’è l’immagine dell’uccello, che richiede cura e attenzione, ma lo
sfondo è appena accennato. Del riquadro che incornicia il dipinto si occupa
il mio assistente: richiede precisione, ma non è un lavoro impegnativo. - Comunque sono bellissimi. Mi piacerebbe
però vedere qualche dipinto con figure umane. Mi dicono che sei bravissimo. -
Posso farti vedere alcuni dipinti più complessi che mi sono stati
commissionati. -
Grazie. La
prima miniatura che Waahid prende è completa. È una scena di battaglia, che
si svolge vicino a una città murata. Una dozzina di cavalieri si affrontano
con le spade e le scimitarre. Quelli provenienti da sinistra, che appaiono
vittoriosi, sono guidati da un uomo molto giovane, che ha calato la sua spada
su un cavaliere armato con una cotta di maglia e uno scudo. Il colpo ha
mozzato la testa dell’uomo e si vede il corpo che è sul punto di cadere,
mentre la testa, su cui è visibile un elmo, già rotola a terra. Il morto
dev’essere il comandante delle truppe della città e i suoi uomini mostrano la
loro disperazione vedendolo cadere. Due vengono trafitti dalle lance degli
attaccanti, mentre alcuni corpi giacciono a terra. Jorge
non è interessato all’arte, ma non può fare a meno di ammirare la perfezione
di questo dipinto. - È
bellissimo. Che cosa rappresenta? -
L’uccisione del comandante delle truppe di Izz al-Din Masud, l’atabeg di Mosul,
ad opera di al-Asad. Il momento decisivo della
presa della città. Jorge
ha sentito parlare di Ubayd, detto Al-Asad, il
Leone: è un giovane guerriero che si è distinto negli ultimi anni e ha avuto
un ruolo determinante nella conquista di Mosul ad opera del Saladino. Waahid
aggiunge: - È
lui che me l’ha ordinata. Ho completato l’opera, ma non gliel’ho inviata. Mi
ha detto lui di tenerla, perché tornerà qui a Jabal al-Jadid,
per parlare con il comandante Barbath. Jorge
annuisce. Pensa che riuscire a uccidere insieme Barbath e Ubayd sarebbe un
colpo fantastico, ma se che è impossibile. -
Hai ritratto anche il comandante Barbath? -
Sì, certo. Più volte. Waahid
pensa a quando il Circasso gli imponeva di dipingere i momenti in cui
umiliava Barbath, che allora era suo schiavo: più volte Waahid ha dovuto
ritrarre il comandante che veniva fottuto dal Circasso. Non ricorda
volentieri quelle scene, perché il comandante è un uomo giusto e generoso e
ciò che il Circasso gli faceva subire era un abominio. Quando il Circasso
venne sconfitto dal duca di Rougegarde, Waahid distrusse tutte le miniature
che testimoniavano l’umiliazione di Barbath. -
Hai un suo ritratto da farmi vedere, Waahid? -
No, non ne posseggo. - Mi
piacerebbe conoscerlo. So che i cristiani lo chiamano il Flagello. E mi hanno
detto che qui invece… Ridacchia,
come se fosse imbarazzato. Waahid ha capito. Annuisce e completa la frase: -
Sì, lo chiamano Tre-coglioni. Ne ha proprio tre. -
Davvero? Lo hai visto con i tuoi occhi? Waahid
potrebbe dire che con gli attributi di Barbath ha anche giocherellato un po’,
ai tempi in cui era il suo schiavo. Si limita a rispondere: -
Sì, l’ho visto bagnarsi più volte. -
Dicono anche che sia uno dei migliori stalloni della Siria. Waahid
lo sa per esperienza diretta, ma non ha voglia di raccontare a questo
sconosciuto il proprio passato, per cui si limita a dire: -
Sì, questo è quanto dicono tutti quelli che l’hanno provato. Jorge
sorride. Fotterà volentieri quel figlio di puttana. Gli farà provare il cazzo
di un cristiano. E poi lo castrerà. Chiede,
per non mostrare subito il suo interesse per Barbath: -
Hai altro da farmi vedere? - Ho
una scena di vita di corte, a cui sto lavorando. Aspetta un momento, Nabil. Waahid
lascia la stanza e torna portando un altro dipinto, di piccole dimensioni,
come la scena di battaglia. Rappresenta lo scorcio di un palazzo, con un
giardino sullo sfondo e davanti un padiglione, al cui interno siede su un trono
un uomo e accanto a lui un altro, che ha qualche anno in meno. - È
l’emiro? -
Sì, è l’emiro ‘Izz ibn Ashraf. - E
quello accanto a lui? Jorge
ha sentito dire che l’emiro ha un amante, con cui vive da una decina d’anni. - Un
suo amico. Waahid
sa benissimo quali sono i rapporti tra ‘Izz e il
bel Ridwan, ma gli sembrerebbe poco rispettoso parlarne a uno sconosciuto. Intorno
ai due personaggi principali ve ne sono diversi altri: due suonatori, uno con
un tamburello, l’altro con uno strumento a corde; un servitore che porta una
veste dorata e un altro che presenta all’emiro del cibo su un vassoio; due
uomini che paiono di condizione elevata, uno con un falcone e l’altro con un
arco; alcuni cortigiani che parlano tra di loro. È un lavoro complesso e
raffinato. Jorge si chiede quanto possa costare, ma probabilmente è destinato
all’emiro stesso. - È
per l’emiro, vero? -
Sì, è così. Jorge
guarda ancora un momento la miniatura, poi la porge a Waahid. - Mi
avevano detto che sei molto bravo, ma le lodi che ho sentito non ti rendono
giustizia. - Mi
spiace non avere altri dipinti da farti vedere. -
Non ha importanza. Quello che ho visto è più che sufficiente per farmi capire
che sei un grande artista. Mi sto chiedendo… mi faresti un ritratto? -
Volentieri. Hai un viso molto interessante. Vuoi solo il volto o tutto? Jorge
riflette un momento. Forse è meglio un ritratto a figura intera. Costerà di
più, ma richiederà più di una seduta e gli darà il tempo di raggiungere il
suo scopo. -
Direi un ritratto in cui mi si vede tutto. Discutono
un momento del prezzo e poi degli orari delle sedute. -
Per gli abiti, che cosa pensi di fare? - In
che senso? - Di
solito chi si fa dipingere vuole apparire in abiti sontuosi, con gioielli, ma
non tutti hanno gli stessi gusti. -
Che cosa intendi? -
C’è chi vuole farsi ritrarre al lavoro, nella sua bottega, con gli abiti di
tutti i giorni. O con un abito per la caccia, magari con il falcone sul
braccio. Un ricco si è fatto ritrarre mentre esce dal bagno. -
Nudo? Waahid
ride: -
Sì, nudo. E mi ha chiesto di farlo apparire… più virile. D’altronde spesso
abbellisco gli abiti degli uomini che ritraggo e inserisco gioielli. In quel
caso… -
Hai abbellito il suo gioiello. Waahid
sorride e fa un cenno affermativo. -
Dipingi anche scene… con un uomo e una donna… o con due uomini? Jorge
non specifica che tipo di scene, ma il senso è chiaro. Waahid
ne ha dipinte molte, perché l’emiro gli fa illustrare storie d’amore, in cui
di solito i protagonisti hanno i tratti di ‘Izz e
di Ridwan. Quando ha dipinto miniature per le Cinquanta e una notte, li ha inseriti nelle illustrazioni per la
cornice e per la storia finale, quella del principe Nadir e di Hamza, re dei
jinn dell’Oriente. Preferisce
però non parlarne, per cui si limita dire: -
L’ho fatto, qualche volta. - Va
bene, comunque non è quello che mi interessa. Jorge
pensa che gli piacerebbe farsi ritrarre mentre fotte Barbath dopo averlo
pugnalato a morte, ma ovviamente non è possibile. Finge
di riflettere, poi dice: -
Non so, non è che mi interessino molto i gioielli e gli abiti sontuosi. Sono
un mercante, non voglio passare per un ricco signore. Non mi spiacerebbe
avere un mio ritratto nudo, ma non potrei mostrarlo, se non a pochi amici.
Meglio un ritratto con un abito normale, come questo che indosso. Chiacchierano
ancora un momento, Poi Jorge dice: -
Hai fatto tantissimi ritratti, suppongo. -
Non saprei nemmeno io dire quanti. Ho perso il conto. - Mi
dicevi che hai ritratto anche il grande Barbath. Più volte. -
Sì. - So
che risiede qui a palazzo. Avresti voglia di farmelo conoscere, uno di questi
giorni? Ho sentito parlare molto di lui da quando sono arrivato in Siria. Waahid
è un po’ sorpreso, ma la richiesta non è così strana: Barbath è noto in tutta
la Siria ed è comprensibile che qualcuno che viene da lontano abbia piacere
di vedere un personaggio così famoso. -
Certo. Gli dirò che hai piacere di conoscerlo. L’indomani
Jorge posa per il ritratto. Waahid traccia il disegno, che provvederà poi a
dipingere durante la seconda seduta e che completerà successivamente, senza
più bisogno che il modello torni. Quando avrà ultimato l’opera, Waahid la
consegnerà. Alla
fine dell’incontro Jorge chiede nuovamente di Barbath e Waahid gli dice che
ha parlato con il comandante e che verrà la prossima volta. La
seconda seduta è quasi finita, quando Barbath in persona fa la sua comparsa. -
Barbath, questo è il mercante Nabil, che ha piacere
di conoscerti. Jorge
si alza e si inchina leggermente, in segno di saluto. Gli pesa rendere
omaggio al Flagello, ma conta di riuscire ad ammazzarlo. Gli piacerebbe
castrarlo e fotterlo, come ha fatto con Abdul-Qaadir,
prima di finirlo. E allora può anche inchinarsi davanti a lui: un atto di
ossequio che il comandante pagherà caro. -
Sono lieto di incontrare un grande guerriero, di cui ho sentito parlare
molto. Dicono che sei stato tu a conquistare Aleppo. Barbath
sorride e scrolla le spalle, come se non avesse importanza. - Da
dove vieni, Nabil? - Da
Murrakus. Murrakus
è in Marocco. Jorge dice sempre di venire da qualche città lontana, perché il
suo accento è diverso da quelli della Siria. - È
molto distante. Che cosa ti ha spinto a venire a commerciare fin qui? - La
voglia di viaggiare. Perciò ho raccolto alcune merci che ho venduto al mio
arrivo in Egitto e adesso continuo a commerciare, approfittandone per
visitare queste terre. Prima di tornare a Murrakus vorrei spingermi almeno
fino a Bagdad. E naturalmente alla Mecca. Barbath
osserva Nabil. Fa fatica a vedere in quest’uomo
molto forte un commerciante. - A
vederti non sembri un mercante, ma un guerriero. - La
mia è una famiglia di commercianti, ma io ho combattuto a fianco di Abu Yaʿqub
Yusuf quando conquistò al-Andalus. Poi, alla morte di mio fratello, ho dovuto
affiancare mio padre e occuparmi degli affari di famiglia: ero l’unico figlio
maschio rimasto. Ma avrei preferito continuare a combattere contro gli
infedeli, che Iddio possa sterminarli tutti. Gli
infedeli a cui Jorge pensa sono ovviamente i musulmani, ma Barbath non può
sospettarlo. La spiegazione dello straniero lo convince pienamente. - Mi
racconterai delle gesta di Abu Ya’ qub Yusuf. - E
tu delle tue: ho sentito parlare molto di te e mi piacerebbe sentirti narrare
le tue imprese. Posso avere l’onore di invitarti a cena? Poi
Jorge si rivolge a Waahid. -
Potresti venire anche tu, portando il ritratto. Quando pensi che l’avrai
completato? -
Anche domani. -
Allora facciamo dopodomani sera. Ti va bene, Barbath? -
Sì, non c’è problema. - E
a te, Waahid? -
Sì, anche per me va bene. -
Una cena tranquilla, senza pretese. Io ti pagherò il ritratto, Waahid, e
tutti e due ascolteremo le imprese di colui che i cristiani chiamano il
Flagello. - E
tu mi parlerai della conquista di al-Andalus. -
Certo. Ditemi solo se bevete vino, per regolarmi. Il
Corano proibisce il vino, ma sono tanti i signori arabi che ne fanno uso. Barbath
ride e risponde: -
Qualche volta sì. È
credente, ma non dà molta importanza a queste norme religiose, che giudica
secondarie. D’altronde è raro che a un banchetto non venga servito anche il
vino. Waahid
invece scuote la testa. -
No, confesso che l’ho assaggiato, ma non mi piace proprio. - Va
bene. È per sapere che cosa offrirvi domani sera. In
realtà gli serve per sapere dove mettere il narcotico che farà addormentare i
suoi due ospiti. Poi Jorge taglierà la gola a Waahid e fotterà e castrerà
Barbath, prima di sgozzare anche lui. Jorge
spiega dove abita, poi si congeda. Torna
nella casa che ha affittato. Ordina al servitore di procurarsi per il giorno
previsto i cibi e le bevande. Se fosse un invito normale, provvederebbe a
cercare anche alcuni musicisti per allietare la serata, ma non possono
esserci altre persone. L’unica altra cosa che serve è il narcotico, ma quello
Jorge l’ha portato con sé. Avvisa
Fathi, che partirà prima del banchetto, per evitare
rischi. Lascerà al caravanserraglio non lontano dalla città un cavallo per
Jorge, se questi non potesse uscire con il suo. L’ultima
cosa da fare è cercare una stanza in cui dormire l’ultima notte. Jorge conta
di lasciare Jabal al-Jadid appena si apriranno le
porte della città, all’alba. Non dovrebbero esserci problemi, ma non vedendo
Barbath e Waahid rientrare, il mattino successivo al banchetto, qualcuno
potrebbe insospettirsi e venirli a cercare nella casa che Jorge ha affittato.
È meglio per lui avere un altro posto per dormire. Getterà i due cadaveri nel
pozzo, ma anche se non li troveranno subito, potrebbero arrestarlo, se
sospettassero qualche cosa. Jorge
dice a Fathi di cercargli una sistemazione a Hayi Albawwabat Algharbia, il quartiere della porta occidentale: è
un’area povera, dove vi sono bordelli economici e locande di quart’ordine.
Preferisce non svolgere la ricerca di persona: se dopo la morte di Barbath
battessero la città per trovarlo, qualcuna delle persone a cui si è rivolto
potrebbe ricordarsi di lui. Per lo stesso motivo intende evitare le locande.
Meglio trovare qualcuno che affitta camere. Fathi chiede in giro e non ha difficoltà a
trovare un posto adatto: un certo Aziz affitta una camera a piano terra con
ingresso su un vicolo. Fathi non parla con l’uomo,
perché non può presentarsi come un servitore mandato dal suo padrone: chi
affitta una camera economica in un quartiere come quello, non ha servi o
schiavi. Torna da Jorge e gli dà tutte le indicazioni necessarie per trovare
Aziz. Il templare si cambia, indossando un abito liso, e si reca nel
quartiere. Ci arriva quando il sole è già tramontato, in modo che per strada
non possano vederlo bene in faccia. Aziz
abita al primo piano. È un uomo sui quaranta, alto e forte. Ha una grossa
cicatrice in faccia, sul lato destro, e un solo occhio. Lo
guarda con diffidenza. -
Che cosa vuoi? - Mi
hanno detto che hai una camera da affittare. Ho bisogno di una stanza per
qualche notte. L’uomo
risponde, brusco: -
Per quante notti? - La
prendo per quattro notti. A partire da domani. Questa sera dormo da un amico. - Se
la vuoi, la paghi da oggi. - Va
bene. Però fammela vedere. Scendono
al piano terra da una scala interna. Aziz zoppica. La camera ha una seconda
porta che dà sulla strada e un’altra che deve immettere nel cortile. Forse
era un piccola bottega. L’arredamento è misero: un letto, un tappeto logoro,
una sbarra per appendere abiti, una bacinella per lavarsi. Il posto è
squallido, ma a Jorge va bene. Si mettono d’accordo sul prezzo. L’uomo
pretende di essere pagato subito. Jorge gli dà il denaro. Dopo
aver intascato i soldi, l’uomo diventa più cordiale. -
D’accordo. Spero che ti troverai bene, Munir. Jorge
ha preferito dare un altro nome: può darsi che nei prossimi giorni le guardie
cerchino casa per casa un certo Nabil. - Ci
conto, Aziz. Mi sembra un posto tranquillo. - Lo
è. Nessuno che ti rompa i coglioni, qui. Le guardie non ci vengono volentieri
da queste parti. Aziz
ghigna. Probabilmente pensa che Jorge voglia la camera per qualche affare
sporco. -
Meglio così. Non ho niente da nascondere, ma preferisco non avere a che fare
con le guardie. Quando sei povero, ti trattano come un cane rognoso. Aziz
annuisce. Sul viso è passata un’ombra. -
Quei bastardi… Io ero un soldato, ho combattuto contro gli infedeli. Gli
uomini del Cane dagli occhi azzurri mi hanno cavato un occhio e azzoppato… e
le guardie dell’emiro, quei bastardi, mi hanno sbattuto in prigione perché
avevo bevuto. Ho versato il sangue per la fede e mi hanno trattato come un
cane, due volte in prigione. Jorge
non si stupisce che Aziz sia stato un soldato: il fisico robusto e la
cicatrice sul volto glielo hanno fatto pensare. Adesso deve amare bere. Molti
lo fanno, ma se è stato arrestato, non è certo per aver bevuto vino.
Probabilmente si è ubriacato e ha combinato qualche guaio. Naturalmente
gli dà ragione: non avrebbe nessuno motivo per non farlo. -
Non c’è rispetto per chi ha combattuto. -
Sì, è così. Sono dei bastardi. - È
proprio vero, Aziz. Aziz
deve avere fretta di procurarsi qualche cosa da bere, adesso che ha due
monete, per cui gli dice: - Io
vado. -
Non mi hai dato la chiave. -
Ah, sì. È lì. Indica
una chiave appesa a un gancio, di fianco alla porta. Aggiunge: -
Quella è per la porta sulla strada. Quella sul cortile la apri dall’interno,
non c’è chiave. Nel cortile c’è un pozzo, ma è asciutto. Se hai bisogno di
qualche cosa, sali da me. - Va
bene. Grazie. Aziz
se ne va. Jorge osserva ancora un momento la camera, poi socchiude la porta
che dà sul cortile: vuole avere un’idea della situazione, in caso di
emergenza. Fuori ormai è buio fitto, per cui nessuno può vederlo. Esce
nel cortile, che è uno spazio molto piccolo. Un muro lo divide da un altro
cortile. C’è il pozzo, senza più nemmeno la carrucola. Jorge
rientra in camera, chiude la porta che dà sul cortile, poi prende la chiave,
apre la porta sulla strada ed esce. Tornerà solo dopo aver ucciso Barbath e
Waahid. Il
giorno dopo Jorge ha preparato tutto quanto gli serve. Fathi
è partito. Il servitore che ha assunto ha acquistato alcune cose. Domani
comprerà quello che manca e preparerà tutto per il banchetto serale. Jorge
decide di andare al bagno, perché ha voglia di rinfrescarsi. Magari avrà
occasione di scopare: al pensiero di uccidere Barbath il cazzo gli si tende e
non gli spiacerebbe fottere qualche maomettano. Nel
bagno però nessuno gli si avvicina, anche se qualcuno lo guarda con
interesse. Jorge preferisce non prendere iniziative: non vuole che ci sia
qualche complicazione. Al
momento di andarsene, si accorge che due uomini lo stanno fissando. Non dà
segno di essersene accorto. Passa nello spogliatoio e si riveste tranquillamente,
ma vede che anche i due sono venuti a rivestirsi. Adesso fingono di
ignorarlo, come se non si accorgessero nemmeno della sua presenza. Fuori
ormai è buio. Jorge non prende la strada che porta verso casa, ma si dirige
verso il quartiere della porta occidentale. Si rende conto che uno dei due
uomini lo segue. Si infila nei vicoli, senza dare segno di essere consapevole
del pedinamento. L’uomo
che lo segue è convinto che davvero Jorge non si sia accorto di nulla. Si
mantiene prudentemente a una certa distanza, ma non può lasciare troppo
spazio, per non rischiare di perderlo. Nell’oscurità è difficile che Jorge lo
veda. A un
certo punto però volta un angolo e non scorge da nessuna parte l’uomo che
seguiva. -
Merda! Si
avvia rapidamente verso il fondo del vicolo, ma quando passa di fronte a una
rientranza, una mano gli tappa la bocca e una lama gli squarcia il petto. Tre
colpi. Quando Jorge molla la presa, il cadavere cade a terra. Jorge lo
trascina nella rientranza. È buio, perciò non lo scopriranno tanto in fretta,
ma questo non cambia nulla. È stato riconosciuto: non si spiega altrimenti il
fatto che lo abbiano seguito. E l’altro uomo deve essere andato ad avvisare
le guardie. Jorge sa di essere uno degli uomini più odiati dai saraceni e di
certo avviseranno Barbath. Descriveranno il suo aspetto al comandante.
Sospetterà che si tratta di lui? Se è così, non c’è nessuna speranza di
riuscire a ucciderlo. E comunque domani, quando lo cercheranno in tutta la
città, prima o poi qualcuno capirà che il mercante Nabil
è Jorge da Toledo. No, il piano è andato a monte. Deve lasciare Jabal al-Jadid, ma ormai le porte della città sono chiuse. Per
uscire Jorge dovrebbe salire sulle mura e calarsi all’esterno nella notte:
sarebbe estremamente rischioso in ogni caso, di fatto impossibile se le
guardie saranno state allertate. Jorge
decide in fretta. Si dirige alla casa che ha affittato. Controlla che non ci
sia nessuno, poi entra e prende alcune cose di cui ha bisogno. Esce e si
nasconde in un angolo buio, da cui può sorvegliare la porta dell’abitazione. Intanto
Barbath è stato chiamato: gli riferiscono che un uomo vuole parlargli perché
ha visto Jorge da Toledo in città. Il comandante dà subito ordine di farlo
entrare, per interrogarlo. -
Buongiorno, comandante. Il nome è Jaffar ibn Jaber e vengo da Damasco. - Mi
dicono che hai visto Jorge da Toledo qui in città. È vero? -
Sì, comandante. Ero con un amico, Eliyahou, e lo
abbiamo visto al bagno Miah Eadhba. -
Come fai a conoscerlo? - Lo
vidi tre anni fa, a Damasco, quando assassinò il comandante Abdul-Qaadir, che Iddio lo accolga tra i giusti. Frequentava un
bagno dove mi recavo spesso anch’io. E dopo l’omicidio scoprii che l’uomo che
vedevo al bagno era quell’infame. -
Sei sicuro di quello che dici? -
Sì, vedendolo nudo ho riconosciuto i segni che aveva sul corpo, oltre alla
faccia. - È
ancora al bagno? -
No, è uscito. - Si
è accorto che lo avete notato? -
Non credo. -
Avete visto dove andava? -
Sì, si è diretto verso Hayi Albawwabat
Algharbia. Eliyahou lo ha
seguito. -
L’ha seguito? -
Sì, per vedere dove andava esattamente e venire a dirtelo. -
Ottimo. Allora aspettiamo che arrivi il tuo amico. Intanto descrivimi Jorge
da Toledo. - È
un uomo sui quarant’anni, ha spalle larghe e braccia molto muscolose. Capelli
e barba sono neri e li porta corti. Ha gli occhi scuri È un po’ più alto di
me. Ha un colorito scuro, non si direbbe un franco: loro di solito hanno la
pelle più chiara. Barbath
non collega la descrizione all’uomo da cui dovrebbe andare a cena domani
sera: non può pensare che si tratti della stessa persona. -
Descrivimi il viso. Jaffar alza le spalle. Saprebbe riconoscere
l’uomo, senza nessuna incertezza, ma non è facile descrivere un volto. Com’è?
Cerca di trovare le parole. -
Non saprei come descriverlo. Ha un viso un po’ allungato, il naso largo. - Va
bene, vediamo quando viene il tuo amico. Adesso avviso le guardie. Barbath
dice che aspetta un uomo di nome Eliyahou: quando
arriva, devono farlo passare subito. Il
tempo passa, senza che arrivino notizie. I soldati sono pronti a entrare in
azione, ma non sanno dove andare. Barbath ha mandato altri uomini sulle mura,
per essere sicuro che il templare non riesca a fuggire, se si è accorto di
essere stato scoperto. Provvederà anche a rafforzare le ronde notturne,
quando sarà il momento: per il momento non è tardi e c’è molta gente in giro. Eliyahou non arriva, ma viene ritrovato il
corpo di un uomo assassinato. Quando glielo annunciano, Barbath sospetta la
verità. Accompagna Jaffar dal lavatore di cadaveri,
dove è stato portato il corpo. Jaffar riconosce l’amico. Gli sembra di aver
ricevuto una mazzata in testa. Barcolla. Barbath
osserva: -
Questa è opera di Jorge da Toledo, di sicuro. Si è accorto di essere seguito.
Jaffar annuisce. Guarda il cadavere e scuote
la testa. Barbath
lo fa uscire. - Il
lavatore lo pulirà e poi lo seppelliremo. Jaffar scuote la testa. -
No, Eliyahou era ebreo. Bisogna chiamare un
rabbino. Barbath
dà le disposizioni necessarie. -
Adesso però bisogna trovare l’assassino. Barbath
fa chiamare Waahid. È già successo un’altra volta che gli facesse disegnare
il viso di un uomo che stavano cercando. L’aiutante ne fece diverse copie e
furono distribuite alle porte delle città, ai bagni e nelle locande. Così si
riuscì a ritrovare il ricercato. Jaffar inizia a descrivere, mentre Waahid
disegna. È lui a un certo punto ad avere il sospetto. Si interrompe e dice: -
Aspettatemi. Barbath
e Jaffar non capiscono il motivo di questa
improvvisa interruzione. Waahid
torna poco dopo con il ritratto del mercante Nabil.
Lo mostra a Jaffar e chiede: - È
lui? -
Sì, certo. È lui. Ma… come è possibile… non puoi averlo disegnato ora… Barbath
ha capito. -
Andiamo a casa sua. Sappiamo dove abita. Waahid, tu aspetta qui. Se è
scappato, bisognerà fare subito altre copie del ritratto. Barbath
raccoglie una trentina di uomini e si muove verso la casa di Nabil-Jorge. Avrebbe dovuto recarvisi domani sera per il
banchetto. Ora sa con certezza che sarebbe stata la sua ultima cena. Barbath
divide gli uomini in tre gruppi. Conduce personalmente quello che entrerà in
casa dalla porta, con le buone o con le cattive. Affida gli altri due a Madhi e Qais, gli ufficiali di cui ha più stima, a parte
il suo vice, Feisal, che è rimasto a palazzo:
quando Barbath è assente, Feisal prende il suo
posto. Jorge
li vede arrivare. Passano oltre il punto in cui è nascosto e si dirigono
verso la casa. I soldati circondano l’isolato. Jorge
sa che rimanere sarebbe inutile e pericoloso. Si allontana e si dirige
rapidamente verso la stanza che ha affittato. Per questa notte è impossibile
che lo scoprano, anche se lo cercheranno ovunque. Domani Aziz potrebbe avere
qualche sospetto? Ci saranno soldati alla sua ricerca, passeranno di casa in
casa, offriranno una ricompensa. Aziz
abita al piano di sopra. Jorge potrebbe farlo venire con una scusa e poi
ucciderlo. Jorge
prende il pugnale, lo nasconde sotto la stoffa e sale al primo piano. Bussa
alla porta. Nessuno risponde. È ormai piuttosto tardi. Che l’uomo sia uscito?
Di certo sarà andato a bere. Jorge bussa di nuovo. Poco dopo sente dei passi.
L’uomo socchiude appena la porta. -
Ah, sei tu, Nabil? Che cosa c’è? Aziz
apre del tutto la porta. È nudo e il fiato puzza di vino. Se non è ubriaco,
poco ci manca. Jorge osserva il corpo robusto, che il bere ha sformato senza
cancellarne completamente la forza. -
C’è un problema sotto, Aziz. Una parte del soffitto ha ceduto. Aziz
appare stupito. -
Cosa? Non è possibile. -
Vieni a vedere. Aziz
esce e accosta la porta dietro di sé. Scendono le scale. Aziz si appoggia
alla parete. Jorge lo lascia passare. Aziz avanza nella stanza e solleva la
lampada. -
Non c’è nulla. Che cazzo… Aziz
non completa la frase. Jorge dietro di lui gli ha tappato la bocca e gli
immerge la lama nel ventre. Sarebbe stato più sicuro tagliargli la gola, ma
quando ha visto Aziz nudo, il desiderio lo ha assalito di colpo, violento:
desiderio di uccidere, di stuprare. Non ucciderà Barbath, ma almeno
quest’uomo, che è stato soldato. Jorge colpisce altre tre volte, poi lascia
cadere il corpo al suolo. Una pozza di sangue si allarga, mentre l’uomo geme.
Jorge osserva il culo villoso di questo maschio. Ha
già il cazzo duro. Si spoglia e mette Aziz in posizione. L’uomo parla, a
fatica. -
Merda! Perché… non ho niente… Jorge
ride. -
Sono un cristiano, bastardo. Un cristiano che ora ti fotte. Aziz
sprofonda in un vortice di dolore. Capisce che la sua vita è finita, ma non
ne comprende i motivi: non può capire che Jorge vendica su di lui il
fallimento della sua impresa. Jorge
spinge il cazzo nel culo di Aziz, a fondo. L’uomo geme. Jorge
lo fotte con rabbia, furente per lo smacco subito, per il rischio che corre
senza essere riuscito a portare a termine la sua impresa. Aziz geme più
forte, ma nessuno può sentirlo. Il templare spinge il cazzo bene a fondo,
fino a che i coglioni battono contro il culo dell’uomo, poi lo ritira e
affonda nuovamente. Il
piacere cresce, mentre fotte questo maomettano. Avrebbe voluto fottere
Barbath, il Flagello. L’avrebbe castrato così volentieri. Sarebbe stato
splendido tagliargli i tre coglioni, uno per uno. E poi il cazzo.
Infilarglieli in bocca prima di finirlo. L’impresa
è fallita. Ha ucciso quel maledetto che lo seguiva e tra poco ucciderà anche
questo bastardo. Jorge
sente il piacere debordare. Viene, con una successione di spinte violente.
Emette un gemito mentre il seme si sparge in culo alla vittima. Volta il
corpo. Sorride e gli immerge il pugnale nel cuore. Risale
al piano di sopra. È appena entrato nell’appartamento di Aziz, quando sente
una voce maschile: -
Che problema c’è, Aziz? Che cosa voleva quello? Jorge
si ferma. Aziz non era solo. Merda! -
Aziz? Jorge
posa la lanterna e si mette dietro la porta. La
voce chiama ancora una volta, poi si sentono rumori. Qualcuno si sta alzando
e si dirige verso l’uscio. Jorge
rimane immobile, in silenzio. -
Aziz, perché non rispondi? L’uomo
fa due passi ed entra nella stanza. È nudo. Dev’essere giovane, poco più di
un ragazzo. Forse un giovane che si prostituisce. Jorge
gli tappa la bocca e immerge il pugnale nel petto. Ogni resistenza svanisce
subito. Il corpo si affloscia. Jorge
lo lascia cadere a terra. Sì, non deve avere più di vent’anni. Si
mette male. Se Aziz l’ha raccolto per strada, nessun problema. Se si è
rivolto a un bordello, tra un po’ si chiederanno perché il giovane non torna.
No, cazzate. Se il ragazzo lavorava in un bordello, Aziz avrebbe scopato là.
Deve averlo raccattato per strada. Nessuno lo verrà a cercare. Jorge
raccoglie il cadavere. Scende al piano di sotto. Apre la porta sul cortile.
Il buio è completo, si vede appena la sagoma del pozzo. Jorge lo raggiunge.
Toglie il coperchio e getta il corpo nel pozzo. Poi ritorna al primo piano,
prende un lenzuolo e pulisce, ma c’è poco sangue. Scende a piano terra. Avvolge
il corpo di Aziz perché non lasci una traccia di sangue e lo porta fino al
pozzo. Aziz è pesante, ma Jorge è molto forte. Quando lo lascia scivolare il
cadavere nel pozzo, si accorge di essere tutto sudato. Torna dentro e pulisce
con cura la stanza. Ripassa al primo piano, controlla che non siano rimaste
tracce e chiude la porta, dopo aver preso un po’ di cibo e di acqua. Poi
torna nella sua camera e si stende per dormire. L’indomani
i soldati bussano a tutte le case. Jorge li sente battere anche all’uscio
della sua camera e a quello di fianco, che porta alla scala per
l’appartamento di Aziz. Rimane immobile, in silenzio. Risuona
una voce femminile, che proviene dalla casa di fronte. -
Aziz non ha aperto la finestra. Probabilmente ha bevuto troppo ieri sera e
dorme. Oppure non è neanche tornato a casa. Ogni tanto succede. I
soldati chiedono alla donna se ha visto l’uomo del ritratto. Jorge capisce
che le stanno mostrando una copia del disegno di Waahid: il pittore o i suoi
aiutanti di certo ne hanno fatte tante copie. Merda! I
soldati procedono oltre. In giornata nessuno bussa più all’uscio. Jorge non
apre le porte e rimane in silenzio. I
giorni passano. Jorge rimane nascosto. Probabilmente penseranno che sia
riuscito a scappare. Prima o poi allenteranno la sorveglianza. Il rischio è
che i vicini incomincino a chiedersi che fine ha fatto Aziz. La
notte Jorge esce in cortile. Vicino al pozzo si sente l’odore di
putrefazione, ma non è così forte da poter essere avvertito oltre il muro.
Un’idea gli viene. Peccato non averci pensato prima. Il pozzo ha ancora la
corda, anche se non c’è più la carrucola. Jorge fissa bene la corda e si cala
nel pozzo. Ha con sé un coltello, che stringe tra i denti, e una borsa. Man
mano che scende, l’odore diventa sempre più forte. Jorge sente infine che i
suoi piedi toccano qualche cosa di molle, probabilmente uno dei cadaveri in
decomposizione. Cerca un tratto di terreno libero e quando lo trova vi poggia
i piedi. Poi al buio cerca con le mani i cadaveri. Ne taglia alcuni pezzi
d’intestino. Li mette in borsa e risale. Nella
camera si rade completamente i capelli, la barba e le sopracciglia. Lacera la
veste e la sporca con un po’ terra presa in cortile. Un
po’ prima dell’alba si sporca le mani e la faccia e infila in tre punti della
veste lacerata i pezzi che ha preso dai cadaveri. Esce con molta cautela,
controllando che non ci sia nessuno. Finge di camminare a fatica, curvo,
appoggiandosi a un bastone. Quando spunta il sole si dirige verso Bab
al-farag, la porta della consolazione, che si apre verso oriente: è la
direzione opposta a quella dove dovrebbe dirigersi per raggiungere i
territori franchi, ma proprio per questo gli sembra la scelta migliore. Per
le vie si muovono già diverse persone, ma nessuno si avvicina: chi lo
incrocia sente l’odore della carne in decomposizione e si allontana,
disgustato. Jorge
cammina piano, come se ogni movimento gli costasse fatica. Usa la sinistra
per manovrare il bastone. Il braccio destro ciondola inerte, come se non
potesse muoverlo, ma è pronto a raggiungere il pugnale che ha nascosto sotto
la veste stracciata. Chi cercherà di fermarlo, morirà. Alla
porta due soldati si avvicinano, ma l’odore li ferma. Quest’uomo il cui corpo
sta marcendo non è certo quello che da tempo cercano. Jorge
esce dalla città e si allontana. Non può pensare di recuperare il cavallo che
Fathi ha lasciato per lui, ma vedrà di procurarsene
uno quando sarà lontano. Si
ferma tra alcune querce a qualche miglio da Jabal al-Jadid.
Getta via i pezzi di intestino e si lava con l’acqua di un ruscello. Nascosto
tra gli alberi osserva le persone che passano, ma non si muove: preferisce
attendere la sera, quando nessuno potrà vederlo a distanza. Mentre infine sta
diventando buio vede arrivare un uomo a cavallo, forse un mercante, a
giudicare dall’aspetto. È solo e non sembra esserci nessun altro in arrivo. Si
mette sulla strada e tende la mano. Recita: - Il munifico non brucerà mai all’inferno,
anche se è stato un peccatore, e un avaro non andrà mai in paradiso, anche se
è stato pio. L’uomo
ferma il cavallo e cerca nella borsa una moneta. Quando si china per darla,
Jorge gli afferra il braccio e tira, facendolo cadere, poi si getta su di lui
e gli stringe il collo con le mani: non vuole pugnalarlo, per non macchiare
gli abiti di sangue. L’uomo si dibatte, ma è stato preso di sorpresa, nella
caduta ha battuto malamente una spalla e non riesce ad allentare la stretta
che gli toglie il respiro e la vita. Il templare ha rapidamente ragione della
sua resistenza. Quando
è sicuro di averlo ucciso, Jorge lega il cavallo a una quercia, poi porta il
cadavere tra gli alberi e lo spoglia. Scambia i propri abiti con quelli del
morto. Prepara un cappio e lo fissa a un grande ramo, poi sospende il corpo
per il collo: chi lo troverà, se non riconoscerà il morto, penserà a un
mendicante che si è impiccato. Quando
ha concluso, sale a cavallo e si dirige verso i territori cristiani. In un
modo o nell’altro riuscirà a raggiungerli. È riuscito
a scampare, ma il suo ritratto è rimasto nelle mani di Waahid. E questo rende
sempre più difficile riuscire a portare a termine una missione. Dovrà
spiegare ai suoi superiori i motivi per cui non è riuscito a uccidere Barbath
e quando sapranno che è stato riconosciuto, non lo manderanno più nei
territori saraceni. Jorge è furente, ma ormai non c’è più nulla da fare. Intanto
l’emiro ‘Izz ha dato ordine che vengano fatte molte
copie del ritratto, da inviare nelle altre città. Dopo
la separazione da Jorge, Riccardo ha proseguito il suo viaggio verso Damasco.
La carovana con cui viaggia attraversa una regione semidesertica e arriva
alla Ghuta, la fertile regione intorno a Damasco. Ogni volta che vi giunge,
Riccardo si dice che hanno ragione i musulmani a considerarla uno dei
paradisi terrestri: la profusione di orti e giardini ne fa davvero un luogo
incantato, dove è possibile trovare refrigerio dopo la traversata dei deserti
e delle steppe della Siria. Anche adesso che si è alle soglie dell’inverno e
durante il viaggio non si patisce il caldo, è bello immergersi nel verde
rigoglioso di questo territorio. La
carovana si ferma in un caravanserraglio, nella località che i musulmani chiamano
al-Qusayr: è uno dei più grandi della Siria, con
molti magazzini e camere che si affacciano su un ampio cortile interno. Dopo
essersi assicurato che le merci siano state tutte scaricate e collocate in
uno dei magazzini e che i suoi servitori le sorveglino, Riccardo decide di
fare un giro nel caravanserraglio, per vedere se vi è qualcuno che conosce:
viaggiando da diversi anni attraverso l’Oriente, tra i domini cristiani e
quelli musulmani, ha fatto amicizia con molti altri commercianti. Adesso gli interessa
raccogliere qualche informazione sulla situazione attuale di Damasco e sui
prezzi che si praticano in città. È sempre meglio essere informati, in questo
periodo di tensioni, in cui la minaccia di una guerra sembra diventare sempre
più concreta. Per Riccardo le guerre sono soprattutto un ulteriore ostacolo
alla sua attività, come i briganti, anche se talvolta offrono un’occasione di
maggiori guadagni. Girando
per il caravanserraglio, Riccardo si sente chiamare: -
Riccardo, cane di un cristiano! La
frase è scherzosa: l’uomo che l’ha pronunciata, Nadhir
ad-Din, un mercante arabo che vive anche lui a Rougegarde. Conosce da anni
Riccardo e in un’occasione sono scampati insieme all’attacco di una banda di
briganti. Le differenze religiose non hanno impedito loro di diventare buoni
amici, come possono esserlo due mercanti che corrono gli stessi pericoli.
D’altronde Nadhir ad-Din ha spesso a che fare con
altri mercanti cristiani. - Nadhir! Che piacere vederti! Vieni da Damasco? -
Sì. Ci sono rimasto due mesi. -
Tanto così? - Si
è sposato mio figlio Omar. E ne ho approfittato per fare un po’ d’affari. Tu
da dove vieni? - Da
Rougegarde. -
Allora facciamo la stessa strada, ma in direzioni opposte. Mi dirai le novità
di Rougegarde. - E
tu mi dirai qual è la situazione a Damasco. -
Avete incontrato i briganti? Ti confesso che in questi tempi non percorro
volentieri la strada tra al-Hamra e Damasco. Intorno ad Afrin
ci sono spesso briganti. -
Grazie a Dio non li abbiamo incontrati. -
Neppure quei lupi famelici dei tuoi confratelli? Nadhir sorride, mentre dice la frase.
Riccardo ride. - I
lupi non attaccano i lupi. Non
è sempre vero e lo sanno entrambi. -
Già. Nadhir e Riccardo si siedono in un angolo. Nadhir sta raccontando il suo ultimo viaggio, quando una
voce lo interrompe. - Nadhir ad-Din, perché parli con un infedele non
circonciso? Nadhir e Riccardo si voltano. L’uomo che ha
parlato e che si sta avvicinando è alto e massiccio: un colosso che incute soggezione.
Riccardo non dice nulla: sa che l’uomo non sta scherzando, ha colto
l’ostilità nella sua voce. Non è la prima volta che gli succede di venire
insultato, come ai mercanti musulmani può capitare nei territori cristiani. Altri
tre uomini si sono avvicinati, seguendo quello che ha parlato. Sono anche
loro alti e robusti e due potrebbero essere fratelli del primo: c’è una certa
aria di famiglia nei tratti del loro viso; il quarto invece è più scuro di
pelle, probabilmente ha qualche antenato africano. Riccardo si sente
inquieto. A turbarlo non è solo la possibilità di essere aggredito da alcuni
fanatici: i quattro uomini, così forti e virili, destano in lui un desiderio
che è più forte della paura. Questi quattro giganti sono il tipo di maschio
che gli piace. Nadhir risponde, pacato: - Ishan, tu sai bene che cosa dice il Corano: quelli che credono, siano essi ebrei,
cristiani o sabei, quelli che credono in Dio e nell’ultimo giorno e compiono
le buone azioni avranno la loro ricompensa presso il loro Signore e non
dovranno temere. Ishan scuote la testa. - È
scritto anche: voi che credete, non
prendete come alleati gli ebrei e i cristiani, sono alleati gli uni degli
altri, e quelli di voi che si alleeranno con loro diventeranno dei loro, il
popolo degli ingiusti Dio non lo guida. Costoro sono venuti a prenderci
le nostre terre, hanno sterminato i nostri confratelli, si sono cibati dei
loro corpi, a Maara. Perché ti siedi accanto a uno di loro? Riccardo
conosce l’episodio a cui si riferisce Ishan,
conseguenza di una terribile carestia, ma risale al tempo della prima
crociata, quasi un secolo fa. Nadhir non perde la sua calma, anche se
Riccardo si rende conto che è a disagio: -
Riccardo da Verona è un uomo giusto. Forse un giorno l’Onnipotente gli aprirà
gli occhi. Ishan scuote la testa e sputa a terra. Senza
aggiungere altro, si volta e se ne va, seguito dagli altri. Quando i quattro
sono usciti, Nadhir spiega: - Ishan e i suoi fratelli vengono dal Nord. Sono curdi,
guerrieri valorosi. Alcuni dicono che siano anche briganti, ma nessuno di
certo indaga sulle loro attività. -
Vedo che detestano i cristiani. -
Non era così, un tempo. Non erano intolleranti: il loro padre, Boran, aveva rapporti cordiali con ebrei e cristiani e
loro sono cresciuti senza conoscere l’odio per chi segue un’altra religione. - E
come mai adesso invece sono così? -
Alcuni anni fa, forse dieci, Boran fu ucciso a
tradimento da una spia cristiana: era un uomo molto potente e i franchi
temevano che potesse attaccare i loro domini. Da allora i fratelli sono molto
ostili ai cristiani. Sta’ alla larga da loro: sono uomini pericolosi. Riccardo
annuisce. Seguirà l’avvertimento di Nadhir, perché
è prudente e preferisce evitare di correre rischi inutili. Ma l’immagine dei
quattro uomini e soprattutto di Ishan ritorna nei
suoi pensieri. Più
tardi, quando solo poche fiaccole rimangono accese nel caravanserraglio,
Riccardo si distende sul suo giaciglio. Non dorme: pensa ai quattro curdi che
ha visto poche ore fa. Pensa a Ishan, alla forza
che trasudava dal suo corpo, alla voce profonda, alla minaccia nelle sue
parole. Riccardo lascia che i suoi pensieri vaghino in libertà. Immagina di
ritrovare l’uomo, lo vede spogliarsi. Il desiderio cresce: da alcuni giorni
Riccardo non ha rapporti, l’ultimo è stato con Jorge, nei primi giorni del
viaggio. Nel buio della stanza, la mano di Riccardo scende al sesso ormai
teso. Davanti ai suoi occhi si svolge un’intera scena: Ishan
si avvicina al suo letto, lo prende di forza e lo solleva, gli strappa la
tunica, lacerando il tessuto. Riccardo cerca di difendersi, ma gli sembra che
gli manchino le forze. Ishan lo costringe ad
accogliere in bocca il suo cazzo poderoso, che ora si erge in tutto il suo
vigore. Riccardo lo succhia, finché Ishan non lo
costringe a staccarsi, lo spinge sul giaciglio e lo incula con una spinta
violenta che fa urlare di dolore Riccardo. E a questo punto della scena,
mentre la destra accarezza il cazzo ormai teso allo spasimo, Riccardo viene,
gemendo. Il
giorno successivo entra a Damasco per Bab an-nasr,
la porta della vittoria, che è l’ingresso per chi viene da occidente. In
città Riccardo intende rimanere alcuni giorni, come sempre. Venderà le sue
merci e ne prenderà altre, che porterà nei territori cristiani. Nel
pomeriggio del primo giorno, Riccardo raggiunge uno dei bagni, che sono
numerosi a Damasco, come in tutte le città arabe. Riccardo ama molto
trascorrere alcune ore tranquillo, nell’atmosfera calda e accogliente del
bagno. Gli piace la sensazione di pulizia che prova. Gli piace sentire le mani
esperte del massaggiatore che percorrono il suo corpo. E gli piace guardare
gli altri maschi. Non solo guardare: in più di una occasione il suo sguardo
ha incrociato quello di un altro uomo ed è nata una conversazione, in cui
entrambi sapevano di mirare allo stesso scopo. In un locale appartato, di
quelli che gli ospiti possono richiedere, Riccardo ha incontrato altri corpi
e ha conosciuto il piacere di essere posseduto. Adesso
è seduto nel bagno che frequenta abitualmente quando si trova a Damasco, il
migliore della città. È un ampio edificio, con molte stanze comuni e diverse
salette riservate, che possono essere richieste da chi vuole avere uno spazio
per sé, per riposare, parlare di affari, festeggiare con qualche amico,
scopare. Riccardo
non ha visto nessuno che destasse il suo desiderio e ora rimane tranquillo a
riposare in una delle sale comuni, godendosi il calore. Mentre è seduto e
lascia che la sua mente vaghi, vede entrare quattro uomini. Riconosce
immediatamente Ishan, quello che ha rimproverato Nadhir perché gli parlava. Non c’è nessun altro nella
stanza: i due uomini che vi si trovavano sono usciti da poco. Riccardo è a
disagio, non sa come comportarsi. Abbassa lo sguardo, anche se la visione di
quei toraci possenti, coperti da una peluria scura, stimola il suo desiderio. Ishan, che è sempre un passo avanti rispetto
agli altri, gli si avvicina e si ferma davanti a lui. Riccardo è costretto ad
alzare lo sguardo. Non può fare a meno di notare che quest’uomo minaccioso è
davvero imponente. Contro il tessuto che gli cinge i fianchi preme il sesso,
che dev’essere grande e vigoroso, come tutto in questo magnifico maschio. -
Porco cristiano, che fai qui? L’uomo
gli si rivolge in arabo, lingua che Riccardo conosce bene. Il tono è ostile,
come le parole. Riccardo
risponde: -
Anch’io ho bisogno di lavarmi. -
Con la tua presenza insozzi questo bagno. I
quattro sono intorno a lui. Ishan lo sovrasta e il
rigonfio del tessuto è davanti al viso di Riccardo. Il mercante sa bene di essere
in pericolo, eppure la tensione cresce in lui. O forse, e questo Riccardo lo
sa bene, è anche il rischio a eccitarlo. Sente che il sangue affluisce
all’uccello. Si dà dell’idiota, ma non può controllare la reazione del suo
corpo. L’asciugamano che gli cinge i fianchi non è sufficiente a nascondere
l’eccitazione che cresce. Riccardo sposta leggermente le braccia, in modo da
celare meglio il desiderio che avvampa, coprendo la protuberanza. - Me
ne vado, visto che la mia presenza è fastidiosa. Riccardo
si alza, tenendo in mano il tessuto, perché non vedano che ce l’ha duro. Ma i
quattro uomini non si scostano per farlo passare. Ishan
è davanti a lui e i loro corpi si sfiorano. Riccardo deve alzare la testa per
fissarlo negli occhi, perché il curdo è più alto di una spanna. Ishan dice qualche cosa, mentre lo fissa:
una frase in curdo, che Riccardo non capisce. I fratelli ridono, due gli
rispondono, nella stessa lingua. -
Puoi rimanere, cristiano. Ci laveremo dopo. Ishan ride, una risata feroce. Riccardo sente
un brivido corrergli lungo la schiena. Uno dei fratelli di Ishan gli strappa l’asciugamano, rivelando l’uccello già
gonfio di sangue. I quattro fratelli ridono di nuovo, si scambiano battute
che Riccardo non può capire. -
Adesso ti facciamo provare il cazzo dei curdi, cristiano. Inginocchiati. Riccardo
esita. Tutto il suo corpo vuole la violenza che si prepara, ma la sua mente
gli dice che è follia, che dopo lo uccideranno. Due degli uomini lo afferrano
per le braccia e senza incontrare resistenza lo forzano a mettersi in
ginocchio. Davanti al viso ha ora la protuberanza che il sesso di Ishan forma sotto il tessuto. Riccardo si rende conto che
essa sta rapidamente crescendo e quando l’uomo si toglie la tela che gli
cinge i fianchi, può ammirare un magnifico cazzo, quale di rado ha avuto modo
di vedere nella sua vita. Riccardo non aspetta l’ordine. Avvicina il capo,
completamente vinto, e prende in bocca l’arma fenomenale. Avvolge la cappella
con le labbra, l’accarezza con la lingua. È grande, calda, gli riempie la
bocca. Riccardo incomincia a succhiare, avidamente. Ha paura di quello che
seguirà, sa che potrebbero ucciderlo, ma ora è il desiderio a dettare legge.
Riccardo posa le mani sui fianchi di Ishan, sente
sotto le dita il calore della carne, la ruvidezza dei peli, la forza dei
muscoli. E la sua bocca assapora il cazzo imponente dell’uomo. Ishan non si muove, lascia che Riccardo lavori con le
labbra e con la lingua. Non lo avvisa quando il piacere deborda: si limita a
mettergli una mano dietro la nuca, impedendogli di ritrarsi, mentre la
scarica riempie la bocca di Riccardo, che inghiotte. Ishan gli sputa in faccia e si ritrae. Uno
dei fratelli prende il suo posto. Uno dopo l’altro, tutti e quattro si fanno
succhiare il cazzo e gli riempiono la bocca del loro seme. Riccardo
ha il cazzo duro, teso verso l’alto. Qualche goccia cola e il desiderio è sul
punto di prorompere. Riccardo vorrebbe accarezzarsi, ma ha paura della
reazione di questi uomini che lo circondano. Ma quando anche il quarto è sul
punto di venire, Riccardo non resiste e mentre la sua bocca succhia
avidamente, la destra accarezza il cazzo. Riccardo viene insieme all’uomo, il
cui seme gli riempie la bocca. Lo sborro di Riccardo sale in alto e in parte
ricade su una gamba dell’uomo. La reazione è immediata. Un ceffone violento,
seguito da un calcio ai coglioni che fa piegare Riccardo a terra. -
Porco cristiano! L’uomo
si passa la mano sulla gamba, raccoglie il seme, prende Riccardo per il
collo, forzandolo a sollevare di nuovo la testa, e gli infila le dita in
bocca. Riccardo pulisce le dita con la lingua. Il dolore ai coglioni si sta
attenuando: non è stata una botta forte, per fortuna. Ora
è Ishan a parlare: -
Appoggiati al tavolo, porco. Riccardo
sa che cosa vogliono fare. Lo desidera anche lui, nonostante la paura. Si
appoggia al tavolo, divaricando bene le gambe. Volta la testa a guardare Ishan, che è già pronto. Ishan gli sputa sul culo, si inumidisce bene
la cappella e spinge. Riccardo è abituato a prenderselo in culo, ma il cazzo
di Ishan è grosso e il piacere e il dolore si
mescolano in parti uguali. Ishan prende a spingere,
con forza. Le sue mani stringono il culo di Riccardo in una morsa di ferro.
Riccardo chiude gli occhi e si abbandona a questa mescolanza di piacere e di
dolore, a queste sensazioni sempre più forti. Ishan
procede a lungo, spingendo con vigore. I fratelli sono intorno al tavolo.
Parlano tra di loro, ma Riccardo non conosce il curdo. Ogni tanto uno di loro
lo insulta in arabo. Ishan non gli dà tregua. A Riccardo sembra che
nessuno lo abbia mai scopato così. È doloroso, ma è bellissimo. Riccardo sa
che avrà male al culo per diversi giorni, ma va bene così. Vorrebbe che Ishan non smettesse mai. Infine
Ishan viene. Il
suo posto è preso dai fratelli, uno dopo l’altro: sono tutti vigorosi, hanno
grossi cazzi e grande resistenza. E Riccardo sente che anche il proprio
piacere sale, incontenibile. Quando il quarto uomo lo possiede, Riccardo geme
e viene di nuovo. Ora
hanno finito. L’uomo che lo ha posseduto per ultimo lo prende per il collo e
lo butta a terra. Riccardo si chiede se l’uccideranno. Sono tutti e quattro
intorno a lui. Uno dei fratelli di Ishan incomincia
a pisciargli in faccia. Riccardo lascia che il piscio gli scorra addosso.
Quando l’uomo ha finito, Ishan si mette davanti a
lui e gli intima: -
Apri la bocca. Riccardo
lo guarda e obbedisce. Ishan gli piscia in bocca e
Riccardo beve. Gli altri gli pisciano addosso. E
ora? Ora lo uccideranno? Ma Ishan parla e gli dice: - Se
ne vuoi ancora, puoi tornare qui. Noi ci veniamo spesso. Ishan e i suoi fratelli ridono ed escono dal
locale. Poco
dopo, mentre Riccardo è ancora a terra, stordito, un inserviente entra per
pulire. Ishan gli avrà detto che hanno pisciato
addosso a un cane cristiano. Riccardo
è confuso. È la prima volta che subisce una violenza. Ma è stata davvero una
violenza? Non ha opposto nessuna resistenza, lo desiderava anche lui. E il
suo corpo tradiva il suo desiderio. Anche adesso, nonostante il dolore e
l’umiliazione subita, Riccardo si sente appagato. È stato doloroso, ma
bellissimo. Il
giorno dopo Riccardo vorrebbe ritornare al bagno. È una follia, lo sa. È
consegnarsi nelle mani di uomini che lo disprezzano, che lo hanno usato e che
potrebbero ucciderlo. Decide di andare altrove: nelle città arabe i bagni
sono molti e Damasco ne ha di ogni genere. Per
tre giorni Riccardo frequenta altri bagni, ma in nessuno si trova bene. Nel
primo è guardato con diffidenza, in quanto cristiano. Nel secondo gli
inservienti sono scortesi e bruschi. Nel terzo l’ambiente è piccolo e
soffocante. In nessuno Riccardo ha l’occasione di incrociare lo sguardo di
altri uomini. Il
quarto giorno decide di provare un nuovo bagno, ma l’inserviente all’ingresso
non gli permette di entrare: non vogliono infedeli. Riccardo si chiede se non
tornare in uno degli altri bagni in cui è stato, ma l’idea non lo attrae. E
allora si dice che probabilmente Ishan e i suoi
fratelli saranno già ripartiti e che può provare a raggiungere il bagno che
frequenta abitualmente a Damasco. Si limita ad andarci un po’ più tardi della
volta precedente. Quando
entra è inquieto e si chiede se non sta facendo un errore. Spera di non
incontrare Ishan e i suoi fratelli. Ma sa bene che
una parte di lui vorrebbe invece vederli arrivare. Riccardo rimane nella sala
comune. Si guarda intorno a più riprese e due volte il suo sguardo incrocia
quello di un uomo che ha qualche anno in più di lui. Riccardo sorride, un
mezzo sorriso che rivela le sue intenzioni senza esibirle troppo. L’uomo
risponde al sorriso e si avvicina. Incominciano
a parlare, a dirsi chi sono e da dove vengono, come mai sono a Damasco: una
conversazione banale che serve per poter poi arrivare al dunque. Mentre
stanno conversando, Riccardo vede l’uomo alzare la testa, stupito, e,
seguendo il suo sguardo si rende conto che Ishan è
entrato e ora è davanti a lui, con i suoi fratelli. -
Sei tornato, cristiano. Sembra
una constatazione. -
Vieni con noi. È un
ordine. Riccardo fa un cenno di saluto all’uomo con cui parlava e segue Ishan e i suoi fratelli, che si dirigono verso uno dei
locali appartati. Riccardo ha paura, ma l’eccitazione è più forte della paura
e il suo cazzo già si tende. Gli
fanno togliere il tessuto che gli copre i fianchi e lo fanno piegare in
avanti. Ishan si mette dietro di lui, uno degli
altri davanti. Riccardo mette le mani sui fianchi dell’uomo che gli sta
davanti e avvicina la bocca al cazzo che già si sta riempiendo di sangue.
Incomincia a leccare la cappella e poi la prende tra le labbra. Intanto Ishan gli sputa sul buco e lo infilza con un colpo secco.
Riccardo chiude gli occhi, accecato dal dolore e lascia la sua preda. Ha le
lacrime agli occhi: la sensazione è stata quella di essere stato colpito da
una lama. Ishan si ritrae. Lentamente il dolore
svanisce. Riccardo riprende a succhiare e Ishan
preme di nuovo contro l’apertura, ma questa volta entra con maggiore
delicatezza. L’uomo
davanti a lui prende l’iniziativa: incomincia a muovere il culo, spingendo il
cazzo fino in fondo alla bocca di Riccardo, mentre Ishan
fa lo stesso da dietro. Un uomo lo fotte in culo, uno in bocca. Malgrado il
dolore, il piacere sale, vorticoso. Le spinte di Ishan
lo getterebbero a terra, ma sono bilanciate da quelle dell’uomo davanti a
lui, ai cui fianchi Riccardo si regge con le mani. I
due fratelli vanno avanti a lungo, poi, dopo aver riempito la bocca e il culo
di Riccardo del loro seme, lasciano il posto agli altri. Uno dopo l’altro, lo
prendono tutti, davanti e dietro. Quando hanno finito, mentre Ishan lo possiede una terza volta, incominciano a
pisciargli in bocca. Riccardo beve. Ishan viene. Lo spinge a terra. -
Fatti una sega, cristiano. Riccardo
ha il cazzo duro e lo prende in mano. Sa che non manca molto, ormai. E mentre
Ishan prende a pisciargli in faccia e sul corpo,
Riccardo viene. Lo sborro di Riccardo si mescola al piscio di Ishan. Poi
i quattro se ne vanno, senza dire nulla. Riccardo
è a terra, nella pozza del piscio di Ishan. Chiude
gli occhi. Il culo gli fa un male cane, ma ha la sensazione di non aver mai
goduto tanto. Riccardo
torna ogni giorno al bagno, alla stessa ora. E ogni giorno viene posseduto,
secondo modalità che poco variano. I fratelli non gli parlano, se non per
dirgli come deve mettersi. Non lo insultano più. Si limitano a usarlo per soddisfare
i loro bisogni. Alla fine pisciano sempre su di lui. Riccardo
non avrebbe motivi per trattenersi a Damasco: ha svolto i suoi affari e
sarebbe ora di andarsene. Ma Riccardo non può lasciare la città. Sa di essere
prigioniero dei quattro uomini e soprattutto di Ishan,
che desidera come non ha mai desiderato nessuno. Prova vergogna nei confronti
degli inservienti del bagno che ogni giorno vengono a pulire e che celano a
malapena il loro disprezzo. Eppure non saprebbe rinunciare al piacere
intensissimo che i quattro gli procurano. Infine
un giorno, mentre Riccardo giace a terra, nella pozza di piscio, Ishan gli dice: -
Addio, cristiano. Riccardo
lo guarda, smarrito: -
Partiamo domani. Se
ne vanno, senza dire altro. Riccardo
è angosciato. Si dice che è meglio così, che questa follia doveva finire in
qualche modo, ma gli sembra che la terra gli manchi sotto i piedi. Non li
rivedrà mai più. Mai più. Due
giorni dopo anche Riccardo riparte da Damasco. Trasporta diversa merce, che
conta di vendere a Tiro. Si è messo d’accordo con alcuni mercanti siriani per
percorrere un tratto in comune: una carovana più numerosa offre una maggiore
sicurezza. Fa fatica a cavalcare, perché il culo gli fa ancora male, ma è
contento di lasciare la città. Vuole dimenticare tutta questa storia assurda. I
primi due giorni trascorrono senza incidenti. Passano le notti in
caravanserragli. Ma il mattino del terzo giorno c’è una certa agitazione tra
i mercanti. Alcuni stanno parlando tra di loro in modo concitato, ma quando
Riccardo arriva, d’improvviso cala il silenzio. Riccardo fa in tempo a
cogliere solo una mezza frase, pronunciata da uno dei mercanti: - Il
cristiano deve andarsene. Riccardo
sa che stanno parlando di lui. Se ci fosse tra i presenti un amico, come Nadhir, Riccardo gli chiederebbe spiegazioni, ma non ha
un rapporto di amicizia con nessuno dei mercanti: sono solo conoscenti. Uno
degli uomini, il più anziano, fa un passo verso di lui e gli dice: -
Cristiano, è bene che le nostre strade si separino qui. Prosegui per il tuo
cammino e noi percorreremo il nostro, separandoci come siamo separati davanti
a Colui che tutto vede. Un
altro dei mercanti vorrebbe parlare, ma un cenno dell’uomo lo blocca.
Riccardo è irritato: non capisce i motivi di questo improvviso cambiamento di
atteggiamento. Ma gli sembra inutile discutere. Proseguirà da solo. Si
volta, senza salutare, e raggiunge i suoi uomini. Dà l’ordine di partire
appena saranno ultimati i preparativi. Potrebbe cercare altri compagni per il
viaggio, ma ha l’impressione che tutti rifiuterebbero di percorrere la strada
con lui. Qualcuno lo guarda con scherno, altri sembrano compatirlo. Riccardo
non capisce. Si chiede se possa dipendere da ciò che è successo a Damasco:
che qualcuno abbia saputo e raccontato? La
piccola carovana si avvia. Il sole non è ancora alto in cielo, quando vedono
una nuvola di polvere alzarsi sulla pista che scende dalle montagne. Riccardo
è inquieto: queste terre sono infestate dai briganti. Diversi cavalieri
stanno arrivando al galoppo. Riccardo si chiede se i mercanti che hanno
rifiutato di proseguire il viaggio con lui non lo abbiano lasciato perché
erano a conoscenza del rischio: forse hanno pensato che i briganti avrebbero
più facilmente attaccato la piccola carovana di Riccardo, che di certo non è in
grado di opporre resistenza, lasciando in pace le altre. Gli
uomini si stanno avvicinando e ormai è chiaro qual è il loro obiettivo. Ogni
resistenza sarebbe inutile: sono almeno una ventina e li hanno circondati.
Riccardo si chiede angosciato che cosa succederà: lo uccideranno? Lo
prenderanno come schiavo per rivenderlo a qualche mercato? Uno
degli uomini si avvicina a lui, gli afferra un braccio e si toglie la sciarpa
che gli copre il viso. A Riccardo manca il fiato: è Ishan! -
Sei mio schiavo, cristiano. I
servitori di Riccardo vengono lasciati sul posto: in qualche modo
raggiungeranno un caravanserraglio o una cittadina e troveranno un altro
lavoro. Riccardo viene portato via, insieme alle merci che la carovana
trasportava. Nessuno gli parla durante il tragitto. Riccardo si chiede che ne
sarà di lui. È uno schiavo. La parola lo fa rabbrividire. La sorte dei
cristiani schiavi dei saraceni è spesso orribile e di certo questi uomini che
lo hanno catturato non avranno pietà di lui. Riccardo vorrebbe chiedere, ma Ishan cavalca avanti e Riccardo non osa certo
avvicinarsi. Si
fermano per la notte in una valle, tra alcuni alberi. Cenano.
Riccardo mangia con gli altri servitori, schiavi o uomini liberi, non sa.
Nessuno gli parla, se non per chiedergli se vuole ancora un po’ di cibo. La
notte ha portato un po’ di frescura e tutti si preparano al sonno. Ishan si avvicina e si rivolge a Riccardo: -
Vieni. Riccardo
obbedisce. Che altro può fare? Ishan gli indica la coperta stesa come
giaciglio. - Stenditi
a pancia in giù. Riccardo
esegue. Ishan gli abbassa i pantaloni e, dopo aver
lubrificato l’ingresso, lo infilza. Malgrado l’angoscia che Riccardo prova,
il piacere è violento. Pensava che non avrebbe mai più avuto modo di
incontrare Ishan, di sentire dentro di sé questo
splendido cazzo che ora lo trafigge, rinnovando il dolore e il piacere.
Mentre la tensione sale dentro di lui, si chiede se la libertà sia davvero un
prezzo troppo alto per questa sensazione violenta. Cazzate, lo sa benissimo:
la sua vita rischia di diventare un inferno. Ma mentre il cazzo di Ishan scava dentro di lui, in una successione che pare
infinita di spinte violente, Riccardo sente ondate di piacere avvolgerlo e
infine abbatterlo, lasciandolo ansimante e sconvolto. Ishan gli riempie il culo del suo seme, poi
si stacca e, senza dire nulla, si stende a dormire. Cade subito in un sonno
profondo. Riccardo rimane sveglio accanto a lui. Il pensiero di ciò che gli
accadrà gli impedisce di addormentarsi. Fissa il cielo stellato, limpidissimo,
e solo dopo diverse ore il sonno ha la meglio sull’angoscia. Il
mattino Ishan si sveglia, scuote Riccardo e gli
dice: -
Prendimelo in bocca. Riccardo
obbedisce: ha forse la possibilità di dire di no? Ishan incomincia a pisciare. Riccardo beve,
fino all’ultima goccia. Gli piace, anche questo gli piace. Gli è sempre
piaciuto. Quando
ha finito di pisciare, Ishan gli dice: -
Ora datti da fare. Riccardo
incomincia a succhiare. Il cazzo di Ishan reagisce
presto al lavorio delle labbra e della lingua, al leggero mordicchiare. Le
mani di Riccardo scorrono, incerte, tra i peli del ventre e del petto di Ishan, ma quando salgono a raggiungere i capezzoli e li
stringono, l’uomo le allontana. Riccardo continua la sua opera. Gli uomini si
stanno alzando, qualcuno scambia due battute in curdo con Ishan.
Altri ridono guardando il cristiano all’opera. Riccardo si sente umiliato, ma
il suo desiderio è fortissimo e quando riceve il seme di Ishan
in bocca, anche il suo cazzo è duro. Ishan gli dice di muoversi a prepararsi, poi
non gli rivolge più la parola. Dopo le abluzioni e la preghiera, mangiano e
ripartono. In
tre giorni Ishan e i fratelli raggiungono la valle
in cui vivono. Durante il viaggio Riccardo dorme accanto a Ishan, facendo quanto lui gli ordina. Gli altri non si
avvicinano, perché evidentemente Riccardo appartiene solo al capo, non ai
suoi fratelli. Ishan di solito non gli rivolge la
parola, se non per dirgli che cosa deve fare. Con gli altri parla curdo e
Riccardo non capisce nulla di ciò che si dicono. Solo ogni tanto intuisce che
stanno parlando di lui, perché qualcuno lo guarda e ride. Durante le soste,
Riccardo scambia poche parole con i servitori, in arabo, la sola lingua che
hanno in comune: non ci sono altri schiavi cristiani. La
casa di Ishan è molto grande. Ha un solo piano, ma
è quasi un palazzo, con diverse ali, che devono essere il frutto di aggiunte
fatte in epoche diverse. Ogni ala racchiude un cortile interno e costituisce
l’abitazione di uno dei fratelli. Al centro c’è la parte comune, dove abitualmente
mangiano tutti insieme, spesso con ospiti: a ogni pasto vi è una grande
tavolata, a cui prendono posto in molti. La cucina e le stanze dei servitori
si trovano sul retro di questa parte centrale, come pure la scuderia. I
fratelli hanno una o più donne che li attendono, ad eccezione di Ishan, che dorme da solo in un’ampia stanza. Ishan fa preparare una stuoia ai piedi del
suo letto. -
Questo è il tuo posto, cristiano. Dormirai qui, così sarai pronto quando avrò
bisogno di pisciare o di scopare. -
Intendi tenermi come schiavo? -
Sì, finché non mi stuferò di te; allora ti venderò al mercato degli schiavi
di Aleppo, dove il mercante Muhammad Ben Fadlan ti troverà un nuovo padrone.
Magari andrai a lavorare nelle miniere. Ishan ride. Riccardo
china il capo, umiliato dal disprezzo che Ishan
mostra nei suoi confronti. Non gli pesa ciò che Ishan
gli chiede ogni notte: anche lui lo desidera. Patisce invece dell’ostilità
che avverte. Replica: -
Posso riscattarmi, Ishan. Dimmi quanto vuoi e, se
mi permetti di scrivere a mio zio, cercherò di procurami la somma necessaria. -
Non mi interessa il riscatto. In
realtà Ishan non ha intenzione di vendere Riccardo
e tanto meno di mandarlo a morire nelle miniere. Per quanto odi i cristiani, che
hanno ucciso a tradimento suo padre, non è crudele e non ama infierire su di
loro. Se avesse tra le mani Jorge da Toledo, l’assassino di suo padre,
saprebbe inventare ogni genere di supplizio e godrebbe a vederlo soffrire in
un’agonia atroce. Ma l’uomo che ha catturato è solo un mercante e prima o poi
gli renderà la libertà. In attesa di quel momento, gode del suo corpo, perché
gli piace, parecchio. I
fratelli se ne sono accorti. Yilmaz lo prende per il culo: - Ti
piace proprio, l’infedele, eh, Ishan?! Sono
molto legati gli uni agli altri e sanno che a Ishan
piacciono i maschi. È l’unico dei fratelli che ha scelto di non sposarsi, ma
non ha un compagno. Ishan scuote la testa. - Ha
un bel culo. Lo avete gustato anche voi, no? E non mi dite che non vi è piaciuto. - A
noi è piaciuto, ma a te dev’essere piaciuto ancora di più, perché hai deciso
di prendertelo e portartelo a casa. -
Avevo bisogno di uno schiavo per la notte. I
giorni passano. Riccardo mangia con i servitori del palazzo, ma non svolge
altri lavori, se non occasionalmente, quando si tiene un banchetto con molti
ospiti. Gli unici compiti che gli vengono richiesti ogni giorno sono la
pulizia personale di Ishan e la soddisfazione dei
desideri del suo padrone. Pulire
il padrone è un compito che Riccardo esegue con piacere: lavarlo significa
poterlo toccare, accarezzare. Le mani di Riccardo poggiano sulle spalle
possenti di Ishan, poi scorrono lungo la sua
schiena poderosa, strofinano energicamente il culo muscoloso, scivolano lungo
l’esterno delle gambe, fino ai piedi, per poi risalire dalla parte interna,
indugiano sul cazzo che a quel contatto spesso si erge vigoroso, sui
coglioni, passano sul ventre, si
perdono tra i peli del torace, sfregano i capezzoli, che si irrigidiscono.
Riccardo pulisce con cura ogni angolo del corpo di Ishan
e non si sazierebbe mai di farlo. Ishan lo lascia
fare, sembra non dare importanza a quel contatto. Se il desiderio diventa
troppo forte, Ishan lo prende sul momento e poi si
fa nuovamente pulire: a Riccardo questo gioco piace e cerca sempre di
stuzzicare il suo padrone. Anche
in altri momenti di intimità Ishan, che
inizialmente sembrava quasi infastidito dalle carezze di Riccardo, lascia che
lo schiavo lo stringa, lo abbracci, lo baci. Non sulla bocca: Riccardo non oserebbe
neppure provare, certo di essere respinto. Ma spesso le sue labbra si posano
sul corpo dell’uomo che accende il suo desiderio: sui capezzoli, sul ventre,
sull’uccello, sul culo. Con
il passare dei giorni, Riccardo incomincia a imparare il curdo, ma ancora non
riesce a seguire i discorsi che sente intorno a sé. Ishan non lo tratta male, anche se lo
considera uno schiavo. Si preoccupa che abbia sempre tutto il necessario e a
volte ha piccoli gesti gentili che sorprendono Riccardo: gli dona un frutto o
un dolce riservato alla tavola dei padroni, gli fa avere un mantello o una
cintura, lo porta con sé quando esce a cavallo. Spesso gli chiede se gli
serve qualche cosa e quando Riccardo avanza una richiesta, essa viene sempre
soddisfatta. Ishan non accetta che qualcuno lo
maltratti e gli altri servitori trattano Riccardo con rispetto. Ishan si allontana per periodi più o meno
lunghi, a volte da solo, più spesso con i suoi fratelli. Di solito Riccardo
lo accompagna. Solo quando si reca a Damasco o Aleppo, Ishan
non porta con sé il suo schiavo cristiano. Riccardo
ha molto tempo libero e si pone mille domande. È uno schiavo, ma le sue
condizioni non sono dure. Pensando a quanto sa della vita di molti schiavi
cristiani tra i saraceni, Riccardo si dice che può considerarsi ben
fortunato: sono in molti che conducono un’esistenza infernale nelle miniere o
vengono attaccati come bestie alle macine. Il
suo corpo è completamente appagato, come non è mai stato. E per Ishan, l’uomo che lo ha privato della libertà, che lo
tiene come schiavo, non prova rancore. Vorrebbe che potessero essere
compagni, amici e non un padrone e uno schiavo, ma questo non è possibile. La
libertà gli manca molto. Riccardo è abituato a spostarsi, incontrare gente,
vivere come preferisce. Ora è uno schiavo che non può nemmeno lasciare la
casa del suo padrone se questi non glielo consente. Che Ishan sia sempre più attaccato al suo schiavo, è ormai
evidente. Yilmaz continua a punzecchiare il fratello. -
Certo che da quando hai il tuo schiavo, non guardi più nessun culo. -
Per il piacere lui mi basta. Sarajil, che conosce meglio Ishan, osserva: - Mi
sembra una brava persona. Ishan alza le spalle, fingendo
un’indifferenza e un disprezzo che in realtà non prova. - È
una troia. - Gli
piace scopare, certo. Ma a chi non piace? -
Gli piace prenderselo in culo. Sarajil alza le spalle: - E
allora? Non ci vedo niente di male. Ognuno ha i suoi gusti. E mi sembra che i
suoi si incontrino bene con i tuoi, no? Yilmaz
e Mahmud ridono. Ishan grugnisce qualche cosa di
indecifrabile, come se non fosse convinto. Sarajil,
che è il fratello a cui è più legato, gli ricorda il padre: anche Boran era molto tollerante e diceva sempre che ognuno
dev’essere libero di scopare con chi vuole e come vuole. Il
ricordo del padre gli fa male. Pensa alla fine orribile che ha fatto,
assassinato e stuprato da Jorge da Toledo, e sente crescere dentro di sé una
rabbia feroce. Ha giurato di vendicarsi, ma non sa come trovare l’assassino
di suo padre, che continua a compiere missioni nelle città arabe e di recente
ha perfino cercato di uccidere il grande Barbath. Mai nessuno è riuscito a
sorprenderlo. In altri periodi quel maledetto rimane nei territori franchi,
nelle fortezze dei templari, ed è irraggiungibile. Riccardo
è incuriosito da Mahmud, che è molto diverso dagli altri fratelli. L’uomo ha
chiaramente sangue africano nelle vene, come mostrano i lineamenti e
soprattutto il colore più scuro della pelle. In comune con loro ha solo
l’alta statura e la grande forza. Riccardo non capisce: come può un uomo
dalla pelle così scura essere fratello di Ishan?
Forse un figlio che il padre ha avuto da una madre diversa? I maomettani
possono sposare più donne, non vi sarebbe nulla di strano. Potrebbe essere il
figlio di una schiava africana. Un
giorno Riccardo chiede a Ishan: -
Mahmud non ti assomiglia. Siete davvero fratelli? Ishan ride. -
Non occorre essere figli dello stesso padre e della stessa madre per essere
fratelli: noi possiamo sceglierci fratelli, che condividono la nostra casa e
i nostri beni, ed è come se fossero legami di sangue a unirci. Riccardo
annuisce. La spiegazione ha fugato ogni dubbio. Pensa che gli piacerebbe
essere fratello di Ishan, ma è solo uno schiavo. Ishan prosegue: - Ho
anche un fratello ebreo. Purtroppo non abita qui e lo vediamo di rado. Sarajil lo chiama sempre “Mio fratello il leone” perché
un giorno lo salvò da una leonessa, rischiando la vita. Se Ishan dicesse il nome di Solomon, Riccardo scoprirebbe di
conoscere questo fratello ebreo, ma Ishan ritiene
inutile specificare come si chiama e Riccardo non chiede. A
marzo Ishan e i suoi fratelli partono e rimangono
lontani per alcune settimane. Riccardo sente più che mai la solitudine. Con
gli altri servitori ha rapporti cordiali, ma non di amicizia. Non conosce
ancora abbastanza il curdo per seguire le conversazioni comuni, ma molti di
loro parlano l’arabo e uno se ne serve per dargli qualche lezione di curdo,
aiutandolo a imparare la lingua. Ishan torna un pomeriggio, ma con lui ci
sono solo due dei suoi fratelli: Sarajil e Yilmaz.
Mahmud manca. Di per sé non significherebbe molto: i fratelli si muovono
spesso insieme, ma ci sono anche molte occasioni in cui si spostano
autonomamente e capita che partano separatamente e ritornino insieme o
viceversa. Ishan però è furibondo e anche i suoi
fratelli appaiono preoccupati. La moglie di Mahmud scoppia a piangere dopo
aver parlato con i tre fratelli. Riccardo
ha timore a chiedere. Preferisce aspettare la sera. Ma già prima di cena un
altro servitore gli comunica che Mahmud è prigioniero dei franchi. Quando
sono in camera, Riccardo chiede: -
Che cosa è successo, Ishan? -
Mio fratello Mahmud è stato catturato dai franchi. -
Come mai? - Non
lo so. Lo hanno accusato di aver sconfinato in territorio franco. Quei cani
lo hanno preso come un malfattore. -
Non potete riscattarlo? - Ci
abbiamo provato, ma quei cani non accettano che io paghi per liberarlo. - Mi
spiace di questo. È la
verità. Riccardo non ha niente contro Mahmud e gli spiace davvero, anche
perché sa che Ishan è molto legato ai fratelli. Nei
giorni seguenti c’è molta tensione in casa. La sofferenza di Ishan per la prigionia del fratello lo porta a scatti di
rabbia contro Riccardo: -
Siete tutti dei cani rognosi. Riccardo
vorrebbe dirgli che anche lui è stato catturato e che Ishan
non gli permette di pagare il riscatto, ma non vuole provocare una reazione
violenta. Solo
alcuni giorni dopo, quando vede che Ishan è meno
teso, si sente di dire quello che pensa. Ishan
osserva, ancora una volta: -
Allah punisca quei cani cristiani, che non accettano di liberare Mahmud
neppure pagando un riscatto! Riccardo
lo guarda e risponde: -
Anche tu non permetti che io mi riscatti. Ishan alza la testa di scatto. Guarda
Riccardo. Rimane un momento in silenzio, poi dice: - Se
lo affrancheranno, io ti lascerò andare. Che
chi ha catturato Mahmud lo lasci libero, a Riccardo sembra impossibile: se
non sono disponibili a rilasciarlo dietro pagamento di un riscatto, significa
che non intendono affrancarlo. Riccardo si chiede se davvero Ishan intenda venderlo quando si sarà stufato di lui.
Vorrebbe domandare ancora, ma che cosa potrebbe dire? Non servirebbe a nulla.
Tiene la testa bassa e tace. La
scomparsa di Riccardo ha provocato una grande agitazione nella casa dello
zio. I servitori sono tornati dicendo che è stato rapito, ma non c’è stata
nessuna richiesta di riscatto e non si hanno più notizie. Nessuno sa se sia
ancora vivo. Giovanni teme che il nipote sia morto e gli spiace molto: è
profondamente affezionato a lui. Solomon attiva la sua rete di conoscenze,
per capire dove sia finito Riccardo, ma non ottiene risultati: il mercante
non è stato visto in nessuna città e non si sa chi possa averlo rapito. Solomon
non scrive ai fratelli curdi: non gli passa per la testa che l’amico possa
essere loro prigioniero. Intanto
molte cose sono cambiate nella casa negli oltre due mesi trascorsi dalla
partenza di Riccardo. Lucas
è rimasto affascinato da Emich e ha deciso di
stabilirsi a Rougegarde, rinunciando a proseguire il suo viaggio. Ha stretto
amicizia anche con Nino, il figlio del mercante Giovanni, che ha pochi anni
in meno ed è anche lui un ammiratore di Emich.
Attraverso Emich e Nino ha conosciuto altri giovani,
perlopiù figli di commercianti e artigiani: una piccola cerchia che si
riunisce intorno al vecchio, per ascoltarne le parole. E
non solo. |