Nel villaggio non sembra esserci nessuno. Non è strano: gli abitanti sono fuggiti quando le truppe di Salah ad-Din hanno incominciato a razziare il territorio. Hanno portato con sé il bestiame e le poche cose di valore: alcuni si sono rifugiati nelle fortezze disseminate sulle alture, altri ad Ascalona. Qualcuno ha raggiunto le montagne. Talal
ibn Salah Assad Allah fa circondare le case, poi i
suoi uomini entrano nel villaggio e incominciano a gridare e a battere alle
porte, ma solo il silenzio della notte risponde alle loro urla. I soldati
allora accendono le torce ed entrano nelle abitazioni. Sono vuote, come si
aspettavano. C’è ben poco da prendere, nulla che valga la pena. Gli uomini
sono furenti: si sono spinti lontano dall’accampamento sperando che in questa
zona più isolata i villaggi non fossero stati abbandonati, ma la paura ha
svuotato anche quest’area. Chi
può arraffa le pochissime cose che possono tornare utili, poi le torce danno
fuoco alle case. Le fiamme si diffondono e presto l’intero villaggio arde. La
luce dell’incendio illumina la notte e ora in lontananza gli uomini scorgono
alcune ombre. - Là,
c’è qualcuno. Talal
dà l’ordine di lanciarsi sugli uomini che, resisi conto di essere stati
scoperti, cercano di fuggire. Alcuni degli arabi sono a cavallo e la distanza
che li separa dai fuggitivi si riduce rapidamente. Sono quattro uomini, forse
contadini che tornavano al villaggio per vedere se era già stato
saccheggiato. Due di loro si infilano in un bosco, dove i cavalli non
riescono a procedere e la fitta ombra li cela completamente alla vista degli
inseguitori. Gli altri due non fanno in tempo a raggiungere gli alberi e sono
costretti a fermarsi. Sono un vecchio e un ragazzo. Il vecchio si inginocchia
e fa mettere in ginocchio anche il ragazzo. Dice cose che nessuno capisce:
gli uomini di Talal vengono dall’Egitto e non
conoscono la lingua dei franchi. Il vecchio e il ragazzo non conoscono
l’arabo. Talal
arriva. Alla luce delle torce guarda i due uomini. Il giovane non ha più di
sedici anni e se ne potrà ricavare un buon prezzo al mercato degli schiavi.
Il vecchio non serve a niente. Talal dà ordine ai
suoi uomini di prendere il ragazzo. Lo afferrano, senza che il giovane faccia
resistenza, gli legano le mani dietro la schiena e lo portano via. Il ragazzo
si volta a guardare il vecchio, che è rimasto in ginocchio, ma il soldato che
lo accompagna lo strattona e lo forza a proseguire il cammino. Il vecchio ha
capito. Giunge le mani in un gesto di preghiera rivolto al fiero cavaliere da
cui dipende la sua vita. Talal muove appena il
capo. Un soldato sguaina la spada e la cala sul collo del vecchio. La testa
cade a terra, seguita dal corpo. Uno
schiavo e poche altre cose per gli uomini: il bottino è troppo magro. C’è
ancora tempo, la luna è appena sorta all’orizzonte e prima di tornare
all’accampamento Talal vuole vedere se c’è qualche
altro villaggio da razziare. Salgono
su un’altura e scendono sul versante opposto. Vedono in basso le fiamme di
alcune torce. Qualche altro gruppo di razziatori, probabilmente. Talal
e i suoi uomini si dirigono verso le luci. Si tratta di un villaggio più
grande di quello che hanno incendiato. Ci sono diversi soldati che entrano
nelle case: non devono essere arrivati da molto. Non escono a mani vuote, di
solito: il paese sembra abbandonato, ma probabilmente gli abitanti sono
fuggiti solo all’arrivo dei razziatori e non hanno fatto in tempo a portare
con sé tutti i loro beni. Talal
è irritato: tornerà dalla spedizione notturna con un ben magro bottino,
mentre qualcun altro è stato più fortunato di lui. Si avvicina con i suoi
uomini. Sente le grida di giubilo e le imprecazioni, in arabo: come pensava,
si tratta di altri soldati dell’esercito di Salah ad-Din. Alcuni
uomini rimasti di guardia si accorgono del loro arrivo. - Chi
siete? - Gli
uomini di Talal ibn Assad
Allah. Uno
dei soldati di guardia ride: -
Siete arrivati tardi. Dovrete trovarvi un altro villaggio. Intanto
un cavaliere si avvicina agli uomini di guardia: qualcuno è andato a
chiamarlo. È il comandante della compagnia, Adham,
un colosso dalla pelle scura: è figlio di un arabo e di una schiava nubiana o
forse di un nubiano e di un’araba, nessuno lo sa. Abbandonato alla nascita, è
stato allevato dalla famiglia di un soldato e ha imparato il mestiere delle
armi. Si è dimostrato un guerriero formidabile ed è diventato il capitano di
una piccola compagnia Talal
è irritato: questo fottuto nero gli ha soffiato il bottino. Gli dice, con
tono sprezzante: - Kara al-Fassiq! Che ci fai qui?
Talal
non si rivolge a Adham chiamandolo con il suo nome,
ma accostando due soprannomi che gli vengono talvolta affibbiati. Sono in
molti a chiamarlo Kara, che significa nero: di per
sé non è un’offesa e anche il nome che il padre adottivo ha dato a Adham significa proprio nero. Ma di solito il soprannome
accompagna il nome, non lo sostituisce. Qualcuno chiama questo guerriero al-Fassiq, l’impudico, ma nessuno si rivolge a lui in quel
modo, perché, se non è scelto dal diretto interessato, l’appellativo è un
insulto. Adham
si controlla: Talal appartiene a una famiglia
potente e ricchissima, imparentata con lo stesso Salah ad-Din; non è
possibile fargli pagare la sua insolenza. Si
limita a rispondere, con un’ironia sferzante: - Non
lo vedi? Devo spiegartelo, Leone di Dio? “Leone
di Dio”, Assad Allah, è l’epiteto che Talal ha aggiunto al proprio nome. Ma in bocca a Adham diventa derisione. Talal
è furente. - Come
osi rispondermi così, Kara? Quelli come te possono
servire solo come schiavi. Nella mia famiglia abbiamo diversi eunuchi che
vengono dalle tue terre. - E io
invece sono un guerriero. Ho i miei coglioni e il cazzo e se vuoi te lo
faccio gustare. Credo che ti piacerebbe sentirlo in culo, grosso, duro e
caldo. Vuoi provare, Leone di Dio? Sono sicuro che ti farebbe godere. E
mentre lo dice Adham si porta la sinistra, con cui
tiene le redini, ai genitali. La destra è sull’impugnatura della spada. La sua
replica non stupisce né i suoi uomini, né quelli di Talal:
Adham si è meritato il nome di al-Fassiq proprio perché non ha peli sulla lingua. È tanto
sfrontato quanto valoroso in battaglia. Per Talal è uno schiaffo dato pubblicamente. Ha incominciato
lui a offendere, ma si ritiene superiore a Adham,
per cui giudica che sia suo diritto umiliarlo. Essere insultato da uno che ha
una posizione inferiore, un nero per di più… Talal
sputa a terra. Vorrebbe far pagare a questo impudente la sua insolenza, ma Adham è un avversario temibile e i suoi uomini sono
decisi. Talal sa benissimo che non gli conviene
sfidarlo. - Ti
meriteresti di essere reso schiavo e castrato, poi messo a tirare un aratro
nei campi, come un bue. - E
chi lo farebbe questo, tu, Leone di Dio? Adham
ride, una risata aspra, che risuona nel silenzio della notte: gli uomini dei
due gruppi si sono avvicinati, pronti a intervenire. Nessuno dice nulla:
tutti sono tesi e non vogliono perdere una parola del dialogo. I guerrieri di
Adham sghignazzano, ma piano, per non coprire le
voci. Adham
prosegue: - Vuoi
che ci misuriamo con le armi? Io sono pronto. Talal
si rende conto che in questo dialogo sta avendo la peggio, come l’avrebbe in
uno scontro armato. - Io, Talal ibn Salah Assad Allah,
misurarmi con uno schiavo? Sarebbe una vergogna per me e per la mia famiglia. Adham
ride di nuovo e a Talal la sua risata sembra
graffiargli la pelle. Poi il nero risponde: - Se
preferisci fuggire, fai pure. Io non ti inseguirò, Leone. Le
parole di Adham sono un altro insulto gettato in
faccia a Talal, che freme. Vorrebbe dire ai suoi
soldati di uccidere questo insolente, ma sa che gli uomini di Adham sono forti e decisi e preferisce non rischiare. Ci
sono altri modi per fargli pagare la sua impudenza. La voce di Talal è stridula per la rabbia. - Non
finirà così, Kara! Talal
volta il cavallo e si allontana. I suoi uomini lo seguono, in silenzio.
Nessuno osa criticare il comandante, per cui, quando sono a una certa
distanza, esprimono la loro indignazione per l’insolenza del nero e dicono
che in effetti un signore come Talal non poteva
sporcarsi le mani con un bifolco come Adham. Ma non
è ciò che pensano davvero: si sentono umiliati. Gli
uomini di Adham invece scoppiano a ridere vedendo
allontanarsi Talal con i suoi. Sono contenti
dell’umiliazione subita da chi voleva offendere e si è ritrovato mortificato
davanti a tutti. Commentano ad alta voce la magra figura fatta dal signore
superbo e vile e non nascondono il loro apprezzamento per il loro capo, che
ha davvero dimostrato di averli, i coglioni. Adham
li invita a riprendere il saccheggio, ma non sorride. Sul suo viso è scesa
un’ombra. L’offesa di Talal gli pesa e sa che non
può ottenere vendetta: la famiglia del suo avversario è troppo potente. Il
soldato che adottò Adham era povero e il guerriero
non possiede ricchezze. Solo il saccheggio gli permette di compensare gli
uomini che combattono con lui. Se conquisteranno Ashqelon,
il bottino sarà consistente, ma non è detto che ci riescano: possono essere
costretti a rinunciare dopo un lungo assedio e in questo caso rimarrà loro
solo ciò che sono riusciti a razziare nelle campagne. Fino a ora non hanno
raccolto un gran bottino, ma i paesi attaccati non sono ricchi. Quella di
questa notte è stata l’impresa più fortunata. Adham
non si lamenta: è abituato alle difficoltà. La sua non è mai stata una vita
facile: è un guerriero valoroso, ma la sua nascita illegittima e soprattutto
il colore della sua pelle non gli hanno mai permesso di ottenere il
riconoscimento a cui avrebbe diritto. Dopo le prove di valore che ha dato in
molte occasioni, un arabo sarebbe un ufficiale di alto grado in servizio
permanente. Ma Adham rimane uno dei tanti guerrieri
che partecipano alle spedizioni, senza far parte delle truppe scelte di Salah
ad-Din. È quasi
mattina quando Adham e i suoi uomini tornano
all’accampamento. Sono tutti stanchi. Ma Nuh indugia vicino alla tenda di Adham.
Il guerriero sa bene che cosa vuole il giovane, anche se questi non dice
nulla. Si metterebbe volentieri subito a dormire, ma non vuole negarsi. -
Rimani con me questa notte, Nuh? Nuh
sorride. -
Certo, Adham. Entrano
nella tenda. È Nuh a spogliare Adham.
Quando Adham è nudo, Nuh
gli accarezza il petto, le sue mani scivolano tra la peluria leggera, poi Nuh si lascia andare in ginocchio e mentre le sue mani
ancora percorrono il corpo di Adham, dai capezzoli
al ventre, la sua bocca si avvicina al cazzo del guerriero. Nuh ne sente l’odore, intenso dopo una notte passata a
cavalcare. Lo avvolge con le labbra, ne avverte il calore, la consistenza. Lo
sente crescere nella sua bocca, diventare sempre più grande e rigido. Lo
accarezza a lungo con la lingua, lo succhia avidamente. Poi, a malincuore,
quando il cazzo di Adham è duro e teso come una
lama, Nuh lascia la sua preda. Si mette a quattro
zampe sulla stuoia, le gambe ben divaricate. Sa che Adham
gli farà male, perché il nero è molto dotato, ma le sensazioni che questo
cazzo gli trasmette ogni volta sono troppo forti. Adham
lascia colare un po’ di saliva sull’apertura, la sparge con cura. Poi si
sputa sulla mano. Fa per passare il palmo sulla cappella, ma si rende conto
che Nuh l’ha già inumidita a sufficienza. Avvicina
il cazzo all’apertura e preme leggermente. Poi, con lentezza, avanza,
forzando il buco, fino a che la cappella è dentro. Si ferma nuovamente e
infine avanza, lentamente, affondando il cazzo dentro il culo del giovane. Ora Nuh sente Adham dentro di lui e
geme di piacere. Si è dato a diversi uomini, ma non ne ha mai incontrato
nessuno virile come questo nero che ora lo fotte con movimenti dapprima
lenti, poi più decisi. Adham è il maschio più
dotato che Nuh conosca e il migliore toro da monta. Adham
fotte a lungo, finché viene con un gemito leggero e Nuh
viene subito dopo di lui. Nuh si lascia cadere
sulla stuoia. Adham lo avvolge nelle sue braccia,
senza uscire da lui, e insieme si addormentano. Talal
si sveglia tardi. Il pensiero ritorna al dialogo della notte e Talal freme di sdegno. L’offesa va vendicata. Chiama uno
dei suoi uomini, quello che tutti chiamano al-Haddad,
il fabbro, per la professione del padre. Si rivolge sempre a lui quando si
tratta di qualche colpo di mano: rapire una donna o un fanciullo che gli
interessa; eliminare un rivale; vendicare un’offesa. - Adham Kara, quello che chiamano
al-Fassiq, mi ha offeso questo notte. Non merita di
vivere. Non voglio che si sappia di questa faccenda, ma devi ucciderlo e
castrarlo come si fa con un eunuco. - Sarà
fatto. Al-Haddad sa che il compito assegnato non è facile: Adham non è un avversario da poco. Potrebbe servirsi di
alcuni uomini fidati, ma bisogna che nessuno lo sappia: Adham
è un guerriero valoroso e stimato dai soldati, perciò la sua morte farà
scalpore, tanto più se il suo corpo subirà l’oltraggio che Talal ha richiesto. Al-Haddad riflette su come svolgere il compito. In città non
sarebbe difficile: basterebbe studiare i movimenti del nero e sorprenderlo di
notte. Ma all’accampamento tutto diventa più complesso. Raggiungere la tenda
di Adham nella notte e pugnalarlo nel sonno
potrebbe essere una soluzione relativamente semplice, ma non è detto che il
guerriero dorma da solo e poi spesso passa la notte a fare razzie nei
villaggi con i suoi uomini e torna all’accampamento solo all’alba: nel buio
della notte l’azione ha qualche possibilità di successo, alla luce del giorno
i rischi di essere visti e scoperti diventano fortissimi. La notte Adham si muove con tutti i suoi uomini e non è possibile
tendergli un agguato. E allora come fare? Un buon mezzo sarebbe far ricorso a
una donna. Ci sono tante puttane che si muovono con l’esercito e una potrebbe
attirare Adham in una trappola. Oppure un ragazzo.
Ma pare che Adham non sia molto interessato alle
femmine e ai fanciulli. Dicono che scopi con altri guerrieri, di solito un
po’ più giovani di lui. Al-Haddad pensa a diverse soluzioni, ma nessuna lo convince.
Alla fine opta, a malincuore, per quella che gli appare più fattibile: fare
leva sulla generosità del nero per togliergli la vita. E le palle. Al-Haddad decide di prendere con sé un solo uomo, Ayyub. È una mossa arrischiata, lo sa benissimo: Adham è un grande guerriero e contro di lui in due hanno
possibilità di avere la meglio solo prendendolo di sorpresa. Adham non deve sospettare di nulla. * Dalle
mura di Ascalona il re Baldovino IV osserva le truppe di Salah ad-Din,
visibili in lontananza. Quando gli è giunta notizia dell’improvviso attacco
del Saladino dall’Egitto, il re è intervenuto a sostegno delle città
attaccate, ma, preso di sorpresa, non ha avuto il tempo di raccogliere molte
truppe, per cui può contare su un numero esiguo di cavalieri. Invece il
signore dell’Egitto e di Damasco ha radunato un grande esercito. Baldovino
si è asserragliato ad Ascalona. La situazione appare disperata. La città può
resistere a un assedio prolungato, grazie alle sue mura e alla posizione sul
mare, ma tutta la regione verrà devastata dalle truppe del Saladino. La
sera, mentre il giovane re sta tenendo consiglio, viene annunciato l’arrivo
di Denis di Rougegarde e di Ferdinando dell’Arram,
con una cinquantina di cavalieri. La notizia viene accolta con gioia: non
saranno certo pochi guerrieri a cambiare la situazione, perché la
sproporzione di forze appare enorme, ma Denis è molto temuto dai saraceni e
il solo fatto che sia riuscito ad arrivare in città senza intoppi, attraversando
un territorio in mano ai nemici, dimostra le sue capacità militari. Raimondo
di Ascalona, il signore della città, si dimostra particolarmente contento
dell’arrivo del duca di Rougegarde, di cui ha grande stima, e va ad
accoglierlo personalmente. Denis è anche il tutore del nipote di Raimondo, il
giovane signore di Cesarea. -
Duca, il vostro arrivo è per tutti noi davvero una manna dal cielo. Denis
scuote la testa. - Non
sono l’arcangelo Michele. - Ma i
saraceni vi temono più di qualsiasi altro uomo sulla Terra. - Temo
che mi sopravvalutiate, conte. Raimondo
sorride: sa che Denis non è uomo da vantarsi delle sue capacità. Non insiste
e accompagna il duca e Ferdinando nella sala dove si tiene la riunione. Tutti
accolgono con deferenza il duca di Rougegarde. Alcuni dei nobili invidiano
l’ascendente che Denis d’Aguilard ha sul giovane re, ma anche quelli che lo
detestano si mostrano cortesi e molto rispettosi nei suoi confronti: non è
saggio averlo per nemico. Il
conte Raimondo chiede al re se può riassumere il dibattito in corso per i due
nuovi arrivati: è ovviamente una richiesta puramente formale, a cui Baldovino
acconsente. -
Stiamo discutendo sul da farsi. Il Saladino ha radunato un esercito enorme e
noi siamo pochissimi: con i vostri uomini, abbiamo appena cinquecento
cavalieri. Molti temono che affrontare in battaglia il Saladino sia un
suicidio. Ma qualcuno si chiede anche se abbia senso rimanere asserragliati
in città e lasciare che il territorio venga devastato da queste bande di
briganti. La
discussione riprende. Ognuno ribadisce il proprio punto di vista. Denis fa
domande, Ferdinando tace: il siciliano è ben conscio dei suoi limiti e sa che
è più saggio lasciare che sia Denis a intervenire. Se dovrà pronunciarsi,
appoggerà la proposta di Denis, qualunque essa sia. Dopo
essersi fatto un quadro preciso della situazione, Denis osserva: -
Capisco i diversi punti di vista. Qualunque scelta presenta problemi. Io
consiglierei di non rimanere in città, ma uscire con l’esercito. Questo
costringerà il Saladino a mantenere le sue truppe nelle vicinanze, nel caso
noi decidessimo di attaccare. -
Pensate davvero di sferrare un’offensiva? - No,
a meno che non si creino condizioni molto favorevoli. Ma questo il Saladino
non può saperlo. Preferirà richiamare i suoi uomini e almeno ridurremo le
razzie nel territorio. Se poi si dovesse presentare un’occasione eccezionale,
valuteremo il da farsi. La
proposta in effetti è saggia e viene approvata da tutti. La
riunione si scioglie. Denis parla un momento con Raimondo di Ascalona, poi si
allontana con Ferdinando e Guillaume di Hautlieu:
tra loro esiste un rapporto molto forte, anche se con Guillaume le occasioni
di vedersi sono diventate più rare. A Denis e Ferdinando è stato assegnato un
piccolo appartamento nel palazzo e i tre amici si riuniscono nella camera di
Denis. Guillaume si rivolge al duca: - Sono
contento di vederti, fratello, anche se temo che venendo qui tu ti sia
cacciato in una pessima situazione. -
Guillaume, se non riusciamo a fermare il Saladino, il Regno di Gerusalemme
sarà conquistato. Siamo tutti in una pessima situazione. -
Purtroppo è così. In ogni caso il tuo arrivo ha ridato speranza a molti. - Mi
sopravvalutano, Guillaume. - Non
ne sono così sicuro. Denis
alza le spalle e cambia argomento. -
Senti, dimmi un po’: tra i signori presenti alla riunione ce n’era uno che
non ho mai visto. Molto giovane, bruno, barba scura. - Guillem, secondogenito del barone di Tarragona. Sbarcato
qui ad Ascalona pochi giorni fa, in tempo per assistere all’arrivo dei
Saraceni. Non so quanto si possa contare su di lui: non ha esperienza di
battaglie, credo che abbia appena vent’anni. Ha una cinquantina di uomini al
seguito: dodici sono cavalieri e gli altri fanti. I suoi uomini sembrano
esperti, ma lui… è chiaramente spaventato. Non si aspettava di trovarsi di
fronte il Saladino appena sbarcato. Credo che avesse le idee molto vaghe
sulla situazione qui nell’Oltremare. -
Posso capirlo. Va bene, non ha importanza. Ma adesso dimmi di te: come stai,
Guillaume? -
Bene. Come vi ho detto l’ultima volta che ci siamo visti, al castello San
Michele mi trovo bene, niente a che vedere con Santa Maria in Aqsa. Ma in confronto a Santa Maria, anche Ascalona sotto
assedio è un paradiso: non ne potevo più di Godefroi.
Ma pure questo lo sapete benissimo. Ferdinando
grugnisce: -
Porcoddio! Quel maledetto bastardo che ha mandato a morte Antonio e
Sebastiano. Vorrei potermi trovare da solo con lui, senza testimoni… Guillaume
sorride. Non gli spiacerebbe che Ferdinando potesse fare quello che desidera,
ma non è il caso di esprimerlo, anche se i suoi amici non lo andrebbero a
raccontare. - Non
so se usciremo vivi da questa impresa, che mi sembra disperata, ma spero di
tornare presto a San Michele. Denis
coglie nella voce dell’amico qualche cosa e chiede, sorridendo: - Non
è che hai qualche motivo particolare per voler tornare al castello? Guillaume
non risponde subito. Se ci fosse soltanto Denis, si confiderebbe volentieri.
Ferdinando è più grezzo e Guillaume ha meno voglia di raccontare in sua
presenza qualche cosa di molto personale, che l’amico interpreterebbe a modo
suo: per uno come Ferdinando un rapporto tra due uomini sembra essere solo
una faccenda di scopate, mentre Guillaume sa di essere innamorato del giovane
Jean. È
Ferdinando stesso a intervenire, ridendo: - So
che ti diverti al castello. Guillaume
lo guarda un po’ sorpreso. - Che
ne sai, tu? - Sono
passato dal castello prima di raggiungere Denis. E Jorge da Toledo, che ti
sostituisce, mi ha detto di un bel ragazzo… Ferdinando
si ferma, vedendo che Guillaume appare alquanto scosso. - Che
succede, Guillaume? - Non
pensavo che Jorge andasse in giro a raccontare i fatti miei. Tanto più che io
non gli ho detto nulla, a uno come lui, figuriamoci! Gli ho solo raccomandato
un ragazzo che sta imparando il mestiere del soldato. Ferdinando
rimane interdetto. Non è sicuro di aver fatto bene a parlare. Sorride per
nascondere il suo imbarazzo e dice: - In
realtà mi ha solo parlato di un ragazzo con cui secondo lui ti eri divertito.
Ma forse era una battuta. Ferdinando
non racconta ciò che è successo. Spera che il ladruncolo che ha fottuto non
fosse il ragazzo che ha in testa Guillaume, perché in questo caso ha
combinato un guaio, a cui sarà difficile rimediare. Ma Jorge gli ha proposto
un ladruncolo, non un giovane che stava imparando a diventare soldato. Guillaume
non nasconde la sua perplessità. - Mi
stupisce che Jorge te ne abbia parlato. Non credevo… lo conosci appena, no? - Sì,
Guillaume. Ma è stata solo una battuta. Volevo solo prenderti un po’ per il
culo. Guillaume
annuisce. Preferisce cambiare argomento, per cui chiede: - E
voi, come state? Ferdinando
risponde in fretta: anche a lui interessa parlare d’altro e spera di far
dimenticare quello che ha detto prima. -
Malissimo. - E
perché mai? -
Perché sono giorni e giorni che cavalchiamo, ci fermiamo per dormire poche
ore e ripartiamo. Manco il tempo per scopare ci ha lasciato questo
disgraziato. Manco fossimo in Quaresima. Guillaume
ride. - Non
mi dire che rispetti la Quaresima. -
Certo! Non scopo nessuna donna in quei giorni. Guillaume
ride di nuovo e osserva: - Un
sacrificio notevole per te… Comunque, se sei rimasto a digiuno puoi
recuperare questa sera. - Non so
neanche se mi tira più. Ho i coglioni che sembrano essere stati messi a
macerare nell’aceto, dopo tutti questi giorni a cavallo. Guillaume
ride di nuovo, poi alza le sopracciglia, per esprimere i propri dubbi. - Non
ti tira? Dopo qualche giorno senza scopare, saresti in grado di farti mezzo
esercito. Poi
scoppia a ridere e dice: - Come
mi fai parlare, Ferdinando! Un cavaliere del Tempio che si esprime come un
carrettiere. Denis
osserva: - Chi
va con lo zoppo, impara a zoppicare. Non dovresti frequentare certa gente,
Guillaume. - Hai
proprio ragione, Denis. Ridono
tutti e tre, contenti di ritrovarsi insieme, liberi di parlare come vogliono,
senza dover misurare le parole, sicuri dell’affetto che li unisce. I loro
incontri sono un’oasi di pace e serenità, soprattutto per Guillaume e Denis,
le cui vite sono soggette a molte costrizioni. Ferdinando vive più
liberamente, nel piccolo mondo della sua contea dell’Arram,
ma sa bene che solo la presenza di Denis gli permette di non doversi
preoccupare dei giochi di potere. Quando
si dividono e ognuno si ritira per la notte, Ferdinando fa chiamare Berto,
con cui negli ultimi giorni ha spesso scopato: le lamentele del conte
sull’astinenza durante il viaggio erano alquanto esagerate, in quanto qualche
rapida scopata il mattino o la sera non è mancata. Ma certamente per un uomo
di forti appetiti, che ama fottere bene e a lungo, sono stati giorni di
magra. A
Ferdinando Berto piace molto, anche se difficilmente qualcuno lo definirebbe
un bell’uomo: basso, molto villoso, robusto, è un maschio alquanto dotato e a
Ferdinando piace scopare con maschi virili. Non gli dispiacciono i ragazzi,
ma, come gli capita spesso di dire, tra tutti quelli che hanno un cazzo e due
coglioni (o tre, come il condottiero saraceno Barbath), ce ne sono pochi a
cui non lo metterebbe in culo volentieri. In passato qualche volta è stato
Berto a metterlo in culo a Ferdinando, ma da diversi anni non succede più. A
Ferdinando piace che qualcuno gli stuzzichi il culo, glielo morda, glielo
lecchi, ma pochissimi uomini lo hanno fottuto: il brigante Baahir, l’unico uomo che Ferdinando abbia davvero amato;
Berto; Barbath, il grande guerriero che è stato prigioniero di Denis. Ferdinando
si spoglia, rimanendo nudo. Berto guarda il corpo massiccio del suo signore,
il torace robusto, il ventre un po’ sporgente, le braccia e le gambe
vigorose. Guarda il cazzo, che già si riempie di sangue, quasi minaccioso
nella sua grandezza. Guarda i coglioni, grossi e pelosi. Berto ha la gola
secca e il cazzo gli si sta tendendo in fretta. Berto
si libera degli abiti e si mette in ginocchio dietro Ferdinando. Gli morde il
culo, deciso, più volte, poi gli passa la lingua lungo il solco, fino
all’apertura. Sente gli odori, intensi: Ferdinando non ha avuto il tempo di
lavarsi durante il viaggio e ora il desiderio di scopare lo ha spinto a
rimandare il bagno. A Berto piace sentire gli aromi di Ferdinando dopo una
caccia o un viaggio, in particolare l’odore di sudore, che sembra avvolgere e
potenziare tutti gli altri. Berto lecca a lungo, poi passa davanti a
Ferdinando. Ne ammira, come sempre, il cazzo magnificamente teso: davvero il
conte è un toro. Berto guarda la cappella che svetta, sulla punta una goccia
di seme, che la luce della lanterna fa brillare. Avvicina il viso, aspira a fondo
gli odori del cazzo: piscio, sborro, sudore. Apre la bocca e avvolge la
preda. La succhia un momento, mentre Ferdinando mugola. Poi la lascia e la
sua lingua scorre, scendendo lungo l’asta fino ai coglioni, che percorre.
Quando riprende in bocca la cappella e nuovamente succhia, Ferdinando emette
un grugnito e il seme si sparge nella bocca di Berto, che inghiotte. Il
gioco non è concluso, Berto lo sa bene. Lascia la sua preda, che sta perdendo
consistenza e volume. Intanto
Ferdinando prende una coppa, vi versa del vino dalla brocca e beve. Poi si
rivolge a Berto, un sorriso ironico sulle labbra: - Vuoi
bere anche il vino? Berto
scuote la testa. -
Preferisco altro. Apre
la bocca e l’accosta alla cappella. Ferdinando si versa ancora del vino e
beve. Poi dice: - Come
vuoi. Ferdinando
incomincia a pisciare. Berto beve avidamente. Gli piace sentire il piscio che
gli scende in gola, gli piace sentirne il gusto acidulo. Quando Ferdinando ha
finito, Berto si lecca le labbra, poi avvolge nuovamente la cappella con la
bocca e riprende a succhiare. Come
sempre il cazzo di Ferdinando si tende in fretta, riacquistando rigidità e
volume. Il
conte sorride. -
Mettiti a quattro zampe, maiale, che adesso ti faccio sentire lo sperone. Berto esegue.
Ferdinando sputa sull’apertura e sparge un po’ di saliva, poi preme con la
cappella, forza il buco ed entra. Berto
sussulta: per quanto ampiamente abituato, le dimensioni dello sperone
provocano sempre un certo dolore. Ferdinando stringe con forza il culo di
Berto, passa le sue mani tra la peluria fitta che lo ricopre. Fotte con
gusto, come sempre, con spinte decise che strappano gemiti a Berto. Va avanti
a lungo, immergendo ogni volta il cazzo fino in fondo e poi ritraendolo. Ogni
tanto esce completamente e poi affonda nuovamente l’arma nel culo di Berto. Infine
viene, con il suo grugnito, e con una mano guida Berto al piacere. Dopo
aver scopato due volte, Ferdinando si lava: oltremare ha preso l’abitudine a
bagni frequenti, anche se non gli pesa farne a meno. Intanto,
nella casa che il conte Raimondo gli ha messo a disposizione in città, Guillem passeggia nervoso. È venuto oltremare per
compiere il pellegrinaggio a Gerusalemme, pensando magari di partecipare a
qualche azione di guerra. Si immaginava di tornare in patria dopo aver
partecipato a una battaglia, a uno scontro, con il doppio prestigio del
pellegrinaggio e del combattimento. Ma la vista dell’armata del Saladino lo
ha sconvolto: sono decine di migliaia di uomini. Che cosa potrebbero fare i
pochi cavalieri cristiani asserragliati in città? Manrique,
che è il capo dei suoi soldati, ha colto la preoccupazione del suo signore.
Si rende conto che Guillem non è in grado di
affrontare la battaglia, ma non può certo consigliargli di rimanere in città
se l’esercito uscirà: sarebbe una vergogna. Guillem
cerca una scusa per sottrarsi: - Non
mi sento bene, Manrique. Credo di avere la febbre. -
Forse è meglio che voi vi corichiate, barone. Se domani starete bene, vi
unirete all’esercito. Altrimenti, se lo desiderate, posso guidare io gli
uomini, perché non si dica che le truppe del barone di Tarragona sono rimaste
in città, quando tutti gli altri contingenti sono usciti. D’altronde, è
difficile che domani si combatta, da quel che voi stesso mi avete detto: non
si è deciso così nella riunione? - Sì,
è così. Solo nel caso si verificassero circostanze eccezionalmente favorevoli
si arriverà allo scontro, ma non riesco proprio a immaginare quali potrebbero
essere. -
Neanch’io. - Va
bene, Potete ritirarvi, ora, Manrique. Manrique
lascia la stanza. Guillem
si spoglia e si corica. Domani non ci sarà battaglia, non deve preoccuparsi.
Uscire dalle mura serve solo per costringere il Saladino a tenere i suoi
uomini nelle vicinanze, impedendo che si spingano lontano per razziare. Manrique
non è contento della piega che hanno preso gli avvenimenti. È un guerriero
esperto, che grazie al suo valore ha conquistato una buona fama, e non ha
nessun timore di affrontare un nemico in battaglia. Il padre di Guillem ha assoldato Manrique e
i suoi uomini per proteggere il figlio durante il pellegrinaggio oltremare,
ma né lui, né Guillem si aspettavano che il giovane
si trovasse di fronte il Saladino. Manrique non
sarebbe contento di trovarsi agli ordini di un signore inesperto e spaventato
in una battaglia difficile: spera anche lui che non si combatta. Gli altri
signori franchi gli sembrano esperti, ma anche loro appaiono timorosi e
questo è comprensibile, vista la sproporzione numerica. Adham
si è svegliato tardi. Ha notato subito che nell’accampamento c’è una certa
agitazione. Gli uomini parlano in piccoli gruppi. Adham
non capisce la causa di questo improvviso nervosismo. Dicono che il signore
di al-Hamra sia riuscito ad entrare in città,
unendo i suoi cavalieri a quelli del re di Gerusalemme, ma si tratta di una
cinquantina di cavalieri: che cosa cambia? Adham
si rivolge a Burhaan, un guerriero siriano di cui è
amico. - Che
succede? Perché tutti sembrano preoccupati? Burhaan
lo guarda, quasi incredulo. - Adham! Ma non lo sai? È giunto il Cane dagli occhi
azzurri. - L’ho
sentito. Il Cane dagli occhi azzurri è il signore di al-Hamra,
no? Burhaan
annuisce gravemente. - Sì,
è lui. - E
allora? Mi hanno detto che è arrivato con una cinquantina di uomini. Pensi
che cinquanta cavalieri possano cambiare qualche cosa? Siamo decine di
migliaia noi e loro hanno solo cinquecento cavalieri. Ci guida Salah ad-Din,
un guerriero valoroso ed esperto, e loro hanno per condottiero un ragazzo di
sedici anni che Allah ha marchiato con la lebbra. - Tu
non hai mai affrontato il Cane, Adham, ma non c’è
cavaliere franco più temuto. Dicono che i demoni infernali obbediscano al Cane dagli occhi azzurri:
egli può evocarli con un gesto della mano. Adham
ride: - E tu
credi a queste frottole, come una vecchia che trema di paura accanto al
fuoco, sentendo il vento che fa sbattere la porta? - Adham, tu parli perché non sai. Io l’ho visto in
battaglia. Burhaan
si interrompe, si passa una mano sulla fronte, poi riprende: - Sono
passati almeno quindici anni. Ero al servizio dell’emiro di Afrin, Taissir ibn Na’im. Emiro da poco, perché proprio il Cane dagli occhi
azzurri aveva ucciso l’emiro precedente, il fratello di Taissir.
L’emiro fece in modo di sorprendere le truppe guidate dal Cane. Loro fecero
appena in tempo ad asserragliarsi su una collina. Noi eravamo un migliaio,
loro neppure un centinaio. Pensavamo di sterminarli in un batter di ciglia.
Si difesero accanitamente, non caddero nelle trappole che gli tendemmo, continuavano
a colpire. Morivano, ma continuavano a combattere. E infine il Cane affrontò Taissir e lo uccise. Poi attaccò gli ufficiali e ne fece
strage. Noi fuggimmo, fuggimmo terrorizzati. Lasciammo sul terreno almeno
cinquecento morti. Loro erano in cento, ti dico. Non sono un vile, ho
combattuto tutta la vita, ma al pensiero di potermi trovare quell’uomo di
fronte, domani… Sai quanti guerrieri ha ucciso? Nessuno è in grado di
resistergli. Adham
è perplesso. - È un
guerriero forte, lo so, ma è un guerriero, non è Azrael,
l’angelo della morte. Burhaan
racconta ancora: - Di’
piuttosto che è un demone. Kazbech, il Circasso,
aveva radunato un’armata immensa e marciava su al-Hamra.
Migliaia di guerrieri si svegliarono quel mattino, ma forse neppure cento di
loro videro il sole tramontare quel giorno. Vennero massacrati tutti e il
passo dove avvenne la strage, perché strage fu e non battaglia, viene
chiamato il Passo dei Morti. Dicono che il suolo sia ancora coperto da uno
strato di cadaveri. E poi lo sai, te l’avranno raccontato: il Cane dagli
occhi azzurri si impadronì di al-Hamra in una
notte, senza combattere. Gli abitanti si addormentarono tranquilli mentre lo
sceicco vegliava su di loro e il mattino si svegliarono sudditi dei franchi.
Non è un uomo, quello. Adham
ghigna. - Non
ha due braccia e due gambe? Una testa e un cazzo? E due coglioni? Burhaan
sorride e scuote la testa. Sa che Adham è chiamato
l’impudico e lo conosce troppo bene per stupirsi. -
Scherza, scherza! Due coglioni li ha, su quello non c’è dubbio. Iblis glieli ha dati. Nessuno lo ha mai visto arretrare. - Iblis? Allora è un figlio del diavolo? Adham
ride. - Lo
è, ma tu non vuoi capire. Se avrai modo di vederlo combattere, capirai. - È un
uomo con cui vorrei misurarmi. - Di
coloro che si sono misurati con lui, nessuno è tornato a raccontare qual è la
sua forza. No, Adham, sono tuo amico e non ti
auguro di doverlo affrontare. Sei un grande guerriero, ma il Cane… che Allah
ci protegga. Adham
è incredulo e se non conoscesse Burhaan lo
giudicherebbe un vile. Scuote la testa e saluta l’amico. Camminando per il
campo e parlando con altri uomini, ha modo di constatare quanto l’arrivo del
Cane dagli occhi azzurri abbia mutato l’umore delle truppe. Della baldanza
dei giorni precedenti, quando Ashqelon sembrava una
facile conquista e tutti già si immaginavano il re di Gerusalemme prigioniero
di Salah ad-Din, si è passati a un’incertezza sull’esito della guerra, per
non dire a uno sconforto generale. Adham cerca di
incoraggiare chi si mostra impaurito, ma si rende conto che le sue parole
hanno poco effetto. Alla fine rinuncia, irritato. La
giornata passa. Giunge l’ora di partire per un’altra notte di razzie. Sarà
necessario spingersi più lontano, ma dovranno rientrare per il mattino. In
seguito all’arrivo del Cane dagli occhi azzurri, Salah ad-Din ha dato ordine
che tutti siano di ritorno alle prime luci del giorno. Di certo i franchi non
attaccheranno, ma Salah ad-Din vuole essere sicuro di poter radunare l’intero
esercito, se necessario. Non ha mai affrontato il Cane dagli occhi azzurri,
ma il nervosismo dei suoi uomini lo ha messo in allarme: il ritrovarsi in un
grande numero rassicurerà anche i più pavidi. Adham
si dirige verso est, ma il successo della notte precedente non viene
ripetuto: l’unico villaggio che incontrano è abbandonato e gli uomini non
trovano niente che valga la pena di portare via. Si allontanano senza
incendiare le case, secondo la volontà di Adham: se
conquisteranno queste terre, è assurdo impoverirle facendo danni; se dovranno
ritirarsi, non sarà certo la distruzione di qualche casa a danneggiare il
regno di Gerusalemme. L’unica
preda di guerra è una capra, che evidentemente è sfuggita ai suoi padroni.
L’animale viene catturato e portato all’accampamento. Gli uomini scherzano
tra di loro sul magro bottino e fingono di disputarsi i turni per bere il
latte di capra; qualcuno propone invece di uccidere l’animale e dividerselo,
ma non ce n’è per tutti. Gli uomini fingono di accalorarsi per chi avrà una
coscia e chi invece dovrà accontentarsi dei coglioni. Adham
ascolta il chiacchierio dei suoi uomini e scuote la testa, sorridendo. Rientrano
che è ancora notte fonda. Sono
appena arrivati all’accampamento quando una donna si avvicina ad Adham: evidentemente lo stava aspettando. Tiene un velo
davanti alla bocca, ma alla luce della luna Adham
può vedere che è una donna sui quaranta, nera come lui. -
Guerriero, perdonami se oso importunarmi, ma solo tu puoi aiutarmi. Nessuno
si cura di me, sono solo una schiava. Adham
chiede: -
Dimmi che cosa posso fare per te. La
donna si guarda intorno. - Non
posso parlarti qui. La
donna abbassa la voce e prosegue: - Si
tratta di mio figlio, che è un ragazzo. La sua vita è minacciata. Ti prego,
vieni con me. È qui vicino. -
Fammi strada, donna. Ti seguirò. La
donna si dirige verso il bosco ai margini dell’accampamento. Cammina in
fretta, senza voltarsi indietro. Tra gli alberi la luce della luna filtra
appena e l’ombra è più fitta. La donna si gira per controllare che Adham la stia seguendo, poi si infila tra alcuni
cespugli. Di
colpo Adham ha una strana sensazione. Si sente a
disagio. C’è qualche cosa che non lo convince. Si tende e mette la mano sul
pugnale. Procede guardingo. La donna sembra essere svanita e ora Adham è sicuro che di essere stato attirato in una
trappola. È vigile e l’uomo che scatta alle sue spalle con il pugnale non lo
sorprende. Adham si volta, gli blocca il braccio
con la sinistra e gli immerge il pugnale nel petto con la destra. Ritira
subito l’arma, mentre l’uomo emette un gemito sordo, barcolla e crolla a
terra. Sa che l’assassino non deve essere solo. E infatti un altro uomo è
scattato per colpirlo. Adham scansa la pugnalata e
vibra un colpo che non va a vuoto. L’uomo si piega, portandosi le mani al
petto. Adham estrae l’arma e colpisce ancora.
L’assalitore si accascia al suolo. Adham
sa benissimo chi ha mandato questi due uomini. Ce ne sono altri? Adham rimane fermo, cercando di distinguere nel buio
fitto. Nessun movimento. Si
china sull’uomo che ha colpito per ultimo. Gli mette una mano intorno alla
gola. - Talal, vero? - Non
lo so… non lo so… al-Haddad mi ha chiamato. La
risposta è una conferma. Al-Haddad è un uomo di Talal. Il secondo assalitore è morto: il colpo deve
avergli spaccato il cuore. Dev’essere lui al-Haddad,
ma al buio è impossibile riconoscerlo. Adham
ritorna all’uomo che sta agonizzando. Scuote la testa e gli immerge il
pugnale nel petto. In
quel momento sente un rumore: qualcuno si sta muovendo poco lontano. Adham scatta e in un attimo raggiunge la donna, che sta
fuggendo. - No,
no! Non mi uccidere. Io non sapevo. Mi avevano detto che dovevano parlarti.
Solo parlarti. La
donna sapeva benissimo, questo è chiaro. Adham
vorrebbe ucciderla, ma ha un altro pensiero. -
Ascoltami: se non vuoi morire, mi devi obbedire. - Farò
tutto quello che vuoi. Perdonami. -
Ascoltami bene. Ora raggiungerai la tenda di Talal.
Dirai alla guardia che ti manda al-Haddad, che è
ferito e che vuole parlargli. La guardia non vorrà svegliare Talal, ma tu insisterai. Lo farai venire qui. Se non
verrà, io ti cercherò e ti ucciderò. Non c’è posto in cui potrai nasconderti,
per sfuggirmi, ricordatelo bene. - Lo
farò. La
donna si allontana. Adham attende. Andrà davvero da
Talal? La guardia accetterà di svegliarlo? Talal le crederà e la seguirà? Verrà da solo?
Probabilmente sì, perché nessun altro sappia del compito che ha affidato ad
al-Haddad. Però la donna potrebbe avvisare Talal, che in questo caso manderebbe i suoi uomini.
Oppure la donna potrebbe fuggire, allontanandosi dall’accampamento. Tutto può
accadere. Adham ha agito d’impulso, ma non può
sapere se la sua mossa è giusta. Rimane vigile, in attesa. Se sentirà
avvicinarsi più persone, si allontanerà. Se Talal verrà da solo, Adham lo
sfiderà e lo ucciderà. Sa che questo significherà anche la sua morte: Talal appartiene a una famiglia troppo importante, che
gliela farà pagare. Adham non ha nessuno alle
spalle che possa difenderlo. Forse sarebbe meglio che la donna avesse deciso
di fuggire, senza parlare a Talal. Il
tempo passa lentamente. L’alba è ancora lontana. Adham
sente dei passi. La donna arriva. - È
qui, è ferito. Una
voce chiede: -
Dove? Dove? - Qui
vicino, adesso non so, è così buio. Adham
avanza. - Gli
uomini che hai mandato a uccidermi sono qui vicino. Non sono riusciti nella
loro impresa. Ho finito il secondo poco fa. - Kara! Vivo! - Sì,
vivo. Adesso la risolviamo io e te, alla pari. Non cercare di scappare,
perché ti raggiungo e ti ammazzo, vigliacco. Talal
vorrebbe davvero fuggire. Per quanto sia un guerriero, sa che Adham è molto più forte di lui. Ma il nero lo
raggiungerebbe. Talal
estrae il pugnale. - Non
ho paura di te, Kara. Ma la
voce di Talal tradisce la sua ansia. Vorrebbe
fuggire, ma sa che sarebbe inutile. Intanto
la donna si allontana in silenzio. Sa che deve andarsene. Ci sono parecchie
donne nere nell’accampamento ed è difficile che le guardie di Talal possano riconoscerla: ha dato un nome falso ed è
buio. Ma potrebbero risalire a lei. Ieri al-Haddad
l’ha contattata. Probabilmente qualcuno li ha visti insieme. Se Talal morirà, ci saranno indagini. E Talal
morirà di certo: non può tenere testa a Adham. Per
lei è più saggio allontanarsi. Talal
attacca, ma Adham guizza di lato e si sottrae.
Anche il suo attacco va a vuoto, ma arretrando Talal
inciampa sul ramo di un cespuglio e cade. Adham
aspetta che si rialzi: non vuole uccidere un uomo a terra. Talal si solleva. Si scaglia nuovamente su Adham, che para il colpo e lo ferisce leggermente al
braccio. Talal sente la fitta e la paura ha il
sopravvento. Si volta e scatta in una corsa disperata. In un attimo Adham è su di lui, lo afferra, lo blocca. Talal può sentire il corpo del nero premere contro il
suo. -
Vigliacco! Il
colpo al ventre strappa a Talal un grido. - No!
No! Un
secondo colpo, più sotto. Un terzo, ancora più in basso: una vertigine di
dolore e l’umiliazione dello sfregio. E poi il pugnale affonda nel petto,
spaccando il cuore. Adham tiene il pugnale fermo,
mentre Talal si affloscia. Tutto il suo corpo è
teso nella gioia di uccidere questo vile che ha cercato di farlo sopprimere a
tradimento. Anche il suo cazzo è teso. Quando
sente che non c’è più vita in Talal, Adham lo lascia cadere a terra. Guarda la macchia bianca.
Ora può tornare all’accampamento. È
quasi l’alba quando Adham si stende per dormire.
Domani la sua vita finirà. Ha ucciso un uomo potente, di una delle famiglie
più importanti dell’Egitto. Troveranno il cadavere. Sospetteranno di lui, gli
uomini di Talal hanno assistito al diverbio. E
quando Salah ad-Din lo farà interrogare, Adham dirà
la verità: non è uomo da mentire al suo signore, anche se dire la verità
significa la morte. Ha ucciso l’uomo che voleva farlo assassinare e l’ha
ucciso in un leale duello, ma questo conta poco. Adham
si addormenta. Verranno a cercarlo e lo sveglieranno, ma adesso ha sonno e
trascorrerà le ultime ore della sua vita riposando. Quando
si desta è mezzogiorno. Nessuno è venuto a chiamarlo. C’è agitazione
nell’accampamento: i franchi sono usciti da Ashqelon
e l’esercito si sta preparando ad affrontare il nemico. Adham
è contento: molto meglio morire in battaglia che essere giustiziato come un
bandito. I
franchi sono disposti su un’altura da cui possono vedere i saraceni che si
stanno disponendo. Rinaldo
di Sidone osserva: -
Maestà, è più saggio rimanere nella nostra posizione, piuttosto che lanciarci
senza riflettere in battaglia. L’esito è incerto. Dice
solo “incerto”, ma quello che pensa è evidente: la sproporzione di forze è
tale, che non esiste speranza di vittoria; attaccare significa andare
incontro a morte certa. Denis
suggerisce: -
Rinaldo ha ragione: dobbiamo muoverci con prudenza. Ma suggerirei di avanzare
verso i nemici, per poter valutare meglio la situazione. Baldovino
segue il consiglio di Denis, nonostante percepisca i dubbi dei suoi uomini. Salah
ad-Din, vedendo avvicinarsi l’esercito franco, dà ordine di richiamare le
truppe ancora disperse nei dintorni e quelle rimaste nell’accampamento: molti
si sono allontanati per razziare nella notte e dormono ancora nelle loro
tende. Man mano che i soldati arrivano, si dispongono seguendo le indicazioni
degli ufficiali. I
franchi vedono sgomenti il numero dei saraceni aumentare. Il divario di forze
è immenso e cresce a ogni minuto che passa. Rinaldo
dice ciò che pensano tutti: - Non
possiamo pensare di affrontarli, Maestà: è una follia. C’è
una nota di panico nella sua voce, nonostante Rinaldo cerchi di controllarsi. Baldovino
guarda verso Denis: sa che il duca d’Aguilard è il guerriero più esperto e si
fida ciecamente di lui, come si fidava suo padre Amalrico. Denis
non dice nulla. Sta seguendo gli spostamenti che avvengono nello schieramento
avversario. C’è molto movimento: coloro che sono appena arrivati
dall’accampamento si stanno mettendo ai loro posti. Le truppe sono disposte
nel modo abituale tra i saraceni: un centro arretrato e due ali avanzate.
Alla carica della cavalleria franca il centro arretrerà e se i cavalieri
avanzeranno ancora, le ali dell’esercito si ripiegheranno sul centro,
circondandoli. Ma
Salah ad-Din ha deciso di spostare le truppe, in modo da avere alle spalle la
collina come protezione: preferisce avere una posizione più sicura. Il movimento
non lascia dubbi sulla disposizione che l’esercito assumerà, ma fino a che
l’operazione non sarà stata completata, le truppe rimangono disposte
malamente e il continuo arrivo di nuovi soldati sta creando una situazione
caotica. Nessuno se ne preoccupa nel campo saraceno: i franchi non possono
essere tanto folli da attaccare un esercito di gran lunga più numeroso e
forte. Denis
sorride e dice: -
Maestà, il nemico sta riorganizzando le sue truppe. Tra un attimo è il
momento di lanciarci all’attacco, prima che abbiano avuto il tempo di
condurre a termine la manovra. Possiamo avere ragione di loro. I
nobili presenti guardano sbigottiti il duca di Rougegarde. Per quanto abbiano
stima di lui e conoscano le sue capacità militari, si chiedono se la sua proposta
non sia una follia. Sanno anche loro che evitando la battaglia non
risolveranno mai la situazione: si troveranno a subire un lungo assedio e
probabilmente troveranno la morte. Ma attaccare ora, con una simile disparità
numerica… Anche
il re è perplesso. -
Duca, voi siete sicuro di quanto dite? - Sì,
Maestà: tra poco si troveranno in una posizione di forte svantaggio. Non si
aspettano un attacco. È la nostra unica possibilità. Baldovino
prega brevemente, poi si rivolge a Denis: -
Guidate le truppe, duca. Denis
guarda ancora il movimento dei soldati nemici, poi lancia il grido di
battaglia e sprona il cavallo. Gli altri lo seguono, certi di andare alla
morte. Gli
arabi vedono sgomenti l’improvvisa avanzata dei cavalieri. Non hanno fatto in
tempo a disporsi come previsto. Un’ala si trova davanti al centro e ne
ostacola i movimenti, di fatto rendendogli impossibile intervenire. Gli
arcieri non sono pronti. Qualcuno si inginocchia per prendere la mira, ma la
posizione è sfavorevole e davanti agli arcieri ci sono uomini che vanno e
vengono, per raggiungere la posizione loro assegnata: il movimento confuso
dei soldati blocca la visuale e rende impossibile un’azione coordinata. Gli
ufficiali gridano ordini contrastanti: alcuni ingiungono di tornare ai posti
iniziali, perché è impossibile completare la manovra prima dell’arrivo dei
cavalieri franchi; altri impongono di continuare lo spostamento avviato, per
poter utilizzare le tattiche abituali di combattimento. Salah ad-Din è
rimasto indietro e non riesce ad avere un quadro chiaro di ciò che succede: i
suoi ordini non arrivano ai soldati che sono nelle prime file. In un attimo
l’esercito non è più una formidabile macchina da guerra in grado di
schiacciare qualunque avversario, ma una massa di uomini confusi, che si
muovono disordinatamente e molti di loro, consci della situazione, vengono
presi dal panico. I
cavalieri franchi piombano su soldati che non sanno che cosa fare e riescono
a malapena a difendersi. C’è un
primo momento di confusione, in cui i cavalieri fanno facilmente strage dei
soldati saraceni. Poi gli attaccati reagiscono e l’esito della battaglia
sembra divenire incerto. Ma gli arabi non possono sfruttare la loro
superiorità numerica, perché una parte dell’esercito non riesce a raggiungere
la linea di combattimento. Denis
ha fatto strage dei nemici all’ala destra e ora avanza verso il centro con i
suoi uomini. L’effetto del suo arrivo è devastante. Si sente gridare “Il Cane
dagli occhi azzurri!” e un’ondata di terrore investe gli uomini che
combattono. Alcuni soldati volgono le spalle al nemico e scappano. Il loro
esempio è seguito da altri. Presto lo schieramento saraceno viene sfondato e
incomincia una grande fuga. Fanti e cavalieri scappano disordinatamente,
buttando via le armi. Anche coloro che sono rimasti a difesa
dell’accampamento fuggono, abbandonando il bottino accumulato con le
scorrerie: nessuno vuole perdere la vita per salvare ciò che ha razziato.
Molti cavalieri franchi si gettano all’inseguimento dei fuggitivi. Denis
invece si ferma per valutare la situazione. C’è solo un’area in cui i
saraceni resistono ancora. I cavalieri franchi, trascinati dall’impeto della
loro vittoria, non se ne occupano, preferendo inseguire e massacrare i
soldati in fuga. All’ala sinistra dello schieramento saraceno un gruppo di
soldati franchi è stato circondato dai nemici, che ne stanno facendo strage. Adham è riuscito a mantenere il controllo sui suoi
uomini, che invece di fuggire si sono organizzati per resistere e hanno
contrattaccato con successo. Adham ne ha uccisi
molti e cerca di raggiungere il cavaliere che guida i franchi in quel
settore, il barone Guillem da Tarragona. Il barone
però preferisce evitare lo scontro con questo formidabile guerriero e
arretra. Adham lo vede scivolare dietro i suoi
uomini e sputa a terra, in segno di disprezzo, ma ormai Guillem
pensa solo a salvarsi, in preda a un terrore che gli impedisce di ragionare.
Quando infine, non più pressato dai saraceni, riesce a manovrare liberamente
il cavallo, lo sprona verso gli altri cavalieri franchi e la salvezza. Ma
mentre con gli speroni incita il cavallo, senza badare a un guerriero arabo
appiedato, questi muove rapidamente la lancia e gli trapassa il petto. Guillem dilata gli occhi e spalanca la bocca, preda di un
dolore che lo schianta. Il guerriero spinge ancora la lancia e Guillem cade, mentre il cavallo prosegue la sua corsa
senza il cavaliere. Il guerriero saraceno estrae la lancia e poi la immerge
nel cuore del barone. Gli
uomini di Guillem sono circondati da nemici di gran
lunga più forti: sanno di non avere nessuna speranza. Per tutti loro è la
morte. Manrique cerca di organizzare un’ultima
resistenza. I suoi compagni si stringono a lui, consci di stare per morire e
furenti per essere stati abbandonati: i franchi stanno trionfando, ma nessuno
si occupa di loro. Non è
così: Denis li ha visti e si lancia nella loro direzione, seguito da
Ferdinando e dai loro uomini. Quando il duca d’Aguilard piomba sui saraceni,
questi cercano di opporre resistenza, ma uno dopo l’altro cadono. C’è un
attimo di smarrimento, ma gli uomini di Adham non
intendono cedere. Nuh si scaglia contro uno dei
cavalieri al seguito di Ferdinando da Siracusa, Berto. Riesce a ferirlo al
braccio destro, ma Berto solleva la spada e la cala su Nuh.
La lama prende in pieno il collo del giovane e la testa viene quasi recisa. Nuh sente il dolore violento. Ha appena il tempo di
capire che la morte è giunta e con gli occhi cerca il suo capitano, l’uomo
che ama e che non ha saputo salvarlo. Adham lo vede
crollare e prova una fitta: è affezionato al giovane e la sua morte lo fa
soffrire. Ma nella situazione disperata che si è creata per l’esercito di
Salah ad-Din, lo consola il pensiero che raggiungerà presto Nuh e i suoi uomini, che uno dopo l’altro vengono
abbattuti. I superstiti stanno cedendo e presto le ultime sacche di
resistenza cedono ed è un fuggi fuggi generale. Adham vuole vendicare Nuh e
sprona il cavallo contro il cavaliere che lo ha ucciso. Berto si trova
davanti un avversario molto più forte di lui. Cerca disperatamente di parare
i colpi, ma la ferita al braccio gli duole, il sangue perso lo ha indebolito
e in ogni caso Adham è un guerriero assai più
capace. Berto si guarda intorno, sperando di ricevere un soccorso, ma in quel
momento Adham muove la spada vorticosamente e un
fendente colpisce Berto alla base del collo. La lama penetra nella carne,
aprendo il torace, e Berto cade da cavallo con un lamento sordo. Nuh
è vendicato, ma Adham sa benissimo che la morte
incombe su di lui. Non arretra: rimane ben saldo. Colpisce a morte un altro
cavaliere che lo assale, poi si prepara ad affrontare il Cane che si sta
avvicinando: non è un vile e non vuole fuggire. Pensa che c’è più onore a
morire per mano del Cane con gli occhi azzurri che ad arrendersi. E in ogni
caso meglio una morte in battaglia che essere giustiziato per aver ucciso Talal. Denis
è su di lui e il duello ha inizio. Denis muove la spada velocemente. Adham è un bravo guerriero, ma davvero quest’uomo, più
piccolo e apparentemente assai meno forte di lui, è troppo abile nel
maneggiare la spada. Adham è costretto a rimanere
sulla difensiva, ma non si arrende, non getta via l’arma. Va incontro alla
morte senza paura. A un certo punto un colpo violento di Denis lo costringe a
piegare il braccio e l’arma gli sfugge. Vede la spada di Denis abbattersi su
di lui. Ma Adham si accorge che il duca la gira, in
modo che lo colpisca di piatto e non di taglio. Adham
non ha il tempo di chiedersi il perché. Il colpo alla testa lo stordisce e lo
fa cadere a terra. Manrique
guarda allibito quest’uomo che è accorso a salvarli. Gli hanno raccontato che
una volta in battaglia Denis d’Aguilard si gettò tra i saraceni per salvare
Amalrico, ma Amalrico era il re di Gerusalemme, non un piccolo gruppo di
soldati di Tarragona. Manrique vorrebbe ringraziare
il duca, ma Denis sta già allontanandosi con i suoi cavalieri. Manrique
raduna gli uomini. Sono rimasti in pochi: quattro cavalieri e sette fanti,
incolumi o con ferite leggere, altri sei uomini con ferite più gravi. Erano
quarantasei e ora sono in undici in grado di combattere, più i feriti, alcuni
dei quali forse non sopravvivranno. Manrique
raggiunge il punto dove è stato abbattuto Guillem.
Anche se il barone ha cercato di scappare, dimostrandosi un vile, Manrique non se la sente di condannarlo. Era solo un
ragazzo e ha pagato con la vita. Manrique gli
chiude gli occhi e rimane in raccoglimento sul corpo. Poi, con l’aiuto dei
suoi uomini, lo carica su un cavallo. Dà ordine di portarlo in città, insieme
ai feriti, e con gli altri tre cavalieri si unisce ai franchi che stanno
inseguendo i fuggitivi. Vorrebbe raggiungere Denis e ringraziarlo, ma non è
possibile ora. Lo farà domani. Denis
intanto è ritornato in prima linea e guida le truppe all’inseguimento dei
saraceni in fuga, da Montgisard, dove è avvenuto lo
scontro, fino alla palude chiamata Canneto degli Stornelli. Qui i saraceni
gettano via ciò che ancora hanno addosso, per riuscire a fuggire più
rapidamente. Nei giorni seguenti, scandagliando la palude, i franchi
recupereranno armi e oggetti di ogni genere. La
notte costringe i franchi ad abbandonare l’inseguimento. La battaglia si è
conclusa: i franchi hanno occupato l’accampamento nemico, facendo moltissimi
prigionieri e conquistando un gran bottino. Il campo di battaglia è
disseminato di cadaveri. I saraceni con ferite gravi vengono finiti: ci sono
già abbastanza schiavi. Gli altri vengono legati e portati vicino alle mura. Denis
è rientrato nel palazzo di Raimondo di Ascalona, dopo aver controllato la
situazione dei suoi uomini e verificato che non ci sia bisogno di lui. È
contento per la vittoria ottenuta e perché non ci sono state molte perdite. Dopo
essersi lavato, Denis viene chiamato da uno dei soldati: -
Duca, un uomo vuole vedervi. Si chiama Manrique Cabrera, ma dice che voi non conoscete il suo nome. -
Fallo entrare. Manrique
entra e si inginocchia davanti a Denis, che lo guarda, un po’ stupito. -
Duca, voi vi chiederete chi io sia. Ero al servizio del conte Guillem di Tarragona, morto nella battaglia di ieri, che
Dio lo accolga tra i suoi. - So
chi siete, anche se non conoscevo il vostro nome. Avete combattuto con valore
ieri. -
Grazie. Saremmo tutti morti, se voi non foste intervenuto. Io comandavo
dodici cavalieri e trentaquattro fanti. Circa trenta uomini sono morti ieri.
Alcuni sono feriti, ma, a parte due, spero che guariscano. Il nostro signore
è morto, come sapete. Io, quattro cavalieri e sette fanti, più i feriti, se
si riprenderanno, vorremmo passare al vostro servizio. Denis
non si aspettava la richiesta. - Al
mio servizio? - Sì,
duca. Posso garantirvi che si tratta di uomini capaci, ben addestrati. Alcuni
di noi vorrebbero tornare a Tarragona e pensano al vostro servizio di poter
guadagnare di che pagarsi il viaggio. Altri, come me, preferiscono continuare
a combattere, al servizio di un signore valoroso. Manrique
non dice che il signore che servivano era un vile: gli sembrerebbe ingiusto
criticare un giovane che ha pagato con la vita. -
Avrete diritto anche voi a una parte del bottino e probabilmente coloro che
vogliono partire potranno pagare il viaggio sulla nave senza mettersi al mio
servizio. Ma prenderò volentieri coloro che intendono rimanere qui. -
Grazie, duca. Adham
ha un gran mal di testa. Emerge dal sonno e per un momento non capisce. Si
sente bloccato e cerca di muovere le braccia, ma si rende conto che sono
legate dietro la schiena. Allora ricorda: la battaglia, il colpo vibrato dal
Cane. Si mette a sedere e si guarda intorno: è prigioniero, insieme a una
massa di suoi compagni. Sono davanti alle mura di Ascalona, che avevano
sperato di conquistare. I compagni si lamentano e maledicono la loro sorte. Adham è abituato alle difficoltà e non dice nulla. È
scampato due volte alla morte: non lo hanno giustiziato come assassino di Talal, il Cane non lo ha ucciso. Ora è uno schiavo. Vedrà
che cosa il destino gli riserva. Adham
si guarda intorno. Quasi tutti loro hanno le mani legate sul davanti e non
dietro. Perché lui è stato legato in modo diverso? Mentre si pone questa
domanda, una voce risuona alle sue spalle: - Che
ne hai fatto del nostro comandante, Kara? Adham
si volta verso l’uomo, uno dei soldati al servizio di Talal.
Il viso gli è vagamente familiare, ma non l’avrebbe mai riconosciuto se non
avesse parlato del suo padrone. -
Alludi al Leone di Allah? - E
chi altri, Kara? -
Perché lo chiedi a me? -
Perché ieri notte una donna venne a chiamarlo e non abbiamo più visto né lei,
né lui. Lo stavamo cercando, quando gli infedeli ci hanno attaccato. - E
allora? Che c’entro io? A
Salah ad-Din Adham non mentirebbe mai, ma non ha
motivo per raccontare a questo soldato ciò che è successo. -
Credo che tu sappia perché non è tornato alla tenda. -
Chiedi alla donna che è venuto a chiamarlo, non a me. - Gli
hai teso un agguato, Kara. - Io
non tendo agguati, dovresti saperlo: io non l’ho mai fatto. Io affronto i
miei nemici a viso scoperto. Io. Adham
si volta e non dice più nulla. L’uomo tace. Vicino
a lui un vecchio parla da solo. Sembra quasi una cantilena: -
Veloci come lupi e latranti come cani vennero gli infedeli. E Allah ci punì
dei nostri peccati, ci disperse come granelli di sabbia che il vento del
deserto trascina con sé. Adham
annuisce. Sì, il vecchio ha ragione. Rimangono
sotto il sole tutto il giorno. Per fortuna è novembre e il cielo è coperto. A
un certo punto avviene una distribuzione di acqua e di cibo. Adham non riceve niente. Chiede: -
Perché non mi dai nulla? Non sono anch’io un uomo che ha bisogno di nutrirsi
e di bere? Gli
uomini che stanno distribuendo il cibo lo ignorano. Un giovane che ha le mani
legate davanti e non dietro la schiena spezza il pane che gli è stato dato e
ne porge metà a Adham. -
Prendi questo. Adham
sorride e risponde: -
Grazie, ma non posso mangiarlo. Il
giovane spezza il pane in pezzi piccoli e uno dopo l’altro li mette in bocca
a Adham. - Dio
ti renda merito di ciò che fai. Poi il
giovane dà a Adham la propria ciotola, ma Adham beve poco: ha molta sete, ma l’acqua è troppo
importante e non vuole toglierla a quest’uomo che lo aiuta. - Bevi
ancora. -
Basta così. Interviene
un altro, un guerriero che ha alcuni anni in più di Adham. -
Prendi un po’ di acqua dalla mia. Hai bisogno di bere anche tu. Adham
accetta. L’uomo tiene la ciotola sollevata e gli permette di bere. -
Grazie. Non so chi tu sia, ma Allah renda grazie anche a te della tua
cortesia. - Non
mi conosci, ma io ti ho visto combattere, ieri. E se tutti avessimo
combattuto come te e i tuoi uomini, oggi saremmo i padroni di Ashqelon. - Il
nemico ci ha preso di sorpresa, in un momento in cui non eravamo preparati. Il giovane
interviene: - Io
non ti ho visto combattere, ma mi hanno detto che tu e i tuoi uomini siete
stati i soli a resistere ai franchi. Adham
non risponde: l’elogio gli fa piacere, ma non ama vantarsi. Osserva
invece: - Non
so perché mi abbiano legato così. Tutti voi avete le mani legate davanti. Il
guerriero sorride: - A
essere legati così sono stati i guerrieri più valorosi, quelli che i franchi
considerano pericolosi. Ci sono altri due guerrieri molto forti, più in là, e
anche loro hanno le mani bloccate dietro la schiena. È un onore. Adham
scuote la testa. - Un
onore di cui farei volentieri a meno. Anche adesso… - Sì? - Devo
pisciare. Come posso fare? - Ti
aiuto io. Devi farlo qui, non possiamo allontanarci. Il
guerriero si avvicina e aiuta Adham a calarsi i
pantaloni e a sollevare la tunica. Mentre
Adham svuota la vescica, il guerriero osserva: - Sei
un maschio vigoroso. Adham
sorride. -
Magari qualche signore franco mi prenderà come schiavo per le sue notti:
dicono che alcuni amano farsi possedere da maschi ben dotati. Il
guerriero scuote la testa, sorridendo. - So
che ti chiamavano l’impudico. Forse avevano ragione. Adham
ride: -
Credo di sì. Adham
ha finito. Il guerriero lo aiuta a rassettarsi. Il
cielo promette pioggia, ma i cristiani non sembrano intenzionati a portarli
al riparo. D’altronde i prigionieri sono troppi per poterli sistemare tutti
in città. Le condizioni fuori sono difficili per tutti, ma soprattutto per Adham e per quei pochi altri che hanno le mani legate
dietro la schiena. La
notte si stendono tutti a terra per dormire. Adham
si sveglia di colpo, perché gli manca il respiro. Qualcuno gli sta stringendo
la gola. Adham cerca di liberarsi, ma gli hanno
bloccato le gambe e il corpo. Una voce sussurra: -
Vendichiamo il nostro signore, Kara. Sono
almeno quattro. Ha combattuto valorosamente per finire strangolato a
tradimento, senza potersi difendere? Adham sente
che nei suoi polmoni si sta accendendo un fuoco. Vicino a lui un urlo: -
Fermatevi! Di
colpo la pressione sul suo collo svanisce. Qualcuno si è gettato sull’uomo
che lo stava strangolando e lo ha costretto a lasciare la presa. Adham
respira affannosamente. La pressione sul suo petto svanisce e altre mani si
stringono intorno al suo collo. -
Merda! Nuovamente
il respiro bloccato e un calcio ai coglioni che strappa un urlo di dolore a Adham, ma i prigionieri si sono svegliati e intorno c’è
confusione. Anche il secondo uomo è costretto a lasciare la presa. Arrivano
i soldati di guardia, con le torce. - Che
cazzo succede, qui, bastardi? Adham
non capisce: non sa parlare la lingua dei franchi. Interviene il guerriero
che in giornata lo ha aiutato e poco fa lo ha salvato, quando si è accorto di
ciò che stava succedendo. Sa spiegarsi nella lingua dei vincitori: -
Hanno cercato di strangolare questo guerriero, che non può difendersi perché
ha le mani legate dietro la schiena. I
soldati mandano a chiamare un ufficiale, che arriva bestemmiando: è stato
interrotto mentre si divertiva con una puttana ed è furibondo. Di
nuovo il guerriero deve spiegare. L’ufficiale conosce l’arabo e chiede anche
agli altri. Adham spiega che si tratta di contrasti
che risalgono al giorno prima della battaglia. Gli uomini di Talal lo accusano di aver ucciso il loro capo. L’ufficiale
fa portare via i quattro uomini che sospetta di aver attaccato Adham: domani saranno fustigati. Del nero nessuno si
occupa: che possa aver ucciso un altro guerriero saraceno nei giorni scorsi,
è un fatto che non ha nessuna rilevanza per i franchi. Adham
si rivolge al guerriero: -
Grazie. Mi hai salvato la vita. - Dio
non ha permesso che un guerriero valoroso venisse ucciso da infami. Adham
si stende accanto all’uomo. La gola gli brucia e anche i coglioni gli fanno
male, ma è ancora vivo. È sfuggito a una morte indegna di un guerriero. La
pioggia incomincia a scendere il mattino del secondo giorno. Presto sono
tutti inzuppati. Sono sfuggiti alla morte in battaglia per morire di
polmonite? Dopo
qualche ora smette di piovere. Il sole è appena spuntato tra le nuvole,
quando Adham vede il duca Denis che esce dalla
città a cavallo, insieme ad alcuni altri cavalieri. Non
appena il duca è abbastanza vicino, Adham si alza e
si muove rapido nella sua direzione. Scavalca gli uomini seduti e si getta in
ginocchio davanti al duca. I soldati hanno già alzato le spade, anche se
quest’uomo che ha le mani legate dietro la schiena non può certo fare gran
danni. Denis li blocca con un gesto. -
Signore, tu mi hai abbattuto con la tua spada due giorni fa. Se devo essere
schiavo, è giusto che sia tu il mio padrone. Denis
lo guarda e lo riconosce. Sorride. Gli risponde in arabo -
Chiederò al re che ti doni a me. Anche Adham sorride. Sa benissimo che il re darà a Denis tutto
ciò che il duca gli chiederà. Come potrebbe negare qualche cosa a colui che
ha vinto la battaglia? -
Grazie, padrone - Qual
è il tuo nome? - Adham. Mi chiamano Kara, perché
sono nero. Ma questo lo vedi da te. - Mi
basta. Adham
si alza e torna al suo posto. Il guerriero vicino a lui gli chiede: - Che
cosa ti ha spinto ad andare dal Cane dagli occhi azzurri? -
Volevo parlargli, perché è stato lui ad abbattermi, l’altro giorno. Ho
cercato di resistergli, ma è un guerriero formidabile. - Sì,
Allah l’ha mandato per punirci dei nostri peccati. Adham
si chiede che cosa sarà di lui se passerà al servizio del Cane. Che cosa gli
farà fare? Qualunque cosa sia, fosse anche il lavoro più umiliante e pesante,
quell’uomo la ha battuto e può fare di lui ciò che vuole. Meglio schiavo suo
che di un vile come il giovane cavaliere che ha cercato di fuggire. Quando
Denis rientra in città, chiede di parlare al re. Il colloquio gli viene
accordato subito. -
Maestà, scusatemi se mi permetto di disturbarvi. Voi sapete che preferisco non
intervenire nella distribuzione del bottino, ma questa volta vi chiedo che mi
venga assegnato un uomo in particolare. Baldovino
ride. Non ride spesso questo giovane re che la lebbra prostra, ma la
richiesta del duca gli appare buffa e la gioia dell’insperata vittoria lo
rende allegro. - Un
uomo, duca? Avete sbaragliato un esercito immenso, salvato Ascalona e il
regno, e mi chiedete se potete prendere un uomo? Mi chiedeste tutti i
prigionieri, ve li donerei senza esitare. -
Grazie, maestà, ma me ne basta uno. Tutti… non saprei davvero dove metterli. In
effetti i prigionieri sono tantissimi. Denis ne riceverà alcuni come parte
del bottino, scelti tra quelli che possono riscattarsi pagando. Non prende
invece schiavi, perché, essendo stato in schiavitù da ragazzo, ha deciso che
non avrà mai schiavi. Il re
sorride. -
Prendete quello che volete, tutti quelli che volete. Non sia mai che qualcuno
possa dire che sono stato tanto ingrato da negarvi ciò che mi avete chiesto.
Sarebbe davvero una vergogna immensa per me. Per
fortuna non piove più e un timido sole asciuga gli abiti dei prigionieri. Adham è infreddolito e stanco. Un soldato
franco gira tra i prigionieri. Guarda Adham e gli
si avvicina. - Il
tuo nome? - Adham. -
Vieni con me. Il duca di Rougegarde è il tuo nuovo padrone. Per un
attimo Adham non capisce. Poi si ricorda che
Rougegarde è il nome che i franchi hanno dato ad al-Hamra.
Adham sorride. È schiavo, ma è schiavo di un grande
guerriero. Non c’è vergogna ad essere stato sconfitto dal Cane dagli occhi
azzurri. E pensa che finalmente potrà lavarsi e pulirsi. E magari mangiare
decentemente. Saluta e ringrazia ancora il giovane e il guerriero che lo
hanno aiutato. Ora entrambi sembrano sgomenti. -
Grazie per ciò che avete fatto per me. Il
guerriero risponde per entrambi: -
L’abbiamo fatto volentieri. Mi spiace che tu sia schiavo del Cane. Adham
sorride e scuote la testa. Non è il caso di spiegare che questa schiavitù non
lo spaventa, che l’ha scelta. Non vuole far attendere il suo padrone. Il
servitore accompagna Adham alla casa dove
alloggiano molti cavalieri di Denis e lo libera della corda. - Vuoi
lavarti? Adham
è conscio di non avere certo un buon odore addosso. Non gli sembra vero di
potersi lavare. -
Certo! Vuoi che mi presenti dal mio padrone puzzolente come un caprone? Il
servitore sorride e lo accompagna nel bagno della casa. Adham
ha un gran bisogno di lavarsi. Dopo il bagno riceve un telo per asciugarsi e
un abito pulito: dopo due giorni legato all’aperto, esposto al sole, alla
pioggia, agli insetti, si sente davvero in paradiso. Quando
Adham si è rivestito, il servitore lo accompagna al
palazzo di Raimondo di Ascalona, dove risiede Denis. Denis
lo accoglie. - Mi
hai detto che ti chiami Adham. - Sì. Adham ibn Jaber, ma mio padre
mi adottò. Denis
non sembra molto interessato a questi dettagli. Chiede invece: -
Perché hai voluto che ti prendessi io come schiavo? - Perché
sei stato tu a battermi. Preferisco servire un guerriero valoroso, piuttosto
che un vile. - Adham, io non ho schiavi. Adham
rimane stupito. Non sa che cosa dire. Denis prosegue: - Gli uomini
al mio servizio sono liberi. Coloro che ricevo come parte del bottino in
battaglia, di solito si riscattano. - La
mia famiglia è povera e non può pagare per me. E non ho amici potenti che
pagheranno: sono solo Kara, un nero, come mi
chiamano. Denis annuisce. - Va
bene, Adham. Verrai con me a Rougegarde e poi
deciderò il da farsi. Ti impegni a essere leale nei miei confronti? -
Certo, sei il mio signore, ora. Mi hai vinto lealmente. Sarei infame se non
fossi leale. - Va
bene. Ci fermeremo ancora alcuni giorni. Darai una mano con le cose da fare,
ma per il momento non avrai compiti particolari. Adesso puoi andare. Adham
non si muove. -
Padrone, prima di andarmene, posso chiederti una cosa? -
Certo, Adham. -
Perché non mi hai ucciso? Perché hai girato la spada in modo che mi
stordisse? Avresti potuto tagliarmi la testa. Io l’avrei fatto, se avessi
potuto. -
Perché ti ho visto combattere. Sei un guerriero valoroso e non sei fuggito
come gli altri. Ormai per noi la battaglia era vinta e stordirti o ucciderti
non avrebbe cambiato niente. - Se
un giorno tornassi libero, mi troverei a combattere contro di voi. Un nemico
in più. Denis
ride: - E
allora? Saresti un nemico in più, uno molto valoroso, ma pensi che un uomo in
più possa determinare l’esito di una battaglia, portare alla vittoria chi
altrimenti sarebbe sconfitto? - Io
no, padrone. Lo so bene. Credo che esista un solo uomo al mondo che ha questo
potere. Denis
aggrotta la fronte, perplesso: - E
chi sarebbe? - Il
Cane dagli occhi azzurri. Basta il suo nome a gettare nel terrore i credenti.
C’erano almeno dieci figli di Maometto per ogni infedele e siamo stati
sconfitti quasi senza combattere. Denis
scuote la testa, ridendo. - Va
bene, ora il servitore ti riaccompagnerà. Rimarrai a disposizione del mio
aiutante. Mentre
Denis congeda Adham, Ferdinando entra nella stanza.
Non si è fatto annunciare, non ha bussato: tra loro esiste una grande
intimità. Ferdinando busserebbe se si trattasse della camera da letto, ma non
certo della stanza in cui Denis si trova ora. Ferdinando
osserva Adham. Alto, forte, deciso, un bel viso con
occhi insolitamente chiari. Ferdinando
guarda il nero uscire, poi, quando è oltre la soglia, dice: -
Porcoddio! Che maschio, quello! - Ti
piace? Non posso darti torto. È un gran bell’uomo. - È
quello che ha ucciso Berto, no? -
Berto era… sì, è lui. - In
battaglia era un leone. È al tuo servizio? - Sì,
adesso è mio schiavo. - Tuo
schiavo? Ma tu non tieni schiavi! - L’ha
scelto lui perché sono stato io ad abbatterlo e io ho accettato, anche se non
so bene che farmene. Ferdinando
ride: - Io
saprei benissimo che farmene. Dallo a me. Denis
sorride e scuote la testa. - No,
Ferdinando. Sai che su questo abbiamo idee diverse. Se vuole scopare con te,
per me va benissimo. Ma che tu lo prenda con la forza, no. Ferdinando
alza le spalle. - Li
abbiamo sconfitti. I nostri che vengono catturati possono essere mandati a
morire nelle miniere di sale o castrati per farne degli eunuchi. Mi sembra
meglio prendersi un bel cazzo in culo, no? D’altronde è quello che succede a
tanti dei nostri giovani. E scommetto che molti non se ne lamentano. Denis
scuote la testa. - Se
lo vuoi, devi convincerlo. -
Posso provarci? -
Sì, senza dubbio. Non impedisco ai miei servitori di scopare con chi
vogliono. Ma devono volerlo loro. Adham rimane nella casa dove alloggiano
parecchi cavalieri al servizio di Denis. Il duca ha dato istruzioni precise
sul modo in cui va trattato e, come sempre, i suoi ordini vengono seguiti in
modo scrupoloso. Adham vive sospeso in un limbo,
svolgendo piccoli compiti, non molto diversi da quelli degli altri: l’urgenza
di soccorrere Baldovino ha spinto Denis e Ferdinando a partire senza fanti e
senza servitori. Raimondo ha messo a disposizione alcuni dei suoi uomini, ma
non sono molti, perché il signore di Ascalona ospita anche il re e i
principali signori nel suo palazzo. Perciò i cavalieri si occupano un po’ di
tutto, a parte la cucina. D’altronde sono uomini d’arme, abituati a ogni
genere di privazioni. Adham si rende conto che la situazione
attuale è provvisoria e non fornisce indizi sul futuro. Si chiede quale sarà
la sua sorte, ma sa che lo scoprirà presto. Anche
alcuni uomini di Ferdinando sono alloggiati con i cavalieri di Denis e il
conte ne approfitta per vedere Adham. Il nero lo ha
colpito molto. Già in battaglia lo aveva notato. Gli uomini molto forti e
coraggiosi hanno per lui un notevole fascino. Ferdinando ha pensato a come
fare per conoscerlo meglio e ha preparato un piano. La sera stessa del giorno
in cui ha visto per la prima volta Adham parla con
il signore della città, Raimondo di Ascalona, che è ben contento di potergli
fare un favore: apprezza il valore di Ferdinando e, anche per l’amicizia che
lo lega a Denis, è molto ben disposto nei suoi confronti. Il
mattino seguente Ferdinando raggiunge la casa dove dormono i suoi cavalieri e
Adham. Cerca il nero e gli si rivolge. Il suo arabo
è incerto, ma ormai, dopo diciassette anni in Oriente e tredici come signore
di un territorio popolato in gran parte da arabi musulmani, Ferdinando riesce
ad esprimersi in modo comprensibile. Denis ha molto insistito perché
imparasse la lingua dei suoi sudditi e il siciliano ha seguito il consiglio.
Non sa leggere e scrivere in italiano o nella lingua dei franchi, ma parla in
modo comprensibile l’arabo. - Adham, so che sei un grande guerriero. Ti ho visto
combattere e hai ucciso uno dei miei uomini migliori. Adham guarda Ferdinando. Non lo conosce, sa
solo che è il conte dell’Arram e che è un guerriero
molto forte. Altro non può sapere di lui, perché non conosce la lingua che
parlano i cavalieri tra cui vive. O forse le lingue: ha l’impressione che non
si tratti di una lingua sola, perché sente suoni differenti. Se capisse,
avrebbe potuto cogliere commenti e battute che i cavalieri si scambiano in
sua presenza senza remore, proprio perché lo schiavo nero non comprende. In
questo caso saprebbe che il conte è un uomo molto virile, dotato di forti
appetiti, a cui piacciono esclusivamente i maschi. Adham risponde: - Mi
spiace per il tuo uomo, ma se non avessi ucciso lui, lui avrebbe ucciso me. Ferdinando
ride. -
Credo di sì. Però mi manca. Ferdinando
sorride. Adham non capisce il motivo del sorriso:
non sospetta in che senso Berto manca al conte. Risponde: - I
vostri uomini hanno ucciso i guerrieri che comandavo. Così è la guerra. Ferdinando
annuisce. -
Certo. Adesso sei al servizio di Denis di Rougegarde. -
Sì. Adham non capisce che cosa voglia da lui il
conte. -
Dimmi, Adham, ti piace cacciare? La
domanda sorprende il guerriero, che risponde: -
Sì. Mi è capitato di andare a caccia molte volte. -
Chiederò al duca il permesso di prenderti con me per una battuta di caccia.
Mi piace molto cacciare e il conte Raimondo mi dice che qui ci sono molte
prede, anche leoni, che dove vivo io sono molto rari. Ciò
che dice Ferdinando corrisponde a verità. Ma l’obiettivo della caccia è un
altro e la preda ha due zampe, non quattro (anche se a un certo punto
dovrebbe mettersi a quattro zampe per essere trafitta dall’arma). Adham non può certo sottrarsi e non ha
motivo per farlo. Si limita a dire: - Il
mio padrone deciderà. -
Certo. Ritornerò a dirti che cosa ha deciso. Ferdinando
sorride, sicuro del proprio successo. Si dirige al palazzo del conte di
Ascalona e raggiunge Denis. -
Senti, Denis, mi hai detto che conti di rimanere qui ancora qualche giorno,
no? -
Sì, certo. Dobbiamo essere sicuri che il Saladino non riesca a riorganizzare
l’esercito e non ritorni: non credo proprio che potrà farlo, dalle notizie
che ci arrivano. E poi ci sarà la divisione del bottino. -
Benissimo. Io ne approfitterei per una partita di caccia. Tre o quattro
giorni. Raimondo mi ha indicato alcuni buoni posti e mi presta i cani e un
servitore. Mi servirebbe un secondo uomo. Non ti spiace se prendo Adham? Denis
guarda Ferdinando: ha capito benissimo le intenzioni del siciliano. -
Ascoltami, Ferdinando. Puoi farti accompagnare da Adham,
ma non puoi forzarlo a fare nulla che non voglia fare. - Ho
capito, ho capito. Fidati di me. -
Non mi fido molto. Ferdinando
ghigna. Poi torna serio e dice: -
Denis, credo che lo prenderei volentieri con la forza, se si rifiutasse, ma è
un tuo schiavo e non farò niente che tu non voglia. - Va
bene, Ferdinando. Ti credo. Ferdinando
sorride. Gli sarebbe spiaciuto se l’amico fosse rimasto diffidente: nei
confronti di Denis la lealtà di Ferdinando è assoluta. -
Grazie. -
Allora, in bocca al lupo. -
Augurami in culo al nero, piuttosto. Ferdinando
ride e saluta Denis. Denis scuote la testa. Sa che Ferdinando difficilmente
tradirà la parola data, ma è perplesso sulla faccenda: Adham
è un guerriero ed è improbabile che accetti di darsi a Ferdinando. Il
conte ritorna da Adham e gli dice che ha parlato
con Denis e che partiranno nel primo pomeriggio. Poi dà ordine ai servitori
di consegnare a Adham ciò che serve per i
tre-quattro giorni di caccia sulle colline: coperte e mantelli, perché le
notti sono fredde, essendo ormai a fine novembre. Ferdinando si procura le
armi. Luc, il servitore di Raimondo di Ascalona,
è il più esperto tra gli uomini che organizzano le battute di caccia del
conte. Conosce molto bene tutta la regione e li guida verso una valle poco
popolata, dove la selvaggina è abbondante: è difficile avvistare leoni, ma
orsi, cinghiali e lupi non mancano di certo. Adham cavalca in silenzio. Trova strano che
il conte lo abbia voluto con sé per una partita di caccia, ma non dà alla
faccenda un’eccessiva importanza: considera la sua partecipazione alla caccia
del tutto irrilevante. Le sue preoccupazioni sono ben altre: la sua vita ha
subito una svolta decisiva; ciò che lo aspetta per ora è un mistero, ma con
il tempo avrà modo di scoprirlo. Arrivano
nel pomeriggio nella valle, dove ci sono due capanni che vengono usati quando
il conte di Ascalona va a caccia. Luc e Adham sistemano i capanni, in modo da potervi dormire la
notte, poi Luc accende il fuoco e tutti insieme
preparano una cena leggera. Dopo
cena il servitore si occupa di mettere tutto a posto. Adham
vorrebbe aiutarlo, ma Ferdinando gli dice di rimanere seduto vicino a lui,
davanti al fuoco. -
Porcoddio! Fa un bel freddo, qui. Adham non capisce la prima parola che
Ferdinando ha detto in siciliano, ma non se ne preoccupa. Non sempre i
singoli termini usati da Ferdinando gli sono chiari, perché il conte, quando
non conosce la parola araba, usa vocaboli siciliani e franchi e anche la
pronuncia e l’uso dei termini arabi non sono sempre corretti. Al nero basta
capire il significato della frase. - Eh
sì. Da noi in Egitto non fa mai freddo, ma qui siamo sulle montagne. -
Anche nella mia terra, la Sicilia, non fa mai molto freddo. Ma in cima a un
monte c’è la neve. Adham non sa che cosa sia la neve. Ne ha
sentito parlare, ma ha difficoltà ad immaginarsela. - Mi
piacerebbe vederla. -
Qualche volta sulle montagne a nord di dove abito ora scende la neve, ma non
capita spesso e non ce n’è mai molta. -
Magari avrò modo di vederla anch’io. - Se
vieni a trovarmi in inverno, prima o poi la vedrai. Adham non dice nulla: è uno schiavo, anche
se il suo padrone non tiene schiavi, e non avrà certo libertà di movimento.
Non potrà andare a trovare il conte. Però gli piacerebbe vedere la neve. E
quest’uomo gli sta simpatico. - Da
dove vieni, Adham? La
domanda sorprende il nero. -
Dall’Egitto, da Assuan. -
Dov’è Assuan? - A
sud, vicino alla prima cateratta del Nilo. Ferdinando
non capisce la parola. -
Che cos’è una cateratta? -
Come una piccola cascata. Non proprio una cascata, ma l’acqua scorre in
fretta, ci sono le rocce. Non puoi passarci in barca. - Ad
Assuan sono tutti neri come te? -
No, ci sono anche neri, ma i più sono egiziani, arabi. I neri sono di solito
schiavi. - I
tuoi genitori erano schiavi? Adham si chiede se spiegare o meno. Non gli
va di mentire, per cui dice la verità: -
Non lo so. Non so chi fossero i miei genitori. Fui trovato abbandonato vicino
al fiume. La donna che io chiamo madre mi trovò mentre andava a lavare i
panni. Mi portò a casa al marito e decisero di adottarmi. Loro due sono
egiziani. Fu mio padre a chiamarmi Adham, che vuol dire
nero. Ferdinando
annuisce. -
Non avevo mai visto un nero con gli occhi chiari. Adham ride: -
Neanch’io. Gli occhi chiari da noi sono rarissimi. E nessun nero li ha.
Qualcuno dice che sono un segno del demonio. Più volte mi hanno detto che
sono un figlio del diavolo, ma non perché ho gli occhi chiari. Ma per me è un
onore, perché lo dicono anche del mio padrone. - Il
tuo padrone? Ah, Denis?! -
Sì, da noi si dice che sia figlio del demonio. Tutti lo temono. - È
un grande guerriero, ma non è certo figlio del demonio: è tanto coraggioso,
quanto generoso. Mentre
Ferdinando e Adham chiacchierano, Luc si occupa dei cani e dei cavalli. Poi comunica che
sarebbe ora di coricarsi, perché per la caccia bisognerà alzarsi presto. Ferdinando
dice: - Adham, tu dormirai con me. Adham è un po’ stupito: il suo posto
dovrebbe essere nel capanno dove dorme l’altro servitore, dato che ormai è
uno schiavo. Ma l’ordine del padrone non si discute e Ferdinando in questo
momento sostituisce il duca. Il
capanno è piccolo: c’è un unico giaciglio su cui si stendono, avvolti da una
coperta. Ferdinando
è intenzionato a scambiare ancora qualche parola e poi mettersi a dormire:
non vuole rischiare di rovinare tutto per la fretta. Ma è un tormento avere
questo magnifico maschio a portata di mano, sentirne il respiro, il calore, e
non poterlo toccare. Perciò il conte, dopo una breve –e come sempre
infruttuosa- lotta contro il proprio desiderio, cede e dice: -
Porcoddio! Qui si gela. Vieni più vicino, che mi riscaldi un po’. Ora Adham ha un sospetto. Scivola di fianco a Ferdinando. La
sensazione di calore del corpo massiccio del conte è piacevole. Ferdinando
vuole farselo mettere in culo? Adham lo farebbe
volentieri: il conte è un gran maschio e un forte guerriero e gli piacerebbe
possederlo. Al pensiero il cazzo di Adham si tende:
sono alcuni giorni che non scopa e il desiderio si accende in fretta. Ma se
invece fosse Ferdinando a voler possedere lui? Quest’uomo è molto virile e Adham dubita che sia disponibile a offrirsi, anche se tra
gli arabi circola la voce che i signori franchi si facciano spesso inculare
dai loro schiavi: Adham sa benissimo che dicerie di
questo genere possono anche avere un fondamento, ma più spesso sono solo un
modo per svalutare il nemico. In ogni caso non accetterebbe di darsi a questo
maschio. Ferdinando
appoggia una mano sulla gamba di Adham, che non
dice nulla e non si muove, in attesa di vedere ciò che avverrà dopo. -
Vicini si sta meglio, no, Adham? Adham preferisce non sbilanciarsi: -
Sì. - Potresti
stenderti su di me, così mi terresti caldo. Adham rimane un attimo in silenzio,
perplesso, poi si muove e si stende su Ferdinando. Ora i loro corpi
aderiscono, petto contro petto, ventre contro ventre. I due cazzi, entrambi
tesi, sono affiancati. Ferdinando nel buio cerca con le mani il viso di Adham e lo accarezza, poi, preso da un impulso
improvviso, solleva la testa e bacia il nero. Ferdinando non bacia spesso, ma
questo guerriero lo affascina. Le loro labbra si incontrano, quelle di Adham si aprono e la lingua di Ferdinando si spinge
avanti, dentro la bocca del nero. È un
bacio lungo e appassionato, una sensazione nuova per il nero, che ha tante
volte baciato ragazzi, ma mai un guerriero come Ferdinando. Una
mano del conte si infila tra i loro corpi e attraverso la stoffa afferra il
cazzo di Adham. -
Porcoddio! Sei ben dotato anche tu! La
stretta della mano è piacevole. Ferdinando lascia la presa, manovra un po’ e
la sua destra si infila sotto i pantaloni di Adham.
La pelle ruvida della sua mano accarezza il ventre, stringe il cazzo, lo
lascia, scende ai coglioni e li stuzzica un po’. Per Adham
è una sensazione nuova: di solito è lui a dirigere i giochi del piacere, ma
non gli spiace che Ferdinando abbia preso l’iniziativa. Quando
però l’altra mano di Ferdinando scivola sul culo e le punte delle dita
accarezzano il solco, Adham si tende. Un dito preme
sull’apertura e il nero dice, forte: -
No! Ferdinando
è scocciato. In un’altra situazione cercherebbe di prendere Adham con la forza, ma è un uomo leale e si è impegnato
con Denis. A fatica reprime il suo desiderio. Toglie la mano, la fa scivolare
con una carezza sul culo e la porta accanto all’altra. Lo spazio di manovra
tra i due corpi è ridotto. Le mani di Ferdinando abbassano i pantaloni e si impadroniscono
dei due cazzi. Adham si solleva leggermente,
facendo pressione sulle mani, per lasciargli una maggiore libertà di manovra. Ferdinando
accarezza e stringe, muovendo ora la destra, ora la sinistra, tenendo i due
cazzi uniti e poi lasciandone uno per occuparsi dell’altro. Poi gioca un po’
con i coglioni e ritorna ai cazzi. Sente Adham
tendersi. Muove la mano con forza, finché il seme del nero gli si rovescia
sul ventre. Prosegue ancora, fino a quando è Adham
a dirgli: -
Basta! Ferdinando
lascia la preda e si afferra il cazzo. Muove la mano rapidamente finché non
viene anche lui. Poi passa le due mani sulla schiena di Adham
e lo fa appoggiare su di sé. È bello stare così, sentire i loro corpi
aderire, uniti dai loro semi mescolati. Adham non ha detto nulla. È stato molto
piacevole, anche se del tutto diverso da tutto quello che ha provato in
passato, da quello che ha sempre fatto.
Ferdinando
gli accarezza la testa. - Adham, perché non hai voluto? Il
nero non risponde. Il conte prosegue: -
Non l’hai mai preso in culo, vero? -
No. - E
in bocca? Ora Adham è irritato. -
Sono un guerriero, conte. Ferdinando
ride. -
Anch’io lo sono, Adham, ma non per questo rinuncio
a divertirmi. Adham vorrebbe sottrarsi alla stretta. Sta
bene tra queste braccia possenti, su questo corpo caldo e forte, ma si sente
a disagio. Cerca di liberarsi. Avvertendo i suoi sforzi, Ferdinando lascia la
presa. Adham si stende accanto a lui, ma lasciando
tra i loro corpi un po’ di spazio. Tutti e due si puliscono e si sistemano
gli abiti. Ferdinando
si dice che hanno fatto il primo passo. Poi ne faranno altri. Vuole gustare
il culo di Adham e lo farà, questo è certo. Al nero
non spiace dedicarsi ai piaceri del letto con un altro maschio: è già un
primo passo. Domani andranno oltre. Hanno ancora qualche giorno. -
Buona notte, Adham. -
Buona notte, conte. Ferdinando
si addormenta subito. Adham rimane sveglio: ha bisogno di
riflettere un momento. Si sente a disagio, confuso. Gli è piaciuto questo
abbraccio, ha goduto. Gli è piaciuto anche essere baciato. Questo maschio
forte lo attrae, ma ha capito benissimo le sue intenzioni e non ha nessuna
intenzione di farsi inculare o di succhiarglielo: è un maschio adulto, un
guerriero, non un ragazzo. Ferdinando ha detto che anche lui è un guerriero,
ma non rinuncia a divertirsi. Che cosa significa? Che ama farselo mettere in
culo? Che è disposto a fare di tutto? Adham è
chiamato al-Fassiq, ma quest’uomo, che ora sente russare al suo
fianco, sembra assai più impudico di lui. Adham
scuote la testa e si abbandona al sonno. Nel
cuore della notte i latrati dei cani e i nitriti dei cavalli li svegliano.
Ferdinando e Adham si alzano di scatto, afferrano
le lance e in un attimo sono fuori. Anche Luc è
uscito. I cavalli sembrano impazziti di terrore: nitriscono e scalciano,
cercando di liberarsi delle briglie che li tengono legati agli alberi. I cani
ringhiano e abbaiano lanciandosi in avanti, poi arretrano e a tratti
guaiscono. La
luna è alta in cielo e i tre uomini possono vedere la grande ombra contro cui
i cani abbaiano selvaggiamente. L’ombra si avvicina, forzando gli animali ad
arretrare. -
Porcoddio! Un orso. Viene lui a cercare noi, questo cazzone. Ferdinando
l’ha detto nella sua lingua. Adham non capisce, ma
è del tutto irrilevante: ciò che bisogna fare è chiaro. I tre uomini si
preparano a colpire con la lancia. L’orso
si ferma. Ha avvertito la presenza dei tre uomini, che lo disturba. Arretra
un po’. Poi si allontana velocemente verso il bosco. Ferdinando fa per
sollevare la lancia e scagliarla, ma il servitore lo ferma. -
No, conte. Con il buio, tra gli alberi, rischiate di ferirlo senza ucciderlo.
Un orso ferito sarebbe un pericolo per chi abita in queste valli. Domani, se
volete, ci metteremo alla sua ricerca. - Va
bene. Diamo a quel bastardo una notte di vita. Il
servitore alza gli occhi al cielo, osservando la posizione delle stelle. -
Diciamo qualche ora. Sì, abbiamo ancora qualche ora di sonno. Tornano
a coricarsi. È
ancora buio pesto quando il servitore li sveglia. - La
colazione è pronta. Tra poco sarà ora di partire. Ferdinando
e Adham sono abituati alle fatiche della guerra e
della caccia. Ferdinando bestemmia, ma si alza subito e in breve sono pronti.
I
cani seguono le tracce dell’orso, ma l’animale sembra essersi allontanato molto,
lasciando la valle. Dopo che hanno percorso parecchie miglia, Luc dice: -
Conte, è inutile proseguire. Con ogni probabilità l’orso è ormai molto
lontano: quando si mettono in marcia, possono andare avanti per giorni. Ci
sono altre prede nella valle. Inseguendo questa, rischiamo di sprecare la
giornata e ritornare senza aver preso nulla. A Ferdinando spiace rinunciare alla caccia all’orso, ma non ha senso abbandonare la vallata, dove ci sono molte prede, per altre aree meno ricche di selvaggina, senza nessuna certezza di poter raggiungere l’orso. Ritornano
indietro e si rimettono alla caccia. I cani seguono altre tracce, che però si
perdono o portano in luoghi dove è impossibile procedere: la caccia del
mattino si rivela infruttuosa. Nel
pomeriggio avvistano un branco di cinghiali, animali che Ferdinando ha spesso
occasione di cacciare: sono la preda più frequente, perché sono piuttosto
comuni. Al conte piace affrontare questi animali pericolosi, assai più che
abbattere cervi o piccole prede: nella caccia apprezza il rischio, la sfida.
In mancanza di orsi o leoni, anche i cinghiali vanno bene. Ferdinando
ordina al servitore di richiamare i cani e fermarsi: non vuole intralci, ora
che gli animali sono stati stanati e si tratta solo di colpirli. Ferdinando
e Adham inseguono gli animali, che si sparpagliano
nel bosco. Ferdinando punta un maschio, che si infila dove la vegetazione è
più fitta. Ferdinando gira intorno alla macchia, ma il cinghiale rimane
nascosto. Allora Ferdinando scende da cavallo e, impugnando la lancia, si
inoltra tra i cespugli. Adham giudica l’azione
piuttosto arrischiata, ma accompagna il conte: è al suo servizio e deve
assisterlo. Il
cinghiale, disturbato dall’avanzare dei due uomini, arretra e infine si getta
di corsa fuori dalla macchia. Ferdinando scaglia la lancia, colpendo
l’animale, che si abbatte al suolo con un grugnito. Ferdinando
corre verso la preda abbattuta. Il cinghiale si agita, grugnendo
disperatamente. È disteso al suolo e non riesce a rialzarsi, ma muove la testa
per cercare di ferire con le zanne l’uomo che gli gira intorno. Ferdinando si
muove rapido. Salta addosso all’animale e prima che questi riesca a colpirlo,
gli immerge il pugnale nella gola. Il sangue schizza abbondante, il cinghiale
si agita ancora, ma Ferdinando lo tiene stretto, fino a che l’animale non si
affloscia, privo di vita. Adham si dice che il conte è pazzo, ad
affrontare un cinghiale in questo modo, ma la temerarietà di Ferdinando lo
affascina: quest’uomo ha i coglioni. Ferdinando
si alza, lordo di sangue, il grosso cazzo rigido gli tende i pantaloni: come
spesso gli succede, la caccia e il corpo a corpo con l’animale lo hanno
eccitato. Fa tre passi verso Adham, sorridente,
guardando il bel nero con cui ora si dedicherebbe volentieri a un’altra
attività. In quel momento un secondo cinghiale emerge dalla macchia, lanciato
in corsa contro Ferdinando. Il coltello e la lancia del conte sono ancora
conficcati nel corpo della preda abbattuta: Ferdinando non ha armi ed è del
tutto indifeso. Vede il cinghiale ormai vicinissimo e si dice che è finita.
Ma poco prima che il cinghiale lo prenda in pieno, la lancia di Adham trapassa l’animale, frenandone la corsa. Il
cinghiale cade e si rialza, ma Adham gli è addosso
e gli immerge il coltello nella gola. Tiene l’animale fermo durante la breve
agonia, poi, quando lo sente inerte, si rialza. Ferdinando
e Adham sono tutti e due lordi di sangue. -
Porcoddio, Adham! Mi hai salvato la pelle. Adham si limita a dire: -
Non è prudente rimanere senz’armi. - Lo
so, mi sono distratto perché c’eri tu. Ferdinando
fa due passi verso il nero. Ora è vicinissimo. -
Adesso siamo tutti e due senz’armi. O forse dovrei dire che siamo tutti e due
armati. E
con un gesto Ferdinando indica il rigonfio dei pantaloni. Poi poggia la mano
sulla stoffa dei pantaloni del nero e stringe, afferrandogli il cazzo. Adham sussulta. Il desiderio lo prende, una stretta non
meno forte di quella della mano di Ferdinando. Ma una parte di lui si ritrae.
Adham non vuole cedere, non accetta l’idea di farsi
penetrare. Ferdinando
avvicina la bocca a quella di Adham, che per un
momento cerca di sottrarsi, poi di colpo cede. Si scambiano un lungo bacio
appassionato. Ferdinando incomincia a spogliare Adham,
con le mani sporche di sangue. Adham lo lascia fare,
poi a sua volta toglie gli abiti a Ferdinando. Il
conte sorride. Nei suoi occhi c’è una domanda, ma Adham
scuote la testa, in un cenno di diniego. Ferdinando bacia ancora Adham, poi si inginocchia davanti a lui. Guarda il
magnifico cazzo nero, teso verso l’alto. Avvicina la faccia. Sente l’odore,
intenso, di piscio e sborro. Un odore che gli piace. Pochi sono gli uomini a
cui ha succhiato il cazzo, ma adesso un altro si aggiungerà alla breve lista.
È la prima volta che il cazzo a cui accosta le labbra è nero. Ed è una
variazione che al conte non spiace per niente. Ferdinando
passa la lingua dai coglioni alla cappella, due volte. Poi apre la bocca e
avvolge la parte superiore del cazzo. Ha un gusto forte, com’era forte
l’odore, e Ferdinando lo apprezza. Le sue mani stringono il culo di Adham, mentre le sue labbra e la sua lingua lavorano la
cappella. Intanto le dita scivolano sul culo, arrivano al solco, lo
accarezzano, premono contro l’apertura. Adham non reagisce: le sensazioni che gli
trasmette la bocca di Ferdinando sono troppo forti. La sua testa registra che
Ferdinando gli sta infilando un dito in culo, ma è qualche cosa che adesso
non ha importanza. Gli sembra che il mondo attorno scompaia e che esista solo
questa bocca che si è impadronita del suo cazzo. Ferdinando
succhia e lecca, le sue mani stringono il culo e accarezzano l’apertura. Adham si rende conto di essere sul punto di
venire. Avvisa Ferdinando: -
Sto per venire. Ferdinando
prosegue con la sua opera e quando il fiotto gli inonda la bocca, inghiotte.
Solo di Baahir, l’unico uomo che ha davvero amato,
ha ingoiato il seme. Ma questo bel nero vigoroso risveglia in lui sensazioni
molto forti e ha voglia di gustarne lo sborro. Poco gli importa di quello che
Adham può pensare: è il desiderio a guidarlo e a
lui Ferdinando si affida. Adham ha chiuso gli occhi, sopraffatto dal
piacere. Ferdinando
si alza. Gli sorride. Adham guarda il cazzo del
conte. Ne contempla sbigottito le dimensioni. La sua destra scivola, senza
che quasi lui se ne renda conto, ai coglioni e li afferra. Sono grandi, duri. Ferdinando
muove un po’ il medio che tiene nel culo di Adham.
È un errore, perché il nero se ne rende conto e arretra, forzando il conte a
togliere il dito. Ferdinando
ghigna. -
Intenderai mica lasciarmi così, con il cazzo duro? Adham scuote la testa. Si volta e si china
per raccogliere i suoi abiti. Ferdinando gli è addosso, lo getta a terra.
Lottano, avvinghiati, e il contatto dei corpi esaspera il desiderio di
Ferdinando e riaccende quello di Adham. Ferdinando
è sopra al nero. Lo ha preso di sorpresa e ora lo schiaccia contro il suolo. -
Porcoddio. Adesso io… Ferdinando
si blocca. Ricorda la promessa a Denis. In questo momento il desiderio è
violento e nessun’altra promessa potrebbe bloccarlo, ma venir meno alla
parola data a Denis, no, questo non può essere. Ferdinando lascia la preda.
Si alza, rabbioso. Raccoglie i suoi vestiti e se li rimette. Il cazzo è
ancora duro e teso, ma Ferdinando lo fa scomparire nei pantaloni senza
badarci. Recupera la lancia e il coltello, senza dire una parola, e si dirige
verso il luogo dove ha lasciato Luc. Gli comunica
che hanno abbattuto due cinghiali e che può recuperare una carcassa per la
cena. Poi sale a cavallo e si allontana. È furente con se stesso, per non
essere riuscito a controllarsi, e con Adham, che in
qualche modo giudica responsabile di tutto. Ferdinando
cavalca per la valle. Raggiunge un ruscello che scende con una cascatella
dalle rocce soprastanti e forma una piccola pozza d’acqua. Si spoglia
completamente e si lava. L’acqua è fredda, ma Ferdinando non ci bada. Gli
abiti sono lordi di sangue. Ferdinando pulisce un po’ dove può, ma non è il
caso di lavarli: adesso c’è ancora il sole, ma non farebbero in tempo ad
asciugare e la notte la temperatura scende troppo per dormire nel capanno con
gli abiti bagnati o senza abiti. Ferdinando
rimane nudo, appoggiato a una pietra, accanto all’acqua che scorre. Si gode
il calore del sole sulla pelle. Con la destra si accarezza il cazzo, che
riacquista in fretta volume e consistenza. Pensa al magnifico nero, che ha
potuto vedere nudo per la prima volta. Pensa al gusto del suo cazzo, al
calore, agli odori, alla consistenza. Pensa al culo che il suo dito ha
stuzzicato. Mormora: -
Denis, Denis, in che cazzo di situazione mi hai cacciato! A farmi le seghe
come un ragazzino! La
mano di Ferdinando si muove decisa e presto il seme sgorga. Ferdinando
bestemmia e si assopisce. Il
servitore sta preparando la cena, con l’aiuto di Adham. -
Quando arriva il padrone? -
Non lo so. -
Forse è meglio che tu vada a cercarlo. - Va
bene. Adham sale a cavallo e incomincia a girare
per la valle, senza nessun risultato. È sul punto di rinunciare, pensando che
magari il conte è già tornato al capanno, quando scorge in lontananza il
cavallo, che bruca l’erba vicino al torrente. Si dirige verso il corso
d’acqua e scorge Ferdinando. Il
conte dorme, nudo, disteso sull’erba. Ha il pugnale e la lancia vicino, ma è
comunque una bella imprudenza addormentarsi in un luogo in cui ci sono leoni
ed orsi. Il cavallo nitrirebbe all’arrivo di qualche animale feroce, ma ci
sono anche serpenti. Adam
scende da cavallo e si avvicina a Ferdinando. Ne guarda il corpo. Un uomo
forte, un vero Ercole, massiccio e muscoloso. Un vello scuro copre le braccia
e le gambe, il torace e il ventre, dove diviene più fitto. Il cazzo è grosso,
non circonciso, una vena corre di lato. Adham non
ha mai visto un cazzo di queste dimensioni: a riposo è grande come il cazzo
di un giovane in erezione. Anche i coglioni sono voluminosi: Iddio ha dato a
questo maschio un’attrezzatura formidabile. Sulle braccia, al petto, sulle
gambe si vedono tracce di ferite, a volte segni leggeri, in tre casi
cicatrici profonde. Quest’uomo non ha paura di combattere altri uomini come
non ha paura di affrontare un cinghiale o un orso. Quest’uomo non ha paura
dei propri desideri. È un porco immondo. Adham si
dice che disprezza questo cristiano steso tranquillo nella sua nudità, ma si
rende conto che il cazzo gli si sta irrigidendo, anche se è venuto nella
notte e poi poche ora fa. Questo fottuto maiale lo attira, con una forza che
gli fa paura. Adham pensa di svegliarlo per dirgli che è
ora di raggiungere i capanni e cenare, ma è bello guardarlo dormire, il
torace che si alza e si abbassa in un sonno regolare; è bello sentirlo
russare, un suono a tratti lieve, poco più che un respiro pesante, a tratti
più forte, quasi il brontolio di un tuono. Adham non si muove. Non distoglie lo sguardo
da lui. Pensa a qualche ora fa, alla sensazione del corpo del conte che lo schiacciava
al suolo, al momento in cui ha temuto di essere violentato. Ha cercato di
difendersi, ma adesso… Adham ha uno scatto. Parla,
quasi grida: -
Conte! Ferdinando
si sveglia di colpo. Vede Adham, gli sorride e gli
tende la mano, per attirarlo a sé. Ma Adham non si
avvicina e comunica: - Luc mi ha mandato a cercarti. È ora di cenare. Ferdinando
guarda il cielo. Il sole sta già calando. Ha dormito qualche ora, ma non è
strano: il sonno notturno è stato interrotto dall’orso e in mattinata si sono
svegliati molto presto. Ferdinando
guarda Adham, che già si dirige al cavallo. Scuote
la testa. Dice: -
Merda! Si
riveste e risale a cavallo. Adham si avvia.
Ferdinando lo segue. Non cerca di avvicinarsi, di parlare con lui. Vuole
riflettere sul da farsi. Raggiungono i capanni, dove il servitore ha
preparato uno dei due cinghiali. L’animale è stato scuoiato e gli sono state
tolte le interiora. Adesso è infilzato su uno spiedo e cuoce sul fuoco. -
Signor conte, è tutto pronto. Ferdinando
guarda lo schidione che ha trapassato l’animale, poi guarda Adham. Pensa che prima o poi farà assaggiare al nero il
proprio spiedo. Lo vuole trafiggere come questo cinghiale. Forse non proprio
così… Ride, forte. Si
siedono e mangiano. La carne è buona e Ferdinando è affamato: mangia
volentieri. Ogni tanto guarda verso Adham, ma il
nero non alza mai gli occhi su di lui. Sembra voler evitare di incrociare il
suo sguardo. Forse è immerso nei suoi pensieri. Quali sono i suoi pensieri?
Ferdinando vorrebbe saperlo. In qualche modo deve scusarsi con il nero. Dopo
che hanno cenato, Adham aiuta il servitore a
sistemare tutto, fino a che Ferdinando interviene e lo chiama: -
Vieni a sederti qui, Adham. Adham obbedisce. Si mette davanti al fuoco,
accanto al conte. Ferdinando
butta lì: -
Grazie per avermi salvato oggi. Mi spiace se ho perso il controllo, a un
certo punto. Non succederà più. Ferdinando
spera che non succeda più perché il nero gli darà il culo senza che lui debba
prenderselo con la forza, ma sa benissimo che potrebbe non essere così. Adham è contento delle scuse e dell’impegno
del conte. Si sente meno a disagio, ora. Ferdinando
chiede: -
Parlami di te. Come mai hai deciso di diventare guerriero? -
Mio padre era soldato e mi insegnò lui il mestiere delle armi. Mi distinsi in
alcune azioni in battaglia, contro le tribù del deserto, ma sono un nero, per
cui non mi presero nell’esercito. Con alcuni uomini valorosi formai una
piccola compagnia e in guerra ci univamo all’esercito, sperando di ottenere
un bottino. -
Eravate davvero valorosi. Siete stati gli unici a tenerci testa, l’altro
giorno. -
Già, ma il duca ha sconfitto anche noi. Quando mi avevano parlato di lui, mi
sembrava che esagerassero. A un amico ho detto che mi sarebbe piaciuto
misurarmi con lui. Sono stato accontentato e posso dire che mi è andata bene
a essere uscito vivo. Ferdinando
ridacchia. -
Meno male che non ti ha ucciso. Mi sarebbe spiaciuto non poterti conoscere. Adham pensa che la frase del conte è
assurda, ma non dice niente. Ferdinando chiede: - Il
duca ti ha detto che cosa intende fare di te? È
una domanda fasulla: Denis stesso ha detto a Ferdinando che non sa bene che
fare di Adham. -
No, non ha ancora deciso. -
Vorrei che ti regalasse a me. Ci potremmo divertire. Adham non dice niente. Ferdinando lo attrae,
ma Adham non vorrebbe essere il suo schiavo. Al
momento di coricarsi, Ferdinando dice: -
Dormi con me. Adham non dice nulla. Entrano nel capanno e Adham si stende di fianco a Ferdinando, ma senza che i
loro corpi si tocchino. C’è un lungo momento di silenzio. Ferdinando si dice
che dovrebbe mettersi a dormire e chiudere così la giornata, ma questo
magnifico nero gli incendia il corpo e il conte non è uomo da tenere a bada i
propri desideri. -
Adesso ci divertiamo un po’. Che ne dici? E
mentre pone la domanda, Ferdinando allunga la mano e la poggia sul cazzo di Adham. Attraverso la stoffa dei pantaloni lo sente grande
e rigido. -
Porcoddio! Sei già pronto. Adham vorrebbe sottrarsi, ma il suo corpo
rifiuta di obbedirgli e la sua bocca si apre senza riuscire a pronunciare
parole. Ferdinando
si stende su di lui: sono nella stessa posizione della sera prima, solo che
si sono scambiati i posti, Ferdinando è sopra e Adham
sotto. Adham sente su di sé il peso di questo corpo
che lo schiaccia. Le sue mani cercano la faccia di Ferdinando, le loro bocche
si uniscono, le loro lingue giocano. Ferdinando
afferra la destra di Adham e la guida a infilarsi
nei suoi pantaloni, fino a toccare il cazzo. Adham
lo afferra. Lo sente grosso, caldo, duro. Le sue dita giocano con la preda.
Una mano di Ferdinando gli afferra il cazzo. Adham
sussulta. Gli piace sentire il peso di questo corpo che lo schiaccia, gli
piace la stretta vigorosa della mano che stringe il suo uccello, gli piace
giocherellare con questo grosso cazzo, rigido e caldo. Procedono a lungo,
finché Adham sente la tensione esplodere e anche il
seme di Ferdinando si sparge. Ferdinando
bacia il nero, poi dice, in siciliano: -
Prima o poi te lo metto in culo, Adham. -
Non capisco. Ferdinando
ride. - Ti
è piaciuto, Adham. Sei un porco, come me. Adham chiude gli occhi. Sarebbe ridicolo
negare. Gli è piaciuto. E in effetti anche lui è un porco, anche se in questo
Ferdinando lo batte, di parecchie lunghezze. Ferdinando
torna a distendersi a fianco di Adham, a contatto
con lui. Si addormenta di nuovo in fretta. Nuovamente Adham
rimane sveglio per un po’. È turbato. Questo corpo accanto al suo gli
trasmette sensazioni forti. Adham scopa volentieri
con lui, ma non ha nessun intenzione di cedere ai desideri del conte. Ci sono
però momenti in cui si chiede se davvero il suo rifiuto ha senso. Ferdinando,
che è un guerriero valoroso, un uomo forte e ha qualche anno in più di lui,
glielo ha succhiato. Sarebbe davvero così umiliante succhiargli il cazzo? Adham non lo ha mai fatto, lo ha sempre considerato una
forma di sottomissione, ma Ferdinando non lo vede così. Chissà che gusto ha
questo cazzo chiaro, non circonciso… La
partita di caccia dovrebbe durare tre o quattro giorni. Adham
spera che non ci siano altre notti. Domani sarà il terzo giorno. Se
tornassero in serata ad Ashqelon… È
ancora buio quando il servitore viene a chiamarli. Adham
si alza subito ed esce: non vuole rimanere un minuto più del necessario
accanto a Ferdinando nella capanna. Le
prime ore sono infruttuose, poi però i cani stanano un lupo, che si allontana
in fretta. I cani lo inseguono, ma i cavalieri non riescono a star loro dietro,
perché il lupo si addentra dove la foresta è più fitta e i cavalli non
possono procedere. Allora
i tre smontano e provano a procedere a piedi, ma i cani si allontanano sempre
di più e a un certo punto non si sente più il loro abbaiare. Ferdinando rinuncia
a proseguire. Il
servitore richiama i cani, che però non rispondono: sono ormai troppo lontano
per sentire i suoi richiami. Luc li chiama a lungo,
invano. Solo
in tarda mattinata i due animali ritornano. - Merda!
Anche questa mattina niente. Pazienza. -
Adesso conviene ritornare, signor conte. Preparo da mangiare. Poi, se vuole,
nel pomeriggio possiamo spingerci verso quel bosco, dove a volte si trovano
orsi. Ferdinando
ha perso buona parte dell’interesse che aveva per la caccia a orsi, leoni,
lupi e cinghiali. Gli interessa un altro animale. Si limita a rispondere. -
Vedremo. Raggiungono
i capanni, dove Luc prepara da mangiare. Al
termine del pasto, Luc chiede: -
Allora, il signor conte vuole cacciare nel pomeriggio? -
No, Adham e io andiamo a darci una lavata al
ruscello. Adham si tende. Ha capito che cosa intende
fare il conte. Non si fida di Ferdinando e meno ancora di se stesso: il suo
corpo reagisce con troppa intensità e Adham ha
paura di non riuscire più a controllarsi. -
Vieni, Adham. Raggiungono
i cavalli e si dirigono al torrente. Il
torrente non è lontano. Legano i cavalli, mettono le lance sulla riva, poi
Ferdinando si spoglia. Adham lo guarda. Il cazzo
del conte è già mezzo teso. Quello di Adham si sta
tendendo. Il nero vorrebbe tornare indietro, ma non può farlo. Ferdinando
sorride e dice: -
Spogliati anche tu. Non sei mica tanto pulito. Hai bisogno di lavarti. È
verissimo, Adham lo sa, ma sa anche che non si
tratta solo di un bagno. Dovrebbe andarsene, ma è al servizio del conte. A
mandarlo in bestia è il fatto che gli riesce difficile far capire al suo
cazzo che dovrebbe almeno chinare la testa. Più che difficile, impossibile.
Perché guardando il corpo vigoroso del conte, il cazzo si è ormai messo
sull’attenti. Come quello di Ferdinando. -
Allora, Adham, in culo non lo vuoi prendere. Almeno
però potresti succhiarmelo. Adham guarda Ferdinando in faccia, poi fissa
il cazzo che si protende verso l’alto. Adham non ha
mai succhiato un cazzo, ma si rende conto che in questo momento lo desidera,
che questo fottuto maiale che ha davanti gli piace come non gli era mai
successo, che il suo corpo lo sta tradendo. Dice, quasi gridando: -
Dovrei ammazzarti, porco. Le
parole gli sono sfuggite di bocca. Adham prova
vergogna: è uno schiavo e non può rivolgersi in questo modo all’uomo a cui
l’ha affidato il suo padrone. Ferdinando
guarda Adham. Scuote la testa. Poi
si china e prende il pugnale. -
Prendi il coltello, Adham. Adham lo guarda, senza capire. -
Prendi il coltello, ti ho detto! È un ordine. Il
tono di Ferdinando è duro, ostile. Adham raccoglie
il coltello. Ferdinando annuisce e prosegue: -
Vuoi ammazzarmi? E allora facciamo la lotta. Se mi batti, puoi sbudellarmi.
Se però vinco io… fai quello che voglio. Adham guarda Ferdinando. Non può ucciderlo.
Che cosa direbbe il duca? Eppure gli piacerebbe piantargli il coltello nel
ventre, fino all’impugnatura. Gli piacerebbe afferrargli il cazzo e i
coglioni e tagliarglieli. Gli piacerebbe… Adham lascia cadere il pugnale. Ma
Ferdinando non demorde. Sa che sta facendo una cazzata, ma il desiderio è
troppo forte e vuole in qualche modo uscire dal vicolo cieco in cui si è
cacciato. Anche a costo di finire ammazzato. -
Non ce li hai, i coglioni? Adham digrigna i denti. È esasperato. -
Non posso uccidere l’uomo a cui mi ha affidato il mio padrone. Lo capisci
questo, porco fottuto? Le
ultime parole di Adham vorrebbero essere un
insulto, ma Ferdinando ride. -
Allora facciamo la lotta, Adham, senza coltello.
Chi vince incula l’altro. -
No. -
Hai paura di perdere? Adham non risponde. Ferdinando è esasperato. -
Sei un vigliacco, Adham. Adham raccoglie il pugnale, guarda
Ferdinando con odio e si scaglia contro di lui. Ferdinando ghigna e si mette
in posizione difensiva, un po’ piegato, per offrire una superficie minore al
coltello. Adham si ferma a due passi di distanza.
Si fronteggiano, senza attaccare. Adham ha reagito
d’impulso all’offesa, ma si rende conto che non può uccidere il conte: perché
è l’uomo a cui l’ha affidato il duca e perché ciò che prova per lui è qualche
cosa di complesso, che Adham non vuole cercare di
capire. E Ferdinando è conscio che non potrebbe uccidere quest’uomo, che lo
attrae in modo feroce. È stato una testa di cazzo a provocarlo. Forse è
davvero meglio che Adham lo colpisca e la faccia
finita. È assurdo, tutto assurdo. Ferdinando si drizza e getta a terra
l’arma. Avanza verso Adham, pronto a ricevere la
coltellata. Ma qualche cosa gli dice che Adham non
vibrerà il fendente. Ferdinando
prende tra le mani la testa di Adham e lo bacia,
due volte. La seconda la sua lingua entra a fondo nella bocca di Adham. Quando si stacca, Adham
dice: -
Dovrei ammazzarti. Ma
non c’è rabbia nella voce. -
Fallo, se vuoi, Adham. Hai il coltello. Puoi
infilarmelo in pancia, fino all’impugnatura. È questo che vuoi? Fallo.
Colpisci. Il
coltello scivola a terra. Ferdinando preme sulle spalle di Adham, che resiste un momento, ma poi cede. Ora è in
ginocchio davanti al conte, il grande cazzo davanti al viso. Ferdinando gli
accarezza la testa. Adham cerca di sottrarsi, muove
il capo. Ferdinando lo spinge a terra e si stende sopra di lui, girandosi, in
modo da essere rivolto nella direzione opposta, la testa all’altezza del
cazzo del nero, il suo cazzo davanti alla bocca di Adham.
Non si appoggia sul corpo, ma rimane un po’ sollevato sui gomiti. Apre la
bocca e accoglie la cappella di Adham, la succhia un po’, poi la lascia, accarezza il
cazzo con le dita, stringe un po’ i coglioni e accoglie nuovamente tra le
labbra il boccone succulento. Adham lo lascia fare, guardando il grosso
cazzo che incombe su di lui. Ne sente l’odore intenso, di sudore, piscio,
sborro. Lo fissa, sgomento, poi di colpo cede: apre la bocca e inghiotte la
cappella violacea. Ne sente la consistenza, il calore. L’avvolge con le
labbra, la succhia. Non si chiede che cosa sta facendo. Si lascia guidare dal
desiderio. Sta succhiando un cazzo, per la prima volta della sua vita, mentre
Ferdinando sta facendo la stessa cosa con lui. Sono due guerrieri, forti e
coraggiosi. E hanno entrambi voglia di fare ciò che stanno facendo. E allora
ogni remora è assurda. Adham stringe il culo di
Ferdinando tra le mani, poi accarezza i grossi coglioni pelosi, poi torna a
stringere il culo. Sente che il desiderio sta per debordare. Non avvisa
Ferdinando: lascia che il suo seme schizzi e riempia la bocca del conte, che
inghiotte. Ferdinando non lascia subito la presa. Succhia ancora un po’, ma
ormai il contatto è intollerabile. Adham dice: -
Basta Ferdinando
toglie le labbra. Adham continua a lavorare con la
lingua, finché il seme non si riversa nella sua bocca. Per la prima volta
beve il seme di un uomo. Ne sente il gusto, che non conosceva. Ferdinando
si sposta e si stende di fianco a lui. Gli prende una mano e gliela stringe. -
Porcoddio, Adham, mi hai fatto penare. Adham tace un momento, poi risponde: -
Sei un porco fottuto, Ferdinando. È la
prima volta che dice il suo nome. Lo pronuncia in modo strano, che fa ridere
Ferdinando. - Sì,
sono un porco, è vero. Fottuto poche volte, ma disponibile a essere fottuto
ancora. Anche tu sei un porco e prima o poi sarai un porco fottuto. Adham ride. -
Anch’io sono un porco, è vero, me l’hanno detto spesso. E chi me l’ha detto
non mentiva. Sono più porco di quanto pensassero gli altri. Più di quanto
pensassi anch’io. Ma non ti sarà facile ottenere ciò che vuoi. -
No, lo so. Ti consideri una verginella che deve fare attenzione a non dare
via il suo prezioso bene. Adham ride. -
Forse. Poi
aggiunge: -
Non dovevamo lavarci? - Lo
facciamo dopo. Adesso si sta così bene al sole. In
effetti al sole si sta bene. La notte la temperatura scende molto, ma adesso
si può rimanere nudi sull’erba. Dopo
un momento Ferdinando dice: -
Adesso dovrei pisciare, ma non ho voglia di alzarmi. Adham gira la testa dalla sua parte,
perplesso. - E
allora? - Se
tu fossi un po’ più gentile… Adham non capisce. Scuote la testa. -
Che cosa dici? -
Non hai mai bevuto il piscio di un uomo, Adham? Adham è stupefatto. -
No, certo. - No,
certo! Porcoddio! Voi saraceni non sapete proprio divertirvi. Pazienza. Ferdinando
si alza, ghignando, e piscia contro un albero, guardando Adham
e sorridendogli. -
Non ne hai proprio voglia? A tanti piace! Adham guarda il getto che scende. Bere il
piscio? Che razza di idea! - Ma
tu hai bevuto il piscio di un uomo? Ferdinando
annuisce. Il sorriso scompare dal suo viso. Torna a stendersi accanto a Adham. Guarda in alto. - Ho
bevuto il piscio di un unico uomo, l’unico che ho amato, quindici anni fa.
Quando ami davvero, ti viene voglia... ma che cazzo lo racconto a fare, a te? Ferdinando
non prosegue. Di certo al nero non importa nulla di ciò che potrebbe
raccontargli. Adham è invece curioso di sapere di più: è
rimasto sorpreso da una confidenza che non si aspettava. -
Chi era? Ferdinando
tace un momento, ma ricordi sepolti da tempo riemergono e premono per uscire.
L’immagine di Baahir appare davanti a lui. Quando
lo catturarono, quando lo fustigava, quando lottavano, quando si amavano
nella cella. L’ultimo ricordo di Baahir, nella
gabbia dove lo tenevano prima del supplizio. -
Era un brigante. Si chiamava Baahir. Un brigante
che Denis catturò e che io violentai nella cella. Lo violentai, lo frustai,
lottai con lui. Mi scoprii innamorato. Hai mai amato, Adham? Adham è frastornato. Il tono di voce di
Ferdinando è del tutto cambiato. -
Davvero amato? No. Non è… ci sono ragazzi che mi sono piaciuti, anche molto,
ma… non so che dirti, combattevo, cercavo di guadagnarmi da vivere, a tanti
piacevo e scopavo quando volevo, non ho mai avuto tempo per l’amore. -
Neanch’io avevo tempo per l’amore. Non me ne fotteva un cazzo, dell’amore,
roba da canzoni, quelle che canta un menestrello a un banchetto. Roba da
femmine che abbassano gli occhi quando un cavaliere sussurra qualche parola
dolce. Roba buona per storie, il cavaliere e la sua dama e altre cazzate. Io
scopavo e combattevo e non avevo bisogno d’altro, non me ne fotteva un cazzo
dell’amore, non era mica roba per me. Avevo ventidue anni. Pensavo di sapere
tutto. C’è
una lunga pausa. Poi Ferdinando riprende: - Lo
presi, lo violentai, come avevo fatto con gli altri. Ma lui mi trasmetteva
altre sensazioni. Mi scoprii innamorato. Lui era un maschio, davvero. Ma non
era solo quello. Lasciai che mi prendesse. -
Che ne è di lui? Non siete più insieme, vero? Ferdinando
sente una fitta e si stupisce di come quei ricordi lontani possano ancora
fare male. -
Era un prigioniero, destinato a essere giustiziato. Volevo farlo scappare, ma
Denis me lo impedì. Ci amammo per poco tempo, sempre nella sua cella. Poi lo
portammo ad Antiochia, per farlo giustiziare. Morì là. Ferdinando
chiude gli occhi. Non sa perché ha raccontato questa vecchia storia a Adham. Il più grande dolore della sua vita, una sofferenza
che si è portato dietro a lungo e di cui ancora oggi rimane una traccia.
Perché parlarne a questo nero, a cui di certo non fotte un cazzo di Baahir e di lui? Vagamente Ferdinando intuisce la
risposta, anche se non saprebbe dare una forma precisa alle sue sensazioni o
forse soltanto preferisce non farlo. Ferdinando
si alza. - Mi
do una lavata. Entra
in acqua. Non rimane a lungo: l’acqua è fredda e la pozza non è abbastanza
grande per potervi nuotare. Ferdinando si lava e poi si stende al sole. Adham ha guardato Ferdinando lavarsi, senza
muoversi. Quando il conte si stende accanto a lui, Adham
si alza e si lava, a fondo. Poi torna a mettersi accanto a Ferdinando. Non
hanno più detto nulla. Adham non sa che cosa dire.
Non ha mai pensato davvero all’amore. Come per Ferdinando, l’amore per lui è
quello delle storie: una bellissima principessa che viene rapita da un jinn
malvagio e salvata da un principe coraggioso, che poi la sposa; il giovane
innamorato che langue e si strugge per conquistare la sua bella; e così via.
Per uno a cui non interessano le donne, sono tutte storie che si ascoltano
volentieri, ma che poco hanno a che fare con la vita quotidiana. Per Adham ci sono l’amicizia, la lealtà, il desiderio. Forse
qualcuno dei ragazzi che ha avuto era un po’ innamorato di lui, ma Adham di certo non lo era: stava bene con tutti loro,
scopava volentieri, ma l’amore… che c’entra l’amore con una buona scopata,
con un bel culo che ti si offre, con una bocca che ti succhia il cazzo? Ferdinando
si dice che è stato stupido a raccontare. Chiude gli occhi. I pensieri vanno
ancora ai giorni lontani del suo amore, poi Ferdinando scivola nel sonno. Adham rimane in silenzio, ma non si
addormenta. Nella sua testa vagano pensieri che non riescono a prendere
forma. Ha succhiato il cazzo di un uomo. Questo maschio che ha di fianco gli
piace. Ferdinando vuole metterglielo in culo. Nessun uomo l’ha mai fatto. Adham guarda il cazzo del conte. Non dev’essere facile
reggere una simile mazza in culo. Ferdinando
è un porco, che ha bevuto il piscio di un uomo e vorrebbe fargli bere il suo.
Adham è confuso. Ciò che ora lo inquieta non
è tanto ciò che Ferdinando gli propone. In fondo è sempre stato curioso e non
lo spaventa provare qualche cosa di nuovo, in qualche modo lo incuriosisce.
Forse è questo a disorientarlo. Questo fottuto porco lo attrae. Adham chiude gli occhi. Vorrebbe dormire, ma
si rende conto che anche lui deve pisciare. Si mette a sedere e fissa il
conte che dorme accanto a lui. Si alza. Guarda ancora Ferdinando. Gli piace
guardare questo corpo vigoroso. Sorride. L’idea gli viene di colpo. Non
riflette. D’impulso si mette vicino alla testa di Ferdinando e incomincia a
pisciargli in faccia. Ferdinando si sveglia e scuote la testa, bestemmiando. -
Che cazzo… Adham continua a pisciargli addosso.
Ferdinando lo afferra e lo trascina a terra. Lottano, ridendo. Adham non sa bene come avviene. A un certo
punto si ritrova sotto Ferdinando e sente la pressione del grosso cazzo del
conte contro il suo culo. Smette di lottare. Cede non all’avversario che ora
lo schiaccia, ma a una parte di sé che vuole questa sconfitta. Ferdinando
capisce. Si solleva, con le mani divarica le natiche di Adham
e guarda l’apertura nascosta. Sorride. Morde due volte il culo, poi passa la
lingua sul solco, indugiando sul buco. Vi lascia cadere un po’ di saliva e la
sparge. Ripete l’operazione due volte, poi preme con un dito. Adham ha l’impressione di perdere i sensi. Il dito si
infila dentro, poi un secondo dito lo accompagna. Adham
vorrebbe reagire, ma il suo corpo non gli obbedisce. Ferdinando toglie le
dita e la cappella preme contro l’apertura, che cede. Ferdinando spinge il
cazzo dentro il culo di Adham, che chiude gli
occhi. Mormora: -
Merda! È
doloroso, questo cazzo che avanza. Adham stringe i
denti. -
Non ti tendere. Ti fa più male. Adham annuisce. Cede completamente, si
abbandona a questo maschio che prende possesso del suo corpo, a questo cazzo
che rimane saldo nel suo culo, massiccio, bruciante, e che ora riprende ad
avanzare lentamente. Il dolore è forte, più di ogni altra sensazione, ma non
c’è solo sofferenza. C’è anche un piacere, che le fitte tengono a bada, ma
non soffocano. C’è una strana sensazione di abbandono, in questo lasciarsi
prendere, rinunciando a ogni difesa, accettando di appartenere. Adham è confuso. A tratti vorrebbe sottrarsi, ma ormai
non potrebbe farlo, ormai non avrebbe più senso. Ferdinando si muove con
cautela, poi, quando Adham si è abituato, inizia a
muovere il culo avanti e indietro, affondando nel culo il cazzo fino ai
coglioni e poi ritraendosi, con un movimento continuo. Adham
chiude gli occhi, completamente vinto. Il dolore cresce, il piacere arretra. Adham mormora: -
Merda! Ferdinando
prosegue con il suo movimento, in una galoppata interminabile. Adham desidera solo che finisca. Ferdinando accelera il
ritmo, emette un grugnito, poi un altro, un terzo e infine si affloscia su Adham, mentre dentro il culo del nero il cazzo perde
volume e consistenza. Adham è contento che sia finita. Si sente
umiliato. Ferdinando
gli accarezza il capo. - Ti
ho fatto male, Adham? Adham digrigna i denti: -
Sì. - La
prima volta è inevitabile. Adham si sente a disagio, ora. Vorrebbe
liberarsi e andarsene, lontano. Ma Ferdinando lo stringe tra le braccia e si
gira sulla schiena, in modo da rimanere sotto il nero. Gli afferra il cazzo
con la destra e incomincia ad accarezzarlo, stringendo in modo deciso. Adham cerca di allontanare la mano. Non vuole che
Ferdinando lo faccia venire, non vuole godere con il cazzo del conte in culo.
Ma non ha le forze. È stato sconfitto. Sente il piacere crescere e infine
esplodere. -
Merda! Ferdinando
lo stringe tra le braccia. Gli piace stare così, sentire il peso di Adham sul proprio corpo, il calore di questa carne che
stringe. Ma Adham si libera e si alza. -
Rimani un po’ su di me. È bello… -
Hai avuto quel che volevi. Lasciami in pace. - Ma
perché, Adham… Adham scuote la testa. Dal culo gli esce un
po’ di seme. Adham si lava rapidamente e incomincia
a rivestirsi. Ferdinando si è messo a sedere. Chiede: -
Che cazzo fai? - Io
torno ai capanni. Ferdinando
storce la bocca: -
Aspetta, Adham, che senso ha? Rimani qui. Adham sale a cavallo. Il dolore al culo gli
strappa un gemito. Si
volta verso Ferdinando. - Hai
avuto quello che volevi, no? Adesso lasciami in pace. Sprona
il cavallo e si allontana. Ferdinando
scuote la testa. La gioia di aver posseduto Adham
si sta dileguando. Gli sembra di avere un gusto di cenere in bocca. Si sente
addosso una grande stanchezza. Ha avuto quello che voleva, ma ora si rende
conto che quello che vuole è altro. E l’aver infine posseduto Adham è forse un ostacolo. Prova l’impulso di raggiungere
i capanni e tornare ad Ascalona, ma ormai è tardi: dovrebbero muoversi di
notte. Ferdinando
si stende: gli sembra di non riuscire nemmeno a stare seduto, come se una
grande mano lo schiacciasse a terra. Ha fatto una cazzata, fa solo cazzate.
Rimane a lungo disteso, gli occhi chiusi. Poi si rialza, si dà ancora una
lavata e si riveste. Si dirige ai capanni, ma senza fretta. Non ha voglia di
rivedere Adham, ora. Perché si è cacciato in questo
vicolo cieco? È
quasi ora di cena e Luc sta preparando. Ferdinando
dice subito: -
Domani mattina torniamo ad Ascalona. Partiamo presto. - Va
bene. Luc non commenta. Ha visto arrivare Adham di pessimo umore e il conte sembra altrettanto
cupo. Non sa che cosa possa essere successo, anche se ha qualche sospetto.
Ama queste montagne inospitali e vi rimarrebbe ancora volentieri, ma
rientrare in città non è un problema: è qui al servizio del conte, non per il
proprio piacere. Ferdinando
e Adham rimangono silenziosi per tutta la sera. Luc non fa nessun tentativo di avviare una conversazione:
si limita a dire il necessario. Ferdinando
decide di coricarsi presto. Si chiede se dire a Adham
di venire con lui o se ordinargli di dormire nel capanno con Luc. Vorrebbe cercare di parlargli ancora, ma si chiede
se ne valga la pena. Si
alza. - Mi
corico. Domani partiamo presto. Si
sposta un po’, piscia contro un albero, poi si stende nel capanno. Si chiede
se Adham verrà. Non gli ha detto niente, le sere
precedenti lo ha fatto dormire con lui. Non gli ha nemmeno detto di non
venire. Adham dovrebbe coricarsi al suo fianco. Ma Adham non arriva. Ferdinando si alza ed esce. Fuori non
c’è nessuno. Luc e Adham
devono essersi stesi nell’altro capanno. Ferdinando
è nuovamente furente, con Adham e con se stesso.
Bestemmia, forte. Non gli importa che gli altri lo sentano. Forse vuole che
lo sentano, che Adham capisca. Poi
si stende e si copre. Ha avuto quello che voleva e si sente infelice, come
non gli capitava da tanti anni, da quei giorni lontani sui monti vicino ad
Antiochia. L’indomani
mattina partono. Procedono in silenzio, Luc
davanti, Ferdinando in seconda posizione e Adham
dietro di lui. Adham guarda la schiena di
Ferdinando. Si sente umiliato e triste. Quest’uomo lo ha fottuto e poi non
gli ha più nemmeno rivolto la parola. Adham sa
benissimo che quello che pensa non ha nessun senso: è stato lui ad andarsene,
a rifiutare di rimanere con Ferdinando, a decidere di dormire nel capanno con
Luc. Adham si sente
confuso. Spera che non avrà più modo di vedere il conte, ma mentre lo pensa,
si rende conto che l’idea gli pesa. Arrivano
ad Ascalona nel primo pomeriggio. Ferdinando ringrazia Luc,
saluta con un cenno Adham e raggiunge il palazzo di
Raimondo. Entra nella sala dell’appartamento che condivide con Denis, ma
vedendo che il duca sta parlando con alcuni dei suoi uomini, si limita a
fargli un cenno e raggiunge la sua stanza. Denis si accorge immediatamente
che Ferdinando è di pessimo umore. Pensa che il siciliano non abbia raggiunto
il suo scopo e decide che gli parlerà dopo. Quando
i cavalieri se ne sono andati, Denis raggiunge la camera di Ferdinando. Bussa
e, quando Ferdinando gli dice di entrare, apre la porta. Il conte è disteso
sul letto. -
Stavi dormendo, Ferdinando? - Mi
sono disteso un po’. Questa mattina ci siamo alzati presto. Ma non dormivo. -
Com’è andata la caccia? Ferdinando
risponde: - Due
cinghiali. Di leoni neanche l’ombra. Il lupo ci è sfuggito e l’orso si è
fatto vedere la notte, ma poi è scomparso. -
Non mi sembri soddisfatto. -
Non lo sono. Ferdinando
si mette a sedere, guarda l’amico e aggiunge: -
Sono una testa di cazzo, Denis. -
Hai voglia di raccontarmi, Ferdinando? Ferdinando
annuisce. Racconta quello che è successo, senza nascondere niente. Denis si
limita a chiedere, quando Ferdinando gli dice che ha preso Adham: -
Sei sicuro che lui fosse d’accordo? -
Sì, Denis. Porcoddio, sì! Non l’ho preso a forza, te lo giuro. - Va
bene. Probabilmente per lui non è facile accettarlo, anche se lo desiderava. -
Credo di aver rovinato tutto. - Ti
importa molto di lui, vero? Ferdinando
fissa Denis, senza parlare. Poi dice: -
Gli ho parlato di Baahir. La
risposta sembra del tutto inadeguata, ma Denis è in grado di capire. La
situazione è molto più seria di quanto pensasse. - E
lui? -
Lui… lui era curioso di sapere. Ma… non so, non lo capisco. -
Forse anche lui non capisce. - E
adesso? Che cazzo faccio, adesso, Denis? È la
prima volta che Denis si trova a svolgere il ruolo di consigliere
sentimentale. Gli capita spesso di suggerire a Ferdinando come comportarsi,
ma sempre solo per quanto riguarda l’amministrazione della contea o i
rapporti con gli altri nobili. Denis dubita di essere in grado di dare
consigli amorosi: la sua esperienza sentimentale è molto limitata e
complessivamente del tutto fallimentare. Ha una buona conoscenza della natura
umana, ma non è detto che basti per dare la risposta giusta alla domanda di
Ferdinando, tanto più che Denis sa poco o niente di Adham. - Adham verrà con noi a Rougegarde, per cui puoi prenderti
il tempo di riflettere: non scappa. Io cercherò di parlargli, ma non credo
che abbia voglia di raccontarmi ciò che è successo. Vorrei dire che lo
escludo. Penso che si limiterà a qualche risposta generica. Vedrò se riesco a
farmi un’idea. - Lo
senti ora? -
No, Ferdinando. Voglio che anche lui abbia il tempo di pensarci con calma. Se
lo chiamassi subito, penserebbe che tu mi hai parlato di quanto è successo.
Preferisco che si senta libero di raccontarmi quello che vuole, senza avere
l’impressione che io già sappia. - Va
bene. Credo che tu abbia ragione, come sempre. Anche se mi pesa. - Lo
capisco. Adesso senti: conto di partire tra poco, direi dopodomani. Le
notizie che arrivano sono rassicuranti: il Saladino si è dovuto ritirare
rapidamente attraverso il Sinai e durante la fuga le sue truppe sono state in
più occasioni attaccate dai beduini. L’esercito ha subito pesanti perdite e
anche la guardia personale del sovrano è stata decimata. Tutto fa sperare in
una pausa di respiro per il Regno. - Mi
sembra un’ottima cosa. Ma non aspettiamo la divisione del bottino? - È
già stata fatta. Io ho in custodia la tua parte. Il re ci ha assegnato
diversi prigionieri, scelti tra quelli in grado di pagare un riscatto,
cavalli e alcuni oggetti razziati nell’accampamento del Saladino. Ferdinando
annuisce. Non chiede se ci sono maschi interessanti. E Denis sa che anche
questo è un brutto segno. -
Ferdinando, io propongo di lasciare in custodia a Raimondo di Ascalona gli
uomini che ci sono assegnati: trattandosi di cavalieri egiziani, Raimondo è
nella posizione migliore per trattare per il riscatto. E noi evitiamo di
portarci dietro dei prigionieri che non ci servono. Ti va bene? -
Certo, figurati. Non pensavo che… è stato fatto tutto in fretta. -
Siamo in troppi ad Ascalona. Il re desidera ripartire e anch’io ne ho
bisogno. C’è un altro motivo che mi spinge ad affrettare la partenza: subito
dopo che ho lasciato Rougegarde, a San Giacomo d’Afrin
c’è stato un attacco contro gli ebrei, che sono poi stati scacciati dalla
città. - Renaud è il solito cazzone. Ma mi pare che non fossero
rimasti in molti, no? -
Infatti. Diversi di loro si sono rifugiati a Rougegarde e chiedono di essere
accolti nella città. È utile che torni a vedere qual è la situazione. -
Capisco. -
Domani parlerò con Adham. E poi ti saprò dire. Denis
se ne va. Ferdinando
decide di stendersi un momento. Si apre la camicia, ma poi si ferma. Resta in
piedi al centro della stanza. Reclina la testa sul petto, lo sguardo fisso
nel vuoto, e rimane pensieroso, mentre una mano scivola tra la fitta peluria
che gli ricopre il petto e indugia su una vecchia cicatrice. Più
tardi Denis convoca Manrique. - Manrique, avete chiesto di passare al mio servizio. Come
vi ho detto, sono lieto di avere con me uomini valorosi. Ma so che alcuni di
voi vorrebbero tornare alle loro case. Se è così, per me va bene dare loro ciò
che manca per pagare il viaggio, in modo che possano partire da Ascalona. -
Siete generoso, duca. Avevo sentito parlare del vostro coraggio e della
vostra generosità, ma vedo che ciò che dicono è molto al di sotto della
realtà. Denis
sorride. -
Fatemi sapere le vostre decisioni. Noi partiremo dopodomani mattina, molto
presto. Ho urgenza di ritornare a Rougegarde. -
Parlerò oggi stesso con i miei uomini e vi saprò dire. -
Un’ultima cosa, che forse già sapete. Il re mi ha assegnato il guerriero che
comandava le truppe contro cui vi siete scontrati. - Il
nero? L’ho visto oggi dove siamo alloggiati. -
Sarà al mio servizio, non nelle truppe, naturalmente. Ma volevo dirvelo,
perché viaggerà con noi. Manrique annuisce: - Ha
fatto strage dei nostri uomini e i suoi sono stati massacrati da voi. È la
guerra, duca, e non avrebbe senso che io gli serbassi rancore. È un uomo
valoroso e ha combattuto lealmente. Più
tardi Manrique torna a riferire la decisione dei
suoi uomini: sono pochi a partire, per cui al servizio di Denis passano
quattro cavalieri e sei fanti. Gli altri rimarranno ad Ascalona fino a che i
feriti non saranno guariti e poi cercheranno di imbarcarsi per tornare in
patria. L’indomani
mattina Denis convoca Adham. Il nero si presenta e
si inchina. - Buongiorno,
mio signore. -
Buongiorno, Adham. Com’è andata la caccia? Il conte
non mi è sembrato contento. Mentre
lo dice, Denis osserva le reazioni di Adham, che
appare indifferente. -
No, abbiamo preso solo due cinghiali. Non era quello che voleva. -
Nessun altro problema? Adham esita un momento. -
No, niente di importante. Denis
preferisce non insistere. - Ti
ho chiamato perché partiremo domani mattina per Rougegarde. Ho fretta di
tornare, per affrontare alcuni problemi. Se ti va bene, ti inserirò nella guardia
della città: vi sono soldati cristiani e musulmani, perché la popolazione
della città è mista e ritengo opportuno che le truppe di guardia siano di
entrambe le religioni. Adham annuisce. Il duca è davvero un uomo
giusto e saggio. Denis
continua: -
Però tu devi imparare la lingua dei franchi. - Lo
farò. Avrò bisogno di qualcuno che mi insegni. Ferdinando
entra mentre Adham sta finendo la frase. Non si
aspettava di trovare il nero e si blocca, chiaramente a disagio. Per un
attimo Adham pensa che il conte lo abbia visto
arrivare e che sia venuto apposta per parlargli, ma vedendo il suo imbarazzo,
capisce che non è così. Adham è infastidito dalla
presenza del conte, dal suo contegno, che tradisce il disagio, e dal proprio
smarrimento. C’è
un momento di silenzio, poi Denis dice: - Il
conte Ferdinando potrebbe farti da maestro e tu potresti ricambiare,
aiutandolo a migliorare il suo arabo, che è un po’ zoppicante, come avrai
avuto modo di notare. Ferdinando
ha l’impressione che gli manchi il fiato. Dice a Denis, cercando di
sorridere: -
Mica tutti parlano un arabo perfetto come il duca di Rougegarde. Ma
il cuore gli batte forte. Denis ha lanciato una corda a cui aggrapparsi. Adham la prenderà? Adham sa che deve parlare. Non vorrebbe
avere più niente a che fare con Ferdinando, ma non è quello che gli viene
alle labbra: -
Come il mio signore comanda. - Ve
bene. Mettetevi d’accordo sulle lezioni. Io intanto vado a dare alcuni
ordini. C’è altro che volevi dirmi, Ferdinando? -
No, no. Niente che non possa aspettare. Denis
esce. In cuor suo, augura buona fortuna all’amico e a Adham. Ferdinando
e Adham rimangono un momento in silenzio. Poi il
conte dice: -
Vieni in camera mia, Adham. Adham vorrebbe rifiutarsi, allontanarsi, ma
segue il conte senza dire nulla. Ferdinando chiude la porta, si mette davanti
a letto e guarda il nero. È bello, Adham. Questo
fottuto nero è bello. Ferdinando
ghigna, per nascondere il proprio imbarazzo, e chiede, in arabo: -
Che parole vuoi che ti insegni? Adham lo guarda. Si sente debole, di fronte
a quest’uomo massiccio. Risponde: - Le
più importanti. Ferdinando
ride. Si toglie la giacca, la camicia, mettendo in mostra il largo petto
villoso. Poi finisce di spogliarsi, togliendosi le scarpe, i pantaloni e le
mutande. Adham guarda il corpo possente emergere
dagli abiti. Il cazzo non è più a riposo. - Le
più importanti… Va bene: qadib si dice cazzo. Ripeti. Adham rimane un momento in silenzio, poi
dice: -
Cazzo. Ferdinando
si prende il cazzo. Poi la mano scende ai coglioni e li stringe. - Kurat sono le
palle. O i coglioni, se preferisci. -
Palle. Coglioni. Ferdinando
si volta, dandogli la schiena. Adham guarda il culo
possente. Il conte poggia le mani sulle natiche e le divarica. - Hamar è il
culo. -
Culo. -
Che cosa vuoi sapere ancora? Ferdinando
rimane voltato, le mani sul culo, il buco ben visibile. -
Come si dice allaena?
-
Fottere. Direi che ora hai tutte le parole più importanti. Adham ride, una risata che il desiderio
rende roca. Lentamente si spoglia. Si mette dietro Ferdinando. Con una mano
gli preme sulla schiena, guidandolo ad appoggiarsi sul letto. Il conte non
oppone resistenza. Adham si inginocchia. Morde il culo, più
volte, con forza. Poi sputa sull’apertura e sparge la saliva. Lascia colare
un po’ di saliva sulla mano e si inumidisce bene la cappella. La
preme contro il buco, che cede a
fatica. Lentamente affonda il cazzo nel culo di Ferdinando. -
Fottere. È una bella parola, fottere. Ferdinando
sente la formidabile mazza del nero entrargli in culo, grossa, dura, forte. Fa
male, anche se Adham si muove piano: da troppo
tempo Ferdinando non sente un bel cazzo scavare dentro di lui. Ma il suo
cazzo rimane duro come una roccia e il piacere è forte. E, soprattutto, un
senso di benessere lo invade. Adham lo sta fottendo
ed è bello, come è stato bello fotterlo. Questa battaglia è stata vinta.
L’esito della guerra è incerto, Ferdinando lo sa benissimo, ma intende
combattere fino in fondo. |