I – La casa di Giovanni

II – Il signore di Cesarea

III – Spedizione in Egitto

 

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Yoh’anan entra in casa, scuro in volto. Quel figlio di puttana di Chmouel, il tintore, non vuole pagargli il debito, dice che non ha nemmeno i soldi per sfamare la famiglia, che non ce la fa. Quando Yoh’anan ha minacciato di fargli sequestrare gli arnesi del suo lavoro, Chmouel gli ha urlato che è una sanguisuga, che farsi prestare denaro da lui significa mettersi un cappio al collo. Chmouel sapeva benissimo quali erano i patti. Aveva solo da non chiedere denaro in prestito. O da non mettere al mondo sette figli per poi non riuscire a mantenerli. E anche quella vecchia strega di Rah’el dice che non riesce a pagare. Tutti pronti a chiedere soldi, ma quando si tratta di renderli…

Yoh’anan è furente.

La piccola Miriam vede subito che il padre è di cattivo umore. Ha imparato in fretta che in questi casi è meglio girare alla larga.

- Vieni qui, Miriam.

Miriam si sente crollare il mondo addosso. Ha paura, come sempre quando suo padre la chiama con quel tono di voce. Sa bene che cosa succederà: il padre le porrà qualche domanda difficile, lei non saprà rispondere e lui la picchierà. Miriam vorrebbe fuggire, ma sa che sarebbe ancora peggio.

- Miriam, dimmi chi furono i discendenti di Abramo.

Miriam trema. Con voce incerta, recita:

- Abramo generò Isacco, Isacco generò…

Se suo padre non fosse arrabbiato, forse Miriam riuscirebbe a ricordare, ma ha appena quattro anni e vedere il padre nervoso la spaventa.

- Allora? Non puoi fermarti a Isacco!

- Isacco generò… Giuseppe.

Lo schiaffo arriva subito, violento. Miriam lancia un grido e corre via in lacrime.

Yoh’anan sibila:

- Stupida come la madre.

Sarah consola la bimba abbracciandola. Non dice niente: sa che è più saggio non difendere la figlia.

- Hai preparato il pranzo?

- È tutto pronto.

Yoh’anan si siede a tavola.

- Perché non c’è il latte?

- H’ava non l’ha portato.

- E perché non sei andata a prenderlo?

- Mi hai proibito di uscire di casa.

Yoh’anan sa bene che è vero. Sarah ha ventiquattro anni ed è bella come il sole, anche se il suo viso porta i segni delle percosse e della sofferenza, Yoh’anan ne ha cinquantaquattro. Yoh’anan non vuole che Sarah esca di casa. Le donne sono tutte puttane e si fanno sedurre dal primo giovane maschio che le abborda per strada. Ma Sarah il latte doveva procurarselo. Yoh’anan si alza in piedi di scatto.

- In questa casa non si può avere mai niente. Lavoro fuori tutto il giorno e fatico. Torno a casa e non trovo neanche un pasto preparato come Dio comanda. Sei una puttana e nient’altro.

Miriam scoppia a piangere. Sarah cerca di prenderla tra le braccia, ma un violento ceffone la fa cadere a terra. La bambina urla più forte e anche su di lei si abbatte la furia di Yoh’anan.

- No, lasciala, lasciala! Non ha fatto niente!

Uno schiaffo più violento scaglia Miriam a terra. La bambina batte la testa e un po’ di sangue le cola dal naso.

Sarah grida, si getta su Miriam, la prende e corre via. Apre la porta di casa e fugge con la bambina. Non l’ha mai fatto prima, anche se l’ha spesso pensato.

Yoh’anan grida:

- Torna indietro, puttana!

Non l’insegue. Non ne ha voglia, non vuole fare una scenata per strada. I vicini sparlano già abbastanza di lui. Non che gliene fotta niente dei vicini: hanno solo da farsi i cazzi loro. Yoh’anan è un uomo ricco e potente, la sua famiglia controlla la produzione di lino di mezza città.

Sarah se l’andrà a riprendere dopo. Sa dov’è andata, quella stronza: dal fratello, quel poco di buono di Mikhael. Nessun altro oserebbe ospitare Sarah, sfidando Yoh’anan.

Yoh’anan si siede. Medita sul da farsi. Potrebbe rivolgersi a suo cugino il rabbino, che costringerebbe Sarah a tornare a casa, ma gli scoccia mettere i suoi affari in piazza. C’è già tanta gente che sparla di lui: dicono che è un usuraio, un violento. Dicono tante altre cose cattive su di lui e sui suoi fratelli, solo perché si sono arricchiti con il loro lavoro. Sono invidiosi della loro ricchezza. Yoh’anan non vuole sputtanarsi. Meglio risolvere la faccenda per conto proprio.

Ma quel Mikhael… Un carattere di merda, sempre pronto a difendere la sorella.

Yoh’anan ha mangiato e adesso è pronto. Al momento di uscire decide che è meglio premunirsi: prende un pugnale e lo nasconde nel mantello. Mikhael è più giovane e robusto, ma anche Yoh’anan è forte e se quel figlio di puttana cerca di opporsi, Yoh’anan si riprenderà quello che è suo, a costo di sbudellarlo. È quello che dovrebbe fare, solo così quella puttana di Sarah abbasserà la cresta. Sì, può dire che Mikhael ha cercato di ammazzarlo e che lui si è solo difeso. Quel bastardo non ha appoggi qui, viene dal Cairo, tutti daranno ragione a Yoh’anan, non a un forestiero come Mikhael. Una volta morto quel bastardo, Sarah capirà.

La casa di Mikhael è all’altra estremità del paese, ma Bani Suwayf non è un centro molto grande. Yoh’anan cammina di buon passo. La mano accarezza il coltello. È ormai notte. Meglio così: che la gente non veda e non parli.

Yoh’anan bussa alla porta. Ad aprirgli è Mikhael. Basta guardarlo in faccia per capire che Sarah è andata da lui e gli ha raccontato tutto.

- Che cosa vuoi? In questa casa non sei gradito.

- Voglio quello che è mio. Credi che venga qua per il mio piacere? Da te non ci verrei certo per mia scelta.

- Qui non c’è niente di tuo. Tornatene a casa.

- Con le buone o con le cattive mi prenderò quello che mi spetta. Quella puttana di tua sorella e sua figlia sono qui, lo so. Togliti.

Mikhael rimane sulla soglia, sbarrandogli il passo.

- Se pensi che sia una puttana, ripudiala.

Yoh’anan ride.

- Ti piacerebbe, stronzo, eh? Togliti, ti ho detto.

Mikhael non si muove.

- Vattene via.

Yoh’anan fa un passo indietro, come se volesse ritirarsi, poi si slancia, spingendo Mikhael contro il muro ed entra. Mikhael lo afferra.

Yoh’anan si divincola e tira fuori il coltello.

- Stammi alla larga, stronzo! Ammazzo te e poi lei.

- Non le farai altro male, bastardo.

Mikhael si lancia su Yoh’anan, che vibra una coltellata. Mikhael la scansa e gli blocca il polso. Lottano. Yoh’anan è furente per l’oltraggio subito e ben determinato a riprendersi ciò che è suo. Avvinghiati, i due cadono a terra. Yoh’anan emette un grido che diventa un breve rantolo. 

 

*

 

Mikhael si solleva. È riuscito a piegare il polso di Yoh’anan mentre cadevano, in modo che il cognato si ferisse con il proprio coltello. Mikhael estrae il pugnale dalla ferita e lo immerge nel cuore di Yoh’anan. Questi emette un gemito e rimane inerte. Mikhael sorride.

Da tempo Mikhael voleva mettere fine alla serie di soprusi che hanno reso la vita di Sarah un inferno. Ha sempre odiato il cognato, ma fino a ora non ha potuto fare niente. Ha spesso meditato di ucciderlo, ma Sarah sarebbe passata sotto l’autorità del fratello di Yoh’anan e la sua situazione non sarebbe certo migliorata.

Mikhael ha preparato tutto per la fuga, ma non è mai riuscito a convincere Sarah.

Sarah si affaccia sulla porta della stanza. Ha sentito il grido ed è venuta a vedere. Si porta le mani alla bocca, vedendo il corpo del marito steso a terra, ma non le sfugge nessun suono.

- Abbiamo lottato, è caduto e si è ucciso sul suo stesso coltello.

Mikhael non ritiene il caso di dire a Sarah che il secondo colpo, quello sicuramente mortale, l’ha inferto lui quando ormai il cognato non era più in grado di difendersi. Anche se Yoh’anan era un bastardo e l’ha fatta soffrire per anni, Sarah non potrebbe accettare l’idea che Mikhael l’abbia ucciso deliberatamente.

- Ora dobbiamo andarcene, Sarah.

Sarah annuisce. Sa anche lei che adesso non c’è nessun’altra possibilità.

Mikhael nasconderà il cadavere, in modo che non lo trovino tanto presto. Sarah tornerà a casa a raccogliere alcune cose da portare con sé e poi se ne andranno tutti e due. Dovranno lasciare l’Egitto, questo è chiaro.

 

*

 

Le truppe franche sono a Bilbeis, la porta dell'Egitto per chi arriva dal Sinai. La città è cinta d’assedio da tre giorni. Re Amalrico vuole prenderla in fretta, per poter marciare sul Cairo e costringere il visir a rispettare i patti.

Amalrico ha convocato tutti i cavalieri al comando di truppe.

- Non possiamo fermarci a lungo a Bilbeis. Dobbiamo vincere ogni resistenza e conquistare la città rapidamente, per poter marciare sul Cairo. Ma sono in arrivo alcune truppe che il visir Sawer ha mandato in aiuto della città. I nostri informatori ci dicono che non sono numerose, ma costituiscono comunque una minaccia.

Denis di Rougegarde osserva:

- Una parte dell'esercito può affrontare le truppe saracene che stanno arrivando in appoggio ai difensori della città. È meglio che lo scontro avvenga lontano dalle mura, in modo che non sia possibile una manovra congiunta tra le truppe di stanza a Bilbeis e quelle in arrivo. Non vedendo arrivare i soldati inviati in loro soccorso, i difensori si scoraggeranno.

Il parere di Denis trova tutti d'accordo. Renaud sa benissimo che Denis ha ragione, ma vuole evitare che il duca acquisisca ulteriore influenza sul re. Dato che Amalrico mira a conquistare la città il più in fretta possibile, avanza l'obiezione che il re stesso potrebbe formulare:

- Questo rischia di ritardare ulteriormente la conquista della città.

Denis risponde senza esitare:

- Gli altri soldati potranno comunque lanciare l'attacco contro le mura. Se le truppe in arrivo non sono numerose, non sarà necessario stornare molte forze dall'assedio per affrontarle. Dobbiamo solo elaborare una strategia adeguata per la battaglia. Fermando quelle truppe, l’assalto alla città potrà avvenire senza il timore di essere attaccati alle spalle.

- Ve ne occuperete voi, duca. Sarete al comando delle truppe che dovranno impedire all’esercito mandato dal visir di raggiungere la città.

- Come volete, Sire.

Nessuno ha obiezioni. Tutti sanno che Denis è il miglior stratega dell’esercito, forse l’unico che davvero conosca le tecniche usate dai saraceni e sia in grado di evitare le loro trappole, spesso riuscendo invece a utilizzarle a danno degli avversari. Non a caso è il terrore dei saraceni e la sua presenza semina facilmente il panico tra i nemici.

Re Amalrico prosegue:

- C’è un altro problema. Perché l’attacco alla città riesca, dobbiamo riuscire in qualche modo a indebolirne le difese almeno in un punto, in cui potremo concentrare gli sforzi. Accanto alla porta orientale vi sono due grandi torri, rigidamente sorvegliate, poiché controllano uno dei principali ingressi della città. Più a nord ve n’è una terza, meno robusta, che non corrisponde a una porta: i saraceni la chiamano la torre di Hussein. Se riuscissimo a eliminare le sentinelle questa notte, i nostri uomini potrebbero avvicinarsi alle mura in quel punto e predisporre alla base una miscela di legname, olio, pece, resina e canne. Al momento dell’attacco potremmo facilmente incendiare la miscela, danneggiando la torre di Hussein. Se crollerà, sarà più facile riuscire a entrare.

Amalrico non aggiunge altro. Aspetta che qualcuno si offra.

La missione è quanto mai rischiosa. Renaud sa benissimo che offrirsi sarebbe un buon modo per distinguersi agli occhi del re e avere qualche possibilità in più di ottenere Cesarea, ma in questa missione è forte il rischio di guadagnarsi una tomba invece della città. Naturalmente non è detto che uno dei signori franchi debba partecipare personalmente all’impresa: si possono mandare alcuni uomini fidati, ma questo non servirebbe per acquistare merito agli occhi del re. Renaud sa che sicuramente Joscelin sarebbe l’uomo adatto per una missione di questo tipo: è coraggioso, determinato e non arretra davanti a niente. Ma Renaud non ha nessuna intenzione di mettere a repentaglio la vita del suo uomo di fiducia: Joscelin è l’unico a cui può affidare certi compiti e Renaud l’ha portato con sé perché potrebbe servire per i suoi piani. Renaud pensa a quali altri dei suoi uomini potrebbe mandare, ma mentre riflette, qualcuno dice:

- Vado io.

A parlare è stato Ferdinando. A Renaud neppure questo va a genio. Ha sempre il timore che Denis di Rougegarde faccia assegnare Cesarea a Ferdinando. Però se Ferdinando rimanesse ucciso nella missione, sarebbe un rivale in meno.

Il re e i nobili del regno discutono ancora un buon momento, poi Amalrico conclude, riassumendo i compiti assegnati a ciascuno:

- Duca di Rougegarde, voi guiderete le truppe che affronteranno l'esercito in arrivo. Cavaliere di Rochenoire, voi guiderete le truppe che attaccheranno da nord; barone di San Giacomo d'Afrin, voi sarete a capo di quelle che si muoveranno da sud; io guiderò quelle che cercheranno di entrare da est e voi, barone d’Arbert, sarete con me.

Amalrico prosegue:

- L’attacco simultaneo confonderà i difensori. Se la torre crollerà, noi invaderemo la città e apriremo la porta occidentale, da cui entreranno tutte le nostre truppe.

Infine Amalrico si rivolge a Ferdinando:

- Conte d'Arram, nella notte cercherete con alcuni uomini di vostra fiducia di penetrare nella città e di uccidere le sentinelle sulla torre. Domani accompagnerete il duca di Rougegarde.

Guillaume di Hautlieu si rivolge allora ad Amalrico:

- Sire, come ritenete che debbano muoversi i cavalieri del Tempio?

Amalrico riflette un momento, poi risponde:

- Una parte avrà il compito di fermare, insieme al duca di Rougegarde, le truppe saracene che stanno arrivando. Gli altri attaccheranno la città con noi.

Guillaume è il capo del corpo di spedizione: è a lui che spetta la decisione di come dividere le truppe. Si rivolge a Jorge da Toledo:

- Io accompagnerò il duca di Rougegarde. Voi, fratello, guiderete i cavalieri che andranno all'attacco della città.

Guillaume non è contento di affidare questo compito a Jorge, di cui conosce la ferocia e l'odio contro i saraceni, ma il toledano è il cavaliere di grado superiore dopo Guillaume e negargli il comando sarebbe uno sgarbo.

Amalrico conclude:

- Signori, conto che domani ognuno di voi dia il meglio di sé. Dal vostro valore dipende la conquista di Bilbeis e di tutto l’Egitto, senza cui la nostra stessa presenza in Terrasanta è incerta.

 

Amaury di Rochenoire e Hugues d’Arbert escono insieme dalla tenda di re Amalrico.

Amaury sorride e provoca Hugues:

- Così domani avremo modo di mostrare il nostro coraggio. Cercherò di mostrarmi più valoroso di te, in modo che il re decida di assegnarmi Cesarea.

- Bada, se farai una cosa del genere, dopo la conquista ti aspetterò in qualche vicolo buio per tagliarti la gola.

- Mi hai dato una buona idea. Mi sembra anche più facile che mostrarsi tanto valorosi…

- Starò in guardia. Buona notte, Amaury.

- Buona notte, Hugues.

Ferdinando si avvicina ad Amaury.

- Fai un salto da me, Amaury?

Amaury aggrotta la fronte. Ha capito benissimo che intenzioni ha Ferdinando:

- Ferdinando, questa notte hai una missione pericolosa da compiere. Non ti converrebbe cercare di dormire?

- Porcoddio, devo rischiare di andarmene da questo mondo senza neppure aver scopato un’ultima volta?

Amaury scuote la testa.

- Sei incorreggibile. Verrò da te tra non molto.

Denis è rimasto in disparte. Quando Amaury si allontana, raggiunge Ferdinando.

- Vi accompagno alla tenda.

- Ben volentieri.

Ferdinando ha capito che Denis vuole parlargli. Quando sono nella tenda, Denis gli dice:

- Ferdinando, prendete con voi Pierre e altri due soldati che vi darò. Sono uomini fidati, che possono esservi d’aiuto in questa missione pericolosa. E conoscono bene l’arabo.

Ferdinando sa che Denis si preoccupa per lui e gliene è grato.

- Vi ringrazio, duca.

Ormai si danno quasi sempre del voi. Malgrado la loro lunga amicizia, Ferdinando si sente in soggezione nei confronti di Denis. Non è il titolo di duca a intimorirlo, ma la coscienza che Denis è un uomo di un’altra stoffa. Solo quando si ritrovano con Guillaume, la familiarità tra Denis e il templare riporta anche Ferdinando ai vecchi tempi, quando erano solo tre guerrieri sconosciuti e certamente Ferdinando non immaginava che un giorno sarebbe diventato conte.

Ferdinando e Denis definiscono alcuni dettagli, poi Denis se ne va.

Amaury arriva un po’ più tardi.

Alla luce della lampada, Ferdinando si spoglia rapidamente. Amaury ne osserva il corpo mentre anche lui si toglie gli abiti. Come sempre ammira la forza del conte. Il suo sguardo incrocia quello di Ferdinando, che sorride, poi scende lungo il corpo, dal collo al torace e poi al ventre. Amaury guarda le numerose cicatrici, lasciate dalle battaglie e dalle cacce, sul petto, sulle braccia e sulle gambe. Poi gli occhi si fissano sul cazzo vigoroso, che già solleva la testa, e sui magnifici coglioni. Come spesso gli succede davanti al conte, Amaury prova un senso di smarrimento. 

Amaury si inginocchia davanti a Ferdinando. Ora la sua bocca è a un palmo dalla cappella di Ferdinando. Con una voce che esce roca, Amaury chiede:

- Fammi bere.

Ferdinando sorride. Incomincia a pisciare. Amaury beve.

 

*

 

Miriam è in braccio allo zio e gioca con la sua barba. Miriam è felice. Coglie che la madre e lo zio sono preoccupati, ma per lei, che non si era mai mossa da Bani Suwayf, il viaggio è stato un continuo incanto. E stare con la mamma, lontano dalla violenza del padre, è un paradiso. Lo zio la intimorisce un po’, ma con lei è sempre buono.

Mikhael la stringe e le accarezza il capo, mentre osserva l’esercito franco dall’alto delle mura.

Sarah mormora:

- Venire qui è stata una follia.

Mikhael scuote la testa e dice alla nipote, ridendo:

- Ahi! Mi stai staccando tutti i peli della barba.

Poi si rivolge alla sorella:

- Non potevamo prevedere che i franchi avrebbero attaccato. E non potevamo rimanere a Bani Suwayf.

Sarah chiude gli occhi. No, non potevano rimanere a Bani Suwayf. Mikhael e forse anche lei sarebbero stati accusati di omicidio. E, se fosse stata dichiarata innocente, il cognato Binyamine l’avrebbe presa con sé: un uomo violento come il fratello e determinato a vendicarsi.

Sarebbero potuti rimanere al Cairo, dove si sono fermati una sola notte, ma nella capitale troppa gente conosce la loro famiglia e quella del marito di Sarah. Nel delta nessuno sa chi sono. Hanno dato un nome di famiglia falso: contavano di trasferirsi in Siria prima che qualcuno potesse scoprire la loro vera identità.

La nuova spedizione dei franchi li ha bloccati a Bilbeis, che ora è sotto assedio. Non possono andarsene e la loro vita è in pericolo. L’arrivo dei franchi li ha presi di sorpresa. Quando ne hanno sentito parlare, hanno perfino pensato che la guerra avrebbe favorito la loro fuga.

Ora guardano sgomenti l’esercito degli assedianti. Hanno imparato i nomi dei principali signori franchi: il duca di Rougegarde, il Cane dagli occhi azzurri, il comandante più temuto ma anche il più rispettato dagli arabi; il barone di Afrin, che perseguita i musulmani rimasti sotto il suo dominio; il conte d’Arbert, che di recente è diventato governatore di Cesarea, e molti altri. Per la prima volta hanno visto i cavalieri del Tempio e quelli dell’Ospedale, questi monaci-guerrieri di cui tutti hanno timore. Nelle loro pesanti armature incutono paura.

Che ne sarà di loro?

 

*

 

Nel cuore della notte Ferdinando, Pierre e altri due uomini si avvicinano di soppiatto alla torre. Raggiungere la base della torre per quattro uomini armati alla leggera non è difficile. Portano anche una scala e una corda con un uncino. Con l’aiuto della scala René raggiunge un punto da cui può lanciare la corda. Il primo tentativo non riesce, ma il secondo gli permette di agganciare l’uncino.

Ora incomincia la parte più pericolosa. Se qualcuna delle sentinelle si è accorta del lancio, troveranno ad aspettarli molti uomini e la loro avventura finirà insieme alle loro vite. Se i soldati di guardia non hanno notato nulla, sarà al momento in cui arriveranno che si giocherà la partita. Non devono solo sorprendere le sentinelle e ucciderle: occorre evitare che qualcuno possa dare l’allarme, altrimenti gli uomini che devono sistemare il materiale incendiario non avranno il tempo per farlo.

Ferdinando sale per primo, poi muove la corda come concordato, per segnalare che è giunto in cima senza problemi. Pierre lo raggiunge. Rimangono nascosti tra gli spalti, finché le due sentinelle nel loro giro di ronda non passano davanti a loro. Appena li superano, Pierre e Ferdinando li assaltano: tappano loro la bocca e tagliano a entrambi la gola. Gli altri due uomini salgono anche loro. Nascondono i cadaveri dei soldati saraceni e poi accendono un piccolo lume, coprendolo tre volte: il segnale convenuto.

Adesso si tratta di evitare che qualcuno arrivi e li scopra mentre alla base della torre viene accumulato il combustibile. Ferdinando e Pierre si appostano sul cammino di ronda verso la porta occidentale, gli altri due soldati in direzione opposta. Se arriveranno altre sentinelle, vedendo due sagome scure, penseranno che siano i loro compagni. Se parleranno, a rispondere saranno Pierre e uno degli altri due uomini, che parlano bene l’arabo. L’arabo di Ferdinando è molto approssimativo e rischierebbe di tradirlo.

Il tempo passa e non succede nulla. Alla base della torre i lavori fervono, rallentati solo dall’esigenza di non provocare forti rumori che potrebbero mettere in sospetto gli uomini di guardia.

Una luce in lontananza, nella direzione del campo franco, si accende e si spegne tre volte. Gli uomini hanno concluso il loro lavoro: appena in tempo, perché il cielo si sta già schiarendo a oriente. Tutto è filato liscio.

Ferdinando e Pierre si dirigono verso il punto in cui hanno nascosto la corda. In quel momento sentono qualcuno urlare in arabo. I loro due compagni arrivano di corsa, inseguiti da altri, mentre il grido delle sentinelle si ripercuote.

Non è possibile scendere: le guardie sono troppo vicine e potrebbero tagliare la corda.

Ferdinando dice:

- Scendete voi. Io li tengo a distanza.

I due uomini si calano in fretta, ma Pierre rimane accanto a Ferdinando. I soldati in arrivo sono quattro, ma il cammino di ronda è stretto e non possono avvicinarsi tutti insieme. Pierre ne colpisce uno a una gamba e l’uomo cade dal lato interno delle mura. Ferdinando ne uccide un altro, infilandogli la spada nello stomaco. Un terzo viene ferito da Pierre a un braccio e fugge via, subito imitato dal quarto, che da solo contro i due nemici sa di non avere nessuna possibilità.

- Ora! È la nostra ultima occasione.

Stanno per calarsi, quando una freccia sibila e Ferdinando sente un dolore violento al fianco.

- Porcoddio! Mi hanno beccato.

- Presto, calatevi. Ce la fate?

Ferdinando stringe i denti e afferra la corda. Incomincia a scendere, ma le forze gli mancano. Stringe disperatamente la fune, nonostante le ondate di dolore che lo assalgono. Con fatica si cala ancora e, quando ormai sta per cedere, sente sotto i suoi piedi la scala. Molla la corda e scende. I due soldati che sono rimasti sotto ad attendere lo aiutano, sorreggendolo. Pierre arriva subito dopo. Si allontanano, ma dopo pochi passi, Ferdinando crolla.

Non è facile trasportare un Ercole come Ferdinando: per i tre uomini è uno sforzo tremendo. Arrivano al campo in un lago di sudore.

Ferdinando viene portato nella tenda che Denis ha fatto preparare come infermeria per la battaglia di domani. Nabih, il medico personale di Denis lo visita. La freccia viene tolta.

È una brutta ferita, ma non dovrebbe essere mortale.

L’impresa è stata compiuta. Tra poco sarà giorno e sarà possibile incendiare il materiale combustibile accatastato: questo dovrebbe provocare un cedimento delle mura.

 

*

 

Prima dell’alba le truppe guidate da Denis di Rougegarde si sono dirette verso sud-ovest, seguendo il corso del ramo del Nilo sulle cui rive si trova Bilbeis. All’alba Denis manda in avanscoperta due dei suoi uomini, che tornano in tarda mattinata per dire che l’esercito saraceno è a poche miglia. I due uomini confermano le informazioni che i franchi già avevano: si tratta di un contingente molto ridotto.

Denis fa disporre i suoi uomini: alcuni cavalieri si pongono in posizione centrale, molto avanzata; ai due lati, ma più indietro, si dispongono gli altri, nascondendosi tra la vegetazione. Denis intende usare una tattica molto comune tra i saraceni: attirare le truppe nemiche in un’imboscata, fingendo di fuggire. I franchi ricorrono di rado a tattiche di questo tipo, per cui i saraceni probabilmente cadranno in trappola.

I cavalieri avanzano lungo la strada che porta verso il Cairo, ma quando appaiono le truppe nemiche, si fermano. Attendono per un certo tempo, come se fossero incerti sul da farsi e volessero vedere la consistenza delle forze saracene. Quando ormai gli egiziani sono vicini, i cavalieri volgono indietro le cavalcature e fuggono. I cavalieri egiziani si lanciano al loro inseguimento e anche i fanti corrono rapidamente. Quando il grosso delle truppe si trova tra le due ali di soldati disposti da Denis, le frecce lanciate dagli arcieri nascosti fanno strage e poi le truppe escono, prendendo i soldati tra due fuochi. Intanto i cavalieri che fingevano di fuggire, voltano nuovamente i cavalli e si lanciano all’attacco.

Se l’esercito egiziano fosse più numeroso, potrebbe opporre resistenza, ma le truppe non sono molto consistenti e l’attacco a sorpresa decide le sorti della scaramuccia. Lo scontro si trasforma in una strage, da cui solo alcuni si salvano con la fuga.

Anche tra i soldati franchi ci sono diverse vittime, ma in numero di gran lunga inferiore. Tra i feriti c’è anche Tristan, colpito al braccio destro, ma non è niente di grave: quando, a metà pomeriggio, le truppe riprendono la via del ritorno, Tristan è in grado di raggiungere l’accampamento, con l’aiuto di un compagno.

Arrivati in vista della città, i soldati vedono le colonne di fumo che si levano in diversi punti: Bilbeis è caduta.

 

*

 

All’alba le frecce incendiarie dirette alla base della torre di Hussein raggiungono il materiale infiammabile accumulato e l’incendio divampa. I difensori sono colti di sorpresa: hanno appena scoperto la catasta ai piedi delle mura e, prima di riuscire a capire e prendere le misure necessarie, già le fiamme si innalzano altissime. Sulle mura sono stati portati sassi e altri materiali da lanciare sugli assalitori che cercassero di arrampicarsi, servendosi di corde o scale, ma l’unico liquido, l’olio bollente, non farebbe che alimentare l’incendio.

Il calore intensissimo provoca il cedimento di un tratto delle mura, che crollano.

Mentre le truppe saracene della guarnigione si spostano verso il punto rimasto indifeso, Amalrico dà il segnale dell’attacco. I difensori non si aspettavano il cedimento delle mura e in quel punto Hugues d’Arbert conduce i suoi uomini all’assalto, prima che i saraceni riescano a organizzarsi. Hugues ci tiene a mostrarsi valoroso agli occhi del re, che di certo gli ha ordinato di rimanere al suo fianco proprio per valutare il suo comportamento.

L’esercito franco travolge facilmente le truppe che arrivano in disordine per difendere la breccia: i saraceni sanno bene che la battaglia è persa, perché i franchi sono di gran lunga più numerosi e solo le mura permettevano la difesa. Combattono con la forza della disperazione, sapendo che se non riusciranno a respingere gli attaccanti, saranno tutti sterminati.

Il comandante della guarnigione affronta Hugues d’Arbert, nella speranza che la morte di questo barone semini il panico tra i franchi. Sono due uomini forti e il duello durerebbe a lungo, se uno dei soldati di Hugues non colpisse il comandante saraceno alla schiena con la sua lancia. L’uomo barcolla e cade in avanti. Hugues lo finisce calandogli la spada sul collo.

I soldati saraceni si ritirano, ma continuano a combattere nelle vie.

Intanto le truppe guidate da Renaud e quelle condotte da Amaury raggiungono la breccia ed entrano anch’esse. La disparità di forze è troppo grande: la battaglia diventa un massacro.

Il re si dirige al palazzo del governatore.

 

*

 

L’esercito franco è entrato in città. Senza più la protezione delle mura, le truppe di stanza a Bilbeis non sono di certo sufficienti a fermare i franchi.

Gli ebrei sono riuniti intorno al rabbino, che dice:

- Andiamo tutti nella sinagoga.

Mikhael scuote la testa.

- Ci massacreranno anche là, come hanno fatto altre volte.

Il rischio che succeda ciò che dice Mikhael è forte e tutti lo sanno, ma Mikhael viene da un’altra città e non è un anziano, ha appena quarant’anni: non ha nessuna autorevolezza, il parere del rabbino e degli altri anziani conta molto di più. Gli ebrei smarriti preferiscono dirigersi verso la sinagoga. Qualcuno esita, ma poi segue gli altri. Sperano che Dio li protegga. E l’essere gli uni vicini agli altri dà loro conforto.

Sarah sa bene che il fratello ha ragione. Lei e Mikhael rimangono indietro. Unirsi agli altri significa andare al macello. Ma che cosa fare? Come sfuggire alla furia degli assalitori? I franchi saccheggeranno la città. Spesso hanno massacrato ebrei e musulmani, anche se non opponevano resistenza.

Non hanno un posto per nascondersi: alloggiano in una locanda.

 

*

 

Jorge da Toledo è alla guida di un gruppo di templari e di altri cavalieri. Dietro a loro si muovono molti fanti. Sono entrati nella città quando i primi attaccanti hanno aperto una delle porte.

In questi due anni trascorsi oltremare Jorge ha avuto occasione di affrontare diverse battaglie, dimostrando il proprio valore, ma è la prima volta che partecipa alla conquista di una città. È felice di avere un’occasione di massacrare musulmani ed ebrei.

Jorge si lancia in una via che porta verso il cuore della città. Qualche soldato si getta contro la porta di una casa, per sfondarla e dare inizio al saccheggio prima che arrivino gli altri. Jorge prosegue fino al minareto che domina un piccolo slargo. Ora davanti a lui c’è una moschea. Jorge attraversa il cortile ed entra a cavallo nella sala della preghiera, seguito da altri cavalieri e da diversi soldati.

La moschea è piena di gente inginocchiata sui tappeti. All'ingresso dei franchi si alzano parecchie grida. Un imam si alza e inveisce contro i franchi che osano profanare il luogo sacro. Jorge ride e incomincia a vibrare fendenti su tutti coloro che vede, senza badare all’età o al sesso. Un urlo di terrore si alza dalla folla. Altri cavalieri e i fanti seguono l'esempio di Jorge, calando le spade sui fedeli. Alcuni cercano di riparare la testa con le mani, altri rimangono impietriti.

Un uomo grida:

- Donne, fuggite. Uomini, a me, cerchiamo di fermarli.

L’uomo si scaglia contro gli aggressori, seguito da altri: sanno che vanno a morire, ma sperano di salvare almeno le donne. Queste prendono i bimbi e corrono verso le porte laterali, mentre gli uomini cercano a mani nude di fermare gli assalitori o almeno di impedire loro di raggiungere le donne in fuga. I guerrieri franchi hanno facilmente ragione di loro e, dopo averli massacrati, si avventano sulle donne che non sono riuscite a fuggire, rallentate dai bambini o paralizzate dalla paura. Alcuni le colpiscono con le spade. Altri le afferrano, limitandosi a uccidere i bambini: le donne saranno parte del loro bottino di guerra. Alcune delle donne che sono riuscite a uscire dalla moschea vengono raggiunte e subiscono la stessa sorte delle altre.

Diversi soldati spingono a terra le donne catturate, sollevano le loro vesti e, abbassatisi i pantaloni, le possiedono a forza. Altri attendono il loro turno, ridendo e incoraggiando i compagni.

Jorge esce dalla moschea: non gli interessano le donne, vuole proseguire la strage dei musulmani. Lo seguono altri cavalieri e soldati, che cercano un bottino più consistente o hanno solo sete di sangue. Nella moschea rimangono in pochi. Tra questi Roussel, che si è arruolato nelle truppe del conte Ferdinando.

Roussel si è preso una donna, che ora si è rialzata e si copre il viso con le mani, singhiozzando.

- Adesso me la faccio anch’io.

Roussel guarda Corrado. Non ha nessuna intenzione di lasciare che stupri anche lui la donna. È il suo bottino. Per una volta che può prendersi quello che cazzo gli pare, che cosa vuole questo stronzo?

- Non è roba tua.

- Non te la voglio mica prendere. La fotto solo.

- Cercatene un'altra, stronzo!

- Ma che hai? Mica è tua moglie. Ne trovo di meglio.

Altri soldati cercano di mettere pace, ma Roussel è furente:

- Va' a fare in culo, pezzo di merda!

Roussel non vuole dividere la sua preda con nessuno. Non ha rischiato la pelle per il piacere di combattere, ma per il bottino. Questa donna è sua e nessun altro può toccarla.

Corrado scuote la testa, poi, con un gesto fulmineo, estrae la spada e colpisce la donna, trapassandole il petto. La donna cade al suolo, morta.

Roussel si scaglia su Corrado, ma alcuni soldati si mettono in mezzo e riescono a separarli. Quelli che stanno stuprando le donne ci badano appena. Roussel infine si calma e si allontana, dicendo che si rivolgerà al conte Ferdinando perché costringa Corrado a risarcirlo.

Corrado alza le spalle. Si avvicina ai soldati che stanno violentando le donne sui tappeti. Uno che ha appena finito gli lascia il posto. La donna ha smesso di opporre resistenza. Corrado la fotte in fretta. Quando viene si alza e si riveste.

Mormora:

- Ci voleva tanto!? Quello stronzo...

Corrado esce dalla moschea. Non si accorge di Roussel, che gli piomba alle spalle e gli immerge un pugnale nella schiena. Corrado emette un grido, ma Roussel estrae il pugnale e gli taglia la gola.

In quel momento alcuni soldati escono dalla moschea.

- Cazzo hai fatto?

Roussel ha un ghigno.

- Questo stronzo mi ha pagato quello che mi doveva per la donna.

Roussel si allontana. Sa bene che la sua vita è in pericolo. Gli altri racconteranno quello che è successo, non sanno certo stare zitti, quelli. La faccenda arriverà alle orecchie di qualcuno dei signori del regno, gli amici di Corrado lo racconteranno, chiederanno che il loro compagno sia vendicato. Roussel sa che rischia di finire impiccato. È stato Corrado a uccidere per primo, ma ha ucciso una saracena, non gliene fotte niente a nessuno. Lui ha ucciso un soldato franco. Merda!

Roussel si rende conto di aver fatto una cazzata. Troppo tardi, ormai. Che può fare? Andarsene, approfittando della confusione che regna nella città conquistata? Sì, per forza, ma andarsene dove? Allontanandosi dall’esercito franco rischierebbe solo di farsi catturare e sgozzare dai saraceni.

 

*

 

Renaud di Soissons guida un altro gruppo fino a una grossa costruzione. Chiede:

- Che edificio è questo?

Uno dei soldati risponde:

- La sinagoga. Quei fottuti ebrei si sono riuniti tutti là dentro a pregare.

Un altro soldato propone:

- Entriamo e tranciamogli la testa. Mandiamoli tutti da Satana, che li aspetta.

Renaud sorride.

- Ho un’idea migliore. Faremo ciò che abbiamo fatto quando abbiamo conquistato Gerusalemme.

La presa di Gerusalemme è una faccenda di una settantina d'anni prima, ma il racconto di quella vittoria è stato narrato infinite volte e molti intuiscono l'idea di Renaud. Quando questi prosegue, il senso del suo discorso appare chiaro a tutti:

- Portate legna. Prendete dalle case le porte, le imposte, i mobili. Tutto quello che può bruciare.

Molti ridono. Qualcuno non è contento: di certo gli ebrei hanno preso con sé denaro e gioielli e incendiando la sinagoga si rischia di distruggere un bottino prezioso: come recuperare tra le macerie e i corpi carbonizzati l'oro e le pietre preziose? Ma non è possibile contrariare il barone. Altri si lanciano con entusiasmo alla ricerca di combustibile. Presto davanti alle porte della sinagoga si alzano cataste di legname. A un cenno di Renaud, un soldato appicca il fuoco.

Le fiamme si alzano alte e le porte della sinagoga incominciano a bruciare. Dall’interno si sentono le urla: gli ebrei hanno capito che cosa sta succedendo.

Qualcuno cerca scampo dall’incendio uscendo da una porta posteriore che non è stata bloccata, ma viene immediatamente ucciso dai soldati di guardia.

I soldati rimangono ad osservare la sinagoga che prende fuoco. Da dentro si sentono urla, poi il tetto dell’edificio crolla e nessuna voce si leva più.

Un fumo nero si alza dai resti dell'edificio, mentre si sente il puzzo dei corpi che bruciano. Un soldato ride e dice:

- Ebrei arrosto. Il mio piatto preferito.

Anche gli altri ridono.

 

*

 

- Entriamo in una di queste case che hanno già saccheggiato. Forse, vedendo che altri sono già passati, non entreranno qui.

Mikhael e Sarah entrano in una casa la cui porta è stata sfondata.

Ci sono i corpi di due persone anziane, massacrati con la spada.

Mikhael e Sarah sono passati in una seconda stanza, quando sentono dei rumori provenienti dalla stanza in cui sono passati. Dei soldati si sono accorti che qualcuno è entrato.

Mikhael indica una cassapanca rovesciata a terra e sussurra:

- Nasconditi qui.

- E tu?

Mikhael non risponde. Si limita a dire:

- Salva Miriam.

Mikhael sa che l'unica possibilità di salvezza per Sarah e Miriam è che i soldati lo trovino e pensino che lui è da solo. Sarah ha intuito. Se non fosse per Miriam, rifiuterebbe il sacrificio di Mikhael, sceglierebbe di morire insieme a lui. Ma salvarla è la sua priorità. Si nasconde nella cassapanca, stringendo a sé la piccola.

Mikhael aspetta che i soldati arrivino sulla soglia della stanza, poi fugge nel locale successivo. I soldati gli sono addosso. Mikhael afferra uno sgabello e colpisce un soldato che cerca di trafiggerlo. Riesce a deviare un secondo colpo, ma il terzo lo prende al braccio. Un altro soldato lo colpisce alla spalla. Un colpo, vibrato malamente, lo raggiunge alla tempia. Mikhael sente il dolore violento e crolla a terra. Prima di perdere i sensi, prega Dio che i soldati non si accorgano di Sarah e della bambina.

 

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Arrivati davanti a Bilbeis, Denis con alcuni soldati si dirige verso la città, mentre i feriti vengono portati all’accampamento. Istfan si prende cura di Tristan. Gli medica subito la ferita e poi ripassa a vedere come sta, anche se ha molto da fare: insieme a Nabih, il medico personale del duca, deve occuparsi degli uomini colpiti durante la battaglia.

 

Intanto Denis è entrato a Bilbeis e cavalca per le strade, seguito da un gruppo di soldati. Bilbeis è un grande cimitero dove i morti giacciono insepolti: ovunque vi sono cadaveri di uomini, donne e bambini.

Davanti a una chiesa un gruppo di anziani e due donne giacciono a terra in un lago di sangue. Tra le mani stringono ancora i crocifissi con cui sono andati incontro ai loro correligionari, convinti di avere di fronte i loro liberatori e non i loro carnefici. Denis scende da cavallo ed entra nella chiesa. Guarda un attimo e poi chiude gli occhi. Vorrebbe che niente di quello che vede fosse vero: i cadaveri tra i banchi, il sacerdote copto decapitato di fronte all’altare, i bimbi sgozzati sui cadaveri delle loro madri.

Denis esce dalla chiesa e risale a cavallo. Non c’è più nulla da fare.

Come è possibile? Certo, erano cristiani d'Oriente, non cattolici, ma pur sempre cristiani. Come hanno potuto altri cristiani massacrarli?

Denis avanza sgomento. Ovunque vi sono cadaveri, spesso mutilati, case che bruciano, soldati che corrono con il loro bottino: il re ha autorizzato il saccheggio. Denis ha quasi raggiunto la porta della città opposta a quella da cui è entrato. Gli unici esseri umani che ha visto vivi sono i soldati e qualche donna che è stata catturata.

- No!

È un urlo di donna, che viene dalla casa di fianco a cui sta passando Denis.

In un attimo Denis è sceso da cavallo, la spada in mano, e si precipita nell’abitazione. La porta è stata sfondata, i mobili gettati a terra, i corpi di due anziani giacciono in un angolo: gli assassini sono già passati.

- No! Lasciala!

Denis corre nell’altra stanza. Un soldato ha alzato la spada su una bimba che potrebbe avere l’età di Pierre.

- Fermo!

L’uomo si volta e ride:

- E tu che cazzo vuoi? Levati dai coglioni.

Nella stanza ci sono altri due soldati e inginocchiata davanti a loro una donna che ora stringe tra le braccia una bimba. Uno dei due soldati dice al compagno che stava per uccidere la piccola:

- Manasse, è il duca di Rougegarde.

Manasse rimane disorientato. Non aveva riconosciuto il duca, che ha sempre visto da lontano, ma sa benissimo chi è e che potere ha. China il capo e dice:

- Mi scusi, duca. Questa donna e la bambina fanno parte del nostro bottino. Della bambina non sappiamo che farcene, è un’ebrea, razza maledetta, meglio ammazzarli tutti. Della donna sì, sappiamo bene che ce ne faremo, vero, ragazzi?

Ride e si rivolge agli altri due soldati, che non dicono nulla e sono arretrati di un passo: conoscono il duca, sanno benissimo che non accetta stupri e violenze sulla popolazione civile e gli leggono in faccia che è furente. Hanno entrambi paura e Manasse se ne rende conto. Perde ogni baldanza e il suo sorriso si spegne. Dietro il duca sono entrati gli uomini della sua guardia personale. I soldati sanno che se Denis di Rougegarde volesse, potrebbe farli ammazzare sul momento, senza rischiare che qualcuno gli chieda mai conto delle loro vite.

Denis sibila:

- Fuori di qui, subito.

Manasse fa per dire qualche cosa, ma il soldato che ha parlato prima gli mette una mano sul braccio per fermarlo. Rivolto a Denis dice:

- Ai vostri ordini, duca.

I soldati escono. Denis sente che Manasse impreca sottovoce.

La donna è rimasta in ginocchio. Stringe la bambina e guarda Denis.

Denis le si rivolge in arabo:

- Non dovete temere nulla. Vi proteggerò.

La donna è pallida.

- Iddio vi ha mandato e Iddio vi ricompenserà, duca. Conosco la vostra fama di guerriero valoroso e di uomo giusto.

- Come vi chiamate?

- Sarah. Lei è mia figlia, Miriam.

Sarah stringe la bambina e incomincia a piangere.

- Venite con me, Sarah. Non potete rimanere qui. Prendete ciò che avete. Vi garantisco che vi aiuterò a raggiungere un luogo sicuro con i vostri figli e i vostri beni.

Sarah guarda verso la porta che immette in un’altra stanza.

- Tutto quello che posseggo, lo porto con me, ma mio fratello, Mikhael

Sarah si morde il labbro, non completa la frase, ma fissa la porta che conduce nell’altro locale.

Denis passa nella stanza successiva. C’è un uomo a terra, immobile. C’è una pozza di sangue sotto di lui e Denis si dice che certamente è morto. Si china su di lui e lo volta. Sente un gemito. L’uomo è ancora vivo. Denis esamina le ferite. Un brutto taglio al braccio destro, un altro alla spalla, uno al capo e qualche escoriazione. L’uomo potrebbe sopravvivere.

Denis rientra nell’altra stanza. Alla donna dice:

- È ferito, ma è ancora vivo.

Poi dà gli ordini. In pochi minuti l’uomo viene caricato su una barella improvvisata.

Alla porta della città, Denis si volta indietro e guarda ancora una volta Bilbeis.

 

Raggiungono il campo. Mikhael viene affidato alle cura di Nabih. Sarah rimane con lui.

Denis raggiunge il re. Entra nella tenda, saluta appena e chiede:

- Perché l’avete permesso, sire? Perché avete tollerato questo immondo massacro? Perché?

Amalrico è stupefatto dalla furia di Denis: non è abituato a sentirsi parlare in questo modo da nessuno e men che mai dal duca di Rougegarde, che si è sempre dimostrato molto rispettoso. Non permetterebbe a nessun altro di parlargli con questo tono, ma la rabbia di un uomo saggio ed equilibrato come Denis lo spiazza.

- Che intendete dire?

- Dopo questo massacro, che cosa pensate che succederà nelle altre città? Bilbeis ha resistito tre giorni e tutti i suoi abitanti sono stati massacrati. Pensate davvero che le altre città vi apriranno le porte?

- Questo è ciò che sostiene il barone Renaud. E Jorge da Toledo. Il terrore gli farà piegare la testa.

- Il terrore spingerà i saraceni a resistere a ogni costo. E c’è un’altra conseguenza, non meno grave, Sire.

Amalrico è irritato, perché sa benissimo che Denis potrebbe aver ragione.

- E quale, duca?

- Sire, avete perso il sostegno di tutti i cristiani d’Egitto. Coloro che vedevano in noi dei liberatori, ora ci considerano solo dei macellai.

Denis di Rougegarde s’inchina e prende congedo. Amalrico non lo trattiene e nel salutarlo non cela la propria irritazione. Sa che con ogni probabilità Denis ha ragione. Il duca di Rougegarde si sbaglia di rado nel valutare la situazione politica o militare.

 

*

 

Pierre va a trovare Ferdinando nella tenda che il duca ha fatto montare per lui dopo che è stato ferito. Nella tenda c'è anche un ebreo, uno dei pochissimi che è sfuggito al massacro della popolazione della città. Il duca lo ha accolto e lo fa curare da Nabih. L’uomo, che dicono chiamarsi Mikhael, non ha ripreso i sensi ed è vegliato dalla sorella.

Pierre osserva la donna. È molto pallida e sul viso ha alcuni lividi, ma è bellissima.

Mentre Pierre parla con Ferdinando, Nabih arriva con un altro medico, Istfan.

Prima Nabih si dirige da Ferdinando.

- Come state, conte?

Ferdinando si sforza di sorridere.

- Sono ancora vivo. Porcoddio, non è mica così facile ammazzarmi.

- Vediamo la ferita.

Nabih toglie il telo che copre il conte. Pierre ha modo di vederlo nudo. Non che gli interessi molto, ma della dotazione di Ferdinando di Siracusa, signore dell’Arram, ha sentito parlare spesso ed è curioso di vedere se è davvero come dicono.

Gli basta uno sguardo per verificare che le voci corrispondono in pieno alla realtà. Pierre prova una punta di invidia, anche se non ha certo motivo di lamentarsi di ciò che la natura gli ha dato.

Il medico toglie la fasciatura ed esamina con cura la ferita.

- Molto bene. La piaga è perfettamente pulita e non credo che ci siano più rischi. Avete solo bisogno di riposo, per riprendere appieno le forze.

- Non mi dite che devo stare ancora a lungo a letto.

Nabih sorride.

- A letto o sdraiato su cuscini e tappeti.

Ferdinando aggrotta la fronte, poi chiede:

- E se mi sdraio su qualcun altro? Un bel maschio?

Nabih ride e scuote la testa.

- Non se ne parla neanche per almeno dieci giorni.

- Dieci giorni a farmi le seghe? Dottore, tu mi vuoi morto!

Nuovamente Nabih sogghigna, si stacca e passa all’altro ferito. Il sorriso scompare dal suo volto.

Pierre ha seguito il dialogo, ma adesso torna a guardare la donna. A lei Nabih parla in arabo, una lingua che Pierre è in grado di capire bene: la donna chiede notizie, il medico si mantiene sul vago. Dice che potrebbe riprendersi, ma non ha nessuna certezza.

Nabih controlla bene le ferite, poi aggiunge, rivolto alla donna:

- Le ferite sono a posto. Bisogna aspettare.

Pierre allora si rivolge a Nabih, nella lingua dei franchi:

- È molto grave?

- Sì, non ha ancora ripreso i sensi. È sospeso tra la vita e la morte, ma non dispero di salvarlo.

Pierre chiacchiera un po’ con Ferdinando.

- Pierre, senti, di’ a Basan di venire nella tenda questa notte, tanto l’ebreo dorme sempre e per la notte Denis ha fatto sistemare la donna in un’altra tenda.

Pierre ride:

- Che cazzo conti di fare, disgraziato?

Gli dà del tu, Ferdinando gli ha detto che preferisce così, anche se è conte.

- Io non riesco a stare a lungo senza scopare. Almeno mi fa un pompino veloce.

- Ne parliamo domani.

- Porcoddio, Pierre, non sei un amico!

- Ci tengo alla tua salute!

Al momento di allontanarsi, Pierre saluta la donna, ma questa lo guarda senza capire. Allora Pierre ripete il saluto in arabo. La donna lo ricambia.

Poi Pierre aggiunge:

- Vedrete, guarirà.

- Grazie.

Ma negli occhi di Sarah spunta una lacrima.

 

*

 

L’esercito riparte verso il Cairo. A Bilbeis rimangono i feriti e alcune truppe con il compito di presidiare la città. Il comando della guarnigione è stato assegnato al conte Ferdinando, che è ancora convalescente. Denis ha ordinato a Pierre di restare con lui: preferisce che l’amico sia affiancato da un uomo intelligente e meno impulsivo dei soldati del conte. Pierre gli è sembrato molto contento di rimanere: probabilmente c’è qualcuno che lo interessa a Bilbeis. Denis sospetta che possa essere la sorella dell’ebreo ferito, Sarah, ma non ha indagato: non sono affari suoi.

Istfan non ha molto tempo, perché deve seguire tutti i feriti, ma passa spesso a trovare Tristan, che sta meglio: la ferita gli fa male e muove ancora a fatica il braccio, ma è ormai in via di guarigione.

Tristan e Istfan sono rimasti sconvolti per quanto è avvenuto durante la conquista della città ed entrambi vorrebbero soltanto tornare presto a Rougegarde. Parlano dell’Egitto, della guerra, di Rougegarde, della locanda, di Emich, dei loro amici comuni.

Tristan sta bene, l’attenzione di Istfan gli fa piacere. È contento di poter stare ogni tanto con lui, di parlare serenamente insieme. Giorno dopo giorno però si rende conto che Istfan è turbato. E le visite diventano meno frequenti.

 

*

 

Denis e Guillaume procedono affiancati. Sono entrambi cupi e rimangono in silenzio, finché Guillaume non esclama:

- In nome di Dio! Questo massacro è stato commesso in nome di Dio! 

Denis annuisce.

- Quei soldati sono delle bestie. Ma i nobili che li conducono? Pensano davvero che in questo modo vinceremo la guerra, che le città ci apriranno le porte?

- Il massacro della grande moschea è stato compiuto dai miei compagni, Denis. I cavalieri del Tempio massacrano donne e bambini riuniti in preghiera. C’erano cadaveri di uomini evirati. Dio!

Nessuno dei due riesce a darsi pace. Entrambi hanno ucciso in battaglia, molte volte; Denis ha condannato a morte uomini in diverse occasioni. Ma le stragi compiute a Bilbeis su cittadini inermi, tra cui anziani, donne e bambini, non hanno niente a che fare con un leale combattimento tra uomini armati, che rischiano ugualmente la vita, o con l’amministrazione della giustizia.

La sera si accampano. Dopo che ognuno dei due ha controllato la sistemazione delle proprie truppe, Denis e Guillaume si ritrovano. Sentono il bisogno di rimanere un po’ insieme: sanno che nessuno degli altri comandanti condivide il loro punto di vista.

Parlano ancora a lungo di quello che è successo a Bilbeis, poi il discorso si allarga, come spesso accade tra loro.

- Mi domando che senso ha il mio essere qui, Denis. Sono partito per combattere a difesa della città santa, ma mi chiedo che cosa sto davvero facendo.

- Facciamo quello che abbiamo imparato a fare: combattere.

- Credevo di combattere una guerra giusta. Gerusalemme è la città dove Gesù è morto per noi. Gli arabi ce l’hanno presa secoli fa e noi l’abbiamo ripresa e vogliamo difenderla. Mi sembrava semplice.

- Adesso non ti sembra più che sia così?

- Non lo so, Denis. Mi chiedo se ha senso scannarsi per il possesso di una città. Che cosa può giustificare ciò che è stato fatto a Bilbeis?

- Niente, Guillaume. Per me, almeno. Niente di niente.

- Tu non hai dubbi? Sul senso di queste guerre, intendo dire.

Denis alza le spalle.

- Ho sempre combattuto. È stata la mia vita fin da ragazzino. Vorrei dire fin da bambino. Il mondo va così. Ho combattuto per il regno di Gerusalemme e adesso che sono il signore di Rougegarde combatto anche per difendere la città.

Guillaume annuisce. Poi dice:

- Non so, Denis. Ho molti dubbi. Forse perché non ho mai occasioni di confrontarmi con qualcun altro. La solitudine mi pesa. Ho a che fare con uomini come Jorge da Toledo, carichi di un odio feroce contro i saraceni. O come il comandante civile di Santa Maria in Aqsa, che vorrebbe imporre a tutti i suoi principi e le sue scelte di vita. Non mi sento come loro.

- Non sarai certo il solo a non condividere le loro idee.

- L’odio per i musulmani è comunissimo. E quanto al modo di vivere, Denis, io non sono certo un santo, tutt’altro, però non ho molto in comune con certi confratelli che pensano solo a bere, giocare ai dadi e fottere.

Guillaume china la testa e aggiunge:

- Anche se non sono migliore di loro.

- Perché dici questo?

- Perché cedo facilmente alle tentazioni, dimenticando ogni buon proposito. Mi dico che questi rapporti non hanno nessun senso e poi ci ricasco. Che razza d’uomo sono? Non cerco, è vero, ma dopo una settimana che non scopo basta un cenno d’invito e sono lì a sbavare come un cane…

- Non siamo fatti per la castità, Guillaume. Se Iddio ci avesse voluto casti, ci avrebbe fatti diversamente.

Guillaume scuote il capo.

- Parlo sempre io. E tu, Denis? A volte ho l’impressione che anche tu sia solo.

- Lo sono, Guillaume, anche se ho intorno a me uomini validi, di cui posso fidarmi interamente, come Nicolas e Pierre, e una moglie che unisce intelligenza e sensibilità.

- Ma che per te non è abbastanza.

- Né io lo sono per lei. Ci siamo trovati compagni di viaggio e a me è andata bene, posso dire di essere stato fortunato. Non mi lamento.

- Non ti lamenti mai, Denis, ma non sei felice.

- Si può pretendere di essere felici? Ha senso?

- Ma non ti sei mai sentito felice?

Denis sorride, ma c’è una sfumatura di amarezza in quel sorriso:

- Ho vissuto un periodo felice: non sapevo di ingannarmi. Se avessi saputo la verità, non sarei stato felice.

- La felicità è solo un inganno?

- Non lo so, Guillaume, ma non la cerco. Credo che cercandola mi sentirei infelice.

 

*

 

Istfan si alza. È notte fonda, ma Istfan è abituato ad alzarsi più volte la notte per controllare la situazione dei feriti. Istfan accende una candela e percorre il corridoio che conduce all’infermeria.

Dopo la partenza del grosso dell’esercito, le truppe rimaste si sono stabilite nella città. Gli abitanti superstiti hanno dovuto sgomberare i cadaveri e i soldati hanno occupato diversi edifici. Il conte Ferdinando, che ormai si è rimesso, si è insediato nella residenza del governatore, al primo piano, dove si trovano anche le camere delle donne e della guardia personale del conte. Al piano terreno del palazzo ci sono invece l’infermeria e alcuni degli alloggiamenti destinati ai soldati: Istfan alloggia in una cameretta riservata a lui.

Nabih è partito con l’esercito e ha lasciato a Istfan la responsabilità di tutti i feriti.

Istfan entra nell’infermeria, che occupa un’intera ala dell’edificio, per il suo giro di controllo. Tutto sembra a posto. I feriti dormono. Qualcuno geme nel sonno.

Istfan è davanti alla camera dove hanno ricoverato l’ebreo: il duca di Rougegarde ha chiesto che l’uomo, Mikhael, avesse una stanza per sé, in modo che la sorella potesse rimanere con lui senza essere disturbata. In effetti di giorno c’è sempre Sarah al suo capezzale, ma la notte le donne devono rimanere nei loro alloggiamenti. Anche questa è una misura che Denis ha suggerito a Ferdinando, per ridurre il rischio di risse tra i soldati: ce n’è già stata una, durante il saccheggio; un soldato è rimasto ucciso e il suo assassino non è ancora stato trovato.

Sulla soglia Istfan esita. Vorrebbe evitare di entrare, ma non riesce a rimanere fuori.

Mikhael è disteso. Dorme: non si è ancora risvegliato, ma sta meglio.

Istfan lo osserva alla luce fioca della lanterna che ha portato con sé. Mikhael gli è piaciuto subito, c’è qualche cosa che lo attrae nel corpo forte di quest’uomo che ha diversi anni in più di lui.

Istfan non vuole avvicinarsi, ma le sue gambe lo portano di fianco al ferito. Istfan sposta il telo che copre Mikhael. Prova vergogna: sta approfittando del suo ruolo di medico per guardare un corpo che non gli si offre liberamente. Alza la mano, ma con uno sforzo di volontà l’abbassa nuovamente. I suoi occhi scorrono dal viso, con la fronte coperta da una benda, al petto, dove le fasciature fanno intravedere appena la peluria sul torace, poi scendono al ventre, dove il pelame è più fitto, fino al sesso circonciso.

Istfan stringe i pugni. Con uno sforzo di volontà arretra e si volta. Fa per uscire. Sulla soglia si volta ancora. Non ha ricoperto l’uomo. Non fa freddo, ma è meglio coprirlo. Istfan ritorna vicino al ferito. Alza la mano per prendere il telo, ma la posa invece sul viso del ferito, poi la fa scorrere sul corpo, dalla gola lungo il petto e il ventre fino al sesso.

Il desiderio si desta, impetuoso. Istfan vorrebbe stendersi su questo corpo, abbracciarlo. Ma questo no, questo davvero non lo farebbe mai. Almeno questo.

La mano di Istfan indugia un lungo momento sul sesso di Mikhael, poi si stacca. Istfan risistema il telo sul corpo disteso ed esce dalla stanza. Si vergogna di questo contatto che ha rubato, eppure sa che domani notte tornerà. Forse tornerà questa notte stessa: gli è già successo di ripassare nella stessa notte.

Istfan sale al secondo piano ed esce sul terrazzo. È notte fonda e il cielo è un campo di stelle. Istfan le guarda. Vorrebbe chiedere a loro una spiegazione di ciò che sta avvenendo, del desiderio che gli brucia dentro, di qualche cosa che non ha mai provato e che lo disorienta.

 

*

 

Tristan finge di dormire. Ha visto Istfan entrare nella camera dove giace Mikhael. Da qualche giorno sospetta che a Istfan piaccia l’ebreo. Istfan si ferma a lungo presso di lui, senza che ce ne sia una ragione apparente.

Quando Istfan si allontana, nel buio dello stanzone, Tristan sorride, il suo sorriso triste. Da tempo ha capito di essere attratto da Istfan. È stato contento di partire come soldato per la spedizione in Egitto, visto che anche Istfan vi partecipava in qualità di medico. E quando ha capito che Istfan sarebbe rimasto a Bilbeis, l’essere rimasto ferito gli è sembrato quasi una buona cosa: ha pensato che avrebbe avuto occasione di stare con lui. In effetti in questi giorni di convalescenza ha avuto modo di parlare spesso con lui, più di quanto non accadesse abitualmente alla locanda. Ci sono stati alcuni giorni in cui Tristan si è sentito bene, nonostante il dolore della ferita: avere accanto Istfan era una gioia. A Tristan piace molto Istfan. Un uomo sensibile e generoso, non espansivo come il fratello, ma più riservato, più simile a lui.

Ma ormai ha capito che Istfan è attratto da Mikhael. Anche questa volta la sua gioia è durata poco. Non ne è stupito, ma ne soffre.

 

*

 

L’esercito franco avanza velocemente, nonostante i saraceni cerchino di rallentarne la marcia rompendo le dighe e allagando i campi. La distanza da percorrere non è grande e ormai non manca più molto: giungeranno presto al Cairo.

Da ieri pomeriggio si vede una nuvola nera in direzione della città. Man mano che si avvicinano, i franchi possono distinguere un’immensa colonna di fumo che sale verso il cielo, formando una nuvola sempre più vasta, che oscura il cielo terso.

Denis annuisce, come se ciò che vede corrispondesse alle sue aspettative. Ha intuito, ma tace.

Guillaume chiede:

- Che cos'è quella nube? Che cosa bruciano?

Denis risponde:

- La città.

- Cosa?!

- Hanno incendiato la città, la città vecchia, con ogni probabilità, per evitare che potessimo conquistarla.

- Ma…

Guillaume non sa come proseguire. È Denis a continuare:

- Hanno incendiato le loro case, i loro negozi, i loro magazzini, le loro moschee, Guillaume. Hanno distrutto tutto ciò che avevano perché noi non potessimo impadronircene. Si sono certamente rintanati nelle fortificazioni.

- Questo significa che non potremo…

Denis interrompe l’amico:

- Questo significa che la nostra spedizione è giunta al termine. Paghiamo per Bilbeis.

Qualche ora dopo arriva la conferma di quanto Denis ha intuito: la città vecchia del Cairo è un unico immenso rogo, una barriera di fiamme di fronte a cui i cristiani si arrestano sgomenti. I cairoti hanno dato fuoco alla propria città pur di non cederla ai franchi. Sono intenzionati a resistere fino all'ultimo.

Una delle spie inviate per capire qual è la situazione, torna a raccontare ciò che è successo.

- Il visir Sawer ha dato ordine di rovesciare ventimila litri di nafta sugli edifici: perfino le mosche e i palazzi sono stati incendiati, nulla è stato risparmiato. Gli abitanti sono stati trasferiti nella città nuova.

Denis non dice nulla. Non ricorda al re di aver previsto ciò che sta succedendo: è inutile, Amalrico se lo ricorda benissimo e proprio per questo è ancora risentito con lui.

Nel pomeriggio, mentre i soldati montano l’accampamento, si discute sul da farsi. Denis tace. Sa che prima o poi gli altri giungeranno alla sua stessa conclusione, l’unica possibile: la spedizione è fallita, non è fattibile attaccare il Cairo in questa situazione. Per il momento preferisce non parlare, per non irritare ulteriormente il re.

Re Amalrico stabilisce che si attenderà qualche giorno, per vedere se l’incendio si spegnerà. Poi prenderà una decisione.

Il Cairo brucerà per cinquantaquattro giorni.

 

*

 

I lavori fervono a Bilbeis. I soldati e i cittadini superstiti stanno riparando le mura. La notizia dell’arrivo di un esercito dalla Siria ha spaventato tutti.

I soldati sanno bene di non essere abbastanza numerosi per difendere la città dai saraceni ed evacuare Bilbeis per ricongiungersi all’esercito significherebbe abbandonare i feriti. Ferdinando non vuole farlo, a meno che non ci sia nessun’altra soluzione possibile. In ogni caso il Cairo non è lontano ed è probabile che Amalrico decida di tornare non appena avrà saputo dell’avvicinarsi dei saraceni: Ferdinando ha inviato un messaggero per informarlo.

I cittadini temono che un nuovo scontro provocherà altre morti e distruzioni, anche se in molti il desiderio di vendetta è tanto forte che non gli importerebbe molto di morire pur di vedere sterminati coloro che hanno massacrato i loro parenti e amici.

Mentre si svolgono i lavori, alcune truppe vengono inviate per accumulare rifornimenti: la città non potrà resistere a lungo in caso di assedio, ma è necessario che ci sia cibo per tutti, almeno finché sarà possibile la difesa.

Nel pomeriggio i soldati che sono stati mandati per assicurare gli approvvigionamenti rientrano con un prigioniero: è un soldato franco, Roussel, che durante la conquista della città ha assassinato un compagno. Nei suoi confronti è già stata pronunciata una condanna a morte.

Pierre cerca il conte Ferdinando per comunicargli la cattura del soldato fuggitivo. Gli dicono che è in camera. Pierre raggiunge l’appartamento del conte. Non si vede nessuno. Pierre non sa bene che fare. Sente dei rumori provenire dalla camera da letto. Pierre bussa.

Sente la voce di Ferdinando:

- Che c’è?

- Sono Pierre, ho una notizia da comunicare.

- Entra pure.

Pierre apre la porta e si ferma. Ferdinando è in piedi, dietro un soldato appoggiato sul letto, e lo sta fottendo. Ferdinando non pare minimamente turbato. Si limita a interrompere il movimento e a voltarsi verso Pierre, per chiedergli:

- Dimmi, Pierre. Che cosa c’è?

- I soldati che abbiamo mandato per i rifornimenti hanno catturato Roussel, l’assassino di Corrado.

- Ottimo! Tra qualche giorno lo impicchiamo. Lo spettacolo distrarrà un po’ i soldati.

Pierre annuisce. È un po’ a disagio, nonostante la sua familiarità con Ferdinando. Lo sguardo scivola fino al palo, mezzo conficcato nel culo del soldato. Pierre si chiede come l’uomo faccia a reggerlo.

Il conte aggiunge:

- Fallo mettere in cella e organizza l’esecuzione.

- Sarà fatto.

Pierre fa un cenno d’inchino e si dirige verso la porta. Ferdinando riprende a fottere il soldato senza neanche aspettare che Pierre sia uscito. Nel chiudere la porta Pierre lancia ancora un’occhiata, poi si allontana, scuotendo la testa.

 

Pierre dà tutti gli ordini necessari per l’esecuzione. Quando ha terminato, raggiunge l’infermeria. Passa ogni giorno da Mikhael e chiede notizie a Sarah che, dopo un’iniziale ritrosia, ormai parla volentieri con lui: le giornate trascorse accanto a un uomo incosciente sono lunghe e la presenza di Pierre le permette di distrarsi ogni tanto dall’angoscia.

Sarah non ha raccontato a Pierre tutta la verità. Gli ha detto dei maltrattamenti subiti dal marito e della sua morte, senza rivelare che l’uomo è rimasto ucciso mentre lottava con Mikhael. Gli ha solo raccontato che lei e il fratello sono fuggiti, perché con la morte del marito, Sarah sarebbe passata sotto la tutela del cognato, un uomo molto violento.

Anche la bambina si è abituata a Pierre, che ogni tanto gioca con lei e le insegna un po’ della lingua dei franchi. Miriam si annoia a passare tante ore nella stanza e assimilare questo nuovo idioma dai suoni così diversi la distrae. Anche Sarah cerca di imparare: sa che potrà servirle. Sarah è una buona allieva, ma Miriam è davvero bravissima: impara molto in fretta. Adesso si fa spiegare il significato della parole anche dalla cuoca, con cui passa alcune ore: per evitare di tenerla sempre nella stanza, Sarah affida ogni giorno la figlia per qualche ora alla cuoca, che la tiene volentieri con sé. Miriam scopre in fretta che questi uomini venuti da lontano usano una lingua comune, ma quando sono con compagni che provengono dal loro stesso paese, alcuni si esprimono in modo diverso.

Quando il conte Ferdinando, che ogni tanto fa un giro di controllo, passa nella stanza, Miriam lo saluta nella lingua dei franchi. Il conte rimane stupito, poi le risponde e, quando scopre che le piace imparare nuove parole, le insegna qualche termine in siciliano.

Adesso Miriam è sempre attenta a ciò che gli altri dicono e quando sente un termine che non capisce, ne chiede a Pierre il significato. Ogni tanto riporta anche qualche bestemmia sentita da un soldato che passava e allora Pierre si limita a dirle che è una parola da non ricordare oppure che non ne conosce il significato.

Ogni giorno Pierre rimane più a lungo nella stanza, senza neppure rendersene conto. Qualche volta vengono a cercarlo: ormai sanno che è facile trovarlo lì. Quando esce dalla stanza Pierre si stupisce che sia passato tanto tempo da quando è entrato. Parlando con Sarah e con la bambina, il tempo vola.

Spesso Istfan si unisce a loro. Anche lui gioca con Miriam e parla con Sarah. Ma davanti a loro, il ricordo delle sue visite notturne a Mikhael lo mette a disagio. Anche Istfan insegna parole e frasi dei franchi. Lo fa in modo più sistematico di Pierre: per lui non si tratta della lingua materna, ma di un idioma che ha imparato e di cui ha studiato i vocaboli e le regole.

Istfan e Pierre si conoscevano poco, ma le lunghe chiacchierate nella camera di Mikhael fanno nascere tra loro un’amicizia che si rafforza giorno dopo giorno.

 

Anche questa notte, come al solito, Istfan fa il giro dell’infermeria per controllare i malati.

Giunto di fianco al letto di Mikhael, posa la candela e sposta il telo.

Come ogni notte la vista di questo corpo riaccende il suo desiderio. Istfan appoggia la sua mano sul torace di Mikhael. Al contatto l’uomo apre gli occhi. Istfan si ferma.

Mikhael lo guarda. Poi parla:

- Chi siete? Dove sono?

Poi, con una voce angosciata, mentre cerca di sollevarsi a sedere:

- Sarah… mia sorella… la bambina…

Sembra lucido. Istfan toglie la mano, mentre risponde:

- Rimanete disteso. Sono Istfan, uno dei medici. Vi trovate nell’infermeria. Vostra sorella e la bambina stanno bene. Vostra sorella ha passato tutte le giornate al vostro capezzale.

Mikhael chiude gli occhi e si rilassa.

- Grazie a Dio!

Istfan aggiunge:

- Nel sonno vi siete scoperto. Vi stavo ricoprendo, ma il contatto vi ha risvegliato. Siete rimasto parecchi giorni senza riprendere coscienza.

Una spiegazione non era necessaria, ma Istfan ha preferito giustificarsi. Prende il telo e copre Mikhael.

Mikhael chiede ancora di Sarah e di Miriam, ha paura che Istfan gli menta. È debole, ma perfettamente lucido.

- Non mi state ingannando, vero?

- Volete che le faccia venire?

- È molto tardi?

- È molto tardi o molto presto, questione di punti di vista. Siamo nel cuore della notte, ma credo che vostra sorella sarà felice di essere svegliata con la notizia che vi siete ridestato. Attendetemi.

 

Istfan sale al primo piano e passa nell’area dove dormono le donne. Raggiunge la camera dove alloggia Sarah, insieme alla bimba e a due domestiche.

Entra e tocca la donna, che si sveglia subito.

- Vostro fratello si è destato e ha chiesto di voi. Teme che sia successo qualche cosa a voi e a vostra figlia e che io non voglia dirgli la verità. Se scendete un attimo a vederlo, sarà più tranquillo.

Sarah trema, mentre prende Miriam e segue Istfan.

Istfan rimane sulla soglia, mentre Sarah e Mikhael si parlano e si abbracciano. Sarah scoppia a piangere. Miriam si sveglia assonnata, ma è felice di vedere che lo zio è sveglio e ora la abbraccia.

Mikhael chiede a Sarah se i soldati non le hanno fatto niente. Sarah spiega che l’intervento del duca di Rougegarde ha salvato lei e Miriam.

Dopo qualche minuto, Istfan entra.

- Sarah, è meglio che torniate nella vostra camera. Mikhael non deve affaticarsi. Ha superato la crisi, credo che ormai sia fuori pericolo, ma è ancora molto debole.

Sarah annuisce, bacia Mikhael su una guancia, prende la bambina e ritorna in camera.

Istfan si rivolge a Mikhael e gli dice:

- Avete sete?

- Sì.

Istfan porta a Mikhael da bere. Poi gli dice:

- Ora tornate a riposare.

Uscendo dalla camera, Istfan incrocia Pierre.

- Che ci fai qui, a quest’ora di notte?

- Ero sveglio. Ti ho sentito scendere con Sarah.

- Mikhael si è svegliato.

- Sì, me l’ha detto Sarah. Era felice.

- Non ero sicuro che ce l’avrebbe fatta. Dopo tutti questi giorni…

- Vieni, saliamo sulla terrazza.

Istfan segue Pierre. Intuisce che l’amico gli vuole parlare.

Pierre è un soldato. Va diritto all’argomento che gli preme.

- Quando ti ho sentito scendere con Sarah, ho pensato…

Pierre si ferma un attimo, poi riprende:

- …che tu volessi portartela a letto.

- No, io…

- Lo so, lo so. Mikhael si è svegliato e tu l’hai chiamata. Istfan, io e te passiamo molto tempo in quella camera. Tu hai capito benissimo perché io ci vado.

- Ti piace Sarah, l’ho notato.

- Sì, anche se ho l’impressione che “ti piace” sia troppo poco.

- Credo che tu le piaccia.

- In questo caso invece temo che “tu le piaccia” sia troppo.

Istfan ride.

- Dalle tempo.

- Vorrei darglielo, ma quanto tempo abbiamo? Prima o poi arriveranno i saraceni. Oppure tornerà re Amalrico. Che faranno loro? Io dovrò tornare a Rougegarde, se rimanessi qui, mi farebbero a pezzetti, dopo quello che abbiamo combinato.

Istfan annuisce. Certamente se un soldato franco rimanesse nella città, all’arrivo dei saraceni farebbe una fine orribile.

Pierre prosegue:

- Ma non è questo il problema, Istfan. In questi giorni abbiamo fatto conoscenza e sto bene con te, mi sembra di aver trovato un amico. Però un dubbio mi è passato più volte per la testa. Anche tu rimani molto a lungo in quella camera.

Istfan ha capito. Non ride più. Risponde alla domanda inespressa:

- Non corro dietro a Sarah, Pierre. Ma…

Istfan tace, è in imbarazzo. Pierre lo incoraggia:

- Ma?

Istfan cerca le parole. Ha paura della reazione di Pierre.

- Mikhael mi ha colpito molto. Io… non lo so… non mi era mai successo… non così… Io…

Pierre sorride.

- Se ti piace, non devi vergognarti. Ce ne sono tanti di noi che preferiscono gli uomini alle donne, come il conte Ferdinando. Non sono indiscreto raccontandotelo, lo sanno tutti.

- Sì, ne ho sentito parlare anch’io. Io… sì, Pierre, mi piacciono gli uomini. Fu un medico presso cui feci pratica a iniziarmi e da allora mi sono sempre sentito attratto dagli uomini. Ma… con Mikhael è diverso…

Istfan esita, poi aggiunge:

- So che ti sembrerà assurdo, non l’ho mai visto sveglio se non questa notte per pochi minuti. Non so niente di lui.

- Niente no, sai che si è sacrificato per salvare Sarah e Miriam. È andato a morte certa, coscientemente, per salvarle. È stato solo un caso se è riuscito a sopravvivere.

- Sì, ciò che ci ha raccontato Sarah mi ha colpito molto. Ma è stato curando le sue ferite… Non è amore, è un desiderio violento… che mi fa fare cose…

Istfan scuote la testa e prosegue:

- Un medico non dovrebbe… Un medico dovrebbe guardare il corpo del paziente solo per curarlo.

- I medici sono uomini anche loro. Hanno un cuore e, almeno nel tuo caso, un cervello. E pure un cazzo.

Pierre sorride. Anche Istfan sorride.

- Sì, è così. Ma mi vergogno.

- Di essere umano, Istfan?

Rimangono a guardare il cielo, senza dirsi più nulla. Istfan è contento di aver parlato con Pierre. Si sente sollevato.

- Grazie, Pierre.

Dopo un po’, Pierre dice:

- Me ne torno a letto. Ci rivedremo al capezzale di Mikhael. Cercherò di darti una mano con lui, se mi capita l’occasione. E tu…

- Farò lo stesso con te per Sarah.

Istfan farà lo stesso ben volentieri. A Pierre ormai vuole bene. Ma ciò che ha detto Pierre è vero: quanto tempo hanno, prima del ritorno di re Amalrico o dell’arrivo dell’esercito saraceno dalla Siria?

 

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La sera successiva Tristan raggiunge la terrazza. C’è Istfan. Scambiano due parole, ma il medico se ne va subito. Istfan è cambiato, non sembra più stare volentieri con lui, come un tempo.

Tristan rimane ancora un momento sulla terrazza. Poi scende per andarsi a coricare. Passa davanti al corridoio che porta all’appartamento del conte. In quel momento la porta al fondo del corridoio si apre e Ferdinando appare, nudo. Ha ancora la fasciatura, ma non indossa altro. Il cazzo è in tiro e Tristan rimane paralizzato. Distoglie lo sguardo e fissa il viso di Ferdinando, che si avvicina sorridendo.

- Soldato, mi sto annoiando. Che ne diresti di venire a tenermi un po’ di compagnia?

Il ghigno di Ferdinando non lascia molti dubbi su ciò che il conte si aspetta da Tristan.

Tristan è combattuto: il desiderio preme, da quando è partito da Rougegarde non ha più scopato, ma gli sembra di tradire Istfan. È un’idea assurda, non c’è nessun legame tra lui e Istfan, il medico non è interessato a lui. Ferdinando ha colto la sua esitazione, gli afferra un braccio e insiste:

- Dai, vieni.

Tristan si dice che forse gli farà bene, ridurrà un po’ la tensione e sarà più facile controllarsi.

- Va bene.

In camera Ferdinando sorride.

Tristan si inginocchia davanti a Ferdinando. Guarda il cazzo. È splendido, ma Tristan si chiede se riuscirà a reggerlo. Tristan avvicina la bocca. La sua lingua percorre l’asta tesa, dai coglioni fino alla cappella, poi le sue labbra avvolgono la preda. Ma il pensiero va a Istfan.

 

*

 

Adalberon è accovacciato dietro alcuni cespugli. Mentre tornava dal villaggio è stato preso da un bisogno improvviso.

Qualcuno si avvicina. Due uomini. Adalberon non può vederli in viso, scorge solo due sagome nel buio della notte. Sono vicinissimi e Adalberon è sul punto di dirgli di fare attenzione a non venirgli addosso, quando uno di loro parla, pianissimo:

- Ecco, il barone d’Arbert prende sempre questo sentiero per andare da Salima, al villaggio. Probabilmente ci andrà anche questa notte, ma più tardi. Tu lo aspetterai qui, quando torna: è il posto migliore, la vegetazione è fitta ed è lontano sia dal villaggio, sia dal campo. Il barone va sempre da solo, di qui al villaggio sono cinque minuti e la zona è sotto il nostro controllo. Quando passa di qui, lo ammazzi. Vedi tu se fare finta di incrociarlo per caso, se saltargli addosso alle spalle. Cazzi tuoi. Ma devi ucciderlo.

L’altro uomo risponde, ma talmente piano che Adalberon sente appena:

- Va bene.

Adalberon è paralizzato dalla paura. Se ora si accorgessero di lui, lo ammazzerebbero di sicuro, perché ha scoperto il loro piano.

Fortunatamente i due si allontanano. Adalberon rimane fermo a lungo, poi si alza, si rassetta e raggiunge rapidamente l’accampamento.

Si dirige immediatamente verso la tenda del cavaliere di Rochenoire, delle cui truppe fa parte. Un dubbio però lo assale. Il barone d’Arbert e Amaury di Rochenoire sono amici, ma anche rivali. E se fosse stato un uomo del cavaliere a organizzare l’agguato? In questo caso Amaury di Rochenoire non sarebbe per niente contento di vedere il suo piano andare a monte. E se invece è stato qualcun altro? La colpa potrebbe ricadere su Amaury, dato che tutti conoscono la loro rivalità.

Adalberon ritiene di dover comunque riferire ciò che ha sentito. Raggiunge la tenda e dice alla sentinella che ha bisogno di parlare da solo al cavaliere.

Amaury lo riceve.

- Cavaliere, scusate se vi disturbo, ma ho bisogno di parlarvi un momento. Posso?

- Certo, Adalberon, dimmi.

Adalberon è ancora incerto, ma poi si fa forza. Riferisce ciò che ha sentito. Amaury appare molto stupito.

Adalberon aggiunge:

- Ho ritenuto mio dovere informarvi.

- Sai chi siano i due uomini?

- No, era buio e non li ho potuti vedere. Non conosco la voce di quello che ha parlato. Non saprei riconoscerli.

- Hai avvisato il barone d’Arbert?

- No, cavaliere. Ho ritenuto mio dovere riferire a voi, a cui devo obbedienza. Voi sapete che cosa è opportuno fare. Io non intendo parlarne con nessuno.

Amaury lo fissa. Adalberon è sicuro che il cavaliere abbia capito perfettamente il senso delle sue parole.

- Hai fatto molto bene, Adalberon. Adesso puoi andare.

 

Amaury riflette. Sa di non avere molto tempo: tra poco Hugues andrà al villaggio da questa donna araba che ha sedotto con un po’ di denaro e qualche promessa. Se Hugues morisse, Cesarea sarebbe assegnata a un altro, forse a lui, Amaury. O forse no. Hugues e Amaury sono amici, ma Amaury non è sicuro che se le loro parti fossero scambiate, Hugues lo avviserebbe. Amaury non penserebbe mai di far assassinare Hugues, ma a questo ha pensato qualcun altro. Amaury ne è venuto a conoscenza per caso, informato da un soldato fedele e intelligente, il cui silenzio gli lascia piena libertà di azione. Può lasciare che Hugues muoia e nessuno verrebbe a sapere che lui avrebbe potuto impedirlo... Potrebbe… La contea di Cesarea è un territorio ricco e importante. Il conte di Cesarea è uno dei signori del regno. Basterebbe non dire nulla, non fare nulla… Cesarea è a portata di mano.

Amaury si versa un po’ di vino. Beve un bicchiere. Conte di Cesarea… conte di Cesarea…

Amaury scuote la testa ed esce dalla sua tenda, dirigendosi verso quella di Hugues.

Hugues è in compagnia di alcuni cavalieri. Amaury dice:

- Mi scuso, ma ho bisogno di parlare con il barone da solo. È una faccenda urgente.

Tutti escono.

- Che c’è, Amaury?

- Vogliono ucciderti, Hugues.

- Cosa?

- Questa sera, quando andrai da Salima. No, al ritorno. Ti aspetteranno lungo il sentiero.

- Ma chi? Perché? Come lo sai?

Amaury riferisce quanto gli ha raccontato Adalberon. Poi aggiunge:

- Chi, non so dirtelo. Qualcuno che aspira a Cesarea, probabilmente.

Hugues sorride, mentre dice:

- In questo caso potresti essere tu.

Amaury legge negli occhi di Hugues un dubbio. Non è pienamente convinto di ciò che gli racconta l’amico.

- Questo è quello che crederebbero in molti. Potrebbe essere un buon modo per mettere fuori gioco anche me.

Hugues annuisce. Poi osserva:

- Credi che riusciremmo a sorprendere l’assassino?

- Non è facile. Lungo quel sentiero passano molti soldati, che vanno dalle puttane del villaggio. Se chi è in agguato ti vedesse arrivare con molti uomini, si dileguerebbe. Se andassi da solo, rischieresti di essere ucciso. Non sappiamo come intenda colpirti. Magari  ti lancerà un coltello alla schiena per poi finirti.

- Forse è il caso che ne parliamo al re.

- Come credi.

Hugues a Amaury raggiungono la tenda del re e raccontano quando è successo. Adalberon viene chiamato e testimonia. Amalrico concorda sulla difficoltà di sorprendere l’assassino prima che uccida. Non si farà nulla.

 

Più tardi, nella tenda di Hugues, Amaury e Hugues parlano a lungo della faccenda, ma possono solo fare ipotesi. Amaury conclude:

- L’unica cosa che posso dirti con sicurezza è di prestare attenzione e non muoverti mai da solo.

C’è un momento di silenzio, poi Hugues sbotta:

- Che rottura di coglioni! Bloccati qui, a guardare una città che brucia, senza nessuna speranza di risolvere la situazione, senza possibilità di distinguersi e adesso anche qualcuno che vuole ammazzarmi, da cui mi devo guardare. Davvero una bella rottura di coglioni! A passare il tempo a giocare ai dadi o a scacchi.

- Prendilo come un periodo di riposo.

Hugues scuote la testa.

- Da Salima non posso andare. Almeno ci fosse qui Nadira.

Nadira è la donna che Hugues ha preso come parte del bottino a Bilbeis: una bellissima ragazza, che però si è ammalata e Hugues ha dovuto lasciarla nella città.

- In questo sono più fortunato di te: non ho questo problema. Anche se mi manca Ferdinando.

Hugues conosce benissimo i gusti del suo amico, anche se non ne hanno mai parlato molto. Adesso le parole di Amaury destano la sua curiosità.

- Dicono che sia dotato come un cavallo.

- Lo è, lo è. Ed è un magnifico stallone, in grado di fottere tre o quattro volte di seguito. Non a caso spesso scopa con più soldati.

Hugues scuote la testa.

- Ma non fa male? Voglio dire, prenderselo in culo fa male, no? E se poi a incularti è uno che ha un cazzo da cavallo, ancora peggio, no?

- Non hai mai provato?

- No e non intendo provare.

Amaury sorride:

- Non intendevo proportelo. Comunque è vero, se non sei abituato, con Ferdinando non ce la fai proprio. Lui però di solito è abbastanza attento: sa di avere un palo tra le gambe.

- Mi chiedo che cosa uno ci provi… farselo mettere in culo…

- Questione di gusti. Tu non hai mai neanche provato a scopare un uomo?

- No, ma quello lo capisco. In fondo metterlo in un culo o in una fica, non è certo la stessa cosa, ma non è neppure così diverso.

- Adesso ti andrebbe bene anche un culo, vero?

Hugues guarda Amaury e ride.

- Preferirei un bel mass di Junayd, ma non te lo sei portato dietro. E allora andrebbe bene anche un culo, è vero, ma sono il barone d’Arbert, governatore di Cesarea, e non voglio che si dica che vado a letto con gli uomini. A volte mi chiedo come faccia Ferdinando a non preoccuparsi. Lo sanno tutti quello che combina.

- Anche quello che faceva Tancrède d’Espinel lo sapevano tutti. Ed era molto peggio di quello che fa Ferdinando, lo sai benissimo. Ma finché non hanno scoperto che tradiva, nessuno ha detto nulla. Ferdinando è un guerriero valoroso. Non ha molti nemici: non è ambizioso, diventare più potente non gli interessa, non fa ombra a nessuno. E il re non si priverà certo di un feudatario leale e coraggioso per accontentare qualche vescovo. Per quanto anche su quello che fanno certi vescovi ce ne sarebbe da dire…

- Tu non hai paura che qualcuno lo sappia?

- Mi muovo con cautela. Qualcuno ha capito, ma sono solo voci. Non organizzo orge e non partecipo neppure a quelle di Ferdinando. Quando scopo con lui, non c’è nessun altro. Non siamo in Europa, dove la Chiesa ha molto più potere. Qui noi franchi siamo continuamente minacciati. Ogni guerriero coraggioso e leale è prezioso.

- Sì, hai ragione, ma in questo momento non voglio rischiare. E non voglio che i miei soldati sparlino di me.

Amaury ride.

- Vuoi che dica a Ghassan di venire da te, Hugues?

- Ghassan è quel ragazzo arabo che hai con te, il tuo servitore?

- Sì, mi serve in molti modi.

Hugues ride.

- Non ti spiace privartene per una sera?

- Non me ne privo: non te lo lascio mica tutta la notte.

- Allora ti puoi fermare. Così mi insegni come si fa.

Di fronte ad Amaury, Hugues non si vergogna di certo: i mass di Junayd hanno portato entrambi più volte al piacere.

- Mi sembra una bella idea, anche se sono sicuro che sei perfettamente in grado di capirlo da solo.

Amaury esce dalla tenda e dice al soldato che lo ha accompagnato di andare a prendere Ghassan.

Ghassan arriva poco dopo. È un bel ragazzo, che non deve avere più di vent’anni.

Amaury gli parla in arabo: il giovane conosce ancora poco la lingua dei franchi.

- Ghassan, il mio amico, il barone d’Arbert, vuole vedere che cosa sei capace di fare.

Il ragazzo sorride.

Amaury si rivolge a Hugues.

- Spogliati, Hugues, e lascia che Ghassan si occupi di te. Non te ne pentirai.

Hugues incomincia a spogliarsi. Quando ha solo più i pantaloni, dice all’amico:

- E tu? Tu rimani vestito? Non mi piace l’idea. Tanto poi anche tu ti servirai di Ghassan, no?

Amaury annuisce, sorride e si alza. Si spoglia in fretta. Il barone si sfila l’ultimo indumento e Amaury dice qualche cosa a Ghassan.

Ghassan si inginocchia davanti a Hugues, mentre Amaury si stende sui cuscini e l’osserva sorridendo.

Ghassan mette le mani sui fianchi di Hugues e li accarezza, poi avvicina la bocca al cazzo e inghiotte la cappella. Hugues emette un gemito. Il ragazzo incomincia a lavorare con le labbra e la lingua.

Hugues chiude gli occhi e solleva il capo. Il piacere che gli trasmette la bocca di Ghassan è intensissimo. Hugues geme più volte, poi si rivolge ad Amaury:

- Cazzo, Amaury, nessuna donna mi ha mai fatto un pompino così. Questo Ghassan ha davvero una bocca d’oro.

Poi Hugues si rivolge a Ghassan:

- Dovevano chiamarti Boccadoro, te.

Amaury ride, poi dice:

- Anche Culodoro si potrebbe chiamare, te lo assicuro.

- Dici che è meglio se non lo lascio finire con la bocca? Vale davvero la pena di provare il suo culo?

- Perché limitarsi? Lascia che finisca con la bocca, poi lo prendo io, mentre tu ti riposi. Così ti faccio vedere come si fa, l’avevi chiesto tu, no? E dopo fai il bis con il culo. Sarebbe un peccato perdere l’uno o l’altro.

Hugues sorride. Non si è mai trovato in questa situazione, con qualcuno che gli fa un bocchino, mentre un altro uomo assiste e commenta.

Ghassan prosegue e Hugues sente il piacere crescere. Chiude gli occhi, rovescia la testa all’indietro e geme, mentre dal cazzo il seme si spande nella bocca di Ghassan. Il ragazzo pulisce con cura, ma ormai il contatto è intollerabile e Hugues lo allontana.

- Adesso non mi dire che non sei soddisfatto.

Hugues apre gli occhi, guarda Amaury e sorride.

- Cazzo, che meraviglia!

- Adesso ti faccio vedere come si fa per la seconda parte.

Amaury prosegue:

- Vedi, Hugues, Ghassan è abituato a prenderselo in culo, ma questo non significa che tu possa entrare come un animale. Devi preparare un po’ il terreno. Ti conviene usare un po’ di olio o almeno la saliva.

- Olio? Questa poi…

- L’olio è perfetto, rende l’ingresso molto più facile. Guarda, qui ho questa fialetta. Dico a Ghassan di ungermi. Se lo fai fare a lui, è più piacevole.

Amaury dice a Ghassan qualche cosa in arabo. Il ragazzo prende la fialetta d’olio, ne versa un po’ sul palmo della mano e incomincia a ungere la cappella di Amaury. Il cazzo del cavaliere è già gonfio di sangue e al contatto si irrigidisce ancora di più e cresce di volume. Ora è rigido e svettante. Ghassan passa ancora un po’ di olio sulla cappella, poi, a un ordine di Amaury, gli passa la fialetta e si mette sui cuscini, in modo da avere il culo sollevato.

- Ora la seconda parte, Hugues. Ti versi un po’ di olio sulle dita e lo spargi sul buco.

Mentre lo dice Amaury esegue. L’indice e il medio scorrono intorno all’apertura, poi Amaury le unge di nuovo e questa volta le infila dentro. Ghassan sorride.

Hugues osserva, affascinato. Sente che il desiderio sta nuovamente crescendo dentro di lui, anche se è venuto da poco.

- È ora di partire all’attacco della postazione. Non devi infilzarlo come se fosse un condannato a morte da impalare. Avanzi lentamente, gli dai il tempo per abituarsi, poi ti inoltri ancora un poco e solo allora puoi affondare del tutto l’arma.

Mentre parla, Amaury esegue. Hugues guarda il cazzo dell’amico affondare nel culo di Ghassan, poi riemergere e nuovamente scomparire. È uno spettacolo da cui non riesce a distogliere gli occhi. Amaury procede a lungo, con movimenti lenti, mentre le sue mani accarezzano il corpo che sta possedendo. Quando infine imprime al movimento un ritmo più veloce e viene, Hugues è già pronto per mettere in pratica quanto ha appreso.

Prima si fa ungere la cappella da Ghassan, poi versa un filo d’olio lungo il solco e con un dito lo sparge intorno all’apertura. Ripete l’operazione, questa volta infilando l’indice e il medio. La sensazione è intensa e Hugues si stupisce di quanto piacere gli dia questo semplice contatto. Gli sembra di essere un po’ ubriaco. Avrebbe voglia di passare la lingua sul solco, di sentire il gusto di questo culo che gli si offre.

Hugues poggia le mani sulle natiche e le divarica. Osserva l’apertura e avvicina la cappella. È splendido vederla penetrare nella carne e la sensazione di calore è davvero inebriante. A Hugues pare di fluttuare in una dimensione irreale. Mentre con lentezza cavalca Ghassan, tutto il suo corpo è invaso da una sensazione di piacere intensissimo. Gli sembra di non aver mai desiderato altro che questo culo perfetto, che le sue mani accarezzano e stringono.

E poi il piacere è troppo intenso per poter ancora essere tenuto a freno e dilaga, squassandolo.

 

Il mattino dopo un uomo viene trovato con la gola tagliata nei pressi dell’accampamento. È Sohier, un soldato di Amaury di Rochenoire. Nessuno sa chi possa averlo ucciso e perché. Amaury sospetta che Sohier fosse l’uomo che doveva uccidere Hugues: qualcuno potrebbe averlo indotto a compiere l’omicidio in cambio di una grossa somma. Quando il piano è fallito, è stato assassinato per evitare che parlasse. Forse sarebbe stato eliminato comunque da chi aveva escogitato il piano, per far credere che Amaury fosse implicato nell’omicidio di Hugues. Sono tutte ipotesi, forse infondate.

Chi può stare dietro a tutto questo? Amaury sospetta di Renaud, che come Hugues e lui stesso aspira al dominio su Cesarea. Ma non ha nessuna certezza.

 

*

 

Roussel è in cella. Si è lasciato prendere come un coglione. E adesso lo impiccheranno per aver ucciso quel figlio di puttana che gli ha ammazzato la donna.

La cella si apre ed entrano quattro soldati. Roussel ne conosce solo due: erano con quello stronzo che lui ha mandato dal diavolo. Roussel si tende. Che cazzo vogliono? Perché li hanno lasciati entrare?

Uno dei soldati ghigna.

- Siamo venuti a tenerti compagnia. Oggi pomeriggio paghi il conto, ma magari hai voglia di scopare ancora una volta, no?

Roussel arretra e si addossa alla parete. Ha capito benissimo, ma chiede:

- Che cazzo volete?

- Non ti capiterà più di scopare. Così abbiamo pensato di darti noi una mano.

Uno degli uomini scoppia a ridere. Anche gli altri ridacchiano. Uno aggiunge:

- Magari quando ti impiccano ti viene duro, ma non è la stessa cosa.

- Non vi avvicinate, figli di puttana.

- Ah no? Perché? Che cosa ci farai?

L’uomo ride. Roussel non risponde. I quattro avanzano. Roussel salta addosso al primo e lo fa cadere a terra. È sopra di lui e gli afferra la testa. La sbatte contro il pavimento della cella, ma gli altri lo bloccano e gli impediscono di dare al colpo la forza necessaria. Uno gli passa un braccio intorno al collo e Roussel sente che gli manca il respiro. Gli altri lo colpiscono con pugni in faccia e allo stomaco e calci alle costole e ai coglioni.

Roussel si trova steso a terra. Si becca ancora qualche calcio in faccia. Uno dei soldati è già sopra di lui e lo infilza con una spinta violenta.

- Bastardo!

Un calcio in faccia gli impedisce di continuare.

Uno dopo l’altro i quattro uomini lo inculano. L’ultimo è il soldato che lui ha mandato a terra. Questi, dopo averlo preso, gli afferra i coglioni e li stringe con forza. Roussel grida. L’uomo ride e stringe ancora più forte. Roussel urla ancora, poi ha l’impressione che il mondo svanisca.

Ha perso coscienza e solo quando gli uomini gli pisciano addosso si risveglia. I soldati se ne vanno sghignazzando.

 

*

 

Mikhael ha incominciato ad alzarsi. È ancora molto debole e ha bisogno che qualcuno lo sorregga. Il mattino, mentre Istfan segue gli altri malati, Mikhael si muove aiutato da Sarah. Nel pomeriggio Sarah rimane alcune ore con la bambina ed è Istfan ad accompagnare Mikhael in giro. Istfan è felice di dargli il braccio, di sentirlo appoggiarsi a lui. Mikhael non può camminare a lungo e dopo un po’ Istfan lo fa sedere nel giardino del palazzo: a Mikhael fa bene respirare all’aria aperta, non rimanere sempre nello spazio angusto della stanza.

Mentre Mikhael rimane seduto, lui e Istfan parlano. Stanno imparando a conoscersi. Tra loro si è stabilita una certa familiarità e si danno del tu.

- Tu parli benissimo l’arabo e porti un nome arabo, ma non musulmano.

Istfan annuisce.

- Sì, è il nome di un martire cristiano. Sono nato vicino a Rougegarde, che allora era ancora al-Hamra, la Rossa, in una famiglia cristiana. Nella regione di Rougegarde non ce n’erano molte, allora.

- Come mai hai studiato medicina?

- Mio padre era medico.

- Lavori alle dipendenze del duca?

- No, esercito nella città. Ma il duca, quando parte in guerra, porta sempre con sé, oltre al suo medico personale, Nabih, anche almeno un altro medico. Non si serve mai di medici franchi e per questo è mal visto da alcuni.

Istfan sorride e conclude:

- Ma ti dirò, Mikhael, i medici franchi sono spesso ignoranti e incompetenti.

Mikhael sorride.

- L’ho sentito dire anch’io.

C’è un momento di pausa. Istfan chiede:

- E tu, Mikhael? Sarah ha detto che non siete di Bilbeis.

- No, siamo nati al Cairo, ma Sarah si è sposata un mercante di al-Minya, una cittadina a sud del Cairo. Purtroppo non è stato un matrimonio felice. Suo marito era un violento e la sua famiglia le era molto ostile, anche perché Sarah ha avuto solo una figlia e nessun maschio.

- Ma è giovanissima.

- Si è sposata molto presto. Nostro padre era malato e voleva vedere la figlia sistemata prima di morire.

Istfan annuisce.

- E tu, che lavoro fai?

- Il fabbro. Lavoravo al Cairo, ma quando nostra madre è morta mi sono trasferito ad al-Minya, per dare una mano a Sarah.

Mikhael racconta della morte improvvisa del cognato e della loro decisione di partire. La versione dei fatti è quella concordata con Sarah prima di arrivare a Bilbeis e poi raccontata alla comunità ebraica di Bilbeis: la località di provenienza e il nome del marito non sono quelli reali. Mikhael aggiunge che sono partiti perché, rimanendo ad al-Minya, Sarah sarebbe passata sotto la tutela del cognato, un uomo brutale e violento: questo dettaglio Sarah e Mikhael non l’avevano narrato a nessuno a Bilbeis, ma Mikhael ritiene opportuno rivelarlo per spiegare i motivi della loro partenza.

Istfan ha l’impressione che Mikhael non gli racconti tutta la verità a proposito del marito di Sarah e della loro partenza da al-Minya, ma non insiste. Non sono affari suoi.

- E adesso? Contate di fermarvi qui?

- No, ma non abbiamo ancora deciso nulla. Non vogliamo che la famiglia del marito di Sarah la trovi. Avevamo pensato di trasferirci a Damasco, ma dobbiamo pensarci.

- Capisco.

Un soldato viene a chiamare Istfan, che lascia Mikhael. Tornerà dopo per riaccompagnarlo in camera.

Mentre si allontana, pensa che parlare con Mikhael, stargli vicino, accompagnarlo è fonte di gioia, ma anche di angoscia. Istfan ha paura di ciò che prova per quest’uomo. Ci sono momenti in cui il desiderio di toccarlo, di stringerlo è tanto forte che Istfan fa fatica a controllarsi.

Ormai non può più vederlo nudo, se non quando controlla le ferite o quando Mikhael si alza e si veste. In quei momenti Istfan non riesce a distogliere lo sguardo.

 

Nel pomeriggio Istfan accompagna Mikhael ad assistere all’impiccagione di Roussel. L’esecuzione è un gradito diversivo per la guarnigione e per la popolazione di Bilbeis, che vivono una situazione di incertezza e temono l’arrivo dell’esercito siriano.

Istfan non è molto interessato, ma Pierre gli ha chiesto di portare via Mikhael per poter parlare con Sarah. Mikhael invece segue con interesse l’impiccagione. Osserva gli uomini che trascinano Roussel fino alla forca e poi lo forzano a salire. Roussel cammina a fatica e ha in faccia segni di percosse e due tagli.

Il boia forza Roussel a salire su una scala a pioli appoggiata alla trave superiore della forca, gli infila il cappio al collo e poi con un calcio lo fa cadere di lato. Mentre il boia scende e toglie la scala, Roussel incomincia ad agitarsi freneticamente. Gli uomini guardano la sua danza selvaggia, gridando commenti sarcastici e ridendo. Infine i movimenti diventano più lenti e Roussel rimane immobile, il viso congestionato, la lingua che gli sporge dalla bocca.

Dopo l’esecuzione, Pierre controlla che vengano eseguiti gli ordini del conte Ferdinando, poi rientra nella stanza di Mikhael. C’è solo Sarah che aspetta il fratello: Mikhael è ancora fuori con Istfan, che si è impegnato a farlo rientrare più tardi, in modo che Pierre possa parlare con Sarah senza la presenza di nessun altro adulto. Incomincia con una frase generica:

- Non siete venuta a vedere l’esecuzione, Sarah.

Sarah scuote la testa.

- Non amo questi spettacoli. Non mi piace veder uccidere un uomo.

- Era colpevole di omicidio. Aveva ucciso un altro soldato.

Sarah guarda Pierre in viso:

- Se si dà la morte a un soldato per aver ucciso un altro soldato, non si dovrebbe punire anche chi ha ucciso anziani, donne, bambini indifesi?

Pierre china il capo.

- Sì, Sarah, vi do ragione.

C’è un momento di silenzio. Poi Pierre prosegue:

- La guerra è uccidere e questo non mi fa paura. Posso uccidere e venire ucciso in battaglia. Ma ciò che ho visto qui a Bilbeis è stato orribile. Non avevo mai assistito a niente del genere. Quando il duca di Rougegarde prende una città, le cose si svolgono in altro modo, ve lo assicuro.

- Lo credo, lo so: lo dicevano in tanti, qui a Bilbeis, speravano che fosse lui a entrare in città. Contavano di mettersi sotto la sua protezione. Ma non è stato così.

Sarah tace un momento, poi prosegue:

- Quante altre volte è successo quello che è avvenuto qui? Non sono solo i cristiani: anche i musulmani hanno fatto strage della popolazione di una città, tante volte. E nella Torah è scritto che Dio stesso ordinò di sterminare tutta la popolazione di Gerico…

Sarah si interrompe.

- È la guerra, Sarah.

- Che senso ha, Pierre? Che senso ha tutto questo odio? Sono contenta di non essere un uomo, di non dover combattere e uccidere. Perché gli uomini sono così carichi di odio?

Pierre non ha una risposta. Pensava di cercare di esprimere ciò che prova per lei, ma Sarah ha portato il loro dialogo su un altro piano e ora parlare dei propri sentimenti gli sembrerebbe assurdo.

- Non so che senso ha, Sarah. Non odio nessuno. Cerco di fare il mio lavoro come meglio posso. Non mi fermo a pensare, lo so. Forse dovrei farlo.

- Scusate, Pierre. Ciò che ho visto mi ha sconvolto. E in questi giorni in cui Mikhael è stato sospeso tra la vita e la morte mi sono posta tante domande.

Pierre annuisce. Poi dice:

- In questi giorni mi è capitato di chiedermi se, una volta tornato a Rougegarde, ritornerò ancora a fare il soldato.

Pierre non l’ha davvero pensato o almeno non ha formulato il pensiero chiaramente come fa ora.

- Che cosa potreste fare?

- Per un uomo giovane e forte è sempre possibile trovare un lavoro, Sarah. Le occasioni non mancano certo a Rougegarde. O da un’altra parte: non ho famiglia, non ho nulla che mi trattenga a Rougegarde se non la stima che ho per il duca. Ma non lo so, Sarah, sinceramente, non so che cosa farò. Devo pensarci.

Pierre aggiunge:

- E voi, voi che cosa farete? Da quel che mi dicevate, non contavate di fermarvi qui a Bilbeis, eravate solo di passaggio.

- Sì, la nostra intenzione era di trasferirci in Siria. Non vogliamo rimanere in Egitto, questo è sicuro. Ma non so che cosa faremo. Io e Mikhael ne stiamo parlando.

- Potreste venire a Rougegarde: tutti sono liberi di praticare la loro religione e non vi sono persecuzioni.

- Ci penseremo.

 

Mikhael si è addormentato nel giardino dove Istfan lo ha accompagnato perché rimanesse ancora un po’ al sole. Istfan lo lascia riposare. Gli piace guardarlo dormire. Di notte Istfan non lo può più fare: passa a fare un controllo, ma ha paura che Mikhael possa svegliarsi e vederlo. È già successo due volte: Mikhael ha il sonno molto leggero.

Che cosa succederà ora? Che ne sarà di Mikhael se la città verrà attaccata dai saraceni? Non dovrebbe succedergli nulla, non è venuto con i franchi. Sarebbe Istfan a rischiare, ma Istfan si preoccupa per Mikhael.

E se l’esercito franco ritornerà e partiranno tutti per la Terrasanta? Dovrà separarsi da Mikhael per sempre. A Istfan sembra di non poter lasciare Mikhael, quest’uomo che solo da pochi giorni gli parla. Non è amore, quello che prova, Istfan lo sa. Ma il corpo di Mikhael lo fa impazzire di desiderio.

 

Tristan ha assistito all’esecuzione, ma ha guardato più Mikhael e Istfan che l’agonia del condannato. Adesso li osserva ancora nel giardino. Si è messo in un punto in cui Istfan non può vederlo.

Ciò che ha sospettato è vero, non ci sono dubbi. Gli basta guardare in viso Istfan per capire che è attratto da Mikhael. L’ebreo non sembra ricambiare i sentimenti del medico, ma questo non rende Tristan meno infelice.

Tristan vorrebbe che Istfan ottenesse ciò che desidera. Che almeno lui possa essere felice. Su di sé sente gravare una cappa di piombo.

 

*

 

La sera Pierre e Istfan si ritrovano regolarmente, nella camera di uno dei due o sulla terrazza, dove possono parlare liberamente.

Istfan chiede a Pierre:

- Com’è andata con Sarah? Non puoi lamentarti di non avere avuto tempo.

- No, tu sei stato bravissimo, grazie, ma io non ho combinato niente.

- Come mai? Non ti sembrava ben disposta?

- No, è che abbiamo incominciato a parlare di ciò che è successo qui, quando la città è stata espugnata. E poi… cazzo! Non era proprio il momento. Sarà per un’altra occasione.

- Rischiano di non essercene più molte. Lo sai.

- Lo so.

C’è un momento di pausa, poi Pierre chiede:

- E tu, come va con Mikhael?

- Malissimo. Non riesco a parlargli, non so che cosa pensa. Se gli dicessi qualche cosa… forse gli farei schifo.

- Se non saggi un po’ il terreno, non potrai mai sapere che cosa pensa.

- Non è facile, Pierre. Non posso chiedergli se gli piacciono gli uomini. Non ci conosciamo abbastanza.

- E così anche tu rischi di perdere le ultime occasioni.

Istfan annuisce.

- Sì, Pierre. Il mio corpo arde e certe volte provo l’impulso di saltargli addosso… Dio mio, sono proprio pazzo.

- Non scopi con nessuno, vero?

- No, da quando sono partito da Rougegarde.

Poi Pierre chiede:

- Vai solo con gli uomini?

- Sì, non ho mai provato con una donna. Non mi interessa. Tu invece scopi solo con le donne.

Non è una domanda, ma Pierre risponde:

- No. Mi piacciono le donne, ma durante le campagne mi succede spesso di scopare con qualche soldato. Non sono abituato a rimanere a lungo in astinenza.

Istfan non dice nulla. Rimangono in silenzio un buon momento. Poi Istfan si congeda e torna nella sua camera.

 

*

 

L’esercito dei franchi è ancora accampato non lontano dal Cairo, dove l’incendio continua a divampare. Nelle riunioni che ha tenuto con i comandanti, re Amalrico ha sempre fatto il punto della situazione, senza affrontare l’argomento di cui discute tutto il campo: che cosa fare.

Alcuni dei signori franchi, come Amaury di Rochenoire e Hugues d’Arbert, sono più propensi a tornare indietro. Altri, come Renaud di San Giacomo d’Afrin e Jorge da Toledo, vorrebbero sferrare un attacco alle fortificazioni. Denis di Rougegarde evita di pronunciarsi: ne ha parlato solo con Guillaume. Denis sa benissimo che la spedizione è fallita.

Hugues è irrequieto. Amaury non capisce i motivi del suo nervosismo e gli chiede:

- Che cosa c’è, Hugues?

- Speravo che questa spedizione mi avrebbe dato l’occasione di compiere qualche atto di valore, per assicurarmi Cesarea, ma a Bilbeis non c’è stata una grande battaglia e temo che non ce ne saranno altre.

- No, Denis di Rougegarde mi sembra molto scettico sulle nostre possibilità di occupare il Cairo. E di solito ha ragione. Direi che ha sempre ragione. Forse avremo ancora battaglie lungo la via del ritorno, ma non per la conquista del Cairo.

- È quello che temo anch’io. Vorrei che la mia situazione si definisse. Che mi assegnasse Cesarea o che me la togliesse. Non rimanere in sospeso. Non ha senso.

- Al nostro ritorno Amalrico prenderà una decisione.

 

Re Amalrico è incerto. Sa che rimanere è inutile, ma tornare indietro significa rinunciare a ogni speranza di sottomettere l’Egitto. Vorrebbe chiedere un parere a Denis d’Aguilard, ma evita di farlo: è ancora irritato con lui. Denis preferisce non dire nulla: sa che il suo parere non piacerebbe al re. Il visir Sawer ha offerto al re una grossa somma, parte del tributo dovuto. Amalrico si chiede se accettare.

Una notizia mette fine a ogni indugio: su richiesta di Sawer, il signore della Siria ha inviato un esercito a sostegno degli egiziani. Gli assalitori rischiano di trovarsi tra due fuochi. Sawer è uno che ha sempre fatto il doppio gioco.

I nobili franchi si riuniscono a consiglio.

Jorge da Toledo propone di passare all’azione:

- Perché rimaniamo inattivi? Che senso ha? Dobbiamo attaccare il Cairo ed espugnare la città.

Gli risponde Denis di Rougegarde:

- Non abbiamo né le forze necessarie, né il tempo per riuscire a espugnare la città prima dell’arrivo dell’esercito siriano.

- Quando la flotta ci raggiungerà…

- La flotta non ci raggiungerà. Il Nilo è bloccato.

Jorge sbotta:

- Siamo venuti fin qui per nulla?

- Siamo venuti fin qui per cercare di tenere sotto controllo l’Egitto, ma dobbiamo fare i conti con la realtà. Non possiamo conquistare il Cairo in queste condizioni. Anche nel caso che, con qualche manovra fortunata, ci riuscissimo, sarebbe impossibile tenere la città a lungo.

Tutti concordano con Denis, salvo Jorge da Toledo. Amalrico si rassegna a ordinare la partenza.

Dopo la riunione, Guillaume parla con Denis.

- Re Amalrico è piuttosto freddo con te. Fino a Bilbeis eri sempre il primo a cui richiedeva un parere e quello che veniva ascoltato con maggiore attenzione.

- Il re se l’è presa perché gli ho detto che il massacro di Bilbeis non è stato solo una mostruosità, ma anche un errore politico gravissimo. Temeva che avessi ragione e quanto è successo al Cairo ha confermato i suoi timori.

- Capisco che tu abbia ferito il suo amor proprio, ma un re deve agire sempre nell’interesse del regno e non lasciare che l’orgoglio interferisca nelle sue decisioni.

- Amalrico lo sa benissimo, Guillaume. E non mi ascolta con minore attenzione, anche se lo nasconde. Vuole che sia chiaro che nei miei confronti è freddo, ma al mio parere tiene ancora.

Guillaume riflette un momento, poi annuisce:

- Sì, è vero. Quando tu parli, guarda da un’altra parte, ma non perde una parola.

 

*

 

Istfan è pallido e stanco. Nelle ultime notti ha dormito pochissimo. Sa che tra poco dovrà separarsi da Mikhael, da quest’uomo che il caso gli ha fatto incontrare e per cui prova quest’attrazione violenta, che cresce di giorno in giorno. Mikhael è diversissimo da lui e loro due hanno ben poco in comune. Ma desidera il corpo di Mikhael con tutto se stesso.

Nei giorni scorsi ha cercato di capire i progetti di Mikhael e Sarah, ma ha ottenuto risposte vaghe. Sarebbe disponibile a rimanere a Bilbeis con loro, anche se rischierebbe la vita: non è un franco, non è un soldato, ma è pur sempre venuto con l’esercito franco.

La sera Pierre passa a trovarlo.

- Istfan, tu non stai bene.

- Niente di grave, Pierre. Non dormo. La tensione, la paura di perdere Mikhael, il desiderio. Mi sveglio…

Istfan si interrompe. È Pierre a completare la frase, sorridendo:

- …con il cazzo duro.

- Sì. E più volte durante il giorno provo un desiderio violento.

- Non hai un compagno, vero? A Rougegarde, intendo. Mi hai detto che scopi di rado.

- No, non ho mai avuto nessuno. Qualche rapporto occasionale. Mi sembrava che andasse bene così.

- Per ridurre un po’ la tensione, sì, va bene così. È quello di cui avresti bisogno anche ora, Istfan. Potresti farti vedere dal conte…

Istfan china il capo e se lo prende tra le mani.

- Non lo so, Pierre. Non so più nulla. Forse sì, avrei bisogno di scaricare un po’ questa tensione, ma non posso mica…

Pierre si alza e va alla porta. Si assicura che sia ben chiusa, poi si toglie la camicia.

Istfan guarda l’amico, il petto forte, la peluria scura. Gli sembra che il fiato gli manchi. Mormora:

- Pierre…

- Io amo Sarah, Istfan. E tu desideri Mikhael. E siamo tutti e due nella merda. Ma forse questa sera possiamo consolarci un po’. Non ti amo, ma ti voglio bene, per me sei un amico. E anch’io ho bisogno di stringere un corpo.

Istfan tace. Poi annuisce. Non sa se quello che stanno per fare è giusto, ma ne hanno bisogno tutti e due.

Istfan si alza e rimane impacciato. Sorride a Pierre, che si avvicina e gli solleva la camicia. Istfan alza le braccia, in modo che Pierre possa toglierla del tutto. Pierre sorride e poi lo stringe. Istfan ricambia l’abbraccio di Pierre. Non si baciano, ma quella stretta fa bene a tutti e due. Istfan appoggia la testa contro il petto di Pierre. Ne sente l’odore e il desiderio si tende, impetuoso, togliendogli il fiato.

Dopo essere rimasti un buon momento abbracciati, Pierre abbassa i pantaloni di Istfan con un gesto brusco, poi gli afferra le natiche e le stringe. A Istfan sfugge un:

- Sì!

Le mani di Pierre stringono, poi le dita scivolano lungo il solco tra le natiche e il medio della destra indugia sull’apertura, stuzzicandola. Istfan si sente mancare. China un po’ la testa e mordicchia un capezzolo di Pierre.

Pierre gli accarezza la testa con la sinistra, ma intanto un dito della destra si spinge in avanti, penetrando nel corpo di Istfan.

- Pierre…

Pierre lo accarezza ancora, poi gli dice:

- Stenditi.

Istfan si libera dei pantaloni e si stende sul letto.

Pierre gli accarezza la schiena, poi si stende su di lui. Gli mordicchia un orecchio.

- Ora, Istfan.

Pierre si inumidisce due dita e accarezza l’apertura di Istfan, preparando la strada. Ripete l’operazione due volte, poi sputa sulla mano e si inumidisce la cappella. L’appoggia con delicatezza contro l’apertura e spinge in avanti. Istfan mugola.

Non è la prima volta che Pierre prende un uomo, ma il corpo che sta stringendo è quello di un amico, di qualcuno a cui si sente davvero vicino. E accanto al piacere fisico, intenso, c’è anche questa sensazione di intimità, che dà al loro abbraccio un altro valore.

Pierre cavalca piano e le sue mani accarezzano il corpo di Istfan, si impigliano tra i suoi capelli, lo solleticano.

E quando infine Pierre sente che la tensione è troppo forte per essere ancora contenuta, si volta su un lato, senza interrompere il movimento e con la mano porta Istfan a raggiungere, insieme a lui, il piacere.

Poi lo cinge con un braccio e rimane steso contro di lui. Lo bacia leggermente sulla nuca. È stato bello, molto bello. Vuole bene a Istfan.

- Com’è stato, Istfan?

Istfan non risponde direttamente.

- Grazie, Pierre.

- Grazie a te. È stato bello starti così vicino, Istfan. Tengo molto a te, come amico. E credo che sia una buona cosa che abbiamo scopato, io e te.

- Sì, Pierre, credo che tu abbia ragione.

 

*

 

Tristan guarda le stelle. Con Istfan ha poche occasioni di parlare, adesso che è guarito. Istfan non lo cerca e Tristan non vuole imporsi. Istfan passa il suo tempo con Mikhael, l’ebreo, e con Pierre. Tristan non osa avvicinarglisi. Gli sembra che per lui non ci sia spazio neppure come amico. Istfan nei suoi confronti è premuroso e sempre gentile, ma è lontano, perso in emozioni e desideri che ha scelto di non condividere con lui.  

Tristan sente crescere dentro di sé la disperazione. Perché si è innamorato di Istfan, lui, l’uomo di fatica di una locanda?

Tristan pensa a Emich, a Morqos. Ha bisogno di tornare a Rougegarde, di ritrovare il loro affetto, di stringersi ancora a loro, di sentire che qualcuno gli vuole bene.

 

*

 

L’esercito franco è di ritorno a Bilbeis, accolto con gioia dalla guarnigione: se dovranno affrontare il nemico, i soldati di stanza a Bilbeis non dovranno farlo da soli. Ma non ci sarà una battaglia a Bilbeis: le truppe si fermeranno solo un giorno. Dopodomani la città sarà evacuata dai soldati e rimarranno soltanto i pochi abitanti superstiti.

Denis fa un giro tra gli uomini delle sue truppe feriti o malati. Con Nabih e Istfan valuta la situazione, per capire come riportarli in Palestina. Sa bene che chiunque fosse lasciato indietro, sarebbe massacrato dagli abitanti.

Denis raggiunge la stanzetta dove si trova Mikhael. Sapere che si è risvegliato e che è fuori pericolo gli ha fatto molto piacere. Sarah è seduta accanto a Mikhael, che ha alcuni cuscini dietro la testa. Accanto a lui c’è la bimba.

Sarah si alza all’ingresso del duca e si inchina. Mikhael china la testa.

- Buongiorno, duca. Sapevamo che eravate arrivato. Siamo felici di rivedervi sano e salvo.

- Grazie. Posso dire lo stesso per voi, Mikhael. Quando vi ho lasciato, non sapevo se vi sareste risvegliato. Adesso però ho bisogno di parlare a entrambi.

- Diteci, duca. Siamo ai vostri ordini.

- Mikhael, Sarah, le truppe franche ritornano in Terrasanta, come forse saprete. Che cosa pensate di fare? So che non siete di Bilbeis. Vi fermerete qui o pensate di raggiungere qualche altra località in Egitto? Vorrei sapervi al sicuro.

Negli ultimi giorni, Mikhael e Sarah hanno discusso a lungo del futuro che li attende. Mikhael si rivolge al duca:

- Duca, ci avete salvati e siete stato generoso nei nostri confronti. Dio ve ne renda merito. Vi chiediamo una grazia, se volete concedercela.

- Ditemi. Se è in mio potere, lo farò.

- Vi chiediamo di portarci con voi a Rougegarde. Non vogliamo rimanere qui.

Denis è stupito della richiesta, ma non dice nulla. Si rivolge a Nabih, che è entrato anche lui nella stanza, mentre Istfan è rimasto in una delle camerate.

- Ritenete che Mikhael possa viaggiare?

- Penso di sì, come altri feriti. Ma forse è meglio che parliate con Istfan, che l’ha seguito in questo periodo.

Istfan sta dando le istruzioni per il trasporto di alcuni feriti, quando il duca lo fa chiamare nella camera di Mikhael.

Istfan completa le istruzioni e si dirige rapidamente verso la camera di Mikhael. Ha paura di quello che verrà detto: Mikhael e Sarah devono aver preso una decisione sul loro futuro. Istfan rischia di non vedere più Mikhael.

Nel corridoio si deve fermare un momento: ha l’impressione che gli manchi il fiato. Quando il duca dice che Mikhael e Sarah verranno con loro a Rougegarde, Istfan prova una gioia immensa, ma l’emozione è troppo forte. Istfan vede il mondo oscillare paurosamente e deve appoggiarsi alla parete per non cadere.

- Istfan! Non state bene?

- No, no, scusate. È la stanchezza di questi giorni.

Sarah interviene:

- Lavorate troppo, Istfan.

Sarah prosegue, rivolta al duca:

- In queste settimane è stato sempre vigile, di giorno e di notte.

Istfan si fa forza. Mikhael a Rougegarde. Faranno il viaggio insieme. Potranno vedersi. Gli sembra che gli abbiano tolto un peso enorme dal petto. Sente appena la domanda che gli fa Nabih. Risponde:

- Sì, certo, con le dovute precauzioni. Non può camminare o cavalcare a lungo, ma per brevi tratti sì.

Poi aggiunge:

- Scusate, devo tornare da un malato.

Esce rapidamente. Non vuole che lo vedano piangere.

 

*

 

Il ritorno a Gerusalemme avviene senza particolari difficoltà: Shirkuh, il generale curdo inviato da Nur ad-Din, ha seguito un’altra strada. Forse è stato un caso, forse una scelta: non aveva nessun motivo per attaccare il nemico che si ritirava. Shirkuh è già in Egitto e ha passato il Nilo.

La sua missione è quella di portare soccorso al Cairo e di tenere sotto controllo la situazione in Egitto. Ormai Nur ad-Din, che domina sulla Siria, non si fida del visir Sawer, che ha già in passato tradito.

Pochi giorni dopo l’arrivo al Cairo, Sawer viene catturato e ucciso dal nipote di Shirkuh, Salah ad-Din: un nome che i franchi impareranno presto a conoscere.

Shirkuh diventa il nuovo visir.

 

 

IV – Un erede per Cesarea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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