Yoh’anan
entra in casa, scuro in volto. Quel figlio di puttana di Chmouel,
il tintore, non vuole pagargli il debito, dice che non ha nemmeno i soldi per
sfamare la famiglia, che non ce la fa. Quando Yoh’anan ha minacciato di
fargli sequestrare gli arnesi del suo lavoro, Chmouel
gli ha urlato che è una sanguisuga, che farsi prestare denaro da lui
significa mettersi un cappio al collo. Chmouel
sapeva benissimo quali erano i patti. Aveva solo da non chiedere denaro in
prestito. O da non mettere al mondo sette figli per poi non riuscire a
mantenerli. E anche quella vecchia strega di Rah’el
dice che non riesce a pagare. Tutti pronti a chiedere soldi, ma quando si
tratta di renderli… Yoh’anan
è furente. La
piccola Miriam vede subito che il padre è di cattivo umore. Ha imparato in
fretta che in questi casi è meglio girare alla larga. -
Vieni qui, Miriam. Miriam
si sente crollare il mondo addosso. Ha paura, come sempre quando suo padre la
chiama con quel tono di voce. Sa bene che cosa succederà: il padre le porrà
qualche domanda difficile, lei non saprà rispondere e lui la picchierà.
Miriam vorrebbe fuggire, ma sa che sarebbe ancora peggio. -
Miriam, dimmi chi furono i discendenti di Abramo. Miriam
trema. Con voce incerta, recita: -
Abramo generò Isacco, Isacco generò… Se
suo padre non fosse arrabbiato, forse Miriam riuscirebbe a ricordare, ma ha
appena quattro anni e vedere il padre nervoso la spaventa. -
Allora? Non puoi fermarti a Isacco! -
Isacco generò… Giuseppe. Lo
schiaffo arriva subito, violento. Miriam lancia un grido e corre via in
lacrime. Yoh’anan
sibila: -
Stupida come la madre. Sarah
consola la bimba abbracciandola. Non dice niente: sa che è più saggio non
difendere la figlia. -
Hai preparato il pranzo? - È
tutto pronto. Yoh’anan
si siede a tavola. -
Perché non c’è il latte? -
H’ava non l’ha portato. - E
perché non sei andata a prenderlo? - Mi
hai proibito di uscire di casa. Yoh’anan
sa bene che è vero. Sarah ha ventiquattro anni ed è bella come il sole, anche
se il suo viso porta i segni delle percosse e della sofferenza, Yoh’anan ne
ha cinquantaquattro. Yoh’anan non vuole che Sarah esca di casa. Le donne sono
tutte puttane e si fanno sedurre dal primo giovane maschio che le abborda per
strada. Ma Sarah il latte doveva procurarselo. Yoh’anan si alza in piedi di
scatto. - In
questa casa non si può avere mai niente. Lavoro fuori tutto il giorno e
fatico. Torno a casa e non trovo neanche un pasto preparato come Dio comanda.
Sei una puttana e nient’altro. Miriam
scoppia a piangere. Sarah cerca di prenderla tra le braccia, ma un violento
ceffone la fa cadere a terra. La bambina urla più forte e anche su di lei si
abbatte la furia di Yoh’anan. -
No, lasciala, lasciala! Non ha fatto niente! Uno
schiaffo più violento scaglia Miriam a terra. La bambina batte la testa e un
po’ di sangue le cola dal naso. Sarah
grida, si getta su Miriam, la prende e corre via. Apre la porta di casa e
fugge con la bambina. Non l’ha mai fatto prima, anche se l’ha spesso pensato.
Yoh’anan
grida: -
Torna indietro, puttana! Non
l’insegue. Non ne ha voglia, non vuole fare una scenata per strada. I vicini
sparlano già abbastanza di lui. Non che gliene fotta niente dei vicini: hanno
solo da farsi i cazzi loro. Yoh’anan è un uomo ricco e potente, la sua
famiglia controlla la produzione di lino di mezza città. Sarah
se l’andrà a riprendere dopo. Sa dov’è andata, quella stronza: dal fratello,
quel poco di buono di Mikhael. Nessun altro oserebbe ospitare Sarah, sfidando
Yoh’anan. Yoh’anan
si siede. Medita sul da farsi. Potrebbe rivolgersi a suo cugino il rabbino,
che costringerebbe Sarah a tornare a casa, ma gli scoccia mettere i suoi
affari in piazza. C’è già tanta gente che sparla di lui: dicono che è un
usuraio, un violento. Dicono tante altre cose cattive su di lui e sui suoi
fratelli, solo perché si sono arricchiti con il loro lavoro. Sono invidiosi
della loro ricchezza. Yoh’anan non vuole sputtanarsi. Meglio risolvere la faccenda
per conto proprio. Ma
quel Mikhael… Un carattere di merda, sempre pronto
a difendere la sorella. Yoh’anan
ha mangiato e adesso è pronto. Al momento di uscire decide che è meglio
premunirsi: prende un pugnale e lo nasconde nel mantello. Mikhael è più
giovane e robusto, ma anche Yoh’anan è forte e se quel figlio di puttana
cerca di opporsi, Yoh’anan si riprenderà quello che è suo, a costo di
sbudellarlo. È quello che dovrebbe fare, solo così quella puttana di Sarah
abbasserà la cresta. Sì, può dire che Mikhael ha cercato di ammazzarlo e che
lui si è solo difeso. Quel bastardo non ha appoggi qui, viene dal Cairo,
tutti daranno ragione a Yoh’anan, non a un forestiero come Mikhael. Una volta
morto quel bastardo, Sarah capirà. La
casa di Mikhael è all’altra estremità del paese, ma Bani Suwayf
non è un centro molto grande. Yoh’anan cammina di buon passo. La mano
accarezza il coltello. È ormai notte. Meglio così: che la gente non veda e
non parli. Yoh’anan
bussa alla porta. Ad aprirgli è Mikhael. Basta guardarlo in faccia per capire
che Sarah è andata da lui e gli ha raccontato tutto. -
Che cosa vuoi? In questa casa non sei gradito. -
Voglio quello che è mio. Credi che venga qua per il mio piacere? Da te non ci
verrei certo per mia scelta. -
Qui non c’è niente di tuo. Tornatene a casa. -
Con le buone o con le cattive mi prenderò quello che mi spetta. Quella
puttana di tua sorella e sua figlia sono qui, lo so. Togliti. Mikhael
rimane sulla soglia, sbarrandogli il passo. - Se
pensi che sia una puttana, ripudiala. Yoh’anan
ride. - Ti
piacerebbe, stronzo, eh? Togliti, ti ho detto. Mikhael
non si muove. -
Vattene via. Yoh’anan
fa un passo indietro, come se volesse ritirarsi, poi si slancia, spingendo
Mikhael contro il muro ed entra. Mikhael lo afferra. Yoh’anan
si divincola e tira fuori il coltello. -
Stammi alla larga, stronzo! Ammazzo te e poi lei. -
Non le farai altro male, bastardo. Mikhael
si lancia su Yoh’anan, che vibra una coltellata. Mikhael la scansa e gli
blocca il polso. Lottano. Yoh’anan è furente per l’oltraggio subito e ben
determinato a riprendersi ciò che è suo. Avvinghiati, i due cadono a terra.
Yoh’anan emette un grido che diventa un breve rantolo. * Mikhael
si solleva. È riuscito a piegare il polso di Yoh’anan mentre cadevano, in
modo che il cognato si ferisse con il proprio coltello. Mikhael estrae il
pugnale dalla ferita e lo immerge nel cuore di Yoh’anan. Questi emette un
gemito e rimane inerte. Mikhael sorride. Da
tempo Mikhael voleva mettere fine alla serie di soprusi che hanno reso la vita
di Sarah un inferno. Ha sempre odiato il cognato, ma fino a ora non ha potuto
fare niente. Ha spesso meditato di ucciderlo, ma Sarah sarebbe passata sotto
l’autorità del fratello di Yoh’anan e la sua situazione non sarebbe certo
migliorata. Mikhael
ha preparato tutto per la fuga, ma non è mai riuscito a convincere Sarah. Sarah
si affaccia sulla porta della stanza. Ha sentito il grido ed è venuta a
vedere. Si porta le mani alla bocca, vedendo il corpo del marito steso a
terra, ma non le sfugge nessun suono. -
Abbiamo lottato, è caduto e si è ucciso sul suo stesso coltello. Mikhael
non ritiene il caso di dire a Sarah che il secondo colpo, quello sicuramente
mortale, l’ha inferto lui quando ormai il cognato non era più in grado di
difendersi. Anche se Yoh’anan era un bastardo e l’ha fatta soffrire per anni,
Sarah non potrebbe accettare l’idea che Mikhael l’abbia ucciso
deliberatamente. -
Ora dobbiamo andarcene, Sarah. Sarah
annuisce. Sa anche lei che adesso non c’è nessun’altra possibilità. Mikhael
nasconderà il cadavere, in modo che non lo trovino tanto presto. Sarah
tornerà a casa a raccogliere alcune cose da portare con sé e poi se ne
andranno tutti e due. Dovranno lasciare l’Egitto, questo è chiaro. * Le
truppe franche sono a Bilbeis, la porta dell'Egitto
per chi arriva dal Sinai. La città è cinta d’assedio da tre giorni. Re
Amalrico vuole prenderla in fretta, per poter marciare sul Cairo e
costringere il visir a rispettare i patti. Amalrico
ha convocato tutti i cavalieri al comando di truppe. -
Non possiamo fermarci a lungo a Bilbeis. Dobbiamo
vincere ogni resistenza e conquistare la città rapidamente, per poter
marciare sul Cairo. Ma sono in arrivo alcune truppe che il visir Sawer ha mandato in aiuto della città. I nostri
informatori ci dicono che non sono numerose, ma costituiscono comunque una
minaccia. Denis
di Rougegarde osserva: -
Una parte dell'esercito può affrontare le truppe saracene che stanno
arrivando in appoggio ai difensori della città. È meglio che lo scontro
avvenga lontano dalle mura, in modo che non sia possibile una manovra
congiunta tra le truppe di stanza a Bilbeis e
quelle in arrivo. Non vedendo arrivare i soldati inviati in loro soccorso, i
difensori si scoraggeranno. Il
parere di Denis trova tutti d'accordo. Renaud sa benissimo che Denis ha
ragione, ma vuole evitare che il duca acquisisca ulteriore influenza sul re.
Dato che Amalrico mira a conquistare la città il più in fretta possibile,
avanza l'obiezione che il re stesso potrebbe formulare: - Questo
rischia di ritardare ulteriormente la conquista della città. Denis
risponde senza esitare: -
Gli altri soldati potranno comunque lanciare l'attacco contro le mura. Se le
truppe in arrivo non sono numerose, non sarà necessario stornare molte forze
dall'assedio per affrontarle. Dobbiamo solo elaborare una strategia adeguata
per la battaglia. Fermando quelle truppe, l’assalto alla città potrà avvenire
senza il timore di essere attaccati alle spalle. - Ve
ne occuperete voi, duca. Sarete al comando delle truppe che dovranno impedire
all’esercito mandato dal visir di raggiungere la città. -
Come volete, Sire. Nessuno
ha obiezioni. Tutti sanno che Denis è il miglior stratega dell’esercito,
forse l’unico che davvero conosca le tecniche usate dai saraceni e sia in
grado di evitare le loro trappole, spesso riuscendo invece a utilizzarle a
danno degli avversari. Non a caso è il terrore dei saraceni e la sua presenza
semina facilmente il panico tra i nemici. Re
Amalrico prosegue: -
C’è un altro problema. Perché l’attacco alla città riesca, dobbiamo riuscire
in qualche modo a indebolirne le difese almeno in un punto, in cui potremo
concentrare gli sforzi. Accanto alla porta orientale vi sono due grandi
torri, rigidamente sorvegliate, poiché controllano uno dei principali
ingressi della città. Più a nord ve n’è una terza, meno robusta, che non
corrisponde a una porta: i saraceni la chiamano la torre di Hussein. Se
riuscissimo a eliminare le sentinelle questa notte, i nostri uomini
potrebbero avvicinarsi alle mura in quel punto e predisporre alla base una
miscela di legname, olio, pece, resina e canne. Al momento dell’attacco
potremmo facilmente incendiare la miscela, danneggiando la torre di Hussein.
Se crollerà, sarà più facile riuscire a entrare. Amalrico
non aggiunge altro. Aspetta che qualcuno si offra. La
missione è quanto mai rischiosa. Renaud sa benissimo che offrirsi sarebbe un
buon modo per distinguersi agli occhi del re e avere qualche possibilità in
più di ottenere Cesarea, ma in questa missione è forte il rischio di
guadagnarsi una tomba invece della città. Naturalmente non è detto che uno
dei signori franchi debba partecipare personalmente all’impresa: si possono
mandare alcuni uomini fidati, ma questo non servirebbe per acquistare merito
agli occhi del re. Renaud sa che sicuramente Joscelin
sarebbe l’uomo adatto per una missione di questo tipo: è coraggioso,
determinato e non arretra davanti a niente. Ma Renaud non ha nessuna
intenzione di mettere a repentaglio la vita del suo uomo di fiducia: Joscelin è l’unico a cui può affidare certi compiti e
Renaud l’ha portato con sé perché potrebbe servire per i suoi piani. Renaud
pensa a quali altri dei suoi uomini potrebbe mandare, ma mentre riflette,
qualcuno dice: -
Vado io. A
parlare è stato Ferdinando. A Renaud neppure questo va a genio. Ha sempre il
timore che Denis di Rougegarde faccia assegnare Cesarea a Ferdinando. Però se
Ferdinando rimanesse ucciso nella missione, sarebbe un rivale in meno. Il
re e i nobili del regno discutono ancora un buon momento, poi Amalrico
conclude, riassumendo i compiti assegnati a ciascuno: -
Duca di Rougegarde, voi guiderete le truppe che affronteranno l'esercito in
arrivo. Cavaliere di Rochenoire, voi guiderete le
truppe che attaccheranno da nord; barone di San Giacomo d'Afrin,
voi sarete a capo di quelle che si muoveranno da sud; io guiderò quelle che
cercheranno di entrare da est e voi, barone d’Arbert,
sarete con me. Amalrico
prosegue: -
L’attacco simultaneo confonderà i difensori. Se la torre crollerà, noi
invaderemo la città e apriremo la porta occidentale, da cui entreranno tutte
le nostre truppe. Infine
Amalrico si rivolge a Ferdinando: -
Conte d'Arram, nella notte cercherete con alcuni
uomini di vostra fiducia di penetrare nella città e di uccidere le sentinelle
sulla torre. Domani accompagnerete il duca di Rougegarde. Guillaume
di Hautlieu si rivolge allora ad Amalrico: -
Sire, come ritenete che debbano muoversi i cavalieri del Tempio? Amalrico
riflette un momento, poi risponde: -
Una parte avrà il compito di fermare, insieme al duca di Rougegarde, le
truppe saracene che stanno arrivando. Gli altri attaccheranno la città con
noi. Guillaume
è il capo del corpo di spedizione: è a lui che spetta la decisione di come
dividere le truppe. Si rivolge a Jorge da Toledo: - Io
accompagnerò il duca di Rougegarde. Voi, fratello, guiderete i cavalieri che
andranno all'attacco della città. Guillaume
non è contento di affidare questo compito a Jorge, di cui conosce la ferocia
e l'odio contro i saraceni, ma il toledano è il cavaliere di grado superiore
dopo Guillaume e negargli il comando sarebbe uno sgarbo. Amalrico
conclude: -
Signori, conto che domani ognuno di voi dia il meglio di sé. Dal vostro
valore dipende la conquista di Bilbeis e di tutto l’Egitto,
senza cui la nostra stessa presenza in Terrasanta è incerta. Amaury
di Rochenoire e Hugues d’Arbert escono insieme dalla tenda di re Amalrico. Amaury
sorride e provoca Hugues: -
Così domani avremo modo di mostrare il nostro coraggio. Cercherò di mostrarmi
più valoroso di te, in modo che il re decida di assegnarmi Cesarea. -
Bada, se farai una cosa del genere, dopo la conquista ti aspetterò in qualche
vicolo buio per tagliarti la gola. - Mi
hai dato una buona idea. Mi sembra anche più facile che mostrarsi tanto
valorosi… -
Starò in guardia. Buona notte, Amaury. -
Buona notte, Hugues. Ferdinando
si avvicina ad Amaury. -
Fai un salto da me, Amaury? Amaury
aggrotta la fronte. Ha capito benissimo che intenzioni ha Ferdinando: -
Ferdinando, questa notte hai una missione pericolosa da compiere. Non ti
converrebbe cercare di dormire? -
Porcoddio, devo rischiare di andarmene da questo mondo senza neppure aver
scopato un’ultima volta? Amaury
scuote la testa. -
Sei incorreggibile. Verrò da te tra non molto. Denis
è rimasto in disparte. Quando Amaury si allontana, raggiunge Ferdinando. - Vi
accompagno alla tenda. -
Ben volentieri. Ferdinando
ha capito che Denis vuole parlargli. Quando sono nella tenda, Denis gli dice: -
Ferdinando, prendete con voi Pierre e altri due soldati che vi darò. Sono
uomini fidati, che possono esservi d’aiuto in questa missione pericolosa. E
conoscono bene l’arabo. Ferdinando
sa che Denis si preoccupa per lui e gliene è grato. - Vi
ringrazio, duca. Ormai
si danno quasi sempre del voi. Malgrado la loro lunga amicizia, Ferdinando si
sente in soggezione nei confronti di Denis. Non è il titolo di duca a
intimorirlo, ma la coscienza che Denis è un uomo di un’altra stoffa. Solo
quando si ritrovano con Guillaume, la familiarità tra Denis e il templare
riporta anche Ferdinando ai vecchi tempi, quando erano solo tre guerrieri
sconosciuti e certamente Ferdinando non immaginava che un giorno sarebbe
diventato conte. Ferdinando
e Denis definiscono alcuni dettagli, poi Denis se ne va. Amaury
arriva un po’ più tardi. Alla
luce della lampada, Ferdinando si spoglia rapidamente. Amaury ne osserva il
corpo mentre anche lui si toglie gli abiti. Come sempre ammira la forza del
conte. Il suo sguardo incrocia quello di Ferdinando, che sorride, poi scende
lungo il corpo, dal collo al torace e poi al ventre. Amaury guarda le
numerose cicatrici, lasciate dalle battaglie e dalle cacce, sul petto, sulle
braccia e sulle gambe. Poi gli occhi si fissano sul cazzo vigoroso, che già
solleva la testa, e sui magnifici coglioni. Come spesso gli succede davanti
al conte, Amaury prova un senso di smarrimento. Amaury
si inginocchia davanti a Ferdinando. Ora la sua bocca è a un palmo dalla
cappella di Ferdinando. Con una voce che esce roca, Amaury chiede: -
Fammi bere. Ferdinando
sorride. Incomincia a pisciare. Amaury beve. * Miriam
è in braccio allo zio e gioca con la sua barba. Miriam è felice. Coglie che
la madre e lo zio sono preoccupati, ma per lei, che non si era mai mossa da
Bani Suwayf, il viaggio è stato un continuo
incanto. E stare con la mamma, lontano dalla violenza del padre, è un
paradiso. Lo zio la intimorisce un po’, ma con lei è sempre buono. Mikhael
la stringe e le accarezza il capo, mentre osserva l’esercito franco dall’alto
delle mura. Sarah
mormora: -
Venire qui è stata una follia. Mikhael
scuote la testa e dice alla nipote, ridendo: -
Ahi! Mi stai staccando tutti i peli della barba. Poi
si rivolge alla sorella: -
Non potevamo prevedere che i franchi avrebbero attaccato. E non potevamo
rimanere a Bani Suwayf. Sarah
chiude gli occhi. No, non potevano rimanere a Bani Suwayf.
Mikhael e forse anche lei sarebbero stati accusati di omicidio. E, se fosse
stata dichiarata innocente, il cognato Binyamine
l’avrebbe presa con sé: un uomo violento come il fratello e determinato a
vendicarsi. Sarebbero
potuti rimanere al Cairo, dove si sono fermati una sola notte, ma nella
capitale troppa gente conosce la loro famiglia e quella del marito di Sarah.
Nel delta nessuno sa chi sono. Hanno dato un nome di famiglia falso:
contavano di trasferirsi in Siria prima che qualcuno potesse scoprire la loro
vera identità. La
nuova spedizione dei franchi li ha bloccati a Bilbeis,
che ora è sotto assedio. Non possono andarsene e la loro vita è in pericolo.
L’arrivo dei franchi li ha presi di sorpresa. Quando ne hanno sentito
parlare, hanno perfino pensato che la guerra avrebbe favorito la loro fuga. Ora
guardano sgomenti l’esercito degli assedianti. Hanno imparato i nomi dei
principali signori franchi: il duca di Rougegarde, il Cane dagli occhi
azzurri, il comandante più temuto ma anche il più rispettato dagli arabi; il
barone di Afrin, che perseguita i musulmani rimasti
sotto il suo dominio; il conte d’Arbert, che di
recente è diventato governatore di Cesarea, e molti altri. Per la prima volta
hanno visto i cavalieri del Tempio e quelli dell’Ospedale, questi
monaci-guerrieri di cui tutti hanno timore. Nelle loro pesanti armature
incutono paura. Che
ne sarà di loro? * Nel
cuore della notte Ferdinando, Pierre e altri due uomini si avvicinano di
soppiatto alla torre. Raggiungere la base della torre per quattro uomini
armati alla leggera non è difficile. Portano anche una scala e una corda con
un uncino. Con l’aiuto della scala René raggiunge un punto da cui può lanciare
la corda. Il primo tentativo non riesce, ma il secondo gli permette di
agganciare l’uncino. Ora
incomincia la parte più pericolosa. Se qualcuna delle sentinelle si è accorta
del lancio, troveranno ad aspettarli molti uomini e la loro avventura finirà insieme
alle loro vite. Se i soldati di guardia non hanno notato nulla, sarà al
momento in cui arriveranno che si giocherà la partita. Non devono solo
sorprendere le sentinelle e ucciderle: occorre evitare che qualcuno possa
dare l’allarme, altrimenti gli uomini che devono sistemare il materiale
incendiario non avranno il tempo per farlo. Ferdinando
sale per primo, poi muove la corda come concordato, per segnalare che è
giunto in cima senza problemi. Pierre lo raggiunge. Rimangono nascosti tra gli
spalti, finché le due sentinelle nel loro giro di ronda non passano davanti a
loro. Appena li superano, Pierre e Ferdinando li assaltano: tappano loro la
bocca e tagliano a entrambi la gola. Gli altri due uomini salgono anche loro.
Nascondono i cadaveri dei soldati saraceni e poi accendono un piccolo lume,
coprendolo tre volte: il segnale convenuto. Adesso
si tratta di evitare che qualcuno arrivi e li scopra mentre alla base della
torre viene accumulato il combustibile. Ferdinando e Pierre si appostano sul
cammino di ronda verso la porta occidentale, gli altri due soldati in
direzione opposta. Se arriveranno altre sentinelle, vedendo due sagome scure,
penseranno che siano i loro compagni. Se parleranno, a rispondere saranno
Pierre e uno degli altri due uomini, che parlano bene l’arabo. L’arabo di
Ferdinando è molto approssimativo e rischierebbe di tradirlo. Il
tempo passa e non succede nulla. Alla base della torre i lavori fervono,
rallentati solo dall’esigenza di non provocare forti rumori che potrebbero
mettere in sospetto gli uomini di guardia. Una
luce in lontananza, nella direzione del campo franco, si accende e si spegne
tre volte. Gli uomini hanno concluso il loro lavoro: appena in tempo, perché
il cielo si sta già schiarendo a oriente. Tutto è filato liscio. Ferdinando
e Pierre si dirigono verso il punto in cui hanno nascosto la corda. In quel
momento sentono qualcuno urlare in arabo. I loro due compagni arrivano di
corsa, inseguiti da altri, mentre il grido delle sentinelle si ripercuote. Non
è possibile scendere: le guardie sono troppo vicine e potrebbero tagliare la
corda. Ferdinando
dice: -
Scendete voi. Io li tengo a distanza. I
due uomini si calano in fretta, ma Pierre rimane accanto a Ferdinando. I
soldati in arrivo sono quattro, ma il cammino di ronda è stretto e non
possono avvicinarsi tutti insieme. Pierre ne colpisce uno a una gamba e
l’uomo cade dal lato interno delle mura. Ferdinando ne uccide un altro,
infilandogli la spada nello stomaco. Un terzo viene ferito da Pierre a un
braccio e fugge via, subito imitato dal quarto, che da solo contro i due
nemici sa di non avere nessuna possibilità. -
Ora! È la nostra ultima occasione. Stanno
per calarsi, quando una freccia sibila e Ferdinando sente un dolore violento
al fianco. -
Porcoddio! Mi hanno beccato. -
Presto, calatevi. Ce la fate? Ferdinando
stringe i denti e afferra la corda. Incomincia a scendere, ma le forze gli
mancano. Stringe disperatamente la fune, nonostante le ondate di dolore che
lo assalgono. Con fatica si cala ancora e, quando ormai sta per cedere, sente
sotto i suoi piedi la scala. Molla la corda e scende. I due soldati che sono
rimasti sotto ad attendere lo aiutano, sorreggendolo. Pierre arriva subito
dopo. Si allontanano, ma dopo pochi passi, Ferdinando crolla. Non
è facile trasportare un Ercole come Ferdinando: per i tre uomini è uno sforzo
tremendo. Arrivano al campo in un lago di sudore. Ferdinando
viene portato nella tenda che Denis ha fatto preparare come infermeria per la
battaglia di domani. Nabih, il medico personale di
Denis lo visita. La freccia viene tolta. È
una brutta ferita, ma non dovrebbe essere mortale. L’impresa
è stata compiuta. Tra poco sarà giorno e sarà possibile incendiare il
materiale combustibile accatastato: questo dovrebbe provocare un cedimento delle
mura. * Prima
dell’alba le truppe guidate da Denis di Rougegarde si sono dirette verso
sud-ovest, seguendo il corso del ramo del Nilo sulle cui rive si trova Bilbeis. All’alba Denis manda in avanscoperta due dei
suoi uomini, che tornano in tarda mattinata per dire che l’esercito saraceno
è a poche miglia. I due uomini confermano le informazioni che i franchi già
avevano: si tratta di un contingente molto ridotto. Denis
fa disporre i suoi uomini: alcuni cavalieri si pongono in posizione centrale,
molto avanzata; ai due lati, ma più indietro, si dispongono gli altri,
nascondendosi tra la vegetazione. Denis intende usare una tattica molto
comune tra i saraceni: attirare le truppe nemiche in un’imboscata, fingendo
di fuggire. I franchi ricorrono di rado a tattiche di questo tipo, per cui i
saraceni probabilmente cadranno in trappola. I
cavalieri avanzano lungo la strada che porta verso il Cairo, ma quando
appaiono le truppe nemiche, si fermano. Attendono per un certo tempo, come se
fossero incerti sul da farsi e volessero vedere la consistenza delle forze
saracene. Quando ormai gli egiziani sono vicini, i cavalieri volgono indietro
le cavalcature e fuggono. I cavalieri egiziani si lanciano al loro
inseguimento e anche i fanti corrono rapidamente. Quando il grosso delle
truppe si trova tra le due ali di soldati disposti da Denis, le frecce
lanciate dagli arcieri nascosti fanno strage e poi le truppe escono,
prendendo i soldati tra due fuochi. Intanto i cavalieri che fingevano di
fuggire, voltano nuovamente i cavalli e si lanciano all’attacco. Se
l’esercito egiziano fosse più numeroso, potrebbe opporre resistenza, ma le
truppe non sono molto consistenti e l’attacco a sorpresa decide le sorti
della scaramuccia. Lo scontro si trasforma in una strage, da cui solo alcuni
si salvano con la fuga. Anche
tra i soldati franchi ci sono diverse vittime, ma in numero di gran lunga
inferiore. Tra i feriti c’è anche Tristan, colpito al braccio destro, ma non è
niente di grave: quando, a metà pomeriggio, le truppe riprendono la via del
ritorno, Tristan è in grado di raggiungere l’accampamento, con l’aiuto di un
compagno. Arrivati
in vista della città, i soldati vedono le colonne di fumo che si levano in
diversi punti: Bilbeis è caduta. * All’alba
le frecce incendiarie dirette alla base della torre di Hussein raggiungono il
materiale infiammabile accumulato e l’incendio divampa. I difensori sono
colti di sorpresa: hanno appena scoperto la catasta ai piedi delle mura e,
prima di riuscire a capire e prendere le misure necessarie, già le fiamme si
innalzano altissime. Sulle mura sono stati portati sassi e altri materiali da
lanciare sugli assalitori che cercassero di arrampicarsi, servendosi di corde
o scale, ma l’unico liquido, l’olio bollente, non farebbe che alimentare
l’incendio. Il
calore intensissimo provoca il cedimento di un tratto delle mura, che
crollano. Mentre
le truppe saracene della guarnigione si spostano verso il punto rimasto
indifeso, Amalrico dà il segnale dell’attacco. I difensori non si aspettavano
il cedimento delle mura e in quel punto Hugues d’Arbert conduce i suoi uomini all’assalto, prima che i
saraceni riescano a organizzarsi. Hugues ci tiene a
mostrarsi valoroso agli occhi del re, che di certo gli ha ordinato di
rimanere al suo fianco proprio per valutare il suo comportamento. L’esercito
franco travolge facilmente le truppe che arrivano in disordine per difendere
la breccia: i saraceni sanno bene che la battaglia è persa, perché i franchi
sono di gran lunga più numerosi e solo le mura permettevano la difesa.
Combattono con la forza della disperazione, sapendo che se non riusciranno a
respingere gli attaccanti, saranno tutti sterminati. Il
comandante della guarnigione affronta Hugues d’Arbert, nella speranza che la morte di questo barone
semini il panico tra i franchi. Sono due uomini forti e il duello durerebbe a
lungo, se uno dei soldati di Hugues non colpisse il
comandante saraceno alla schiena con la sua lancia. L’uomo barcolla e cade in
avanti. Hugues lo finisce calandogli la spada sul
collo. I
soldati saraceni si ritirano, ma continuano a combattere nelle vie. Intanto
le truppe guidate da Renaud e quelle condotte da Amaury raggiungono la
breccia ed entrano anch’esse. La disparità di forze è troppo grande: la
battaglia diventa un massacro. Il
re si dirige al palazzo del governatore. * L’esercito
franco è entrato in città. Senza più la protezione delle mura, le truppe di
stanza a Bilbeis non sono di certo sufficienti a
fermare i franchi. Gli
ebrei sono riuniti intorno al rabbino, che dice: -
Andiamo tutti nella sinagoga. Mikhael
scuote la testa. - Ci
massacreranno anche là, come hanno fatto altre volte. Il
rischio che succeda ciò che dice Mikhael è forte e tutti lo sanno, ma Mikhael
viene da un’altra città e non è un anziano, ha appena quarant’anni: non ha
nessuna autorevolezza, il parere del rabbino e degli altri anziani conta
molto di più. Gli ebrei smarriti preferiscono dirigersi verso la sinagoga.
Qualcuno esita, ma poi segue gli altri. Sperano che Dio li protegga. E
l’essere gli uni vicini agli altri dà loro conforto. Sarah
sa bene che il fratello ha ragione. Lei e Mikhael rimangono indietro. Unirsi
agli altri significa andare al macello. Ma che cosa fare? Come sfuggire alla
furia degli assalitori? I franchi saccheggeranno la città. Spesso hanno
massacrato ebrei e musulmani, anche se non opponevano resistenza. Non
hanno un posto per nascondersi: alloggiano in una locanda. * Jorge
da Toledo è alla guida di un gruppo di templari e di altri cavalieri. Dietro
a loro si muovono molti fanti. Sono entrati nella città quando i primi
attaccanti hanno aperto una delle porte. In
questi due anni trascorsi oltremare Jorge ha avuto occasione di affrontare
diverse battaglie, dimostrando il proprio valore, ma è la prima volta che
partecipa alla conquista di una città. È felice di avere un’occasione di
massacrare musulmani ed ebrei. Jorge
si lancia in una via che porta verso il cuore della città. Qualche soldato si
getta contro la porta di una casa, per sfondarla e dare inizio al saccheggio
prima che arrivino gli altri. Jorge prosegue fino al minareto che domina un
piccolo slargo. Ora davanti a lui c’è una moschea. Jorge attraversa il
cortile ed entra a cavallo nella sala della preghiera, seguito da altri
cavalieri e da diversi soldati. La
moschea è piena di gente inginocchiata sui tappeti. All'ingresso dei franchi
si alzano parecchie grida. Un imam si alza e inveisce contro i franchi che
osano profanare il luogo sacro. Jorge ride e incomincia a vibrare fendenti su
tutti coloro che vede, senza badare all’età o al sesso. Un urlo di terrore si
alza dalla folla. Altri cavalieri e i fanti seguono l'esempio di Jorge,
calando le spade sui fedeli. Alcuni cercano di riparare la testa con le mani,
altri rimangono impietriti. Un
uomo grida: -
Donne, fuggite. Uomini, a me, cerchiamo di fermarli. L’uomo
si scaglia contro gli aggressori, seguito da altri: sanno che vanno a morire,
ma sperano di salvare almeno le donne. Queste prendono i bimbi e corrono
verso le porte laterali, mentre gli uomini cercano a mani nude di fermare gli
assalitori o almeno di impedire loro di raggiungere le donne in fuga. I
guerrieri franchi hanno facilmente ragione di loro e, dopo averli massacrati,
si avventano sulle donne che non sono riuscite a fuggire, rallentate dai
bambini o paralizzate dalla paura. Alcuni le colpiscono con le spade. Altri
le afferrano, limitandosi a uccidere i bambini: le donne saranno parte del
loro bottino di guerra. Alcune delle donne che sono riuscite a uscire dalla
moschea vengono raggiunte e subiscono la stessa sorte delle altre. Diversi
soldati spingono a terra le donne catturate, sollevano le loro vesti e,
abbassatisi i pantaloni, le possiedono a forza. Altri attendono il loro
turno, ridendo e incoraggiando i compagni. Jorge
esce dalla moschea: non gli interessano le donne, vuole proseguire la strage
dei musulmani. Lo seguono altri cavalieri e soldati, che cercano un bottino
più consistente o hanno solo sete di sangue. Nella moschea rimangono in pochi.
Tra questi Roussel, che si è arruolato nelle truppe del conte Ferdinando. Roussel
si è preso una donna, che ora si è rialzata e si copre il viso con le mani,
singhiozzando. -
Adesso me la faccio anch’io. Roussel
guarda Corrado. Non ha nessuna intenzione di lasciare che stupri anche lui la
donna. È il suo bottino. Per una volta che può prendersi quello che cazzo gli
pare, che cosa vuole questo stronzo? -
Non è roba tua. -
Non te la voglio mica prendere. La fotto solo. -
Cercatene un'altra, stronzo! - Ma
che hai? Mica è tua moglie. Ne trovo di meglio. Altri
soldati cercano di mettere pace, ma Roussel è furente: -
Va' a fare in culo, pezzo di merda! Roussel
non vuole dividere la sua preda con nessuno. Non ha rischiato la pelle per il
piacere di combattere, ma per il bottino. Questa donna è sua e nessun altro
può toccarla. Corrado
scuote la testa, poi, con un gesto fulmineo, estrae la spada e colpisce la
donna, trapassandole il petto. La donna cade al suolo, morta. Roussel
si scaglia su Corrado, ma alcuni soldati si mettono in mezzo e riescono a
separarli. Quelli che stanno stuprando le donne ci badano appena. Roussel
infine si calma e si allontana, dicendo che si rivolgerà al conte Ferdinando
perché costringa Corrado a risarcirlo. Corrado
alza le spalle. Si avvicina ai soldati che stanno violentando le donne sui
tappeti. Uno che ha appena finito gli lascia il posto. La donna ha smesso di
opporre resistenza. Corrado la fotte in fretta. Quando viene si alza e si
riveste. Mormora: - Ci
voleva tanto!? Quello stronzo... Corrado
esce dalla moschea. Non si accorge di Roussel, che gli piomba alle spalle e
gli immerge un pugnale nella schiena. Corrado emette un grido, ma Roussel
estrae il pugnale e gli taglia la gola. In
quel momento alcuni soldati escono dalla moschea. -
Cazzo hai fatto? Roussel
ha un ghigno. -
Questo stronzo mi ha pagato quello che mi doveva per la donna. Roussel
si allontana. Sa bene che la sua vita è in pericolo. Gli altri racconteranno
quello che è successo, non sanno certo stare zitti, quelli. La faccenda
arriverà alle orecchie di qualcuno dei signori del regno, gli amici di
Corrado lo racconteranno, chiederanno che il loro compagno sia vendicato.
Roussel sa che rischia di finire impiccato. È stato Corrado a uccidere per primo,
ma ha ucciso una saracena, non gliene fotte niente a nessuno. Lui ha ucciso
un soldato franco. Merda! Roussel
si rende conto di aver fatto una cazzata. Troppo tardi, ormai. Che può fare?
Andarsene, approfittando della confusione che regna nella città conquistata?
Sì, per forza, ma andarsene dove? Allontanandosi dall’esercito franco
rischierebbe solo di farsi catturare e sgozzare dai saraceni. * Renaud di Soissons guida un altro gruppo fino
a una grossa costruzione. Chiede: -
Che edificio è questo? Uno
dei soldati risponde: - La
sinagoga. Quei fottuti ebrei si sono riuniti tutti là dentro a pregare. Un
altro soldato propone: -
Entriamo e tranciamogli la testa. Mandiamoli tutti da Satana, che li aspetta. Renaud
sorride. - Ho
un’idea migliore. Faremo ciò che abbiamo fatto quando abbiamo conquistato
Gerusalemme. La
presa di Gerusalemme è una faccenda di una settantina d'anni prima, ma il
racconto di quella vittoria è stato narrato infinite volte e molti intuiscono
l'idea di Renaud. Quando questi prosegue, il senso del suo discorso appare
chiaro a tutti: -
Portate legna. Prendete dalle case le porte, le imposte, i mobili. Tutto
quello che può bruciare. Molti
ridono. Qualcuno non è contento: di certo gli ebrei hanno preso con sé denaro
e gioielli e incendiando la sinagoga si rischia di distruggere un bottino
prezioso: come recuperare tra le macerie e i corpi carbonizzati l'oro e le
pietre preziose? Ma non è possibile contrariare il barone. Altri si lanciano
con entusiasmo alla ricerca di combustibile. Presto davanti alle porte della
sinagoga si alzano cataste di legname. A un cenno di Renaud, un soldato
appicca il fuoco. Le
fiamme si alzano alte e le porte della sinagoga incominciano a bruciare.
Dall’interno si sentono le urla: gli ebrei hanno capito che cosa sta
succedendo. Qualcuno
cerca scampo dall’incendio uscendo da una porta posteriore che non è stata
bloccata, ma viene immediatamente ucciso dai soldati di guardia. I
soldati rimangono ad osservare la sinagoga che prende fuoco. Da dentro si
sentono urla, poi il tetto dell’edificio crolla e nessuna voce si leva più. Un
fumo nero si alza dai resti dell'edificio, mentre si sente il puzzo dei corpi
che bruciano. Un soldato ride e dice: -
Ebrei arrosto. Il mio piatto preferito. Anche
gli altri ridono. * - Entriamo
in una di queste case che hanno già saccheggiato. Forse, vedendo che altri
sono già passati, non entreranno qui. Mikhael
e Sarah entrano in una casa la cui porta è stata sfondata. Ci
sono i corpi di due persone anziane, massacrati con la spada. Mikhael
e Sarah sono passati in una seconda stanza, quando sentono dei rumori
provenienti dalla stanza in cui sono passati. Dei soldati si sono accorti che
qualcuno è entrato. Mikhael
indica una cassapanca rovesciata a terra e sussurra: -
Nasconditi qui. - E
tu? Mikhael
non risponde. Si limita a dire: -
Salva Miriam. Mikhael
sa che l'unica possibilità di salvezza per Sarah e Miriam è che i soldati lo
trovino e pensino che lui è da solo. Sarah ha intuito. Se non fosse per
Miriam, rifiuterebbe il sacrificio di Mikhael, sceglierebbe di morire insieme
a lui. Ma salvarla è la sua priorità. Si nasconde nella cassapanca,
stringendo a sé la piccola. Mikhael
aspetta che i soldati arrivino sulla soglia della stanza, poi fugge nel
locale successivo. I soldati gli sono addosso. Mikhael afferra uno sgabello e
colpisce un soldato che cerca di trafiggerlo. Riesce a deviare un secondo
colpo, ma il terzo lo prende al braccio. Un altro soldato lo colpisce alla
spalla. Un colpo, vibrato malamente, lo raggiunge alla tempia. Mikhael sente
il dolore violento e crolla a terra. Prima di perdere i sensi, prega Dio che
i soldati non si accorgano di Sarah e della bambina. Arrivati
davanti a Bilbeis, Denis con alcuni soldati si
dirige verso la città, mentre i feriti vengono portati all’accampamento. Istfan si prende cura di Tristan. Gli medica subito la
ferita e poi ripassa a vedere come sta, anche se ha molto da fare: insieme a Nabih, il medico personale del duca, deve occuparsi degli
uomini colpiti durante la battaglia. Intanto
Denis è entrato a Bilbeis e cavalca per le strade,
seguito da un gruppo di soldati. Bilbeis è un
grande cimitero dove i morti giacciono insepolti: ovunque vi sono cadaveri di
uomini, donne e bambini. Davanti
a una chiesa un gruppo di anziani e due donne giacciono a terra in un lago di
sangue. Tra le mani stringono ancora i crocifissi con cui sono andati
incontro ai loro correligionari, convinti di avere di fronte i loro liberatori
e non i loro carnefici. Denis scende da cavallo ed entra nella chiesa. Guarda
un attimo e poi chiude gli occhi. Vorrebbe che niente di quello che vede
fosse vero: i cadaveri tra i banchi, il sacerdote copto decapitato di fronte
all’altare, i bimbi sgozzati sui cadaveri delle loro madri. Denis
esce dalla chiesa e risale a cavallo. Non c’è più nulla da fare. Come
è possibile? Certo, erano cristiani d'Oriente, non cattolici, ma pur sempre
cristiani. Come hanno potuto altri cristiani massacrarli? Denis
avanza sgomento. Ovunque vi sono cadaveri, spesso mutilati, case che
bruciano, soldati che corrono con il loro bottino: il re ha autorizzato il
saccheggio. Denis ha quasi raggiunto la porta della città opposta a quella da
cui è entrato. Gli unici esseri umani che ha visto vivi sono i soldati e
qualche donna che è stata catturata. -
No! È un
urlo di donna, che viene dalla casa di fianco a cui sta passando Denis. In
un attimo Denis è sceso da cavallo, la spada in mano, e si precipita
nell’abitazione. La porta è stata sfondata, i mobili gettati a terra, i corpi
di due anziani giacciono in un angolo: gli assassini sono già passati. -
No! Lasciala! Denis
corre nell’altra stanza. Un soldato ha alzato la spada su una bimba che
potrebbe avere l’età di Pierre. -
Fermo! L’uomo
si volta e ride: - E
tu che cazzo vuoi? Levati dai coglioni. Nella
stanza ci sono altri due soldati e inginocchiata davanti a loro una donna che
ora stringe tra le braccia una bimba. Uno dei due soldati dice al compagno
che stava per uccidere la piccola: -
Manasse, è il duca di Rougegarde. Manasse
rimane disorientato. Non aveva riconosciuto il duca, che ha sempre visto da
lontano, ma sa benissimo chi è e che potere ha. China il capo e dice: - Mi
scusi, duca. Questa donna e la bambina fanno parte del nostro bottino. Della
bambina non sappiamo che farcene, è un’ebrea, razza maledetta, meglio
ammazzarli tutti. Della donna sì, sappiamo bene che ce ne faremo, vero,
ragazzi? Ride
e si rivolge agli altri due soldati, che non dicono nulla e sono arretrati di
un passo: conoscono il duca, sanno benissimo che non accetta stupri e
violenze sulla popolazione civile e gli leggono in faccia che è furente.
Hanno entrambi paura e Manasse se ne rende conto. Perde ogni baldanza e il
suo sorriso si spegne. Dietro il duca sono entrati gli uomini della sua
guardia personale. I soldati sanno che se Denis di Rougegarde volesse,
potrebbe farli ammazzare sul momento, senza rischiare che qualcuno gli chieda
mai conto delle loro vite. Denis
sibila: -
Fuori di qui, subito. Manasse
fa per dire qualche cosa, ma il soldato che ha parlato prima gli mette una
mano sul braccio per fermarlo. Rivolto a Denis dice: - Ai
vostri ordini, duca. I
soldati escono. Denis sente che Manasse impreca sottovoce. La
donna è rimasta in ginocchio. Stringe la bambina e guarda Denis. Denis
le si rivolge in arabo: -
Non dovete temere nulla. Vi proteggerò. La
donna è pallida. -
Iddio vi ha mandato e Iddio vi ricompenserà, duca. Conosco la vostra fama di
guerriero valoroso e di uomo giusto. -
Come vi chiamate? -
Sarah. Lei è mia figlia, Miriam. Sarah
stringe la bambina e incomincia a piangere. -
Venite con me, Sarah. Non potete rimanere qui. Prendete ciò che avete. Vi
garantisco che vi aiuterò a raggiungere un luogo sicuro con i vostri figli e
i vostri beni. Sarah
guarda verso la porta che immette in un’altra stanza. -
Tutto quello che posseggo, lo porto con me, ma mio fratello, Mikhael… Sarah
si morde il labbro, non completa la frase, ma fissa la porta che conduce
nell’altro locale. Denis
passa nella stanza successiva. C’è un uomo a terra, immobile. C’è una pozza
di sangue sotto di lui e Denis si dice che certamente è morto. Si china su di
lui e lo volta. Sente un gemito. L’uomo è ancora vivo. Denis esamina le
ferite. Un brutto taglio al braccio destro, un altro alla spalla, uno al capo
e qualche escoriazione. L’uomo potrebbe sopravvivere. Denis
rientra nell’altra stanza. Alla donna dice: - È
ferito, ma è ancora vivo. Poi
dà gli ordini. In pochi minuti l’uomo viene caricato su una barella
improvvisata. Alla
porta della città, Denis si volta indietro e guarda ancora una volta Bilbeis. Raggiungono
il campo. Mikhael viene affidato alle cura di Nabih.
Sarah rimane con lui. Denis
raggiunge il re. Entra nella tenda, saluta appena e chiede: -
Perché l’avete permesso, sire? Perché avete tollerato questo immondo
massacro? Perché? Amalrico
è stupefatto dalla furia di Denis: non è abituato a sentirsi parlare in
questo modo da nessuno e men che mai dal duca di Rougegarde, che si è sempre
dimostrato molto rispettoso. Non permetterebbe a nessun altro di parlargli
con questo tono, ma la rabbia di un uomo saggio ed equilibrato come Denis lo
spiazza. -
Che intendete dire? -
Dopo questo massacro, che cosa pensate che succederà nelle altre città? Bilbeis ha resistito tre giorni e tutti i suoi abitanti
sono stati massacrati. Pensate davvero che le altre città vi apriranno le
porte? -
Questo è ciò che sostiene il barone Renaud. E Jorge da Toledo. Il terrore gli
farà piegare la testa. - Il
terrore spingerà i saraceni a resistere a ogni costo. E c’è un’altra
conseguenza, non meno grave, Sire. Amalrico
è irritato, perché sa benissimo che Denis potrebbe aver ragione. - E
quale, duca? -
Sire, avete perso il sostegno di tutti i cristiani d’Egitto. Coloro che
vedevano in noi dei liberatori, ora ci considerano solo dei macellai. Denis
di Rougegarde s’inchina e prende congedo. Amalrico non lo trattiene e nel
salutarlo non cela la propria irritazione. Sa che con ogni probabilità Denis ha
ragione. Il duca di Rougegarde si sbaglia di rado nel valutare la situazione
politica o militare. * Pierre
va a trovare Ferdinando nella tenda che il duca ha fatto montare per lui dopo
che è stato ferito. Nella tenda c'è anche un ebreo, uno dei pochissimi che è
sfuggito al massacro della popolazione della città. Il duca lo ha accolto e
lo fa curare da Nabih. L’uomo, che dicono chiamarsi
Mikhael, non ha ripreso i sensi ed è vegliato dalla sorella. Pierre
osserva la donna. È molto pallida e sul viso ha alcuni lividi, ma è
bellissima. Mentre
Pierre parla con Ferdinando, Nabih arriva con un
altro medico, Istfan. Prima
Nabih si dirige da Ferdinando. -
Come state, conte? Ferdinando
si sforza di sorridere. -
Sono ancora vivo. Porcoddio, non è mica così facile ammazzarmi. -
Vediamo la ferita. Nabih toglie il telo che copre il conte.
Pierre ha modo di vederlo nudo. Non che gli interessi molto, ma della
dotazione di Ferdinando di Siracusa, signore dell’Arram,
ha sentito parlare spesso ed è curioso di vedere se è davvero come dicono. Gli
basta uno sguardo per verificare che le voci corrispondono in pieno alla
realtà. Pierre prova una punta di invidia, anche se non ha certo motivo di
lamentarsi di ciò che la natura gli ha dato. Il
medico toglie la fasciatura ed esamina con cura la ferita. -
Molto bene. La piaga è perfettamente pulita e non credo che ci siano più
rischi. Avete solo bisogno di riposo, per riprendere appieno le forze. -
Non mi dite che devo stare ancora a lungo a letto. Nabih sorride. - A
letto o sdraiato su cuscini e tappeti. Ferdinando
aggrotta la fronte, poi chiede: - E
se mi sdraio su qualcun altro? Un bel maschio? Nabih ride e scuote la testa. -
Non se ne parla neanche per almeno dieci giorni. -
Dieci giorni a farmi le seghe? Dottore, tu mi vuoi morto! Nuovamente
Nabih sogghigna, si stacca e passa all’altro
ferito. Il sorriso scompare dal suo volto. Pierre
ha seguito il dialogo, ma adesso torna a guardare la donna. A lei Nabih parla in arabo, una lingua che Pierre è in grado di
capire bene: la donna chiede notizie, il medico si mantiene sul vago. Dice
che potrebbe riprendersi, ma non ha nessuna certezza. Nabih controlla bene le ferite, poi
aggiunge, rivolto alla donna: - Le
ferite sono a posto. Bisogna aspettare. Pierre
allora si rivolge a Nabih, nella lingua dei
franchi: - È
molto grave? -
Sì, non ha ancora ripreso i sensi. È sospeso tra la vita e la morte, ma non
dispero di salvarlo. Pierre
chiacchiera un po’ con Ferdinando. -
Pierre, senti, di’ a Basan di venire nella tenda
questa notte, tanto l’ebreo dorme sempre e per la notte Denis ha fatto
sistemare la donna in un’altra tenda. Pierre
ride: -
Che cazzo conti di fare, disgraziato? Gli
dà del tu, Ferdinando gli ha detto che preferisce così, anche se è conte. - Io
non riesco a stare a lungo senza scopare. Almeno mi fa un pompino veloce. - Ne
parliamo domani. -
Porcoddio, Pierre, non sei un amico! - Ci
tengo alla tua salute! Al
momento di allontanarsi, Pierre saluta la donna, ma questa lo guarda senza
capire. Allora Pierre ripete il saluto in arabo. La donna lo ricambia. Poi
Pierre aggiunge: -
Vedrete, guarirà. -
Grazie. Ma
negli occhi di Sarah spunta una lacrima. * L’esercito
riparte verso il Cairo. A Bilbeis rimangono i
feriti e alcune truppe con il compito di presidiare la città. Il comando
della guarnigione è stato assegnato al conte Ferdinando, che è ancora
convalescente. Denis ha ordinato a Pierre di restare con lui: preferisce che
l’amico sia affiancato da un uomo intelligente e meno impulsivo dei soldati
del conte. Pierre gli è sembrato molto contento di rimanere: probabilmente
c’è qualcuno che lo interessa a Bilbeis. Denis
sospetta che possa essere la sorella dell’ebreo ferito, Sarah, ma non ha
indagato: non sono affari suoi. Istfan non ha molto tempo, perché deve
seguire tutti i feriti, ma passa spesso a trovare Tristan, che sta meglio: la
ferita gli fa male e muove ancora a fatica il braccio, ma è ormai in via di
guarigione. Tristan e Istfan
sono rimasti sconvolti per quanto è avvenuto durante la conquista della città
ed entrambi vorrebbero soltanto tornare presto a Rougegarde. Parlano
dell’Egitto, della guerra, di Rougegarde, della locanda, di Emich, dei loro amici comuni. Tristan
sta bene, l’attenzione di Istfan gli fa piacere. È
contento di poter stare ogni tanto con lui, di parlare serenamente insieme.
Giorno dopo giorno però si rende conto che Istfan è
turbato. E le visite diventano meno frequenti. * Denis
e Guillaume procedono affiancati. Sono entrambi cupi e rimangono in silenzio,
finché Guillaume non esclama: - In
nome di Dio! Questo massacro è stato commesso in nome di Dio! Denis
annuisce. -
Quei soldati sono delle bestie. Ma i nobili che li conducono? Pensano davvero
che in questo modo vinceremo la guerra, che le città ci apriranno le porte? - Il
massacro della grande moschea è stato compiuto dai miei compagni, Denis. I
cavalieri del Tempio massacrano donne e bambini riuniti in preghiera. C’erano
cadaveri di uomini evirati. Dio! Nessuno
dei due riesce a darsi pace. Entrambi hanno ucciso in battaglia, molte volte;
Denis ha condannato a morte uomini in diverse occasioni. Ma le stragi
compiute a Bilbeis su cittadini inermi, tra cui
anziani, donne e bambini, non hanno niente a che fare con un leale
combattimento tra uomini armati, che rischiano ugualmente la vita, o con
l’amministrazione della giustizia. La
sera si accampano. Dopo che ognuno dei due ha controllato la sistemazione
delle proprie truppe, Denis e Guillaume si ritrovano. Sentono il bisogno di
rimanere un po’ insieme: sanno che nessuno degli altri comandanti condivide
il loro punto di vista. Parlano
ancora a lungo di quello che è successo a Bilbeis,
poi il discorso si allarga, come spesso accade tra loro. - Mi
domando che senso ha il mio essere qui, Denis. Sono partito per combattere a
difesa della città santa, ma mi chiedo che cosa sto davvero facendo. -
Facciamo quello che abbiamo imparato a fare: combattere. -
Credevo di combattere una guerra giusta. Gerusalemme è la città dove Gesù è
morto per noi. Gli arabi ce l’hanno presa secoli fa e noi l’abbiamo ripresa e
vogliamo difenderla. Mi sembrava semplice. -
Adesso non ti sembra più che sia così? -
Non lo so, Denis. Mi chiedo se ha senso scannarsi per il possesso di una
città. Che cosa può giustificare ciò che è stato fatto a Bilbeis? -
Niente, Guillaume. Per me, almeno. Niente di niente. - Tu
non hai dubbi? Sul senso di queste guerre, intendo dire. Denis
alza le spalle. - Ho
sempre combattuto. È stata la mia vita fin da ragazzino. Vorrei dire fin da
bambino. Il mondo va così. Ho combattuto per il regno di Gerusalemme e adesso
che sono il signore di Rougegarde combatto anche per difendere la città. Guillaume
annuisce. Poi dice: -
Non so, Denis. Ho molti dubbi. Forse perché non ho mai occasioni di
confrontarmi con qualcun altro. La solitudine mi pesa. Ho a che fare con
uomini come Jorge da Toledo, carichi di un odio feroce contro i saraceni. O
come il comandante civile di Santa Maria in Aqsa,
che vorrebbe imporre a tutti i suoi principi e le sue scelte di vita. Non mi
sento come loro. -
Non sarai certo il solo a non condividere le loro idee. -
L’odio per i musulmani è comunissimo. E quanto al modo di vivere, Denis, io
non sono certo un santo, tutt’altro, però non ho molto in comune con certi confratelli
che pensano solo a bere, giocare ai dadi e fottere. Guillaume
china la testa e aggiunge: -
Anche se non sono migliore di loro. -
Perché dici questo? -
Perché cedo facilmente alle tentazioni, dimenticando ogni buon proposito. Mi
dico che questi rapporti non hanno nessun senso e poi ci ricasco. Che razza
d’uomo sono? Non cerco, è vero, ma dopo una settimana che non scopo basta un
cenno d’invito e sono lì a sbavare come un cane… -
Non siamo fatti per la castità, Guillaume. Se Iddio ci avesse voluto casti,
ci avrebbe fatti diversamente. Guillaume
scuote il capo. -
Parlo sempre io. E tu, Denis? A volte ho l’impressione che anche tu sia solo. - Lo
sono, Guillaume, anche se ho intorno a me uomini validi, di cui posso fidarmi
interamente, come Nicolas e Pierre, e una moglie che unisce intelligenza e
sensibilità. - Ma
che per te non è abbastanza. - Né
io lo sono per lei. Ci siamo trovati compagni di viaggio e a me è andata
bene, posso dire di essere stato fortunato. Non mi lamento. -
Non ti lamenti mai, Denis, ma non sei felice. - Si
può pretendere di essere felici? Ha senso? - Ma
non ti sei mai sentito felice? Denis
sorride, ma c’è una sfumatura di amarezza in quel sorriso: - Ho
vissuto un periodo felice: non sapevo di ingannarmi. Se avessi saputo la
verità, non sarei stato felice. - La
felicità è solo un inganno? -
Non lo so, Guillaume, ma non la cerco. Credo che cercandola mi sentirei
infelice. * Istfan si alza. È notte fonda, ma Istfan è abituato ad alzarsi più volte la notte per
controllare la situazione dei feriti. Istfan
accende una candela e percorre il corridoio che conduce all’infermeria. Dopo
la partenza del grosso dell’esercito, le truppe rimaste si sono stabilite
nella città. Gli abitanti superstiti hanno dovuto sgomberare i cadaveri e i
soldati hanno occupato diversi edifici. Il conte Ferdinando, che ormai si è
rimesso, si è insediato nella residenza del governatore, al primo piano, dove
si trovano anche le camere delle donne e della guardia personale del conte.
Al piano terreno del palazzo ci sono invece l’infermeria e alcuni degli
alloggiamenti destinati ai soldati: Istfan alloggia
in una cameretta riservata a lui. Nabih è partito con l’esercito e ha lasciato
a Istfan la responsabilità di tutti i feriti. Istfan entra nell’infermeria, che occupa
un’intera ala dell’edificio, per il suo giro di controllo. Tutto sembra a
posto. I feriti dormono. Qualcuno geme nel sonno. Istfan è davanti alla camera dove hanno
ricoverato l’ebreo: il duca di Rougegarde ha chiesto che l’uomo, Mikhael, avesse
una stanza per sé, in modo che la sorella potesse rimanere con lui senza
essere disturbata. In effetti di giorno c’è sempre Sarah al suo capezzale, ma
la notte le donne devono rimanere nei loro alloggiamenti. Anche questa è una
misura che Denis ha suggerito a Ferdinando, per ridurre il rischio di risse
tra i soldati: ce n’è già stata una, durante il saccheggio; un soldato è
rimasto ucciso e il suo assassino non è ancora stato trovato. Sulla
soglia Istfan esita. Vorrebbe evitare di entrare,
ma non riesce a rimanere fuori. Mikhael
è disteso. Dorme: non si è ancora risvegliato, ma sta meglio. Istfan lo osserva alla luce fioca della
lanterna che ha portato con sé. Mikhael gli è piaciuto subito, c’è qualche
cosa che lo attrae nel corpo forte di quest’uomo che ha diversi anni in più
di lui. Istfan non vuole avvicinarsi, ma le sue gambe
lo portano di fianco al ferito. Istfan sposta il
telo che copre Mikhael. Prova vergogna: sta approfittando del suo ruolo di
medico per guardare un corpo che non gli si offre liberamente. Alza la mano,
ma con uno sforzo di volontà l’abbassa nuovamente. I suoi occhi scorrono dal
viso, con la fronte coperta da una benda, al petto, dove le fasciature fanno
intravedere appena la peluria sul torace, poi scendono al ventre, dove il pelame
è più fitto, fino al sesso circonciso. Istfan stringe i pugni. Con uno sforzo di
volontà arretra e si volta. Fa per uscire. Sulla soglia si volta ancora. Non
ha ricoperto l’uomo. Non fa freddo, ma è meglio coprirlo. Istfan
ritorna vicino al ferito. Alza la mano per prendere il telo, ma la posa
invece sul viso del ferito, poi la fa scorrere sul corpo, dalla gola lungo il
petto e il ventre fino al sesso. Il
desiderio si desta, impetuoso. Istfan vorrebbe
stendersi su questo corpo, abbracciarlo. Ma questo no, questo davvero non lo
farebbe mai. Almeno questo. La
mano di Istfan indugia un lungo momento sul sesso
di Mikhael, poi si stacca. Istfan risistema il telo
sul corpo disteso ed esce dalla stanza. Si vergogna di questo contatto che ha
rubato, eppure sa che domani notte tornerà. Forse tornerà questa notte
stessa: gli è già successo di ripassare nella stessa notte. Istfan sale al secondo piano ed esce sul
terrazzo. È notte fonda e il cielo è un campo di stelle. Istfan
le guarda. Vorrebbe chiedere a loro una spiegazione di ciò che sta avvenendo,
del desiderio che gli brucia dentro, di qualche cosa che non ha mai provato e
che lo disorienta. * Tristan
finge di dormire. Ha visto Istfan entrare nella
camera dove giace Mikhael. Da qualche giorno sospetta che a Istfan piaccia l’ebreo. Istfan
si ferma a lungo presso di lui, senza che ce ne sia una ragione apparente. Quando
Istfan si allontana, nel buio dello stanzone,
Tristan sorride, il suo sorriso triste. Da tempo ha capito di essere attratto
da Istfan. È stato contento di partire come soldato
per la spedizione in Egitto, visto che anche Istfan
vi partecipava in qualità di medico. E quando ha capito che Istfan sarebbe rimasto a Bilbeis,
l’essere rimasto ferito gli è sembrato quasi una buona cosa: ha pensato che
avrebbe avuto occasione di stare con lui. In effetti in questi giorni di
convalescenza ha avuto modo di parlare spesso con lui, più di quanto non
accadesse abitualmente alla locanda. Ci sono stati alcuni giorni in cui
Tristan si è sentito bene, nonostante il dolore della ferita: avere accanto Istfan era una gioia. A Tristan
piace molto Istfan. Un uomo sensibile e generoso,
non espansivo come il fratello, ma più riservato, più simile a lui. Ma
ormai ha capito che Istfan è attratto da Mikhael.
Anche questa volta la sua gioia è durata poco. Non ne è stupito, ma ne
soffre. * L’esercito
franco avanza velocemente, nonostante i saraceni cerchino di rallentarne la
marcia rompendo le dighe e allagando i campi. La distanza da percorrere non è
grande e ormai non manca più molto: giungeranno presto al Cairo. Da
ieri pomeriggio si vede una nuvola nera in direzione della città. Man mano
che si avvicinano, i franchi possono distinguere un’immensa colonna di fumo
che sale verso il cielo, formando una nuvola sempre più vasta, che oscura il
cielo terso. Denis
annuisce, come se ciò che vede corrispondesse alle sue aspettative. Ha
intuito, ma tace. Guillaume
chiede: -
Che cos'è quella nube? Che cosa bruciano? Denis
risponde: - La
città. -
Cosa?! -
Hanno incendiato la città, la città vecchia, con ogni probabilità, per
evitare che potessimo conquistarla. -
Ma… Guillaume
non sa come proseguire. È Denis a continuare: -
Hanno incendiato le loro case, i loro negozi, i loro magazzini, le loro
moschee, Guillaume. Hanno distrutto tutto ciò che avevano perché noi non
potessimo impadronircene. Si sono certamente rintanati nelle fortificazioni. -
Questo significa che non potremo… Denis
interrompe l’amico: -
Questo significa che la nostra spedizione è giunta al termine. Paghiamo per Bilbeis. Qualche
ora dopo arriva la conferma di quanto Denis ha intuito: la città vecchia del
Cairo è un unico immenso rogo, una barriera di fiamme di fronte a cui i
cristiani si arrestano sgomenti. I cairoti hanno dato fuoco alla propria città
pur di non cederla ai franchi. Sono intenzionati a resistere fino all'ultimo.
Una
delle spie inviate per capire qual è la situazione, torna a raccontare ciò
che è successo. - Il
visir Sawer ha dato ordine di rovesciare ventimila
litri di nafta sugli edifici: perfino le mosche e i palazzi sono stati
incendiati, nulla è stato risparmiato. Gli abitanti sono stati trasferiti
nella città nuova. Denis
non dice nulla. Non ricorda al re di aver previsto ciò che sta succedendo: è
inutile, Amalrico se lo ricorda benissimo e proprio per questo è ancora
risentito con lui. Nel
pomeriggio, mentre i soldati montano l’accampamento, si discute sul da farsi.
Denis tace. Sa che prima o poi gli altri giungeranno alla sua stessa
conclusione, l’unica possibile: la spedizione è fallita, non è fattibile
attaccare il Cairo in questa situazione. Per il momento preferisce non
parlare, per non irritare ulteriormente il re. Re
Amalrico stabilisce che si attenderà qualche giorno, per vedere se l’incendio
si spegnerà. Poi prenderà una decisione. Il
Cairo brucerà per cinquantaquattro giorni. * I
lavori fervono a Bilbeis. I soldati e i cittadini
superstiti stanno riparando le mura. La notizia dell’arrivo di un esercito
dalla Siria ha spaventato tutti. I
soldati sanno bene di non essere abbastanza numerosi per difendere la città
dai saraceni ed evacuare Bilbeis per ricongiungersi
all’esercito significherebbe abbandonare i feriti. Ferdinando non vuole
farlo, a meno che non ci sia nessun’altra soluzione possibile. In ogni caso
il Cairo non è lontano ed è probabile che Amalrico decida di tornare non
appena avrà saputo dell’avvicinarsi dei saraceni: Ferdinando ha inviato un
messaggero per informarlo. I
cittadini temono che un nuovo scontro provocherà altre morti e distruzioni,
anche se in molti il desiderio di vendetta è tanto forte che non gli
importerebbe molto di morire pur di vedere sterminati coloro che hanno
massacrato i loro parenti e amici. Mentre
si svolgono i lavori, alcune truppe vengono inviate per accumulare
rifornimenti: la città non potrà resistere a lungo in caso di assedio, ma è
necessario che ci sia cibo per tutti, almeno finché sarà possibile la difesa.
Nel
pomeriggio i soldati che sono stati mandati per assicurare gli
approvvigionamenti rientrano con un prigioniero: è un soldato franco,
Roussel, che durante la conquista della città ha assassinato un compagno. Nei
suoi confronti è già stata pronunciata una condanna a morte. Pierre
cerca il conte Ferdinando per comunicargli la cattura del soldato fuggitivo.
Gli dicono che è in camera. Pierre raggiunge l’appartamento del conte. Non si
vede nessuno. Pierre non sa bene che fare. Sente dei rumori provenire dalla
camera da letto. Pierre bussa. Sente
la voce di Ferdinando: -
Che c’è? -
Sono Pierre, ho una notizia da comunicare. -
Entra pure. Pierre
apre la porta e si ferma. Ferdinando è in piedi, dietro un soldato appoggiato
sul letto, e lo sta fottendo. Ferdinando non pare minimamente turbato. Si
limita a interrompere il movimento e a voltarsi verso Pierre, per chiedergli: -
Dimmi, Pierre. Che cosa c’è? - I
soldati che abbiamo mandato per i rifornimenti hanno catturato Roussel,
l’assassino di Corrado. -
Ottimo! Tra qualche giorno lo impicchiamo. Lo spettacolo distrarrà un po’ i
soldati. Pierre
annuisce. È un po’ a disagio, nonostante la sua familiarità con Ferdinando.
Lo sguardo scivola fino al palo, mezzo conficcato nel culo del soldato.
Pierre si chiede come l’uomo faccia a reggerlo. Il
conte aggiunge: -
Fallo mettere in cella e organizza l’esecuzione. -
Sarà fatto. Pierre
fa un cenno d’inchino e si dirige verso la porta. Ferdinando riprende a
fottere il soldato senza neanche aspettare che Pierre sia uscito. Nel
chiudere la porta Pierre lancia ancora un’occhiata, poi si allontana,
scuotendo la testa. Pierre
dà tutti gli ordini necessari per l’esecuzione. Quando ha terminato,
raggiunge l’infermeria. Passa ogni giorno da Mikhael e chiede notizie a Sarah
che, dopo un’iniziale ritrosia, ormai parla volentieri con lui: le giornate
trascorse accanto a un uomo incosciente sono lunghe e la presenza di Pierre
le permette di distrarsi ogni tanto dall’angoscia. Sarah
non ha raccontato a Pierre tutta la verità. Gli ha detto dei maltrattamenti
subiti dal marito e della sua morte, senza rivelare che l’uomo è rimasto
ucciso mentre lottava con Mikhael. Gli ha solo raccontato che lei e il
fratello sono fuggiti, perché con la morte del marito, Sarah sarebbe passata
sotto la tutela del cognato, un uomo molto violento. Anche
la bambina si è abituata a Pierre, che ogni tanto gioca con lei e le insegna
un po’ della lingua dei franchi. Miriam si annoia a passare tante ore nella
stanza e assimilare questo nuovo idioma dai suoni così diversi la distrae.
Anche Sarah cerca di imparare: sa che potrà servirle. Sarah è una buona
allieva, ma Miriam è davvero bravissima: impara molto in fretta. Adesso si fa
spiegare il significato della parole anche dalla cuoca, con cui passa alcune
ore: per evitare di tenerla sempre nella stanza, Sarah affida ogni giorno la
figlia per qualche ora alla cuoca, che la tiene volentieri con sé. Miriam
scopre in fretta che questi uomini venuti da lontano usano una lingua comune,
ma quando sono con compagni che provengono dal loro stesso paese, alcuni si
esprimono in modo diverso. Quando
il conte Ferdinando, che ogni tanto fa un giro di controllo, passa nella
stanza, Miriam lo saluta nella lingua dei franchi. Il conte rimane stupito,
poi le risponde e, quando scopre che le piace imparare nuove parole, le
insegna qualche termine in siciliano. Adesso
Miriam è sempre attenta a ciò che gli altri dicono e quando sente un termine
che non capisce, ne chiede a Pierre il significato. Ogni tanto riporta anche
qualche bestemmia sentita da un soldato che passava e allora Pierre si limita
a dirle che è una parola da non ricordare oppure che non ne conosce il
significato. Ogni
giorno Pierre rimane più a lungo nella stanza, senza neppure rendersene
conto. Qualche volta vengono a cercarlo: ormai sanno che è facile trovarlo
lì. Quando esce dalla stanza Pierre si stupisce che sia passato tanto tempo
da quando è entrato. Parlando con Sarah e con la bambina, il tempo vola. Spesso
Istfan si unisce a loro. Anche lui gioca con Miriam
e parla con Sarah. Ma davanti a loro, il ricordo delle sue visite notturne a
Mikhael lo mette a disagio. Anche Istfan insegna
parole e frasi dei franchi. Lo fa in modo più sistematico di Pierre: per lui
non si tratta della lingua materna, ma di un idioma che ha imparato e di cui
ha studiato i vocaboli e le regole. Istfan e Pierre si conoscevano poco, ma le
lunghe chiacchierate nella camera di Mikhael fanno nascere tra loro
un’amicizia che si rafforza giorno dopo giorno. Anche
questa notte, come al solito, Istfan fa il giro
dell’infermeria per controllare i malati. Giunto
di fianco al letto di Mikhael, posa la candela e sposta il telo. Come
ogni notte la vista di questo corpo riaccende il suo desiderio. Istfan appoggia la sua mano sul torace di Mikhael. Al
contatto l’uomo apre gli occhi. Istfan si ferma. Mikhael
lo guarda. Poi parla: -
Chi siete? Dove sono? Poi,
con una voce angosciata, mentre cerca di sollevarsi a sedere: -
Sarah… mia sorella… la bambina… Sembra
lucido. Istfan toglie la mano, mentre risponde: -
Rimanete disteso. Sono Istfan, uno dei medici. Vi
trovate nell’infermeria. Vostra sorella e la bambina stanno bene. Vostra
sorella ha passato tutte le giornate al vostro capezzale. Mikhael
chiude gli occhi e si rilassa. -
Grazie a Dio! Istfan aggiunge: -
Nel sonno vi siete scoperto. Vi stavo ricoprendo, ma il contatto vi ha
risvegliato. Siete rimasto parecchi giorni senza riprendere coscienza. Una
spiegazione non era necessaria, ma Istfan ha
preferito giustificarsi. Prende il telo e copre Mikhael. Mikhael
chiede ancora di Sarah e di Miriam, ha paura che Istfan
gli menta. È debole, ma perfettamente lucido. -
Non mi state ingannando, vero? -
Volete che le faccia venire? - È
molto tardi? - È
molto tardi o molto presto, questione di punti di vista. Siamo nel cuore
della notte, ma credo che vostra sorella sarà felice di essere svegliata con
la notizia che vi siete ridestato. Attendetemi. Istfan sale al primo piano e passa nell’area
dove dormono le donne. Raggiunge la camera dove alloggia Sarah, insieme alla
bimba e a due domestiche. Entra
e tocca la donna, che si sveglia subito. -
Vostro fratello si è destato e ha chiesto di voi. Teme che sia successo
qualche cosa a voi e a vostra figlia e che io non voglia dirgli la verità. Se
scendete un attimo a vederlo, sarà più tranquillo. Sarah
trema, mentre prende Miriam e segue Istfan. Istfan rimane sulla soglia, mentre Sarah e
Mikhael si parlano e si abbracciano. Sarah scoppia a piangere. Miriam si
sveglia assonnata, ma è felice di vedere che lo zio è sveglio e ora la
abbraccia. Mikhael
chiede a Sarah se i soldati non le hanno fatto niente. Sarah spiega che
l’intervento del duca di Rougegarde ha salvato lei e Miriam. Dopo
qualche minuto, Istfan entra. -
Sarah, è meglio che torniate nella vostra camera. Mikhael non deve
affaticarsi. Ha superato la crisi, credo che ormai sia fuori pericolo, ma è
ancora molto debole. Sarah
annuisce, bacia Mikhael su una guancia, prende la bambina e ritorna in
camera. Istfan si rivolge a Mikhael e gli dice: -
Avete sete? -
Sì. Istfan porta a Mikhael
da bere. Poi gli dice: -
Ora tornate a riposare. Uscendo
dalla camera, Istfan incrocia Pierre. -
Che ci fai qui, a quest’ora di notte? -
Ero sveglio. Ti ho sentito scendere con Sarah. -
Mikhael si è svegliato. -
Sì, me l’ha detto Sarah. Era felice. -
Non ero sicuro che ce l’avrebbe fatta. Dopo tutti questi giorni… -
Vieni, saliamo sulla terrazza. Istfan segue Pierre. Intuisce che l’amico gli
vuole parlare. Pierre
è un soldato. Va diritto all’argomento che gli preme. -
Quando ti ho sentito scendere con Sarah, ho pensato… Pierre
si ferma un attimo, poi riprende: -
…che tu volessi portartela a letto. -
No, io… - Lo
so, lo so. Mikhael si è svegliato e tu l’hai chiamata. Istfan,
io e te passiamo molto tempo in quella camera. Tu hai capito benissimo perché
io ci vado. - Ti
piace Sarah, l’ho notato. -
Sì, anche se ho l’impressione che “ti piace” sia troppo poco. -
Credo che tu le piaccia. - In
questo caso invece temo che “tu le piaccia” sia troppo. Istfan ride. -
Dalle tempo. -
Vorrei darglielo, ma quanto tempo abbiamo? Prima o poi arriveranno i
saraceni. Oppure tornerà re Amalrico. Che faranno loro? Io dovrò tornare a
Rougegarde, se rimanessi qui, mi farebbero a pezzetti, dopo quello che
abbiamo combinato. Istfan annuisce. Certamente se un soldato
franco rimanesse nella città, all’arrivo dei saraceni farebbe una fine
orribile. Pierre
prosegue: - Ma
non è questo il problema, Istfan. In questi giorni
abbiamo fatto conoscenza e sto bene con te, mi sembra di aver trovato un
amico. Però un dubbio mi è passato più volte per la testa. Anche tu rimani
molto a lungo in quella camera. Istfan ha capito. Non ride più. Risponde alla
domanda inespressa: -
Non corro dietro a Sarah, Pierre. Ma… Istfan tace, è in imbarazzo. Pierre lo
incoraggia: -
Ma? Istfan cerca le parole. Ha paura della
reazione di Pierre. -
Mikhael mi ha colpito molto. Io… non lo so… non mi era mai successo… non
così… Io… Pierre
sorride. - Se
ti piace, non devi vergognarti. Ce ne sono tanti di noi che preferiscono gli
uomini alle donne, come il conte Ferdinando. Non sono indiscreto
raccontandotelo, lo sanno tutti. -
Sì, ne ho sentito parlare anch’io. Io… sì, Pierre, mi piacciono gli uomini.
Fu un medico presso cui feci pratica a iniziarmi e da allora mi sono sempre
sentito attratto dagli uomini. Ma… con Mikhael è
diverso… Istfan esita, poi aggiunge: - So
che ti sembrerà assurdo, non l’ho mai visto sveglio se non questa notte per
pochi minuti. Non so niente di lui. -
Niente no, sai che si è sacrificato per salvare Sarah e Miriam. È andato a
morte certa, coscientemente, per salvarle. È stato solo un caso se è riuscito
a sopravvivere. -
Sì, ciò che ci ha raccontato Sarah mi ha colpito molto. Ma è stato curando le
sue ferite… Non è amore, è un desiderio violento… che mi fa fare cose… Istfan scuote la testa e prosegue: - Un
medico non dovrebbe… Un medico dovrebbe guardare il corpo del paziente solo
per curarlo. - I
medici sono uomini anche loro. Hanno un cuore e, almeno nel tuo caso, un
cervello. E pure un cazzo. Pierre
sorride. Anche Istfan sorride. -
Sì, è così. Ma mi vergogno. - Di
essere umano, Istfan? Rimangono
a guardare il cielo, senza dirsi più nulla. Istfan
è contento di aver parlato con Pierre. Si sente sollevato. -
Grazie, Pierre. Dopo
un po’, Pierre dice: - Me
ne torno a letto. Ci rivedremo al capezzale di Mikhael. Cercherò di darti una
mano con lui, se mi capita l’occasione. E tu… -
Farò lo stesso con te per Sarah. Istfan farà lo stesso ben volentieri. A
Pierre ormai vuole bene. Ma ciò che ha detto Pierre è vero: quanto tempo
hanno, prima del ritorno di re Amalrico o dell’arrivo dell’esercito saraceno
dalla Siria? La
sera successiva Tristan raggiunge la terrazza. C’è Istfan.
Scambiano due parole, ma il medico se ne va subito. Istfan
è cambiato, non sembra più stare volentieri con lui, come un tempo. Tristan
rimane ancora un momento sulla terrazza. Poi scende per andarsi a coricare.
Passa davanti al corridoio che porta all’appartamento del conte. In quel
momento la porta al fondo del corridoio si apre e Ferdinando appare, nudo. Ha
ancora la fasciatura, ma non indossa altro. Il cazzo è in tiro e Tristan
rimane paralizzato. Distoglie lo sguardo e fissa il viso di Ferdinando, che
si avvicina sorridendo. -
Soldato, mi sto annoiando. Che ne diresti di venire a tenermi un po’ di
compagnia? Il
ghigno di Ferdinando non lascia molti dubbi su ciò che il conte si aspetta da
Tristan. Tristan
è combattuto: il desiderio preme, da quando è partito da Rougegarde non ha
più scopato, ma gli sembra di tradire Istfan. È
un’idea assurda, non c’è nessun legame tra lui e Istfan,
il medico non è interessato a lui. Ferdinando ha colto la sua esitazione, gli
afferra un braccio e insiste: -
Dai, vieni. Tristan
si dice che forse gli farà bene, ridurrà un po’ la tensione e sarà più facile
controllarsi. - Va
bene. In
camera Ferdinando sorride. Tristan
si inginocchia davanti a Ferdinando. Guarda il cazzo. È splendido, ma Tristan
si chiede se riuscirà a reggerlo. Tristan avvicina la bocca. La sua lingua
percorre l’asta tesa, dai coglioni fino alla cappella, poi le sue labbra avvolgono
la preda. Ma il pensiero va a Istfan. * Adalberon è accovacciato dietro alcuni cespugli.
Mentre tornava dal villaggio è stato preso da un bisogno improvviso. Qualcuno
si avvicina. Due uomini. Adalberon non può vederli
in viso, scorge solo due sagome nel buio della notte. Sono vicinissimi e Adalberon è sul punto di dirgli di fare attenzione a non
venirgli addosso, quando uno di loro parla, pianissimo: -
Ecco, il barone d’Arbert prende sempre questo
sentiero per andare da Salima, al villaggio.
Probabilmente ci andrà anche questa notte, ma più tardi. Tu lo aspetterai
qui, quando torna: è il posto migliore, la vegetazione è fitta ed è lontano
sia dal villaggio, sia dal campo. Il barone va sempre da solo, di qui al
villaggio sono cinque minuti e la zona è sotto il nostro controllo. Quando
passa di qui, lo ammazzi. Vedi tu se fare finta di incrociarlo per caso, se
saltargli addosso alle spalle. Cazzi tuoi. Ma devi ucciderlo. L’altro
uomo risponde, ma talmente piano che Adalberon
sente appena: - Va
bene. Adalberon è paralizzato dalla paura. Se ora si
accorgessero di lui, lo ammazzerebbero di sicuro, perché ha scoperto il loro
piano. Fortunatamente
i due si allontanano. Adalberon rimane fermo a
lungo, poi si alza, si rassetta e raggiunge rapidamente l’accampamento. Si
dirige immediatamente verso la tenda del cavaliere di Rochenoire,
delle cui truppe fa parte. Un dubbio però lo assale. Il barone d’Arbert e Amaury di Rochenoire
sono amici, ma anche rivali. E se fosse stato un uomo del cavaliere a
organizzare l’agguato? In questo caso Amaury di Rochenoire
non sarebbe per niente contento di vedere il suo piano andare a monte. E se
invece è stato qualcun altro? La colpa potrebbe ricadere su Amaury, dato che
tutti conoscono la loro rivalità. Adalberon ritiene di dover comunque riferire ciò
che ha sentito. Raggiunge la tenda e dice alla sentinella che ha bisogno di
parlare da solo al cavaliere. Amaury
lo riceve. -
Cavaliere, scusate se vi disturbo, ma ho bisogno di parlarvi un momento.
Posso? -
Certo, Adalberon, dimmi. Adalberon è ancora incerto, ma poi si fa forza.
Riferisce ciò che ha sentito. Amaury appare molto stupito. Adalberon aggiunge: - Ho
ritenuto mio dovere informarvi. -
Sai chi siano i due uomini? -
No, era buio e non li ho potuti vedere. Non conosco la voce di quello che ha
parlato. Non saprei riconoscerli. -
Hai avvisato il barone d’Arbert? -
No, cavaliere. Ho ritenuto mio dovere riferire a voi, a cui devo obbedienza.
Voi sapete che cosa è opportuno fare. Io non intendo parlarne con nessuno. Amaury
lo fissa. Adalberon è sicuro che il cavaliere abbia
capito perfettamente il senso delle sue parole. -
Hai fatto molto bene, Adalberon. Adesso puoi
andare. Amaury
riflette. Sa di non avere molto tempo: tra poco Hugues
andrà al villaggio da questa donna araba che ha sedotto con un po’ di denaro
e qualche promessa. Se Hugues morisse, Cesarea
sarebbe assegnata a un altro, forse a lui, Amaury. O forse no. Hugues e Amaury sono amici, ma Amaury non è sicuro che se
le loro parti fossero scambiate, Hugues lo
avviserebbe. Amaury non penserebbe mai di far assassinare Hugues,
ma a questo ha pensato qualcun altro. Amaury ne è venuto a conoscenza per
caso, informato da un soldato fedele e intelligente, il cui silenzio gli
lascia piena libertà di azione. Può lasciare che Hugues
muoia e nessuno verrebbe a sapere che lui avrebbe potuto impedirlo...
Potrebbe… La contea di Cesarea è un territorio ricco e importante. Il conte
di Cesarea è uno dei signori del regno. Basterebbe non dire nulla, non fare
nulla… Cesarea è a portata di mano. Amaury
si versa un po’ di vino. Beve un bicchiere. Conte di Cesarea… conte di
Cesarea… Amaury
scuote la testa ed esce dalla sua tenda, dirigendosi verso quella di Hugues. Hugues è in compagnia di alcuni cavalieri.
Amaury dice: - Mi
scuso, ma ho bisogno di parlare con il barone da solo. È una faccenda
urgente. Tutti
escono. -
Che c’è, Amaury? -
Vogliono ucciderti, Hugues. -
Cosa? -
Questa sera, quando andrai da Salima. No, al
ritorno. Ti aspetteranno lungo il sentiero. - Ma
chi? Perché? Come lo sai? Amaury
riferisce quanto gli ha raccontato Adalberon. Poi
aggiunge: -
Chi, non so dirtelo. Qualcuno che aspira a Cesarea, probabilmente. Hugues sorride, mentre dice: - In
questo caso potresti essere tu. Amaury
legge negli occhi di Hugues un dubbio. Non è pienamente
convinto di ciò che gli racconta l’amico. -
Questo è quello che crederebbero in molti. Potrebbe essere un buon modo per
mettere fuori gioco anche me. Hugues annuisce. Poi osserva: -
Credi che riusciremmo a sorprendere l’assassino? -
Non è facile. Lungo quel sentiero passano molti soldati, che vanno dalle
puttane del villaggio. Se chi è in agguato ti vedesse arrivare con molti
uomini, si dileguerebbe. Se andassi da solo, rischieresti di essere ucciso.
Non sappiamo come intenda colpirti. Magari
ti lancerà un coltello alla schiena per poi finirti. -
Forse è il caso che ne parliamo al re. -
Come credi. Hugues a Amaury raggiungono la tenda del re e
raccontano quando è successo. Adalberon viene
chiamato e testimonia. Amalrico concorda sulla difficoltà di sorprendere
l’assassino prima che uccida. Non si farà nulla. Più
tardi, nella tenda di Hugues, Amaury e Hugues parlano a lungo della faccenda, ma possono solo
fare ipotesi. Amaury conclude: -
L’unica cosa che posso dirti con sicurezza è di prestare attenzione e non
muoverti mai da solo. C’è
un momento di silenzio, poi Hugues sbotta: -
Che rottura di coglioni! Bloccati qui, a guardare una città che brucia, senza
nessuna speranza di risolvere la situazione, senza possibilità di
distinguersi e adesso anche qualcuno che vuole ammazzarmi, da cui mi devo
guardare. Davvero una bella rottura di coglioni! A passare il tempo a giocare
ai dadi o a scacchi. -
Prendilo come un periodo di riposo. Hugues scuote la testa. - Da
Salima non posso andare. Almeno ci fosse qui Nadira. Nadira è la donna che Hugues
ha preso come parte del bottino a Bilbeis: una
bellissima ragazza, che però si è ammalata e Hugues
ha dovuto lasciarla nella città. - In
questo sono più fortunato di te: non ho questo problema. Anche se mi manca
Ferdinando. Hugues conosce benissimo i gusti del suo
amico, anche se non ne hanno mai parlato molto. Adesso le parole di Amaury
destano la sua curiosità. -
Dicono che sia dotato come un cavallo. - Lo
è, lo è. Ed è un magnifico stallone, in grado di fottere tre o quattro volte
di seguito. Non a caso spesso scopa con più soldati. Hugues scuote la testa. - Ma
non fa male? Voglio dire, prenderselo in culo fa male, no? E se poi a
incularti è uno che ha un cazzo da cavallo, ancora peggio, no? -
Non hai mai provato? - No
e non intendo provare. Amaury
sorride: -
Non intendevo proportelo. Comunque è vero, se non sei abituato, con
Ferdinando non ce la fai proprio. Lui però di solito è abbastanza attento: sa
di avere un palo tra le gambe. - Mi
chiedo che cosa uno ci provi… farselo mettere in culo… -
Questione di gusti. Tu non hai mai neanche provato a scopare un uomo? -
No, ma quello lo capisco. In fondo metterlo in un culo o in una fica, non è
certo la stessa cosa, ma non è neppure così diverso. -
Adesso ti andrebbe bene anche un culo, vero? Hugues guarda Amaury e ride. -
Preferirei un bel mass di Junayd, ma non te lo sei portato dietro. E allora
andrebbe bene anche un culo, è vero, ma sono il barone d’Arbert,
governatore di Cesarea, e non voglio che si dica che vado a letto con gli
uomini. A volte mi chiedo come faccia Ferdinando a non preoccuparsi. Lo sanno
tutti quello che combina. -
Anche quello che faceva Tancrède d’Espinel lo
sapevano tutti. Ed era molto peggio di quello che fa Ferdinando, lo sai
benissimo. Ma finché non hanno scoperto che tradiva, nessuno ha detto nulla.
Ferdinando è un guerriero valoroso. Non ha molti nemici: non è ambizioso,
diventare più potente non gli interessa, non fa ombra a nessuno. E il re non
si priverà certo di un feudatario leale e coraggioso per accontentare qualche
vescovo. Per quanto anche su quello che fanno certi vescovi ce ne sarebbe da
dire… - Tu
non hai paura che qualcuno lo sappia? - Mi
muovo con cautela. Qualcuno ha capito, ma sono solo voci. Non organizzo orge
e non partecipo neppure a quelle di Ferdinando. Quando scopo con lui, non c’è
nessun altro. Non siamo in Europa, dove la Chiesa ha molto più potere. Qui
noi franchi siamo continuamente minacciati. Ogni guerriero coraggioso e leale
è prezioso. -
Sì, hai ragione, ma in questo momento non voglio rischiare. E non voglio che
i miei soldati sparlino di me. Amaury
ride. -
Vuoi che dica a Ghassan di venire da te, Hugues? - Ghassan è quel ragazzo arabo che hai con te, il tuo
servitore? -
Sì, mi serve in molti modi. Hugues ride. -
Non ti spiace privartene per una sera? -
Non me ne privo: non te lo lascio mica tutta la notte. -
Allora ti puoi fermare. Così mi insegni come si fa. Di
fronte ad Amaury, Hugues non si vergogna di certo:
i mass di Junayd hanno portato entrambi più volte
al piacere. - Mi
sembra una bella idea, anche se sono sicuro che sei perfettamente in grado di
capirlo da solo. Amaury
esce dalla tenda e dice al soldato che lo ha accompagnato di andare a
prendere Ghassan. Ghassan arriva poco dopo. È un bel ragazzo,
che non deve avere più di vent’anni. Amaury
gli parla in arabo: il giovane conosce ancora poco la lingua dei franchi. - Ghassan, il mio amico, il barone d’Arbert,
vuole vedere che cosa sei capace di fare. Il
ragazzo sorride. Amaury
si rivolge a Hugues. -
Spogliati, Hugues, e lascia che Ghassan
si occupi di te. Non te ne pentirai. Hugues incomincia a spogliarsi. Quando ha
solo più i pantaloni, dice all’amico: - E
tu? Tu rimani vestito? Non mi piace l’idea. Tanto poi anche tu ti servirai di
Ghassan, no? Amaury
annuisce, sorride e si alza. Si spoglia in fretta. Il barone si sfila
l’ultimo indumento e Amaury dice qualche cosa a Ghassan. Ghassan si inginocchia davanti a Hugues, mentre Amaury si stende sui cuscini e l’osserva
sorridendo. Ghassan mette le mani sui fianchi di Hugues e li accarezza, poi avvicina la bocca al cazzo e
inghiotte la cappella. Hugues emette un gemito. Il
ragazzo incomincia a lavorare con le labbra e la lingua. Hugues chiude gli occhi e solleva il capo. Il
piacere che gli trasmette la bocca di Ghassan è
intensissimo. Hugues geme più volte, poi si rivolge
ad Amaury: -
Cazzo, Amaury, nessuna donna mi ha mai fatto un pompino così. Questo Ghassan ha davvero una bocca d’oro. Poi Hugues si rivolge a Ghassan: -
Dovevano chiamarti Boccadoro, te. Amaury
ride, poi dice: -
Anche Culodoro si potrebbe chiamare, te lo
assicuro. -
Dici che è meglio se non lo lascio finire con la bocca? Vale davvero la pena
di provare il suo culo? -
Perché limitarsi? Lascia che finisca con la bocca, poi lo prendo io, mentre
tu ti riposi. Così ti faccio vedere come si fa, l’avevi chiesto tu, no? E
dopo fai il bis con il culo. Sarebbe un peccato perdere l’uno o l’altro. Hugues sorride. Non si è mai trovato in
questa situazione, con qualcuno che gli fa un bocchino, mentre un altro uomo
assiste e commenta. Ghassan prosegue e Hugues
sente il piacere crescere. Chiude gli occhi, rovescia la testa all’indietro e
geme, mentre dal cazzo il seme si spande nella bocca di Ghassan.
Il ragazzo pulisce con cura, ma ormai il contatto è intollerabile e Hugues lo allontana. -
Adesso non mi dire che non sei soddisfatto. Hugues apre gli occhi, guarda Amaury e
sorride. -
Cazzo, che meraviglia! - Adesso
ti faccio vedere come si fa per la seconda parte. Amaury
prosegue: -
Vedi, Hugues, Ghassan è
abituato a prenderselo in culo, ma questo non significa che tu possa entrare
come un animale. Devi preparare un po’ il terreno. Ti conviene usare un po’
di olio o almeno la saliva. -
Olio? Questa poi… -
L’olio è perfetto, rende l’ingresso molto più facile. Guarda, qui ho questa
fialetta. Dico a Ghassan di ungermi. Se lo fai fare
a lui, è più piacevole. Amaury
dice a Ghassan qualche cosa in arabo. Il ragazzo prende
la fialetta d’olio, ne versa un po’ sul palmo della mano e incomincia a
ungere la cappella di Amaury. Il cazzo del cavaliere è già gonfio di sangue e
al contatto si irrigidisce ancora di più e cresce di volume. Ora è rigido e
svettante. Ghassan passa ancora un po’ di olio
sulla cappella, poi, a un ordine di Amaury, gli passa la fialetta e si mette
sui cuscini, in modo da avere il culo sollevato. -
Ora la seconda parte, Hugues. Ti versi un po’ di
olio sulle dita e lo spargi sul buco. Mentre
lo dice Amaury esegue. L’indice e il medio scorrono intorno all’apertura, poi
Amaury le unge di nuovo e questa volta le infila dentro. Ghassan
sorride. Hugues osserva, affascinato. Sente che il
desiderio sta nuovamente crescendo dentro di lui, anche se è venuto da poco. - È
ora di partire all’attacco della postazione. Non devi infilzarlo come se
fosse un condannato a morte da impalare. Avanzi lentamente, gli dai il tempo
per abituarsi, poi ti inoltri ancora un poco e solo allora puoi affondare del
tutto l’arma. Mentre
parla, Amaury esegue. Hugues guarda il cazzo
dell’amico affondare nel culo di Ghassan, poi
riemergere e nuovamente scomparire. È uno spettacolo da cui non riesce a
distogliere gli occhi. Amaury procede a lungo, con movimenti lenti, mentre le
sue mani accarezzano il corpo che sta possedendo. Quando infine imprime al
movimento un ritmo più veloce e viene, Hugues è già
pronto per mettere in pratica quanto ha appreso. Prima
si fa ungere la cappella da Ghassan, poi versa un
filo d’olio lungo il solco e con un dito lo sparge intorno all’apertura.
Ripete l’operazione, questa volta infilando l’indice e il medio. La
sensazione è intensa e Hugues si stupisce di quanto
piacere gli dia questo semplice contatto. Gli sembra di essere un po’
ubriaco. Avrebbe voglia di passare la lingua sul solco, di sentire il gusto
di questo culo che gli si offre. Hugues poggia le mani sulle natiche e le
divarica. Osserva l’apertura e avvicina la cappella. È splendido vederla
penetrare nella carne e la sensazione di calore è davvero inebriante. A Hugues pare di fluttuare in una dimensione irreale.
Mentre con lentezza cavalca Ghassan, tutto il suo
corpo è invaso da una sensazione di piacere intensissimo. Gli sembra di non
aver mai desiderato altro che questo culo perfetto, che le sue mani
accarezzano e stringono. E
poi il piacere è troppo intenso per poter ancora essere tenuto a freno e
dilaga, squassandolo. Il
mattino dopo un uomo viene trovato con la gola tagliata nei pressi
dell’accampamento. È Sohier, un soldato di Amaury
di Rochenoire. Nessuno sa chi possa averlo ucciso e
perché. Amaury sospetta che Sohier fosse l’uomo che
doveva uccidere Hugues: qualcuno potrebbe averlo
indotto a compiere l’omicidio in cambio di una grossa somma. Quando il piano
è fallito, è stato assassinato per evitare che parlasse. Forse sarebbe stato
eliminato comunque da chi aveva escogitato il piano, per far credere che
Amaury fosse implicato nell’omicidio di Hugues.
Sono tutte ipotesi, forse infondate. Chi
può stare dietro a tutto questo? Amaury sospetta di Renaud,
che come Hugues e lui stesso aspira al dominio su
Cesarea. Ma non ha nessuna certezza. * Roussel
è in cella. Si è lasciato prendere come un coglione. E adesso lo
impiccheranno per aver ucciso quel figlio di puttana che gli ha ammazzato la
donna. La
cella si apre ed entrano quattro soldati. Roussel ne conosce solo due: erano
con quello stronzo che lui ha mandato dal diavolo. Roussel si tende. Che
cazzo vogliono? Perché li hanno lasciati entrare? Uno
dei soldati ghigna. - Siamo
venuti a tenerti compagnia. Oggi pomeriggio paghi il conto, ma magari hai
voglia di scopare ancora una volta, no? Roussel
arretra e si addossa alla parete. Ha capito benissimo, ma chiede: -
Che cazzo volete? -
Non ti capiterà più di scopare. Così abbiamo pensato di darti noi una mano. Uno
degli uomini scoppia a ridere. Anche gli altri ridacchiano. Uno aggiunge: -
Magari quando ti impiccano ti viene duro, ma non è la stessa cosa. -
Non vi avvicinate, figli di puttana. - Ah
no? Perché? Che cosa ci farai? L’uomo
ride. Roussel non risponde. I quattro avanzano. Roussel salta addosso al
primo e lo fa cadere a terra. È sopra di lui e gli afferra la testa. La
sbatte contro il pavimento della cella, ma gli altri lo bloccano e gli
impediscono di dare al colpo la forza necessaria. Uno gli passa un braccio
intorno al collo e Roussel sente che gli manca il respiro. Gli altri lo
colpiscono con pugni in faccia e allo stomaco e calci alle costole e ai
coglioni. Roussel
si trova steso a terra. Si becca ancora qualche calcio in faccia. Uno dei
soldati è già sopra di lui e lo infilza con una spinta violenta. -
Bastardo! Un
calcio in faccia gli impedisce di continuare. Uno
dopo l’altro i quattro uomini lo inculano. L’ultimo è il soldato che lui ha
mandato a terra. Questi, dopo averlo preso, gli afferra i coglioni e li
stringe con forza. Roussel grida. L’uomo ride e stringe ancora più forte.
Roussel urla ancora, poi ha l’impressione che il mondo svanisca. Ha
perso coscienza e solo quando gli uomini gli pisciano addosso si risveglia. I
soldati se ne vanno sghignazzando. * Mikhael ha incominciato ad alzarsi. È ancora
molto debole e ha bisogno che qualcuno lo sorregga. Il mattino, mentre Istfan segue gli altri malati, Mikhael
si muove aiutato da Sarah. Nel pomeriggio Sarah rimane alcune ore con la
bambina ed è Istfan ad accompagnare Mikhael in giro. Istfan è
felice di dargli il braccio, di sentirlo appoggiarsi a lui. Mikhael non può camminare a lungo e dopo un po’ Istfan lo fa sedere nel giardino del palazzo: a Mikhael fa bene respirare all’aria aperta, non rimanere
sempre nello spazio angusto della stanza. Mentre
Mikhael rimane seduto, lui e Istfan
parlano. Stanno imparando a conoscersi. Tra loro si è stabilita una certa
familiarità e si danno del tu. - Tu
parli benissimo l’arabo e porti un nome arabo, ma non musulmano. Istfan annuisce. -
Sì, è il nome di un martire cristiano. Sono nato vicino a Rougegarde, che
allora era ancora al-Hamra, la Rossa, in una famiglia cristiana. Nella
regione di Rougegarde non ce n’erano molte, allora. -
Come mai hai studiato medicina? -
Mio padre era medico. -
Lavori alle dipendenze del duca? -
No, esercito nella città. Ma il duca, quando parte in guerra, porta sempre
con sé, oltre al suo medico personale, Nabih, anche
almeno un altro medico. Non si serve mai di medici franchi e per questo è mal
visto da alcuni. Istfan sorride e conclude: - Ma
ti dirò, Mikhael, i medici franchi sono spesso
ignoranti e incompetenti. Mikhael sorride. -
L’ho sentito dire anch’io. C’è
un momento di pausa. Istfan chiede: - E
tu, Mikhael? Sarah ha detto che non siete di Bilbeis. -
No, siamo nati al Cairo, ma Sarah si è sposata un mercante di al-Minya, una
cittadina a sud del Cairo. Purtroppo non è stato un matrimonio felice. Suo
marito era un violento e la sua famiglia le era molto ostile, anche perché
Sarah ha avuto solo una figlia e nessun maschio. - Ma
è giovanissima. - Si
è sposata molto presto. Nostro padre era malato e voleva vedere la figlia
sistemata prima di morire. Istfan annuisce. - E
tu, che lavoro fai? - Il
fabbro. Lavoravo al Cairo, ma quando nostra madre è morta mi sono trasferito
ad al-Minya, per dare una mano a Sarah. Mikhael racconta della morte improvvisa del
cognato e della loro decisione di partire. La versione dei fatti è quella
concordata con Sarah prima di arrivare a Bilbeis e
poi raccontata alla comunità ebraica di Bilbeis: la
località di provenienza e il nome del marito non sono quelli reali. Mikhael aggiunge che sono partiti perché, rimanendo ad
al-Minya, Sarah sarebbe passata sotto la tutela del cognato, un uomo brutale
e violento: questo dettaglio Sarah e Mikhael non
l’avevano narrato a nessuno a Bilbeis, ma Mikhael ritiene opportuno rivelarlo per spiegare i motivi
della loro partenza. Istfan ha l’impressione che Mikhael non gli racconti tutta la verità a proposito del
marito di Sarah e della loro partenza da al-Minya, ma non insiste. Non sono
affari suoi. - E
adesso? Contate di fermarvi qui? -
No, ma non abbiamo ancora deciso nulla. Non vogliamo che la famiglia del marito
di Sarah la trovi. Avevamo pensato di trasferirci a Damasco, ma dobbiamo
pensarci. -
Capisco. Un
soldato viene a chiamare Istfan, che lascia Mikhael. Tornerà dopo per riaccompagnarlo in camera. Mentre
si allontana, pensa che parlare con Mikhael, stargli
vicino, accompagnarlo è fonte di gioia, ma anche di angoscia. Istfan ha paura di ciò che prova per quest’uomo. Ci sono
momenti in cui il desiderio di toccarlo, di stringerlo è tanto forte che Istfan fa fatica a controllarsi. Ormai
non può più vederlo nudo, se non quando controlla le ferite o quando Mikhael si alza e si veste. In quei momenti Istfan non riesce a distogliere lo sguardo. Nel
pomeriggio Istfan accompagna Mikhael
ad assistere all’impiccagione di Roussel. L’esecuzione è un gradito diversivo
per la guarnigione e per la popolazione di Bilbeis,
che vivono una situazione di incertezza e temono l’arrivo dell’esercito
siriano. Istfan non è molto interessato, ma Pierre gli
ha chiesto di portare via Mikhael per poter parlare
con Sarah. Mikhael invece segue con interesse
l’impiccagione. Osserva gli uomini che trascinano Roussel fino alla forca e
poi lo forzano a salire. Roussel cammina a fatica e ha in faccia segni di
percosse e due tagli. Il boia
forza Roussel a salire su una scala a pioli appoggiata alla trave superiore
della forca, gli infila il cappio al collo e poi con un calcio lo fa cadere
di lato. Mentre il boia scende e toglie la scala, Roussel incomincia ad
agitarsi freneticamente. Gli uomini guardano la sua danza selvaggia, gridando
commenti sarcastici e ridendo. Infine i movimenti diventano più lenti e
Roussel rimane immobile, il viso congestionato, la lingua che gli sporge
dalla bocca. Dopo
l’esecuzione, Pierre controlla che vengano eseguiti gli ordini del conte
Ferdinando, poi rientra nella stanza di Mikhael.
C’è solo Sarah che aspetta il fratello: Mikhael è
ancora fuori con Istfan, che si è impegnato a farlo
rientrare più tardi, in modo che Pierre possa parlare con Sarah senza la presenza
di nessun altro adulto. Incomincia con una frase generica: -
Non siete venuta a vedere l’esecuzione, Sarah. Sarah
scuote la testa. -
Non amo questi spettacoli. Non mi piace veder uccidere un uomo. -
Era colpevole di omicidio. Aveva ucciso un altro soldato. Sarah
guarda Pierre in viso: - Se
si dà la morte a un soldato per aver ucciso un altro soldato, non si dovrebbe
punire anche chi ha ucciso anziani, donne, bambini indifesi? Pierre
china il capo. -
Sì, Sarah, vi do ragione. C’è
un momento di silenzio. Poi Pierre prosegue: - La
guerra è uccidere e questo non mi fa paura. Posso uccidere e venire ucciso in
battaglia. Ma ciò che ho visto qui a Bilbeis è
stato orribile. Non avevo mai assistito a niente del genere. Quando il duca
di Rougegarde prende una città, le cose si svolgono in altro modo, ve lo
assicuro. - Lo
credo, lo so: lo dicevano in tanti, qui a Bilbeis,
speravano che fosse lui a entrare in città. Contavano di mettersi sotto la
sua protezione. Ma non è stato così. Sarah
tace un momento, poi prosegue: -
Quante altre volte è successo quello che è avvenuto qui? Non sono solo i
cristiani: anche i musulmani hanno fatto strage della popolazione di una
città, tante volte. E nella Torah è scritto che Dio stesso ordinò di
sterminare tutta la popolazione di Gerico… Sarah
si interrompe. - È
la guerra, Sarah. -
Che senso ha, Pierre? Che senso ha tutto questo odio? Sono contenta di non
essere un uomo, di non dover combattere e uccidere. Perché gli uomini sono
così carichi di odio? Pierre
non ha una risposta. Pensava di cercare di esprimere ciò che prova per lei,
ma Sarah ha portato il loro dialogo su un altro piano e ora parlare dei
propri sentimenti gli sembrerebbe assurdo. -
Non so che senso ha, Sarah. Non odio nessuno. Cerco di fare il mio lavoro
come meglio posso. Non mi fermo a pensare, lo so. Forse dovrei farlo. -
Scusate, Pierre. Ciò che ho visto mi ha sconvolto. E in questi giorni in cui Mikhael è stato sospeso tra la vita e la morte mi sono
posta tante domande. Pierre
annuisce. Poi dice: - In
questi giorni mi è capitato di chiedermi se, una volta tornato a Rougegarde,
ritornerò ancora a fare il soldato. Pierre
non l’ha davvero pensato o almeno non ha formulato il pensiero chiaramente
come fa ora. -
Che cosa potreste fare? -
Per un uomo giovane e forte è sempre possibile trovare un lavoro, Sarah. Le
occasioni non mancano certo a Rougegarde. O da un’altra parte: non ho
famiglia, non ho nulla che mi trattenga a Rougegarde se non la stima che ho
per il duca. Ma non lo so, Sarah, sinceramente, non so che cosa farò. Devo
pensarci. Pierre
aggiunge: - E
voi, voi che cosa farete? Da quel che mi dicevate, non contavate di fermarvi
qui a Bilbeis, eravate solo di passaggio. -
Sì, la nostra intenzione era di trasferirci in Siria. Non vogliamo rimanere in
Egitto, questo è sicuro. Ma non so che cosa faremo. Io e Mikhael
ne stiamo parlando. -
Potreste venire a Rougegarde: tutti sono liberi di praticare la loro
religione e non vi sono persecuzioni. - Ci
penseremo. Mikhael si è addormentato nel giardino dove Istfan lo ha accompagnato perché rimanesse ancora un po’
al sole. Istfan lo lascia riposare. Gli piace
guardarlo dormire. Di notte Istfan non lo può più
fare: passa a fare un controllo, ma ha paura che Mikhael
possa svegliarsi e vederlo. È già successo due volte: Mikhael
ha il sonno molto leggero. Che
cosa succederà ora? Che ne sarà di Mikhael se la
città verrà attaccata dai saraceni? Non dovrebbe succedergli nulla, non è
venuto con i franchi. Sarebbe Istfan a rischiare,
ma Istfan si preoccupa per Mikhael.
E se
l’esercito franco ritornerà e partiranno tutti per la Terrasanta? Dovrà
separarsi da Mikhael per sempre. A Istfan sembra di non poter lasciare Mikhael,
quest’uomo che solo da pochi giorni gli parla. Non è amore, quello che prova,
Istfan lo sa. Ma il corpo di Mikhael
lo fa impazzire di desiderio. Tristan
ha assistito all’esecuzione, ma ha guardato più Mikhael
e Istfan che l’agonia del condannato. Adesso li
osserva ancora nel giardino. Si è messo in un punto in cui Istfan non può vederlo. Ciò
che ha sospettato è vero, non ci sono dubbi. Gli basta guardare in viso Istfan per capire che è attratto da Mikhael.
L’ebreo non sembra ricambiare i sentimenti del medico, ma questo non rende
Tristan meno infelice. Tristan vorrebbe che Istfan
ottenesse ciò che desidera. Che almeno lui possa essere felice. Su di sé
sente gravare una cappa di piombo. * La
sera Pierre e Istfan si ritrovano regolarmente,
nella camera di uno dei due o sulla terrazza, dove possono parlare
liberamente. Istfan chiede a Pierre: -
Com’è andata con Sarah? Non puoi lamentarti di non avere avuto tempo. -
No, tu sei stato bravissimo, grazie, ma io non ho combinato niente. -
Come mai? Non ti sembrava ben disposta? -
No, è che abbiamo incominciato a parlare di ciò che è successo qui, quando la
città è stata espugnata. E poi… cazzo! Non era proprio il momento. Sarà per
un’altra occasione. -
Rischiano di non essercene più molte. Lo sai. - Lo
so. C’è
un momento di pausa, poi Pierre chiede: - E
tu, come va con Mikhael? - Malissimo.
Non riesco a parlargli, non so che cosa pensa. Se gli dicessi qualche cosa…
forse gli farei schifo. - Se
non saggi un po’ il terreno, non potrai mai sapere che cosa pensa. -
Non è facile, Pierre. Non posso chiedergli se gli piacciono gli uomini. Non
ci conosciamo abbastanza. - E
così anche tu rischi di perdere le ultime occasioni. Istfan annuisce. -
Sì, Pierre. Il mio corpo arde e certe volte provo l’impulso di saltargli
addosso… Dio mio, sono proprio pazzo. -
Non scopi con nessuno, vero? -
No, da quando sono partito da Rougegarde. Poi
Pierre chiede: -
Vai solo con gli uomini? -
Sì, non ho mai provato con una donna. Non mi interessa. Tu invece scopi solo
con le donne. Non
è una domanda, ma Pierre risponde: -
No. Mi piacciono le donne, ma durante le campagne mi succede spesso di
scopare con qualche soldato. Non sono abituato a rimanere a lungo in
astinenza. Istfan non dice nulla. Rimangono in silenzio
un buon momento. Poi Istfan si congeda e torna
nella sua camera. * L’esercito
dei franchi è ancora accampato non lontano dal Cairo, dove l’incendio
continua a divampare. Nelle riunioni che ha tenuto con i comandanti, re
Amalrico ha sempre fatto il punto della situazione, senza affrontare
l’argomento di cui discute tutto il campo: che cosa fare. Alcuni
dei signori franchi, come Amaury di Rochenoire e Hugues d’Arbert, sono più
propensi a tornare indietro. Altri, come Renaud di San Giacomo d’Afrin e Jorge da Toledo, vorrebbero sferrare un attacco
alle fortificazioni. Denis di Rougegarde evita di pronunciarsi: ne ha parlato
solo con Guillaume. Denis sa benissimo che la spedizione è fallita. Hugues è irrequieto. Amaury non capisce i
motivi del suo nervosismo e gli chiede: -
Che cosa c’è, Hugues? -
Speravo che questa spedizione mi avrebbe dato l’occasione di compiere qualche
atto di valore, per assicurarmi Cesarea, ma a Bilbeis
non c’è stata una grande battaglia e temo che non ce ne saranno altre. -
No, Denis di Rougegarde mi sembra molto scettico sulle nostre possibilità di occupare
il Cairo. E di solito ha ragione. Direi che ha sempre ragione. Forse avremo
ancora battaglie lungo la via del ritorno, ma non per la conquista del Cairo. - È
quello che temo anch’io. Vorrei che la mia situazione si definisse. Che mi
assegnasse Cesarea o che me la togliesse. Non rimanere in sospeso. Non ha
senso. - Al
nostro ritorno Amalrico prenderà una decisione. Re
Amalrico è incerto. Sa che rimanere è inutile, ma tornare indietro significa
rinunciare a ogni speranza di sottomettere l’Egitto. Vorrebbe chiedere un
parere a Denis d’Aguilard, ma evita di farlo: è ancora irritato con lui.
Denis preferisce non dire nulla: sa che il suo parere non piacerebbe al re.
Il visir Sawer ha offerto al re una grossa somma,
parte del tributo dovuto. Amalrico si chiede se accettare. Una
notizia mette fine a ogni indugio: su richiesta di Sawer,
il signore della Siria ha inviato un esercito a sostegno degli egiziani. Gli
assalitori rischiano di trovarsi tra due fuochi. Sawer
è uno che ha sempre fatto il doppio gioco. I
nobili franchi si riuniscono a consiglio. Jorge
da Toledo propone di passare all’azione: -
Perché rimaniamo inattivi? Che senso ha? Dobbiamo attaccare il Cairo ed
espugnare la città. Gli
risponde Denis di Rougegarde: -
Non abbiamo né le forze necessarie, né il tempo per riuscire a espugnare la
città prima dell’arrivo dell’esercito siriano. -
Quando la flotta ci raggiungerà… - La
flotta non ci raggiungerà. Il Nilo è bloccato. Jorge
sbotta: -
Siamo venuti fin qui per nulla? -
Siamo venuti fin qui per cercare di tenere sotto controllo l’Egitto, ma
dobbiamo fare i conti con la realtà. Non possiamo conquistare il Cairo in
queste condizioni. Anche nel caso che, con qualche manovra fortunata, ci
riuscissimo, sarebbe impossibile tenere la città a lungo. Tutti
concordano con Denis, salvo Jorge da Toledo. Amalrico si rassegna a ordinare
la partenza. Dopo
la riunione, Guillaume parla con Denis. - Re
Amalrico è piuttosto freddo con te. Fino a Bilbeis
eri sempre il primo a cui richiedeva un parere e quello che veniva ascoltato
con maggiore attenzione. - Il
re se l’è presa perché gli ho detto che il massacro di Bilbeis
non è stato solo una mostruosità, ma anche un errore politico gravissimo.
Temeva che avessi ragione e quanto è successo al Cairo ha confermato i suoi timori. -
Capisco che tu abbia ferito il suo amor proprio, ma un re deve agire sempre
nell’interesse del regno e non lasciare che l’orgoglio interferisca nelle sue
decisioni. -
Amalrico lo sa benissimo, Guillaume. E non mi ascolta con minore attenzione,
anche se lo nasconde. Vuole che sia chiaro che nei miei confronti è freddo,
ma al mio parere tiene ancora. Guillaume
riflette un momento, poi annuisce: -
Sì, è vero. Quando tu parli, guarda da un’altra parte, ma non perde una
parola. * Istfan è pallido e stanco. Nelle ultime notti
ha dormito pochissimo. Sa che tra poco dovrà separarsi da Mikhael,
da quest’uomo che il caso gli ha fatto incontrare e per cui prova
quest’attrazione violenta, che cresce di giorno in giorno. Mikhael è diversissimo da lui e loro due hanno ben poco
in comune. Ma desidera il corpo di Mikhael con
tutto se stesso. Nei
giorni scorsi ha cercato di capire i progetti di Mikhael
e Sarah, ma ha ottenuto risposte vaghe. Sarebbe disponibile a rimanere a Bilbeis con loro, anche se rischierebbe la vita: non è un
franco, non è un soldato, ma è pur sempre venuto con l’esercito franco. La
sera Pierre passa a trovarlo. - Istfan, tu non stai bene. -
Niente di grave, Pierre. Non dormo. La tensione, la paura di perdere Mikhael, il desiderio. Mi sveglio… Istfan si interrompe. È Pierre a completare
la frase, sorridendo: -
…con il cazzo duro. -
Sì. E più volte durante il giorno provo un desiderio violento. -
Non hai un compagno, vero? A Rougegarde, intendo. Mi hai detto che scopi di
rado. -
No, non ho mai avuto nessuno. Qualche rapporto occasionale. Mi sembrava che
andasse bene così. -
Per ridurre un po’ la tensione, sì, va bene così. È quello di cui avresti
bisogno anche ora, Istfan. Potresti farti vedere
dal conte… Istfan china il capo e se lo prende tra le
mani. -
Non lo so, Pierre. Non so più nulla. Forse sì, avrei bisogno di scaricare un
po’ questa tensione, ma non posso mica… Pierre
si alza e va alla porta. Si assicura che sia ben chiusa, poi si toglie la
camicia. Istfan guarda l’amico, il petto forte, la
peluria scura. Gli sembra che il fiato gli manchi. Mormora: -
Pierre… - Io
amo Sarah, Istfan. E tu desideri Mikhael. E siamo tutti e due nella merda. Ma forse questa
sera possiamo consolarci un po’. Non ti amo, ma ti voglio bene, per me sei un
amico. E anch’io ho bisogno di stringere un corpo. Istfan tace. Poi annuisce. Non sa se quello
che stanno per fare è giusto, ma ne hanno bisogno tutti e due. Istfan si alza e rimane impacciato. Sorride a
Pierre, che si avvicina e gli solleva la camicia. Istfan
alza le braccia, in modo che Pierre possa toglierla del tutto. Pierre sorride
e poi lo stringe. Istfan ricambia l’abbraccio di
Pierre. Non si baciano, ma quella stretta fa bene a tutti e due. Istfan appoggia la testa contro il petto di Pierre. Ne sente
l’odore e il desiderio si tende, impetuoso, togliendogli il fiato. Dopo
essere rimasti un buon momento abbracciati, Pierre abbassa i pantaloni di Istfan con un gesto brusco, poi gli afferra le natiche e
le stringe. A Istfan sfugge un: -
Sì! Le
mani di Pierre stringono, poi le dita scivolano lungo il solco tra le natiche
e il medio della destra indugia sull’apertura, stuzzicandola. Istfan si sente mancare. China un po’ la testa e
mordicchia un capezzolo di Pierre. Pierre
gli accarezza la testa con la sinistra, ma intanto un dito della destra si
spinge in avanti, penetrando nel corpo di Istfan. -
Pierre… Pierre
lo accarezza ancora, poi gli dice: -
Stenditi. Istfan si libera dei pantaloni e si stende
sul letto. Pierre
gli accarezza la schiena, poi si stende su di lui. Gli mordicchia un
orecchio. -
Ora, Istfan. Pierre
si inumidisce due dita e accarezza l’apertura di Istfan,
preparando la strada. Ripete l’operazione due volte, poi sputa sulla mano e
si inumidisce la cappella. L’appoggia con delicatezza contro l’apertura e
spinge in avanti. Istfan mugola. Non
è la prima volta che Pierre prende un uomo, ma il corpo che sta stringendo è
quello di un amico, di qualcuno a cui si sente davvero vicino. E accanto al
piacere fisico, intenso, c’è anche questa sensazione di intimità, che dà al
loro abbraccio un altro valore. Pierre
cavalca piano e le sue mani accarezzano il corpo di Istfan,
si impigliano tra i suoi capelli, lo solleticano. E
quando infine Pierre sente che la tensione è troppo forte per essere ancora
contenuta, si volta su un lato, senza interrompere il movimento e con la mano
porta Istfan a raggiungere, insieme a lui, il
piacere. Poi
lo cinge con un braccio e rimane steso contro di lui. Lo bacia leggermente
sulla nuca. È stato bello, molto bello. Vuole bene a Istfan. -
Com’è stato, Istfan? Istfan non risponde direttamente. -
Grazie, Pierre. -
Grazie a te. È stato bello starti così vicino, Istfan.
Tengo molto a te, come amico. E credo che sia una buona cosa che abbiamo
scopato, io e te. -
Sì, Pierre, credo che tu abbia ragione. * Tristan
guarda le stelle. Con Istfan ha poche occasioni di
parlare, adesso che è guarito. Istfan non lo cerca
e Tristan non vuole imporsi. Istfan passa il suo
tempo con Mikhael, l’ebreo, e con Pierre. Tristan
non osa avvicinarglisi. Gli sembra che per lui non ci sia spazio neppure come
amico. Istfan nei suoi confronti è premuroso e
sempre gentile, ma è lontano, perso in emozioni e desideri che ha scelto di
non condividere con lui. Tristan
sente crescere dentro di sé la disperazione. Perché si è innamorato di Istfan, lui, l’uomo di fatica di una locanda? Tristan pensa a Emich,
a Morqos. Ha bisogno di tornare a Rougegarde, di
ritrovare il loro affetto, di stringersi ancora a loro, di sentire che
qualcuno gli vuole bene. * L’esercito
franco è di ritorno a Bilbeis, accolto con gioia
dalla guarnigione: se dovranno affrontare il nemico, i soldati di stanza a Bilbeis non dovranno farlo da soli. Ma non ci sarà una
battaglia a Bilbeis: le truppe si fermeranno solo
un giorno. Dopodomani la città sarà evacuata dai soldati e rimarranno
soltanto i pochi abitanti superstiti. Denis
fa un giro tra gli uomini delle sue truppe feriti o malati. Con Nabih e Istfan valuta la
situazione, per capire come riportarli in Palestina. Sa bene che chiunque
fosse lasciato indietro, sarebbe massacrato dagli abitanti. Denis
raggiunge la stanzetta dove si trova Mikhael.
Sapere che si è risvegliato e che è fuori pericolo gli ha fatto molto
piacere. Sarah è seduta accanto a Mikhael, che ha
alcuni cuscini dietro la testa. Accanto a lui c’è la bimba. Sarah
si alza all’ingresso del duca e si inchina. Mikhael
china la testa. -
Buongiorno, duca. Sapevamo che eravate arrivato. Siamo felici di rivedervi
sano e salvo. - Grazie.
Posso dire lo stesso per voi, Mikhael. Quando vi ho
lasciato, non sapevo se vi sareste risvegliato. Adesso però ho bisogno di
parlare a entrambi. -
Diteci, duca. Siamo ai vostri ordini. - Mikhael, Sarah, le truppe franche ritornano in
Terrasanta, come forse saprete. Che cosa pensate di fare? So che non siete di
Bilbeis. Vi fermerete qui o pensate di raggiungere
qualche altra località in Egitto? Vorrei sapervi al sicuro. Negli
ultimi giorni, Mikhael e Sarah hanno discusso a
lungo del futuro che li attende. Mikhael si rivolge
al duca: -
Duca, ci avete salvati e siete stato generoso nei nostri confronti. Dio ve ne
renda merito. Vi chiediamo una grazia, se volete concedercela. -
Ditemi. Se è in mio potere, lo farò. - Vi
chiediamo di portarci con voi a Rougegarde. Non vogliamo rimanere qui. Denis
è stupito della richiesta, ma non dice nulla. Si rivolge a Nabih, che è entrato anche lui nella stanza, mentre Istfan è rimasto in una delle camerate. -
Ritenete che Mikhael possa viaggiare? -
Penso di sì, come altri feriti. Ma forse è meglio che parliate con Istfan, che l’ha seguito in questo periodo. Istfan sta dando le istruzioni per il
trasporto di alcuni feriti, quando il duca lo fa chiamare nella camera di Mikhael. Istfan completa le istruzioni e si dirige rapidamente
verso la camera di Mikhael. Ha paura di quello che
verrà detto: Mikhael e Sarah devono aver preso una
decisione sul loro futuro. Istfan rischia di non
vedere più Mikhael. Nel
corridoio si deve fermare un momento: ha l’impressione che gli manchi il
fiato. Quando il duca dice che Mikhael e Sarah
verranno con loro a Rougegarde, Istfan prova una
gioia immensa, ma l’emozione è troppo forte. Istfan
vede il mondo oscillare paurosamente e deve appoggiarsi alla parete per non
cadere. - Istfan! Non state bene? -
No, no, scusate. È la stanchezza di questi giorni. Sarah
interviene: -
Lavorate troppo, Istfan. Sarah
prosegue, rivolta al duca: - In
queste settimane è stato sempre vigile, di giorno e di notte. Istfan si fa forza. Mikhael
a Rougegarde. Faranno il viaggio insieme. Potranno vedersi. Gli sembra che
gli abbiano tolto un peso enorme dal petto. Sente appena la domanda che gli
fa Nabih. Risponde: -
Sì, certo, con le dovute precauzioni. Non può camminare o cavalcare a lungo,
ma per brevi tratti sì. Poi
aggiunge: -
Scusate, devo tornare da un malato. Esce
rapidamente. Non vuole che lo vedano piangere. * Il
ritorno a Gerusalemme avviene senza particolari difficoltà: Shirkuh, il generale curdo inviato da Nur ad-Din, ha
seguito un’altra strada. Forse è stato un caso, forse una scelta: non aveva
nessun motivo per attaccare il nemico che si ritirava. Shirkuh
è già in Egitto e ha passato il Nilo. La
sua missione è quella di portare soccorso al Cairo e di tenere sotto
controllo la situazione in Egitto. Ormai Nur ad-Din, che domina sulla Siria,
non si fida del visir Sawer, che ha già in passato
tradito. Pochi
giorni dopo l’arrivo al Cairo, Sawer viene
catturato e ucciso dal nipote di Shirkuh, Salah
ad-Din: un nome che i franchi impareranno presto a conoscere. Shirkuh diventa il nuovo visir. |