I – La casa di Giovanni

 

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Godefroi osserva la città dall’alto della fortezza che domina il porto. Santa Maria in Aqsa è adagiata sulle colline che circondano la baia: una successione di case bianche che sembrano splendere al sole. Il mare è di un azzurro intenso e si direbbe che l’acqua sia limpida, ma Godefroi sa bene che nel porto viene gettato ogni genere di rifiuti e basterebbe avvicinarsi per vedere carogne di animali e resti di cibo, escrementi e immondizia. Allo stesso modo, l’apparente purezza di Santa Maria in Aqsa cela una putredine di peccati. Nascosti dietro le mura di quelle case bianche, uomini e donne si abbandonano ai loro vizi, come se questa città non fosse stata strappata agli infedeli versando sangue cristiano, come se non fosse in questa terra che Gesù ha patito il martirio per mondare i peccati del mondo.

Ma l’ora del castigo è giunta: ora che il re ha affidato ai templari il governo della città, i servitori di Dio sapranno bene farne il regno del Signore. I cavalieri del Tempio hanno già preso i primi provvedimenti: i bordelli sono stati chiusi; sono state emanate leggi molto severe contro la prostituzione, la fornicazione e il peccato di Sodoma; gli ebrei e i musulmani residenti sono stati allontanati e i mercanti di passaggio sottoposti a rigidi controlli.

Questo però non basta. I cittadini devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni, uno per uno: devono sapere che non possono sfuggire al controllo di Santa Madre Chiesa, come nel giorno del Giudizio non potranno sfuggire all’eterna dannazione, se non si pentiranno dei loro peccati. E devono pentirsi ora, perché nessun uomo può sapere quando giungerà la sua ora. L’angelo della morte compare al nostro fianco senza annunciarsi.

Guillaume di Hautlieu, il comandante militare di Santa Maria in Aqsa, raggiunge Godefroi sulla terrazza e lo saluta. Godefroi risponde. Nei confronti di Guillaume, Godefroi è molto critico. Il comandante è un guerriero esperto e valoroso, in battaglia contro gli infedeli ha sempre dato prova di grande coraggio e intelligenza, ma non nutre nei loro confronti l’avversione che dovrebbe provare ogni cristiano. E soprattutto non dà prova dell’ardore necessario nel perseguire il vizio che dilaga tra i credenti.

- Mi avete mandato a chiamare, fratello Godefroi?

- Sì. Mi accompagnerete in visita ad alcuni mercanti di Santa Maria.

Guillaume china la testa in un cenno di assenso. Godefroi prosegue:

- Incominceremo da Giovanni Micheles. È il più dissoluto dei mercanti ed è un pessimo esempio per tutti gli altri. Il Signore gli ha permesso di arricchirsi, ma egli, invece di ringraziare Iddio e attenersi ai suoi comandamenti, cede ai vizi più immondi.

- Come volete, fratello.

Godefroi potrebbe trovare monaci più zelanti nella lotta al peccato, ma ha scelto Guillaume nella speranza che l’esempio gli sia da ammaestramento. Godefroi sa bene che molti dei templari più coraggiosi nell’affrontare un nemico armato non sono altrettanto pronti a combattere il vero Nemico, quello mortale per l’anima e non per il corpo. Guillaume non sembra essere un peccatore. Su di lui non circolano voci, come avviene invece per alcuni confratelli. Di certo non ha un’amante, non frequenta prostitute, non ha rapporti con altri monaci, segue scrupolosamente le regole dell’ordine. Ma è troppo pronto a scusare e a perdonare. La Legge divina non si insegna solo con le parole e l’esempio, occorrono la frusta e la spada per coloro che trasgrediscono: Sodoma e Gomorra furono cancellate dalla faccia della terra e Iddio risparmiò solo Lot, l’unico giusto. E questa città che porta il nome della Vergine è davvero una nuova Sodoma, che meriterebbe il fuoco divino.

 

Guillaume cammina in silenzio a fianco di Godefroi. È a disagio e vorrebbe sottrarsi a questo compito, ma non gli è possibile: la regola dell’ordine impone obbedienza assoluta. Per decisione del Gran Maestro, a Santa Maria vi è una doppia autorità: Guillaume è il comandante militare, Godefroi è quello religioso e civile. Guillaume deve obbedienza a Godefroi e solo quando si tratta di difendere la città ha il potere supremo.

Guillaume non si trova bene con Godefroi: ha una visione molto diversa della vita e della missione dell’ordine e mal sopporta la rigidità del monaco più anziano. La furia con cui Godefroi persegue i peccatori gli sembra eccessiva. Se la violenza, il tradimento o il furto gli sembrano colpe gravi, i peccati di incontinenza gli appaiono veniali. Guillaume cede a volte alle tentazioni della carne, ma, come tantissimi altri monaci, non dà grande importanza a queste trasgressioni. Le considera un peccato non grave, che gli ricorda quanto fragili siano gli uomini. Non riesce a considerare la lussuria o la gola crimini da perseguire con intransigenza. L’intolleranza nei confronti di ebrei e musulmani gli pare una profonda ingiustizia. Ma con Godefroi non è possibile discutere.

 

Godefroi e Guillaume raggiungono la casa-magazzino di Giovanni Micheles. Chiedono del mercante, ma il servitore che li accoglie li informa che Giovanni non è in città. Intanto giunge, chiamato da un altro servo, il nipote del mercante, Riccardo, che ha una ventina d’anni. Il giovane conferma quanto è stato appena detto ai due monaci.

- Mi spiace, ma mio zio è a Rougegarde. Dovrebbe tornare fra tre o quattro giorni.

- Ripasseremo.

Guillaume guarda Riccardo. È un bel ragazzo, davvero. Ora che è sulla trentina, Guillaume si è reso conto che gli piacciono i ragazzi con dieci-dodici anni meno di lui. Guillaume sorride, pensando che accompagna Godefroi per estirpare il peccato e si fa indurre in tentazione.

Dopo che sono usciti, Godefroi dice:

- Torneremo quando il mercante sarà rientrato. Giovanni Micheles passa più tempo in compagnia di meretrici che in chiesa, offre grandi banchetti, inducendo altri al peccato della gola, e tollera tra i suoi servi comportamenti immorali. Iddio saprà punirlo come merita, ma noi non dobbiamo permettere che il suo esempio corrompa altri.

Guillaume non commenta: che cosa potrebbe dire? Giovanni Micheles vive la sua vita tranquillo, non danneggia nessuno, sa essere generoso: se la sua fede è debole, è un problema suo, non dei cavalieri del Tempio. Ma Godefroi non potrebbe accettare questo discorso.

 

*

 

Giovanni Micheles si appresta a partire da Rougegarde. Esamina un’ultima volta la casa che ha acquistato e in cui conta di stabilirsi presto: vuole valutare tutti i lavori necessari. L’edificio, che occupa un intero isolato, è molto ampio, con una bella bottega sulla strada principale, un vasto magazzino all’interno, due botteghe e una taverna su una via laterale, con stanze al primo piano che possono servire per una locanda. La casa risponde perfettamente alle esigenze di Giovanni: gli affari vanno bene e i Micheles hanno bisogno di molto spazio per le loro merci. Giovanni e suo nipote Riccardo non occuperanno certamente tutto lo spazio disponibile, ma Giovanni conta in futuro di affittare la locanda e il secondo piano, dove è facile ricavare alloggi indipendenti. Anche a Santa Maria in Aqsa un’ala della loro casa è affittata.

Da tempo Giovanni progettava di trasferirsi a Rougegarde. A Santa Maria in Aqsa rimarranno una bottega per il commercio locale e un impiegato per seguire le operazioni di imbarco e sbarco delle merci che viaggiano via mare. Ogni tanto Giovanni o Riccardo andranno a Santa Maria per controllare il magazzino e la contabilità o per seguire personalmente le operazioni più importanti. Ma Rougegarde, che era già un centro di primissimo piano quando era sotto dominio saraceno, sotto la signoria di Denis d’Aguilard ha avuto un grande sviluppo ed è oggi la piazza migliore per fare affari con cristiani, ebrei e musulmani.

Ci sono anche altri motivi per il trasferimento di Giovanni: da quando Santa Maria è passata sotto il controllo dei Templari, in città non si respira più. Quei fanatici, non contenti di aver espulso ebrei e musulmani, tra cui molti mercanti con cui Giovanni faceva affari, hanno chiuso i due bordelli, perseguitano le prostitute che cercano di svolgere la loro attività e vogliono tenere sempre sotto controllo tutti i cittadini. Se uno non è considerato un buon cristiano, gli rendono la vita impossibile e Giovanni Micheles sa di non avere fama di buon cristiano: gli piacciono le donne (e pure i ragazzi), va a puttane, non mette piede in chiesa se non per qualche matrimonio, non si confessa. Per Riccardo, a cui piacciono gli uomini, vivere a Santa Maria è ancora più pericoloso.

A Rougegarde si vive molto più liberamente: il duca non permette al vescovo di interferire nella vita privata dei cittadini, anche se quel figlio di buona donna di Bohémond di Tours lo farebbe volentieri.

Giovanni ha deciso: trasferirà il centro degli affari nella perla della Terrasanta, Rougegarde, non appena la casa sarà abitabile. I lavori necessari per sistemare la parte in cui abiteranno loro non richiederanno molto tempo: la bottega sulla via principale, il magazzino e l’appartamento al primo piano sono in ottime condizioni e tra una quindicina di giorni o poco più potranno trasferirsi. La locanda, le altre botteghe e soprattutto gli appartamenti del secondo piano richiedono alcuni interventi, ma Giovanni se ne occuperà dopo che si saranno stabiliti a Rougegarde: per lui sarà anche più facile seguire i lavori.

 

Tornato a Santa Maria in Aqsa, Giovanni comunica a Riccardo di aver trovato la casa che cercava. Presto se ne andranno dalla città, per cui nei prossimi giorni Giovanni cercherà qualcuno a cui affittare l’appartamento in cui vivono ora.

Anche Riccardo ha notizie da dargli:

- Sono passati due templari, volevano parlare con te. Uno è Godefroi, l’altro è il nuovo comandante militare.

- Che volevano quei due?

- Non lo so, non l’hanno detto. Ripasseranno.

Giovanni annuisce. Farebbe volentieri a meno di questa visita, che non lascia presagire niente di buono.

Riccardo prosegue:

- Due sere fa è venuta una donna a cercarti, una certa Louison.

Louison è una delle prostitute da cui Giovanni ogni tanto si reca. Lavorava nel bordello della Rossa, ma dopo che i templari l’hanno fatto chiudere, si è messa per conto proprio ed esercita di nascosto: ci sono multe salate per le prostitute e se sono recidive, le punizioni sono ancora più severe.

È molto strano che Louison l’abbia cercato a casa: non era mai successo prima. Giovanni non capisce che cosa possa aver spinto la donna a prendere una tale iniziativa, del tutto al di fuori dei normali rapporti tra una prostituta e un cliente.

- Ti ha spiegato che cosa voleva?

- No. Si è solo raccomandata di dirti che ha bisogno di parlarti, ma di non cercarla a casa sua. Adesso sta da una certa Mariette, tu sai chi è.

Mariette è un’altra prostituta che Giovanni ha frequentato qualche volta.

Riccardo sorride. Anche lui deve avere un’idea di chi siano Louison e Mariette. Riccardo prosegue:

- Mi ha detto di non parlarne con nessuno, è venuta quando era già buio. Sembrava impaurita.

Che cosa può essere successo? Louison ha combinato qualche guaio? Perché si rivolge a lui? C’è un unico modo di rispondere a queste domande: cercare Louison.

Con l’aiuto di Riccardo e dei servitori, Giovanni sistema le merci che ha portato con sé. Dopo aver cenato, dice a Riccardo:

- Vado a parlare con Louison.

Riccardo annuisce. Poi aggiunge:

- Pensi di tornare tardi?

Giovanni ride. Sa benissimo che cosa ha in testa il nipote: Riccardo vorrebbe scopare con lui, come fanno spesso. Anche se ama le donne, Giovanni non disdegna un bel culo e vuole molto bene al suo bel nipote.

- Non so, dipende da che cosa Louison deve dirmi. Ma se vuoi puoi aspettarmi…

Giovanni ride, senza aggiungere altro.

Mentre si dirige alla casa di Mariette, Giovanni si dice che Riccardo deve trovare un uomo. Non è facile e qui a Santa Maria in Aqsa sarebbe molto pericoloso: i templari esercitano un controllo sempre più rigoroso e opprimente. Ciò che altrove si fa senza nessun problema, evitando solo di esibirlo, qui deve essere celato con grande cura: quelli sono fanatici. Ci sono bordelli in tutte le città del regno di Gerusalemme. Perché cazzo i templari hanno chiuso quelli di Santa Maria in Aqsa? Per fortuna loro due si trasferiranno a Rougegarde, prima è, meglio è.

 

Ad aprire la porta è Mariette, una bella donna sui trenta, alquanto formosa e con lunghi capelli neri.

- Il mio focoso Giovanni, che piacere! Anche se mi sa che questa volta non venite per le mie grazie.

Mariette sorride, ammiccante. Giovanni ricambia il sorriso e, non appena Mariette ha chiuso la porta, la cinge con le braccia e la bacia sulla bocca. Gioca un po’ con la lingua e lascia che la donna si strusci contro di lui, provocando un prevedibile effetto. Poi dice:

- È vero che vengo perché me l’ha chiesto Louison, ma questo non vuole dire che sia indifferente alle tue grazie, bellezza.

Mariette ride e si scioglie dall’abbraccio, mentre dalla camera da letto esce Louison. Ha qualche anno in meno di Mariette ed è una bellezza del tutto diversa: bionda, con la carnagione chiara e splendidi occhi azzurri.

- Mastro Giovanni, grazie per essere venuto. Scusatemi se mi sono permessa di disturbarvi, ma non ho nessuno a cui rivolgermi. Voi siete sempre stato gentile con me. Siete un uomo buono e generoso.

Il tono di Louison è molto diverso da quello abituale. Con lei e con Mariette, Giovanni ha sempre avuto un rapporto di grande familiarità: non è certo uomo da voler essere trattato con deferenza a letto, gli sembrerebbe ridicolo. Ma ora Louison si rivolge a lui in un modo che sottolinea la distanza sociale che li separa. Perché? Giovanni si chiede se Louison non voglia farsi prestare del denaro, che difficilmente la donna potrebbe restituire. Ma dopo che si sono seduti nella piccola stanza, Louison spiega:

- Le guardie dei templari vogliono arrestarmi. Prima mi hanno multato, poi hanno scoperto che continuavo a lavorare. Un amico mi ha avvisata, ma se le guardie mi trovano, mi fustigano e mi mettono in carcere.

L’”amico” è probabilmente un cliente, magari un templare: non ci sarebbe da stupirsi. Ma questo non è rilevante, ora.

- Mi spiace, Louison, ma non so davvero che cosa potrei fare per te. I templari di certo non mi ascolterebbero, se cercassi di intercedere per te.

- Non è questo che vorrei chiedervi, mastro Giovanni. Scusate se mi permetto, ma prima di partire per Rougegarde, quindici giorni fa, mi avete detto che intendete trasferirvi in quella città. Avete cambiato idea?

Giovanni non capisce dove voglia arrivare Louison.

- No, mi trasferirò presto, tra due settimane, credo.

- Potete portarmi con voi?

Giovanni rimane sconcertato. Louison potrebbe allontanarsi dalla città senza correre eccessivi rischi: durante il giorno c’è sempre un via vai di gente e i controlli non sono molto severi. Perché Louison si rivolge a lui? Giovanni pone direttamente la domanda:

- Ma perché ritieni di aver bisogno di me per uscire dalla città?

- È l’unico modo sicuro. Se potessi uscire come una delle serve al vostro servizio, sarei più tranquilla. Nelle ultime settimane i controlli sono diventati ancora più severi e le guardie non lasciano uscire dalla città donne non accompagnate da un uomo, senza aver prima verificato chi sono e dove vanno. Se mi riconoscono, finisco in prigione.

Giovanni non lo sapeva: è stato via quindici giorni e quando è partito la sorveglianza non era così rigorosa. Una donna non può più neanche uscire da sola dalla città! Ma è davvero una follia! Giovanni si dice che è proprio ora di andarsene da questa galera, in cui non si può più nemmeno respirare liberamente.

Louison aggiunge:

- C’è un altro motivo per cui voglio evitare di essere arrestata, mastro Giovanni: sono incinta. Mi toglierebbero il bambino.

Giovanni sa bene che il figlio di Louison potrebbe essere suo, come potrebbe essere di uno qualunque degli altri clienti della donna. Ma Louison non ha detto nulla su questo.

Dopo aver posto ancora qualche domanda, Giovanni conclude:

- Ci devo pensare, Louison. Credo che si possa fare, ma devo valutare bene la situazione. Non ce ne andremo prima di quindici o venti giorni. Bada a non farti arrestare prima di allora.

Giovanni si alza, concludendo:

- Adesso io vado. Vedrò che cosa posso fare. Ti farò sapere tra qualche giorno.

Mariette interviene:

- Non volete fermarvi, mastro Giovanni?

L’invito è esplicito, ma Giovanni preferisce tornare a casa: fermarsi di fatto significa prendere un mezzo impegno. Giovanni non intende abbandonare Louison nei guai, ma non vuole neanche finirci lui.

Ha bisogno di riflettere un po’ sulla richiesta e lo fa tornando a casa. Far uscire Louison tra le serve non dovrebbe essere un problema. Dovrà solo provvedere a far stare zitte le altre donne, che, come spesso accade, hanno la tendenza a chiacchierare troppo: capaci di lasciarsi sfuggire qualche cosa e di mettere nei guai lui e Louison. Glielo dirà solo all’ultimo minuto, in modo da ridurre i rischi.

 

A casa Riccardo è nella sua stanza. È steso sul letto. Un lenzuolo copre solo in parte il suo corpo nudo. È un bel ragazzo, Riccardo.

Giovanni ha intenzione di darci dentro: sono alcuni giorni che non scopa. A Rougegarde non è certo rimasto a stecchetto: la città offre diversi bordelli, tutti ben forniti, e poi ci sono anche le serve e diverse donne che non si tirano indietro. Ma durante il viaggio di ritorno Giovanni non ha avuto nessuna occasione di dedicarsi alla sua attività prediletta. Preferisce essere prudente e non rischiare: di imprudenze ne ha commesse un fottio quando aveva l’età di Riccardo (e anche dopo). Adesso ha imparato a muoversi con cautela. Ma il desiderio trattenuto troppo a lungo lo incalza. Avrebbe fatto volentieri un gioco a tre con Louison e Mariette, per poi fare un bis (o un tris) con Riccardo, ma si è creata una situazione imprevista, per cui Riccardo avrà l’esclusiva. 

Giovanni sorride e dice:

- Vieni da me, Riccardo.

Riccardo allontana il lenzuolo. Ha già il cazzo mezzo in tiro. Giovanni scuote la testa.

- Il solito maialino in calore.

- Spero che anche lo zio sia sempre il solito vecchio porco.

Giovanni ride:

- Ci puoi contare. È un po’ che non scopo e mi sa che domani avrai male al culo.

Giovanni ride di nuovo ed entra nella sua camera, a fianco di quella del nipote. Riccardo lo segue.

Giovanni incomincia a spogliarsi, guardando Riccardo, nudo e sorridente davanti a lui. Il nipote gli si avvicina e lo aiuta. Riccardo solleva la camicia di Giovanni per sfilarla, ma le sue mani si fermano sul torace dello zio, lo sfiorano in una carezza leggera che diventa una stretta forte. Riccardo avvicina il viso al petto di Giovanni e ne avverte l’odore. Inspira a fondo. Gli piace sentire l’odore dello zio. Riccardo appoggia il capo sul petto dello zio, che ora gli accarezza il culo e lo stringe forte. Riccardo si scuote, sfila la camicia e cala i pantaloni. Vedendo il rigonfio nelle mutande dello zio, Riccardo sorride. Giovanni lo stringe a sé e lo bacia sulla bocca, infila la lingua bene a fondo e intanto le sue mani stringono con forza il culo del nipote, poi le dita scorrono lungo il solco, fino al buchetto, dove indugiano e poi, senza tanti convenevoli, indice e medio si infilano dentro, a stuzzicare l’appetito e preparare l’arrivo del piatto forte.

Riccardo sussulta e geme. Le sue mani scivolano sui fianchi dello zio. Vorrebbero raggiungere la preda ambita, ma il corpo di Giovanni preme contro il suo e non c’è spazio per infilare le dita.

Giovanni spinge Riccardo sul letto e si sdraia su di lui. Lo bacia sulle labbra, spinge ancora avanti la lingua, la ritrae accogliendo quella del nipote. Dopo aver giocato un po’ con la bocca, Giovanni solleva le gambe del nipote e se le mette sulle spalle. Poi si bagna le dita con un po’ di saliva e inumidisce bene l’apertura. Sorride e dice:

- Adesso infilzo sullo spiedo questo bel maialino.

E mentre lo dice, Giovanni spinge il cazzo dentro il culo di Riccardo, lasciandogli appena un attimo per abituarsi al voluminoso arnese, prima di immergerlo a fondo.

Riccardo ha una smorfia di dolore: l’ingresso è stato piuttosto deciso e, anche se ormai è abituato, gli ha fatto un po’ male. Giovanni lascia che Riccardo riprenda fiato, poi incomincia a fotterlo. Riccardo geme sentendo l’arma dello zio che penetra in profondità e poi si ritrae, in un movimento continuo che gli martoria il culo e gli toglie il respiro. E intanto anche il suo cazzo si tende, mentre ondate di piacere miste a dolore salgono dal culo trapassato.

Giovanni cavalca un buon momento, poi imprime al suo movimento un’accelerazione e, con un’ultima serie di spinte violente che squassano Riccardo, sparge il suo seme dentro il culo del nipote. Poi Giovanni gli stringe il cazzo con la destra e anche Riccardo sente il piacere travolgerlo. Geme.

Dopo essersi riposati un momento, zio e nipote riprendono i loro giochi: nessuno dei due è sazio. La prima cavalcata è stata solo un veloce assaggio, per allentare la tensione presente in entrambi. Adesso, calmata l’urgenza del bisogno, possono proseguire senza fretta.

 

*

 

Nella locanda di Sant’Andrea il cardatore Gerbert sta osservando Tristan, l’uomo di fatica. Tristan ha finito di sistemare i tavoli e le panche e ora lava il pavimento. Gerbert scuote la testa. Tristan è sempre puntiglioso nel suo lavoro, anche se lo pagano una miseria. Prende tutto troppo sul serio.

Tristan gli piace. Non è bello di viso, ma ha un fisico possente ed è alquanto dotato. E soprattutto ha un buon carattere: con lui Gerbert sta bene. Ma Gerbert ha l’impressione che Tristan si stia legando troppo a lui. Gerbert scopa volentieri con Tristan, più che con qualsiasi altro maschio, ma gli piace anche cambiare: qualsiasi piatto, se mangiato tutti i giorni, viene a noia. Lo attirano i maschi vigorosi, come Tristan, ma anche i ragazzi imberbi, gusta volentieri un culo caldo o una bocca umida, ma apprezza ugualmente un cazzo robusto. E, per quanto sia sinceramente affezionato a Tristan, non ha intenzione di rinunciare a nessuna delle occasioni che gli si presentano: Gerbert è un bell’uomo, con un viso dai lineamenti regolari, capelli e barba neri, occhi verdi che molti – donne e non pochi uomini - si fermano incantati a guardare. Il suo corpo snello e vigoroso attira l’attenzione e per uno come lui è facile trovare qualcuno con cui scopare.

- Ho finito, Gerbert.

- Bene, possiamo andare nella tua lussuosa camera.

Tristan ha una minuscola cameretta nei sotterranei, con una finestrella in alto che dà sul cortile, a livello del suolo. Ci si può appena muovere, ma è accogliente: Tristan la tiene in ordine e sempre pulita.

- Sì, aspetta solo un attimo. Devo pisciare.

Gerbert ride.

- Andiamo sotto. Ci penso io.

Tristan sorride.

Tristan accende una lanterna e scendono nei sotterranei. Entrano in camera e Tristan blocca la porta. Tristan è sempre prudente. Non che abbia torto: qui a Santa Maria in Aqsa da quando comandano i templari bisogna fare molta attenzione.

Tristan si avvicina a Gerbert e lo stringe tra le braccia. Gerbert non è molto portato per queste manifestazioni di affetto, ma non gli spiace sentire contro di sé questo corpo forte.

Poi tutti e due si spogliano. Gerbert guarda con piacere l’amico togliersi la camicia. Ne ammira le spalle larghe, le braccia muscolose, il torace coperto da un vello scuro. Gerbert sorride quando Tristan si cala le brache. Osserva compiaciuto il sesso vigoroso, che tra poco gusterà, le gambe nerborute, la peluria più fitta sul ventre. Tristan è un vero maschio e a Gerbert piace fottere quest’uomo così virile: gli trasmette una sensazione di potenza. E gli piace farsi fottere da lui, perché Tristan è un bravo stallone.

Gerbert si inginocchia davanti a Tristan:

- Dammi da bere.

Tristan annuisce. Gerbert prende in bocca il cazzo di Tristan, che incomincia a pisciare. Gerbert beve, tenendo le mani sul culo dell’amico. Tristan si ferma due volte, per lasciargli prendere fiato. Tristan non aveva mai pisciato in bocca a un uomo, come non aveva mai fatto altri giochi che Gerbert gli ha insegnato. Ma Tristan è un buon allievo e si è lasciato guidare alla scoperta di nuovi piaceri. E Gerbert sa di essere un bravo maestro, ricco di esperienza.

Quando Tristan ha svuotato la vescica, Gerbert incomincia a succhiargli il cazzo, che acquista rapidamente volume e consistenza. Intanto le mani di Gerbert passano dietro e le dita percorrono il solco, fino a trovare l’apertura. Gerbert preme con un dito e lo fa scivolare dentro. Tristan solleva la testa e geme.

Il cazzo di Tristan è duro, ormai. Gerbert lo lascia e si alza. Guida Tristan a mettersi a quattro zampe sul pagliericcio.

 

Tristan sussulta quando Gerbert entra dentro di lui. L’ingresso è sempre un po’ doloroso. Tristan non è abituato a prenderselo in culo: Gerbert è stato il primo uomo a possederlo. Tristan ha avuto pochi rapporti e fino a due mesi fa è sempre stato lui a montare i compagni occasionali: vedendolo forte e ben dotato, coloro che sono attratti da lui scelgono di farsi cavalcare.

Ma Gerbert gli ha chiesto di lasciarsi inculare e Tristan non ha avuto remore a offrirglisi: Tristan si è innamorato di quest’uomo forte e bello, che ha qualche anno in più di lui. E, per quanto gli faccia un po’ male, gli piace sentire il cazzo di Gerbert dentro di sé: è bello sapere di appartenergli, è bello stare con lui e Tristan prova volentieri tutto ciò che Gerbert gli propone.

Gerbert cavalca con foga e presto viene. Tristan sente la scarica dentro di sé. È una sensazione piacevole.

- Stenditi.

Tristan scivola a terra. Gerbert si volta sulla schiena, rimanendo dentro a Tristan e facendolo girare con lui.

Gerbert chiude gli occhi. Si sente bene, appagato. Rimangono un buon momento distesi così, finché il contatto con il corpo di Tristan non risveglia il desiderio in Gerbert.

- Sollevati un po’.

Tristan si alza. Gerbert si gira stendendosi sulla pancia. Non c’è bisogno di parole: si scambiano spesso le parti.

 

Tristan è già pronto: il rapporto ha acceso il suo desiderio, senza soddisfarlo. Divarica le natiche di Gerbert e sputa sul buco. Poi sparge un po’ la saliva e, cercando di muoversi con delicatezza, spinge in avanti il cazzo, forzando l’apertura. Gerbert geme.

Tristan si muove piano: è sempre molto attento, non vuole far male. Cavalca al piccolo trotto e solo quando il desiderio diventa troppo forte, le sue spinte diventano più vigorose e rapide. Tristan sente l’ondata del piacere investirlo e sparge il suo seme in culo a Gerbert. Poi si abbandona su di lui, accarezzandogli la testa.

Dopo un momento, Gerbert dice, ridendo:

- Adesso togliti. Sei pesante.

Tristan rimarrebbe volentieri sul compagno, ma si sposta, stendendosi accanto a Gerbert. Sul pagliericcio stanno appena in due.

Dopo un momento Gerbert chiede:

- Che mi dici di quel ragazzo, quell’Ermoin? È vero che fa la puttana?

Tristan avverte una fitta. Sa che la domanda di Gerbert non è casuale. Tristan è molto riservato e a volte gli altri hanno l’impressione che non si accorga di ciò che succede, perché non parla mai di ciò che vede intorno a sé. Qualcuno lo giudica un po’ stupido, ma Tristan è molto attento e sa valutare i comportamenti degli altri, anche se non esprime il suo giudizio.

Tristan ha capito che l’affetto di Gerbert, per quanto sincero, è più superficiale del suo e che l’amico cerca altre occasioni: gli spiace, ma se è questo che Gerbert vuole, Tristan non intende ostacolarlo. Risponde sinceramente alla domanda:

- Sì, ogni tanto si prostituisce. Il padrone è d’accordo e prende una parte del guadagno. È pericoloso. I templari non scherzano con queste cose.

- Quei monaci fottuti!

- Fa’ attenzione, Gerbert.

Gerbert sorride. Tristan ha capito, ma non cerca di dissuaderlo dal fare ciò che desidera: Tristan rispetta le sue scelte e gli lascia la sua libertà. Ma Tristan ne soffre e questo a Gerbert spiace.

- Sarò prudente.

 

*

 

Il giorno dopo nella bottega di Giovanni giungono i due templari, che hanno saputo del suo arrivo. Per un momento il mercante teme che possano aver scoperto che lui è andato da Louison, ma poi si ricorda che Riccardo gli ha parlato di una visita precedente. In ogni caso non sarà una conversazione gradita.

Dopo averli fatti accomodare, Giovanni aspetta, in tensione, che gli spieghino i motivi della loro venuta. A parlare è il più anziano, Godefroi, che Giovanni, come tanti altri, detesta per la sua intransigenza e il suo fanatismo. L’altro cavaliere è più giovane e Giovanni lo conosce poco. Sa che si chiama Guillaume di Hautlieu e che è il comandante militare. Pare che sia un guerriero coraggioso, molto stimato dai suoi superiori, e che non sia un fanatico.

- Mastro Giovanni, il comandante dell’ordine ci ha inviati a parlare con i cittadini eminenti perché contribuiscano al rinnovamento spirituale di questa città. Siamo nella Terrasanta, dove nostro Signore Gesù è vissuto, ha predicato e ha affrontato il martirio per la salvezza dell’umanità. Tutti i cristiani devono ispirare la loro vita ai principi evangelici e più che mai quelli che hanno ricevuto la grazia di vivere in questa terra, che Dio ha voluto benedire con il sacrificio del suo diletto figlio.  

Giovanni ascolta con attenzione, senza lasciar trapelare la tensione e l’irritazione che prova. Non dice nulla, in attesa di capire dove Godefroi voglia andare a parare. Il monaco pare attendere una risposta, ma, visto che Giovanni tace e si limita a un cenno di assenso, riprende.

- Mastro Giovanni, voi siete uno dei mercanti più importanti della città. Siete tra coloro che gli uomini del volgo guardano e molti considerano modelli da seguire. Ma purtroppo il vostro comportamento è ben lungi dall’essere un esempio per i cristiani.

Giovanni manderebbe volentieri Godefroi a cagare, ma sa che non può farlo: in città i templari hanno il potere spirituale e quello temporale e l’uomo che ha di fronte potrebbe facilmente farlo mettere in prigione e fustigare. Ma perché quella testa di cazzo di re Amalrico ha affidato Santa Maria in Aqsa ai templari?

Giovanni risponde, cercando di apparire contrito:

- So di avere spesso sbagliato, ma la carne è debole ed esposta alle tentazioni.

Abbassa lo sguardo, come se meditasse sulle sue colpe, mentre augura al templare tutti i mali che gli vengono in mente (dalla lebbra alla dissenteria).

- Bisogna resistere alla tentazione. Iddio ci ha fatti deboli, ma in Lui possiamo trovare la forza per resistere al peccato e sfuggire al diavolo.

“Che il diavolo ti porti, stronzo!” è il pensiero di Giovanni, che però si limita a dire:

- Conosco i miei peccati, padre.

A parlare sono sempre Godefroi e Giovanni. Al mercante però non sfugge che Riccardo sta divorando Guillaume con gli occhi. In effetti il monaco è davvero un bel maschio. Ma tra tutti gli uomini con cui mettersi, scegliere proprio un templare sarebbe una follia. Godefroi riprende:

- Santa Maria in Aqsa è stata strappata agli infedeli versando molto sangue cristiano. Nel combattimento per la conquista della città molti guerrieri hanno subito il martirio. Il loro sangue ha santificato questa città, che va considerata una cattedrale. Qui più che mai gli uomini devono vivere in preghiera, rispettando la parola divina e l’insegnamento di Santa Madre Chiesa.

Giovanni è al limite della sopportazione, ma con uno sforzo si controlla.

- Cercherò di emendarmi, padre, lo prometto.

- Sforzatevi davvero di emendarvi e non lasciate che le tentazioni vi inducano a perdere la vostra anima, mastro Giovanni!

- Seguirò i vostri consigli, padre.

Quando infine Godefroi e Guillaume si allontanano, Giovanni esplode:

- Fottuto bastardo! Spero che crepi presto.

Riccardo ride. Poi osserva:

- L’altro non sembrava un fanatico.

- Guillaume di Hautlieu non lo è, stando a quel che dicono. Ma tieniti alla larga dai templari. Qui a Santa Maria rischieresti grosso. E sono sicuro che Guillaume si è accorto che tu lo divoravi con gli occhi.

- Io? Ma…

- Riccardo, non raccontare storie. Non a me. Fai benissimo a cercarti un uomo, ma non un templare. E non qui a Santa Maria. Aspetta che siamo a Rougegarde. Due settimane, non di più. Non reggerei di più in questo fottuto posto. Questi ammorbano anche l’aria che respiriamo.

 

Riccardo seguirebbe il consiglio dello zio, ma il caso gli fa incontrare Guillaume il giorno seguente, nella bottega di un tintore con cui i Micheles sono in affari. Riccardo si chiede come mai Guillaume si trovi nella bottega: di solito l’ordine manda i servitori o i membri di rango inferiore, come sergenti e scudieri, a trattare con artigiani e mercanti, di certo non ci va il comandante militare. Ma l’ordine insiste molto sull’umiltà e forse è per questo che Guillaume si è assunto l’incarico. Oppure c’è un problema o una questione molto delicata.

Per strada Riccardo saluterebbe appena Guillaume: non si conoscono, hanno soltanto assistito entrambi al colloquio tra Godefroi e Giovanni. Ma nella bottega non c’è nessuno e a Riccardo sembrerebbe poco rispettoso non salutare cordialmente.

- Buongiorno, cavaliere.

- Buongiorno a te. Sei il figlio di mastro Giovanni, vero?

- No, cavaliere, Giovanni è mio zio. Mio padre vive in Italia, a Verona.

Guillaume annuisce e dice:

- Il tintore è nel magazzino. Oggi non c’è nessun altro in bottega e ci vorrà un po’ prima che torni. Mi spiace che tu debba aspettare.

- Non c’è problema. Non ho fretta.

C’è un momento di silenzio e Riccardo si sente in imbarazzo. Guillaume sorride e dice:

- Non credo che tuo zio sia stato molto contento di venire rampognato così, ieri, ma il fratello Godefroi ha una fede molto forte e vorrebbe davvero che qui a Santa Maria si realizzasse in terra il regno dei cieli.

Riccardo ha l’impressione che ci sia una leggera ironia nel tono di voce di Guillaume, ma preferisce essere prudente e si limita a dire:

- È difficile non cadere in tentazione.

Guillaume sorride. Ha un bel sorriso.

- I peccati della carne non sono i più gravi, ragazzo. Ma dovremmo imparare a comandare al nostro corpo e a non esserne schiavi.

- Avete ragione, cavaliere.

C’è di nuovo un silenzio. Riccardo abbassa gli occhi. Gli piace quest’uomo forte che ha davanti, ma è a disagio. Cerca qualche cosa da dire e infine gli sfugge:

- Credo che a tutti capiti di cedere alle tentazioni, ogni tanto, anche a...

Riccardo si ferma: la frase che stava per completare è ben poco rispettosa e il templare potrebbe offendersi. Ma Guillaume ride.

- Sì, anche molti di noi peccano. Non è facile resistere alla tentazione.

Guillaume ha un bel sorriso. È proprio un bell’uomo. Riccardo lo fissa, incantato. Non riesce più a parlare.

Guillaume scuote la testa e aggiunge:

- Ragazzo, mi sa che tu sia spesso una tentazione per gli altri.

Riccardo risponde d’impulso:

- Spero che non sia facile resistermi, allora.

Una frase di gran lunga troppo audace, Riccardo se ne rende perfettamente conto, ma gli sembra di essere leggermente ubriaco. E sente che può fidarsi di quest’uomo.

Guillaume osserva Riccardo. Non dice nulla per un momento, poi osserva, serio:

- Sei molto imprudente.

Riccardo china la testa.

- Scusate, cavaliere. Non volevo…

Il tintore arriva con un piccolo involto, che consegna al cavaliere. Guillaume saluta:

- Arrivederci, mastro Fabien.

Poi si volge verso Riccardo.

- Arrivederci anche a te, ragazzo.

Riccardo svolge la commissione per cui è stato mandato dallo zio. Quando esce si dirige verso casa, ma incrocia nuovamente Guillaume. È strano che il cavaliere stia tornando verso la bottega da cui è uscito pochi minuti fa. Guillaume fissa Riccardo, che si sente a disagio, ma cerca di nasconderlo e dice:

- Nuovamente buongiorno, cavaliere.

Guillaume si ferma. Riccardo smette anche lui di camminare: sarebbe poco cortese proseguire, mentre il templare si è arrestato. Ora sono uno di fronte all’altro.

Guillaume sorride.

- Potrebbe essere una buona giornata, sì. Dipende.

Riccardo cerca di sorridere. È agitato, legge nelle parole del templare un invito. Forse si sta sbagliando, ma quest’uomo gli piace troppo.

- Dipende da che cosa? Se dipende…

Riccardo si blocca, chiedendosi che cosa sta dicendo: sta rischiando grosso, solo perché il templare non gli sembra un fanatico. Guillaume lo invita a proseguire:

- Di’, ragazzo.

Riccardo si lancia, senza darsi il tempo di pensare:

- Se in qualche modo dipende da me, spero che diventi una buona giornata.

Guillaume scuote la testa, sorridendo.

- Sei maledettamente imprudente, ragazzo.

È la seconda volta che Guillaume glielo dice. Riccardo si sente a disagio: non sa bene come interpretare la frase del templare. Il sorriso di Guillaume è rassicurante, ma le sue parole possono contenere una minaccia.

Il templare aggiunge:

- Seguimi, ma rimani a una certa distanza.

Guillaume si avvia. Riccardo lo segue. È meno preoccupato, ora: se Guillaume lo volesse denunciare, gli avrebbe detto di camminargli a fianco, per controllare che non cerchi di fuggire. E poi non ha detto niente di male: una frase che potrebbe anche essere soltanto molto gentile.

Guillaume deve avere ben altre idee in testa. Se è così…

Riccardo è piuttosto agitato, ora. In questi due anni ha scopato molto spesso con lo zio, ma sarebbe la prima volta che un altro uomo lo prende. È questo che ha in testa il templare? Dove lo sta portando?

A un certo punto Guillaume si ferma. Quando Riccardo lo raggiunge, Guillaume gli dice:

- Là sotto, oltre l’arco, c’è una porta. Tu prosegui per questa strada fino al bivio, poi, passando dal vicolo più in basso, raggiungi la porta e fermati là davanti.

Guillaume non attende una risposta. Scende lungo una scala che porta direttamente all’ingresso principale di un edificio, in cui entra.

Riccardo è di nuovo inquieto, ma segue le istruzioni ricevute. Oltre l’arco in effetti c’è una porta, non visibile dalla strada. Riccardo è giunto da poco, quando sente il rumore di una serratura che viene aperta. Guillaume appare sull’uscio e gli fa cenno di entrare, mentre controlla che nessuno lo veda.

Appena Riccardo è entrato, Guillaume richiude la porta e conduce Riccardo in una stanzetta laterale. È un locale molto piccolo, con una finestrella in alto da cui entra una luce fioca. Per un attimo Riccardo si chiede se non sia una cella e se il templare non abbia deciso di imprigionarlo. Ma Guillaume ha chiuso la porta dietro di sé e sta spogliandosi, senza dire nulla. Riccardo lo imita.

Ora sono entrambi nudi, in piedi l’uno davanti all’altro. Il templare ha un bel corpo, forte, segnato dalle cicatrici delle battaglie: una sulla spalla destra, un’altra al costato, una alla coscia sinistra. Riccardo tende la mano, che trema leggermente, e percorre il corpo di Guillaume, dal mento al collo, poi il torace e il ventre. Guillaume sorride.

Riccardo si inginocchia davanti a Guillaume. Osserva il cazzo del templare. È diverso da quello dello zio, forse un po’ più lungo, ma meno voluminoso e piuttosto arcuato. Riccardo avvicina la bocca e inghiotte la cappella. Guillaume sussulta, poi il suo sorriso si allarga.

A Riccardo piace succhiare questo bel cazzo che gli riempie la bocca. Le sue mani si posano sui fianchi di Guillaume. Lavora con la lingua e le labbra, lasciandosi trascinare dal desiderio che sale impetuoso. Guillaume gli posa una mano sulla testa e rimane immobile mentre Riccardo prosegue. Il ragazzo vorrebbe stringere il corpo del templare, ma le sue mani si muovono incerte. Si limita a qualche carezza leggera, mentre succhia e lecca con energia, finché non sente in bocca la scarica. Inghiotte. Il templare gli accarezza la testa.

Riccardo lascia la preda. Guarda ancora affascinato il cazzo del templare, a una spanna dalla sua bocca. È eccitato, ma non osa chiedere niente a quest’uomo che non conosce. Guillaume capisce, fa alzare Riccardo, lo volta e lo abbraccia da dietro, stringendolo forte. Riccardo fa scivolare una mano fino al cazzo, lo afferra e incomincia a masturbarsi, mentre sente contro il culo il cazzo del templare. Bastano pochi movimenti: Riccardo viene, soffocando un grido di piacere.

Il templare si stacca da lui e gli porge uno straccio per pulirsi. Riccardo esegue, mentre l’uomo si riveste. Riccardo si rimette gli abiti. Senza dire una parola, Guillaume si avvicina alla porta della stanza, la socchiude, guarda fuori e poi fa cenno a Riccardo. Guillaume apre la porta che dà sulla strada e, dopo aver nuovamente controllato, con un gesto invita Riccardo di andarsene. Non si sono detti una parola.

 

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Poche case più in là, quasi sul porto, Gerbert il cardatore è entrato in una camera della locanda di Sant’Andrea. Ad attenderlo c’è Ermoin, che gli sorride.

Gerbert gli fa una carezza rude sulla guancia, poi mette sul tavolo la moneta per pagare e incomincia a spogliarsi. Ermoin guarda il corpo armonioso dell’uomo e si sente la gola secca. Ermoin si prostituisce per vivere, ma con Gerbert scoperebbe anche gratuitamente: è un tale maschio!

- Muoviti, Ermoin. Non farmi aspettare.

Ermoin sorride e si spoglia in fretta. Si stende sul letto prono e allarga le gambe.

Gerbert si avvicina e guarda soddisfatto il culo del ragazzo, snello e glabro, così diverso da quello di Tristan. Sputa sul buco, inumidisce l’apertura passandoci due dita, poi avvicina la cappella e spinge. Gli piace vedere il cazzo che affonda nel culo del ragazzo, mentre la sensazione di calore lo avvolge.

Avanza fino in fondo, poi prende a muovere il culo avanti e indietro. Scopare Ermoin è splendido. Gerbert non bada alle voci che si sentono provenire dal basso: pensa che sia qualcuno che parla per strada o nella sala al piano terreno. Non fa caso neanche al rumore di passi per le scale: in una locanda c’è sempre gente che va e che viene. E poi le guardie si muovono silenziosamente.

Gerbert accarezza la testa del ragazzo. In quel momento la porta si apre e quattro guardie entrano.

- Eccoli qui. E il locandiere negava!

- Rivestitevi. Siete in arresto.

Gerbert sibila:

- Merda.

Esce a malincuore dal culo caldo di Ermoin. Vede che le guardie fissano il suo grosso cazzo. Si riveste in fretta. Ermoin si riveste anche lui. Gerbert chiede:

- Che cosa…

Non lo lasciano nemmeno finire:

- Venite con noi.

Legano le mani di Gerbert e di Ermoin, che si mette a piangere. Gerbert vorrebbe consolarlo con una carezza, ma quando alza le mani legate, una guardia lo costringe ad abbassarle.

 

*

 

Tristan arriva alla locanda con il carro e vede Gerbert ed Ermoin che vengono portati via dalle guardie dei templari. Gli sembra che il mondo gli crolli addosso.

Se fosse stato alla locanda, all’arrivo dei templari sarebbe corso ad avvertire Gerbert, ma il padrone lo ha mandato nella bottega del falegname a prendere due tavoli e quattro panche che ha fatto fare.

Il padrone sta discutendo con un templare. Tristan si avvicina.

- Non ne sapevo niente, ve lo giuro sul Vangelo.

Tristan sa che il padrone mente, ma spera che il templare gli creda.

- Verrete anche voi con noi.

- Ma io non c’entro nulla.

Le proteste del padrone e le suppliche della moglie sono inutili. Anche lui è costretto a seguire le guardie. Prima di andarsene, si rivolge a Tristan:

- Da’ una mano a mia moglie, Tristan, finché non torno.

 

*

 

Guillaume rimane in piedi, in silenzio. Come gli succede ogni volta che cede al desiderio, prova un senso di vuoto. Non si sente in colpa, no. Non dà nessuna importanza ai peccati della carne, tanto ampiamente diffusi tra i templari quanto severamente stigmatizzati da Godefroi e da alcuni altri. Ma questi rapporti gli sembrano privi di senso. Il piacere è stato intenso, per un momento lo ha avvolto completamente, facendogli scordare tutto, ma ora rimane solo un gusto di cenere.

Guillaume guarda i muri della stanza. Dal passato riaffiora il ricordo di Alain da Troyes, l’unico uomo con cui l’unione dei corpi aveva davvero un senso. L’amore può dare un significato a ogni atto, ma il piacere ricercato così… per strada il suo corpo ardeva e gli sembrava di non desiderare altro che quel ragazzo. E adesso Guillaume si chiede che senso ha ciò che ha fatto. Eppure tra qualche giorno lo desidererà ancora, quando la sua carne nuovamente avvertirà il bisogno imperioso. Che cosa ha detto al ragazzo? Dovremmo imparare a comandare al nostro corpo... Sul viso di Guillaume appare una smorfia.

Il templare rimane un buon momento nella stanza, poi si scuote ed esce. Ha raggiunto da poco la fortezza, quando un servitore gli comunica che il comandante religioso vuole che si presenti nella sala capitolare.

Nella stanza si trovano già diversi monaci. Godefroi invita Guillaume a sedersi e poi fa un cenno a un templare, che espone il motivo della chiamata.

- Oggi abbiamo arrestato un uomo che aveva un rapporto contro natura con un ragazzo sedicenne. Sospettavamo che il giovane Ermoin si prostituisse e non è stato difficile sorprendere i due peccatori mentre copulavano.

Guillaume china la testa. Lui non ha pagato, Riccardo non si prostituisce. Ma adesso dovrà pronunciarsi sulla punizione per due che hanno commesso il suo stesso peccato.

Quando il monaco ha esposto la situazione, Godefroi si alza.

- Il peccato di Sodoma è uno dei più gravi, perché è contro la natura che Iddio ha creato, è un peccato contro la creazione. Gli abitanti di Sodoma furono inceneriti dal fuoco celeste.

Nessuno obietta, anche se molti dei presenti si sono macchiati della stessa colpa.

Godefroi prosegue:

- Come dice San Paolo nella lettera ai Corinzi, coloro che peccano contro natura non entreranno nel regno dei cieli. Ma la loro punizione non può certo aspettare il giorno del Giudizio. Noi dobbiamo estirpare questo vizio infame e dare un esempio che faccia tremare tutti coloro che errano. In questa terra che i cristiani hanno riscattato con il loro sangue, non può esserci spazio per tali nefandi crimini contro Iddio.

- Che cosa proponete, fratello?

- Voi sapete che in questa terra si è tenuto il Concilio di Nablus. I canoni del Concilio stabiliscono la pena del rogo per questo peccato.

C’è un momento di silenzio. Nessuno si aspettava una pena così orrenda, non praticata in nessuna parte d’Europa, anche là dove le leggi condannano i rapporti tra uomini.

Godefroi prosegue:

- Il rogo consumerà i corpi di questi peccatori, destinati ad ardere nelle fiamme eterne dell’Inferno. E sarà di ammonimento per tutti coloro che cedono alle tentazioni della carne.

Mentre lo dice, Godefroi fissa i monaci. Sa che diversi di loro peccano.

Nessuno osa opporsi, temendo di esporsi. Guillaume però non se la sente di accettare una condanna così terribile.

- Fratello, quest’uomo e questo ragazzo hanno peccato gravemente. Nostro Signore è vendicatore terribile, ma è anche misericordia infinita. Imponiamo loro una penitenza esemplare e diamo loro la possibilità di emendarsi. Se ricadranno nel peccato…

Godefroi ha una smorfia di disprezzo e non lascia che Guillaume termini la frase.

- La loro penitenza sarà il rogo. Se si pentiranno sinceramente, Dio potrà, nella sua misericordia, perdonarli. Non tocca a noi farlo, sarebbe un pessimo esempio per tutti i peccatori di questa città.

- Il ragazzo ha appena sedici anni. Probabilmente si vende perché è povero. Almeno a lui il rogo dovrebbe essere risparmiato.

Le obiezioni di Guillaume sono condivise da molti, ma nessuno osa mettersi contro il comandante civile. Nessuno vuole che su di lui ricadano sospetti, che in diversi casi sarebbero giustificati.

- Il ragazzo ha offerto il suo corpo per denaro: il corpo che Dio ci ha dato, il suo dono divino, venduto al mercato. Ha commesso due dei più gravi peccati. Merita due volte il rogo.

Al momento di prendere una decisione, Guillaume è l’unico a pronunciarsi contro la proposta di Godefroi. I due peccatori saranno condannati al rogo. Per il locandiere ci saranno la fustigazione sulla piazza e la gogna.

Guillaume aggiunge:

- Chiedo che almeno il ragazzo, prima di essere arso, venga strangolato dal boia. Ha solo sedici anni.

Godefroi ha un movimento di impazienza.

- Che cosa vi rende tanto clemente nei confronti di questo peccatore, fratello Guillaume? Quando Dio distrusse Sodoma e Gomorra, tutti perirono, senza riguardo al sesso o all’età.

Guillaume vorrebbe rispondere che quel Dio gli fa orrore. Ma si limita a dire:

- Altro è il messaggio del Cristo. Bruciare vivo un ragazzo che vende il suo corpo per bisogno…

Godefroi non è d’accordo, ma un altro dei monaci osserva:

- La morte è di per sé una punizione sufficiente a spaventare i peccatori. Forse è più saggio non infierire su un ragazzo così giovane, perché non si dica che siamo mossi da crudeltà.

Anche altri monaci concordano con la proposta di Guillaume, che infine viene accettata.

 

*

 

Il boia gli lega le mani dietro la schiena, poi attacca la corda a un anello di ferro, collegato a una carrucola. La fune si tende e solleva le braccia di Gerbert e poi Gerbert stesso. Il dolore alle spalle e alle mani è violento.

- Allora, confessa, con chi altri hai avuto rapporti carnali contro natura?

- Con nessuno… lo giuro… con nessuno… Basta… vi prego… basta! Non l’avevo mai fatto… volevo provare… Basta… non ce la faccio più…

Gerbert non intende tradire Tristan. Prima lo hanno fustigato, poi gli hanno fatto bere un’enorme quantità d’acqua, rovesciandolo a testa in giù e lasciandolo così per ore. Adesso questa nuova tortura. Ma Gerbert non vuole che anche Tristan muoia.

Gerbert grida per il dolore, supplica di risparmiarlo: non vorrebbe umiliarsi di fronte ai suoi aguzzini, ma deve mostrarsi debole, perché credano alle sue parole e non proseguano troppo a lungo con le torture, vincendo la sua resistenza.

Il boia lo fa cadere dall’alto. Il dolore alle spalle è tanto forte, che Gerbert sviene. Il boia lo sveglia pisciandogli addosso. La tortura riprende.

Quando infine lo riportano in cella, Gerbert è esausto e non riesce più a muovere le braccia. La strappata gli ha slogato le spalle. Ma non ha tradito Tristan.

 

*

 

- Vieni, Riccardo. Andiamo ad assistere all’esecuzione.

Riccardo guarda lo zio, stupito.

- Zio! Ma che cosa dici? Veder bruciare uno vivo solo perché…

- Riccardo, tu devi capire in che mondo vivi. Noi contiamo di andarcene presto da questo buco di culo di posto. A Rougegarde si respira un’altra aria. Ma tu devi vedere con i tuoi occhi i rischi che corri. A Santa Maria tornerai, perché qui rimane il magazzino per le operazioni di carico e scarico delle merci. Devi sapere che cosa può succederti se non fai attenzione.

Riccardo cerca ancora di obiettare, ma lo zio è irremovibile. Giovanni e Riccardo raggiungono la piazza, dove è già radunata molta gente.

I due condannati arrivano.

L’uomo, il cardatore Gerbert, è sui quaranta, Ermoin dev’essere più giovane di Riccardo. Entrambi indossano solo una specie di perizoma che copre appena il sesso. Malgrado l’angoscia che l’attanaglia, Riccardo non può fare a meno di ammirare quest’uomo forte, che affronta il supplizio con coraggio.

Gerbert procede a testa alta. Quando è ai piedi della scala che conduce al rogo, guarda con rabbia il prete che gli si avvicina e gli sputa in faccia. Il sacerdote arretra inorridito, poi lo maledice, brandendo il crocifisso come se fosse un’arma. I soldati strattonano l’uomo, lo spingono sui gradini e lo legano al palo.

Ermoin piange disperato e chiede pietà. Quando vede Gerbert legato al palo, si rifiuta di procedere e devono trascinarlo a forza fino ai piedi della scala. Il prete gli si avvicina e lo invita a chiedere perdono a Dio per il peccato commesso. Il ragazzo ascolta le sue parole con attenzione e si dichiara pentito. Quando però cercano di farlo salire, riprende a gridare e supplica di essere risparmiato. Viene portato fino al palo mentre ancora si dibatte. I soldati fanno fatica a legarlo. Gerbert gli dice qualche cosa, che Riccardo non può sentire.

Riccardo ha le lacrime agli occhi. Vorrebbe fuggire. Ma sa che il peggio deve ancora venire.

Due uomini appiccano il fuoco alla catasta di legno accumulata. Ermoin grida, chiedendo ancora di essere perdonato, poi scoppia a piangere.

Il boia ha passato una corda intorno al collo di Ermoin e ora tira con forza, soffocando l’ultimo urlo del ragazzo. La testa ricade sul petto, inerte. Il boia scende rapidamente, mentre le fiamme si sviluppano e il fumo sale.

Il calore diventa intollerabile e alcuni, che si sono messi troppo vicino alla catasta, cercano di arretrare, ma la folla che preme per vedere glielo impedisce: è la prima volta che c’è un rogo a Santa Maria; gli esecutori e la folla che assiste hanno sottovalutato la potenza del fuoco e non hanno tenuto la distanza necessaria. Qualcuno si sente male per il calore o per il fumo, due donne svengono.

Intanto Gerbert bestemmia ad alta voce e maledice i templari. Riccardo guarda il viso dell’uomo che si sta trasformando: il calore brucia la pelle, che si scurisce e si solleva. Gerbert continua a maledire, ma nella sua voce si avverte la sofferenza. Poi anche lui grida, mentre le fiamme lo divorano. Un puzzo immondo di carne bruciata riempie l’aria.

Riccardo ha l’impressione di svenire. Si appoggia allo zio, che lo sostiene.

Le fiamme avvolgono completamente i due corpi. Non si sente più nessuna voce provenire dal rogo, solo il crepitio delle fiamme che divorano la legna e i corpi.

Giovanni dice:

- Andiamo.

Mentre ritornano, lo zio non dice niente. È cupo. Riccardo sospetta che si sia pentito di aver assistito all’esecuzione.

Quando entra in casa, lo sente mormorare tra i denti:

- Templari di merda!

Poi lo guarda e dice:

- Fa’ attenzione, Riccardo. Non voglio vederti finire così.

 

*

 

Tristan ha gli occhi umidi. Sono anni che non gli capitava di piangere, ma oggi, vedendo la fine orribile di Gerbert, non è riuscito a trattenere le lacrime.

Tristan torna alla locanda. C’è molto lavoro da fare, ma tutta la città era ad assistere all’esecuzione, per cui Tristan ha deciso di andare anche lui, per un ultimo saluto a Gerbert. Non avrebbe dovuto farlo: adesso sta male. Ma deve darsi da fare. In questi giorni Tristan serve anche ai tavoli, perché il padrone è a letto. I templari lo hanno fatto frustare e poi esporre per un giorno alla gogna. Il padrone sta male, anche se il medico dice che si riprenderà. La locanda si sta riempiendo, uomini e donne che hanno assistito al rogo vengono a bere un bicchiere prima di tornare alle loro occupazioni. Molti ridono, lo spettacolo li ha divertiti. Qualcuno invece è torvo e sottovoce impreca contro i templari, badando di non farsi sentire da chi non conosce.

Tristan cerca di non pensare a Gerbert, ma ci sono momenti in cui il dolore è insopportabile.

 

*

 

Una settimana è passata dal rogo. Nella riunione dei templari Godefroi ritorna al tema che gli è tanto caro, quello della lotta al peccato. E dopo un lungo discorso, giunge al punto:

- In particolare quel Giovanni Micheles è un pessimo cristiano. Il suo comportamento è biasimevole ed è un pessimo esempio per tutti. Bisogna intervenire.

- In che modo, fratello?

- Dandogli una punizione esemplare. Possiamo farlo fustigare pubblicamente per i peccati commessi, come abbiamo fatto con il padrone della locanda in cui si ritrovavano i peccatori. Il suo comportamento dissoluto è ben noto, non sarà difficile trovare testimoni. Servirà come ammonimento per tutti i cittadini e in particolare per i mercanti.

Guillaume cela a fatica la sua irritazione. Diversi confratelli esprimono i loro dubbi sulla proposta di Godefroi, che rischierebbe di suscitare molto malcontento tra i mercanti: l’espulsione di musulmani ed ebrei ha impoverito la città, che rispetto ad altri porti della costa ha perso importanza. Se anche alcuni mercanti cristiani se ne andassero, per la città si aprirebbe un periodo di declino. Il rogo del cardatore Gerbert ha suscitato molto malcontento tra gli artigiani; la fustigazione del locandiere ha provocato mugugni tra osti e albergatori. Non è pensabile mettersi contro anche i mercanti. Santa Maria in Aqsa non è un convento: ha bisogno di traffici e commercio.

Guillaume interviene a sua volta, appoggiando il parere di chi si oppone. L’autorevolezza che gli dà il suo ruolo di comandante militare chiude la discussione.

Godefroi non è soddisfatto, ma rinuncia al suo progetto. Si limita a dire:

- In ogni caso occorre redarguirlo. Andremo nuovamente da Giovanni Micheles. Domani arriva la delegazione da Acri, ma ripartirà martedì. Mercoledì torneremo dal mercante.

Dicendo queste parole, Godefroi si rivolge a Guillaume. L’idea di assistere a un’altra predica di Godefroi davanti a Riccardo non va a genio a Guillaume. Riccardo sarebbe capace di scoppiare a ridere quando il templare parla di castità: è giovane e non è capace di controllarsi. È più saggio sottrarsi all’incarico:

- Fratello, da lunedì a mercoledì è necessario che io sovrintenda al controllo dell’armeria: mi allontanerò proprio solo per accogliere la delegazione quando arriverà. Posso chiedervi di farvi accompagnare da qualcun altro? Il fratello Jorge è giunto da poco e forse è bene che impari a conoscere Santa Maria in Aqsa.

Jorge da Toledo è arrivato solo dieci giorni fa in Terrasanta ed è stato destinato a Santa Maria in Aqsa. È un uomo dal colorito scuro, che si potrebbe scambiare per un arabo e in effetti ha sangue arabo nelle vene: sua madre era una schiava andalusa, di cui suo padre, il potente conte di Burgos, fece la propria concubina. Dopo la morte del suo unico figlio legittimo, il padre di Jorge decise di far educare il figlio bastardo e più tardi riuscì a farlo entrare nell’ordine dei Templari, nonostante la sua nascita illegittima: il conte di Burgos è uno dei grandi signori di Castiglia, legato al re da vincoli di sangue.

Godefroi acconsente: lo accompagnerà Jorge.

 

Il mercoledì Godefroi e Jorge si dirigono alla bottega del mercante Giovanni. In compagnia del comandante civile, Jorge si annoia. È giunto in Terrasanta per combattere i saraceni, nei cui confronti nutre un odio implacabile. E adesso deve accompagnare questo vecchio rincoglionito che perde tempo in discorsi roboanti, minacciando tutti i tormenti dell’inferno a qualche mercante che ama scopare. Non sono quelli i nemici da combattere.

Giovanni ripete le formule di contrizione che ha già espresso nel dialogo precedente, mentre Jorge osserva Riccardo. Il figlio del mercante è un bel ragazzo. E lo sta guardando. Jorge gli sorride. Riccardo ricambia il suo sorriso.

In quel momento Giovanni dice:

- In ogni caso non c’è rischio che io dia ancora scandalo, perché non rimarremo qui molto.

- Contate di trasferirvi?

Godefroi ha aggrottato la fronte: non è contento di ciò che gli sta dicendo Giovanni. La partenza del mercante priverebbe la città di uno dei suoi contribuenti più importanti.

- Per gli affari Rougegarde offre molte più possibilità. A Santa Maria in Aqsa rimarrà una bottega e un magazzino, perché continueremo a servirci del porto. Trasferiremo solo la sede principale a Rougegarde.

L’informazione tranquillizza solo in parte il monaco, che però non può certo impedire a un mercante di trasferirsi. Su richiesta di Godefroi, Giovanni fornisce alcuni dettagli.

Poi Godefroi lo rampogna ancora.

 

Riccardo pensa che il templare che accompagna Godefroi sembra quasi un arabo. Non è bello come Guillaume, per nulla. Ma trasuda forza. Riccardo se lo divora con gli occhi, come è già successo con Guillaume. Se lo zio se ne accorge, lo rimprovererà. Perciò cerca di fare finta di niente, ma fa fatica a controllarsi.

Al momento di uscire, mentre Giovanni accompagna Godefroi alla porta, Jorge rimane un po’ indietro e sussurra a Riccardo:

- Ti aspetto questa sera, dopo compieta, davanti al magazzino del Guercio.

Jorge non dice altro. Non ha detto perché lo aspetta. Riccardo, per quanto poco esperto, sa benissimo che cosa il templare vuole. Ed è la stessa cosa che vuole lui.

Jorge esce, Giovanni rientra. Riccardo si chiede se lo zio si è accorto di qualche cosa, ma Giovanni ha altro per la testa.

- Merda! Maledetto fanatico schifoso. Spero che crepi presto, martirizzato dai saraceni, così lui sarà contento di andare in paradiso e si toglierà dai coglioni! Meno male che ce ne andiamo, non reggerei un altro incontro con quel bastardo.

Riccardo è contento che lo zio non si sia accorto di niente. Concorda:

- Davvero sgradevole, come persona.

Lo zio lo fissa, uno sguardo che è una pugnalata:

- Tu bada a quel che fai con quell’altro. Ma, per tutti i santi, com’è che qualunque templare ti fa sbavare? Questo non è neanche bello come Guillaume di Hautlieu.

Riccardo china la testa, imbarazzato. Allo zio nulla sfugge. Quanto a Jorge da Toledo, non è bello, ma è forte, è il tipo d’uomo che piace a Riccardo.

Giovanni aggiunge:

- Il ragazzo che hanno bruciato la settimana scorsa era più giovane di te. Ricordatelo.

Riccardo annuisce.

Giovanni alza le spalle e sbotta:

- Non ne posso più. Questa sera andrò da Mariette e Louison e scoperò con tutte e due. Alla faccia di quel vecchio rincoglionito. Quanto a te, Riccardo, ripeto: muoviti con prudenza.

Riccardo annuisce nuovamente.

Quando esce per recarsi al luogo dell’appuntamento, lo zio lo guarda e ripete:

- Sii prudente.

Ha capito benissimo dove va Riccardo.

Riccardo è agitato, ma meno di quando ha seguito Guillaume: è andata bene la prima volta, andrà bene anche questa.

Jorge da Toledo lo attira molto, anche se in una certa misura lo spaventa. Riccardo avverte in lui un miscuglio di forza e violenza, che lo soggioga. Quanto al rischio di finire sul rogo, non gli sembra realistico: Jorge è un templare, non si ficcherà nei guai.

Riccardo fa in modo di giungere alla bottega quando la campana incomincia a suonare. Non c’è nessuno, ma all’ultimo rintocco una figura massiccia, avvolta in un ampio mantello scuro, gli passa di fianco e gli dice:

- Seguimi.

Riccardo cerca di non lasciar trapelare la sua agitazione mentre segue l’uomo. Osserva le ampie spalle, il corpo forte. Il desiderio si accende in lui.

Jorge scende al porto. Si guarda intorno, per controllare che non ci sia nessuno, e raggiunge uno dei magazzini. Ha la chiave ed entra. Lascia la porta socchiusa. Riccardo lo segue, il cuore in tumulto. Dentro è buio pesto.

La porta si richiude. Riccardo sussulta. Ora non si vede più nulla. Riccardo si sente afferrare da due braccia forti, che armeggiano con la sua cintura e gli calano i pantaloni. L’uomo lo guida a stendersi su alcuni sacchi posti nel magazzino. Il templare lo sistema, in modo che il culo rimanga sollevato. C’è un momento di pausa, poi una mano ruvida sparge un po’ di saliva, due volte. Ora Riccardo avverte la pressione di una massa calda e voluminosa che forza l’apertura. Geme: l’arnese è troppo grosso. Jorge si ritrae, ma poi avanza nuovamente. Ripete l’operazione tre volte e infine entra dentro Riccardo.

È doloroso, non poco, ma è anche bellissimo. Jorge incomincia la sua cavalcata, con grande impeto. Il suo cazzo affonda nel culo di Riccardo, strappandogli gemiti, poi si ritrae completamente, per rientrare di nuovo e avanzare fino in fondo.

Malgrado il dolore, Riccardo sente il piacere crescere dentro di lui, sempre più forte, finché non è più possibile contenerlo. In un’estasi di godimento, Riccardo sente il seme schizzare fuori, mentre anche Jorge viene, con alcune spinte più violente.

Jorge si ritira e si rassetta in fretta. Riccardo rimane disteso, inebetito dal piacere.

In quel momento si sente il rumore di una chiave che gira nella toppa. A Riccardo sembra che il cuore smetta di battere. Si rialza e afferra gli abiti, rivestendosi rapidamente. La porta si apre e sulla soglia appare un uomo con una torcia.

Jorge si è coperto il capo. Con una spinta decisa manda a terra l’uomo e fugge via. Riccardo non si è ancora rivestito completamente, ma sa di non poter rimanere: afferra gli ultimi indumenti e scappa, prima che l’uomo faccia in tempo a rialzarsi.

Riccardo si allontana di corsa. In un angolo buio finisce di rivestirsi, poi si dirige verso casa. L’uomo che stava entrando nel magazzino lo ha visto in faccia. Riccardo non sa chi sia, ma non è detto che l’uomo non lo conosca di vista.

L’uomo potrebbe pensare che loro sono entrati per rubare? No, Riccardo è uscito ancora mezzo nudo. E su uno dei sacchi c’è il suo seme. Riccardo si sente mancare. Si ferma e si appoggia a un muro.

La sua vita è in pericolo: rischia di finire sul rogo. L’immagine dei due condannati gli appare nitidissima. Gli pare di sentire ancora nelle orecchie le urla disperate del ragazzo e le maledizioni dell’uomo. Godefroi sarebbe felice di bruciare qualche altro peccatore come ammonimento per tutti i cittadini. E di sicuro farà tutte le indagini necessarie per scoprire chi sono i due uomini sorpresi mentre scopavano.

E Jorge? Jorge è un templare. Potrebbe bloccare le indagini, dato che rischia di essere scoperto? E come potrebbe fare? Se rivelasse la verità, rischierebbe anche lui.

Riccardo raggiunge la casa. Lo zio non c’è: ha detto che sarebbe andato da Mariette e Louison. Riccardo non può parlare con nessun altro. Si rifugia nella sua camera. Trema. Se sente dei passi per strada, ha paura che siano i templari che vengono a prenderlo. Sarà torturato per fargli confessare il nome dell’uomo con cui ha scopato. Vorrebbe fuggire, ora, ma le porte della città sono chiuse.

Riccardo scoppia a piangere.

 

*

 

Giovanni ha trascorso un’ottima serata. Ha scopato con Louison e Mariette a lungo. Mariette gli ha detto che anche lei si trasferirà a Rougegarde, ma, non essendo conosciuta come prostituta, potrà lasciare la città più facilmente, senza l’aiuto di Giovanni.

Mentre torna a casa, si chiede com’è andata la serata di Riccardo. Il nipote lo preoccupa. È giovane e imprudente, esattamente com’era Giovanni quando aveva la sua età. E a Santa Maria in Aqsa questo è molto pericoloso. Per fortuna se ne andranno presto.

Giovanni entra in casa. Quando sale le scale, Riccardo appare sulla soglia. A Giovanni basta un’occhiata per capire che il ragazzo è sconvolto: è pallido, trema, deve aver pianto, ansima.

- Che cosa è successo, Riccardo?

- Siamo stati sorpresi. Un uomo, non so chi fosse. Siamo scappati. Mi ha visto in faccia. Zio…

Riccardo non riesce a continuare. Giovanni lo abbraccia, poi, quando il ragazzo si è un po’ tranquillizzato, si fa raccontare con precisione l’accaduto.

Riccardo deve andarsene da Santa Maria, ma come? Di notte non è possibile. Se l’uomo ha riconosciuto Riccardo, la situazione è senza vie d’uscita. Certo, Riccardo potrebbe nascondersi nel magazzino, ma se sanno che è lui il peccatore, frugheranno dappertutto, finché non lo troveranno. Se l’uomo non l’ha riconosciuto, ma ha raccontato ciò che è successo, domani mattina alle porte fermeranno sicuramente tutti i giovani che corrispondono alla descrizione fornita.

Jorge da Toledo non è stato visto. Ed è suo interesse che Riccardo non venga trovato. Se Riccardo venisse torturato, rivelerebbe il suo nome. Giovanni si chiede se non andare a parlargli. Ma il templare è arrivato da poco, non ha nessuna influenza.

Giovanni cerca di rincuorare Riccardo, ma non è per niente tranquillo. Non ha soluzioni da proporre. Domani Riccardo non si farà vedere. Rimarrà nel magazzino. Solo Alvise, il capo magazziniere, saprà della sua presenza: è un uomo fidato, che vuole bene a Riccardo come a un figlio. Se qualcuno verrà a cercare Riccardo, Giovanni dirà che è uscito il mattino presto e che non tornerà prima di sera. Se nessuno verrà a cercarlo, significa che non sanno chi è: questo darebbe il tempo per organizzare qualche cosa.

 

*

 

- Dobbiamo trovare quel ragazzo. Confesserà il nome del suo complice. Bruceranno sul rogo entrambi, come gli abitanti di Sodoma. Come bruceranno nelle fiamme dell’inferno dopo che il diavolo avrà preso le loro anime.

Nessuno dei templari dice nulla. Alcuni sanno benissimo che potrebbero finire loro stessi sul rogo per lo stesso peccato, ma non possono certo opporsi a Godefroi con un’argomentazione del genere. In ogni caso, se il ragazzo e il suo complice saranno trovati, ci sarà tempo per decidere il da farsi.

Guillaume è sicuro che si tratti di Riccardo Micheles. La descrizione corrisponde perfettamente. Guillaume non sa chi possa essere l’uomo, ma non si tratta certo di qualcuno della casa di Giovanni, se i due si sono ritrovati in un magazzino del porto. I templari hanno la chiave di quel deposito, di cui però non sono i soli a servirsi.

Guillaume si chiede se l’uomo massiccio e forte, che con una spallata ha gettato a terra il servitore, non sia Jorge da Toledo: Jorge è andato in mattinata a casa di Giovanni e di sicuro Riccardo l’ha visto. Conoscendo Riccardo, non sarebbe strano che Jorge si fosse accorto di piacergli e che avessero combinato di trovarsi la sera.

Durante la discussione, Guillaume ha osservato Jorge, ma questi non è uomo da tradire ciò che prova. Eppure Guillaume ha l’impressione che Jorge sia teso. Se è lui che ha scopato con Riccardo, ne ha ben ragione: l’espulsione dall’ordine e una pena severa di sicuro non gli saranno risparmiate. E forse neppure il rogo, perché Godefroi sarà implacabile con chi ha infamato l’abito dei templari. Jorge è il figlio del conte di Burgos, ma il conte è lontano e non potrà fare nulla per lui.

Guillaume è determinato a salvare Riccardo. E intanto un altro dubbio si affaccia alla sua mente: il ragazzo potrebbe denunciare anche lui? Sarebbe suicida da parte sua confessare di aver avuto rapporti anche con altri uomini, oltre a Jorge da Toledo, ma Godefroi potrebbe far torturare Riccardo per sapere se è stato con altri uomini e conoscere i loro nomi. In ogni caso Guillaume non può accettare l’idea che un ragazzo venga ucciso senza aver fatto del male a nessuno.

I templari prendono le decisioni necessarie per individuare il ragazzo colpevole di rapporti contro natura: una volta preso lui, si risalirà all’identità dell’uomo con cui ha peccato. Nessun giovane di quell’età potrà lasciare la città nei prossimi giorni se le sue caratteristiche sono quelle descritte dal testimone. Si cercherà il reo casa per casa, mettendo il testimone a confronto con i giovani. Qualcuno osserva:

- Il peccato è stato commesso vicino al porto. Bisognerà controllare anche i marinai. C’è una nave che parte questa mattina.

Guillaume si dichiara disposto ad accompagnare il testimone.

 

*

 

Giovanni ha sentito le notizie. Un peccato contro natura è stato commesso in uno dei magazzini. L’uomo che ha sorpreso i peccatori ha potuto vedere solo uno dei due, un ragazzo, ma è sicuro di poterlo riconoscere. Non sarà difficile far confessare il giovane e trovare anche l’altro. Alle porte della città controllano tutti i giovani. A due ragazzi è stato impedito di uscire, perché i loro tratti corrispondevano alla descrizione fornita dal testimone. Solo dopo che l’uomo li ha visti e scagionati, hanno potuto lasciare la città.

L’ultima notizia è la peggiore: pare che nel pomeriggio i templari gireranno casa per casa alla ricerca del giovane. Giovanni non sa che cosa fare. Non trovando Riccardo, i templari potrebbero decidere di perquisire la casa e il magazzino. Ci sono alcuni ottimi nascondigli e Alvise è un uomo fidato, ma per quanto tempo Riccardo potrebbe rimanere nascosto? E come farlo uscire dalla città?

Guillaume di Hautlieu compare sulla soglia. A Giovanni manca il fiato.

- Posso parlarvi, mastro Giovanni?

- Certamente, cavaliere. Sono a vostra disposizione.

- Preferirei non farlo qui, dove può venire gente.

- Venite con me.

Giovanni accompagna Guillaume in un piccolo ufficio.

- Sedetevi.

Giovanni è agitato: che cosa vuole il comandante militare? Di sicuro è venuto per quanto è successo ieri sera. Si è accorto che Riccardo lo divorava con gli occhi l’altro giorno e adesso sospetta che sia lui il ragazzo ricercato? Giovanni è preoccupato, anche se sa che Guillaume non è un fanatico. Riccardo non gli ha raccontato di aver scopato con Guillaume, per cui Giovanni non immagina che anche il templare possa rischiare di essere coinvolto.

- Quello che ho da comunicarvi è presto detto. Oggi pomeriggio verrò qui con l’uomo che ha visto il ragazzo ricercato. Voi dovrete chiamare i vostri garzoni che sono tra i sedici e i ventiquattro anni, perché il testimone possa vederli. Dovrete farmi vedere il libro contabile con il loro elenco, perché io possa controllare se ci sono tutti.

Giovanni annuisce, cercando di nascondere l’agitazione che prova.

- Dovrò vedere anche vostro nipote, naturalmente, che ha l’età del ragazzo ricercato. Mi dicono che sia malato, perciò salirò in camera sua con il testimone.

Giovanni non capisce dove voglia arrivare Guillaume, ma ascolta con attenzione. Nessuno può aver parlato di una malattia di Riccardo, che sta benissimo, a parte la paura. Guillaume gli sta lanciando una corda per salvare Riccardo?

- Controllerò io l’elenco dei vostri servitori. E garantirò io che il ragazzo nel letto è vostro nipote e non un altro, che so, un garzone che controllando l’elenco mi è sfuggito perché il suo nome era mezzo cancellato o per qualche altro motivo. Poi proseguiremo le ricerche. Magari il colpevole è già scappato. Questa mattina una nave che doveva partire aveva già levato l’ancora e non è stato possibile raggiungerla. Forse il colpevole era su quella nave.

Giovanni si sente sollevato. Guillaume gli ha tolto un macigno di dosso.

- Grazie, cavaliere. Ho sempre sentito dire che siete un uomo giusto e generoso. Chi me l’ha detto non mentiva.

 

*

 

Il controllo nel pomeriggio si svolge senza intoppi. Guillaume legge la lista dei nomi. Ne salta uno, che è mezzo cancellato. Nessuno dei giovani è il ragazzo che cercano. Poi Giovanni lo accompagna nella camera di Riccardo. Neanche il ragazzo che giace a letto è quello che il testimone ha visto. Il controllo è concluso, Guillaume e il testimone passano in un’altra casa.

Nella bottega tutti si chiedono come mai il giovane Matteo non sia stato convocato. È stato lui a essere sorpreso ieri sera? Ma perché non era nell’elenco? Mastro Giovanni ha fatto in modo di proteggerlo?

Quando Matteo ritorna a lavorare, c’è anche Giovanni e nessuno chiede nulla: non è il caso di mostrarsi troppo curiosi. Matteo è un tipo riservato e non dà spiegazioni neanche più tardi, quando il padrone non c’è: mastro Giovanni deve avergli detto di tenere la bocca chiusa. Se è lui che è stato sorpreso ieri sera, ha buoni motivi per tacere. Chi l’avrebbe detto, però?! Da come Matteo le guardava, almeno due delle serve sarebbero disposte a giurare che le donne gli piacciono parecchio. Qualcuna si dice che lo metterà alla prova: Matteo è un bel ragazzo. 

Le indagini dei templari non portano a nulla. Probabilmente il ragazzo era sulla nave che è partita in mattinata. C’era un giovane che corrispondeva alla descrizione, qualcuno l’ha visto e se lo ricorda benissimo; l’ha raccontato a Guillaume di Hautlieu e poi molti altri hanno confermato. Qualcuno ricorda anche che il ragazzo ci provava con tutti.

 

Una settimana dopo Giovanni lascia la casa con Riccardo e buona parte della servitù. Nel magazzino rimane Alvise con altri due servitori. Tra le donne che escono da Santa Maria in Aqsa c’è anche una serva nuova, che le altre non conoscono e guardano con curiosità. Sono successe tante cose strane, nell’ultimo periodo. Di che chiacchierare per un po’, ma più tardi, quando saranno lontano dalla città.

A comandare le guardie alla porta oggi è Jorge da Toledo, come Guillaume ha avuto modo di dire due giorni fa a Giovanni. I controlli sono rapidi: Giovanni è molto conosciuto e non ha certo niente da nascondere, i ragazzi sono stati già controllati da Guillaume in persona e sicuramente il peccatore non è tra loro.

 

*

 

Riccardo è felice di averla scampata. Cavalcando lungo la strada che porta a Rougegarde, si sente infinitamente leggero. L’incubo si è dissolto.

Quando ormai sono lontano da Santa Maria in Aqsa, sorride allo zio e gli dice:

- È andata bene.

Giovanni annuisce, poi risponde, guardandolo torvo:

- Se ti ficchi un’altra volta nei guai in questo modo, prendo una frusta e ti stacco la pelle a forza di colpi. Non sto scherzando, Riccardo. Devi imparare a muoverti con un po’ di attenzione, cazzo! Hai rischiato la tortura e il rogo.

Riccardo china la testa e non dice nulla. Sa benissimo che lo zio ha ragione e che per colpa sua ha passato alcuni giorni angosciosi. Ma ha diciott’anni e il fuoco vivo addosso. Si ripromette di essere prudente in futuro. E sicuramente non lo farà mai più con un templare.

In ogni caso a Rougegarde si respira un’altra aria e i rischi dovrebbero essere minori. Lo zio non può certo pretendere che lui sia casto.

Riccardo sorride e guarda lo zio. Dice, ironico:

- È che mi hanno dato un pessimo esempio.

Lo zio alza il frustino come se volesse colpirlo, poi scuote la testa.

- Sei una testa di cazzo, Riccardo.

Ma mentre lo dice sorride. Come dare torto a Riccardo? In realtà lui non gli ha dato esempi così cattivi, gli anni folli della sua gioventù, in cui ne ha combinate di tutti i colori, sono ormai lontani e Riccardo non era ancora nato, allora, o era troppo piccolo per ricordare. Ma nel nipote Giovanni rivede se stesso, con l’unica differenza che Riccardo è sempre a caccia di maschi, mentre lui era sempre dietro alle gonnelle. E in quanti guai si è ficcato!

 

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Dopo qualche giorno di viaggio, la carovana arriva a Rougegarde e Giovanni si insedia nella casa che ha acquistato.

Louison ha viaggiato con loro e Giovanni le fa vedere l’edificio.

- E in quest’ala c’era una locanda.

- Che ne farete, mastro Giovanni?

- I locali hanno solo bisogno di una ripulita e qualche piccolo lavoro, poi la locanda potrà riaprire.

Louison rimane un attimo pensierosa, poi chiede:

- Non gestirete voi la locanda, mastro Giovanni, vero?

Giovanni ride. Sicuramente diversificare gli affari è importante, ma per un mercante condurre personalmente una locanda è impensabile.

- Certo che no, Louison: sono un mercante, non un locandiere.

- Avete già trovato chi la gestirà?

- No, non ho ancora cercato. Adesso ho urgenza di finire di sistemare la bottega e il magazzino. Alla locanda e agli appartamenti da affittare penserò dopo.

Louison riflette ancora un momento, poi dice:

- Se a voi va bene, io e Mariette potremmo affittare la locanda.

- Tu e Mariette? Ma Mariette è a Santa Maria in Aqsa.

- Per pochi giorni ancora. Verrà anche lei a Rougegarde, forse non ve lo ricordate, ma ve l’ha detto. A Santa Maria in Aqsa non si può più lavorare. Ma lei non è ricercata e non avrà problemi a uscire con un uomo che l’accompagni.

Giovanni è rimasto spiazzato dalla richiesta di Louison. Gli viene un dubbio e lo esprime direttamente:

- Volete fare le locandiere? O contate di mettere su un bordello?

Per certi versi a Giovanni l’idea di avere in casa un bordello non dispiacerebbe: avrebbe la possibilità di scopare ogni giorno che vuole senza neanche uscire di casa. Ma questo potrebbe avere un effetto negativo sugli affari: Giovanni è appena arrivato a Rougegarde e vuole essere conosciuto come mercante e non come proprietario di un bordello.

Louison dissipa i dubbi di Giovanni.

- No, no, una locanda. Adesso che avrò un bambino, vorrei cambiare lavoro. Se la locanda funzionerà, diventerò una rispettabile locandiera: un onesto lavoro per una vedova.

Naturalmente Louison si presenterà come una vedova che ha appena perso il marito, questo è sensato. Una donna non sposata con un figlio sarebbe oggetto di critiche.

Giovanni ha un sorriso sornione.

- Non so se mi conviene affittarvi la locanda. Perdo le mie due donne preferite in un colpo solo.

Louison sorride:

- Per voi, mastro Giovanni, potremmo sempre fare un’eccezione. E poi dovremo pagarvi l’affitto della locanda.

Giovanni annuisce, sorridendo. Louison conta di pagare l’affitto della locanda con le sue prestazioni? Non sarebbe un buon affare per Giovanni.

- Va bene, Louison. Ci devo pensare un momento. Ne riparliamo domani mattina.

- Come volete, mastro Giovanni.

Giovanni vuole davvero riflettere sulla faccenda: gli affari sono affari e Giovanni non intende imbarcarsi in un’impresa sbagliata. Certo, poter affittare subito la locanda, senza dover cercare qualcuno, è una buona cosa: significa che i locali cominceranno presto a fornire un guadagno. E Louison e Mariette di sicuro attireranno molti clienti: sono due belle donne e ci sanno fare con gli uomini.

 

Il giorno successivo Giovanni parla a Louison. Non è difficile mettersi d’accordo: Louison e Mariette gestiranno la locanda e una parte degli utili andrà a Giovanni. Il mercante però presenta un problema:

- Louison, tu e Mariette siete due belle donne. I clienti della taverna saranno soprattutto uomini, come sempre, e anche tra coloro che alloggeranno nella locanda, gli uomini saranno in maggioranza. Due donne sole rischiano di avere qualche problema.

- Cercheremo qualcuno, un uomo che tenga a bada i clienti, butti fuori gli ubriachi e sappia farsi valere.

- È esattamente quello che pensavo. Mentre facciamo fare i lavori per sistemare i locali, bisogna trovare la persona giusta.

Giovanni ha intenzione di far rimettere a nuovo la locanda. Non sarebbe necessario, ma visto che è di sua proprietà, come tutto l’edificio, ci tiene che si presenti bene: deve corrispondere alla posizione sociale del suo proprietario. Che nessuno possa dire che la locanda di proprietà di Giovanni Micheles è una topaia.

A Santa Maria in Aqsa Giovanni era il mercante più importante. A Rougegarde non sarà così: ci sono molti mercanti che hanno grandi botteghe e i cui affari prosperano. Ma Giovanni ci tiene a diventare uno dei principali uomini d’affari della città.

 

Giovanni chiede ad alcuni mercanti di Rougegarde che conosce da tempo di consigliargli un uomo per i lavori pesanti nella locanda. Uno di loro gli fa conoscere il nipote, che tutti chiamano Roussel per via dei capelli e della barba rossicci. L’uomo è stato soldato nelle truppe del duca di Rougegarde e questo è un elemento a suo favore: è importante che sia forte e deciso e all’occorrenza in grado di maneggiare le armi.

Giovanni parla con lui il giorno successivo. Roussel ha ventiquattro anni ed è analfabeta, come quasi tutti i soldati. È un bell’uomo, ma appare piuttosto rozzo. Per il tipo di lavoro da svolgere va bene: a trattare i clienti ci pensano Louison e Mariette, che sanno bene come fare.

Giovanni presenta Roussel a Louison e Mariette, che non hanno obiezioni sulla scelta effettuata. Roussel incomincerà a lavorare non appena i locali della locanda saranno stati rimessi a posto: questione di quindici giorni.

Louison commenta:

- Fa anche bella figura. Il che non guasta.

Sentendo il commento di Louison, Giovanni si dice che sarà meglio parlare con Riccardo. Lo fa due sere dopo.

- Riccardo, ho assunto un uomo di fatica, un certo Roussel, per la locanda che gestiranno Louison e Mariette.

Riccardo non capisce perché lo zio gli parla di questo Roussel.

- Ah, sì?

- Adesso ascoltami bene: credo che ti piacerà, tanto ormai ho capito che ti piacciono tutti i maschi che hanno ancora due gambe e un cazzo.

Riccardo sorride.

- Magari anche qualcuno con una gamba sola…

Giovanni scuote la testa.

- Purché abbia il cazzo…

Poi aggiunge:

- Gira alla larga. Roussel è al mio servizio e le storie con i propri dipendenti sono solo casini. Chiaro? Ci sono migliaia e migliaia di maschi a Rougegarde. Cercatene qualcun altro.

- Va bene, zio. Non lo prenderò in considerazione. Ma è così bello che ritieni necessario avvertirmi?

- Riccardo, questa volta il frustino lo uso. Chiaro?

- Chiaro. Però non mi hai risposto…

Giovanni ha l’impressione che la sua sia una battaglia persa. Il problema è che la combatte con poca convinzione. Suo padre gli levò davvero la pelle a cinghiate: una volta dovette rimanere a letto dieci giorni. Ma non servì a nulla. Giovanni deve ammettere che era una testa di cazzo esattamente come Riccardo.

 

*

 

Roussel prende servizio alla locanda.

Mariette e Louison lo trattano bene, ma non si mostrano troppo cordiali con lui: hanno ambedue un’esperienza sufficiente degli uomini per sapere che un eccesso di gentilezza viene facilmente interpretato come un invito e deve essere chiaro che loro gestiscono la locanda e Roussel è solo un servitore.

Roussel fa il suo lavoro, senza grande solerzia, ma senza neppure gravi pecche. Riccardo lo vede un mattino presto, qualche giorno dopo, perché passa lì davanti mentre Roussel apre la locanda.

- Tu sei Roussel, vero?

Roussel guarda il ragazzo, che non ha mai visto. Non lo infastidisce la familiarità con cui Riccardo lo tratta: Roussel sa di essere un servitore e il ragazzo è chiaramente benestante. Roussel decide di mostrarsi cortese.

- Come mai mi conoscete?

- Sono Riccardo, il nipote del mercante Giovanni.

Roussel annuisce. Ha sentito parlare di lui.

- Piacere di aver fatto la vostra conoscenza.

Non c’è nessuno nella locanda, è ancora presto. Riccardo sa che lo zio non sarebbe contento di vederlo fermarsi a parlare con Roussel, ma ha voglia di scambiare due parole con quest’uomo. Non lo sta mica invitando a letto!

- Eri un soldato, mi dicono.

- Sì, ho combattuto agli ordini del duca.

- Pare che sia un grande comandante.

- Sì, questo sì…

Roussel non sembra convinto e Riccardo è stupito: sul valore del duca di Rougegarde non ha mai sentito voci discordanti; franchi e saraceni lo considerano tutti il più capace dei comandanti cristiani.

- Non ti sei trovato bene?

Roussel fa una smorfia, poi sbotta:

- No, se volete saperlo, no, non mi sono trovato bene. In battaglia si rischia la pelle. C’è chi ritorna senza una gamba o senza un braccio e c’è chi proprio non ritorna. Uno non lo fa mica per divertirsi, no?

Riccardo non capisce dove voglia arrivare Roussel.

- No, certo.

- Però quando poi infine uno può mettere le mani su qualche cosa, non dico tanto, di che potersi un po’ divertire… il duca non vuole saccheggi, bisogna rispettare le donne, non si può fare questo, non si può fare quello. E che cazzo! Che senso ha rischiare la pelle se non c’è quasi niente da guadagnare?

Riccardo ha capito benissimo il punto di vista di Roussel.

- Sì, sì, certo.

Adesso non sa più che dire. Conclude:

- Quindi hai lasciato definitivamente il mestiere di soldato.

Roussel alza le spalle.

- Per il momento sì. Magari un giorno o l’altro mi arruolerò di nuovo, se ci sarà qualche buona occasione, ma sotto un altro signore.

Riccardo sta per congedarsi, quando si avvicina un uomo che deve aver superato i quarant’anni. Sembra alla ricerca di qualche cosa. Guarda l’insegna, poi si avvicina e chiede:

- È aperta questa taverna?

Roussel risponde:

- Sì, sì, abbiamo appena aperto.

Riccardo ne approfitta per congedarsi.

 

*

 

Emich di Freiburg si siede volentieri. È entrato in città appena hanno aperto le porte: ieri sera è arrivato troppo tardi per entrare, le porte erano già chiuse, e ha dovuto adattarsi a dormire all’aperto. Ha camminato per le strade di Rougegarde, guardandosi attorno, affascinato: nonostante la stanchezza per il viaggio dei giorni scorsi e la notte trascorsa sdraiato in un campo, non ha potuto fare a meno di ammirare la bellezza degli edifici e l’animazione delle strade.

Emich si siede a un tavolo, mentre Roussel finisce di aprire le imposte.

Con la schiena appoggiata contro la parete, Emich chiude gli occhi. È arrivato a Rougegarde, la sua meta. Gli hanno parlato spesso di questa città, la perla della Terrasanta, ma non ha mai avuto occasione di vederla prima d'ora: fino a pochi anni fa era sotto dominio saraceno ed Emich ha sempre evitato di tornare nei territori dominati dai saraceni. Quando ripensa all’esperienza della schiavitù, sente ancora un brivido di paura. Non potrà dimenticarla mai, perché ha lasciato un segno indelebile nella sua carne.

Adesso Rougegarde è in mano al duca Denis d’Aguilard. La fama della città e del duca ha attirato Emich. Sa che Rougegarde ospita cristiani latini e greci, armeni e maroniti, musulmani ed ebrei. C'è una completa tolleranza religiosa. E il duca non permette al vescovo di immischiarsi nel governo della città.

Emich conosce il duca, che quando era ancora un semplice soldato giurò un patto di aiuto reciproco con altri guerrieri: Emich officiò la cerimonia. Questo non significa che Emich possa contare sul suo appoggio, ma gli basterebbe che non gli fosse ostile.

- Che cosa vi porto?

È una voce femminile a ridestarlo dal suo torpore. Davanti a lui c’è una bella donna bionda.

Emich chiede da mangiare e da bere.

Mentre consuma la sua colazione, Emich pensa ai suoi progetti per il futuro. È venuto a Rougegarde con un sogno che accarezza da tempo: vorrebbe scrivere le sue idee, in modo che possano circolare. Sa bene che è pericoloso, perché Emich non segue l’interpretazione che la Chiesa dà della parola di Cristo e mettere per scritto il suo pensiero significa rischiare una condanna per eresia. Ma la Chiesa è lontanissima dall’insegnamento di Gesù. La Chiesa è ricca, mentre Gesù ha insegnato la povertà. La Chiesa invita alla guerra e alla violenza, mentre Gesù voleva che tutti gli uomini si amassero. Queste sono le cose che Emich vorrebbe scrivere. Queste e altre. Ma ha senso scriverle? Potrebbe davvero farle circolare? Rougegarde potrebbe essere il luogo adatto per scrivere: correrebbe meno rischi. Ma anche qui sarebbe in pericolo se quanto vorrebbe scrivere venisse a conoscenza del vescovo.

Ma forse è presto per pensare a questo. In primo luogo Emich deve cercare un posto dove alloggiare. Questa taverna gli sembra accogliente: il locale sembra essere stato rimesso a nuovo di recente. L’insegna indicava anche una locanda, probabilmente ai piani superiori. Potrebbe essere un buon posto per fermarsi.

Entrano due clienti. Uno si rivolge alla donna bionda, chiamandola Louison. È lei a portare da mangiare e da bere a Emich. Emich la guarda, sorridendo. È sempre stato sensibile al fascino femminile, ma i saraceni lo hanno evirato e ormai per Emich le donne sono irraggiungibili. Una bella donna però è sempre un piacere per gli occhi, anche se Emich deve limitarsi a guardare o, al massimo, a toccare.

Dopo aver mangiato e bevuto, Emich si sente soddisfatto. Gli piace l’ambiente pulito, gli piace questa donna sorridente, che, Emich l’ha notato subito, è incinta: è bello quando nasce una nuova vita.

Emich decide di chiedere a lei:

- Sapete dove posso trovare una camera?

- Noi abbiamo diverse camere al primo piano: abbiamo appena aperto e sono quasi tutte libere. Vuole vederne una?

- Sì, perché no?

- Per quanto tempo le serve? Conta di fermarsi a lungo?

- Qualche mese, certamente.

- Allora attenda, che chiamo Mariette.

Anche Mariette è una bella donna, dal colorito più scuro, la pelle di una grana meno fine, lunghi capelli neri che una cuffia copre solo in parte e un seno prosperoso.

Mariette accompagna Emich al primo piano e gli mostra le camere libere. Ce n’è una con vista sul cortile, molto tranquilla, che a Emich piace. 

Discutono del prezzo, che non è esoso. Emich non ha molto denaro, ma per qualche settimana dovrebbe riuscire a sopravvivere. Intanto cercherà di vendere i racconti arabi che ha trascritto: quando era prigioniero le donne dell’harem passavano intere giornate a narrare storie e Emich ne ricorda alcune molto belle. Emich ne ha già trascritte diverse, integrando con la sua fantasia le parti che non si ricordava.

Spera di riuscire a venderle al duca, che ha fama di proteggere gli artisti: anche per questo ha scelto di stabilirsi a Rougegarde. Se il duca le acquisterà, potrà vivere per un po’ senza preoccuparsi di lavorare e quando avrà bisogno di denaro, potrà scrivere altri racconti.

Ma forse sta correndo troppo con la fantasia: Denis di Rougegarde è un guerriero, queste storie fantastiche magari non gli interesseranno.

 

*

 

Sono passate due settimane. Emich è nella sua camera. Ha chiesto di fare un bagno. Potrebbe andare in un hammam, ne ha visti parecchi a Rougegarde, ma non ama andare in un locale pubblico, dove altri potrebbero vederlo.

Roussel ha portato la tinozza in camera e ora posa sul pavimento l’ultimo secchio d’acqua calda. Emich si immerge nella tinozza. Si lava e poi rimane a lungo nell’acqua calda, aggiungendo ogni tanto un po’ d’acqua dall’ultimo secchio. Gli piace molto restare così, come gli piace la sensazione di pulito che prova dopo essersi lavato. Prima di essere catturato dai saraceni, era un soldato come tutti gli altri: non si lavava quasi mai, anche se non gli dispiaceva sguazzare nei fiumi e nei laghi. Gli anni di schiavitù gli hanno dato nuove abitudini.

Roussel entra per portare via la tinozza: pensava che Emich avesse finito. Ha appena bussato ed è subito entrato.

Emich si sta alzando e Roussel può vederlo nudo. Rimane fermo, sbigottito.

- Ehi, ma non hai le palle!

Emich scuote la testa.

- No, sono stati i saraceni. Mi catturarono, quando avevo vent’anni. Sono stato loro schiavo a lungo.

Roussel annuisce.

- So che lo fanno certe volte, ma non avevo mai visto uno… Puoi scopare?

Emich sorride. Non è stupito della domanda diretta di Roussel: si è reso conto che è piuttosto rozzo. D’altronde Emich è abituato alla curiosità degli altri: nei regni franchi gli eunuchi sono rari. Non è stato facile rassegnarsi a non essere più un maschio: all’inizio Emich ha più volte pensato di uccidersi. Poi si è abituato e ha accettato ciò che gli era successo. 

- No, non posso più scopare.

- Non ti diventa più duro, eh? Me l’avevano detto.

Roussel guarda stupito i genitali mutilati di Emich. Non riesce a capacitarsi.

Emich non dice nulla. Potrebbe spiegare che se non può avere un’erezione, può ancora provare piacere quando viene posseduto. La prima volta il suo padrone lo prese con la forza e fu soltanto un’altra umiliazione. Poi però Emich si abituò e scoprì che poteva essere fonte di molto piacere. Dopo essere tornato libero, Emich si è offerto ad altri uomini. Ma non gli sembra il caso di parlare di questo con Roussel: potrebbe interpretarlo come un invito e, anche se Roussel è un bell’uomo, Emich lo giudica troppo grossolano per essere attraente.

- Cazzo, che roba! Dev’essere...

Roussel non sa come continuare. Emich annuisce.

- Ci si abitua a tutto.

Roussel scuote la testa:

- Non so se mi abituerei.

Poi ride e aggiunge:

- Ma se ti è successo ti devi abituare…

Roussel prende la tinozza e la trascina fuori. Intanto Emich si asciuga e incomincia a rivestirsi. Domani tutti sapranno della sua condizione ed è meglio così: è meglio che la situazione sia chiara. Emich non ha mai nascosto quello che gli hanno fatto e sa che la faccenda è nota, anche se a Rougegarde pochi devono aver sentito parlare di lui.

 

Più tardi Emich riprende in mano le storie arabe, per controllare un’ultima volta che tutto sia a posto. Ormai ha finito la revisione. Dovrà sottoporle al duca.

Emich posa le carte e ripensa al progetto di scrivere le sue idee. Se lo farà dovrà trovare un posto sicuro per tenere quei testi. Probabilmente quasi nessuno sa leggere nella locanda, ma è meglio non correre rischi. Emich si rende conto di aver paura. E allora, che senso ha voler scrivere? È pericoloso. Nella locanda presto saprebbero tutti che scrive, non potrebbe tenerlo segreto: non sono certo in molti ad acquistare l’inchiostro e la carta, questo meraviglioso materiale che gli arabi hanno introdotto e che pare venire dall’Oriente. Ma Emich potrebbe scrivere anche altre storie, scegliendo tra quelle che ha sentito dai saraceni. Quelle può lasciarle nella cassapanca. Così, se dovesse mai esserci un controllo, verrebbero trovate e nessuno penserebbe che ha nascosto da qualche parte altri testi ben più compromettenti.

 

*

 

La sera nella locanda Mariette, che serve a tavola, è molto più gentile con lui: di solito le due donne si tengono a distanza dagli uomini. E nello sguardo di Louison Emich legge compassione. Roussel deve aver già parlato. Per quanto possa essere umiliante, è meglio così, che non ci siano segreti. Meglio non dover nascondere e vivere temendo che si venga a scoprire.

Dopo cena i clienti se ne vanno. La taverna della Luna piena non chiude tardi: Mariette e Louison preferiscono evitare gli avvinazzati che di notte si installano in qualche bettola e finiscono spesso per azzuffarsi e fare danni. La taverna e la locanda devono conservare una buona fama.

Mariette si siede al tavolo di Emich. Non l’ha mai fatto prima.

- State bene nella nostra locanda, mastro Emich?

- Sì, molto bene.

- Mi fa piacere. Siete un uomo per bene, non come certa gente che a volte passa di qui.

- Vi ringrazio di questo apprezzamento.

- È la verità, mastro Emich. Non racconto storie. L’ho pensato subito, quando vi ho visto, che eravate un uomo dabbene. Sarebbe bello se tutti i clienti fossero come voi.

Emich è contento delle parole di Mariette, ma non sa bene che dire.

- Grazie.

Mariette si alza e conclude:

- Se avete bisogno di qualche cosa, ditelo.

 

*

 

Emich chiede di essere ricevuto dal duca. All’uomo che lo interroga spiega che vuole offrirgli un testo di fiabe arabe. Mentre attende, Emich si chiede se il duca gli darà udienza. Potrebbe fargli dire che è occupato o che non gli interessa ed Emich non saprebbe a chi rivolgersi. Ma l’uomo ritorna e lo fa entrare.

- Buongiorno, Emich di Freiburg, come state?

- Buongiorno, duca. La ringrazio per avermi ricevuto. Io sto bene e spero altrettanto di voi e della vostra famiglia.

- Tutto bene. Non sapevo che foste a Rougegarde.

- Sono arrivato pochi giorni fa. Alloggio nella locanda della Luna piena.

- Quella di proprietà del mercante Giovanni Micheles.

- Sì, duca.

- Ditemi che cosa vi porta qui.

- Ho portato con me un testo di fiabe arabe.

Il duca appare sorpreso.

- Fiabe arabe?

- Sì, duca. Forse sapete che fui a lungo schiavo dei saraceni. Negli anni di prigionia ebbi modo di ascoltare moltissime storie, che mi colpirono. Ne ho trascritte alcune e ho pensato che potessero essere un dono gradito per voi e la vostra signora e forse per il vostro figliolo.

Emich ha parlato di dono. Entrambi sanno benissimo che se il duca accetterà il dono, Emich riceverà un compenso.

Denis d’Aguilard fa qualche domanda sulle storie e si dice ben contento di leggerle. Emich gli porge il manoscritto che ha portato con sé.

Quando Emich sta per congedarsi, Denis gli dice:

- Emich, circola voce che voi siate un eretico.

Emich avverte una stretta al cuore. Fa per parlare, ma un gesto del duca lo blocca.

- Vi invito a essere prudente. Il vescovo, Bohémond di Tours, è intollerante e non riesce ad accettare che a Rougegarde convivano in pace uomini e donne di fedi diverse. Fate attenzione a non destare sospetti, non cercate di diffondere le vostre idee. Il vescovo ha delle spie, che si fingono mercanti o artigiani e inducono le persone a parlare, dando a credere di condividere le loro idee.

Emich si chiede se non ha fatto un errore a venire a Rougegarde. Il duca prosegue:

- Se vi muoverete con cautela, per me sarà più facile proteggervi.

Emich non si aspettava un discorso così diretto. È inutile mentire, protestare la propria innocenza. E il duca ha parlato di proteggerlo. Emich si inchina.

- Vi ringrazio, duca, dell’avvertimento. Intendo seguire i vostri consigli e cercherò di non creare problemi.

- Contate sulla mia protezione e, se vi sentite in pericolo, avvisatemi. Ma, vi ripeto, siate molto prudente.

- Lo sarò, mio signore. Vi ringrazio.

Emich si congeda. Farà meglio a non scrivere le sue idee. Non ora, almeno. È opportuno lasciar passare qualche tempo. Di fronte a un testo scritto, sarebbe impossibile per lui negare.

 

*

 

Denis di Rougegarde ama leggere, nel tempo che gli lasciano l’amministrazione della città e le guerre. Legge volentieri i testi trascritti da Emich e poi passa il manoscritto alla moglie, la principessa Maria.

- Sono storie arabe, che ha trascritto Emich di Freiburg: è stato prigioniero dei saraceni molti anni. Le ho lette e mi sembrano scritte bene. Credo che possiate apprezzarle e probabilmente alcune di queste storie possono andare molto bene per Pierre.

- Le leggerò molto volentieri, duca. A Gerusalemme c’era un narratore arabo che aveva imparato molto bene la lingua dei franchi e conosceva storie bellissime.

Denis sorride e aggiunge:

- Credo che per Pierre sia utile iniziare a conoscere un po’ meglio il mondo dei saraceni e questi racconti mi sembrano uno strumento adatto alla sua età. Forse qualcuno non apprezzerà che vi si parli di creature magiche, ma anche le nostre fiabe sono piene di fate e orchi. Le storie del marinaio Sindibad mi sembrano particolarmente interessanti.

- Dopo che le avrò lette, ne parleremo. Se sono belle come voi dite, si potrebbe affidare a qualche miniaturista il compito di illustrarle. Pierre ama molto le illustrazioni.

- Mi sembra un’ottima idea.

 

Emich viene convocato dal duca alcuni giorni più tardi. Per le sue storie riceve un compenso molto generoso e il duca si dichiara disponibile ad acquistarne altre.

Emich pensa che per un po’ non dovrà preoccuparsi del futuro e ne è felice.

Quando rientra alla locanda, Mariette gli dice:

- Oggi sembrate molto allegro, mastro Emich.

- Lo sono. Il duca ha acquistato alcune storie arabe che io ho tradotto.

- Delle storie? Sono storie quelle che scrivete?

- Sì, quando ero prigioniero dei saraceni, ne ho sentite raccontare molte ed erano bellissime.

- Di che cosa parlano?

- Di tutto. Marinai e mercanti, principi e schiavi, jinn e spiriti.

- Jinn? Che cosa sono?

- Degli spiriti, che possono essere ostili agli uomini o aiutarli.

- Mi piacerebbe che mi raccontaste una di queste storie, mastro Emich.

- Lo farò molto volentieri. Mi piace raccontare storie.

- Se va bene per voi, potrei venire in camera vostra questa sera.

Emich è un po’ stupito, ma l’idea non gli dispiace.

 

La sera Mariette bussa. Emich le apre la porta e la fa accomodare su una sedia. Lui si siede sul letto.

- Che storia volete che vi racconti?

- Scegliete voi, mastro Emich.

- Vi racconterò una storia del califfo Harun ar-Rashid. Diverse storie che conosco hanno come personaggio questo califfo vissuto qualche secolo fa a Bagdad, ai tempi del grande re Carlo.

- Benissimo. L’ascolterò volentieri.

Emich inizia a raccontare e intanto guarda Mariette che sorride e l’ascolta attenta. Alla fioca luce della lucerna, Emich osserva il sorriso della donna, mentre lui parla del califfo e del suo incontro con una giovane donna che sa comporre versi.

Emich ha scelto una storia breve: ha paura di annoiare Mariette.

Quando infine Emich ha concluso la narrazione, Mariette gli dice:

- È già finita?

- Sì.

- Domani me ne racconterete una più lunga, mastro Emich?

- Volentieri.

Mariette si alza e si avvicina a Emich. Gli passa una mano tra i capelli, in una carezza leggera. Emich sorride, guardandola. Mariette gli prende una mano e l’appoggia sul seno.

Emich accarezza il corpo di questa donna. È bello poter accarezzare una donna: da molto tempo non ha avuto modo di farlo e ora è felice di sentire il calore di questo corpo.

Con gesti lenti Mariette si spoglia.

Emich di colpo ha paura che Mariette non sappia, che magari Roussel non abbia raccontato quello che ha visto o abbia narrato tutt’altro per farsi beffe di lui e di Mariette.

- Mariette, io non posso…

Mariette gli mette una mano davanti alla bocca.

- Lo so. Va bene così.

Mariette finisce di spogliarsi. Emich appoggia il suo viso contro il ventre di lei, le sue mani l’accarezzano, dolcemente. È bellissimo rimanere così.

Mariette lo stringe a sé, poi si stacca e si stende sul letto. Emich si spoglia e si corica accanto a lei. Mariette lo bacia e l’abbraccia. C’è una dolcezza sconfinata in questo abbraccio e a Emich sembra di non essere mai stato tanto felice come tra le braccia di questa donna che lo accarezza. Si abbandona completamente alla tenerezza di questo momento. Le sue dita scorrono sulla pelle di Mariette, le sue mani avvolgono il corpo che si stringe al suo.

Rimangono a lungo stretti, scambiandosi carezze.

Infine Mariette dice:

- Ora devo andare.

Emich la guarda rivestirsi. Quando è pronta, le dice.

- Grazie, Mariette. Grazie.

- Grazie a voi, mastro Emich.

- Siete molto buona.

Mariette sorride e scuote la testa.

- Non l’ho fatto per bontà.

È vero. Mariette non si è offerta per bontà. Quest’uomo l’attrae, anche se non è più un maschio. Di maschi Mariette ne ha avuti tanti, forse troppi: ha imparato a conoscerli e non ne ha molta stima, anche se qualcuno di loro sa regalare piacere. Quest’uomo è del tutto diverso, con lui Mariette sta bene.

 

*

 

È notte. Riccardo è sulla terrazza superiore della casa. Gli piace molto questo spazio aperto e ventilato, dove la sera si può rimanere tranquilli. Dalla terrazza la vista spazia fino alle mura e alla montagna.

Riccardo è inquieto. A tormentarlo è il corpo.

A Rougegarde non ha rapporti con nessuno. Anche lo zio Giovanni lo trascura: da quando sono in città hanno scopato pochissime volte. Lo zio è sempre occupato, sia per tutte le incombenze legate al trasferimento, sia per gli impegni della vita sociale di Rougegarde, in cui lo zio è intenzionato ad affermarsi.

Spesso Riccardo deve accompagnarlo e le sue giornate passano in fretta tra il lavoro e impegni di cui Riccardo farebbe volentieri a meno, ma che sa essere importanti.

Riccardo potrebbe cercare altrove, ma l’esperienza con i due templari a Santa Maria in Aqsa lo ha reso più incerto. Non vuole correre rischi, anche se qui a Rougegarde la situazione è diversa. 

Riccardo scende lungo la scala e incrocia Roussel che sta salendo nella sua camera con una candela. Roussel è a torso nudo e porta la camicia su una spalla. Probabilmente ha fatto qualche lavoro pesante per cui si è tolto la camicia e non ha ritenuto necessario rimettersela.

Riccardo lo guarda e fa appena un cenno di saluto, ma non riesce a distogliere lo sguardo dal petto dell’uomo. Sente la gola secca. Guarda il torace muscoloso dell’uomo, la sua peluria rossiccia. Dovrebbe continuare a scendere, ma senza neanche rendersene conto, si è fermato. Adesso sono uno davanti all’altro, sull’ultimo gradino prima del pianerottolo dove si trova la camera di Roussel.

 

*

 

Roussel sorride. Da come sta guardandolo, il nipote del mercante dev’essere una troietta in calore. Roussel preferisce le femmine, ma le due locandiere sembrano avercela cucita, anche se una delle due la sera va spesso da quell’Emich, quello che non ha neanche le palle. In mancanza di una fica, un bel culetto può andare benissimo.

- Che ne diresti di venire in camera mia?

Roussel ammicca e si dirige verso la camera. Non si volta a vedere se Riccardo gli va dietro: ne sente lo sguardo su di sé.

Apre la porta. Riccardo lo ha seguito, ma si è fermato un po’ indietro. Roussel fa appena un cenno. Riccardo fa due passi in avanti, esita ancora un attimo, poi entra.

Roussel sorride. Posa la candela sul tavolo e si spoglia con pochi gesti rapidi. Non è il caso di stare a perdere tempo. Sarà un piacere gustare il culo del ragazzo. E magari anche la bocca, perché no?

 

*

 

Roussel ha un bel corpo, forte, muscoli ben torniti, gambe e braccia robuste, un cazzo vigoroso. Riccardo deglutisce. Incomincia a spogliarsi anche lui, senza distogliere neppure un attimo lo sguardo da questo bel maschio.

Roussel sorride e dice:

- Succhiami un po’ il cazzo.

Riccardo annuisce. Finisce di togliersi gli abiti e si inginocchia davanti a Roussel. Guarda la cappella, avvicina le labbra e la prende in bocca. Incomincia a succhiare. Ormai ha imparato come fare. Sente che il cazzo acquista forza e consistenza. Gli piace quando il cazzo si irrigidisce e gli riempie la bocca. Riccardo succhia con foga, mentre poggia le mani sui fianchi di Roussel.

Roussel gli mette una mano sulla fronte e spinge indietro la testa.

- Basta così, voglio venirti in culo, non in bocca. Mettiti a quattro zampe.

Riccardo annuisce. Poggia le braccia a terra e divarica bene le gambe. Sente la pressione del cazzo di Roussel contro l’apertura.

- No, mettici un po’ di saliva.

Roussel sbuffa, ma si ritira, sputa sul buco e sparge la saliva. Poi infilza Riccardo.

L’ingresso è stato un po’ brusco, ma la sensazione è grandiosa. Roussel spinge con decisione, avanti e indietro. Riccardo avverte il calore e la pressione di questo bel cazzo che gli riempie il culo. Come sempre è un piacere violento e anche il suo cazzo si tende. Roussel spinge con vigore e il piacere di Riccardo cresce, ma dopo poche spinte Roussel viene e si ritira.

- Ora sparisci.

Riccardo si alza. Gli spiace che tutto sia stato così rapido. Vorrebbe rimanere ancora un po’ nella camera, stringere questo corpo maschio, ma evidentemente a Roussel non interessa. Riccardo si riveste rapidamente.

Quando sta per aprire la porta, Roussel gli dice:

- Torna a trovarmi, una di queste sere.

Riccardo annuisce. Anche se Roussel è stato piuttosto sbrigativo, Riccardo è contento che gli abbia detto di tornare. Socchiude la porta. Le scale sono buie, non c’è nessuno. Riccardo scende, muovendosi silenziosamente. Che lo zio non venga a sapere che lui ha scopato con Roussel! Lo pelerebbe vivo.

 

*

 

Emich ha finito di scrivere. La storia non è la trascrizione di un racconto arabo sentito durante la prigionia, ma una sua invenzione. Narra di una bella donna che si dimostra generosa nei confronti di un viandante ferito dai briganti. Lo accoglie e lo cura, finché l’uomo guarisce, poi gli dà il necessario per viaggiare e lo lascia partire. Un giorno l’uomo ritorna e rivela di essere un principe: sposa la donna e la porta nel suo palazzo.

Nello scrivere la storia Emich ha pensato a Mariette. Gliela leggerà, uno di questi giorni, senza rivelare che si è ispirato a lei. Mariette lo capirà da sola: è una donna sensibile.

Emich scende a cena. Uno degli avventori si siede al suo tavolo e scambia due parole con lui. Dice di essere un mercante di Tripoli. L’uomo parla della minaccia saracena, di Rougegarde, delle spedizioni di re Amalrico, del duca Denis, del vescovo.

Emich è molto prudente. L’uomo può essere davvero solo un mercante curioso, ma potrebbe anche essere una di quelle spie del vescovo di cui parlava il duca. Emich esprime la sua ammirazione, sincera, per il duca. Dice di non conoscere il re e il vescovo della città, ma di aver sentito parlare molto bene di loro. Questo è solo in parte vero: Amalrico in effetti gode di buona fama, ma il vescovo non è certamente popolare a Rougegarde. Pur non essendo in città da molto tempo, Emich ha più volte ascoltato critiche anche molto pesanti nei confronti di quest’uomo ambizioso e intollerante.

La conversazione si chiude senza che Emich abbia detto nulla di pericoloso. Il mercante se ne va. Emich rimane pensieroso. Era davvero un mercante? O il vescovo, sapendo della sua presenza in città, lo ha fatto sondare?

Emich si ripete che per il momento è più saggio non mettere per scritto le sue idee. Gli dispiace rinunciare al suo progetto, ma si dice che è solo un rinvio.

Quando tutti sono usciti, Louison viene a sedersi davanti a Emich.

- Questa sera verrò anch’io ad ascoltare una delle vostre storie, mastro Emich, se non vi dispiace.

- Perché mai dovrebbe dispiacermi? Molto volentieri.

Emich si chiede che cosa succederà dopo che avrà narrato la storia. Quando Mariette viene ad ascoltare un racconto, poi si stende accanto a lui sul letto e si accarezzano e si abbracciano a lungo. Louison lo sa? Emich ritiene di sì: tra Mariette e Louison vi è una grande intimità.

 

In serata Louison e Mariette salgono in camera. Guardando Louison, che ormai è vicina al parto, Emich decide di raccontare la storia di una principessa che ebbe un figlio da un genio. Man mano che narra, modifica la vicenda in base alle reazioni delle due ascoltatrici, come a volte gli capita di fare quando racconta a qualcuno.

- È una bella storia, mastro Emich. Mariette ha ragione quando dice che siete molto bravo a narrare.

- Sono contento che vi sia piaciuta, Louison.

Mariette si alza e, come le altre sere in cui è salita in camera da Emich, gli accarezza i capelli. Emich lascia che lei gli tolga la camicia, poi l’abbraccia. Louison si avvicina e con le mani li cinge tutti e due. Rimangono un momento così, poi le due donne spogliano Emich e lasciano che lui tolga i loro indumenti. Emich accarezza la pancia di Louison. Gli piace passare la mano su questa pelle morbida, sotto cui sta sviluppandosi una promessa di vita. Rimangono a lungo ad abbracciarsi e accarezzarsi. Come altre volte, la mano di Emich indugia sul sesso di Mariette e lentamente la porta al piacere. Poi fa lo stesso con Louison.

Mentre si rivestono, Louison sorride e dice:

- Non so che cosa direbbero di noi, se sapessero…

Louison non completa la frase, non è necessario. Emich annuisce e risponde:

- Nel cuore di ognuno di noi c’è spazio per tanti. L’amore non diminuisce se viene condiviso.

Ha parlato d’amore, perché davvero sente di amare Mariette e Louison.

 

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- Posso parlarvi, mastro Giovanni?

- Certamente, Mariette, ditemi.

- Si tratta di Roussel.

- Ha combinato qualche cosa che non va? Non mi sembra un gran lavoratore.

- Non è questo. Non è né migliore, né peggiore di tanti altri. È che va dicendo cose che preferisco riferirvi.

- Dimmi, Mariette.

- Dice che vostro nipote gli si è offerto. E che lui si è divertito. Pare che già tre o quattro volte sia andato da lui la notte.

Giovanni stringe i pugni. Aveva avvisato Riccardo e quello stronzo di suo nipote… che testa di cazzo!

Mariette si è accorta della sua rabbia.

- Mi spiace, mastro Giovanni, ma per amor vostro e per vostro nipote, ho preferito dirvelo. Finché ne parla con me e Louison, non è un problema, non andiamo certo a ripetere le cose che racconta. Ma questa mattina c’erano anche due avventori. Io l’ho zittito, ma non si può mai sapere…

- No, certo. Ti ringrazio. Domani mattina parlerò con lui. Grazie per avermi avvisato, Mariette.

Mariette se ne va. Le dispiace che Giovanni si sia arrabbiato, ma per il bene di Riccardo è meglio che non circolino certe voci su di lui. Che le donne non gli piacciano, è evidente: si capisce da come guarda lei e Louison. Ma è sempre cordiale e pronto a fare un favore. A Mariette Riccardo è molto simpatico. Non vuole che si sparli di lui.

 

*

 

Riccardo scende le scale in silenzio. Non vuole svegliare lo zio. Se lo vedesse rientrare a quest’ora, gli chiederebbe dov’è stato e probabilmente scoprirebbe la verità.

Riccardo entra nella camera e chiude la porta dietro di sé. Adesso è a posto. Apre lo sportello della lanterna: non è più il caso di nascondere il lume. La luce illumina la stanza e la figura di zio Giovanni seduto su una sedia, un frustino in mano.

Riccardo sussulta. Giovanni sibila:

- Spogliati, Riccardo.

Le parole dello zio potrebbero far pensare a un invito, che a Riccardo non dispiacerebbe per nulla, anche se ha appena scopato. Ma il tono e la frusta che lo zio tiene in mano non lasciano molti dubbi.

- Zio, io…

- Ti avevo avvisato. Non con Roussel. Non con gli uomini al nostro servizio. Spogliati.

- Ma… zio…

- Questa volta non la scampi, Riccardo. È ora che tu capisca. Cazzo! Provare a resistere una volta, invece di cedere sempre a qualunque tentazione? Troppo difficile?

Lo zio non lo ha mai frustato. Ma adesso è evidente che è intenzionato a farlo.

Riccardo ha il cuore che gli batte forte, mentre si spoglia. Anche Giovanni si toglie la tunica.

- Mettiti lì e appoggiati con le braccia al tavolo.

Riccardo esegue.

Giovanni vibra con forza una frustata. Riccardo sussulta. Giovanni guarda il segno rosso che la frusta ha lasciato sul culo del nipote. Il desiderio si accende in lui, violento. Giovanni assesta un altro colpo deciso. Riccardo geme.

- Zio!

- Niente zio! Sei una testa di cazzo. Bisogna che impari.

Altre due frustate decise. Ma la quinta lascia un segno leggero. Giovanni ha colpito meno forte. Si rende conto che non ha voglia di continuare. Alza il braccio e poi lo abbassa nuovamente, senza colpire. Guarda il culo del nipote. Ha la gola secca. Con un movimento rapido si abbassa i pantaloni. Il cazzo è teso.

Giovanni afferra le natiche del nipote. Stringe con forza. Poi lo infilza con un unico movimento brusco.

- Ahi!

- Lamentati pure, stronzo. Hai solo quello che ti meriti.

- Zio, per favore. Mi hai fatto un male cane. Esci un momento.

Giovanni esita, vorrebbe non ascoltare la richiesta di Riccardo, con cui è arrabbiato, ma la sofferenza che ha avvertito nella voce del nipote lo fa esitare. Giovanni si ritira, dicendo:

- Preferisci che ti frusti, stronzo?

Il dolore si sta attenuando.

- No, no. Però… non così.

Giovanni scuote la testa, imprecando, ma rientra con maggiore delicatezza.

Giovanni si dice che se Riccardo è una testa di cazzo, lui lo è altrettanto. Parlava di resistere alle tentazioni, ma questo culo che ora sta fottendo con grande gusto lo ha indotto in tentazione e anche lui non è stato in grado di resistere. E poi vuole dare lezioni a suo nipote. La lezione è diventata una scopata. Ma con Roussel, cazzo! Uno che già lo racconta in giro. Domani Giovanni dovrà dirgli chiaro e tondo che se si permette di raccontare certe storie su suo nipote, può raccogliere i suoi quattro stracci e andarsene. Ma probabilmente non basterà per metterlo a tacere. No, domani lo licenzierà. Roussel sparlerà ancora di più, ma probabilmente molti penseranno che lo fa solo per vendicarsi. Ma Riccardo! Che testa di cazzo!

Quando ci ripensa, Giovanni sente ancora la rabbia. Fotte Riccardo con furia, ma il nipote, adesso che si è abituato allo spiedo, è solo contento di essere trapassato come un pollo da cuocere. Lo zio ci sa fare, più di Roussel, che è alquanto sbrigativo.

 

*

 

A Riccardo il culo fa male. Le frustate hanno lasciato il segno e ieri sera lo zio lo ha preso due volte con tale foga che adesso Riccardo zoppica un po’.

Riccardo e lo zio mangiano alla locanda, come avviene quasi sempre: Giovanni ha deciso che era inutile avere due cuoche, una per la casa e una per la taverna. La donna che per anni ha fatto da cuoca per Giovanni e Riccardo ora lavora nella cucina della locanda. A casa propria Giovanni mangia solo in alcune occasioni, ad esempio quando offre un banchetto. 

Giovanni e Riccardo hanno un tavolo riservato, ma spesso con loro mangia Louison o Mariette. Da un po’ di tempo a loro si unisce anche Emich, con cui hanno fatto amicizia.

Emich vede Riccardo arrivare zoppicando.

- Che ti è successo, Riccardo?

È Giovanni a rispondere.

- Si è preso qualche frustata, ben meritata.

Riccardo non dice nulla. Giovanni però si rivolge a lui, con un tono piuttosto duro:

- Vero, Riccardo, che erano meritate?

Riccardo annuisce, senza troppa convinzione. Emich chiede:

- Che cosa ha fatto di male, vostro nipote, se non sono indiscreto?

Giovanni non intende raccontare: se ne parlerà già abbastanza. Si limita a dire:

- Non sa controllarsi, neanche quando è stato avvisato.

Emich sorride, mentre guarda Riccardo. Scuote la testa.

- È giovane, molto. Non si può pretendere da un ragazzo ciò che si può chiedere a un uomo.

- Ha diciott’anni, non è un bambino. E deve imparare come comportarsi. Ascoltare gli avvertimenti che gli danno le persone che hanno più esperienza di lui e non ficcarsi nei guai per non aver ragionato.

Emich ha intuito di che cosa si tratta e dice:

- Questo è vero, ma non è facile controllare i propri desideri, quando si è giovani.

Mariette ha capito perfettamente che cosa è successo. Osserva:

- Avete ragione, mastro Emich, però anche i giovani devono imparare a essere prudenti, per il loro bene.

Giovanni aggiunge:

- E a controllarsi, ripeto.

- Il desiderio ci guida e, come dice un poeta arabo, è un destriero irrequieto. Noi crediamo di condurlo, ma è lui a condurre noi.

- Lasciandosi condurre dal desiderio ci si ficca facilmente nei guai. Con il rischio di subire la condanna degli uomini e della Chiesa.

- Gli uomini e la Chiesa possono condannare, ma se non si fa del male a nessuno… È stato Dio a crearci come siamo, perché potessimo amarci e conoscere il piacere e la gioia. Come potrebbe Dio condannare ciò che ha creato?

Mariette annuisce e osserva:

- Quanta saggezza nelle vostre parole, mastro Emich. Non è quello che sentiamo nelle prediche.

Emich si rende conto di colpo di trovarsi nella locanda e di aver parlato molto liberamente. Dà una rapida occhiata intorno. Giovanni, Riccardo, Mariette, poco più in là Roussel, che potrebbe aver ascoltato. Nessun altro dovrebbe aver sentito. In ogni caso ritiene più prudente limitare la portata delle sue affermazioni:

- Sono solo un povero peccatore. Di certo non voglio mettermi a predicare. 

 

*

 

Roussel sta raccogliendo le sue poche cose. È furente. Non si aspettava di essere licenziato. Il padrone ha scoperto che lui scopava con il nipote. E allora? Non l’ha mica violentato. Quel finocchietto era ben contento di offrirgli bocca e culo. E adesso per colpa sua lui si ritrova a spasso. Merda!

Roussel non ha nessuna intenzione di ingoiare il boccone senza reagire. Intende rendere la pariglia. Ma che cosa può fare? Sputtanare Riccardo, questo certamente, ma potrebbero non credergli. Lo zio di certo dirà che Roussel si inventa tutto per vendicarsi di essere stato licenziato. E poi bisogna fare attenzione: anche se a Rougegarde si vive liberamente, gli hanno raccontato che a Santa Maria qualcuno è già finito al rogo per aver scopato con un ragazzo. Anche il ragazzo hanno bruciato, ma dopo averlo strangolato.

Roussel non vuole correre rischi. Se Giovanni riuscisse a farlo allontanare da Rougegarde, in posti come San Giacomo d’Afrin rischierebbe grosso. Quel figlio di puttana del vescovo…

Roussel si ferma. Il vescovo... Emich proprio oggi diceva delle cose... Magari, aggiungendo qualche dettaglio, calcando un po’ la mano. Quelle due stronze delle locandiere andavano tutt’e due da Emich, la sera. Uno con le palle no, per loro non va bene, ma quel coglione senza palle sì. Che stronze!

Un eretico e gli altri che lo stanno a sentire… Emich scrive. Magari scrive le sue idee. Quelle carte potrebbero tornargli utili. Deve riuscire a prenderle prima di andarsene.

Nella locanda c’è sempre tanto passaggio di gente. Potrebbe anche inventarsi di aver sentito di riti in onore del diavolo, chissà che cosa fanno le due stronze ed Emich nella camera, la sera. Di certo non scopano…

Al vescovo potrebbe anche dire che il nipote del mercante va a letto con gli uomini. E se poi, indagando, si scoprisse che Riccardo ha scopato con lui? Difficile che il ragazzo lo vada a raccontare. Ma se lo torturassero? Forse è meglio restare sul vago.

 

*

 

Bohémond di Tours, vescovo di Rougegarde e San Giacomo d’Afrin, riflette su quanto gli ha raccontato il servitore della locanda. Sa benissimo che l’uomo è stato licenziato, anche se lui ha raccontato di essersene andato di sua spontanea volontà per non rimanere in quel covo di eretici e sodomiti. Ma questo non ha importanza: quello che conta è l’uso che può fare di questa testimonianza.

Bohémond sa che deve muoversi con grande prudenza. Due anni fa, quando è stato nominato vescovo di San Giacomo d’Afrin e Rougegarde, ha commesso alcuni errori. A San Giacomo d’Afrin ha stabilito un’alleanza proficua con il signore della città. Il barone Renaud non è un buon cristiano, ma ha preso le decisioni giuste: i musulmani sono stati quasi tutti allontanati dalla città e le moschee sono diventate chiese; grandi lavori stanno trasformando la moschea principale in una maestosa cattedrale. A Rougegarde invece il duca Denis non ha mai voluto limitare i diritti di musulmani ed ebrei, perciò moschee e sinagoghe sono ancora in funzione. Bohémond ha pensato di poter forzare il duca, ma è stato un errore colossale: è stato duramente richiamato da Amalrico di Nesle, il patriarca latino di Gerusalemme, perché il re Amalrico considera Denis di Rougegarde uno dei baluardi del suo regno e non intende certo accettare che il vescovo cerchi di limitarne il potere. Il patriarca è alleato del re e Bohémond ha dovuto chinare il capo.

Bohémond per il momento non può porsi grandi obiettivi. Vorrebbe però riuscire ad affermare il potere della Chiesa a Rougegarde, in modo che tutti i cittadini sappiano che, anche se il duca è troppo tollerante, il vescovo vigila. Un processo per eresia o per rapporti sessuali contro natura e soprattutto una condanna al rogo sarebbero molto utili per raggiungere l’obiettivo. Ma per ottenere questo risultato, Bohémond deve comunque passare attraverso il duca. Bohémond sa benissimo che il duca non gli permetterà mai di condannare qualcuno al rogo, come hanno fatto a Santa Maria in Aqsa. Però se almeno fosse possibile mandare un peccatore in carcere…

Purtroppo le carte che ha portato quel Roussel non hanno nessun interesse. Due storielle arabe! Contro Emich di Freiburg ci sono solo le dichiarazioni di Roussel. E contro Riccardo Micheles pure.

Rimane il fatto che le due locandiere sono due puttane di Santa Maria in Aqsa, una delle quali era pure ricercata perché continuava a praticare la prostituzione nonostante fosse già stata ammonita: dalla città è scappata di nascosto, probabilmente proprio con la complicità di quel Giovanni Micheles, che poi le ha affidato la locanda. Altro che vedova: una puttana. Questo, Roussel non lo poteva sapere, ma il vescovo ha i suoi informatori e ne era già a conoscenza. E da tempo Bohémond sa benissimo che Giovanni Micheles non è un buon cristiano.

Bohémond si rende conto che è troppo poco, ma almeno proverà a saggiare il terreno.

 

*

 

- Nicolas, sua eminenza il vescovo ritiene che nella casa del mercante Giovanni Micheles si tengano riunioni segrete di un gruppo di eretici capeggiati da Emich di Freiburg. Sostiene che vi si svolgano riti in onore del demonio.

Il vescovo Bohémond di Tours annuisce alle parole del duca di Rougegarde, Denis d’Aguilard, ma è evidente che non è soddisfatto. Precisa:

- Sui riti diabolici non ho prove certe, ma sono sicuro che in quella casa circolano idee eretiche. E so che a gestire la locanda che occupa una parte della casa sono due meretrici, che si sono allontanate di nascosto da Santa Maria in Aqsa. Non di rado esse giacciono con i clienti. La locanda nasconde un luogo di prostituzione. Vi si gioca d'azzardo.

Denis d’Aguilard riprende:

- Sì, pare che in quella casa si eserciti la prostituzione, che vi siano perfino accoppiamenti contrari alla natura.

Nicolas è sicuro di vedere un lampo di ironia negli occhi del suo signore mentre pronuncia le ultime parole: in effetti anche ciò che Denis d’Aguilard e Nicolas fanno spesso rientra in quelli che la Chiesa considera accoppiamenti contrari alla natura.

Denis conclude:

- Insomma, davvero di tutto. Ci manca solo che Satana in persona venga a stabilirsi in quella casa.

Il vescovo fa per dire qualche cosa, ma Denis d’Aguilard non gliene lascia il tempo e prosegue, senza più sorridere:

- Giovanni Micheles è un mercante stimato e in mancanza di certezze non voglio fare nulla che possa danneggiare la sua reputazione. Mi sembra che ci sia davvero un po’ troppo…

Il vescovo interviene.

- Eppure, duca, vi posso assicurare che le informazioni in mio possesso provengono da fonti sicure. Un uomo che è stato a servizio nella locanda ha riferito cose terribili.

Il duca scuote la testa:

- Un uomo che probabilmente è stato licenziato e che adesso vuole vendicarsi.

Denis fa una breve sosta e riprende:

- No, eminenza, la gente parla a vanvera e circolano molte voci che spesso contengono appena un fondo di verità. No, di certo non infastidirò un uomo dabbene per quello che la plebaglia dice. In ogni caso a Rougegarde né la prostituzione né il gioco d'azzardo sono vietati. Faremo le indagini necessarie, con tutta la cautela del caso.

Il vescovo non appare soddisfatto e Nicolas non se ne stupisce: sa bene che, al di là del problema della casa del mercante Giovanni, il prelato non ha buoni rapporti con il duca. Bohémond di Tours vorrebbe imporre a Rougegarde un rigido controllo religioso sulla vita dei cittadini, come fa a San Giacomo d’Afrin, dove il barone Renaud glielo permette, o come avviene a Santa Maria in Aqsa, dove dominano i templari. Ma Denis d’Aguilard non tollera che qualcuno cerchi di ingerirsi nel governo della città. Il duca è uno dei signori più importanti del regno e gode della piena fiducia di re Amalrico, a cui ha salvato la vita in battaglia: ciò che il vescovo potrebbe dire contro di lui non avrebbe davvero nessun peso. Non a caso il vescovo risiede più spesso a San Giacomo, benché Rougegarde sia molto più ricca e popolosa.

Il duca conclude, rivolgendosi a Nicolas:

- Nicolas, tra poco andrai nell’osteria e passerai qualche ora là, fino alla chiusura. Incomincia a farti un’idea della gente che circola, chiacchiera un po’ con gli avventori e soprattutto fai chiacchierare loro: senti se Emich ha tenuto discorsi di tipo religioso e in questo caso cerca di ricostruire che cosa ha realmente detto. E informati anche sul motivo per cui il servitore della locanda se n’è andato: se è stato licenziato o se ha deciso lui di andarsene. Domani mattina mi riferirai ciò che hai potuto osservare oggi. E vedremo il da farsi.

Nicolas si inchina. Dovrà cercare di capire ciò che succede davvero alla locanda. Se circolano idee eretiche o se vi si tengono riti diabolici, cosa di cui Nicolas dubita, il duca deciderà come intervenire.

 

*

 

Emich ha scoperto che i due racconti che aveva scritto sono scomparsi, lo stesso giorno in cui mastro Giovanni ha licenziato Roussel. Emich è preoccupato. I due racconti sono fiabe, non contengono nulla che possa procurargli guai. Ma perché Roussel li ha presi? Di certo non sa leggere e non poteva sapere che erano solo storie arabe. Ma che cosa intende farne? Emich teme che voglia servirsene contro di lui. Ma perché? Lui non gli ha fatto niente.

Mastro Giovanni lo ha licenziato, probabilmente perché Roussel si è vantato di aver scopato più volte con Riccardo. Ma Emich non c’entra. Roussel è vendicativo, ma che motivo può avere per prendersela con lui?

Quando Mariette arriva, si accorge subito che Emich è preoccupato.

- Che cosa avete, mastro Emich?

- Due racconti arabi che avevo trascritto sono scomparsi. Deve averli presi Roussel quando se n’è andato.

- Roussel? Ma se non sa neanche leggere! Che se ne fa?

- Credo che voglia usarli contro di me.

- E perché mai? Non gli avete fatto nulla di male.

- Non lo so, deve avere qualche piano per vendicarsi del licenziamento.

- Quei racconti possono essere pericolosi per voi?

- No, non c’è nulla per cui io possa essere accusato.

- E allora dimenticatevene. Non preoccupatevi per Roussel.

Mariette si avvicina e accarezza il capo di Emich. Emich la avvolge in un abbraccio, che lenisce la sua ansia. Nei due racconti non c’è davvero nulla di pericoloso o sconveniente: d’altronde erano destinati al duca. Li riscriverà. 

 

*

 

Nicolas raggiunge la locanda all’ora di pranzo. Individua facilmente il mercante Giovanni ed Emich di Freiburg, che già conosce di vista. Siedono allo stesso tavolo. Nicolas si mette al tavolo vicino.

Intanto arriva un bel ragazzo, che si unisce a Emich e Giovanni. Certamente è Riccardo, il nipote del mercante.

Riccardo lo vede e lo fissa, ma quando lo zio se ne accorge, distoglie immediatamente lo sguardo. Nicolas sospetta che chi ha informato il vescovo non abbia mentito sui rapporti contro natura. Scambiare due chiacchiere con il ragazzo, approfittando dell’interesse che dimostra, non sarebbe una cattiva idea.

Nicolas sorride a Riccardo, poi mangia, chiacchierando con alcuni degli uomini presenti. Non viene fuori nulla, ma questo è ovvio: Nicolas non può porre domande dirette e deve prima guadagnarsi la fiducia degli avventori, che non lo conoscono.

Durante il pasto, Nicolas fa in modo di incrociare qualche volta lo sguardo di Riccardo e di sorridergli. Dopo pranzo Giovanni e il nipote se ne vanno, ma dopo pochi minuti Riccardo ritorna. Nicolas sarebbe pronto a scommettere che si è inventato una scusa per ritrovarlo.

In effetti Riccardo si avvicina al tavolo, come se cercasse qualche cosa, poi si rivolge a Nicolas, sorridendo, e dice:

- Scusate, avete mica visto una borsa con dei fogli? Credevo di averla lasciata al tavolo.

Riccardo non aveva nessuna borsa, ma Nicolas finge di credergli.

- No, davvero. Siete sicuro di averla lasciata qui?

- Mi pareva.

Riccardo esita, come se ancora cercasse. Nicolas chiede:

- Siete il nipote del mercante Giovanni, vero?

- Sì. E voi?

- Sono una delle guardie del duca. Oggi sono in libertà.

Nicolas preferisce non mentire, perché qualcuno potrebbe riconoscerlo. Si limita a non specificare che è il capo della guardia personale di Denis di Rougegarde.

Scambiano ancora qualche banalità. Poi Nicolas dice:

- Se avete tempo, sedetevi un attimo.

Riccardo sembra esitare, ma Nicolas sospetta che sia solo una finta.

- Se tardo, mio zio si arrabbia.

- È molto severo con voi?

Riccardo si siede. Evidentemente non lo preoccupa molto che lo zio si arrabbi.

- No, ma ogni tanto ne combino qualcuna e allora… In questi giorni ce l’ha con me.

Nicolas sorride.

- Che cosa avete combinato, per farlo arrabbiare? Avete sbagliato i conti?

- No, non sono questioni di lavoro. Altre faccende…

Nicolas non insiste. Avrà modo di scoprire il motivo più tardi, se vorrà. Adesso non gli sembra opportuno indagare oltre.

- Ho visto che qui alla locanda vive mastro Emich. Ho sentito parlare di lui. Dicono che sia un uomo molto saggio.

- Sì, è un piacere sentirlo parlare.

Nicolas saggia un po’ il terreno, ma Riccardo non rivela nulla di preoccupante: se qualche cosa c’è, il ragazzo non è tanto ingenuo da andare a raccontarlo al primo venuto e questo è un bene.

Nicolas decide di raccogliere qualche informazione anche per quanto riguarda Roussel. A un certo punto dice, come se fosse un’affermazione casuale:

- Qui lavorava un certo Roussel.

Riccardo è chiaramente in imbarazzo.

- Sì, lo zio lo ha licenziato.

- Non mi stupisce. Un tipo poco affidabile. Bell’uomo, però…

Riccardo sembra ancora più a disagio. Ora Nicolas è sicuro che abbia scopato con Roussel.

- Mi scuso, ma adesso devo proprio andare. Lo zio mi pela vivo se tardo ancora.

 

Nicolas passa il pomeriggio alla taverna. Chiacchiera con gli avventori abituali, molti dei quali sono ben felici di parlare e raccontare i fatti propri e quelli altrui. Pone domande con circospezione, ma non trova nulla che gli appaia preoccupante.

Dopo essersi fermato anche a cena, Nicolas ritiene di essersi fatto un quadro completo della situazione. A Riccardo piacciono gli uomini e alcuni dei frequentatori della taverna sembrano sospettarlo, ma nessuno sa nulla di preciso; deve aver scopato con Roussel e potrebbe essere per quello che lo zio ha licenziato il servitore. Emich non predica e di solito consuma i pasti con il mercante e il nipote. Talvolta una delle locandiere si unisce a loro, se non c’è troppa gente da servire. Ma, stando a quanto dicono gli avventori, nessuna delle due sembra praticare la prostituzione.

Le affermazioni di Roussel hanno poco fondamento.

 

*

 

- Mastro Giovanni, oggi nella locanda è arrivato Tristan.

Giovanni guarda Mariette senza capire. Non sa chi sia questo Tristan, perché sia venuto alla locanda e perché Mariette gliene parli. Non dice nulla, limitandosi a guardare la donna con un’espressione interrogativa. Mariette prosegue:

- Tristan lavorava alla locanda di Sant’Andrea, a Santa Maria in Aqsa.

- Ah, sì! Adesso ricordo.

In effetti alla locanda c’era un uomo di fatica che si chiamava Tristan.

- Tristan è venuto via da Santa Maria, non sopportava più i templari. Cerca lavoro qui a Rougegarde. Io lo conosco. Si dà da fare e ha esperienza. Parla poco e sa stare al suo posto. Vorremmo assumerlo al posto di Roussel, sarebbe l’uomo giusto.

Giovanni sa benissimo che un uomo di fatica è indispensabile. Pensando a Riccardo, vorrebbe che questo Tristan fosse brutto come la morte e possibilmente senza cazzo, ma non dev’essere così. Giovanni non ha un nome da proporre e l’esperienza con Roussel, assunto in base ai consigli ricevuti, è stata più che sufficiente.

- Va bene, Mariette. Se ritieni che di lui ci si possa fidare, non ho obiezioni.

Giovanni si dice che avviserà Riccardo. E dopo l’ultima lezione, probabilmente Riccardo eviterà questo Tristan.

 

*

 

Nicolas ha finito di esporre al duca la situazione. Denis d’Aguilard chiede alcuni chiarimenti, poi riflette un buon momento.

- Direi che bisogna passare all’azione. L’obiettivo del vescovo è poter ficcare il naso nella vita dei cittadini e affermare il potere della Chiesa. Il mio obiettivo è di impedirgli entrambe le cose.

Nicolas sorride, senza dire nulla. Il duca prosegue:

- In primo luogo sarà bene far scomparire questo Roussel.

- Devo farlo eliminare?

Il duca solitamente non ordina di far assassinare qualcuno. Ma se il duca lo ritiene necessario, Nicolas è pronto a eseguire i suoi ordini.

- No, non questo. In base a quello che tu mi dici, è molto probabile che abbia davvero scopato con il giovane Riccardo. Basterà fargli credere che sia stato scoperto e che adesso anche lui rischi di finire al rogo. Un amico può consigliargli di cambiare aria e di andarsene a Gerusalemme o a Cesarea.

- Un amico? Non ne ha mai avuti molti, ha un pessimo carattere.

- Qualcuno che ha combattuto con lui. Direi Pierre, è perfetto per questo ruolo.

Pierre è uno degli uomini di fiducia di Denis d’Aguilard, a cui vengono affidati compiti che Nicolas non potrebbe svolgere con la stessa libertà, poiché è conosciuto come capo della guardia personale del duca.

- Gliene parlerò io.

- Questo è importante. Scomparso il testimone, il vescovo perde la sua carta migliore, per non dire l’unica.

- Certo.

- In secondo luogo credo sia opportuno tenere d’occhio Emich di Freiburg. È una brava persona, mi piace molto, ma può mettere in pericolo se stesso e gli altri. Direi che Morqos potrebbe trasferirsi nella locanda. Vivendo là per un certo periodo, potrà capire che cosa succede effettivamente e se è il caso intervenire.

Morqos è un arabo cristiano: la sua famiglia viveva ad al-Hamra prima che la città venisse conquistata da Denis d’Aguilard e diventasse Rougegarde. Quando il duca si è impadronito della città, Morqos era in carcere, in attesa di essere lapidato per adulterio. Ma il duca lo ha liberato e poi lo ha preso al suo servizio come informatore, soprattutto per tenere sotto controllo gli umori della popolazione araba. Morqos si è rivelato un uomo intelligente e coraggioso e Denis d’Aguilard gli ha affidato alcuni affari delicati, mandandolo anche a Damasco due volte: l’arabo è la lingua madre di Morqos, che perciò non desta sospetti tra i saraceni. Morqos non alloggia a palazzo: nessuno deve sapere che lavora per il duca. Quando non è in missione, vive in qualche locanda, dove ascolta ciò che si dice, per riferire poi al duca tutto ciò che può interessarlo.

Denis aggiunge, sorridendo:

- Spero che non gli dispiaccia cambiare alloggio.

- Non credo.

E anche se dovesse dispiacergli, Nicolas sa benissimo che Morqos lo farà.

 

*

 

Pierre non ci mette molto a scoprire dove si trova Roussel, che il vescovo ha fatto alloggiare vicino a una delle chiese della città. Pierre preferisce non andare a cercarlo nell’abitazione: vuole che il loro incontro appaia casuale. Hanno combattuto insieme agli ordini di Denis d’Aguilard, ma non sono mai stati amici.

Di sicuro Roussel la sera esce e va all’osteria: Pierre farà in modo di trovarsi nella taverna frequentata da Roussel. Manda un uomo del duca a girare nella zona, per scoprire dove va Roussel a bere. Se qualcuno avviserà Roussel che lo hanno cercato, tanto meglio: favorirà i piani di Pierre.

Dopo aver scoperto in quale osteria Roussel trascorre le serate, Pierre ci va un’oretta prima. Quando Roussel entra, lo trova seduto a un tavolo. Pierre si finge stupito.

- Roussel?

- Pierre! Come stai?

Pierre sorride.

- Io bene, grazie.

Poi si guarda intorno e aggiunge, sottovoce:

- Ma sei pazzo ad andare in giro così?

Roussel lo guarda, perplesso. Si siede davanti a Pierre e chiede:

- Come, che intendi dire? 

- Ma cazzo, Roussel, non sai che le guardie del duca ti cercano? 

- Me? E perché mai?

Pierre controlla di nuovo che nessuno li stia ascoltando, poi prosegue, sempre a bassa voce:

- Cazzo, Roussel! Per il cosiddetto peccato di Sodoma a Santa Maria hanno fatto un bel rogo.

Roussel sobbalza.

- Sodoma?! Che cazzo dici?

Roussel è chiaramente spaventato. Pierre spiega:

- Il ragazzo ha confessato. Lui è giovane ed è ricco. Lo zio pagherà fior di denari per mettere a tacere la faccenda. Il duca e il vescovo se li spartiranno. Ma non credo che tu possegga case e botteghe da vendere per pagare. Il vescovo vuole un bel rogo per dimostrare che anche a Rougegarde la Chiesa è vigile e potente. E il duca il rogo glielo lascia fare, per accontentarlo. Tanto a lui che gliene fotte se ti bruciano? Non sei nemmeno più al suo servizio.

Roussel sembra respirare a fatica. Si passa una mano sulla fronte.

- Ma… non è possibile… sto da un prete, è stato il vescovo a mandarmi da lui.

- Il vescovo?

Pierre si finge sbalordito. Roussel cerca di spiegare, ma è evidente che non sa come farlo senza scoprirsi troppo.

- Sì, per una faccenda, cose che sono successe alla locanda della Luna piena. Non il ragazzo, altra roba. Voleva che rimanessi a sua disposizione.

Pierre finge di aver capito di colpo:

- Ma certo, ti ha sistemato da un prete per essere sicuro che tu non sapessi niente dell’indagine. Se fossi rimasto in giro, avresti sentito le voci sull’interrogatorio del ragazzo. Non so quanto sia trapelato in città, ma nel palazzo ducale non si parla d’altro. Pare che abbia confessato subito… Sai com’è, è giovane, quando ha visto gli strumenti di tortura dev’essersi cagato addosso.

Pierre ride, poi, dopo un momento di pausa, assesta la stoccata finale:

- Ormai l’affare è chiaro. Quelli fanno finta di cercarti, ma sanno già dove beccarti.

- Cazzo! E adesso?

- Adesso che cosa, Roussel? Lascia la città domani mattina, senza dire niente a nessuno e soprattutto non al prete che ti ospita. Non ti andranno a cercare in qualche altra città del regno. Evita solo il territorio di competenza del vescovo. A San Giacomo d’Afrin rischieresti la pelle. Ma, mi raccomando, se ti beccano, non dire che io ti ho avvisato: il duca mi licenzia a calci in culo, sempre che non mi metta in carcere.

Roussel annuisce. All’oste che si avvicina, chiede:

- È mica venuto qualcuno a cercare di me?

- Ah, sì. Non ci pensavo più. Uno che ti cercava. Gli ho detto che venivi qui la sera.

Roussel annuisce. È pallido come un cencio.

Pierre gli dice sottovoce:

- Mi sa che tra poco arriveranno qui le guardie del duca e se ti beccano tu sei fottuto.

Roussel gli risponde:

- È meglio che me ne vada subito. Ma tu, Pierre, non mi tradire.

- Stai tranquillo: anche se lavoro per il duca, non amo vedere gli amici finire arrosto per aver infilato il cazzo nel buco sbagliato. Ma tu fai bene ad andartene. Potrebbero arrivare da un momento all’altro e io non posso certo fermarli. Dal prete non andranno subito, anche se lo sanno che stai là. Preferiscono arrestarti per strada, la Chiesa non deve essere coinvolta. Cerca di andartene domani mattina presto. E mi raccomando, non dire a nessuno che ti ho avvisato io.

Roussel fa un cenno di assenso con il capo ed esce.

Pierre si dice che il primo compito è stato svolto senza problemi: domani verificherà, ma è sicuro che in mattinata Roussel svanirà nel nulla.

 

*

 

Nicolas manda un uomo a chiamare Morqos: non vuole andare di persona, perché qualcuno potrebbe riconoscerlo come il capo della guardia personale del duca e nessuno deve sospettare che Morqos lavora per Denis di Rougegarde.

Si trovano in un appartamento che viene spesso usato dagli uomini del duca per incontri segreti. Nicolas arriva prima, entra dall’ingresso sulla strada e apre la porta che dal giardino dà su una via laterale. Morqos arriva poco dopo ed entra dal giardino.

- Sono contento di vederti, Nicolas.

- Anch’io, Morqos. Stai bene?

- Sì. E tu?

- Benissimo. Ti ho fatto chiamare perché ho un incarico per te da parte del duca.

- Dimmi tutto.

Nicolas spiega la situazione e il compito di Morqos.

- Alla locanda della Luna piena, quindi. Mi sembra un’ottima cosa. Pare che ci si stia d’incanto. E le due locandiere sono gran belle donne. Se poi anche il ragazzo è disponibile, che cosa pretendere di più?

Morqos e Nicolas ridono. Si conoscono da tempo e sono affezionati l’uno all’altro. Nessuno fa mistero con l’altro dei propri gusti, anche se Nicolas non ha mai raccontato a Morqos che scopa con il duca: di questo non ha mai parlato con nessuno.

- Bada a non cacciarti nei guai anche tu.

- Sarò prudente. In ogni caso il cambio di sistemazione mi va proprio bene. La locanda dell’Ulivo è un cesso.

- Te la sei scelta tu.

- Certo, era il posto adatto per vedere che cosa si combina da quelle parti.

In questi due anni Morqos ha soggiornato in diverse locande della città, in base agli incarichi che gli venivano affidati e all’esigenza di conoscere la realtà dei diversi quartieri di Rougegarde.

 

Morqos accoglie con piacere l’incarico che gli viene assegnato: è uomo d’azione ed è contento di avere un compito preciso da svolgere. 

Bighellonare per le taverne e ascoltare quel che si dice è divertente e a Morqos non spiace potersi muovere in libertà: non ama gli orari fissi e gli obblighi quotidiani. E poi girando senza limiti, può cogliere le occasioni che si presentano. Morqos è alto e robusto e ha un viso non bello, ma molto virile, che attira le donne. E non solo le donne.

Ma dopo un po’ che gira a vuoto, Morqos si annoia: se non fiuta una buona pista, finisce per diventare irrequieto. Allora preferisce avere un incarico.

Non ha nessun motivo per non stabilirsi nella locanda della Luna piena. Prende il suo bagaglio e si congeda.

La locanda è un bel posto, pulito: decisamente niente a che vedere con quel cesso in cui ha trascorso gli ultimi mesi. Ad accoglierlo è una bella donna bruna, che a Morqos piace subito. E Morqos ha l’impressione di piacerle. Morqos non è vanesio, ma è consapevole di essere un uomo attraente. E sa giocare sul suo fascino virile per ottenere ciò che vuole.

 

*

 

Riccardo si è ripromesso di non cascarci più: intende tenersi alla larga dai templari, dai dipendenti della bottega e della locanda e da tutti coloro che potrebbero creare problemi. Ma Riccardo ha diciott’anni, scoperebbe ogni giorno e invece riesce a farlo in modo molto irregolare. Adesso che Morqos alloggia alla locanda, Riccardo ha modo di vederlo quasi tutti i giorni. Quest’uomo alto e forte gli piace, ma non è strano: come ha detto una volta lo zio, a Riccardo gli uomini piacciono quasi tutti. Se poi sono anche virili e attraenti, per Riccardo diventa alquanto difficile controllarsi.

Anche Tristan, il nuovo uomo di fatica della locanda, gli piace parecchio. Anche lui è alto e forte. Ma l’esperienza con Roussel è stata più che sufficiente e Riccardo gira alla larga. D’altronde questo Tristan sta per conto proprio e parla pochissimo. 

Ma Morqos è un cliente, non un dipendente. Riccardo preferisce essere prudente, però fa in modo di avvicinarlo e di scambiare due parole con lui, tanto per saggiare il terreno.

Morqos si rivela molto disponibile a chiacchierare. Nei momenti in cui Riccardo è libero, conversano a lungo. Riccardo non si rende conto che Morqos lo fa parlare e di sé racconta pochissimo. Ma Morqos gli piace e sembra ascoltarlo volentieri, perciò Riccardo parla molto con lui.

Un giorno Riccardo accenna anche a una punizione ricevuta dallo zio.

- E come mai?

- Qualche guaio che ho combinato.

- Questione di gonnelle, eh? O di pantaloni?

Morqos ride. È evidente che non dà nessun peso alla faccenda e che per lui correre dietro alle gonnelle o ai pantaloni non fa grande differenza. La cosa promette bene. Riccardo non sospetta che Morqos sia perfettamente informato e che si sia scoperto solo perché sta cercando di ottenere la sua fiducia.

Riccardo annuisce, senza specificare. Morqos prosegue:

- Cose che succedono. Io ho rischiato di venire lapidato.

Riccardo è stupefatto: sa che in territorio saraceno la lapidazione è una pena praticata, ma non ha mai parlato con qualcuno che ha rischiato di essere ucciso in questo modo.

- Cosa?

- Quando il duca ha conquistato la città, ero in carcere con l’accusa di adulterio: avevo una relazione con una donna sposata, una musulmana. Mio fratello Istfan aveva ottenuto un rinvio dell’esecuzione, ma non poteva tirarmi fuori, anche se ci provava in tutti i modi. Ormai ero fottuto: mi avrebbero lapidato due giorni dopo, insieme alla donna. Per fortuna al-Hamra ha cambiato padrone, a Rougegarde non è più possibile lapidare gli adulteri e il duca mi ha rimesso in libertà. Adesso si vive più liberamente. E posso divertirmi senza troppe preoccupazioni. Si vive una volta sola, no?

Morqos ride. Ha una bella risata, vitale, che rende simpatico quel viso un po’ truce.

Riccardo si fermerebbe ancora volentieri. Purtroppo però è ora di andare, lo zio lo aspetta e in questo periodo non è proprio il caso di farlo arrabbiare. Ma non mancheranno altre occasioni di fare conoscenza con questo bel maschio. Magari una conoscenza ravvicinata.

 

*

 

- C’è un messaggio del duca per Voi, eminenza.

Bohémond di Tours apre la lettera che il servitore gli porge. Il duca gli comunica che ha svolto un’indagine nella casa del mercante Giovanni Micheles e che non è emerso niente di significativo. Poiché però la richiesta è partita dal vescovo in persona, non vuole trascurare nulla, per cui intende interrogare il servitore della locanda che ha formulato le accuse.

Il vescovo ha uno scatto d’ira. Roussel è scomparso nel nulla. Un mattino se n’è andato dalla canonica dove era ospitato, senza avvisare. In un primo momento Bohémond ha pensato che potesse essere stato assassinato, magari per ordine del duca stesso, ma Roussel ha portato via con sé le sue poche cose e sottratto al prete anche un po’ di denaro della Chiesa.

Il vescovo si chiede se presentarsi al duca per spiegare la faccenda o se limitarsi a scrivere una lettera. Non ha voglia di sostenere un colloquio in cui si troverebbe in una posizione svantaggiosa. Detta al suo segretario due righe, in cui riferisce brevemente l’accaduto. Non fa riferimento al furto avvenuto nella canonica: un ulteriore indebolimento del valore della testimonianza di Roussel.

La faccenda per il momento è chiusa ed è più saggio far finta di non volersene più occupare. Ma Bohémond non intende demordere: Emich da Freiburg è un eretico e prima o poi riuscirà a inchiodarlo. Gli abitanti di Rougegarde hanno preso una pessima strada e sono convinti che tutto gli sia permesso: il lassismo del duca li incoraggia a perseverare nel vizio. Serve un esempio e il vescovo farà in modo di darlo.

 

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Mariette e Louison non sembrano insensibili al fascino di Morqos. E a Morqos le due donne piacciono molto. Anche Riccardo gli piace: Morqos ha provato di tutto nella sua vita e niente di ciò che ha provato non gli è piaciuto.

Louison è incinta e Morqos evita di starle troppo dietro. Ma a Mariette fa una corte discreta e la locandiera non finge di essere indifferente, anche se non gli permette di spingersi oltre un certo limite. Quando Morqos diviene insistente, Mariette lo blocca: forse non vuole sembrare troppo disponibile, forse ama lasciarsi corteggiare, ma non intende lasciare che lui si avvicini più di tanto. Morqos non se ne preoccupa: è convinto di arrivare a ottenere ciò che vuole, prima o poi. In attesa c’è sempre il ragazzo. E con lui non ci sarà da aspettare a lungo, questo è evidente. Adesso sono un po’ di giorni che Morqos non scopa e il desiderio incalza. In fondo Morqos ha il compito di capire come vanno le cose nella locanda e quale miglior sistema che andare a letto con chi ci vive?

 

È sera e sono tutti sulla terrazza comune, a godersi la frescura. Riccardo rimane in disparte e fissa Morqos.

Morqos se n’è accorto, ma fa finta di non averlo notato. Poi si gira come casualmente e i suoi occhi incrociano quelli del giovane. Morqos sa che cosa significa quello sguardo. Aspettando che Mariette si decida, Riccardo va benissimo. Riccardo andrà benissimo anche dopo che Mariette avrà ceduto, se lo farà: è un gran bel ragazzo e perché mai negarsi un piacere?

Morqos sorride a Riccardo. Un sorriso ampio, che è chiaramente un invito. Riccardo si avvicina.

Chiacchierano un po’, poi Morqos dice:

- Che ne diresti di venire in camera mia tra un’oretta? Potremmo… parlare tranquillamente.

Riccardo sorride.

- Molto volentieri.

 

*

 

Quando Riccardo si dirige verso la porta che dà sulla scala interna della casa, Giovanni gli dice:

- Morqos, vero?

Riccardo si ferma. Guarda lo zio, un po’ preoccupato, e dice:

- Non lavora per la locanda.

- No.

Lo zio non dice altro. È Riccardo a chiedere:

- Ma come hai fatto a capirlo?

- Riccardo, la tua faccia è un libro aperto. Finché lo leggo io, non è un problema. I guai incominciano quando lo legge la persona sbagliata.

Riccardo annuisce.

- Io…

Non sa bene che dire. Giovanni conclude:

- Tu devi imparare a non far vedere tanto che ti piacciono i maschi. Almeno questo, visto che chiederti di controllarti è fiato sprecato. Ma se non altro non darlo tanto a vedere. E detto questo, buona serata.

- Anche a te, zio.

Quando Riccardo è uscito, Giovanni scuote la testa. È affezionato al nipote, per lui è davvero come un figlio. E spesso si chiede che ne sarà di lui.

Giovanni sperava che Riccardo trovasse qualcuno con cui creare un rapporto stabile, che avrebbe ridotto i rischi. Ma da quando si sono trasferiti a Rougegarde, ormai sono cinque mesi, Riccardo ha avuto solo rapporti occasionali, con Roussel e con qualcun altro, oltre a quelli che ha avuto con lo zio.

 

*

 

Riccardo sale le scale e passa nella locanda. Bussa alla porta di Morqos, che apre subito. C’è una lucerna sul tavolo, ma la stanza è immersa quasi completamente nel buio. Morqos sorride, senza dire niente. Chiude la porta, la blocca, poi si volta verso Riccardo, lo stringe e lo bacia sulla bocca. Riccardo ricambia il bacio e lascia che la lingua di Morqos si infili nella sua bocca.

Dopo un po’ che le loro lingue hanno giocato, Morqos si stacca, sorride a Riccardo e gli dice:

- Sei un bel ragazzo, Riccardo.

Riccardo non è abituato a ricevere complimenti. Anche lui sorride e china la testa, poi la rialza e dice:

- Mi piaci molto, Morqos.

Morqos lo bacia di nuovo, poi incomincia a spogliarlo. Lo fa con lentezza, con movimenti che sono carezze e abbracci. È bello sentire le mani forti di Morqos che scivolano sulla pelle, passando sul petto e sulla schiena, mentre sollevano la camicia. E quando la camicia gli copre il viso, Riccardo sente un leggero morso di Morqos prima al capezzolo destro, poi a quello sinistro. Gli sfugge un gemito. Morqos gli lascia la camicia sul viso e intanto accarezza ancora, poi cala i pantaloni di Riccardo, che adesso avverte i denti di Morqos su una natica, poi sull’altra. E adesso è la lingua a scorrere lungo il solco, strappandogli un gemito. È bravo, Morqos, ci sa fare, più degli uomini con cui Riccardo ha avuto a che fare fino a ora. Forse solo lo zio è altrettanto bravo.

A Riccardo piace rimanere così, con la camicia sul capo che gli impedisce di vedere, e sentire la lingua, i denti, le mani di Morqos che percorrono il suo corpo, ora con delicatezza, ora con forza. Morqos attizza il suo desiderio.

E dopo un lungo momento di questa splendida tortura Morqos finisce di sfilargli la camicia e Riccardo può nuovamente vederlo.

- Spogliami, Riccardo.

Riccardo sorride e incomincia a togliere gli indumenti di Morqos. Quando ha finito, ne guarda ammaliato il corpo, forte e virile. Riccardo fissa il cazzo, che già si tende. Riccardo si sente la gola secca. Si inginocchia, avvicina il viso al cazzo di Morqos e poi lo prende in bocca. Ne sente il sapore, il calore, la consistenza che rapidamente aumenta, mentre il sangue affluisce. Ora l’arma è rigida nella sua bocca e Riccardo si dà da fare a succhiare e leccare, mentre Morqos si china su di lui e le sue dita scorrono sulla sua schiena fino al culo, dove il medio si infila lentamente, strappando un gemito a Riccardo.

Riccardo lascia la presa. Gli sembra che la testa gli giri. Guarda il cazzo di Morqos, grande e teso, la cappella umida della saliva che Riccardo ha profuso.

Riccardo lascia che Morqos lo metta a pancia in giù e si stenda su di lui. Sente due dita di Morqos inumidire bene l’apertura e poi, con lentezza, il cazzo di Morqos farsi strada dentro il suo culo, avanzando inesorabile, fino in fondo.

Riccardo geme. Morqos ci sa fare, cazzo!

Morqos si muove con cautela, ma le sue mani percorrono il corpo di Riccardo, stringendo, pizzicando, accarezzando. A Riccardo pare di sprofondare in un abisso di piacere. Questo maschio è bravissimo, come lo zio e forse anche di più. Ed è meraviglioso sentirlo dentro di sé, lasciarsi accarezzare e abbracciare.

La cavalcata è lenta e il piacere cresce, fino a esplodere. Riccardo geme senza ritegno, mentre il suo seme si sparge. Morqos prosegue ancora e infine Riccardo sente dentro di sé lo sborro di Morqos riempirgli le viscere.

 

*

 

Riccardo scende rapidamente le scale e scompare oltre la porta che conduce all’appartamento che divide con lo zio. Morqos sale sulla terrazza. Rimane un po’ a guardare la notte stellata, poi scende. Sta per raggiungere la sua camera, quando la porta di quella di Emich si apre e ne esce Mariette.

Morqos è discreto e farebbe finta di non vederla, ma non è possibile: sono troppo vicini.

Sorride e dice:

- Buona sera, Mariette.

- Buona sera, mastro Morqos.

La luce della candela illumina il viso della donna. C’è un sorriso particolare, che Morqos non le ha mai visto prima.

Morqos si chiede che cosa facesse Mariette da Emich. Scopare no, Emich non ha le palle. Ma il sorriso di Mariette… Morqos conosce quel tipo di sorriso, come sa leggere lo sguardo di Riccardo. È un uomo intelligente e attento e ha sufficiente esperienza per interpretare correttamente ciò che vede.

 

Morqos ha fatto subito conoscenza con Emich: è il motivo principale per cui il duca lo ha mandato alla locanda. Ma fino a ora ha evitato di mostrarsi interessato a lui. Non c’è nessuna fretta. Morqos si dice che è ora di conoscerlo un po’ meglio. Di sicuro Emich non gli racconterà nulla di Mariette. Non è il tipo che si vanta ed è troppo rispettoso degli altri: questo Morqos l’ha capito in fretta.

Domani incomincerà a sondare il terreno.

 

*

 

Morqos non impiega molto tempo a fare amicizia con Emich. Sono molto diversi per carattere e vicende, ma li accomunano una grande esperienza della vita e un’apertura mentale non comune. Entrambi hanno viaggiato, hanno conosciuto realtà diverse e sono entrati in contatto con tante persone.

Un giorno Emich mangia da solo: Giovanni e Riccardo non ci sono; Louison è in camera, perché ormai è all’ottavo mese e si stanca facilmente; Mariette serve ai tavoli.

Morqos entra, si avvicina al suo tavolo e gli chiede:

- Posso sedermi, Emich?

- Certo, volentieri. Mi tieni compagnia. Ormai non sono più abituato a mangiare da solo.

- Io ho mangiato molto spesso da solo, qui a Rougegarde o in giro per il mondo.

- Tu hai viaggiato molto, Morqos, vero?

- Sì, sono stato fino a Bagdad e in Egitto. Sono sempre stato un irrequieto, non sono mai riuscito a mettere radici da nessuna parte.

- Però sei originario di Rougegarde.

- Sì, i miei genitori abitano in un villaggio qui vicino, Rashayya. In realtà solo mio padre è davvero mio padre. Mia madre è morta poco dopo la mia nascita, io non l’ho mai conosciuta. Mio padre si è risposato con una vedova e per me lei è stata mia madre. Loro stanno ancora nel paese e qui in città c’è mio fratello, Istfan, il figlio della donna che mi ha allevato. Non abbiamo legami di sangue, ma ci consideriamo fratelli.

Emich chiede e Morqos racconta. Si trova bene con quest’uomo, a cui sente di poter parlare liberamente e che ha tante cose da dire.

 

Adesso certe volte di giorno Morqos sale nella camera di Emich e parlano. Morqos gli chiede spesso la sua opinione su tanti argomenti diversi. Fa parte del compito che il duca gli ha assegnato, ma non è solo quello a spingere Morqos a chiedere. Gli piace sentire ragionare Emich, gli piace il suo messaggio d’amore, perché lo sente sincero: non sono le parole vuote di tanti sacerdoti.

Morqos sa che i saraceni hanno evirato Emich, per cui è cauto nel chiedergli notizie sul periodo trascorso in schiavitù e in generale sul passato più lontano. Ma quest’uomo lo incuriosisce.

- Tu quando sei venuto in Siria?

- Io arrivai con la spedizione di Corrado III, dopo la caduta di Edessa. Ma fui catturato dai saraceni quando attaccammo Damasco. Rimasi loro prigioniero per otto anni. Furono loro a evirarmi.

Morqos non ha mai fatto cenno a quanto sapeva di Emich, ma ora che è lui a parlarne, si sente libero di dire:

- Dev’essere stato terribile. Il dolore, l’umiliazione, la disperazione.

Emich annuisce.

- Sì, ma… non so come dirtelo, Morqos. Ad altri non lo direi, non potrebbero capire. Credo che abbia fatto di me un uomo migliore.

Morqos non nasconde la sua perplessità.

- Forse perché tu sei diverso dagli altri. Io non credo proprio che diventerei un uomo migliore. Per me sarebbe atroce.

Morqos sa che non riuscirebbe ad accettare una simile mutilazione: gli piace troppo scopare.

- Lo fu anche per me. Per chi non lo sarebbe? Ma quella mutilazione e il periodo in schiavitù cambiarono la mia vita. Non ero diverso dagli altri. Ero un soldato come tanti, uno che amava l’avventura e non si poneva troppi problemi. Ciò che mi è successo mi ha aiutato a vedere il mondo con occhi diversi. A lasciare l’odio come una zavorra e capire davvero il messaggio di Gesù. Ama il prossimo tuo come te stesso.

- Ti ammiro. Io credo che avrei odiato i saraceni e avrei desiderato di vendicarmi.

- Vendicarmi di loro, come loro si vendicavano dei cristiani che avevano fatto cose orribili, magari per vendetta per ciò che i saraceni avevano fatto prima, in una catena senza fine. L’odio genera altro odio.

Morqos annuisce. Sa che Emich ha ragione, ma è turbato dalle sue parole.

- Quello che dici è vero, Emich. Io… non so che cosa farei. L’idea mi sgomenta.

Emich sorride.

- Tu ami i piaceri della carne, Morqos, ti piace scopare.

Morqos sorride. La franchezza di Emich lo sorprende.

- Credo che piaccia a tutti, no? Tu…

Morqos si ferma. Si sta mostrando poco delicato.

Emich risponde alla domanda rimasta in sospeso:

- No, io non posso più scopare. Posso accarezzare, stringere, abbracciare.

- Non provi più desiderio?

- Desiderio sì, anche se in modo diverso. Desidero ancora il contatto dei corpi, il senso di benessere che dà stringere qualcuno a cui voglio bene.

- Ma come puoi realizzarlo? Voglio dire… scusa, Emich, sono sfacciato.

Emich scuote la testa.

- No, Morqos, va bene così. Mi fa piacere poterne parlare con qualcuno che capisce. A me piace accarezzare una donna, stringerla. È un piacere immenso.

Morqos pensa a Mariette. Ora è sicuro che l’impressione che ha avuto l’altra sera corrisponda a verità. Emich prosegue il suo discorso:

- Mi piace anche quando un uomo forte mi prende.

Morqos guarda Emich, un po’ stupito dalla sua franchezza. Risponde con altrettanta franchezza:

- Tu mi piaci molto, Emich.

Emich sorride:

- Anche tu mi piaci molto, Morqos. Mi piace la tua vitalità, mi piace anche la tua irrequietezza. Sei uno spirito inquieto, che cerca qualche cosa, ma non sa che cosa.

Morqos guarda Emich. È disorientato.

- Tu sai che cosa cerco?

- Come potrei saperlo?

- A volte ho l’impressione che tu sappia leggere dentro le persone.

Emich scuote la testa.

- No. Sono diventato più attento agli altri di quanto non fossi un tempo. Ho imparato ad ascoltare, invece di parlare sempre io. Ma non sono in grado di leggere dentro gli altri.

C’è un momento di silenzio. Poi Morqos dice:

- Emich, mi piacerebbe prenderti.

- A me piacerebbe che tu mi prendessi, Morqos.

Morqos si alza e si avvicina a Emich. Anche Emich si alza. Si baciano, le loro labbra si sfiorano appena, ma poi si uniscono, la lingua di Morqos si spinge nella bocca di Emich.

Le mani di Morqos spogliano Emich, poi ne accarezzano il corpo nudo, che sta destando in lui tenerezza e desiderio.

Emich spoglia Morqos, poi si baciano ancora e infine Morqos guida Emich a stendersi sul letto. Morqos inumidisce due dita e prepara l’ingresso con molta delicatezza, poi spinge le dita a fondo e le toglie. Si inumidisce la cappella e piano la fa penetrare. Emich emette un sospiro, forse un gemito.

- Ti faccio male?

- Un po’, Morqos. Da molto tempo nessun uomo mi ha più preso. Ma è bello. Grazie Morqos.

Morqos bacia Emich sulla nuca, poi, mentre spinge ancora in avanti il cazzo, sussurra:

- Grazie a te, Emich. 

A Morqos piace questo corpo che stringe. Gli piace baciarlo, abbracciarlo, stringerlo, penetrarlo. Gli piace sentirsi vicino a Emich, sentire che per un momento i loro corpi diventano tutt’uno.

Morqos accarezza Emich e intanto prende a spingere.

Morqos procede a lungo, mentre Emich geme di piacere. E infine Morqos spande il suo seme nel culo di Emich. Morqos stringe il corpo che gli si è offerto. È bello rimanere così, in un’intimità completa dei corpi e delle anime.

 

Morqos esce da Emich e si distende al suo fianco.

Scuote la testa. Emich lo guarda, sorridendo.

- Che cos’è che ti lascia perplesso, Morqos?

Morqos fissa Emich. Di nuovo muove il capo in un cenno di diniego.

- Non lo so. Non pensavo che… Mi sei piaciuto molto, ma non credevo che avremmo scopato. Non mi rendevo conto di desiderarti, l’ho capito solo oggi. È stato bello. E per te?

- Anche per me, molto. È stato bello sentire il tuo seme rovesciarsi dentro di me. È stato bello stare tra le tue braccia.

- Mi è sembrato… non so come dire… ti sento più vicino, ora.

- Sì, abbracciarsi, amarsi, è un modo per essere vicini.

- Ma a sentire i preti, quello che abbiamo fatto è peccato, bruceremo tutti e due nell’inferno.

- Amare può essere peccato? Nessuno dei due ha forzato l’altro, abbiamo scelto liberamente. A chi abbiamo fatto del male?

- A nessuno. E io sono contento di quello che abbiamo fatto. Anche se è peccato. Scopare è sempre peccato. Dovrei trovare una brava moglie e scopare sempre solo con lei. Dimenticare che esistono altre donne e uomini… E invece scopo con te, con…

Morqos si ferma. Emich completa la frase, sorridendo:

- …con Riccardo.

- Te ne sei accorto?

Emich sorride.

- Riccardo è giovane, non ha imparato a dissimulare ciò che prova. Gli si legge in faccia quando è attratto da un uomo. Quando ti guarda, è evidente che pensa alla prossima volta che scoperete insieme.

- Riccardo mi piace molto. È sempre pronto… Anche lui un peccatore… Ma che senso ha?

- Nessuno, Morqos. In tutto questo non c’è inganno, menzogna, promessa violata. C’è solo gioia e piacere per tutti. E allora non c’è male.

 

*

 

Tristan è contento di aver trovato lavoro nella locanda della Luna piena, che è un bel posto, pulito. C’è parecchio da fare, perché ci sono diversi clienti e di giorno la taverna è sempre piena, ma il lavoro non spaventa Tristan.

A Santa Maria in Aqsa, Tristan non reggeva più: il ricordo di Gerbert lo tormentava. Ha deciso di venir via, come hanno fatto anche altri. A Rougegarde incomincerà una nuova vita, cercando di lasciarsi alle spalle la sofferenza. 

Tristan è un buon osservatore e scopre in fretta che tra le locandiere, alcuni ospiti della locanda, il proprietario e il nipote, esiste una rete di relazioni complessa. Non cerca di saperne di più, non ne parla con nessuno. D’altronde non ha amici: la sua riservatezza non incoraggia le confidenze. Continua a svolgere seriamente i suoi compiti.

 

*

 

Mariette accarezza il capo di Emich. Le piace passargli la mano tra i capelli.

- Questa sera mi sembrate irrequieta, Mariette.

Mariette non risponde subito. Non pensava che Emich se ne sarebbe accorto, ma è vero. Dopo un momento dice:

- Non vi sfugge niente, mastro Emich.

- Non mi sfugge niente di voi, perché vi voglio bene e vi guardo con occhi attenti.

Mariette sa che è vero.

- Anch’io vi voglio bene, mastro Emich. Sto bene con voi, come di rado mi è capitato nella vita.

- Ma questa sera un pensiero vi disturba. Non vi chiedo niente, Mariette, se non avete piacere di dirmelo. Non siete certo tenuta a rivelarmi ciò che vi porta lontano.

Mariette tace, mentre le sue dita percorrono il viso di Emich. Poi parla:

- Voi sapete che un tempo mi prostituivo. Da quando sono a Rougegarde, non ho più avuto rapporti. Gli uomini mi interessano poco: sono meschini, egoisti, brutali. Voi siete diverso…

Mariette si interrompe. Emich tace, la lascia libera di decidere se vuole proseguire o meno. Mariette riprende:

- Adesso però... Morqos mi dimostra interesse. All’inizio l’ho tenuto a distanza, come faccio sempre. Ma…

- Ma vi rendete conto di desiderarlo. Qual è il problema, Mariette? Lui vi desidera, voi lo desiderate.

Mariette tace. Non è facile dare ordine ai dubbi che si porta dentro.

- Mastro Emich, io sto bene così. Non mi sono mai sentita così bene come da quando sono a Rougegarde. Sto bene con voi. Mi piace quando mi accarezzate, mi piace sentirvi raccontare le vostre storie meravigliose. Gli uomini… se una donna gli si concede, credono di poter comandare. Non voglio che un uomo pensi di poter decidere di me. Non voglio non poter venire da voi, la sera, se lo desidero. Perché lo desidero.

Emich sorride.

- Non credo che Morqos vorrà diventare il vostro padrone. E non credo che voglia rinunciare a vivere liberamente.

- Voi siete diventato amico di Morqos e lo conoscete bene.

Emich ripensa al legame che lo unisce a Morqos. Hanno scopato più volte e il legame che li unisce è profondo, anche se si conoscono da poco più di un mese.

- Mariette, Morqos è attratto da voi e vi vuole bene. Sta bene qui. Se deciderete di darvi a lui, non diverrete di sua proprietà, ma ricordate che neanche lui diverrà vostro. Sarà un libero legame delle vostre anime e dei vostri corpi, che durerà quanto vorrete.

- Non è contro ciò che dice la Chiesa? Non è un peccato di lussuria?

- Iddio ci ha dato il desiderio e il piacere. Sono suoi doni, Mariette.

 

*

 

Morqos esce dalla stanza di Mariette. Si sente leggero e felice. Non è la gioia che dà una conquista a lungo desiderata. C’è anche quello, è vero. Ma il sentimento che prova è molto più forte. Morqos è profondamente attratto da Mariette e il rendersi conto che ciò che prova è ricambiato è stata una gioia.

Morqos si ferma. Si guarda intorno. Questa locanda in cui il duca l’ha mandato gli sembra un paradiso. Se il paradiso esiste, dev’essere così: un luogo dove uomini e donne possono amarsi ed essere vicini gli uni agli altri liberamente. Morqos ama Mariette, ma ama anche, di un amore diverso, Emich, e gli piace Riccardo. Sta bene così.

Morqos sorride e scuote la testa. Se continua così, tra un po’ si metterà a predicare e farà una brutta fine.

 

*

 

Istfan passa a trovare il fratello. Anche se non hanno legami di sangue, sono molto affezionati l’uno all’altro.

- Buona giornata, Morqos.

- Istfan! Sono contento di vederti. Come stai?

- Bene. Sono venuto a trovarti per avere tue notizie.

- Puoi fermarti a mangiare?

- Sì, certo.

- Allora mangiamo insieme. Così ti racconto.

A pranzo, in un tavolo appartato, Istfan e Morqos parlano. Istfan chiede:

- Ti trovi bene qui?

Morqos sorride, chiaramente soddisfatto.

- Benissimo, mi piace come si vive qui.

- E come si vive qui?

Morqos ride di nuovo. Abbassa la voce e dice:

- Molto liberamente, Istfan. Molto liberamente. Si sta bene. Sopra, al secondo piano, viviamo tutti come ci pare.

- Siete in tanti?

- No. Mariette e Louison, io ed Emich. E poi naturalmente Giovanni Micheles e suo nipote Riccardo, che vivono al piano di sotto, ma gli appartamenti sono comunicanti. E tra poco ci sarà il figlio di Louison.

Istfan ha sentito parlare di Giovanni Micheles: anche se il mercante sta da pochi mesi a Rougegarde, la sua ricchezza ha contribuito a farlo conoscere. Anche di Emich si parla. Istfan chiede:

- E questo Emich? Ho sentito parlare molto di lui.

- È l’uomo migliore che io abbia mai conosciuto, Istfan. Un santo.

- Un santo? Fa’ attenzione. Dicono che sia eretico.

- Emich è prudente. A noi parla spesso delle sue idee, ma non lo fa mai quando ci sono altre persone.

- Dicono che sia stato eremita.

- Credo che sia stato di tutto.

Istfan abbassa ancora la voce.

- Qualcuno dice che i saraceni gli hanno tagliato le palle.

Il sorriso di Morqos svanisce.

- È vero, Istfan. Ma la sofferenza l’ha fatto diventare un saggio. È un cristiano di gran lunga migliore del nostro vescovo e di tanti preti. A volte ci legge la Bibbia, la sera.

Istfan è molto sorpreso. Conosce bene suo fratello e sa che non gli interessa la religione.

- Questa poi! Da quando sei diventato così pio? Tu?

Morqos ride.

- Istfan, sai benissimo che di religione mi occupo poco. Ma Emich non parla come il nostro fottuto vescovo, lui parla di amore, di fraternità.

- Ancora un po’ e rischi anche tu di finire in carcere come eretico. O magari sul rogo.

Morqos scuote la testa.

- Già, oggi a parlare di amore e fraternità si rischia il rogo. E tutto questo in nome di Gesù.

Istfan non dice nulla. Preferisce cambiare argomento:

- Mi sembra di capire che intendi fermarti qui a lungo.

- Sì, conto di rimanere qui. Ma se il duca ha bisogno di me per qualsiasi cosa, sono a sua disposizione, lo sai benissimo.

Istfan è l’unica persona, al di fuori del duca e di Nicolas, che conosce la vera attività di Morqos. Sono abituati a dirsi sempre tutto.

Morqos prosegue:

- Ma adesso questa è la mia casa. Per la prima volta mi sento davvero a casa.

Istfan annuisce.

- Te lo leggo in viso, Morqos. Non ti ho mai visto così.

 

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Il parto di Louison non è facile. Il travaglio è lunghissimo e Mariette teme per la vita della sua amica. La levatrice che ha procurato Istfan è una donna esperta. Quando la situazione peggiora, Morqos corre a chiamare Istfan.

La levatrice e Mariette assistono Louison, al cui capezzale adesso c’è anche Istfan. Morqos attende nella sua stanza, insieme a Emich. Giovanni è già passato due volte a chiedere notizie.

Morqos è inquieto. È affezionato a Louison e gli sembra che una minaccia pesi su tutti loro, su questa locanda che ormai vive come la propria casa, su questo intreccio felice di legami, dove sembra non esserci spazio per gelosia o rivalità.

Emich si è seduto sul letto.

- Vieni qui, Morqos.

Morqos si avvicina. Emich gli fa appoggiare la testa sul suo petto e lo abbraccia. Morqos sta bene tra queste braccia che lo stringono. Lentamente ritrova la serenità. Emich lo bacia sulla fronte.

- Ti voglio bene, Morqos.

- Anch’io ti voglio bene, Emich.

- Chiudi gli occhi, Morqos, e riposa.

Morqos scuote la testa. È troppo preoccupato per riuscire a dormire, ma riposare un attimo tra le braccia di Emich non gli farà male.

 

Dopo due ore qualcuno bussa. Morqos si sveglia. Si rende conto di aver dormito, protetto da Emich. Morqos si sposta: non vuole che qualcuno li veda abbracciati. Poi dice:

- Avanti.

È Istfan. Sorride.

- Il bambino è nato, Louison è molto affaticata, ma credo che si riprenderà: è una donna forte e sana.

- Grazie, Istfan.

Istfan ride.

- Non devi ringraziare me, mi sono limitato ad aiutare la levatrice, assecondando il parto e assistendo un po’ Louison.

Morqos si rende conto che Emich e Istfan non si conoscono.

- Emich, questo è Istfan, mio fratello, la persona a cui voglio più bene al mondo. Istfan, questo è Emich, che per me è diventato un altro fratello e vorrei che lo fosse anche per te.

Istfan sorride a Emich.

- È un piacere conoscerti, Emich. Morqos mi ha parlato molto di te.

- E a me ha parlato di te. Da tempo desideravo incontrarti.

 

*

Louison ha deciso di chiamare il bambino Giovanni.

Giovanni Micheles non dice nulla, ma è perplesso su questa scelta. Molti penseranno che il bambino sia figlio suo. Forse lo è davvero, ma nessuno può saperlo, probabilmente neanche la stessa Louison.

Giovanni non ha mai avuto a che fare con bambini molto piccoli, li ha sempre considerati una scocciatura e niente di più. Non ha mai pensato di sposarsi e fare figli. Ha seguito la gravidanza di Louison senza particolare interesse e si è preoccupato per lei solo quando l’ha vista in pericolo di vita.

Quando Louison per la prima volta gli porge il bambino e gli dice di cullarlo, Giovanni si mette a ridere. Lui con i bambini non sa proprio come muoversi. Ma Louison gli dice che è semplice.

Giovanni lo prende, ridendo imbarazzato. Lo culla un po’, poi lo restituisce a Louison.

Il giorno dopo Louison glielo porge nuovamente. Giovanni esita, ma poi lo prende, lo guarda e si mette a ridere. Impara in fretta a tenerlo: Louison ha ragione, non è così difficile.

In pochi giorni Giovanni si rende conto che aspetta il momento in cui sale da Louison e tiene un po’ il bambino tra le braccia. Si stupisce anche lui di quello che gli sta succedendo.

 

Il piccolo Nino stringe i legami tra le due locandiere, Emich, Morqos, Giovanni e Riccardo. Tutti si occupano di questo bambino, a cui si affezionano in fretta e di cui hanno cura. Gli si affeziona anche il silenzioso Tristan, che sembra avere il dono di calmare il piccolo quando questi si mette a piangere. 

 

*

 

Istfan e Morqos stanno pranzando nella locanda.

Al tavolo vicino una voce forte grida:

- Vaffanculo, bastardo! Hai barato!

Istfan e Morqos si voltano a guardare. Due uomini che stavano giocando a carte stanno litigando. Uno dei due, quello che ha gridato, si accorge che Istfan e Morqos li osservano e si rivolge a Istfan, dicendogli:

- E tu che hai da guardare, pezzo di merda?

Istfan alza le spalle e distoglie lo sguardo: non è sua intenzione attaccare briga con nessuno. Ma l’uomo estrae un pugnale e si avventa su di lui. Istfan non farebbe in tempo a scansare il colpo, se improvvisamente tra lui e l’aggressore non si frapponesse qualcuno.

 

*

 

Tristan ha tenuto d’occhio i due giocatori a lungo. Ha subito capito che la situazione rischiava di degenerare: entrambi avevano bevuto troppo e il clima si stava surriscaldando. Si è avvicinato al tavolo, pronto a intervenire. Non sospettava però che uno dei due se la potesse prendere con il medico.

Quando vede il giocatore lanciarsi su Istfan, Tristan si mette in mezzo per proteggere Istfan e cerca di deviare il colpo. Ci riesce solo in parte e il violento dolore al petto gli dice che è stato ferito. Riesce a bloccare il polso dell’aggressore e, piegandolo con un movimento brusco, lo costringe a lasciare il pugnale. Poi però sente che le forze gli mancano.

Intanto il fratello del medico ha colpito il giocatore, mandandolo a terra.

Tristan cade in ginocchio. Il dolore è forte, la camicia è inzuppata di sangue. Tristan si chiede se non sta per morire.

Lo sollevano, lo portano in camera. Il medico e il fratello lo spogliano. Il medico sta controllando la ferita, sta facendo qualche cosa. Il dolore aumenta. Il mondo incomincia a roteare. Tristan chiude gli occhi, ma sente ancora le voci.

- Che dici, Istfan?

- È una brutta ferita, ma non dovrebbe essere mortale.

Tristan pensa che forse sarebbe meglio morire.

 

*

 

Istfan controlla le condizioni di Tristan ogni giorno, mattina e pomeriggio. Tristan si sta riprendendo in fretta: è forte e non è in pericolo di vita.

Istfan si ferma volentieri con lui, anche se Tristan parla poco: Istfan si rende conto che si sta affezionando a quest’uomo che ha rischiato di morire per salvarlo, anche se lo conosce appena. Un giorno Istfan gli dice:

- Mi sembri sempre triste, Tristan.

Tristan sorride. Non è un sorriso allegro.

- Il mio nome, Tristan, viene dalla parola triste.

Istfan ride:

- Ma questo non vuol dire che tu debba per forza essere triste, no?

Tristan alza le spalle.

- Prima o poi, la vita ti fotte.

- Che cosa ti ha reso così pessimista, Tristan?

Tristan guarda lontano. Poi scuote la testa.

- Lasciate perdere, mastro Istfan.

- Non chiamarmi mastro Istfan. Chiamami semplicemente Istfan.

- Va bene, Istfan.

- Va bene, ma non vuoi dirmi che cosa ti rende così triste?

- Sono stupido, Istfan. Mi faccio delle illusioni e poi la realtà si rivela sempre un’altra. Ma non ha importanza. La vita è così e si vive lo stesso.

Istfan sorride. Questo servitore filosofo che gli ha salvato la pelle lo incuriosisce.

Nei giorni seguenti passa spesso a trovarlo, tanto deve controllare la ferita.

 

*

 

Anche Morqos si reca sovente da Tristan. Per quest’uomo taciturno prova simpatia e un’immensa gratitudine perché ha salvato la vita di Istfan: se Tristan non si fosse messo in mezzo, Istfan sarebbe morto.

Parlando con lui, Morqos scopre un uomo molto riservato, il cui silenzio nasconde una grande capacità di riflettere e una sensibilità che la vita deve aver ferito spesso. Morqos si dice che Tristan deve assolutamente fare conoscenza con Emich. Per Morqos ormai, come per Louison e Mariette, Emich è un punto di riferimento costante.

Naturalmente Emich e Tristan si conoscono da tempo, vivendo nella stessa locanda, ma hanno sempre avuto pochissime occasioni di parlarsi: Tristan è un servitore e tende a stare per conto proprio.

Su invito di Morqos, Emich lo accompagna a trovare Tristan e Morqos vede con piacere che i due si intendono bene.

 

*

 

Tristan è guarito e ha ripreso il suo lavoro, puntuale e instancabile come sempre. Una sera, al momento di ritirarsi per dormire, Morqos lo invita ad andare con lui a trovare Emich. Tristan va volentieri: a Emich si è affezionato e ammira quest’uomo saggio e generoso.

Tristan si siede sulla sedia. Emich e Morqos sono sul letto. A un certo punto Morqos appoggia la testa sul petto di Emich, che lo accarezza.

Tristan non si stupisce dell’intimità che esiste tra Emich e Morqos. Ha ormai un’idea abbastanza precisa dei molteplici rapporti esistenti all’interno della casa, che tutti sembrano vivere con serenità.

Parlano a lungo insieme. Tristan non interviene molto, ma Morqos ed Emich rispettano i suoi silenzi. Ci sono dei momenti in cui tacciono tutti e tre, ma non c’è imbarazzo. Tristan sta bene in questa camera.

 

Tristan prende l’abitudine di recarsi da Emich con Morqos. Vedendo Emich e Morqos sul letto l’uno accanto all’altro, a volte prova un senso di invidia: vorrebbe essere vicino a loro.

Emich se ne accorge, perché una sera gli dice:

- Siediti vicino a noi, Tristan.

Tristan si mette di fianco a Emich, che gli passa un braccio intorno alle spalle. Tristan sta bene così. Sente l’affetto di Emich ed è un balsamo per le ferite che ha ricevuto.

 

Una sera, dopo aver parlato con Emich e Morqos, Tristan va in camera. Gli viene in mente di aver dimenticato di chiedere una cosa a Morqos. Raggiunge la camera di Emich. Ne è uscito da pochi minuti e, senza pensare, non bussa. Entra e vede Emich e Morqos, entrambi a torso nudo, che si abbracciano.

- Scusate…

Tristan fa per uscire, ma Morqos si volta verso di lui e gli tende una mano.

- Vieni anche tu, Tristan.

Tristan si avvicina, incerto. Morqos e Emich lo accolgono nel loro abbraccio. Per un momento Tristan rimane immobile, poi anche lui allarga le braccia per stringere i due amici e poggia la testa sulla spalla di Morqos. Rimangono così un buon momento, finché Morqos non bacia Emich e poi Tristan, prima sulla fronte e poi, quando Tristan solleva il viso, sulla bocca.

Allora Morqos lo porta a stendersi sul letto e lui ed Emich lo accarezzano.

A Tristan pare di vivere in un sogno. Lascia che le mani di Morqos ed Emich lo spoglino e, quasi senza rendersene conto, finisce di spogliarli. Ora si accarezzano, si baciano e si abbracciano tutti e tre. Il desiderio si accende. Sono mesi che Tristan non ha rapporti.

Emich si stende e allarga le gambe. Morqos si sputa sulle dita, inumidisce l’apertura e poi la cappella e penetra Emich, entrando dentro di lui con delicatezza. Tristan guarda, ammaliato, senza sapere che fare. Morqos si volta verso di lui e gli sorride. Non dice nulla.

Tristan accarezza il corpo di Morqos, la schiena vigorosa, il culo che si muove ritmicamente. Il desiderio cresce, ma Tristan non sa come muoversi. La sua mano scorre lungo il corpo, indugia sul culo, un dito scivola lungo il solco, si ferma sull’apertura. Tristan ritrae la mano di scatto, come se si fosse scottato. Morqos ride e si volta verso di lui.

- Era piacevole.

Tristan annuisce.

Morqos imprime alcune spinte più decise, poi si abbandona su Emich. Tristan riprende ad accarezzargli il culo. Questa volta il suo dito indugia più a lungo sull’apertura. Morqos emette un leggero gemito. Tristan spinge il dito all’interno. Morqos geme di nuovo.

Morqos si solleva e si stende di fianco a Emich, rimanendo prono, a gambe un po’ divaricate. Tristan si stende su di lui. Si inumidisce la cappella e poi l’apertura. Con molta delicatezza entra dentro Morqos. La sensazione di piacere che lo avvolge è intensissima. 

Emich si volta di lato e li guarda, sorridendo. Accarezza Tristan sulla schiena e sul capo, le sue dita scivolano tra i capelli di Morqos.

Tristan prende a muoversi. Il piacere cresce ancora. La sensazione del corpo di Morqos sotto il suo, del suo cazzo che affonda nel culo dell’amico, delle carezze di Emich, tutto è tanto forte da stordirlo. Tristan cavalca lentamente, cercando di far durare questo piacere il più a lungo possibile.

Infine Tristan sente la scarica e dopo una serie di spinte si affloscia sul corpo di Morqos.

Tristan esce da Morqos, si stende di fianco a lui e chiude gli occhi.

Emich gli accarezza il viso. Morqos si volta e appoggia la sua mano sul cazzo di Tristan.

Dopo un lungo momento in cui rimangono tutti e tre in silenzio, Emich dice:

- Sei turbato, Tristan.

- Sì.

- Sei pentito di quello che abbiamo fatto?

- No. È stato molto bello. Ma… non me l’aspettavo. Non… non l’avevo mai fatto prima. Voglio dire, in tre…

Morqos ride.

- Neanch’io, con due uomini, no, mai. Ed erano anni che un altro uomo non mi prendeva, È stato bello, perché voglio bene a Emich e voglio bene a te, Tristan. E allora è bello. Se non volessi bene a tutti e due, non l’avrei fatto.

Tristan annuisce.

Tristan pensa a Istfan. Il dottore gli piace molto, ma non ha molte occasioni di vederlo. Quando era a letto ferito, Istfan passava quasi ogni giorno. Era bello aspettare la sua venuta e parlare un po’ con lui.

Tristan si sposta, in modo da appoggiare il viso sul petto di Emich. Ha bisogno di sentirne il calore. Emich lo abbraccia, continuando ad accarezzarlo. Morqos appoggia il capo sul ventre di Tristan e anche le sue mani lo accarezzano.

 

*

 

Sei mesi sono passati dalla nascita di Nino. Il piccolo ha conquistato Giovanni senza fatica.

Questa sera Nino ha la febbre. Louison è inquieta. Giovanni le dice che non è il caso di preoccuparsi, ma l’agitazione di Louison lo sta contagiando. La donna tocca ancora la fronte del bambino, poi dice:

- Forse è meglio chiamare un dottore. Chiedo a Morqos di cercare Istfan.

- Non credo che sia il caso, ma se ti senti più tranquilla, vado a chiamarlo.

Giovanni non aspetta una risposta di Louison: ormai anche lui è piuttosto ansioso. Quando Nino è nato, sei mesi fa, Giovanni non avrebbe mai pensato che si sarebbe affezionato a lui, ma adesso ne sente la mancanza anche se deve allontanarsi pochi giorni per affari.

Morqos va a chiamare il fratello, che per fortuna arriva quasi subito: Nino sembra stare sempre peggio.

Istfan è chiaramente preoccupato.

- Spero che riesca a superare la crisi, ma la situazione è seria.

Le parole di Istfan sono una mazzata in testa per Giovanni.

- Volete dire che… è in pericolo di vita?

Istfan annuisce.

 

Le ore che seguono sono per Giovanni uno dei momenti più angosciosi della sua vita, che gli dà la misura di quanto si sia legato al bambino.

Il bambino si agita e Louison fa fatica a calmarlo: deve tenerlo sempre in braccio e cullarlo senza mai smettere. Appena si ferma, Nino riprende a strillare. Louison è molto stanca: sono ore che lo culla. Morqos propone di chiamare Tristan, che viene subito e come sempre riesce a restituire un po’ di tranquillità al piccolo. Tristan non sembra mai stancarsi. 

I rimedi prescritti da Istfan ottengono qualche effetto, perché con il passare del tempo Nino sembra meno agitato. Quando Istfan, dopo aver dato istruzioni, fa per andarsene, Giovanni si mette davanti alla porta:

- Ve ne andate? E il bambino?

- Ho fatto quello che potevo, mastro Giovanni. La crisi è passata e per il momento la mia presenza non è necessaria. Ripasserò più tardi.

Giovanni annuisce, ma non si sposta. Non si rende neppure conto di sbarrare la strada a Istfan.

Istfan gli sorride:

- La situazione è grave, ma ci sono buone speranze. Ripasserò presto.

- Sì, sì… ripassate presto… dovete proprio andare?

- Sì, ma ritorno.

Rimangono un momento immobili, in silenzio, finché Giovanni non si rende conto di essere davanti alla porta. Si sposta. Guarda Istfan uscire dalla stanza e scendere le scale. Alza un braccio. Vorrebbe trattenerlo, ma non ha senso.

 

*

 

Istfan ripassa più tardi. Nino sembra stare leggermente meglio, Istfan non ha più impegni, per cui si ferma al capezzale. Morqos gli tiene compagnia. La situazione appare meno preoccupante.

- Vado a casa a mangiare un boccone e poi ritorno.

Louison guarda Istfan, spaventata.

- Non volete mangiare alla locanda, mastro Istfan?

La donna aggiunge, cercando di sorridere:

- Mi sentirei più tranquilla, sapendo che siete qui sotto.

Istfan annuisce e risponde:

- Non c’è problema. Mangerò qui. Ho già avuto modo di provare la cucina qualche volta e so che si mangia bene.

Morqos mette un braccio sulla spalla di Istfan.

- E poi si fermerà a dormire da me, questa notte.

Istfan guarda Morqos e scoppia a ridere.

- Questo è un rapimento bell’e buono.

- Più o meno. Vengo anch’io a cena con te. Ho una fame da lupi. Andiamo.

 

Mariette chiede notizie di Nino e poi fa in modo di servire rapidamente Istfan e Morqos. Intanto Morqos espone un’idea che da tempo gli frulla per la testa.

- Potresti stabilirti qui, Istfan.

- Qui, in una locanda?

Istfan vive in un piccolo appartamento dall’altra parte della città.

- Al piano sopra la locanda ci sono degli appartamenti e il mercante intende affittarli. Ha incominciato a far fare i lavori. Uno è quasi pronto. Potremmo prenderlo io e te. Si possono ricavare due ingressi separati. Così nessuno dei due ficca il naso negli affari dell’altro.

- Cioè io non vedo la processione di donne e magari pure ragazzi che passano per il tuo letto.

Morqos ride:

- Non è più così, Istfan. Il mio mondo si è ristretto a questa casa. Non dico che non ci sarà più altro, non credo nella castità, ma per il momento quello che ho qui mi basta.

- Hai proprio messo radici, Morqos!

- Sì, Istfan, è così. Probabilmente Mariette è incinta e in questo caso diventerò padre. Non l’avrei mai pensato. Credo che se me lo avessero detto, una volta sarei scappato a gambe levate. Ma adesso non è più così. Adesso sono felice all’idea di diventare padre. Questa è casa mia, Istfan. E mi farebbe piacere che ci fossi anche tu. Magari trovi l’uomo giusto per te.

Istfan scuote la testa. A trovare l’uomo giusto ha rinunciato da tempo. Si accontenta di qualche incontro occasionale.

L’idea di vivere in questa casa non gli dispiace. A Morqos è molto affezionato ed è l’unico con cui può parlare liberamente.

 

*

 

Istfan trascorre la sera al capezzale di Nino, che sembra stare decisamente meglio. Poi si ferma a dormire nella camera di Morqos, ma due volte nella notte si alza per andare a controllare la situazione.

Il mattino dopo Nino è ancora febbricitante, ma ormai può essere considerato fuori pericolo.

Giovanni passa dall’inferno al paradiso. Ormai per lui Nino è un figlio. Forse lui è davvero il padre, forse invece è qualcun altro, ma Giovanni si rende conto che questo non ha importanza.

 

Morqos dice a Giovanni che lui e Istfan sarebbero interessati a stabilirsi nell’appartamento libero. Dopo le ore di angoscia vissute, a Giovanni l’idea di avere un medico competente a portata di mano per il piccolo Nino appare splendida. E poi Istfan è un inquilino perfetto: ha una buona fama e perfino il duca d’Aguilard se ne serve per curare i suoi uomini.

Giovanni chiede meno di quello che avrebbe richiesto ad altri. Quando hanno concluso l’affare, Giovanni torna nel suo ufficio. Vuole riflettere un momento.

Giovanni non avrebbe immaginato un anno fa, quando si è trasferito a Rougegarde, che la sua vita sarebbe cambiata così profondamente. A Santa Maria in Aqsa badava soprattutto agli affari e, quando non doveva lavorare, pensava solo a scopare e a mangiare e bere bene: non gli interessava altro. Adesso queste cose continuano a essere importanti per lui, ma non gli basterebbero più.

Giovanni è ancora il mercante di sempre, molto attento ai propri interessi e con pochissimi scrupoli. Ma adesso c’è anche altro e gli sembra che la sua vita sia diventata molto più piena: Nino rappresenta un punto fermo e anche Louison, da cui Giovanni si sente sempre più attratto. A tratti Giovanni si chiede se sposarla, per dare a Nino il proprio nome. Qualche mese fa la sola idea lo avrebbe fatto ridere.

Ma Giovanni sa che i cambiamenti avvenuti in lui non dipendono solo dalla nascita del piccolo. Anche la presenza di Emich di Freiburg ha avuto un effetto profondo sulla sua vita e su quella di tutti nella casa. Mariette e Louison sono state ammaliate da quest’uomo e lo ascolterebbero per ore, sia che racconti qualche storia araba di avventurieri e creature fantastiche, sia che parli di Gesù e del suo insegnamento. Giovanni non si è mai occupato di religione, ma le cose che Emich dice sono belle e non lo lasciano indifferente. Emich non parla di peccato, ma di amore. Non dice che bisogna rinunciare al piacere, ma che bisogna amare. Emich non condanna, non critica. E Giovanni che, come Morqos, è sempre stato poco interessato alla religione, si accorge di ascoltare volentieri le parole di Emich.

 

*

 

Tristan è contento che Istfan sia venuto a stabilirsi nella casa. Ora ha modo di vederlo di frequente e di parlare con lui. Non si aspetta nulla: le esperienze passate gli hanno insegnato a non nutrire illusioni e la distanza tra un uomo di fatica e un medico è grande. Ma è piacevole poterlo incontrare, salutarlo, scambiare due parole. E si rende conto che anche Istfan sta bene con lui.

Qualche volta Istfan si ferma la sera in camera di Emich, con lui e Morqos. In questo caso non si spogliano, non hanno rapporti. Tristan non si stupisce: Istfan è arrivato da poco nella casa ed è il fratello di Morqos.

Quando Istfan non c’è, non è raro che loro tre abbiano rapporti, ma non succede sempre. Talvolta parlano solo, ma qualche carezza e un abbraccio non mancano mai.

Tristan sta bene in questa casa. Non si sente più solo e il mondo gli appare meno cupo. 

 

 

II – Il signore di Cesarea

III – Spedizione in Egitto

IV – Un erede per Cesarea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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