Raoul
è seduto in una locanda di Shaqra, la cittadina in cui è stato schiavo per
due anni. Cerca di decidere che cosa fare: inaspettatamente si è ritrovato
libero. Alcuni monaci hanno raccolto ingenti somme per riscattare i franchi
prigionieri in territorio saraceno e lui è stato uno dei fortunati. Questo
almeno è ciò che gli ha detto il mercante di schiavi. Adesso Raoul ha un
documento che attesta la sua nuova condizione di schiavo affrancato. E ora? Raoul
potrebbe tornare in territorio franco. Ma i motivi per cui ha lasciato il
paese dei franchi due anni fa sono sempre validi: il conte d’Espinel ha già
cercato di farlo uccidere, perché Raoul sa che è un traditore. E Raoul non
può denunciarlo, perché è lui stesso un traditore, avendo ucciso i templari
di sentinella del forte di Jibrin. Raoul
si chiede se non cercare di raggiungere la vallata dell’Arram, il cui signore
è Ferdinando di Siracusa. Se gli dicesse che il conte lo vuole fare uccidere,
probabilmente Ferdinando gli darebbe ospitalità: il signore dell’Arram, che
quando era un semplice soldato è stato anche lui al servizio del conte
d’Espinel, non è rimasto in buoni rapporti con il suo antico signore. E se il
tradimento del conte d’Espinel fosse stato scoperto? In questo caso
Ferdinando lo consegnerebbe agli uomini del re? Erano in buoni rapporti,
hanno anche scopato insieme, loro due. Ma che cosa significa questo?
Ferdinando ha scopato con un’infinità di uomini. Raoul
si dice che prima di tutto deve avere notizie di ciò che è successo in questi
due anni nel regno di Gerusalemme. Magari il conte è morto o è morto
Ferdinando: per i cristiani dell’Oltremare, sempre in guerra, la vita non
dura mai molto. La morte del conte avrebbe risolto ogni problema, quella di
Ferdinando gli avrebbe tolto l’unico possibile appoggio. Raoul
gira per Shaqra nella speranza di incontrare qualche mercante franco, ma non
ne trova nessuno: Shaqra è una cittadina importante, ma non è sulle
principali vie mercantili che uniscono i regni franchi alle grandi città
saracene, come Damasco e Aleppo. Raoul non conosce quasi nessuno in città, a
parte il suo ex-padrone e gli altri schiavi. Dopo
aver riflettuto un po’, decide di fare un tentativo con il fornaio da cui
qualche volta ha comprato il pane per il suo padrone: è un uomo gentile e
conosce molte persone. Lo trova alla sua bottega e parla a lungo con lui: in
questi due anni Raoul ha imparato l’arabo. Gli spiega che è stato liberato e
gli chiede a chi può rivolgersi per avere informazioni sugli ultimi
avvenimenti nel regno di Gerusalemme. Il
fornaio gli dice di ritornare dopo due ore: lo accompagnerà da un mercante di
stoffe, che viaggia spesso in territorio franco ed è tornato da poco. Il
mercante si rivela un uomo bene informato. Gli dice che il re Amalrico si è
appena sposato con una principessa bizantina e gli dà notizia dei signori di
cui Raoul chiede: il conte Ferdinando è vivo ed è sempre il signore della
valle dell’Arram. Quanto al conte d’Espinel, il mercante rimane in dubbio. Ha
già sentito questo nome, ma non sa dire quando. Infine gli viene in mente: -
Ora ricordo. Il conte d’Espinel è quello che venne giustiziato in piazza due
anni fa. Era accusato di tradimento, di aver consegnato Qasr al-Hashim,
quello che voi chiamate Jibrin, alle truppe del sovrano di Damasco, Nur
ad-Din. Venne squartato e tutti i suoi uomini furono impiccati. Raoul
ha la sensazione che la terra gli manchi sotto i piedi. Il tradimento è stato
scoperto. Il conte è morto, non costituisce più una minaccia, ma se qualcuno
riconoscesse Raoul come uno degli uomini del conte, sarebbe la fine: di certo
negli interrogatori sotto tortura il conte ha fatto il suo nome. E ora? - Lo
conoscevi bene? -
Ero stato anche al suo servizio. E conoscevo i suoi uomini. -
Conti di tornare tra i tuoi correligionari? -
Che altro posso fare? La
domanda Raoul se l’è posta anni fa, quando ha preferito rischiare di essere
catturato e reso schiavo, piuttosto che essere ucciso dagli uomini del conte
d’Espinel. Ma dopo due anni di schiavitù, Raoul non vuole ritrovarsi nella
stessa situazione, non vuole più essere un animale da soma al servizio di un
padrone, che viene frustato per un sospetto ingiusto e può essere ucciso in
qualsiasi momento. Adesso è un uomo libero, ma quando riprenderà la guerra,
che non si interrompe mai per un lungo periodo, rischia di essere nuovamente
catturato. Potrebbe
convertirsi e vivere tra i saraceni. Ma che cosa può fare? Solo l’uomo di
fatica. L’alternativa sarebbe convertirsi e combattere, con il rischio di
trovarsi ad affrontare truppe cristiane. Se venisse catturato mentre combatte
tra i saraceni, non potrebbe scampare alla morte, anche se nessuno lo
riconoscesse: i suoi capelli biondi e la sua carnagione chiara rivelano
chiaramente la sua origine. La
cifra che gli ha dato il mercante di schiavi gli permette di vivere qualche
settimana, non di più. Raoul decide di provare un’altra strada. Damasco non è
molto lontana: unendosi a una carovana, potrebbe giungervi in una settimana.
Là avrà modo di incontrare diversi cristiani, mercanti soprattutto, e di
parlare con loro. In base a ciò che sentirà, vedrà il da farsi. Magari
troverà un signore disposto a prenderlo al suo servizio. Oppure incontrerà
qualcuno che lo conosce e dalle sue reazioni capirà se il suo tradimento è
noto. * Nel
suo palazzo di San Giacomo d’Afrin, Renaud di Soissons sorride al suocero. -
Sarete contento di sapere che la gravidanza di Mélisende procede bene e che
tra poco ci sarà un erede per i signori di San Giacomo d’Afrin e per quelli
di Cesarea. Il
conte Philippe di Cesarea reprime una risata di scherno. Il genero non gli è
mai stato simpatico, ma davvero è tanto sciocco da pensare di poter mettere
le mani su Cesarea? Philippe non ha figli maschi: i due che hanno raggiunto i
vent’anni sono morti in guerra, prima di avere eredi. Non ci sono neanche
altre figlie, per cui le proprietà di Philippe alla sua morte dovrebbero
essere ereditate da Mélisende. Anche la signoria di Cesarea potrebbe passare
a Mélisende e suo marito, se il re di Gerusalemme desse il suo consenso. Philippe
però ha ben altri progetti: è rimasto vedovo da un anno e adesso sta per
impalmare la bella Yseut, la figlia del conte di Ascalona, che ha
quarant’anni meno di lui. Questo coglione di Renaud non se l’aspetta, pensa
che lui, a sessantadue anni, non si sposerà più. Ma Philippe vuole un erede
maschio, a cui lasciare Cesarea e i suoi possedimenti. Mélisende ha già avuto
una dote e Renaud ha solo da stare zitto. Philippe ha tutte le intenzioni di
sfornare due o tre figli con la bella Yseut. Il cazzo gli tira e solo due
mesi fa una delle serve del palazzo ha partorito una bella bastardina del
conte. -
Mio caro Renaud, la mia venuta a San Giacomo d’Afrin non è stata dettata solo
dal piacere di rivedere voi e mia figlia, approfittando del mio viaggio a
Damasco. Intendo anche comunicarvi che al mio ritorno a Cesarea mi risposerò. Renaud
è impallidito e Philippe non riesce a trattenere un sorriso. -
Sposarvi… voi… - Mi
ritenere troppo vecchio per sposarmi, mio caro Renaud? Vi assicuro che saprò
assolvere i miei doveri coniugali e conto di ridare a Mélisende quel fratello
che la sorte le ha tolto. Renaud
è chiaramente furibondo e Philippe si diverte un mondo. Il genero però si
controlla e dice: - E
chi è la promessa sposa? - La
figlia del conte di Ascalona, la giovane Yseut. Philippe
ha sottolineato che Yseut è giovane, perché Renaud capisca che non sta
scherzando quando parla di fare altri figli. -
Allora non mi resta che farvi i miei migliori auguri. -
Auguri e figli maschi, come si dice da noi. Philippe
ride, salutando Renaud e lasciando il palazzo. Ha giocato un bel tiro a
quello stronzo. * Rimasto
solo, Renaud di Soissons riflette. Deve agire in fretta: se vuole impedire il
matrimonio, deve farlo prima che Philippe torni da Damasco. Non ci sono molti
modi per farlo. Mandare a monte questo matrimonio, con qualche stratagemma,
sarebbe inutile. Se Philippe di Cesarea intende risposarsi, lo farà, con
Yseut o con qualcun’altra. Se nascerà un figlio maschio, Mélisende sarà
tagliata fuori dall’eredità, e anche una figlia femmina avrebbe diritto a una
parte del patrimonio paterno: un’altra fregatura per Renaud. Già la moglie di
Charles, il fratello di Renaud, non ha ereditato nulla dal padre, perché
questi è stato condannato per tradimento e le sue sostanze sono state
confiscate. Adesso anche per Mélisende Renaud dovrebbe accontentarsi di ciò che
ha già avuto come dote? Non se ne parla neanche. Esiste
un’unica soluzione. Philippe di Cesarea viaggia con la sua guardia personale,
ma Renaud conosce le sue abitudini: ha fatto spiare il suocero in più di
un’occasione, perché non ha nessuna intenzione di rinunciare a ciò che gli
spetta. A Damasco una volta o due il conte andrà a divertirsi, facendosi
accompagnare solo da un uomo. Quella è l’occasione giusta. Se succede qualche
cosa al conte Philippe di Cesarea a Damasco, nessuno penserà che sia coinvolto
il genero. Renaud
fa chiamare Joscelin, l’uomo a cui si rivolge abitualmente per questo genere
di compiti. -
Joscelin, devi partire per Damasco. Joscelin
non mostra nessun segno di stupore. Si limita a un cenno di assenso. È
abituato a obbedire senza discutere. -
C’è un lavoro, grosso, da fare là, ma nessuno, assolutamente nessuno, deve
pensare che ti mando io. Cerca di unirti a qualche mercante cristiano che
vada a Damasco: lo pagherai perché ti prenda tra i suoi uomini. Joscelin
annuisce di nuovo. -
C’è in città Giovanni Micheles da Verona. Accetterà senz’altro di farmi
passare per uno dei suoi servitori. -
Forse per quello che dovrai fare sarebbe meglio essere in due. Joscelin
ha sempre lavorato in coppia con quello che tutti conoscevano come il Mancino,
ma nell’ultima impresa il Mancino si è beccato tre coltellate allo stomaco.
Joscelin ha cercato qualcuno che fosse deciso, coraggioso e completamente
affidabile, ma non è facile trovare l’uomo adatto. Renaud prosegue: -
Valuta tu se a Damasco vuoi rivolgerti a qualcuno del posto. L’importante è
che tu non faccia mai il mio nome e che nessuno possa sospettare. -
Potete contare su di me, signore. - Lo
so. Ora ti spiego che cosa devi fare. * La carovana
a cui si è unito Raoul raggiunge Damasco senza inconvenienti. In città Raoul
ha modo di parlare con alcuni mercanti cristiani. Spiega di essere stato
schiavo e di essere stato liberato grazie ad alcuni monaci, ma molti sembrano
non credere al suo racconto. Chiede notizie di ciò che è successo in questi
due anni nei regni franchi, senza ricavare nessuna informazione significativa
che non gli abbia già dato il mercante arabo. Dice che cerca lavoro, ma
nessuno sembra aver bisogno di lui. Il
terzo giorno, mentre cammina per una strada, Raoul si sente chiamare: -
Raoul, tu qui a Damasco! -
Joscelin! Che fai qui? Joscelin
non dà una risposta precisa. Si limita a fare un gesto con la destra, come
per dire che ce ne sarebbe da raccontare e aggiunge: -
Accompagno un mercante. E tu? Raoul
decide di raccontare la verità. - Mi
sono fatto due anni di schiavitù e sono stato liberato una settimana fa. -
Eri schiavo? Dei saraceni? -
Sì. Mi avevano catturato. Joscelin
sembra riflettere, poi chiede: -
Che progetti hai? -
Trovare un lavoro. Non posso campare a lungo con il poco che ho. - Un
lavoro qui? Raoul
alza le spalle. -
Non so se mi conviene tornare tra i cristiani. Mi hanno detto che il conte di
Espinel è stato giustiziato per tradimento e che anche tutti gli uomini della
sua guardia personale hanno fatto una brutta fine. Sai che facevo parte
anch’io della guardia. Non sospettavo certo che il conte tradisse. Però non
so bene che cosa mi potrebbe succedere se tornassi nel regno di Gerusalemme. Ha
detto la verità, quasi tutta. Se Joscelin gli crede, bene, altrimenti poco
cambia: qui nessuno può denunciarlo. Al suo ritorno in patria, Joscelin può
raccontare di averlo incontrato a Damasco, ma questo lo farebbe in ogni caso. Joscelin
pare di nuovo meditare un momento, poi dice: -
Che lavoro cerchi? Raoul
allarga le braccia: -
Qualche cosa che sappia fare. Joscelin
fissa Raoul, poi sorride e dice: -
Per un uomo deciso, che sa usare le armi, il lavoro di certo non manca. E anche
una protezione efficace, se qualcuno andasse a rivangare vecchie storie. L’idea
è allettante. -
Joscelin, io di certo non mi tiro indietro. Per una protezione e una buona
paga sono disposto a tutto. -
Anche a rischiare la pelle e far fuori qualcuno? Raoul
annuisce. -
Purché ne valga la pena. - Ne
vale la pena. Il pesce è grosso, molto grosso. -
Bisogna ammazzare qualche signorotto saraceno? Joscelin
ride, una risata aspra che si spegne subito. -
No, la preda è cristiana. Ma a casa propria si muove con una scorta
consistente. Qui invece gira con meno uomini e in una certa occasione ha solo
un uomo con sé. Se lo ammazzano qui, nessuno può sospettare che gli assassini
vengano dai regni franchi. Penseranno a qualche ladro saraceno. Di
nuovo Joscelin ride per un attimo, poi torna serio. * Al
termine del suo colloquio con Nur ad-Din, signore di tutta la Siria, Philippe
di Cesarea si congeda e torna nell’appartamento dove ha preso alloggio per
alcuni giorni. Non è la prima volta che Philippe si reca a Damasco in
missione: re Amalrico lo ha inviato in diverse occasioni, per trattative
importanti. La guerra continuamente interrotta e ripresa tra il sovrano arabo
e il re di Gerusalemme è accompagnata da negoziati, che spesso sono tenuti
segreti. Non tutto ciò che vi si discute può diventare di dominio pubblico:
vi sono accordi che provocherebbero reazioni indignate da parte dei templari
e del patriarca di Gerusalemme o del clero musulmano, dei baroni franchi o
degli emiri saraceni. Philippe
dovrà tornare da Nur ad-Din tra due giorni. Questo significa che domani sera
non ha impegni. Ogni
volta che viene a Damasco, Philippe ne approfitta per soddisfare un suo gusto
personale, a cui preferisce non indulgere in patria, per evitare critiche: il
signore di una ricca città come Cesarea deve badare alla propria reputazione.
A
Philippe piacciono i ragazzini e Damasco offre uno dei migliori bordelli
dell’Oriente per gli amanti del genere. Anche nei regni franchi d’Oltremare
ci sono ragazzi che si prostituiscono, ma non esistono bordelli di questo
tipo e in ogni caso per un conte è difficile soddisfare certe esigenze con
l’assoluta certezza di non essere riconosciuto. Dicono che a Rougegarde ci
sia un bordello maschile: Denis d’Aguilard non ha chiuso le case di
tolleranza esistenti al tempo in cui la città era sotto dominio saraceno,
nonostante le rampogne del vescovo. Ma pare che non vi siano ragazzi molto
giovani: il duca ha imposto limiti d’età. Una stronzata, ma Denis d’Aguilard
ha le sue idee. In ogni caso Philippe non potrebbe andarci senza rischiare di
essere riconosciuto. Domani
sera Philippe si toglierà la voglia nel bordello di Abdullah, poi il giorno
dopo vedrà nuovamente Nur ad-Din e la trattativa dovrebbe concludersi.
Philippe potrà allora tornare a Cesarea, per celebrare il suo matrimonio. * Joscelin
e Raoul sono seduti sui cuscini e sorseggiano il tè. È la terza sera che
vengono e Abdallah in persona è venuto ad accoglierli: questi due franchi che
ogni sera scelgono un ragazzo diverso sono di certo ricchi mercanti. Abdullah
non sa quanto si fermeranno a Damasco, ma li tratta con deferenza. Questa
sera i due chiedono di Raphael, il giovane ebreo che è la pietra più preziosa
nello scrigno di Abdallah. Il
tenutario si inchina: -
Chiedo perdono, ma il ragazzo è occupato. Un nobile franco lo ha riservato
per tutta la serata. Abdallah
non sa assolutamente che Philippe di Cesarea è un conte, ma dà volentieri la
qualifica di nobile a ogni ricco cliente. Joscelin
alza le spalle. - Va
bene, però ne vogliamo un altro che sia bello e ci sappia fare. -
Iyad fa per voi. Lo vado a chiamare. Abdullah
si allontana. Joscelin
prende il bicchiere con il tè e mormora a Raoul: -
Dev’essere lui che ha richiesto Raphael. Se è così, è per questa sera. Raoul
annuisce, senza dire nulla. Abdallah
arriva con Iyad. Sembrerebbe avere sedici anni, anche meno, ma probabilmente
ne ha di più: il ragazzo con cui hanno scopato ieri sera non ne dimostrava
nemmeno sedici, ma ne ha venti e per sembrare imberbe si rade e si depila. Joscelin
e Raoul osservano il ragazzo, come se stessero valutandolo. A nessuno dei due
spiace scoparlo, ma Joscelin preferirebbe una ragazza e Raoul un maschio
adulto. -
Che ne dici? -
Sì, si può fare. - Ce
lo teniamo tutta la sera, però. Non
sanno quando arriverà Philippe di Cesarea e devono andarsene poco prima di
lui, perché il piano funzioni. Abdallah
sorride: - Se
non potrà soddisfare altri clienti, dovrete compensare il mancato guadagno.
Iyad è molto richiesto, è merce di pregio. Guardate che occhi, che viso
d’angelo, che fianchi… Joscelin
inarca le sopracciglia. -
Non mi sembra questa gran cosa… Sei sicuro che Raphael non sia libero? -
No, no, signori, il cliente che ha chiesto Raphael dovrebbe arrivare adesso.
Iyad è un vero gioiello. Joscelin
discute con Abdallah, critica il ragazzo, contratta sul prezzo: vuole far
passare il tempo e verificare che Philippe di Cesarea arrivi. In
effetti pochi minuti dopo il conte fa il suo ingresso. Davanti a lui Abdallah
si prosterna, piegandosi in due: Philippe deve aver sborsato una bella somma
per essere accolto con tanta deferenza. Raoul
e Joscelin fingono di non badare a lui. Pagano ad Abdallah la cifra richiesta
e si allontanano con Iyad. Ormai conoscono la disposizione delle camere e
sanno che Raphael accoglie i suoi clienti nell’ultimo locale. * Philippe
guarda Raphael. È molto soddisfatto della scelta. Chi gli ha detto che era
davvero un gioiellino non si sbagliava. Il ragazzo tiene la testa bassa, come
se si vergognasse, ma Philippe sa che è tutta scena: -
Spogliami, ragazzo. Raphael
si avvicina e incomincia a sciogliere la fibbia del mantello di Philippe. Il
ragazzo ha mani delicate e anche i suoi movimenti sono eleganti. Poi Raphael
toglie la collana d’oro che Philippe porta al collo. La guarda, ammirato, e
Philippe legge la cupidigia nei suoi occhi. Ma di certo non è un dono per un
prostituto, per quanto giovane e bello: Philippe ha pagato quanto doveva e
alla fine darà ancora una moneta a Raphael, ma nulla di più. Il
ragazzo incomincia a togliere gli indumenti, uno dopo l’altro, accarezzando
la pelle di Philippe con tocchi leggeri, finché il conte rimane nudo. Allora
Philippe afferra il ragazzo, lo bacia sulla bocca e lo spoglia con pochi
gesti bruschi. Il ragazzo lo lascia fare, sorridendo dell’irruenza del
signore franco. Philippe
contempla il ragazzo. È davvero giovane, un viso d’angelo e un corpo
armonioso, su cui Philippe fa scorrere le sue grandi mani, stringendo in una
morsa ora i capezzoli, ora il culo. Poi
Philippe mette le mani sulle spalle di Raphael e lo forza ad abbassarsi. -
Dai, succhiami il cazzo. Raphael
è in ginocchio davanti a Philippe. Prende in bocca la cappella e l’accarezza
con la lingua, poi incomincia a muovere le labbra per succhiare. Ci sa fare,
il ragazzo, ci sa davvero fare, è esperto. Bello e bravo con la bocca. Philippe
accarezza i capelli del ragazzo. Sono neri, un po’ lunghi, ed è bello far
scorrere le dita in questa capigliatura di seta. Il
desiderio cresce e si tende, sempre più forte. Philippe non vuole venire in
bocca a Raphael, vuole gustare il suo culo. Per quanto scopi ancora spesso,
non è più in grado di venire due volte in una serata e vuole farlo in culo a
Raphael: gli piace quando il seme sgorga nelle viscere del giovane maschio
che possiede. -
Fermati. Il
ragazzo obbedisce. Philippe si stende sui cuscini. -
Vieni qui. Philippe
prende una mano di Raphael e lo fa stendere al suo fianco, prono. Osserva il
corpo del ragazzo, il culo che gli si offre. Poi si siede sulle gambe di Raphael,
gli accarezza le natiche e le stringe con decisione, strappando un gemito al
ragazzo, china la testa e morde più volte. Raphael geme. Philippe
alza il braccio e vibra un colpo deciso, con la mano aperta, sul culo del
ragazzo. Raphael sussulta. Philippe lo tiene fermo con il braccio sinistro e
con la destra lo sculaccia. -
Signore, mi fate male. Vi prego. Ma
Philippe ride e non bada alle proteste. Gli darà una moneta in più e il
ragazzo sarà ben contento di essersela guadagnata con un po’ di bruciore al
culo. Philippe prosegue. Il ragazzo cerca di divincolarsi, lo supplica di
smettere, mentre le sue natiche si arrossano. A Philippe piace vedere la
pelle tenera diventare rossa, gli piace il rumore secco della sua mano che si
abbatte sul culo. L’eccitazione è calata, ma il gioco lo diverte. Poi
Philippe scorre due dita lungo il solco, giunge all’apertura, vi infila
l’indice, fino in fondo, ridendo. Il ragazzo ha smesso di agitarsi, ora è più
tranquillo, lascia che il cliente giochi con le dita, stuzzicandolo. -
Stenditi sui cuscini. Ora
la voce di Philippe è roca. Il desiderio avvampa. Raphael
si mette in posizione, due cuscini sotto il ventre, in modo che i fianchi
rimangano sollevati. Philippe guarda il bel culo, tutto arrossato. Afferra le
natiche con le mani e le allarga. Sputa sul solco, due volte, poi sparge la
saliva con le dita e si inumidisce la cappella. Ora è pronto. Entra
lentamente, assaporando il calore della carne che lo accoglie. Avanza, fino
in fondo, facendo gemere il ragazzo. Poi
mette le mani sulle cosce di Raphael e gli avvicina le gambe, in modo che la
pressione della carne sul suo cazzo aumenti. Ride e dà inizio alla cavalcata. * Raoul
e Joscelin vanno per le spicce, come le sere precedenti. Sono giovani e
magari scoperanno due volte, l’hanno fatto ieri sera. La prima notte sono
venuti tutti e due tre volte. I
due uomini si spogliano e dicono al ragazzo di fare altrettanto. Poi Joscelin
fa piegare Iyad in avanti, in modo che la sua testa sia di fronte al cazzo di
Raoul. Joscelin sparge un po’ di saliva sull’apertura e l’infilza con la sua
notevole arma. Il ragazzo geme, ma quando Raoul gli intima di prendergli in
bocca il cazzo, obbedisce. Joscelin
spinge avanti e indietro con vigore, mentre Raoul lascia che sia Iyad a darsi
da fare, succhiandogli il cazzo. È piacevole sentire le labbra del ragazzo
avvolgere la cappella e la lingua leccarla con delicatezza, mentre le mani di
Iyad stringono le natiche di Raoul. Raoul guarda Joscelin che fotte Iyad.
Joscelin ha un corpo forte, spalle larghe, un torace muscoloso, braccia
vigorose. Ha anche un grosso cazzo, che a Raoul fa venire l’acquolina in
bocca. Vedere Joscelin scopare è uno spettacolo. Joscelin
aumenta il ritmo delle sue spinte, sbilanciando Iyad, che quasi cade. La
cavalcata diventa impetuosa, poi Joscelin emette un suono inarticolato e
viene. Rimane dentro il ragazzo, che riprende a lavorare con la bocca, finché
anche Raoul raggiunge il piacere. Il ragazzo inghiotte il seme. Joscelin
si stacca e si stende sui cuscini. Beve un po’ e dice: -
Dopo riprendiamo. Come
sono d’accordo, Raoul dice: -
Vado a pisciare. Esce
dalla stanza e raggiunge la camera di Raphael. Sposta leggermente la tenda e
guarda. Il conte è sopra il ragazzo e lo sta fottendo con grande energia.
Raoul si dice che, nonostante l’età, Philippe di Cesarea è ancora un gran
bell’uomo, con un corpo forte. Ma Raoul non è qui per questo. Deve solo
controllare se il conte ha finito e sta per andarsene. Raoul va al cesso e
torna in camera. Joscelin
è ancora disteso sui cuscini e Iyad è steso vicino a lui. Il ragazzo sta
passando la lingua lungo il cazzo di Joscelin, dai coglioni alla cappella, e
la mazza è magnificamente tesa, nuovamente rigida e turgida. Raoul
guarda affascinato il cazzo di Joscelin, che si accorge del suo interesse. -
Hai voglia di gustarlo anche tu, Raoul? Joscelin
ride. Raoul non dice nulla, ma non distoglie lo sguardo. Sono anni che non si
prende un bel cazzo in culo e ora ne avrebbe proprio voglia. Pensa al superbo
cazzo di Ferdinando, il miglior stallone che Raoul abbia avuto modo di
gustare in vita sua. Joscelin
insiste, senza più ridere: ha capito che Raoul è davvero interessato. - Te
lo faccio provare volentieri. Raoul
guarda Joscelin negli occhi. -
Perché no? Raoul
fa stendere Iyad sui cuscini, facendogli divaricare bene le gambe. Poi si
stende su di lui. Struscia un po’ il cazzo sul solco, sporco dello sborro di
Joscelin, che è colato dal buco. L’idea che Joscelin sta per fotterlo lo solletica
e il cazzo ritorna rapidamente rigido. Raoul lo spinge dentro il culo di
Iyad. Avanza fino in fondo, godendosi il calore. E
quando il suo cazzo è tutto dentro il culo di Iyad, sente le mani di Joscelin
che si posano sulle sue natiche e le divaricano. La saliva di Joscelin cola
sul solco e due dita la spargono sull’apertura. Poi Raoul avverte la
pressione, che da molto tempo non ha più sentito, e il cazzo di Joscelin
scivola dentro di lui. Raoul chiude gli occhi. È bellissimo, una sensazione
meravigliosa. Fa male, un dolore che si mescola al piacere. Joscelin
fotte con energia e questa volta la cavalcata è molto più lunga. Raoul si
limita a lasciare che ogni volta le spinte violente di Joscelin lo premano
contro Iyad, imprimendo al suo culo e al suo cazzo un movimento in avanti. Il
piacere è sempre più forte e infine esplode: il seme di Raoul si sparge
dentro Iyad e poco dopo quello di Joscelin dentro il culo di Raoul. Si
staccano. Joscelin sorride, soddisfatto. Raoul è intontito dal piacere. Iyad
rimane inerte sui cuscini. Joscelin
dice che deve andare al cesso ed esce nel corridoio. Dopo aver controllato
che non ci sia nessuno, Joscelin sbircia dalla tenda nella camera di Raphael.
Philippe di Cesarea è steso sui cuscini, il cazzo ancora gonfio di sangue, ma
non più rigido. Sta sorseggiando un tè che un servitore deve avergli portato
da poco. Joscelin ammira il corpo forte dell’uomo e sorride: tra non molto
sarà solo un cadavere. Il conte ormai ha finito e tra poco si rivestirà e se
ne andrà. Joscelin
va al cesso e torna in camera. -
Ora di andare, Raoul. Raoul
annuisce. Ha capito benissimo che anche la loro preda sta per lasciare il
bordello e loro devono precederla. Lui
e Raoul si rivestono. Lasciano al ragazzo una moneta, fedeli al loro ruolo di
ricchi clienti. Sulla porta incrociano Abdallah, che li saluta ossequioso. Escono
dal bordello. Come sospettavano, alla porta c’è un uomo, che di certo è un
servitore del conte. Fatti due passi, Joscelin sbotta, come se fosse furioso
con Raoul e si fosse trattenuto fino a ora solo per non farsi sentire nel
bordello: -
Sei uno stronzo! - E
piantala di rompere i coglioni! -
Per quella puttana di tua madre, non so che cosa… Si
allontanano, ma per un buon momento si sentono ancora le loro voci. Il
servitore li segue un momento con lo sguardo, scuotendo la testa. * Philippe
di Cesarea esce poco dopo. Lo attende l’uomo che lo ha accompagnato, sul cui
silenzio Philippe sa di poter contare. Si dirigono verso l’appartamento dove
Philippe si è stabilito. Sotto un arco ci sono due uomini che stanno
discutendo animatamente. Alla luce della torcia che porta il servitore,
Philippe li riconosce: erano anche loro al bordello quando è arrivato. -
Sei uno stronzo, nient’altro. -
Togliti dai coglioni, pezzo di merda. L’uomo
più alto colpisce l’altro con violenza. Questi cade indietro, contro il muro,
e finisce con il culo a terra. Cerca di alzarsi, ma non ci riesce. L’altro,
appoggiato alla parete opposta, lo guarda, a braccia conserte. -
Stronzo! Philippe
e il servitore sono giunti all’arco. I due uomini sembrano ignorarli.
Philippe avanza. L’uomo caduto a terra si sta rialzando a fatica, sembra
barcollare e si appoggia al muro come se non riuscisse a stare in piedi. Poi,
con un movimento rapidissimo, si slancia su Philippe. In mano ha una daga,
che immerge tra le costole del conte, subito sotto il cuore. L’altro uomo
colpisce il servitore alla schiena, facendo uscire la lama dal ventre. Con
un movimento quasi simultaneo, Raoul e Joscelin estraggono le lame e
colpiscono una seconda volta: Raoul spacca il cuore del conte, che si
accascia senza un gemito, Joscelin taglia la gola del servitore. Tutto si è
svolto in un attimo. Ora ci sono due cadaveri a terra. Raoul
si china sul corpo del conte. Prende la borsa di Philippe, la collana che il
morto portava al collo e i due anelli: sottrarre questi oggetti può
costituire un rischio, perché se qualcuno li trovasse, Raoul non potrebbe
spiegare la loro provenienza. Ma l’omicidio deve sembrare una rapina. I
due uomini rapidamente si allontanano. Nessuno
li ha visti, nessuno potrebbe associarli in qualche modo a Philippe di
Cesarea. Raoul
e Joscelin raggiungono il caravanserraglio dove hanno una stanza per sé, a
differenza degli altri servitori di Giovanni Micheles, che dormono tutti
insieme. In cambio di un compenso, il mercante ha accettato di far passare
Raoul per un uomo che ha assunto al proprio servizio, qui a Damasco. Giovanni
Micheles non ha fatto domande, come non ne ha fatte a Joscelin: le monete
d’oro sono risposte più che sufficienti. Forse se sospettasse che i due sono
assassini, si tirerebbe indietro, se non altro per paura delle conseguenze. Raoul
ha detto di chiamarsi Robert: tornando nel regno di Gerusalemme, non vuole
che il suo nome possa ricordare a qualcuno chi è veramente. -
Hai fatto un ottimo lavoro, Raoul, anzi: Robert. Il mio padrone ti prenderà
al suo servizio, te lo garantisco. -
Ora puoi dirmi chi è. Joscelin
scuote la testa. -
No, non fino a che non mi autorizzerà a farlo. Ma è un uomo potente e saprà
proteggerti, se necessario. Pagherà bene il lavoro che hai fatto, ma come
acconto puoi tenerti la borsa e i gioielli. -
Non sarà facile venderli, questi: se qualcuno li riconoscesse come i gioielli
di un uomo assassinato, farei una brutta fine. - Ti
dirò io a chi puoi rivolgerti, a San Giacomo d’Afrin. Adesso devi nasconderli
bene, che nessuno li possa trovare. Raoul
annuisce. Avvolge la collana e i due anelli in uno straccio, poi li infila
nel pagliericcio su cui dorme. Li prenderà solo quando lasceranno Damasco. I
due si spogliano e si stendono. Raoul
è soddisfatto. Ha guadagnato una bella somma, ha nuovamente gustato un bel
cazzo e soprattutto ha trovato un buon lavoro. * Il
giorno successivo Joscelin e Raoul vanno a uno dei bagni turchi della città,
quello che è più spesso frequentato dai franchi in visita a Damasco. Il
mercante Giovanni ha concluso i suoi affari e domani tornerà a Rougegarde. Il
nipote di Giovanni, Riccardo, entra anche lui nel bagno turco. Lo zio gli ha
dato qualche ora di libertà, dicendo che doveva concludere un ultimo affare.
Riccardo ha il sospetto, fondato, che quest’ultimo affare dello zio non sia
di tipo commerciale, anche se in realtà sempre di commercio si tratta:
Giovanni dev’essere andato in qualche bordello e, sapendo che il nipote non è
interessato alle grazie femminili, non l’ha invitato ad andare con lui. Riccardo
saluta i due uomini, che risultano essere servitori dello zio. Uno dei due si
è unito a loro a San Giacomo d’Afrin, l’altro solo pochi giorni fa, qui a
Damasco. Riccardo sa benissimo che non sono davvero servitori e che si sono
semplicemente uniti a loro per il viaggio, pagando una certa somma. Perché si
vogliano far passare per servitori dello zio, Riccardo non lo sa, ma non è il
caso di porsi tante domande. Lo zio dice sempre che non si dice mai di no al
denaro che arriva, a meno che uno non rischi di ficcarsi nei guai. Quello
bruno, Joscelin, ha colpito subito Riccardo. È il tipo di maschio che gli piace,
robusto, peloso, molto virile. Anche il biondo, che si chiama Robert, non
spiace per niente a Riccardo: pure lui è un uomo forte, dai lineamenti
duri. Fossero
davvero due servitori dello zio, Riccardo eviterebbe di tradire il proprio
interesse: l’esperienza con Roussel, quasi due anni fa, è stata più che
sufficiente. Lo zio si è incazzato a morte, lo ha pure frustato. E Roussel ha
sparlato a destra e a manca, prima e dopo il licenziamento. Ma i
due sono solo compagni di viaggio e Riccardo, dopo averli salutati, li
guarda, senza farsi notare troppo. In realtà, anche se Riccardo non se ne
rende conto, il suo sguardo è piuttosto insistente e ai due non sfugge. Vede
che Joscelin dice qualche cosa a Robert. Riccardo ha la sensazione che stiano
parlando di lui. Robert annuisce. Joscelin si alza e parla con un servitore. Poco
dopo Joscelin si avvicina a Riccardo e gli dice: -
Qui c’è troppa gente. Che ne diresti di venire con noi in una saletta
appartata? Staremo più tranquilli. La
familiarità con cui Joscelin gli si rivolge e l’invito fugano ogni dubbio. Il
senso della frase è chiarissimo e Riccardo è ben contento di acconsentire. Nella
sala i due si tolgono il telo che cinge loro i fianchi e Riccardo li imita. Robert
si mette davanti a lui e gli passa una mano sul corpo, dal viso al ventre,
mentre l’altra scende direttamente alla preda e l’afferra. Joscelin si è
messo dietro a Riccardo, che ora può sentire il cazzo dell’uomo battere
contro il suo culo, caldo e duro. È
Joscelin a dire: -
Mettiti a quattro zampe. Riccardo
esegue. È la prima volta che scopa con due uomini contemporaneamente. È
curioso di vedere quali saranno le sue sensazioni. Joscelin
inumidisce bene il buco e poi Riccardo sente la cappella forzare l’apertura
ed entrare, piano. Un’onda di piacere lo investe. Chiude gli occhi e apre un
po’ la bocca. Sente contro le labbra il cazzo di Robert. Riccardo lo
inghiotte. Intanto il cazzo di Joscelin affonda nel suo culo, con un
movimento continuo. Riccardo
succhia il cazzo di Robert. Joscelin avanza ancora. Ora la presenza di quel
cazzo in culo è un po’ dolorosa, ma va bene così. Riccardo ha imparato che un
po’ di dolore non spegne, ma rafforza il piacere. Scopare
con due maschi è bellissimo. Sentire un cazzo in culo e uno in bocca… che
meraviglia! Riccardo si dà da fare a succhiare il cazzo di Robert, mentre
quello di Joscelin gli martoria il culo. Riccardo sente Robert gemere e poco
dopo lo sborro gli inonda la bocca. Riccardo inghiotte, poi pulisce con cura,
succhiando ogni goccia. Joscelin
sta ancora fottendo il culo di Riccardo e infine viene con una serie di
spinte vigorose. Riccardo ha il cazzo teso allo spasimo. Joscelin lo solleva,
senza uscire da lui. Ora il corpo di Riccardo aderisce a quello di Joscelin e
il ragazzo si afferra con la mano il cazzo. Sente il piacere crescere e
infine sgorgare abbondante. Allora
Raoul sorride e dice: -
Vuoi bere? Riccardo
lo guarda, senza capire. -
Mettiti in ginocchio. Riccardo
esegue. Raoul si avvicina, finché il cazzo, ancora un po’ gonfio, non è a una
spanna dalla bocca di Riccardo. Riccardo
lo guarda incerto, poi spalanca la bocca. Raoul incomincia a pisciare. È la
prima volta che Riccardo beve il piscio di un uomo. Non aveva mai pensato di
farlo, ma l’idea lo incuriosisce. E adesso che sta provando, deve dire che
gli piace. Poi anche Joscelin gli piscia in bocca. È una sensazione
piacevole. * Il
giorno dopo la carovana parte da Damasco. A San Giacomo d’Afrin Joscelin e
Raoul lasciano gli altri. Joscelin si reca con Raoul nella locanda in cui
alloggia abitualmente: non vive a palazzo, perché non si deve sapere che
lavora alle dipendenze del barone. In questo modo può muoversi con maggiore
libertà. Il proprietario della locanda sa che Joscelin non vuole che nessuno
si immischi nei suoi affari. Poiché Joscelin paga bene, il proprietario è
molto discreto. A
palazzo Joscelin dice di voler parlare con Dreux, uno degli uomini di fiducia
del barone, e solo a lui rivela di aver bisogno di vedere con urgenza Renaud.
Dreux sa benissimo che Renaud riceve Joscelin ogni volta che questi lo
chiede, per cui lo va subito a chiamare. Renaud
arriva immediatamente. -
Allora? -
Sono giunto poco fa con una carovana da Damasco, dove ho sentito una notizia
che forse potrà interessarvi. Renaud
sorride. Ha capito benissimo dall’espressione di Joscelin e dalle sue parole
che il compito assegnato è stato svolto. -
Dimmi. - Il
conte Philippe di Cesarea, vostro suocero, è stato assassinato in un vicolo
di notte. Renaud
annuisce. -
Sei sicuro di quello che mi dici? C’è
molta ironia nel sorriso di Joscelin, quando risponde: -
Come se l’avessi visto con i miei occhi. Poi,
tornando serio, prosegue: - Lo
abbiamo pugnalato due volte, due colpi mortali. È spirato immediatamente. E
la stessa sorte ha subito il suo servitore. Renaud
è soddisfatto. -
Bene. Nessuno che ti abbia visto, che possa sospettare? -
Nessuno. Diciamo che i due assassini sono scomparsi nella notte senza che
nessuno li vedesse. -
Due? Joscelin
spiega: - Mi
sono fatto aiutare da un uomo che era al servizio di Tancrède d’Espinel,
Raoul. Era schiavo dei saraceni, ma è stato liberato. Se credete, rimarrà al
vostro servizio per quei casi in cui è opportuno essere in due: adesso che
non c’è più il Mancino, può tornare utile. Dovrà però muoversi con cautela,
perché qualcuno potrebbe riconoscerlo come uno degli uomini della guardia del
conte e in questo caso rischierebbe di fare la stessa fine degli altri. - Lo
ritieni un uomo fidato? -
Sì. -
Gli hai detto che lavori per me? -
No. Ma credo che lo capirà: è sveglio. Renaud
rimane pensieroso. Joscelin aggiunge: - Se
ritenete che possa costituire un pericolo, provvederò a tappargli la bocca
per sempre oggi stesso. -
No, avere un uomo in più su cui contare può essere utile. Ma al primo dubbio,
gli taglierai la gola. Renaud
porge a Joscelin una borsa. -
Questo è per il lavoro svolto. Vedi tu quanto ritieni di dare a questo Raoul.
Ma ripeto: se ti accorgessi che non sa tenere la bocca chiusa, fallo sparire. Renaud
congeda Joscelin, che prima di ritornare alla locanda divide la somma che gli
ha consegnato il barone. Joscelin è soddisfatto e anche Raoul lo sarà, tanto
più che ha i gioielli. Joscelin lo aiuterà a venderli. Jeanne
Longuemain, moglie di Charles di Soissons, è nella camera della cognata,
Mélisende. Mélisende non è più giovane e la gravidanza non è facile: ha
spesso nausee violente e ci sono giorni in cui Mélisende deve rimanere a
letto. Mélisende
è contenta di avere Jeanne al suo fianco. Nei primi tempi provava astio nei
confronti della cognata, che aveva già due figli: se Mélisende non generasse,
il piccolo Jacques, figlio di Jeanne, erediterebbe San Giacomo d’Afrin. Ma
ora Mélisende è incinta e ha cambiato atteggiamento, tanto più che la cognata
è molto premurosa nei suoi confronti. Mélisende
si è più volte stupita delle attenzioni di Jeanne, che sente sincere. -
Non vedo l’ora che questa gravidanza finisca, Jeanne. Non ne posso più. Jeanne
sorride e le accarezza la mano. -
Mancano ancora due mesi, Mélisende. Ci vuole pazienza. Ma quando avrai un
figlio, vedrai che gioia ti darà. Mélisende
guarda Jeanne. -
Jeanne, posso chiederti una cosa? - Ma
certamente. - Mi
sembra che tu sia contenta che io abbia un figlio. Ma se sarà maschio, sarà
lui l’erede e non il tuo Jacques. Jeanne
fa un cenno d’assenso. -
Per me è meglio così. Mi sento più tranquilla. - In
che senso? Jeanne
appare incerta, è chiaro che non sa se confidarsi o meno. Cerca le parole. - Se
Jacques fosse l’erede, qualcuno potrebbe desiderare la sua morte, per
diventare signore della città al posto suo. Mélisende
annuisce, mentre riflette sulle parole di Jeanne. Quel “qualcuno” che Jeanne
ha preferito evitare di nominare è Olivier di Soissons, il fratello di Renaud
e di Charles. Anche Mélisende diffida del cognato, che considera un uomo
ambizioso e senza scrupoli. -
Allora anche il mio bambino correrà dei rischi. Jeanne
sorride: -
Renaud è il signore di San Giacomo d’Afrin e proteggerà suo figlio. Di
Jacques non gli importa. Jeanne
tace un momento, poi aggiunge, un velo di tristezza sugli occhi: - E
di lui poco importa anche a suo padre. Mélisende
sa benissimo quello che si dice di Charles: per le donne non prova nessun
interesse, ma in compenso qualunque maschio gli va bene. Che però non si
preoccupi dei figli, è strano. Eppure è vero: quelle volte in cui ha avuto
modo di vederlo con la famiglia, Charles sembrava ignorare completamente
Jacques e la sorella Christine. E ignorava anche Jeanne. Mélisende
non sa che cosa dire. Stringe la mano di Jeanne. Passano
a parlare dell’allattamento. Jeanne ha allattato i piccoli, Mélisende ha
paura che per lei sia troppo gravoso e pensa di prendere una balia. In quel
momento Renaud di Soissons entra nella camera. Ha un’espressione preoccupata
in viso. - Mi
spiace, ma devo darvi una brutta notizia, Mélisende. -
Che cosa è successo? -
Pare che vostro padre sia stato aggredito a Damasco. Mélisende
impallidisce. -
Cosa? È… è… Mélisende
non completa la frase. - Mi
spiace. Purtroppo lo hanno ucciso. Mélisende
impallidisce. Poi scoppia a piangere. Jeanne l’abbraccia. Renaud ha dato la
notizia con ben poco tatto, tanto più considerando che Mélisende è incinta e
che si tratta di una gravidanza difficile. Jeanne
capisce bene il dolore della cognata, anche lei ha perso il padre in modo
violento. Cerca le parole per confortarla. Renaud
mormora qualche frase di consolazione, poi esce, lasciando la moglie in
lacrime. Jeanne non è stupita dalla scarsa sensibilità del cognato: ormai lo
conosce. Nel
pomeriggio Mélisende è improvvisamente presa dalle doglie. Il travaglio del
parto dura tutta la notte. Il piccolo, un bel maschietto, nasce il mattino
dopo. È vivo, ma dopo due ore smette di respirare. Mélisende
sta male: ha la febbre, delira. Si teme per la sua vita. Jeanne e il medico
di corte rimangono al suo capezzale. Renaud
si è rifugiato nella sua camera. È furibondo. Un figlio da Mélisende era la
migliore carta da giocare per ottenere dal re la baronia di Cesarea. Adesso
ha davvero poco in mano. Ci sono molti pretendenti, tra cui alcuni cugini di
Philippe. E il re potrebbe assegnare Cesarea in feudo ad altri cavalieri,
senza tener conto dei legami di parentela. Renaud
cammina avanti e indietro, mentre passa mentalmente in rassegna i cavalieri
franchi che si sono distinti negli ultimi anni. Tra quelli che non hanno un
feudo ci sono Amaury di Rochenoire e il barone d’Arbert. Entrambi si sono
dimostrati valorosi nella recente spedizione in Egitto, ma a Renaud non
sembra che abbiano compiuto azioni tali da poter aspirare a un feudo. In
questa guerra il ruolo davvero decisivo è stato quello di Denis d’Aguilard,
che oltretutto nella battaglia di al-Babein ha permesso a re Amalrico di
sfuggire alla trappola tesagli da Shirkuh: di fatto gli ha nuovamente salvato
la vita. Renaud
si ferma, folgorato da un pensiero: il re potrebbe decidere di ricompensare
Denis assegnandogli Cesarea. Oltretutto i domini di Philippe confinano con il
ducato di Rougegarde. E al ritorno in Terrasanta Denis ha conquistato Qasr
Basir, togliendo ai saraceni una roccaforte importante. Renaud
freme all’idea. Cesarea a Denis d’Aguilard! Un’ulteriore umiliazione, un vero
e proprio schiaffo. Questo cavaliere che non aveva nulla, che è stato persino
schiavo dei saraceni, è diventato uno dei signori più potenti del regno, di
certo il più ascoltato da re Amalrico. E adesso potrebbe aspirare a Cesarea. Oppure
Denis potrebbe chiedere Cesarea per il conte Ferdinando, che è suo amico:
quel siciliano che è arrivato oltremare con le pezze al culo, un cazzone
capace solo di fottere e cacciare… Denis potrebbe fargliela assegnare, ben
sapendo di poter manovrare Ferdinando come vuole: il conte ha piena fiducia
in lui. Se Denis chiedesse Cesarea, per sé o per Ferdinando, il re non gli
direbbe di no. Merda! Renaud
si dice che deve partire per Cesarea, subito. Sarà il re ad assegnare la
città, ma in ogni caso le proprietà personali di Philippe di Cesarea devono
passare a Mélisende. Renaud vuole essere a Cesarea prima che altri possano
approfittare della morte di Philippe: il personale del palazzo di Philippe
potrebbe far sparire oggetti di valore. Renaud
convoca i fratelli e comunica loro che partirà in giornata per Cesarea. -
Olivier, tu rimarrai a San Giacomo a controllare la situazione. Charles, tu
ti recherai a Gerusalemme e chiederai udienza a re Amalrico. Gli dirai che
sono andato a Cesarea per raccogliere l’eredità di mio suocero e tenere sotto
controllo la situazione in città in attesa che venga nominato il nuovo
signore. Devi cercare di fargli capire che assegnarmi Cesarea sarebbe la
scelta più saggia. Renaud
prosegue: -
Appena avrò provveduto a fare tutto quanto è necessario per tutelare i nostri
interessi, mi recherò io stesso a Gerusalemme per parlare al re. Renaud
parla di “nostri interessi”: Charles e Olivier non devono dimenticare che
l’interesse di Renaud è anche il loro. Se Renaud diventerà più potente,
avranno tutto da guadagnare. Olivier ne è cosciente, fin troppo: è un
ambizioso e prenderebbe ben volentieri il posto del fratello, questo Renaud
lo sa benissimo. Charles invece si è sempre mostrato più interessato ai
maschi che al potere, ma in questi ultimi tempi è cambiato. Forse adesso si
potrà contare un po’ più su di lui per le manovre politiche necessarie. Se
Renaud otterrà Cesarea, sarà un vantaggio anche per Charles: Renaud non
intende lasciare San Giacomo d’Afrin e perciò potrà nominare Charles
governatore della città. E poi in questo momento Charles è l’erede di Renaud
e potrebbe persino sperare di diventare signore della città alla sua morte. Charles
e Olivier concordano sull’opportunità di una rapida partenza di Renaud per
Cesarea, anche se la situazione di Mélisende appare critica. Olivier
osserva: -
Certo che se Mélisende morisse… Se
morisse, Renaud non avrebbe nessuna possibilità di ottenere la signoria di
Cesarea. Renaud interrompe il fratello: - Se
Mélisende dovesse morire, la notizia va tenuta segreta finché io non vi dirò
che cosa fare. Presso di lei devono rimanere soltanto tua moglie, Charles, il
medico e due serve. Se la situazione dovesse precipitare, impedite loro di
parlare con chiunque altro. Renaud
sa benissimo che la notizia non potrebbe essere tenuta nascosta tanto a
lungo, ma vuole avere il tempo di assicurarsi le proprietà personali del
suocero. * La
carovana con cui viaggiano Giovanni e Riccardo prosegue fino a Rougegarde. Giovanni
e Riccardo ritornano alla loro casa. Giovanni è impaziente di riabbracciare
il piccolo Nino, il figlio di Louison che porta il suo nome. Giovanni
ha riflettuto a lungo sul da farsi ed è ormai deciso a sposare Louison e
adottare il bambino. A lasciarlo ancora in dubbio è il passato di Louison:
anche se ormai è da tempo una locandiera, il suo passato di prostituta è noto
a diversi uomini. E d’altronde anche la professione di locandiera non è molto
rispettabile. Se
Giovanni sposerà Louison, qualcuno potrebbe raccontare in giro che il ricco
mercante ha sposato una puttana. Giovanni ha sempre frequentato volentieri le
prostitute, preferendo non impegnarsi in relazioni sentimentali, ma non gli
piace l’idea che si sparli di lui. Fortunatamente in Terrasanta, dove le
donne sono assai meno numerose degli uomini, c’è una maggiore tolleranza e
ciò che sarebbe impensabile in Italia, a Rougegarde non desterebbe lo stesso
scandalo. E poi Giovanni sa benissimo che su di lui circolano tante voci.
L’importante è che la sua reputazione di abile mercante non venga intaccata,
per il resto, che sparlino pure. Giovanni
sorride. -
Che hai, zio? Ti vedo allegro. Giovanni
guarda Riccardo. - Ho
un’idea in testa, ma è presto per parlarne. Prima
di dirlo a Riccardo, Giovanni deve chiedere a Louison. Un tempo non avrebbe
avuto dubbi: per una prostituta diventare la rispettabile moglie di un ricco
mercante è una gran fortuna. Ma ora che è una locandiera, anche Louison ha
cambiato atteggiamento. * Nicolas
si presenta al duca con un inchino: anche se sono soli, Nicolas rispetta le
formalità. Ieri sera lui e il duca hanno scopato, come tante altre volte, ma
Nicolas sa rimanere nel suo ruolo, che è quello di capo della guardia
personale del duca. Denis
d’Aguilard, duca di Rougegarde, legge subito in viso a Nicolas che è successo
qualche cosa di importante. -
Che cosa c’è, Nicolas? - Il
conte Philippe di Cesarea è stato assassinato a Damasco. La
notizia è grave: il conte Philippe di Cesarea era uno dei più importanti
signori del regno, suocero di Renaud di Soissons, il signore di San Giacomo
d’Afrin. -
Che cosa si sa di questo omicidio? -
Nulla, a quanto pare. Il conte e il suo servitore sono stati uccisi in una
via di Damasco a notte fonda. Si pensa a una rapina: i gioielli e la borsa
del conte sono scomparsi. - Il
suo servitore? Il conte Philippe girava a notte fonda per le vie di Damasco
con un solo servitore? Alquanto strano. - Non
so che dirvi, duca. Questo è quanto ho saputo. La notizia è arrivata in
fretta, con una carovana di mercanti di San Giacomo. Denis
annuisce, mentre si pone molte domande. Che cosa può aver spinto un uomo
esperto come Philippe a muoversi con un solo servitore nel cuore della notte?
Probabilmente non voleva testimoni, qualcuno che potesse raccontare dove era
andato, chi aveva visto. Qualche affare privato? In questo caso il duca ha
un’idea precisa: la sua rete di informatori e spie gli fornisce notizie sui
signori franchi come su quelli saraceni e Denis è a conoscenza dei gusti di
Philippe. Ma Philippe avrebbe anche potuto avere un incontro con qualche
personaggio importante, un signore arabo, che ha deciso di farlo eliminare:
l’appuntamento poteva celare una trappola oppure l’esito dell’incontro è
stato negativo e questo ha segnato la condanna a morte di Philippe. Denis
sa che riceverà presto notizie dal suo uomo a Damasco. Intanto
bisogna capire le conseguenze di quanto è successo. Il conte non ha eredi maschi,
quindi la baronia di Cesarea verrà assegnata a qualcun altro. Chi? La figlia
di Philippe ha sposato Renaud, il signore di San Giacomo, ed è incinta.
Renaud potrebbe richiedere Cesarea per sé o per il figlio, la chiederà di
sicuro. Ma Denis dubita fortemente che re Amalrico gliela conceda. Ci sono
diversi altri pretendenti, lontani parenti di Philippe, e alcuni cavalieri
senza feudo a cui re Amalrico potrebbe decidere di affidare la città. Denis
sa che potrebbe richiederla, ma non ritiene opportuno farlo: il territorio di
Rougegarde è vasto e la città è fiorente. Cesarea, anch’essa ai confini con i
territori saraceni, ha bisogno di un signore che vi risieda stabilmente e che
ne organizzi la difesa. Però, poiché i territori di Cesarea e Rougegarde sono
confinanti, sarebbe meglio se il nuovo signore di Cesarea fosse qualcuno su
cui contare. Re
Amalrico lo consulterà? È possibile, ma non è detto. * Amaury
di Rochenoire osserva il castello di Ferdinando. Era la residenza estiva
dello sceicco di Rougegarde ed è considerato uno dei palazzi più raffinati
della Terrasanta. È buffo pensare che ora sia in mano a un uomo piuttosto
grezzo come Ferdinando. Ad
Amaury Ferdinando piace molto: ne apprezza la vitalità e la mancanza di remore
nel soddisfare i propri desideri, la schiettezza e il coraggio, oltre alle
doti fisiche che ne fanno un magnifico maschio. Non è facile trovare un uomo
altrettanto dotato e vigoroso, sempre disponibile a provare qualche cosa di
nuovo e del tutto privo di pudore. Ma Amaury vede chiaramente i limiti del
suo amico: il siciliano è piuttosto rozzo ed è troppo irruente, spesso
incapace di dominarsi. Non è certo un politico accorto e non ha doti
diplomatiche. Ha però l’intelligenza necessaria per comprendere i propri
limiti e lasciarsi guidare da una persona abile e responsabile come Denis di
Rougegarde. Nell’ultima
spedizione in Egitto hanno fatto conoscenza, trascorrendo insieme alcune
notti infuocate. E Ferdinando ha invitato Amaury a venirlo a trovare nel suo
castello: ad Amaury non spiace l’idea di trascorrere un periodo con il conte
Ferdinando, a cacciare e scopare. Ferdinando
accoglie Amaury sulla porta, sorridendo. Amaury nota subito che l’attenzione
del suo amico è attirata da Junayd, il nero che Amaury ha portato con sé,
insieme alla piccola scorta. Ferdinando non deve avere avuto molte occasioni
di vedere da vicino un nero, anche se ce ne sono in Terrasanta, come in Siria
e in Egitto. Dopo
che si sono abbracciati, Ferdinando fa accomodare Amaury e la sua scorta
nella sala, dove i servitori portano da bere. Dopo i giorni di viaggio, è
piacevole riposare nella sala e gustare un buon vino. Ferdinando
e Amaury si scambiano notizie, poi Ferdinando osserva: -
Vedo che hai un negro tra i tuoi uomini. -
Sì, è Junayd, uno schiavo che ho comprato di recente. È stato a lungo al
servizio di un signorotto di Damasco ed è molto abile nel mass. -
Mass? Che cazzo è? - La
parola è araba. Ma non ti dico che cos’è. Te lo farò provare dopo il bagno. E
sono sicuro che ti piacerà. Ferdinando
è curioso e propone: -
Facciamo subito il bagno? Poi
aggiunge: - O
vuoi che prima ti faccia visitare il palazzo? O magari preferisci riposarti? C’è
una certa ironia nella domanda finale di Ferdinando: sa benissimo che il suo
amico ha la stessa sua voglia. Amaury
scuote la testa. -
Vada per il bagno. Junayd verrà con noi, così potrai scoprire che cos’è il
mass. Ferdinando
dice ai suoi servitori di accompagnare gli uomini di Amaury nell’appartamento
destinato al cavaliere di Rochenoire, dove vi sono le stanze per l’ospite e
quelle per la sua scorta. Anche i guerrieri e i servitori che hanno
accompagnato Amaury potranno lavarsi, se lo desiderano, nei bagni dei
servitori. Ferdinando
e Amaury si dirigono ai bagni padronali. Junayd, a un cenno del suo signore,
ha preso una sacca e li segue. I
bagni del palazzo sono lussuosi, come tutto l’edificio. I due nobili si
spogliano e poi lasciano che i servitori li lavino. Ferdinando non nasconde
il suo piacere nel guardare il corpo forte e agile di Amaury. È uno sguardo
sfacciato e Amaury si accorge che il cazzo di Ferdinando sta già alzando la
testa. Non si stupisce: il siciliano è tanto dotato quanto focoso e si
accende in fretta. Quando
i servitori li hanno lavati, i due amici si immergono nella grande vasca.
Intanto Junayd ha steso una stuoia sul pavimento e ora si lava le mani. Amaury
chiede: -
Sei pronto per il mass, Ferdinando? -
Certo, anche se non mi hai ancora detto che cos’è. -
Adesso lo vedi. Ferdinando
esce dall’acqua e mentre si asciuga osserva il magnifico nero. Non ha mai
scopato con un nero e conta proprio di farlo, se Amaury non ha niente in
contrario. Chissà com’è inculare un bel nero, vedere il cazzo che affonda
nella carne scura? Questo mass di cui gli ha parlato il suo amico sarà mica
una scopata? Non gli spiacerebbe. Junayd
fa un cenno a Ferdinando, indicandogli la stuoia. Amaury gli dice che può
parlare in arabo: Ferdinando lo capisce, anche se si esprime in modo molto
approssimativo. -
Stendetevi, conte. Ferdinando
si stende sulla schiena, ma Junayd gli dice: -
Dall’altra parte. Ferdinando
si gira sulla pancia. Junayd si toglie la tunica. Poi si unge le mani d’olio
e incomincia a passarle sulla schiena di Ferdinando, dal collo al culo. Le
mani di Junayd percorrono il corpo, con movimenti ora lenti ora più veloci,
premendo o sfiorando appena, dando piccoli colpi. Ferdinando
non capisce che cosa stia facendo il nero, ma è piacevole, davvero piacevole
e allora, che bisogno c’è di capire? Le mani scendono lungo le gambe, le
avvolgono in una carezza, le frizionano decise, tracciano cerchi più o meno
ampi. Le
mani risalgono fino a raggiungere il culo, dove indugiano a lungo. La
sensazione è splendida. Le dita scorrono sul solco, più volte, poi i pollici
stuzzicano l’apertura. Ferdinando geme di piacere. Ha il cazzo duro come la
lama di una spada. Le
mani scendono, indugiano a lungo nell’area tra il buco del culo e i coglioni.
Ferdinando geme di nuovo. Poi le mani Junayd riprendono a passare lungo la
schiena, le gambe e le braccia, ritornano al culo e stringono con forza,
danno piccoli colpi, scivolano ancora sul solco. Junayd
si ferma. -
Potete voltarvi, conte. Ferdinando
si volta. Il cazzo è una pietra. Junayd si versa di nuovo un po’ d’olio sulle
mani e riprende a passarle sul corpo di Ferdinando, che volta la testa verso
Amaury e sorride: il suo amico gli ha fatto davvero un bel regalo. Junayd
accarezza le braccia, le gambe, il torace villoso, il ventre. Le mani
sfiorano spesso il cazzo, stuzzicano i coglioni. Ferdinando è sul punto di
venire. Il
movimento delle mani si ferma, poi riprende, ma questa volta senza più
avvicinarsi al cazzo. Junayd passa dietro la testa di Ferdinando e gli
accarezza il collo e le guance, poi si china in avanti su Ferdinando, che può
vedere il corpo del nero sopra il suo. Junayd fa scivolare le mani fino al
ventre, ma non tocca il cazzo, teso allo spasimo. Poi
Junayd si alza, passa davanti, sposta le gambe di Ferdinando, aprendole, e si
inginocchia. Le sue mani riprendono a scorrere sul torace e sul ventre di
Ferdinando, fino al sesso. Ferdinando sente che il piacere sta per esplodere.
Il nero avvolge il cazzo e i coglioni di Ferdinando, poi una mano accarezza
con un movimento rotatorio il cazzo, mentre l’altra si infila dietro i
coglioni e stuzzica il buco del culo. Ferdinando sente l’ondata del piacere
travolgerlo. Bestemmia, mentre un orgasmo violento lo scuote. Il nero lo
accarezza ancora, poi passa dietro di lui, gli solleva il capo e lo poggia
sulle sue gambe, mentre le sue dita scivolano sul viso del conte. Ferdinando
sorride, poi si rivolge ad Amaury: -
Porcoddio, Amaury. Non credevo di godere così per una sega. Amaury
sorride. - È
più di una sega, Ferdinando. Molto di più. Sì,
questo è vero, Ferdinando deve riconoscerlo. È una meraviglia. - E
così questo è un mass. - Un
mass completo, chiamiamolo così. Se vai in un hammam e chiedi che ti facciano
un mass, non ti aspettare un mass di questo tipo. È molto piacevole, ma non è
previsto che finisca così. -
Niente sega? -
No. Però è bello anche senza. Poi ci sono quelli che sanno farti un mass come
Junayd. Li paghi di più, ma è un'altra cosa. Poi
Amaury prosegue: -
Adesso, se non ti spiace, mi faccio fare anch’io un mass. - Va
bene. Ferdinando
ride e aggiunge: -
Fai come se il negro fosse tuo. Junayd
si sposta. Si lava le mani e poi le unge nuovamente di olio. Si avvicina ad
Amaury e incomincia a massaggiarlo. Lo fa con lentezza. Né lui, né Amaury
sembrano avere fretta. Ferdinando osserva la scena, sorridendo, ma presto
avverte dentro di sé una tensione crescente: è bellissimo guardare questi due
corpi, quello più chiaro di Amaury e quello scuro di Junayd, le mani nere che
accarezzano, premono, stringono. Quando infine anche Amaury viene, Ferdinando
ha di nuovo il cazzo duro. Osserva
il culo del nero, stretto in una fascia che è il suo unico indumento in
questo momento. -
Amaury, posso metterlo in culo al tuo negro? Non ho mai provato il culo di un
negro. -
Certo, Ferdinando. Amaury
si rivolge in arabo a Junayd e gli dice di spogliarsi e stendersi a gambe
larghe. Junayd obbedisce senza mostrare stupore: si toglie la fascia,
rivelando un cazzo di dimensioni ragguardevoli e non più a riposo, poi si
stende. Ferdinando si dice che anche Amaury deve aver gustato più volte
questo bel culo nero che ora gli si offre. Ferdinando
si avvicina. Stringe il culo con le mani. Gli piace vedere le sue mani contro
questa pelle scurissima. È bella questa carne nera che gli si offre. È una
sensazione del tutto nuova. Ferdinando
si stende su Junayd; ma poi si solleva: vuole vedere. Avvicina la cappella
all’apertura e poi spinge in avanti, guardando affascinato il suo cazzo
chiaro che scompare nel culo scuro del nero. Gli piace questo corpo scuro che
ora stringe, fottere questo bel maschio nero è grandioso. Ferdinando dà
inizio alla cavalcata, in cui mette tutta l’energia che lo contraddistingue. Dopo
aver a lungo trottato e galoppato, Ferdinando viene dentro il culo di Junayd
e si abbandona su di lui. -
Ma, Amaury, dimmi un po’, lo sborro di Junayd è nero? Amaury
ride e scuote la testa. -
No, il colore è lo stesso. -
Adesso verifico. Rimanendo
dentro Junayd, Ferdinando si gira su un lato, afferra il cazzo del nero,
ormai rigido, e prende a muovere la mano in alto e in basso, finché anche il
nero viene. - È
vero. Ce l’ha anche lui chiaro. Che buffo. E perché allora i figli dei negri
vengono con la pelle scura? Amaury
alza le spalle, senza dire nulla. Dopo
un momento Ferdinando esce da Junayd e si stende nuovamente supino. Guarda
l’amico e vede che Amaury ha il cazzo mezzo duro: guardare lo spettacolo gli
ha fatto effetto. Ferdinando sorride. - Mi
sa che mi toccherà fare ancora uno sforzo. - Se
non ti costa troppa fatica. E se ce la fai… -
Porcoddio, Amaury! Hai dei dubbi? Amaury
scuote la testa. -
No, nessuno. -
Vieni qui. -
Aspetta. Amaury
si rivolge al nero, che raccoglie le sue cose, si riveste e se ne va. Amaury
si avvicina a Ferdinando e si siede su di lui, in modo che il suo culo poggi
sul cazzo del siciliano, che si irrigidisce rapidamente. Poi si solleva,
afferra l’arma e la mette in verticale, in modo che abbassandosi, essa gli
entri in culo. Sul
viso di Amaury appare una smorfia: l’attrezzo di Ferdinando è di quelli che
non è facile prendere in culo, anche se si è abituati. Amaury prende a
sollevarsi e abbassarsi, mentre sul suo viso appaiono goccioline di sudore.
Ferdinando si limita a piccole spinte del culo che accompagnano i movimenti
dell’amico. Amaury chiude gli occhi. Il suo corpo si sta coprendo di una
patina di sudore. Il culo gli fa male, ma questa vigorosa mazza su cui si
impala gli trasmette sensazioni fortissime. Amaury incomincia lentamente ad
accarezzarsi. Il cazzo gli si tende. Amaury si ferma, stordito da questo
piacere misto a dolore, esausto. Ferdinando spinge il culo in alto,
infilzando sulla sua arma poderosa Amaury, che geme. Amaury riprende a
sollevarsi e abbassarsi, mentre con la mano si masturba lentamente. E infine
Amaury sente il seme di Ferdinando spargersi nel suo culo. Una mano di
Ferdinando gli afferra il cazzo. Amaury toglie la propria e lascia che
l’amico lo porti al piacere. Poi si abbandona su di lui, spossato e madido di
sudore. Rimangono
a lungo così distesi. Amaury pensa che è bellissimo sentire sotto di sé il
corpo di Ferdinando e in culo l’arma dell’amico, ormai più tollerabile. Più
tardi Ferdinando fa visitare ad Amaury il palazzo. Gli mostra anche la camera
da letto, con le pareti affrescate. -
Ferdinando! Ti sei fatto dipingere sulle pareti! Questa non me lo sarei
aspettata. Ferdinando
ride. -
Non ci avrei mai pensato, ma lo sceicco che ci viveva aveva fatto dipingere
diverse scene in cui compariva lui. Io ho fatto apportare qualche ritocco e
mi sono fatto ritrarre al posto suo. -
Qualche ritocco? Immagino che al posto di quei maschi che si bagnano nudi nel
fiume ci fossero belle ragazze. -
Hai indovinato. Ma che cazzo me ne facevo delle belle ragazze? - È
strano, però. So che il Corano vieta la raffigurazione di figure umane. - Se
è per quello, vieta anche il vino, ma quanti ne abbiamo conosciuti, di
saraceni che bevono come spugne? - È
vero. E questo era l’appartamento privato dello sceicco. Non riceveva
visitatori qui. Accanto
alla camera ce n’è un’altra, più piccola: una specie di ampio vestibolo. Le
pareti non sono affrescate. -
Qui potresti farti dipingere mentre Junayd ti fa un mass. Ferdinando
ride. -
Potrei davvero farlo. So dove trovare il pittore, vive a Rougegarde. È bravo,
non trovi? -
Sì, direi proprio di sì. Se mai un giorno avessi anch’io un palazzo, gli
chiederei di lavorare per me. Il
giorno seguente Ferdinando e Amaury vanno a caccia di cinghiali. Entrambi
amano il gioco della caccia, anche se Amaury non è temerario come Ferdinando.
Il siciliano ama il rischio e la violenza: per lui sono gli ingredienti
piccanti che danno il sapore giusto all'attività. Accanto alle cicatrici
della battaglie il suo corpo ha anche quelle della caccia, ma le ferite
inferte da un cinghiale e da un orso non hanno distolto Ferdinando dalla
caccia e non l’hanno nemmeno reso più prudente. Amaury
è affascinato dalla temerarietà di Ferdinando, come lo è dalla sua forza e
dalla sessualità esuberante. Non sarebbe l’uomo con cui vorrebbe vivere, ma
certamente lo attrae molto. Gli piace vederlo, sudato e scarmigliato, finire
l’animale a coltellate, detergersi il sangue e il sudore dopo la caccia,
senza celare il rigonfio nei pantaloni. Ferdinando è un animale che ama la
vita senza remore. Ama scopare, mangiare, uccidere e non lo nasconde. Sono
appena tornati quando uno degli uomini di Ferdinando comunica che un
contadino è stato arrestato per aver ucciso un vicino. Ferdinando, in quanto
conte dell’Arram, ha il compito di giudicare. L’udienza
si tiene il giorno dopo. Il caso è molto semplice. Il contadino, Tommaso, è
uno dei siciliani venuti oltremare per stabilirsi nella contea dell’Arram. Ha
ucciso un suo vicino, uno degli arabi che già vivevano nella vallata, per
impadronirsi dei suoi campi. Da tempo Tommaso tendeva a spostare i confini
del suo podere a danno del vicino, convinto che l’uomo avrebbe subito in
silenzio perché era un arabo e non un cristiano. Ma Ferdinando, su consiglio
di Denis, non ha mai permesso questi soprusi nella vallata e l’arabo si è
ribellato, minacciando di denunciare Tommaso. Tommaso allora l’ha ucciso. Il
breve processo si conclude con la condanna a morte di Tommaso. Ferdinando
decide: - Lo
faremo impiccare domani. Assistere
allo spettacolo di un’impiccagione non gli dispiace per niente. Berto,
uno degli uomini di Ferdinando, osserva: -
Signor conte, se mi permettete, vi suggerirei un altro tipo di esecuzione. - Un
altro tipo? Dimmi, Berto. Ferdinando
è curioso di sentire l’idea di Berto, che sorride e dice: -
Potreste utilizzare il condannato per offrire al vostro illustre ospite una
bella caccia all’uomo. -
Una caccia all’uomo? Che cazzo dici? - Sì
lo lasciamo libero, gli diamo un certo vantaggio e poi lo inseguiamo, come se
fosse un cinghiale. Ferdinando
scoppia a ridere. Non ha mai pensato a una cosa del genere, ma l’idea gli
sembra eccellente. -
Porcoddio, mi sembra una bella idea. Che ne dici, Amaury? -
Perché no? Una caccia insolita, ma direi che si può fare e la preda è proprio
un orso. Il
contadino è un uomo alto e robusto, con una fitta foresta di peli sulle
braccia e sulle gambe. Non è abbastanza vicino per sentire ciò che dicono il
conte e gli uomini intorno a lui, ma ha intuito che stanno parlando di lui e
li guarda. Non appare spaventato: sembra invece rabbioso. A
Gerusalemme è arrivata la notizia dell’assassinio di Philippe di Cesarea. E
due giorni dopo si viene a sapere che la baronessa di San Giacomo d’Afrin,
Mélisende di Cesarea, ha generato un figlio morto subito. La
morte di Philippe ha sconcertato re Amalrico. Chi l’ha ucciso e perché? Si
tratta davvero di un omicidio per rapina o c’è altro? Il conte Philippe
conduceva una trattativa importante ed era uno dei pochi uomini su cui
Amalrico sapeva di poter davvero contare. La
lettera che gli viene recapitata in segreto da un messaggero di Nur ad-Din
non fornisce chiarimenti. Il signore della Siria si dice dispiaciuto per
quanto è successo e disponibile a proseguire le trattative, ma non è in grado
di assicurare alla giustizia gli assassini. Assicura Amalrico che i suoi
uomini stanno facendo di tutto per trovarli, ma non ci sono testimoni e in
questa situazione è impossibile scoprire i colpevoli. Amalrico
sa che dovrà assegnare Cesarea a qualche altro cavaliere: non ci sono eredi
diretti in linea maschile che possano vantare diritti su una contea che il re
in persona ha assegnato a Philippe. Molti vorrebbero diventare signori di
questa città importante. Amalrico sa che dovrà scegliere con cura. Charles
di Soissons, che Amalrico ha nominato barone di San Giacomo d’Afrin insieme
ai suoi fratelli, è giunto a corte e ha informato Amalrico che Renaud si è
recato a Cesarea per tenere sotto controllo la situazione. È chiaro che
Renaud vorrebbe Cesarea e come lui la desiderano altri. * Il
barone Hugues d’Arbert spera di ottenere Cesarea: sa bene di essere uno dei
possibili candidati, per il valore dimostrato nella spedizione in Egitto.
Cesarea è ai confini dei domini franchi e ha bisogno di un signore
coraggioso, in grado di affrontare in battaglia i nemici. Ma Hugues sa bene
di non essere certo l’unico candidato. A
corte è arrivato Charles di Soissons, sicuramente mandato dal fratello nella
speranza di convincere il re ad assegnare a Renaud la contea di Cesarea,
visto che Renaud ha sposato la figlia di Philippe. Ma Hugues non teme questo
rivale, che sa non essere apprezzato dal re. Hugues
non si preoccupa neanche dei cugini di Philippe, che non sono neppure loro
nelle grazie del re: non sono uomini molto ricchi e potenti e nessuno di loro
si è mai distinto per gesti di valore. Amalrico è interessato a premiare quei
cavalieri su cui davvero può contare in guerra: il regno di Gerusalemme è
continuamente minacciato e c’è bisogno di guerrieri forti e coraggiosi. Amalrico
potrebbe assegnare Cesarea a Denis d’Aguilard, signore di Rougegarde: il Cane
dagli occhi azzurri, come lo chiamano i saraceni, è il migliore tra i nobili
del regno e il suo principale difensore, un vero flagello per i nemici, che
lo temono come nessun altro signore franco. Hugues sa benissimo che non può
competere con lui. Ma Denis non è un uomo ambizioso e probabilmente non ha
mire su Cesarea. Escluso
Denis di Rougegarde, il principale rivale di Hugues è Amaury di Rochenoire,
che non è a Gerusalemme. Hugues e Amaury sono amici. Hanno più volte
combattuto insieme, rivaleggiando in valore, e quando sono entrambi a
Gerusalemme si ritrovano spesso l’uno a casa dell’altro. Adesso
però Amaury è lontano e Hugues intende approfittare di questa lontananza per
ottenere ciò che desidera: l’amico farebbe lo stesso se fosse al suo posto.
Un’occasione del genere potrebbe non ripresentarsi tanto presto, forse non si
ripresenterà mai. Il periodo delle conquiste franche in Oriente è finito: la
conquista di Rougegarde e Afrin è stata probabilmente l'ultima tappa di
un'espansione avviata quasi settant'anni fa, con la presa di Gerusalemme. I
territori franchi sono continuamente minacciati, Edessa è stata già perduta
oltre vent’anni fa. * La
grande caccia si apre all’alba. Ferdinando
e Amaury hanno trascorso la notte assieme. Hanno scopato a lungo, poi si sono
addormentati, ma Ferdinando si è svegliato presto. Il conte è eccitato come
un bambino all’idea di questa caccia insolita. Tommaso
viene portato nel cortile. È nudo. Amaury osserva che è un bel maschio. Ma
presto sarà una carcassa che i cani divoreranno. Il condannato viene lasciato
libero: avrà un’ora di vantaggio sui cacciatori. Tommaso sa che la caccia si
concluderà con la sua morte: i cani di quei bastardi riusciranno a trovare le
sue tracce, qualunque cosa lui faccia, e con cavalli lo raggiungeranno senza
fatica, dovunque decida di fuggire. Tommaso
è furente. Non capisce perché quello stronzo del conte lo ha condannato a
morte. La vallata il conte l’ha conquistata con le armi, mica gliel’hanno
regalata i saraceni. Tommaso si è preso la terra di quel bastardo di Omar,
perché qui comandano i cristiani. Omar non doveva reagire. Se l’è cercata. E
ora lo cacciano come un animale e lo ammazzano. Ma
Tommaso non ha nessuna intenzione di farsi fottere senza reagire. Se deve
crepare, creperà come un orso, non come un coniglio. Si muove rapidamente verso
il villaggio di Terreneuve. Gli hanno dato un’ora di vantaggio e in meno di
un’ora può arrivarci. Nel
paese ci sono poche donne con i bambini più piccoli: gli uomini, i ragazzi e
anche diverse donne sono nei campi. Una donna vede arrivare Tommaso nudo e
lancia un grido. Tommaso ride. - Te
lo farei assaggiare, ma adesso ho altro da fare. Dovrai aspettare. Tommaso
entra in una casa. Anche qui c’è una donna, che vedendolo prende in braccio
la figlioletta e arretra, spaventata. -
Non sono qui per questo. Magari ci vediamo dopo… Tommaso
guarda tra i pochi attrezzi di cucina. C’è quello che cercava: un buon
coltello. Non è molto, ma con questo conta di far fuori almeno uno o due di
quei fottuti cacciatori che sono sulle sue tracce. Li
sente arrivare presto, mentre si addentra nel bosco. I cani non ci hanno
messo molto a rintracciarlo. I
cani sono tutti intorno alla preda, che giace a terra. Tommaso è steso sulla
pancia, un braccio sotto il corpo, immobile. I cani sono ben addestrati: non
si scaglieranno su di lui finché il conte non darà il segnale. Si limitano a
tenerlo sotto controllo e abbaiare furiosamente. Il
primo a farsi sotto è uno degli uomini di Ferdinando, Basan. Non vuole
uccidere Tommaso, sa che abbattere la preda è un onore riservato al conte o al
suo ospite: si limiterà a pungolarlo con la lancia, costringendolo ad
alzarsi. Tommaso
rimane fermo, ma quando Basan con la lancia lo colpisce leggermente alla
coscia, si volta di scatto e balza su Basan. Ha un coltello in mano e cerca
di colpire Basan al cuore. Basan schiva il colpo, che lo prende al braccio.
La lancia gli cade di mano. Tommaso vibra un altro colpo e Basan alza il
braccio ferito per ripararsi. La lama taglia il braccio e poi colpisce Basan
al petto. Basan lancia un grido, mentre salta indietro, incespica in una
radice e cade. Tommaso ha già raccolto la lancia e con un gesto rapido la
scaglia contro il conte Ferdinando che sta scendendo da cavallo, a pochi
passi. Tommaso
non è un guerriero esperto e a Ferdinando basta chinarsi per evitare la
lancia, che lo sfiora appena. Tommaso allora riprende il coltello e si lancia
contro Basan, per finirlo. Ferdinando muove rapidamente la sua lancia e
colpisce Tommaso, facendolo cadere all’indietro. Il contadino cerca di
togliere la lancia che gli si è conficcata nel basso ventre, ma Ferdinando
spinge con forza e l’arma trapassa il corpo di Tommaso, che grida e cade a
terra. Ferdinando
ritrae la lancia. Il contadino solleva la testa di scatto, gli occhi
spalancati, sul viso una smorfia di dolore, poi il capo ricade al suolo.
Respira ancora, affannosamente, ma sembra non essere più in grado di
muoversi. Ferdinando
scende da cavallo e si china su Basan, che ha gli abiti inzuppati di sangue. -
Porcoddio! Questo bastardo ti ha quasi ammazzato… Ferdinando
non si accorge che Tommaso si sta sollevando e stringe ancora in mano il
coltello. Amaury grida: -
Attento! Ferdinando
si volta di scatto e afferra il polso del contadino, bloccandolo facilmente:
l’uomo non ha più forza e solo nel desiderio di vendetta ha trovato l’energia
necessaria a sollevarsi. Ferdinando torce il polso di Tommaso fino a che la
lama è rivolta contro il petto dell’uomo. Passa la sinistra dietro la schiena
di Tommaso e con la destra spinge, finché il coltello penetra tra le costole
del contadino. Tommaso lancia un grido e si accascia. Ferdinando toglie la
mano che sosteneva il contadino e il corpo scivola al suolo. Tommaso rovescia
la testa di lato. Un fiotto di sangue gli esce dalla bocca. Ferdinando
si china di nuovo su Basan, che si sta sollevando. Nonostante perda parecchio
sangue, le ferite non appaiono molto gravi. I compagni gli fanno una
medicazione provvisoria, in attesa che il medico personale di Ferdinando si
prenda cura di lui. Amaury
ha dato un’occhiata alle ferite. - Se
la caverà. Hai un buon medico? -
Porcoddio, puoi dirlo. Me l’ha trovato Denis… il duca di Rougegarde. È
siriano. - I
medici siriani sono i migliori. I nostri sono dei cani. Ferdinando
annuisce. -
Adesso il finale. Ferdinando
fischia ai cani: è il segnale convenuto e la muta si scaglia sulla preda,
dilaniando il corpo del contadino. Ferdinando e Amaury assistono allo
spettacolo, poi i due ritornano verso il palazzo, seguiti dagli altri
servitori. Ferdinando
è contento. -
Questa caccia è stata proprio una bella idea. Poiché
Amaury rimane silenzioso, Ferdinando prosegue: - A
te non è piaciuta? -
Sì, certo. - La
prossima volta il coltello alla preda lo diamo noi. È molto più divertente
così. Amaury
non si stupisce dell’idea di Ferdinando: conosce il suo amico. Quando
ritornano al palazzo, un servitore annuncia che un messaggero attende Amaury. Il
messaggero porta una lettera. Amaury l’apre e la scorre. Appena ha finito, si
rivolge a Ferdinando: -
Ferdinando, il conte Philippe di Cesarea è stato assassinato a Damasco. Non
ci sono eredi maschi diretti. Alcuni amici a corte mi consigliano di tornare
a Gerusalemme per vedere se riesco a ottenere che il re mi assegni la città.
Sai che in Egitto mi ha lodato per l’attacco sul delta. Ferdinando
annuisce e osserva: -
Non è meglio se parti domani mattina? La giornata è già a metà e il sole
tramonta presto. Amaury
sorride. Sa benissimo che cosa ha in mente Ferdinando e non gli dispiacerebbe
per niente. Ma deve cercare di arrivare a Gerusalemme il più presto
possibile. Nella lettera si parla anche di Hugues d’Arbert, con cui Amaury ha
ottimi rapporti, ma adesso Hugues è un avversario. E poi ci sono gli altri,
soprattutto i cugini di Philippe e il marito di Mélisende di Cesarea: quel
figlio di puttana di Renaud è un rivale pericoloso, anche se il re non ne ha
grande stima. -
No, Ferdinando. Prima arrivo a Gerusalemme, meglio è. Faccio preparare i
bagagli e partiamo. Amaury
dà tutti gli ordini necessari. Al
momento di lasciarsi, Ferdinando dice: - Se
trovi un altro schiavo che sappia fare bene un mass, compramelo. Te lo
pago. Amaury
ride: - Un
mass normale o un mass come quelli di Junayd? Anche
Ferdinando ride: - E
me lo chiedi? Un mass completo. Non mi piacciono le cose lasciate a
metà. * Il
palazzo di Philippe di Cesarea è una fortezza saracena, a cui il conte aveva
apportato poche modifiche. Lo sceicco locale era un guerriero potente, che
non disdegnava i piaceri della vita, ma nella costruzione del suo palazzo si
era preoccupato soprattutto delle esigenze della difesa. Renaud
si insedia a palazzo da padrone. Fa una prima ricognizione attenta, per
individuare gli oggetti di valore e capire se qualche cosa può essere stato
sottratto. Poi con il segretario di Philippe e i suoi uomini fa un inventario
dei beni personali del conte: qualunque decisione re Amalrico prenda per
quanto riguarda la città, le proprietà di Philippe spettano a Mélisende e
Renaud non intende essere privato di ciò che gli appartiene di diritto. Gli
uomini che ha portato con sé sorvegliano che niente venga sottratto. Dopo
una settimana arriva un messaggio di Charles. Il
re ha preso atto della tua presenza a Cesarea e ti affida provvisoriamente
anche il governo della città, più che altro perché si pensi che la tua
partenza sia avvenuta su suo ordine o almeno con il suo consenso. In ogni
caso tu dovrai occuparti solo dell’ordinaria amministrazione, in attesa che
Amalrico decida a chi verrà assegnata la contea. So che sta preparando un
decreto regio e una lettera con le istruzioni per te. Non
ha manifestato le sue intenzioni, ma nulla fa pensare che voglia tener conto
dei diritti di Mélisende. A corte si parla soprattutto del barone d’Arbert,
che è presente e fa in modo di ricordare spesso al sovrano l’ultima campagna
in Egitto, e di Amaury di Rochenoire, che non è a corte, ma ha numerosi
estimatori. Pare che sia nella valle dell’Arram, da Ferdinando di Siracusa.
Qualcuno sussurra che se Denis d’Aguilard si facesse avanti, il re non gli
direbbe di no, ma per il momento il duca non si è fatto vivo. Alcuni però
dicono che il re ha intenzione di consultarlo. Re
Amalrico non sembra intenzionato a prendere una decisione in fretta. Alcuni
ritengono perfino che possa rimandare una scelta al ritorno dalla prossima
campagna che sta preparando: un modo per spronare i cavalieri del regno a
combattere con maggiore ardimento, nella speranza di ottenere questo premio
ambito. Non
è nulla di diverso da ciò che Renaud si aspettava, ma la conferma dei suoi
timori suscita in lui una rabbia sorda. L’arrivo
del decreto regale e della lettera ufficiale del re aumentano la sua
frustrazione: Renaud sarà presto sostituito da qualcuno inviato dal re, che
governerà la città fino a una decisione definitiva. Il re non intende
affidargli la città neanche fino all’insediamento del nuovo signore: qualcuno
altro prenderà il suo posto come governatore. E tra le righe della lettera si
capisce che sicuramente chi arriverà dovrà controllare che Renaud non abbia
commesso irregolarità e non si sia impadronito di ciò che non gli spetta. Non
è detto esplicitamente, ma si intuisce in modo sufficientemente chiaro da
costituire un avvertimento. Renaud
fa preparare una carovana con tutto ciò che era proprietà personale del conte
Philippe. Aggiunge anche alcuni beni su cui i diritti di Mélisende non sono
così certi: una volta che saranno a San Giacomo d’Afrin, difficile che
qualcuno venga a reclamarli, ancora più difficile che qualcuno li possa
ottenere. Renaud
deve attendere il nuovo governatore inviato dal re, ma fa partire la carovana
con le sue proprietà appena è pronta: così non ci saranno controlli che
potrebbero creare situazioni spiacevoli. * Il
barone Hugues d’Arbert ha fatto tutto quanto poteva per ottenere Cesarea. In
primo luogo ha chiesto a coloro che erano disponibili ad appoggiarlo di ricordare
al re il contributo che ha dato alla spedizione in Egitto. Purtroppo
l’impresa è stata fallimentare, ma il valore di Hugues ha permesso di
contenere i danni. Poi ha cercato di farsi vedere spesso a corte e di parlare
con il sovrano, evitando però di affrontare direttamente l’argomento, per non
rischiare di indispettirlo. Inoltre ha unto un po’ di mani, tra coloro che
sono alle dipendenze del re, perché cerchino di predisporlo in suo favore. Di
più non può fare. Riuscirà a ottenere ciò che desidera? E se non sarà così, a
chi verrà assegnata Cesarea? Nei
giorni seguenti, si diffonde la voce che il re ha preso una decisione. I più
pensano che sarà Hugues ad ottenere la città, ma nessuno è in grado di dirlo
con certezza. Amaury
di Rochenoire torna a Gerusalemme e si presenta a corte, ma anche lui ha
subito l’impressione che i giochi ormai siano fatti: coloro che sono più
vicini al re pensano che Amalrico abbia ormai scelto; i suoi amici gli dicono
che è arrivato tardi. A quanto pare la sua assenza è stata fatale per le sue
aspirazioni. Forse invece anche se fosse stato presente non sarebbe cambiato
nulla. Amaury
ritrova Hugues. Nonostante la rivalità per Cesarea, rimangono in buoni
rapporti. Hugues
invita Amaury che passa a trovarlo. Amaury
racconta della caccia di Ferdinando e poi i due amici affrontano diversi
altri argomenti. Infine Amaury chiede: -
Pensi di ottenere Cesarea? - Lo
spero, ma non ho nessuna certezza. Se il re non la darà a me, spero almeno
che la dia a te e non a quel figlio di puttana di Renaud. Il
giorno seguente, Amalrico annuncia la sua decisione. Chiama Hugues e gli
dice: -
Barone, vi affido provvisoriamente il governo di Cesarea. Deciderò in seguito
se ve la assegnerò in feudo o se la città sarà attribuita a qualcun altro.
Fino ad allora, voi avrete il compito di reggerla. Hugues
è soddisfatto. Non ha ottenuto la città, ma sa che questo incarico di
governatore può essere il primo passo per diventare conte di Cesarea. Se darà
buona prova di sé nel governo della città, il re probabilmente gliela
affiderà definitivamente. Il
giorno seguente Amaury si congratula con lui, senza mentire: -
Avrei preferito che il re assegnasse a me la città, ma sono contento che
l’abbia avuta tu e non altri. Bisogna festeggiare. Vieni da me domani. Ti
offro un pranzo. Hugues
è contento che Amaury non se la sia presa: tiene all’amicizia di quest’uomo
valoroso. -
Accetto ben volentieri. E ricambierò invitandoti a Cesarea, quando mi sarò
installato nella mia nuova residenza. Il
giorno dopo Hugues si reca da Amaury. Non ci sono altri invitati: non è un
banchetto. Come è già accaduto in passato, il pranzo è un’occasione per
parlare tranquillamente. Discutono soprattutto di Cesarea, delle difficoltà
che dovrà affrontare Hugues, dell’ostilità di Renaud, che cederà malvolentieri
il governo della città. Parlano anche molto della situazione della Siria, che
Nur ad-Din ha riunito sotto il suo comando. Quando vi erano molti signori in
guerra gli uni contro gli altri, era più facile approfittare di queste
contese per conquistare nuove terre o almeno difendere i regni franchi.
Adesso i diversi signori locali hanno giurato fedeltà a Nur ad-Din. Dopo
pranzo Amaury offre a Hugues un mass, come ha già fatto altre volte. A
Hugues non piacciono gli uomini, ma apprezza il mass che sa fare
Junayd e anche il finale. Due
giorni dopo Hugues, dopo aver preparato i bagagli e raccolto gran parte delle
sue proprietà, parte per Cesarea. Renaud
lo ha atteso. Hugues sa che il barone si sarebbe risparmiato volentieri un incontro
per lui spiacevole, ma non poteva esimersi: sarebbe stata una scortesia nei
confronti di Hugues – ma di questo poco sarebbe importato a Renaud – e
soprattutto nei confronti del re. Renaud
fornisce a Hugues un rendiconto della sua amministrazione della città, poi,
concluso il suo compito, parte per San Giacomo d’Afrin. Hugues
si insedia nel palazzo del conte Philippe e incomincia a svolgere la sua
funzione, cercando di dimostrarsi capace e competente. E intanto cerca di
imparare a conoscere bene la contea, di cui mira a diventare signore.
Qualcuno già lo chiama conte, perché questo è il titolo che avrà il nuovo
signore di Cesarea. Ma Hugues d’Arbert sa bene che la città non gli
appartiene. Non
ancora. * Renaud
è tornato a San Giacomo d’Afrin. È irritato, anche se le proprietà del
suocero che ha riportato da Cesarea costituiscono un patrimonio
considerevole. Mélisende
sta meglio, ma nelle settimane successive al parto si è temuto per la sua
vita. Solo da alcuni giorni la baronessa si è ripresa ed è ancora debole. Il
medico siriano che l’ha assistita parla a Renaud. -
Barone, il parto ha quasi ucciso vostra moglie. Renaud
sa benissimo che Mélisende ha rischiato di morire, ma non capisce dove voglia
arrivare il medico. - E
allora? -
Un’altra gravidanza potrebbe provocarne la morte. -
Cosa?! - È
così, barone. Il rischio è molto forte. La baronessa non è più giovane e dopo
questo parto, una gravidanza metterebbe a rischio la sua vita. Renaud
riflette un momento. - Ne
avete parlato a mia moglie? -
No, signor barone. -
Non ditele nulla. Me ne occuperò io. Renaud
vuole un erede. Se Mélisende sarà in grado di darglielo, bene. Altrimenti
Renaud preferisce rimanere vedovo, in modo da potersi risposare. Non intende
certo lasciare il feudo a Jacques, che risulta essere figlio di Charles, ma
in realtà è il bastardo del loro fratello Olivier. * La
convocazione del re giunge a Denis d’Aguilard a settembre. Denis pensa subito
a progetti di guerra da parte del sovrano: sa che le truppe franche rimaste a
presidiare il Cairo sono in difficoltà e hanno richiesto aiuto. Non
si sbaglia: quando giunge a Gerusalemme e viene ricevuto dal re, Amalrico gli
parla proprio della spedizione che sta preparando: - Le
truppe di stanza al Cairo sono minacciate dalla popolazione. Il visir Sawer
non è un uomo di cui ci si possa fidare. Ho parlato a lungo con il Maestro
dell’Ospedale, Gilberto d’Assailly, e ritengo necessario organizzare una
nuova spedizione in Egitto. Dobbiamo spingerci fino al Cairo e costringere
gli egiziani a mantenere i patti. Denis
è alquanto scettico -
Sire, pensate davvero di poter occupare stabilmente l'Egitto? Non possiamo
conservare a lungo un paese così popoloso con un numero esiguo di soldati. - Lo
so, duca, lo so. Ma devo in qualche modo tenere sotto controllo la situazione
e impedire che evolva in modo a noi sfavorevole. Denis
si rende conto che l'esigenza del re è sensata, ma sa anche che ogni
intervento rischia di sortire l'effetto opposto a quello desiderato,
alimentando l'ostilità nei confronti dei franchi. Fino a ora i signorotti
saraceni sono stati spesso coinvolti in guerre per il potere che li hanno
messi gli uni contro gli altri e li hanno indeboliti. Ma se si unissero per
affrontare i franchi, costituirebbero una minaccia temibile. E ogni
espansione dei franchi rischia di produrre un'alleanza contro gli invasori
cristiani. Dopo
aver discusso a lungo della spedizione e della sua organizzazione, Amalrico
passa a un altro argomento: -
C'è un'altra faccenda di cui ho piacere di parlarvi, duca. -
Ditemi, Sire. -
Duca, come voi sapete devo assegnare la contea di Cesarea, rimasta senza
signore dopo la morte del conte Philippe. Vi ho inviato Hugues d’Arbert come
governatore, in attesa di effettuare una scelta definitiva. Il territorio di
Cesarea confina con quello di Rougegarde e non voglio prendere una decisione
senza prima avervi consultato. Denis
si inchina. - Vi
ringrazio dell’onore che mi fate. - Vi
conosco e so che siete in grado di valutare la mia scelta e consigliarmi
saggiamente, senza farvi guidare dai vostri interessi personali. Perciò vi
chiedo di dirmi che cosa ne pensate. -
Sire, ritengo che la vostra scelta sia ottima. Ho stima del barone d’Arbert
come guerriero e sono convinto che potrà governare Cesarea con la fermezza e
l’equilibrio necessari. Una cosa però mi permetto di suggerirvi: voi
progettate una nuova campagna in Egitto. Forse potreste comunicare che
prenderete una decisione definitiva al ritorno questa spedizione. Così avrete
modo di valutare il comportamento del barone d’Arbert come governatore di
Cesarea in questi mesi e poi di vedere all'opera sia il barone, sia gli altri
cavalieri durante la campagna. A quel punto avrete tutti gli elementi per
effettuare la vostra scelta. Amalrico
annuisce. - Il
vostro consiglio dimostra saggezza, Denis d’Aguilard. Poi
aggiunge: -
Quanti anni avete? Denis
è sorpreso dalla domanda. -
Ventisei, sire. Amalrico
sorride. -
Non so come sia possibile. Siete il più giovane tra i grandi signori del
regno e di gran lunga il più saggio. A un’età in cui tanti altri nobili
pensano solo a divertirsi, tra cacce, banchetti e bordelli, voi reggete
magnificamente la perla della Terrasanta. Denis
potrebbe replicare che a un’età in cui gli altri figli di nobili giocavano
ancora, lui già seguiva suo padre nella vita militare e che quando gli altri
incominciavano a correre dietro alle ragazze, lui era schiavo dei saraceni.
Non ha avuto molte occasioni di "divertirsi", Denis d'Aguilard,
nella sua vita, forse non l'ha mai davvero desiderato. È cresciuto in fretta.
Denis non si sente ventisei anni. Denis
si limita a dire: - Ho
fatto altre esperienze. La
frase non significa nulla, ma l’osservazione di Amalrico non richiedeva una
replica. Il
re conclude: - Al
termine della nuova campagna, assegnerò definitivamente Cesarea a Hugues
d’Arbert, se si sarà dimostrato valoroso e se nessun altro avrà compiuto atti
di valore tali da meritare più di lui la contea. * Quando
Denis rientra a Rougegarde, Nicolas lo avvisa: -
Tre giorni fa è venuto il vescovo. - Ha
detto che cosa voleva? - Ha
chiesto di parlare con la duchessa, che l’ha ricevuto. - Va
bene. Denis
non dice altro. I suoi uomini hanno il compito di informarlo su chiunque
chieda di essere ammesso a palazzo, ma Denis non vuole chiedere a nessuno,
nemmeno a Nicolas, un rendiconto di ciò che fa sua moglie: sarebbe lesivo per
la dignità di Maria, ma anche per quella di Denis. Maria
è una donna di grande intelligenza e sensibilità. Denis preferisce non
interrogarla sulla visita del vescovo: sua moglie non deve pensare che Denis
non ha fiducia in lei. Se Maria gli parlerà, bene; altrimenti non le chiederà
nulla e non farà nessuna allusione. Ma è
Maria stessa a proporre l'argomento, quella sera. -
Duca, posso parlarvi? -
Certamente, ditemi. -
Qualche giorno fa il vescovo è venuto a palazzo. Denis
annuisce. Non dice che ne era già informato, ma non si finge stupito. Non
pone domande dirette, si limita a incoraggiare la moglie dicendo: -
Voleva parlare con voi? -
Sì, credo che abbia scelto deliberatamente un giorno in cui voi non
c’eravate, per potermi parlare senza rischiare che il colloquio venisse
interrotto dal vostro arrivo. Ora
Denis può chiedere: - E
che cosa voleva? -
Inizialmente sembrava non avere nessuna richiesta. Ha detto che era una
visita di cortesia e che voleva parlare un po’ tranquillamente con la
duchessa di Rougegarde. Maria
sorride e aggiunge: -
Cioè voleva capire se potevo essere una buona pedina nel suo gioco. - E
voi, che gli avete detto? - Mi
sono dimostrata una moglie obbediente, ma molto disponibile a farmi guidare
dalla saggezza e dall'esperienza del vescovo. Denis
guarda Maria perplesso, in attesa di una spiegazione. Maria prosegue: -
Ritengo che sia importante per voi conoscere le intenzioni del vescovo, che
non è certo tra coloro su cui potete contare. Quando cercherà di servirsi di
me per raggiungere i suoi scopi, forse potrò rivelarvi qualche cosa di utile
o dirgli ciò che voi mi suggerirete per ostacolare i suoi piani. Denis
sorride. Per quanto avesse grande stima della moglie, si rende conto di
averla sottovalutata. -
Ammiro la vostra intelligenza e la vostra abilità, principessa. Maria
scuote la testa, sorridendo. -
Sono vissuta a lungo a corte, duca, sia in Armenia, sia a Gerusalemme. E ho
imparato a muovermi in un ambiente in cui dietro ogni sorriso si cela un
secondo fine. Una donna ha tutto da guadagnare ad apparire sottomessa e poco
intelligente, come noi donne sempre siamo, no, duca? Mentre
guarda Maria che sorride, Denis si dice che è davvero bellissima. -
Non vi ho mai considerata poco intelligente, principessa. Maria
annuisce e prosegue: -
Vedendomi disponibile, il vescovo ha proseguito affrontando argomenti
diversi. Prima ha espresso la sua preoccupazione per l’alto numero di moschee.
Mi ha detto che la presenza di molti musulmani in città vi mette in pericolo,
perché in caso di attacco dei saraceni, potrebbero tradirvi. Mi sono mostrata
preoccupata e gli ho detto che avrei cercato di parlarvi, ma che vi so molto
ostinato su questo argomento. - È
una sua vecchia preoccupazione, questa. Abbiamo punti di vista opposti. - Ha
anche citato Emich di Freiburg. Ritiene che sia un eretico, ma non aveva
elementi per provarlo. L’ha citato per ribadire i rischi che comporta la
vostra tolleranza. Denis
annuisce. Maria continua: -
Poi si è lamentato del conte Ferdinando, nei cui territori non è il
benvenuto. - In
effetti Ferdinando tollera a malapena i sacerdoti, figuriamoci il vescovo.
Come dargli torto? Maria
chiede, ironica: - Al
vescovo o al conte Ferdinando? Denis
sorride. -
Forse a tutti e due. Maria
annuisce, poi torna seria e prosegue, - Ma
non era l’argomento che gli stava più a cuore. Dopo aver constatato che ero
ben felice di farmi guidare da lui, mi ha parlato di ciò che davvero gli
preme: la contea di Cesarea. Ritiene importante che venga assegnata al barone
Renaud, che sarebbe un valido baluardo della Cristianità. San Giacomo d’Afrin
potrebbe essere governata da uno dei suoi fratelli e Cesarea avrebbe un vero
cristiano a guidarla. Denis
non si stupisce: tra Renaud e il vescovo esiste una larga identità di vedute. -
Avrei molto da dire sul fatto che il barone di San Giacomo d’Afrin sia un
vero cristiano, anche se ostenta la sua fede, perseguita i musulmani e
opprime gli ebrei. -
Per quel che lo conosco, credo che miri solo al potere e alla ricchezza.
Accondiscende alle richieste del vescovo per avere il suo appoggio. In ogni
caso il vescovo ritiene che sia nel vostro interesse perorare presso il re la
causa del barone. Denis
annuisce. Si chiede anche se il vescovo non sperasse un aiuto direttamente da
Maria. Sapendo che la principessa era stata legata al re, forse pensava che
potesse rivolgersi al sovrano per intervenire a favore di Renaud. Se è così,
il vescovo ha sbagliato completamente i calcoli, ma non conosce Maria. Anche
Denis deve ammettere che certi aspetti di Maria li sta scoprendo solo ora. Maria
conclude: -
Che cosa devo dirgli quando tornerà a trovarmi? Che ho parlato con voi e che… Maria
lascia la frase in sospeso, perché Denis la completi. - …e
che io vi ho risposto che preferisco non intromettermi nelle scelte del re. È
la verità. Non mi stupirei se la prossima visita del vescovo avesse anche un
altro obiettivo. -
Quale, duca? -
Scoprire se io sono interessato a ottenere Cesarea. Anche in questo potete
dirgli la verità: non miro a farmela assegnare. Ma davvero non cercherò di
influenzare le decisioni del re. * -
Nicolas, il re prepara una nuova spedizione in Egitto. Le truppe di stanza al
Cairo si sentono minacciate e sulla lealtà del visir Sawer non si può certo
contare, anche se dovrebbe essere un nostro alleato. Partirò tra breve. -
Torneremo in Egitto, quindi. Nicolas
conta di partire al seguito del duca, come è sempre avvenuto fino a ora. Ma
Denis ha altre intenzioni. -
No, Nicolas. Tu rimarrai qui. La duchessa sarà la reggente della città: è
perfettamente in grado di prendere tutte le decisioni che si renderanno
necessarie. Ma ha bisogno di avere al suo fianco qualcuno che conosca bene
anche la situazione militare. Tu rimarrai con lei. A
Nicolas spiace non partire con Denis di Rougegarde. Gli sembra quasi di
tradirlo, anche se è un ordine che viene dal duca stesso. Ma gli ordini di
Denis di Rougegarde non si discutono: questo Nicolas lo sa bene. Non è raro
che il duca si confronti con Nicolas su qualche problema: prima di prendere
una decisione vuole avere tutti gli elementi necessari. Ma una volta che ha
ponderato ed è arrivato a una conclusione, non c’è più spazio per una
discussione, a meno di non portare elementi nuovi. Il duca non è abituato a
tentennare. -
Come volete, duca. Mi spiace non essere al vostro fianco, ma se ritenete che
io sia più utile qui, rimarrò a Rougegarde. -
Sì, Nicolas. Se si dovesse affrontare un attacco improvviso, raccogliere
alcune truppe, prendere decisioni di natura militare, la principessa Maria
non ha l’esperienza necessaria per farlo. Sapere che lascio Rougegarde nelle
sue mani e nelle tue mi permette di partire in piena tranquillità. Tutto ciò
a cui tengo è qui. - Vi
ringrazio per la fiducia, duca. -
Come sai benissimo, a parte la minaccia saracena, il pericolo principale per
me è costituito dal vescovo. Nicolas
annuisce, torvo. -
Sì, quel bastardo! Denis
è un po’ sorpreso dalla durezza del commento, ma Nicolas è informato della situazione
e l’affetto che lo lega a Denis lo rende insofferente nei confronti del
vescovo. - La
duchessa è perfettamente in grado di gestirlo e mi informerà delle sue mire.
Ma c’è una faccenda di cui vorrei che tu ti occupassi. -
Ditemi, duca. - Emich
di Freiburg. È un’ottima persona, ma è un sognatore, che tende a
sottovalutare il pericolo. Alcuni lo considerano eretico e io credo che,
almeno in base ai criteri del vescovo e della Chiesa cattolica, lo sia. Non
vorrei che commettesse qualche imprudenza, più che mai ora che io sarò
assente per alcuni mesi almeno. -
Non mi risulta che predichi o diffonda idee eretiche qui a Rougegarde. - In
giro per la città no, ma in casa del mercante Giovanni Micheles, dove si
trova la locanda in cui alloggia, credo di sì, a quel che mi dice Morqos.
Tieni d’occhio la situazione, Nicolas, e se si profila qualche pericolo,
avverti Morqos. Spero che non sia necessario allontanarlo dalla città per
proteggerlo, ma se il vescovo avesse intenzione di farlo catturare dai suoi
uomini, l’unica soluzione in mia assenza sarà farlo scomparire. Lo manderai
dal conte Ferdinando. - Il
conte non parteciperà alla spedizione? - Il
conte verrà anche lui, come tutti i signori del regno. Ma l’ho avvisato e
lascerà istruzioni ai suoi uomini che rimangono nel palazzo. Se dovesse
allontanarsi da Rougegarde, Emich potrà rimanere nella vallata dell’Arram
fino al mio ritorno. Nicolas
rimane pensieroso. -
Che cosa ti lascia perplesso, Nicolas? -
Credete davvero che il vescovo oserebbe far arrestare un cittadino in vostra
assenza? -
Nicolas, questa è la norma un po’ ovunque: se si tratta di eresia o di altra
materia di competenza della Chiesa, il vescovo può ordinare ai suoi uomini di
eseguire un arresto. Qui a Rougegarde non funziona così perché io ho chiarito
al vescovo che nel mio territorio nessuno verrà arrestato senza il mio
consenso. Ma lasciare che un eretico possa diffondere le sue idee per mesi,
in attesa del ritorno del signore della città, metterebbe a rischio le anime
dei cittadini, no? Per cui, se rimango lontano a lungo, il vescovo potrebbe
decidere di far arrestare colui che propaga il male e corrompe le anime. Nicolas
annuisce. - Ho
capito, mio signore. Denis
conclude. -
Sarebbe una prova di forza, nella speranza di creare un precedente e
conquistare qualche posizione. Non intendo lasciargli nessun pretesto per
farlo. |