IV - Naufragi Marie-Anne entra nella sua stanza. Ha finito i lavori di casa. Il
padrone è in salotto, difficilmente la chiamerà ancora. Ma Marie-Anne
preferisce aspettare. Si siede sulla sedia. Guarda la candela che si consuma lentamente.
Guarda l’abito steso sul letto. Attende. È passata almeno un’ora quando Jean Guyère sale in camera sua.
Marie-Anne sa che non uscirà più, né la chiamerà. Prende Signore, non punirmi nel tuo sdegno, non castigarmi nel tuo furore. Le parole non hanno senso, nulla ha senso. Marie-Anne chiude Marie-Anne apre il cassetto, prende la biancheria pulita ed incomincia
a rivestirsi. L’abito che ha già preparato è quello dei giorni festivi, che
indossa per andare in chiesa. Se lo infila, poi lo fa scivolare, verificando
che non rimangano pieghe. L’ha stirato proprio oggi. Si infila le scarpe. Poi
si toglie le forcine e scioglie i capelli. Prende la spazzola e la passa più
volte. Infine riavvolge i capelli nella crocchia e la fissa con le forcine. Un’ultima volta si accerta che non ci sia niente fuori posto nel suo abbigliamento.
No, va bene così. Marie-Anne prende dall’armadio il pacco in cui ha messo la camicia di
David Guyère, quella che doveva ancora asciugare quando lui ha traslocato.
Stringe il pacco al petto, guarda Raggiunge l’ingresso, apre la porta e scivola fuori. Arriva al
cancello e lo apre, poi torna indietro per posare le chiavi. Accosta la porta silenziosamente, poi il cancello. Ora si muove più rapida, scendendo lungo la rue des
Vignes. Ogni tanto incrocia un passante, ma guarda
diritto davanti a sé. Un uomo le grida qualche cosa dall’altro lato della
strada. Marie-Anne lo ignora, ma il cuore le batte più forte ed affretta il
passo. Raggiunge la riva della Senna. Guarda l’acqua nera che scorre in
basso. Si avvicina. Si siede in cima al pendio erboso. Stringe il pacco con
la camicia contro il petto, le braccia in croce. Si stende sul bordo, poi,
con un movimento delle spalle, imprime al corpo lo slancio necessario.
Rotola. Alcuni arbusti trattengono la gonna, rallentando il movimento.
Marie-Anne dà uno strattone e riprende a rotolare verso il fondo, messa un
po’ di traverso, prima lentamente, poi acquistando velocità. Batte la fronte
su una roccia. Sente il sangue che le cola sul viso. Chiude gli occhi. Un tonfo. Silenzio. * È lei, non c’è dubbio. Jean volta la testa dall’altra parte. Ha male
allo stomaco, non può vederla. Ha visto molti morti in guerra, corpi ridotti
a brandelli, ma a questo non era preparato. Marie-Anne non era un soldato al
fronte. Perché? Inutile chiederselo, non avrà mai una risposta. Marie-Anne non
ha lasciato una lettera, niente. Perché? Nei giorni scorsi non gli è sembrata
diversa dal solito. Ma forse era troppo chiuso in se stesso per accorgersene.
Perché? Che cosa può essere successo, per spingerla a questo? Jean ha l’impressione che la sua vita stia andando in pezzi. David se
ne è andato tre giorni fa. Ed ora Marie-Anne, in questo modo orrendo. Perché? Più volte ritorna il pensiero che Marie-Anne possa essersi uccisa per
David. Lo ha fatto subito dopo la sua partenza. Ma tra loro non c’era nulla.
Jean è sicuro che se ci fosse stato qualche cosa, se ne sarebbe accorto. Non
ha mai sentito David citare una volta il nome di Marie-Anne. Non ha mai colto
uno sguardo, un cenno, un’espressione del viso. Un amore non corrisposto? In
fondo anche lui ama David, ma di certo non glielo ha mai detto, non glielo
dirà mai. Eppure questo è un amore che gli scava dentro, che lo schianta. Non chiederà a David. Se è davvero così, se Marie-Anne si è uccisa per
un amore non ricambiato, è meglio che David non lo sappia: ne soffrirebbe. E
nulla ormai può restituire la vita a Marie-Anne. * David guarda Jean attraversare la strada ed allontanarsi. Ha le spalle
un po’ curve, come se fosse schiacciato da un peso. David si siede sulla sedia. Marie-Anne si è gettata nella Senna. È
morta. David non l’ha mai amata. Lo sa. Questo è il suo rimorso. Se l’avesse
amata, questa morte potrebbe avere un senso, ma David ama Hortense, un amore
impossibile. David sorride, amaramente. Ha più volte narrato amori infelici,
prima di farne esperienza diretta, ed ora vive ciò che ha spesso immaginato.
Hortense è un miraggio, un sogno irraggiungibile e David sa che, se riuscisse
mai a catturare questo sogno, lo distruggerebbe: Hortense non potrebbe
sopportare l’idea di aver tradito il marito, anche se lui ha avuto
innumerevoli amanti. A tratti David si chiede se non l’ama proprio perché sa
che non può averla. Le donne che gli si concedono, attratte dalla sua
bellezza e dalla sua fama, non contano per lui. Non gli dispiacciono queste
conquiste, sono una soddisfazione non da poco per un uomo che è a lungo
vissuto ignorato, nella miseria, per qualcuno che ha davvero toccato il
fondo. Solleticano la sua vanità, anche se non se ne vanta in giro. Marie-Anne non era una di loro. Quella sera, quando gli si era
offerta, David aveva pensato che potesse essere l’amante di Jean. Ma
Marie-Anne era vergine. Cos’è stato per lui Marie-Anne? La soddisfazione di
un desiderio. No, non di un desiderio, di un bisogno e basta. Un corpo a sua
disposizione. Acqua per placare la sete, senza porsi problemi. In casa di
Jean, che lo ospitava, fare l’amore di nascosto con la domestica! Quante
volte David si è sentito meschino, si è vergognato di questo rapporto che lo
degradava ai suoi occhi! Ha cercato di troncare, ha anche provato a dirlo a
Marie-Anne, una volta. Ma lei è venuta lo stesso ad infilarsi nel suo letto,
la notte. E lui ha ceduto, ogni volta, lasciando che fosse il desiderio a
guidarlo. Gli vengono in mente le parole di Jean, quella sera, dopo lo
spettacolo a teatro. Non ricorda esattamente i termini: “Meglio un’attrice
che una puttana… un rapporto chiaro…
nessuno si aspetta amore”. Jean aveva ragione. Marie-Anne era davvero innamorata di lui. Perché ha accettato di fare
l’amore con lei, se non gli importava niente di questa donna? Per bisogno,
perché era una domestica, perché non chiedeva nulla. Non chiedeva, ma anche lei aveva bisogno di affetto. E ora Marie-Anne si è uccisa. Che uomo è? Che razza di uomo è? Come può guardare in faccia il
cugino, dopo quello che è successo? “È successo”! Non è successo da sé. L’ha
fatto lui, David. E lo sa bene. * David Guyère si avvicina. Hortense vorrebbe alzarsi ed andarsene, ma
non può certo comportarsi in modo così scortese. Cerca di mantenere la calma,
ma si rende conto che si sta tormentando le mani. A trentott’anni
si comporta come una ragazzina! Dovrebbe parlargli, dirgli di stare lontano.
Ma come può dirgli una cosa del genere? Sarebbe come rivelargli la verità, mettersi
a nudo davanti a lui. Finge di non essersi accorta di lui, finché non arriva
davanti a lei e la finzione diviene impossibile. - Buonasera, contessa, la disturbo? Hortense alza lo sguardo su David. Sorride per nascondere il
turbamento che sempre le provoca quel viso. L’ha chiamata contessa, non
Hortense. - No, si figuri. Come sta, signor Guyère? Non aggiunge: “È sempre un piacere parlare con lei.” Un tempo era
così. Adesso anche, ma è un piacere che le procura sofferenza, che poi a casa
si trasforma in rimorso. Sarebbe meglio per lei evitare di partecipare a queste serate. Viene
di nuovo meno spesso, ma teme le chiacchiere della gente, sempre pronta a
criticare e calunniare. E teme l’angoscia che torna ad assalirla a casa. Ha
paura, paura di sprofondare di nuovo, di non avere più la forza di tirarsi
fuori. David è stata un’ancora di salvezza, ma ora le sembra che il suo
pensiero la trascini di nuovo a fondo, in un gorgo da cui non riesce a venir
fuori. - Bene, grazie. E lei, contessa? - Anch’io, la ringrazio. Hortense si guarda intorno, sperando che qualcuno arrivi ad
interrompere il loro dialogo. - Davvero? Se è così, ne sono contento. Ma la vedo molto di rado e
temevo che non stesse bene. A volte i fantasmi ritornano. Hortense non riesce a reprime un brivido. Sì, i fantasmi ritornano.
Non ha mai parlato a David dei fantasmi della sua mente, ma lui ha intuito.
Si sforza di sorridere. - No, spero che rimangano ben lontani. Ma…
non sempre mi è possibile partecipare a queste serate. Si avvicina la bella Diane de Maufrigneuse. Qualcuno dice che sia
interessata a David. La duchessa saluta e dopo i convenevoli dice a David che
è richiesto da alcune signore che vogliono la sua opinione su una questione
di cuore. Diane si scusa con Hortense se le ruba lo scrittore e, dopo le
solite formule di rito, si allontana con lui. Hortense si sente sollevata, ma il vedere David che si allontana con
la duchessa la fa soffrire. China la testa. * David guarda Hortense seduta ai margini del gruppo. La vede poco,
molto poco. La contessa partecipa sempre meno alla vita mondana. Ma non è
solo questo. David percepisce che la distanza tra di loro è aumentata: il
ponte che gli pareva di aver faticosamente costruito è crollato e tra di loro
sembra aprirsi un abisso. Perché? Perché Hortense non sembra aver più fiducia
in lui? Perché pare quasi evitarlo? Perché? David si rende conto che quando è vicina a lui, Hortense è tesa, come
se non gradisse la sua presenza. Forse non è neanche questo. Di certo preferisce
evitare una conversazione a due. Se ci sono molte persone, se lui non si
rivolge direttamente a lei, allora appare più tranquilla, segue il gioco
delle battute e delle repliche, a volte sorride. Se lui si avvicina a lei in un momento in cui non ci sono altre
persone intorno, il suo sorriso è incerto, quasi forzato, forse... David
vorrebbe dire che è un sorriso impaurito. Ha paura di quello che la gente può dire? Ma davvero, hanno soltanto
scambiato qualche parola, poche volte, come accade normalmente nelle riunioni
mondane: difficile che qualcuno sparli per questo. A volte, quando sono in un gruppo numeroso. David cerca di catturare
la sua attenzione, con una conversazione brillante. A volte la vede
sorridere, ma spesso gli sembra che le sue parole scivolino su Hortense,
senza lasciare traccia in lei. * Ieri Jean è passato dal cugino. Gli ha chiesto come procedeva il nuovo
romanzo e David gli ha risposto che l’aveva concluso. Jean si aspettava che
gli chiedesse di leggerlo, come aveva fatto con le altre sue opere. Ma David
non ha detto nulla. Sembrava non aver voglia di parlarne. Jean ha ceduto ad un impulso e gli ha chiesto se poteva vederlo, anche
se sa benissimo che David non è tenuto a fargli leggere quanto scrive e che
non tocca a lui prendere l'iniziativa di chiederglielo. David ha risposto che per il momento non vuole farlo leggere a
nessuno, preferisce rivederlo ancora una volta prima di chiedere ad altri un
parere. Una risposta semplice, ma Jean si è sentito ricacciato indietro: un
tempo lui aveva un posto speciale. Ora per lui valgono le stesse leggi che
valgono per gli altri, anche per quanto riguarda il lavoro di David. In questo ultimo anno, dopo la loro separazione, David ha continuato
ad allontanarsi, a farsi sempre più chiuso. Ed anche più triste. Da molto
tempo David è infelice, questo Jean l’aveva già notato negli ultimi tempi in
cui abitavano insieme: sembra avere un tormento segreto, che lo rode. Forse
un amore non ricambiato, forse una delusione nascosta. Ma non è solo questo. C’è qualche cosa d’altro, qualche cosa che Jean
non capisce, che gli sfugge. Dopo che si sono separati, quel viso, che è
sempre stato così franco ed aperto, sembra nascondere un turbamento segreto.
Che cosa gli succede? E quando Jean incontra il cugino in qualche salotto, si stupisce di
quanto sia cambiato. Anche prima David curava il suo abbigliamento, ma ora il
suo modo di vestirsi è molto più ricercato, con un’attenzione maniacale ad
ogni dettaglio, che non sfugge all’occhio attento di Jean. E non è solo questo. Adesso tende ancora di più a mettersi in mostra,
a brillare. È diventato un grande conversatore, capace di affascinare i suoi
uditori con aneddoti curiosi o battute fulminanti. Ma non è sempre così: l’altra sera, dai de Camps,
David sembrava quasi assente e, anche se si sforzava di non venir meno alla
sua fama di ospite brillante, Jean avvertiva in lui stanchezza e
disinteresse. Jean non capisce. Quando David si mette al centro dell’attenzione, ascolta
affascinato, come gli altri, ma avverte un sottile senso di rimpianto per il
David più semplice e modesto che ha conosciuto. David vuole far colpo su qualcuno? Su chi? Jean saluta e se ne va. A volte ha l’impressione che le rare visite al
cugino siano appena tollerate da David. Nei primi mesi in cui David stava per
conto proprio, Jean lo ha spesso invitato ad uscire insieme a lui, a fare due
passi: un’occasione per parlarsi, ora che non vivono più insieme. Qualche
volta David ha accettato, ma poi ha incominciato ad accampare scuse. Eppure
Jean ha continuato a chiederglielo fino a che i suoi inviti, per quanto
formulati con noncuranza, come un’idea del momento, sono divenuti fonte di
imbarazzo per entrambi. Peggio, molto peggio: ha continuato a chiederglielo
fino a che David ha accettato, solo per non dirgli l'ennesimo no. E dopo
quell'interminabile passeggiata in cui non sono riusciti a dirsi nulla, Jean
ha giurato a se stesso di non riprovarci più, mai più. Allontanato dal suo Eden privato, gli rimane solo l'inferno della
tentazione, del desiderio inappagato. Jean si sente sprofondare in una
tristezza vischiosa, venata di paura. * Antoinette è seduta al capezzale del marito. Il medico sta
controllando il polso. Scuote la testa. Poi le fa alcune domande. Antoinette
risponde, alcuni dettagli non li ricorda, la aiuta Caroline. Il dottore cerca
di farle coraggio. Escono tutti e due dalla stanza. Antoinette scende le scale
appoggiandosi al braccio del dottore. Il mal di schiena è andato peggiorando,
adesso fa molta fatica sia a salire, sia a scendere. Il dottore la saluta ed Antoinette passa nel salotto, dove è seduto
Jean. Già, c’è Jean, non ci pensava più. Quanti giorni fa è arrivato?
Antoinette non lo sa. Da quanti giorni Jérôme sta male? Antoinette si rende
conto che sta perdendo la nozione del tempo. Gli avvenimenti degli ultimi
mesi tendono a confondersi, Antoinette ne è perfettamente consapevole, ma i
suoi pensieri sono un vecchio cavallo in un maneggio, riescono a muoversi
solo in uno spazio ristretto, con fatica crescente. Il dottore saluta ed esce. Jean le chiede: - Che cosa ha detto il dottore? Che cosa ha detto il dottore? Il dottore ha detto qualche cosa? Ad
Antoinette sembra che il dottore non abbia detto nulla. - No, non credo… Jean sembra stupito. Forse il dottore… sì,
qualche cosa su… Caroline avrà sentito. Antoinette
non saprebbe riferire. - È meglio che gli parli tu. - Sì, senz’altro. Jean si alza. - Vedo se riesco a raggiungerlo. Jean esce subito. Antoinette rimane a guardare la porta. Una volta
ricordava tutto, adesso ciò che succede sembra scivolarle addosso. Jean è
uscito, perché è uscito? Era qui un attimo fa, dov’è andato? Ah, sì, il
dottore. Jean deve parlare con il dottore. Perché Jean deve parlare con il
dottore? Sta male? No, no, che sciocca, è per Jérôme. * C’è di nuovo quel tipo, quello brutto come la morte, ma ben dotato. È
alla ricerca di qualcuno. L’ha trovato! Hector sorride all’uomo, che lo guarda ed annuisce. Certo che è proprio
brutto. Ma chi se ne frega? Tanto Hector non deve mica guardarlo in faccia,
mentre fanno quello che vogliono fare. L’importante è altro ed il tipo ci sa
fare. La volta scorsa gli ha anche scucito qualche franco. Si salutano appena. Non occorre fare conversazione con questo. La
settimana scorsa quell’altro tipo gli ha raccontato per un’ora della moglie
che ha l’amante e lascia la figlioletta a casa a piangere. Hector aveva
voglia di dirgli: “Se ti fa tanta pena, perché non te ne stai tu a casa con la
bambina, così non piange più!?” Hanno raggiunto la pensione. L’uomo prende la camera e paga. In
anticipo, come sempre. Che gli succede? Hector non capisce. La volta scorsa questo tipo si è rivelato un bel
toro da monta, come gli aveva detto Louis. Ed adesso non gli tira. Bella
fregatura. Speriamo che non si arrabbi con lui. - Niente, non è giornata. Scusami. Il tipo si riveste. Hector è deluso. Non solo non hanno scopato, ma non può di certo
chiedergli qualche franco, adesso. La volta scorsa il tipo aveva scucito. Ma
adesso non è sicuramente dell’umore giusto. Va già bene che non se la sia
presa con lui. Una volta Marius gli ha raccontato
che è andato con uno stronzo a cui non veniva duro. Quel figlio di puttana se
l’è presa con Marius e gli ha mollato un pugno.
Come fosse colpa sua! Marius aveva il naso gonfio.
Questo almeno è una persona civile. Però la faccenda è una bella rottura lo
stesso. * È la prima volta che gli capita. Non gli era mai successo. Ma tra lui e quel giovane si è frapposta l’immagine di David. David
che si spogliava davanti ai suoi occhi, per mettersi a dormire. Il sorriso di
David, l’innocenza di David, la bellezza di David. Ed allora l’uomo che aveva di fronte ha perso ogni attrattiva, quello
che voleva fare gli è sembrato squallido, disgustoso, come la stanza: le
pareti coperte da una tappezzeria stinta, le pesanti tende lise, il tavolo
dozzinale, le lenzuola di dubbia pulizia. Un posto sordido, per amplessi
frettolosi e mercenari. È sempre stato così, ma fino ad ora non ci ha mai
badato. Ora tutto gli è parso intollerabile ed il desiderio si è spento. Tornerà ad accendersi, presto, ed a tormentarlo, tendendosi verso una
meta che non può raggiungere, verso un corpo che gli è negato. * Perché Jérôme non arriva? No, certo, c’è Jean. Se c’è Jean, Jérôme non
si fa vedere. Ma è strano, non le sembra di averlo visto questa mattina. - Jean, sai dove… Si ferma, stava per chiedere a Jean dov’è Jérôme! Jérôme è morto. - Che cosa c’è, mamma? Antoinette china la testa. Le scendono le lacrime. Si sente umiliata.
Jean non si è accorto di niente, ma lei, lei si stava dimenticando... Come si
è potuta ridurre così? - Non stai bene, Mamma? Jean le si è avvicinato. Le prende una mano. - Niente, niente. Jean è buono, ma se ci fosse Adolphe, lui sì che saprebbe aiutarla.
Adolphe è morto, tanti anni fa, lontano dalla Francia. Antoinette non sa
nemmeno dove sia sepolto. - Scusa, Adolphe… volevo dire…
Jean. - Non ti preoccupare, mamma. Dopo un po’ Jean si alza, parla un momento con Caroline ed esce. Antoinette lo guarda allontanarsi dalla finestra. Proprio ora sta
passando François Duclos. Non vede un ciottolo che
sporge ed inciampa. Finisce malamente a terra, faccia in giù. Si rialza
bestemmiando, la camicia tutta sporca di fango. Antoinette scoppia a ridere.
Questa è proprio divertente. Deve raccontarla a Jérôme. * Jean è appena tornato a Parigi. È stato tre settimane a Chaumont,
perché sua madre si è ammalata ed il medico ha temuto il peggio. È stato un brutto
periodo, non solo per la preoccupazione legata alle condizioni fisiche della
madre, ma anche perché i problemi di salute hanno messo ancora più in
evidenza il declino mentale. Sua madre ha una tempra forte, si è ripresa, ma
non è più lucida. Non lo era già prima, da tempo la situazione andava
peggiorando, ma ora è divenuta insostenibile. Se non fosse per Caroline e
l’altra donna che ogni tanto va a dare una mano, sua madre non sarebbe in
grado di cavarsela. Jean ha deciso di camminare un po’, ha bisogno di distrarsi. Si chiede
se passare da David, ma preferisce rinunciarvi. Ora passeggia senza meta per le strade della città. Guarda le vetrine
dei negozi, la gente che va a spasso, scambia due parole con qualche
conoscente che incrocia, con un negoziante sulla soglia della bottega. Passando per le gallerie del Palais-Royal,
vede il libro. A richiamare la sua attenzione non è il titolo, L'ombra, che non gli dice nulla, ma il
nome dell'autore: David Guyère. Al vedere il secondo romanzo di David in vendita, con il suo nome in
evidenza, per un attimo gioisce, ma poi sente in bocca un gusto amaro: di
quel romanzo non ha seguito la nascita, pagina per pagina, non ha
accompagnato la pubblicazione, non sapeva nemmeno che fosse già uscito. Non
ne conosce l'argomento, nulla di nulla: David lo ha escluso completamente. Entra nella libreria e lo compra. Il libraio non lo conosce e gli fa i
complimenti: - Ottima scelta, un gran bel libro, molto apprezzato. È arrivato pochi
giorni fa e ne ho già venduto metà delle copie. Non so se ha letto anche il
primo romanzo dello stesso autore… Di nuovo la frase del libraio suscita in lui sensazioni opposte. È
felice del successo, amareggiato dall'essere, di fronte a quel libro, un
lettore qualunque. Mette subito fine alla sua passeggiata, impaziente di leggere il nuovo
romanzo di David. Appena arriva a casa, si sistema in poltrona e si butta a
capofitto nella lettura, che interrompe malvolentieri solo per la cena. Poi
riprende, nella sua camera, fino a che non conclude, molto tardi. Allora si
stringe il libro al petto e non trattiene più le lacrime che da tempo
premevano. Il romanzo è un grido d'amore straziante, di un'intensità tale che gli
ha dato i brividi. David ha raccontato la storia di una giovane donna, che
viene accolta in casa della sorella e si innamora del marito di questa. La
giovane nasconde la sua passione, per non turbare la felice vita familiare
della sorella, ma soffre e, non essendo più in grado di resistere, si rifugia
in un convento. Una storia semplice, un romanzo breve, ma di una forza da
togliere il fiato. David è un grande talento, Jean lo sapeva e questo romanzo ne è la
prova. Ma non è questo che turba Jean. Un altro elemento lo ha colpito nella lettura. David ama, ora di
questo è sicuro. Un amore totale, come solo una grande anima può provare. Ma
un amore disperato, non ricambiato: solo una persona che abbia a lungo amato
senza speranza può scrivere una storia come questa. Chi è la donna che David ama? La marchesa d’Espard?
No, non gli sembra probabile, anche se frequenta assiduamente il suo salotto.
La duchessa di Maufrigneuse, che ha saputo conquistare il cuore di tanti e da
cui si reca spesso? Forse, anche se Jean non ha mai notato nulla. La signora
de Camps, da cui si reca molto meno di un tempo?
Forse, potrebbe evitare di andarci proprio per nascondere il suo amore, per
non soffrire. Forse. È inutile che si rompa la testa. Non lo saprà mai, David non glielo
dirà mai. * L’arrivo di Jean con il libro in mano prende di sorpresa David. Pensava
che il cugino fosse ancora a Chaumont. Gli chiede subito notizie della madre.
Jean risponde brevemente, poi gli mostra il libro, come se volesse darglielo.
- È splendido, David. È splendido. Un capolavoro assoluto, che non
teme confronti. David si sente a disagio. Il giudizio del cugino gli fa piacere, Jean
è un lettore attento ed il suo è un parere autorevole, ma David preferirebbe
che Jean non avesse visto e letto il libro. Non prima che lui gliene avesse
parlato. - Scusami se non ti ho detto nulla, non sapevo nemmeno che tu fossi a
Parigi. Jean conosce i tempi di stampa, sa benissimo che David deve avere
consegnato il libro a Dauriat ben prima che lui partisse per Chaumont, ma non
dice nulla. - Non importa. Sono felice che tu l'abbia scritto, David. David lo fissa. Jean non si è accorto di nulla? David sonda il
terreno: - Grazie. Ti è piaciuta Marthe? - Un personaggio di una sensibilità, di una bellezza... David, è
incredibile come sei riuscito a renderla. David annuisce. Adesso la domanda delicata: - Che cosa ne dici di Jacques? L’espressione di Jean non cambia. - È un personaggio irreale, ma bellissimo. - Perché irreale? - Troppo perfetto, non sembra avere difetti, troppo buono, troppo
generoso. Ma l’hai reso così umano. Impossibile non amarlo. È strano che non se ne sia reso conto, davvero strano. Un uomo
sensibile come Jean… La domanda del cugino lo spiazza completamente: - Mi fai una dedica? David non sa che cosa dire. Dice la prima cosa che gli viene in mente: - Non ora, più tardi. Ho molto da fare… Non ha ancora finito la frase che già si è reso conto di aver risposto
in modo goffo e scortese, proprio lui che si picca di saper sostenere
qualsiasi conversazione in un salotto. Ha ferito il cugino, che ora dissimula
a fatica il suo sconcerto. David è a disagio. Ma come ha potuto rispondergli
così? Come se per scrivere una dedica ci volesse tanto tempo! - Scusa, se hai da fare non ti disturbo oltre. Me ne vado. David vorrebbe trattenerlo, spiegargli, ma non sa come rimediare. Il cugino
è arrivato in un momento poco opportuno, non sono giorni felici per David.
Non lo sono da tempo, da molto tempo. Forse è stato felice il primo anno a
casa di Jean, sotto la sua ala protettiva, perché allora non desiderava altro
che scrivere e Jean gli rendeva possibile realizzare il suo sogno. Ora che ha
raggiunto il successo e l’indipendenza economica a cui ha sempre aspirato,
gli sembra che l’una e l’altro non facciano che acuire la sua sofferenza. No,
è una sciocchezza. Più semplicemente non ha altre preoccupazioni o pensieri
che lo distraggano a lungo dal suo dolore. David si siede alla scrivania. Sul ripiano ha la copia de L'ombra con la dedica a Jean: A Jean, il vero Jacques. Jean è stato il suo modello per il personaggio di Jacques, ma il cugino
non l'ha capito. David si vergogna nei suoi confronti: gli sembra di averlo
usato. Sul momento non si è posto nessun problema: in fondo Jean lo ha
ritratto in una delle Favole che ha illustrato. Jean era perfetto per
dare credibilità all’amore assoluto di Marthe. Si è
limitato a renderlo fisicamente più attraente, perché altrimenti non sarebbe
stato convincente. Forse per questo il cugino non si è riconosciuto. David ha scritto la dedica di getto, appena gli sono arrivate le
copie: era anche un modo per riconoscere il suo debito nei confronti di Jean
che aveva ispirato il personaggio, quasi un saldare il conto. Ma Jean è arrivato con una copia del libro e questo lo ha
disorientato. Non ha capito che il personaggio di Jacques è ispirato a lui. E
come risultato finale, invece di spiegare, David ha finito per ferire Jean,
rifiutando di scrivergli una dedica quando lui gliel’ha chiesta. È stato
maldestro, come spesso gli capita con il cugino. Molte volte in questi ultimi
mesi David si è reso conto di aver ferito la sensibilità di Jean. Questo gli
pesa, perché Jean gli ha salvato la vita e gli ha permesso di diventare uno
scrittore. Gli deve tutto. Ma sono troppo diversi, per età, modo di vivere,
amicizie e David si rende conto che ha poco da dirgli. E poi la franchezza a
volte brutale di Jean lo infastidisce, le maniere un po’ scontrose del cugino
sono poco adatte all’alta società, il suo modo di vestirsi è appena corretto,
la sua conversazione piatta, inaccettabile in un salotto. Preferisce non
avere Jean vicino, non vuole che gli altri pensino che sono amici. È un atteggiamento meschino, nei confronti del cugino, a cui deve
tanto, lo sa benissimo. Forse c’è anche altro. Sì, c’è, David ne è perfettamente conscio: quando è in presenza di
Jean, David sente risvegliarsi il ricordo di Marie-Anne ed è un pensiero
molesto, che David vorrebbe cacciare dalla sua mente. Non è come la
sofferenza per Hortense, un dolore implacabile che non lascia mai del tutto
la presa. Ormai non la vede più, è scomparsa nel nulla, dicono che non esca
più di casa. Ma l’amore che David prova non ne viene scalfito, è un diamante
purissimo che gli lacera la pelle; è una lama scintillante che gli trafigge
la carne. Il rimorso per Marie-Anne è un grumo oscuro, che vorrebbe poter
cancellare, che cerca di allontanare da sé. Non vorrebbe mai che Jean
sospettasse, che in qualche modo gli leggesse dentro. Jean non ha più parlato
di lei. Forse vuole dimenticare. Anche David vorrebbe poter dimenticare. * Dopo aver strappato la pagina con il ritratto, Hortense ha lasciato
cadere il libro, che ora è a terra, rovesciato, le pagine spiegazzate, ma
Hortense non se ne accorge. Sembra guardare la finestra, da cui entra la luce
della sera, ma non vede nulla. Non sente nemmeno le lacrime che le scendono lungo
le guance, fino a raggiungere il mento, e poi cadono sul tappeto. Hortense si alza, barcolla; cerca di appoggiarsi alla poltrona. Non
riesce a sostenersi e scivola a terra. Guarda i pezzetti di carta e li
raccoglie, uno per uno. Cerca di ricostruire l’immagine, ma le mani le
tremano. Allora incomincia a singhiozzare. Affonda la testa contro il cuscino
ed un tremito convulso la scuote. La domestica la sente. Entra e la costringe a sollevarsi e a sedersi
sulla poltrona. Le porge il fazzoletto, ma Hortense non lo prende. Allora le
asciuga le lacrime. Parla, ma Hortense non sente quello che dice. * Jean si prepara per una serata dai de Camps.
Non ha davvero voglia di uscire, anche se Octave è
un amico, anche se è l’unico salotto in cui davvero si trova abbastanza a suo
agio. Jean si sta richiudendo in se stesso, giorno dopo giorno, lo sa
benissimo. Dovrebbe reagire, la situazione sta diventando preoccupante,
perché sta perdendo interesse anche per il lavoro. È la prima volta che
succede. Dopo la fine della sua relazione con André ha avuto un periodo in
cui faticava a produrre, era incontentabile, ma era comunque motivato. Adesso
ha detto a Ladvocat che non intende assumersi un altro impegno per un po’ di
tempo. E le sue giornate si stanno svuotando, come la sua vita si è svuotata
di senso. Da quando David se n’è andato a vivere per conto proprio, tutto gli
costa più fatica, come se fosse un vecchio oppresso dagli anni. Si avvicina
ai cinquanta, ma non è questo il problema. La decisione di uscire questa sera, a cui si attiene facendosi forza,
l’ha presa soltanto nella speranza di incontrare David. Ormai non lo vede quasi più. David non passa mai a trovarlo, anche se
quando se n’è andato, Jean lo ha invitato a venire da lui ogni volta che
voleva. Dopo quel giorno in cui gli ha chiesto la dedica, Jean è passato poche
volte dal cugino, cedendo ad un impulso che non ha saputo frenare e sempre
fermandosi pochi minuti. David è gentile, perfino affettuoso nei suoi
confronti, ma rimane distante, gli parla poco di sé, in modo superficiale. Ed ora lo aspetta un’altra serata. Al momento di uscire, Jean si ferma
sulla soglia. Non ha voglia di incontrare gente. Sa già che ritornando a casa
sbufferà e si chiederà perché ci è andato. Allora, è veramente il caso che
esca? Conosce la risposta: queste serate sono le uniche occasioni in cui
riesce a vedere David, talvolta può scambiare con lui due parole o almeno
ascoltarlo. A parte i momenti in cui è vicino a David, Jean si annoia
mortalmente. La conversazione mondana non lo ha mai appassionato, ma ora non
riesce a tollerarla, a meno che non sia David a sostenerla; ma non per la
bravura del cugino, questo lo sa benissimo: è felice di ascoltare David
perché lo ama. Jean esce di casa. Chiude la porta dietro di sé e si dirige verso la
casa di Octave e Claire. Quando arriva c’è già parecchia gente. Jean entra, saluta e lancia
un’occhiata intorno. È il momento in cui vede se la serata avrà un senso o se
sarà una noia mortale, una sofferenza a cui cercare di sottrarsi appena le
buone maniere lo permetteranno. La risposta arriva subito. David è presente. * Com’è invecchiato, Jean! Octave non riesce a capacitarsi.
Ogni volta che vede Jean, gli sembra che sia diventato un po’ più vecchio,
come se per lui il tempo passasse ad un ritmo molto più veloce. Certo, Jean
ha parecchi anni in più di lui, ma da quando sono diventati amici, Octave non ha mai badato alla differenza di età: Jean è
sempre stato un uomo molto vigoroso. Ma ora sembra che Jean perda forza
giorno dopo giorno, cammina perfino un po’ curvo, come schiacciato da un
peso. Ha cercato di parlargli, di capire i motivi di questo declino, ma Jean
è rimasto sul vago. Non ha voglia di confidarsi ed Octave
rispetta la scelta dell’amico. * Jean passeggia sul balcone. È molto tardi. Jean non si ferma mai così
a lungo, ma questa sera è uno degli ultimi ospiti rimasti. È il momento in
cui la conversazione si fa più intima. Un gruppo di amici fa cerchio intorno
a Claire ed Octave, ma Jean si è staccato. Aveva
bisogno di un po’ d’aria fresca. Questa sera gli pare di essere un po’
ubriaco, ma ha bevuto pochissimo, come sempre. Ubriaco di tristezza, forse.
Jean ha imparato che la tristezza può alterare la percezione e confondere le
idee, come il vino. Dovrebbe andarsene, ma David è ancora qui. Sono così poche le
occasioni in cui vede David. Il cugino non è nel cerchio degli altri. Si è
appartato con Blondet. Jean non si è avvicinato, è l’ora delle confidenze e
David non si confida con lui. Sarebbe una presenza importuna. Il tempo in cui
David aveva fiducia in lui è ormai lontano, è svanito come neve al sole,
senza lasciare nemmeno il ricordo. Mais
où sont les neiges d’antan? Si ferma davanti alla finestra aperta. Sente la voce di David, che sta
dicendo qualche cosa, ma non capisce le parole. Adesso è Blondet a parlare,
probabilmente rispondendo ad una domanda di David: - Sì, circolano molte voci su di lui e su quell’abate che lo protegge.
Dicono anche che siano amanti, anche se di certo Lucien di donne ne ha avute,
non poche. Jean sa benissimo di chi stanno parlando: Lucien
de Rubempré, uno dei più bei giovani di Parigi ed
un personaggio molto discusso, di cui Jean non ha grande stima. Anche lui ha
sentito delle voci sui suoi rapporti con l’abate…
Herrera? Si chiama così? Blondet prosegue: - Non vuole dire molto, in effetti. Anche chi ama la carne può aver
voglia di mangiare pesce, ogni tanto no? Blondet ride. Jean sa che dovrebbe andarsene, non è sua abitudine
origliare. Ed il tono leggero della conversazione lo infastidisce. Ma Émile
Blondet è così: non è uno stupido e nemmeno meschino, ma spesso pare incapace
di affrontare con serietà un qualunque argomento. Lo irrita sentire che David
parli con lui di un tema che Jean non tratterebbe mai alla leggera. E non
soltanto perché è coinvolto in prima persona. Ciò che comporta sofferenza non
può essere svilito ad occasione di battute e strizzatine d’occhio. Deve andarsene, deve andarsene prima che David risponda. Non vuole
sentirlo entrare nel gioco di questa conversazione frivola. Ma David risponde: - In effetti, può capitare… La risposta di David inchioda Jean al suo posto ed al ruolo di
ascoltatore indiscreto. Il tono di voce di David lascia intuire qualche cosa
che Jean si rifiuta di accettare, ma non può rinunciare a sapere. Jean si guarda intorno. Non c’è nessuno. Rimane dov’è. Meccanicamente
si sistema un polsino. La mano gli trema leggermente. Blondet torna alla carica: - Ad esempio tu, con il tuo cugino… Dicono
che non ami molto le donne, lui… Questa volta a Jean pare di aver ricevuto un pugno nello stomaco. - Con Jean! Santo cielo, no! Ma l’hai mai visto in faccia? Davvero! Jean chiude gli occhi. Ha un senso di nausea. - E allora… non mi dire che non ti è mai
successo. Te lo leggo in faccia. C’è un attimo di pausa. David rilancia, senza rispondere: - E a te? David non ha negato. Ha soltanto rimandato la palla ad Émile, per
essere sicuro di poter parlare. - A me sì, proprio pochi giorni fa, e non mi è dispiaciuto. Émile abbassa la voce, di certo sussurra un nome. - Però! David sembra quasi ammirato. Émile ridacchia. - È il caso di dire: un colpo di culo! Adesso però non puoi non
raccontarmi. - E va bene… anche a me, una volta. Qualcuno
di cui non mi sembrerebbe corretto dirti il nome, molto bello. È stato lui a
farsi avanti ed io non mi sono tirato indietro. C’è una distanza infinita dal muro alla ringhiera della terrazza. Quei
tre passi sono un deserto da attraversare, sprofondando nella sabbia. Jean si
trascina a fatica fino ad appoggiarsi sul ferro. Chiude di nuovo gli occhi.
Non sente più le voci, ma dentro di lui risuonano le ultime parole di David. Jean cerca di recuperare le forze. Non vuole rimanere un minuto di
più, ha bisogno di andarsene, ma le gambe non lo reggono. Quanto tempo
rimane, appoggiato alla ringhiera, incapace di muoversi? Non lo sa, non se ne
rende conto. Sono alcune voci più forti a riscuoterlo, qualcuno che se ne va.
Jean non se la sente di vedere nessuno. Ritorna alla porta del balcone. Ci
sono ancora poche persone nella sala, che parlano tra di loro. Nessuno guarda
nella sua direzione. Jean attraversa la stanza ed esce senza salutare
nessuno, sperando che non si accorgano della sua uscita di scena. Trova una carrozza e si fa portare a casa. Non se la sente di
camminare. Non riesce nemmeno a far entrare la chiave nella serratura. La mano
gli trema. Potrebbe suonare, ma dovrebbe spiegare a Geneviève perché non
riesce ad aprire, inventare qualche scusa. Non è in grado di farlo, non può
vedere nessuno. Chiude gli occhi. Respira a fondo. Prova di nuovo, finché riesce ad
infilare la chiave. Entra, richiude piano la porta e sale direttamente in
camera, badando a non fare rumore. Si toglie la giacca e la lascia cadere a
terra. Poi accende una candela. Guarda la fiammella. Il fumo sale dallo
stoppino, che la fiamma annerisce. Sale diritto, la finestra è chiusa, non
c’è un filo d’aria nella camera. Si soffoca. Jean si dirige alla finestra, ma
si ferma. Non vuole fare rumore. Non ha senso, Geneviève non sentirebbe
neppure, la sua camera è lontana ed ha il sonno pesante, l’altra sera l’ha
dovuta chiamare tre volte prima che sentisse. Ma non vuole fare rumore. Vuole
il silenzio. Ritorna al tavolo. Prende la candela. Si dirige al guardaroba. La
fiamma della candela si sposta, in direzione contraria al movimento che
compie Jean. Jean si mette davanti allo specchio. Guarda la sua faccia. Alla sua
faccia si è abituato. Nessuno potrebbe mai dire di lui che è bello. Perché
non è bello? David ha fatto l’amore con un uomo. Bello. Un uomo molto bello.
Perché lo specchio continua a rimandargli l'immagine di quest'uomo brutto,
comunemente e volgarmente brutto, che lo fissa? Che cos’ha da guardare,
questo coglione? Con tutta la sua forza colpisce
lo specchio con la mano che regge il candeliere. Sente un dolore acuto, ma
non ci bada. Ha cancellato l'immagine e la luce. Nell’oscurità quell'uomo
brutto non lo guarda più. Nella stanza ora è buio, non vede nulla, meglio così. Non c’è la luna,
il cielo è coperto. Dalla finestra filtra una luce molto debole. Jean fa due passi.
Si ferma. Fa un altro passo. Appoggia la schiena contro l’angolo formato
dalla parete e dal guardaroba. La mano gli fa male. Jean la prende con
l’altra mano. È tutta bagnata. Jean sorride. Si lascia scivolare a terra. Ora è seduto, la schiena contro la
parete. Da solo. Nel buio. Da solo. David ha amato un uomo. Un uomo che è
bello. David se ne è andato, per sempre, dalla sua casa, dalla sua esistenza.
Ha incominciato a piangere ed a singhiozzare. Quanto deve ancora pagare? Di quale colpa si è macchiato nei confronti
di David? Certo, ha desiderato David, ma non gli ha fatto del male, ha solo
cercato di aiutarlo. Si è servito della sua immagine nelle sue fantasie alla
ricerca del piacere, ma per questo deve soffrire in un modo così atroce? È stupido cercare colpe e punizioni. Non è così. Altri prima di lui
hanno sofferto senza averlo meritato. Assurdo cercare un perché. I singhiozzi si calmano. Continua a piangere in silenzio. La luce del giorno lo sveglia. È rimasto tutta la notte nell'angolo,
accovacciato al suolo. Si alza a fatica. I muscoli delle gambe sono
intorpiditi, sente un sordo dolore alla mano, un senso di debolezza generale.
Barcolla, non riesce a stare in piedi. Vede il sangue per terra, che ancora
cola dalla mano. Appoggiandosi alla parete, raggiunge la scrivania, ma le
forze gli mancano. Si siede sulla sedia. Guarda il giardino. È ancora presto.
Il sole è molto basso. Nella sua casa David di certo dorme ancora. Il giardino è così bello, nella luce del primo mattino. Così bello. La
bellezza è tutto, David ha ragione. David è bello. David ama la bellezza. Rimane seduto sulla sedia, senza fare nulla. Guarda fuori dalla
finestra, ma non vede il giardino. Gli sembra che davanti agli occhi stia
scendendo un velo. Sa che sta morendo, ma non ha importanza. È solo un uomo
molto brutto che muore. * Octave e David tornano a piedi
dal cimitero. Entrambi hanno bisogno di muoversi. Camminano fianco a fianco,
ma in silenzio. Ognuno insegue i propri pensieri. Octave vorrebbe chiedere a David
una spiegazione, ma intuisce che nemmeno David sa. Raggiungono la casa di Jean: David deve occuparsi di sbrigare alcune
formalità, perché è il parente più prossimo di Jean, qui a Parigi, e la madre
non è certo in grado di muoversi da Chaumont: ormai non ragiona più. Prima di accomiatarsi, Octave parla: - David, tu non sai, non hai un'idea del perché... David lo guarda, come se non capisse. Octave
si trova costretto a cercare le parole. - ...perché Jean si è lasciato morire così, senza chiedere aiuto. - Non lo so, Octave. Forse non si è reso
subito conto e quando ha capito, non aveva più la forza di chiamare. Non lo
so. Octave china la testa. L’altra
sera non si è neanche accorto di quando Jean se ne è andato. Comincia a piovere. David alza le spalle. - Inutile parlarne, ormai. Arrivederci, Octave. - Addio, David. Octave se ne va, la testa sempre
china. Si sente in colpa. Non ha saputo aiutare Jean. Ha visto che soffriva,
ma non ha capito la portata di quella sofferenza, non ha trovato le parole,
il gesto. * David entra in casa. Si guarda intorno. Ogni mobile, ogni oggetto
desta in lui ricordi. Di un periodo in cui non era famoso, non era amato e
corteggiato. Di un periodo in cui non aveva rimorsi e dolori. Di un periodo
in cui è stato felice. Grazie a Jean. Un altro rimorso. Ha portato solo morte a coloro che gli sono stati
vicino. Se n’è andato da questa casa, troncando con Marie-Anne e spingendola
al suicidio. Ha progressivamente allontanato Jean, non si è più occupato di
lui. Chiuso nel suo dolore e nel suo rimorso, ha cercato di evitare il
cugino. E Jean se ne è andato, in punta di piedi. Nessun gesto plateale. Jean
non si è buttato nella Senna. Non è nemmeno sicuro che sia stato un suicidio,
anche se il dottor Bianchon l’ha detto chiaramente:
Jean non può non essersi reso conto che stava morendo. Funerale cristiano per
Jean. Articoli elogiativi sui giornali. David guarda fuori dalla finestra. Il giardino ha ancora la pienezza
dell'estate, ma il cielo annuncia l'autunno. Il giardino è bellissimo. |
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