III – Mare aperto Nel salotto della signora de Camps si parla
della raccolta di racconti di David e dell'accoglienza che ha ricevuto. - Può essere soddisfatto, pochi nuovi autori ottengono tanto spazio e
tanti riconoscimenti. Jean è perplesso. Dove vuole andare a parare Nathan? Di sicuro non
parla solo per fare conversazione. Nathan prosegue: - Tutti noi abbiamo fatto quadrato intorno alla sua opera e questo ha
avuto un peso determinante. - Sono stati davvero gentili. Ma ho ancora molta strada da fare. La replica di David è cordiale in superficie, ma non esprime una reale
gratitudine: David apprezza Nathan come scrittore più di quanto non faccia
Jean, ma sa che di certo il collega è troppo invidioso del talento altrui per
aver contribuito al successo dei racconti. Nathan mira davvero solo ad accollarsi il merito delle recensioni
positive? Merito che certamente non è suo, in quanto assai di più hanno
contato gli sforzi di Dauriat e di Ladvocat, pungolato da Jean. Solo la frase successiva rivela a Jean l’obiettivo di Nathan. Troppo
tardi per intervenire, deviando il discorso. - Mi spiace per quell'articolo apparso su Merda! Questo fottuto figlio di puttana! Vorrebbe schiaffeggiarlo, lì,
davanti a tutti, ma è inutile. David è rimasto spiazzato: non sa a che cosa
si riferisca Nathan, Jean non gli ha fatto leggere quel pezzo, se n'è
guardato bene, quella è merda, nient'altro che merda. È Jean a procurarsi le recensioni per poi farle leggere a David. Ne
parlano insieme a lungo, valutando quanto di fondato ci sia in ognuna di
esse. David, non avendo nessuna esperienza, tende a leggere le recensioni
come valutazioni oggettive della sua opera. Jean gli spiega che stroncature ed
esaltazioni sono spesso legate, più che al valore di un'opera, ad interessi
editoriali, a gelosie d'autore, a polemiche tra giornali. Gli ha mostrato
come alcuni falsi amici abbiano scritto recensioni apparentemente positive
che, ad una seconda lettura, si rivelano spesso sottilmente svalutanti. Gli
ha anche illustrato la teoria del pensiero binario, enunciata da Émile Blondet, secondo cui su
uno stesso testo è perfettamente possibile, per la stessa persona, esprimere
opinioni diametralmente opposte. Ora David non può dire altro che: - Non l'ho letto. - Allora fa meglio a non leggerlo. Non vale la pena. Jean interviene. - Sì, sono d'accordo con lei. Non vale proprio la pena. Se ne può fare
carta per pacchi. La battuta di Jean chiude il discorso, ma il guaio è fatto, David non
se ne dimentica di certo. Ed infatti, non appena sono di ritorno a casa, David gli chiede: - Perché non mi hai detto niente di quella stroncatura uscita su - Perché non è il caso di prenderla in considerazione. - Ma devo sapere che critiche mi vengono rivolte. - Quando sono critiche, sì, quando è spazzatura, no. - Se non leggo quanto scrivono su di me, non sono poi in grado di
replicare. Quando me ne ha parlato Nathan, non sapevo neanche a che cosa si
riferisse. - Quel porco bastardo voleva solo assicurarsi che tu lo leggessi. L'ha
detto solo per questo. Jean è comunque già rassegnato a tirar fuori l'articolo e mostrarlo a
David: altrimenti David lo cercherà altrove e comunque lo troverà. Meglio che
lo veda ora e che possano parlarne insieme. - Se proprio ci tieni, leggitelo. Ma è solo merda. David lo guarda. Sembra un po' stupito dell'insolita violenza verbale
di Jean. Jean cerca di calmarsi: non deve lasciarsi trascinare in quel modo.
Osserva David mentre legge. Si tratta di un bel libro: le illustrazioni
del celebre Jean Guyère sono senz'altro belle ed hanno giustamente i loro
estimatori. Anche l'autore è bello: ce lo dice il suo ritratto all'inizio del
volume. Senza dubbio l'autore ha anche talento, come appare nel libro: un
buon talento per il commercio, visto che è riuscito nell'operazione di far
pubblicare e vendere i suoi racconti sfruttando la popolarità del cugino
illustratore. Questo bel talento si rivela anche in
un'altra scelta: a differenza di certi autori, che non mancano mai ad una
serata mondana, il nostro David Guyère preferisce non comparire. Chi vorrà
vedere questo Adone, dovrà per forza comprare il libro. Consigliamo però alle
lettrici di fermarsi alla prima pagina, dove campeggia il ritratto. Nel resto
del volume non c'è nulla per cui valga la pena di usare il tagliacarte per
separare le pagine. Altri talenti, oltre a quello per gli
affari, il giovane non ne dimostra: i racconti sono insignificanti, con una
visione pessimista della realtà che dovrebbe suscitare compassione per
l'autore. Questi si aspetta certamente che la lettrice sensibile dica:
"Quanto deve aver sofferto, questo bel giovane. Sarò forse io quella che
avrà il piacere di consolarlo?". Il libro ha comunque un pregio: apre una
nuova strada, quella dei romanzi o racconti artistico-familiari.
Non, beninteso, nel senso di romanzi artistici sulla famiglia, perché di
artistico questo volume non ha proprio nulla, ma nel senso di romanzi scritti
da parenti di artisti affermati: a quando un romanzo del cugino di Schinner? E le poesie del nipote di Bridau?
Ed una commedia del prozio del giovane Rubempré,
quello no? Lasciamo spazio anche agli anziani, non ci sono mica solo i
giovani! Soprattutto quando i giovani sono come il nostro autore. L'articolo è accompagnato da una caricatura, che riprende il soggetto
della favola La rana e il bue. Jean
è il grosso bue, seduto su una pila di sue illustrazioni, con il suo grosso
naso perfettamente riconoscibile ed un sorriso ebete. David è la rana, che, a
forza di gonfiarsi, sta esplodendo; i pezzi che volano per aria hanno i
titoli dei suoi racconti. David è livido in volto. Nuovamente la rabbia assale Jean. Gli ha
nascosto l'articolo proprio perché prevedeva che l'avrebbe amareggiato e
certamente non gli sarebbe stato di nessun aiuto per migliorarsi. E quel
pezzo di merda di Nathan l'ha tirato fuori per colpire David. - David, non devi prendertela, non devi considerarla una critica,
questa è merda, nient’altro. - È una recensione, pubblicata su un giornale. - David, critiche di questo genere sono opera di gente da quattro
soldi, che pubblica su un giornale da quattro soldi. Sono le riviste su cui
pubblica Nathan, che scrive con uno pseudonimo gli articoli in cui elogia le
proprie opere. Questo è lo sgambetto di un ... amico, che voleva colpire te e
me e ci è riuscito, ma solo per chi compra questa roba. David appare dubbioso. Le parole di Jean non lo convincono pienamente.
Poi scuote la testa e cerca di sorridere. - Credo che tu abbia ragione, ma… Va bene, mi
ci dovrò abituare. * David è irrequieto. Ha difficoltà a concentrarsi, gli sembra di avere
in testa un gran vuoto. Siede alla scrivania davanti al manoscritto del suo
romanzo, ormai quasi concluso, ma non riesce a scrivere le ultime pagine. Se
gli viene un’idea che gli pare di poter sviluppare, non appena cerca di darle
corpo, essa svanisce. Se scrive qualche riga o una pagina, gli sembra priva
di senso. È l’intero libro ad apparirgli poco significativo. Allora lascia la sua stanza e scende in giardino. Cammina per ore,
cercando di riordinare le idee, ma la sua mente si distrae, divaga, ritorna
alla sera prima o magari ad un passato più lontano, si ferma su una figura
che ha attirato la sua attenzione, crea l’abbozzo di una trama. Tutto,
fuorché tirare le somme ed individuare come concludere. Anche la sera, quando non escono e si mettono entrambi a leggere, la
sua mente girovaga senza meta e spesso alla fine di una pagina si rende conto
di non sapere che cosa ha letto. Jean deve essersene accorto, perché gli chiede: - Allora, David, che cosa c'è che non va? David lo guarda. Non lo sa bene neanche lui. - Non lo so, Jean. Cioè... lo so benissimo, ma non so che cosa mi
succede. - È tutto perfettamente chiaro. Se però hai voglia di fare lo sforzo
di esprimerti in modo comprensibile, forse lo capirò anch'io. David sorride di se stesso. Certo che per essere uno scrittore, ha
costruito una frase davvero chiara ed elegante! - Non so, Jean, davvero. Mi sento svuotato, privo di forze. Ho quasi
finito il romanzo, ma ogni volta che mi metto alla scrivania per concludere,
è il vuoto totale. Se scrivo una pagina, quando la rileggo mi sembra priva di
senso. Oppure non so più come andare avanti. Non ho idee. - Niente di strano, David. Ti ho sempre detto che lavoravi troppo e
adesso, come risultato di un altro lungo periodo di lavoro frenetico, sei
stanco e svuotato. Devi imparare a dosare il tuo lavoro, come faccio io. Per
me è più facile, perché non ho più l'esigenza di affermarmi come autore, ma
anche tu devi imparare a farlo, altrimenti... - Altrimenti? - Altrimenti ti sentirai come ti senti adesso. Prenditi un periodo di
riposo: cerca di conoscere nuove persone, magari frequenta qualcuno dei
salotti in cui sei invitato. Stacca un po', prima di riprendere. Scrivere un
libro non è mica copiare un atto notarile, finita una copia, sotto con
un'altra. O mi sbaglio? - No, non ti sbagli. Ma mi sembra di sprecare tempo. - No, David, è il contrario, devi lasciarti il tempo: il seme non
germoglia il giorno in cui viene piantato. Hai bisogno di fermarti un
momento, ma davvero. Rinuncia alla scrittura per qualche settimana, va a
zonzo per Parigi, consacrati alla lettura, dedicati un po’ di più alla vita
mondana. David sa benissimo che Jean ha ragione. E frequentare un po’ di più i
salotti in cui è invitato gli permetterà di conoscere nuove persone. - Quindi secondo te dovremmo accettare l'invito della marchesa d'Espard o quello della duchessa di Maufrigneuse? - Mi sembra una buona idea. Faresti bene ad andare. - E tu no? Hanno invitato anche
te. - Pro forma. - Se non vieni, non vado neanch'io. Non ho
voglia. Non conosco quasi nessuno. - Conosci quasi tutti. In ambienti che non conosce, David preferisce avere accanto a sé il
cugino, anche se non è un gran conversatore: sa che su di lui può contare.
Nel salotto della signora de Camps il discorso è
diverso: lì ormai è di casa e non sente l’esigenza di avere Jean vicino. * È proprio un bell’uomo, un vero Apollo. Che occhi! E che sguardo!
Louise glielo aveva detto, ma l’elogio le era sembrato eccessivo. È elegante,
senza essere appariscente. Dicono che abbia anche un grande talento, che i
suoi racconti siano splendidi. Finalmente si è deciso ad uscire dal guscio. Frequentava solo il
salotto della signora Firmiani, quella santarellina che se l’è accaparrato
fino ad ora. David Guyère… Peccato che non sia nobile. Ma
è un artista. Ecco che la marchesa d’Espard lo
presenta alla duchessa di Chaulieu. Il duca sta
osservando la scena, non sembra contento. È geloso, lo sanno tutti. Jeanne d’Espard lo ha di certo fatto apposta: presentare un uomo
così ad un marito geloso è davvero una provocazione. Tanto più che la
duchessa ama gli uomini di lettere. Uno in particolare, secondo quello che
dicono. Ma il poeta Canalis sa essere discreto, frequenta assiduamente il
salotto della marchesa d’Espard e finge di farle la
corte, in modo da non destare sospetti. Il marito tradito, come avviene di
solito, non sospetta di nulla e guarda invece in cagnesco questo bel giovane.
Certo, un uomo così bello… è inevitabile che il
duca sia geloso, farebbe ingelosire chiunque. Saranno in tante a cercare di
attirare la sua attenzione. È di una bellezza… L’idea le viene d’improvviso. Sì, David Guyère è davvero l’uomo
adatto. Berthe si alza e si avvicina alla
marchesa d’Espard, che sta parlando con David
Guyère e la duchessa di Chaulieu. La marchesa le
presenta il giovane scrittore. Berthe gli sorride. Le due donne stanno parlando del volume che Guyère ha pubblicato di
recente, una raccolta di racconti di cui tessono le lodi. Berthe
non conosce il volume. Una buona occasione per farsi raccontare qualche cosa.
Parla con le due donne, ogni tanto pone una domanda a Guyère, senza
dimostrargli grande attenzione. La duchessa di Chaulieu si defila:
preferisce non suscitare inutilmente la gelosia del marito. Quando arrivano
altri ospiti, anche la marchesa si allontana, per accoglierli. Berthe chiede all’autore alcuni
dettagli sulla sua raccolta, per trattenerlo accanto a sé. Ed ecco arrivare Marc, con Armand de Montriveau.
Marc si avvicina, Berthe gli sorride e gli dice. - Conte, mi permetta di presentarle uno scrittore di grande talento,
David Guyère. Signor Guyère, il colonnello conte Franchessini. Marc Franchessini saluta, un po’
freddamente. Non gli piace vederla accanto ad un bell’uomo. Berthe sorride amabilmente al giovane scrittore. Gli pone
altre domande, mostra entusiasmo. Marc sta fumando di rabbia, anche se lo
dissimula. Berthe si trattiene per non scoppiare a
ridere. Le piace far ingelosire un po’ Marc, sempre così sicuro di sé, della
sua bellezza, del suo fascino, della sua abilità con la spada. Ogni tanto è
meglio ricordargli che non è l’unico bell’uomo a Parigi. * Jean qui! Questa poi! Lui che detesta la vita mondana. Armand de Montriveau è piuttosto stupito di
trovare Jean Guyère nel salotto della marchesa d’Espard.
Hanno combattuto insieme, prima che Jean lasciasse l’esercito: Armand aveva
appena incominciato la sua carriera militare e Jean era stato suo superiore.
Armand ne aveva apprezzato il senso di responsabilità e la competenza. Si
erano poi ritrovati qualche anno dopo, casualmente, ed avevano stabilito
rapporti molto amichevoli, pur avendo seguito strade del tutto diverse. - Sono contento di vederti, Jean. Non avrei immaginato di trovarti
qui. Non ti ho mai visto dalla marchesa e so che non ti degni spesso di
frequentare il gran mondo. - Sai benissimo come sono fatto, Armand, non è il mio ambiente. Armand annuisce, sorridendo. Sta accarezzando l’idea di fare al grande
artista uno scherzetto, un bel tiro mancino… Quando sono in gruppo intorno alla padrona di casa, dice, a voce alta: - Jean, mi dicono che sei un disegnatore, che hai anche pubblicato
delle opere… La reazione è quella prevista. I presenti sono tutti scandalizzati: - Ma come è possibile che non abbia mai visto neppure un volume illustrato
dal signor Guyère? Non c'è biblioteca degna di questo nome a Parigi che non
ne sia fornita. - È vero che è stato a lungo in Oriente, ma questa non è una
giustificazione sufficiente per ignorare quanto di meglio è stato prodotto in
Francia nelle arti visive. A distinguersi nelle lodi è soprattutto la padrona di casa, la bella
marchesa d'Espard. Armand ci scommetterebbe che non
ha mai visto un'opera di Jean. Jean è chiaramente infastidito dal ritrovarsi al centro dell’attenzione.
Bene, è il momento di fingere di venirgli in aiuto, assestandogli un'altra
stoccata. - Basta, se continuiamo ad elogiarlo, il signor Guyère si sentirà a
disagio. Lo conosco bene, non ama essere l’argomento della conversazione.
Preferirebbe farsi fucilare un'altra volta. Tutti rimangono un attimo interdetti. Jean gli lancia un’occhiata di
fuoco: se si potesse uccidere con lo sguardo, Armand sarebbe spacciato. È la
marchesa ad intervenire, facendosi portavoce dello stupore di tutti i
presenti: - Che cosa significa farsi fucilare un'altra volta? Non mi dica che è
stato fucilato… non è possibile. Montriveau
risponde immediatamente, prima che Jean cerchi di deviare il discorso. - Ma sì, il nostro Jean Guyère è stato fucilato e se l'è cavata con un
minuscolo graffio al braccio. - Ma come mai? Fucilato! Signor Guyère, ci racconti. Jean ovviamente non ha nessuna voglia di narrare. È evidente che
prenderebbe volentieri a pugni Armand per il tiro mancino che gli ha giocato.
Ma, come Armand ha previsto, è impossibile non rispondere: l'accenno ha
suscitato la curiosità di tutti gli ascoltatori. D’altronde non capita spesso
di scoprire che si sta parlando con qualcuno che è stato fucilato. Jean cerca di schermirsi. - Ma non credo che interessi a nessuno. Tentativo pietoso, rapidamente respinto da un coro di domande ed
esclamazioni. Montriveau prende la palla al balzo: - Darò una mano a Jean, raccontando l'accaduto. Eravamo insieme agli
ordini del capitano Jounot. Jean aveva il grado di
luogotenente, che aveva conquistato molto in fretta, grazie a due eroiche
azioni, in cui si era esposto, prima per salvare la vita al suo comandante,
poi per riscattare un gruppo di soldati che stava per essere macellato da un
distaccamento nemico. Jean è sui carboni ardenti. Armand quasi scoppia a ridere a vederlo in
faccia e Jean ne approfitta per intervenire: evidentemente mira a cavarsela
con poco, impedendo ad Armand di rincarare la dose e giocargli qualche altro
tiro mancino. - Devo dire che i rapporti tra il capitano Jounot
ed il sottoscritto non erano precisamente buoni... - Si odiavano... L'osservazione di Montriveau suscita una
curiosità generale, di cui si fa portavoce il cavaliere d'Espard,
cognato della padrona di casa. - E come mai? - Jean, che è un uomo valoroso ed eccellente, uno nelle cui mani
metterei senza esitare la mia vita, tendeva a non esporre a rischi inutili i
suoi uomini e questo spesso lo portava ad assumere posizioni che il capitano Jounot non approvava. Jean lo interrompe. - Comunque lui era il mio superiore. Ed io gli ubbidivo. Senza
discutere. - Quasi sempre. Jean prende in mano la situazione. Ormai è sotto il fuoco nemico e non
c’è via di fuga possibile. Perché Armand de Montriveau
sa benissimo che se Jean potesse scappare, adesso lo farebbe. Ma la ritirata
è bloccata dal cerchio di ascoltatori che premono curiosi. - Un'unica volta non lo feci. Ad Austerlitz,
il capitano mi ordinò di attaccare con i miei uomini una collina in cima alla
quale c'era una postazione di artiglieria. Mi disse di lanciare gli uomini
all'attacco lungo un pendio completamente allo scoperto. Sarebbero morti
tutti. Saremmo morti tutti. Senza avere nemmeno una possibilità su un milione
di conquistare la postazione. - E lei si rifiutò? - No, semplicemente portai gli uomini all'attacco, ma lungo un pendio
boscoso. Conquistammo la postazione con un numero ridotto di perdite. - Ottenne il risultato voluto, no? - Sì, ma non nel modo voluto. Il capitano arrivò al galoppo in cima
alla collina appena conquistata, mi accusò di insubordinazione ed ordinò di
fucilarmi immediatamente. - Ma come è possibile? Si può fucilare un ufficiale così, senza il
giudizio di un tribunale militare? È Montriveau ad intervenire per spiegare. - No, casi del genere non si verificano mai. Non si fucila un ufficiale
senza un processo, sia pure sommario. Ma il capitano Jounot
pensava di essere Dio in terra ed odiava il luogotenente Guyère. Montriveau
prosegue: - Il fatto è che, non brillando per intelligenza, decise di far
fucilare Jean dai suoi stessi uomini! Voleva dare l'esempio, lui. Quelli
sapevano benissimo che avrebbero dovuto fucilare il loro amato luogotenente
per non averli portati al macello. E poi, gli uomini al servizio di Jean si
sarebbero fatti scannare per salvargli la pelle, figuriamoci fucilarlo! - Insomma, finì che spararono tutti in aria o di lato. A pochi metri,
neanche un colpo andato a segno. A parte un quasi invisibile graffio al
braccio, qualcuno che aveva sbagliato mira. Montriveau
vorrebbe proseguire, ma davvero a guardare la faccia di Jean fa fatica a
contenere il riso. La marchesa chiede: - E che cosa successe? Jean spiega: - Il capitano andò su tutte le furie e decise che avrebbe fatto
fucilare anche il plotone d'esecuzione, ma non dai miei uomini, questa volta.
La marchesa incalza: - E allora? Armand de Montriveau riprende la narrazione,
godendosi il successo di attenzione e l’imbarazzo di Jean: - In quel momento arrivò il colonnello Hulot,
che avevamo mandato ad avvisare. Rimproverò il capitano e disse che quella
sera avrebbe esaminato il caso e preso le decisioni. E che, senza perdere
altro tempo, avremmo fatto meglio ad occuparci tutti di combattere, se… non ci pesava troppo. Jean aggiunge: - Lo disse in un modo tale che prima ancora che finisse eravamo già
tutti ai nostri posti di combattimento. - E che cosa successe, quella sera? - Il capitano rimase ucciso nella battaglia. - E la storia finì lì? - La sera il colonnello Hulot fece una breve
inchiesta, che assolse completamente il valoroso luogotenente Guyère da ogni
accusa. Jean intervenne: - Sì, perché tutti gli ufficiali mentirono, sostenendo che il capitano
mi aveva ordinato di conquistare la postazione, senza specificare la via da
percorrere. L'indicazione del pendio allo scoperto era da intendere come un
suggerimento, se non addirittura, come qualcuno ebbe la faccia tosta di dire,
una provocazione ironica. C’è un momento di silenzio, poi Louise de Chaulieu
chiede: - Che cosa si prova a venire fucilati? Jean alza le spalle, imbarazzato. Armand è sicuro che in questo
momento lo sta stramaledicendo. - Non è facile spiegare. Montriveau
interviene ancora: - Certamente a vederlo nessuno avrebbe detto che sapeva di stare per
morire: non solo non sembrava avere paura, ma appariva sereno. Mi sono spesso
chiesto come potesse essere così tranquillo di fronte alla morte. - In quei giorni ognuno di noi poteva morire in qualunque momento.
Eravamo tutti abituati alla morte. Armand se la gode, mentre Jean deve sorbirsi ancora un buona quantità
di osservazioni ammirate e lodi sperticate, prima che la duchessa di
Maufrigneuse lo salvi, rivolgendosi a David: - Perché non scrive un racconto a partire da questo episodio? David passa al centro dell'attenzione ed Armand vede Jean respirare.
Gli ha davvero fatto un bello scherzetto. Quando finalmente giunge il momento di accomiatarsi, Montriveau saluta Jean dicendo: - Devo dire che ho molto apprezzato le tue opere, particolarmente le Favole. Un vero gioiello. Jean non appare stupito, ha capito benissimo la manovra di Armand. Si
limita a replicare: - La prossima volta che ti incontro, spero di avere una pistola con
me. Armand scoppia a ridere. Ha sempre apprezzato l’ironia di Jean. - Me lo merito, Jean. Ma fa' attenzione, sono un ottimo tiratore, io. - Lo so, lo so, ma ti colpirò alle spalle, come hai fatto tu. * David è turbato. L’idea di Jean davanti al plotone d’esecuzione lo ha
profondamente colpito, facendo passare in secondo piano i piccoli avvenimenti
e le conversazioni della serata. Mentre rientrano a casa gli dice: - Jean, non mi hai mai raccontato del tuo servizio militare. Jean scuote la testa. - Parlo poco volentieri di quel periodo. Ero venuto a Parigi deciso a
lavorare come disegnatore ed un giorno mi arruolai. Per Jean non completa il pensiero. - Non era un momento felice. Avevo vent'anni e tu sai che a vent'anni
si è... Anche questa frase rimane in sospeso, mentre una smorfia amara compare
sul viso di Jean. - Non mi hai mai parlato di tuo fratello. - Mio fratello era molto più bravo di me negli studi, era più bello, non
aveva ereditato il naso dei Guyère, ma quello dei Tardieu,
cioè della famiglia di mia madre. Era molto migliore di me. C'erano dei
giorni in cui soffrivo perché non ero come lui, non sarei mai stato come lui.
Era la soddisfazione dei miei genitori, il figlio riuscito bene. Lo amavano
moltissimo ed anch'io lo amavo moltissimo: era l'unico della famiglia che
sembrava amarmi davvero, che lo dimostrava. David si rende conto di sapere pochissimo di Jean. Il cugino parla
così poco di sé. - Quando decisi di uccidermi, ero disperato e la morte mi appariva una
liberazione. Ma tu, che cosa hai provato... come hai potuto affrontare il
plotone d'esecuzione senza paura? - Senza paura? Forse. Ero sereno perché pensavo che la mia morte a
qualche cosa era servita: ad evitare che gli uomini che comandavo venissero
fatti a pezzi per niente. Ma non pensare che fossi tanto coraggioso. Se vuoi
saperlo, qualche minuto dopo la mia fucilazione, mi accorsi che avevo i
pantaloni bagnati sul davanti. Sì, mi ero pisciato addosso, al momento della
scarica, credo. Per fortuna avevo la vescica quasi vuota e non si notava
molto. Se qualcuno se ne accorse, non disse nulla. Ma non sopravvalutare il
mio coraggio. Più e più volte ho sognato quel giorno, ho rivisto il plotone
che puntava. Per me non era così evidente che nessuno dei fucili era puntato
su di me. E quelle notti, più volte mi sono svegliato sudato, sconvolto. David non ha mai combattuto, non ha neppure prestato servizio
militare: aveva appena quattordici anni quando Waterloo chiuse il periodo
delle guerre napoleoniche. - Fu una fortuna che il capitano venisse ucciso. - Non fu una fortuna. Non fu un caso, intendo. David guarda stupito il cugino. - Che cosa vuoi dire? - Che gli sparò qualcuno dei nostri. Uno dei miei uomini. - Dei tuoi uomini? - Sì, non so chi. Almeno non con sicurezza. No, in realtà lo so con
sicurezza, ma non ho prove, non l'ho visto sparare. A rigore non posso
nemmeno dire che fu proprio uno dei nostri ad ucciderlo, ma ne sono sicuro. - E perché lo fece? - Per salvarmi la vita. Sapeva che gli altri ufficiali mi avrebbero
difeso. - Se si fosse scoperto che il colpo era partito dai tuoi uomini... Jean lo interrompe : - Avrei detto che gli avevo sparato io. David rimane senza parole. Jean aggiunge: - Non sarebbe stato giusto che un uomo morisse per salvare me. - Ma tu saresti morto per salvare lui e tutti gli altri. - Ognuno fa le sue scelte e le paga. David è ancora turbato. Vive accanto al cugino, ma ci sono molti
aspetti di lui e del suo passato che ignora completamente. In realtà non sa
quasi niente di lui. Chi è Jean? Sono molte le domande che in questo momento
gli vengono alle labbra, ma non può chiedere senza essere indiscreto. Non può
frugare nel suo passato, nella sua vita privata. Jean non è il personaggio di
un romanzo. L’idea fa sorridere David. Jean potrebbe davvero diventare il
protagonista di una storia. C’è di nuovo un momento di silenzio. Poi Jean gli dice: - Ho visto che ti hanno presentato il colonnello Franchessini.
Guardati da lui. È uno spadaccino formidabile ed un vero figlio di puttana.
Ne ha ammazzati più d’uno in duello. La marchesa d’Ajuda-Pinto,
con cui parlavi, pare essere la sua amante. Non è la prima volta che Jean lo mette in guardia nei confronti di
qualcuno. Con Franchessini ha scambiato poche
parole, non vede proprio per che motivo potrebbero arrivare ad una sfida.
Però l’accenno alla relazione del colonnello con la marchesa ha nuovamente
sollevato in lui un dubbio, che lo spinge a formulare la domanda: - Jean, toglimi una curiosità. - Dimmi. - Tu frequenti poco i salotti, eppure sembri conoscere tutto, anche
dettagli che di certo non sono di pubblico dominio. Jean ha una mezza risata. - Credi davvero? Non so che cosa a Parigi non sia di pubblico dominio:
nell’alta società gli amanti vengono spesso esibiti, sia pure mantenendo una
certa discrezione. Certo, ci sono relazioni che rimangono segrete e di quelle
non so nulla. Non mi interesso dei pettegolezzi, ma sento che cosa viene
detto. E di sicuro molte donne e anche diversi uomini non perdono l’occasione
per una battuta cattiva. * David è andato a dormire. Anche Jean ha spento la lanterna, ma non
dorme. Pensa al giorno della sua fucilazione, alla notte dopo la battaglia. Quella giornata segnò una svolta nella sua vita. La sera, mentre,
disteso sul suo giaciglio, ad occhi aperti, cercava di definire le proprie
sensazioni, di trovare un senso agli avvenimenti di quel giorno, un giovane
si era steso accanto a lui. Da lungo tempo quel ragazzo, appena diciottenne,
gli aveva fatto capire di desiderarlo e Jean non aveva finto di non
comprendere, ma non aveva accettato l'offerta. Sapeva di essere attratto
dagli uomini, ma non aveva mai ceduto ai suoi impulsi, benché più volte la
carne lo tormentasse. Quella sera l'idea che avrebbe potuto essere morto, a
ventisette anni, senza neppure aver provato il piacere, agì su di lui. Non
respinse le carezze e senza nemmeno rendersene conto, si trovò a ricambiarle,
a stringere quel corpo, a penetrarlo, a vivere con lui una notte di delirio,
accesi entrambi da un desiderio che sembrava inesauribile e che li aveva
lasciati il mattino esausti. Quella notte aveva accettato di essere quello che era e si erano
dissolti i suoi sogni di una vita normale, di crearsi una famiglia, di avere
dei figli. Sposarsi sarebbe stato ingannare la donna che gli si affidava,
perché al piacere non avrebbe rinunciato. Era quello che era ed a se stesso
sarebbe rimasto fedele, qualunque fosse stato il prezzo da pagare. Così è stato. Ma qual è il prezzo, Jean lo sta scoprendo appieno solo
ora, che ha David vicino. Ed è molto più alto di quanto si aspettasse. * Sono rientrati. Andranno direttamente nelle loro camere. David
incomincerà a spogliarsi e si metterà a letto tra pochi minuti. Domani
mattina il padrone si sveglierà presto, ma David si alzerà più tardi.
Marie-Anne cercherà di non fare rumore, per non disturbare il suo sonno. Domani sera non usciranno. Domani sera… Marie-Anne chiude gli occhi, ma il sonno non viene. È finito il tempo
in cui si stendeva e si addormentava immediatamente, quando la sua vita era
quella della vergine saggia. Ora non è più così. David, David, David. La mente ritorna a quando era bambina ed il
pastore raccontava la storia del giovane David, che sconfisse il gigante
Golia nella valle di Elah e divenne re di Israele. David le appare davvero
come il re biblico, la sua bellezza è il marchio che il Signore ha impresso
su di lui. David non è come gli altri uomini, è davvero un re, superiore a
tutti. David. Domani sera. David. È peccato, Marie-Anne lo sa. È peccato.
Anche il re David peccò e perciò fu duramente punito da Dio. Proprio oggi,
prima di coricarsi, Marie-Anne ha riletto la storia del re. Ciò che David aveva fatto era male agli
occhi del Signore. Se David pecca, è colpa sua, è stata lei, Marie-Anne, a desiderarlo, a
tentarlo. È lei ad offrirsi. Il peccato sarà punito e Marie-Anne prega Dio
che questa pena ricada su di lei e non su David. Dio non deve punirlo. Solo
lei dovrà espiare la colpa che è sua. David deve poter portare la corona ed indossare il mantello regale. Su
tutti egli regnerà: Ecco, noi ci
consideriamo come tue ossa e tua carne. Dio perdonerà a lui come ha
perdonato al re David. Il Signore ha
perdonato il tuo peccato; tu non morirai. Anche Mi baci con i baci della sua bocca! Sì, le tue tenerezze sono più dolci del
vino. Per la fragranza sono inebrianti i tuoi
profumi, profumo olezzante è il tuo nome, per questo le giovinette ti amano… …A ragione ti amano. Come non amare David? * Jean si sta spogliando quando gli viene in mente che domani, di buon
mattino, arriverà il falegname per sistemare una finestra della camera di David.
Non l’ha avvisato: meglio che glielo dica adesso. Jean si riveste
rapidamente. Potrebbe andare dal cugino a torso nudo, ma preferisce evitarlo.
È passato un buon momento da quando sono rientrati, spera che David
non si sia già messo a dormire. Davanti alla porta del cugino, vede un po' di
luce filtrare. Bene, non rischia di svegliarlo: David è giovane, si
addormenta immediatamente e se fosse già a letto, probabilmente starebbe già
dormendo. Bussa e dice: - Scusami, David, ho dimenticato di dirti una cosa. - Entra pure. Jean apre la porta ed entra, ma sulla soglia rimane paralizzato.
David, in piedi vicino al letto, è nudo e tiene la camicia da notte ripiegata
tra le mani. L’indumento gli nasconde solo il ventre e le gambe fino al
ginocchio. Jean sente che gli manca il fiato, non riesce a parlare. - Che cosa c'è, Jean, qualche problema? Non stai bene? Con uno sforzo violento su se stesso, Jean riesce a replicare: - No, no. Sto benissimo. Mi sono dimenticato di avvisarti: domani
mattina vengono per sistemare quella benedetta finestra. Passeranno molto
presto. David gli sorride. - Pensi sempre a tutto. Grazie, Jean. Jean sa benissimo che deve andarsene. Ha detto quanto doveva dire.
Deve muoversi, smettere di fissare quel corpo, da cui non riesce a staccare
gli occhi. David non capisce perché Jean rimanga lì, fermo. - C'è altro? - No. Mi pareva… Niente. Buonanotte, David. - Buonanotte, Jean. Voltarsi ed uscire non è facile, ma non può rimanere oltre. Sulla
soglia si gira per richiudere la porta e vede David che si è voltato per
infilarsi la camicia da notte. Lo vede di schiena, completamente nudo. La sua
mano si contrae sulla maniglia e solo con un nuovo sforzo violento riesce a
chiudere la porta, che sbatte rumorosamente. Jean rimane fermo un buon momento davanti all’uscio, ansimando,
cercando di ritornare padrone di se stesso. Vede la luce che filtra sotto la
porta spegnersi. Respira a fondo e, badando a non fare rumore, torna in
camera propria. Chiude la porta il più silenziosamente possibile. Spegne la lanterna. Poi si spoglia. Si stende sul letto. Chiude gli
occhi, mentre le sue dita accarezzano il sesso già eretto. Pensa alla schiena
diritta di David, a quel culo che ha appena intravisto, ma che sarebbe capace
di riprodurre in ogni dettaglio. Sa che sta usando David, il suo corpo, per
soddisfare i propri bisogni. Ma la mano continua a lavorare sicura ed il
corpo si staglia nitido ed abbagliante nel buio della sua stanza. Gli pare
che ormai non potrebbe fermarsi neppure se David entrasse nella camera. Solo dopo, quando il liquido è ormai una massa fredda ed
appiccicaticcia sul ventre, la vergogna lo sommerge. Si sente sporco ed
indegno. Non riesce ad addormentarsi. Da troppo tempo non ha rapporti. Ama David
e l'idea di stringere un altro corpo quasi gli ripugna: ha diradato le
proprie incursioni, sempre meno soddisfacenti, fino ad interromperle del
tutto. Ma l’astinenza lo rende facile preda del desiderio che prova per
David. Deve darsi da fare. Scopare. Che senso ha farsi le seghe pensando a
David? A quarantasei anni! Meglio scopare davvero. Ha bisogno di carne, di un
maschio da stringere, da possedere, che scacci dalla sua mente l’immagine
dell’unico corpo che lo attrae. Ma per quanto si sforzi, non riesce ad
impedire che ciò che ha visto riemerga, sempre più forte, sempre più netto,
sempre più desiderabile. Prima che sia mattina, un’altra
volta il desiderio lo sopraffà. E la vergogna è
ancora più forte. Due giorni dopo, mentre è alla scrivania, distoglie lo sguardo dalla
tavola che ha appena ultimato e lo alza sul giardino. Rimane a lungo
immobile, lo sguardo fisso sugli alberi, ma nella sua testa prendono forma
altre immagini. Jean abbassa gli occhi, prende un foglio ed una matita. Si ferma,
prima che la punta tocchi la carta. Poi incomincia a tracciare uno schizzo. I
pensieri vagano e Jean ha solo nebulosamente coscienza di quello che sta
facendo. O, forse, ne ha perfettamente coscienza, ma non vuole rendersene
conto. Con tratti decisi sta disegnando un corpo, un corpo di schiena, uno
splendido culo. Quello di David. Man mano che il disegno si arricchisce di
dettagli e diventa più preciso, sente l'eccitazione salire. Posa la matita e
rimane a guardare il disegno finito. Poi la sua mano scende nei pantaloni.
Basta pochissimo. Rimane a lungo a guardare il disegno, poi alza la testa e fissa il
giardino. Non può continuare così. Non può servirsi di David in questo modo.
È indegno. Domani si metterà in caccia. * Eccone uno che arriva e rallenta il passo. Di certo è alla ricerca di
compagnia. Hector fa finta di guardare Ma quello lì Hector l’ha già visto, uno così non si dimentica
facilmente: di faccia è proprio brutto. Mesi fa è andato con Louis. Louis era
soddisfatto, gli ha detto che è ben dotato e ci sa fare. E se poi gli chiedi
di darti qualche cosa, non ti dice di no. Quando l’uomo gli lancia un’occhiata passando, Hector gli sorride. Il tizio si ferma e lo squadra. Non risponde al suo sorriso, ma gli
dice: - C’è una pensione, qui vicino. Non ci gira intorno: va diritto al sodo. Va bene così, anche Hector
non mira a far conversazione, non sono mica in salotto. La pensione dev’essere quella della Nourrisson.
Un posto adatto, in cui non fanno domande, basta che qualcuno scucia i soldi.
Hector non sarebbe in grado di tirar fuori un centesimo. Tocca al tipo
pagare. Ma è meglio mettere in chiaro subito: - Per me va bene. Ma… E con un gesto eloquente Hector mostra la tasca vuota. Il tipo annuisce. È uno che non si preoccupa se deve pagare,
d’altronde basta vedere come è vestito. Ottimo, alla fine magari sgancerà
qualche franco. Hector non lo fa a pagamento, non vende mica il culo, lui, lo
fa perché gli piace, ma un po’ di denaro non guasta. Se trova uno generoso,
tanto di guadagnato, unisce l’utile al dilettevole. * Sono quindici giorni che il pensiero ritorna. Ogni sera, lo stesso
impulso. Bussare alla porta di David, con una scusa qualsiasi. Per vederlo,
vederlo ancora. Ogni sera, la stessa lotta. Due volte si è alzato ed ha
aperto la porta della propria stanza. Una sera è rientrato immediatamente.
L’altra ha atteso davanti alla porta di David di vedere spegnersi la luce.
Solo allora è riuscito a ritornare in camera. Inutile cercare altre vie per soddisfare il bisogno: il desiderio
ritorna impetuoso. Anche la settimana scorsa, quando è andato con quel ragazzo, non è
servito a niente, la sera era al punto di prima. Fino ad ora è riuscito a non cedere. Questa sera però è diverso.
Questa sera David è andato da solo dalla duchessa di Maufrigneuse. Jean è
rimasto a casa. Ed il desiderio che lo tormenta ogni notte ha avuto tempo di
crescere, di costringere in un angolo la ragione, la dignità, tutto ciò che
si frappone tra Jean e la vista del corpo di David. E questa sera la scusa è già pronta. Può chiedergli della serata. Niente
di strano. L’ha sentito rientrare e adesso gli chiede com’è andata dalla
duchessa. La cosa più naturale di questo mondo. Jean è uscito dalla sua camera. Può vedere che nella stanza di David
c’è ancora la luce accesa: non potrebbe essere diversamente, il cugino è
appena rientrato. Bussa. - Sei tu, Jean? - Sì, sono io. Ti disturbo? - No, no, vieni pure. Il cugino è ancora vestito, ma incomincia a spogliarsi sotto i suoi
occhi. Jean lo guarda, mentre gli chiede com’è andata dalla duchessa, chi
c’era, di che cosa hanno parlato. Una serie di domande delle cui risposte non
gli importa nulla, perché una sola cosa conta ora: guardare David, vedere il
corpo snello ed armonioso che scivola via dall’involucro degli abiti e gli si
offre, abbagliante di luce. David parla, ride, Jean replica, non sa se le cose che dice hanno un
senso, forse sì, una parte del suo cervello ascolta quello che David racconta
e risponde a tono, ma tutto ciò è come acqua che scorre, senza lasciare
traccia, mentre i tratti di David si incidono nella sua mente, come tracciati
su una lastra di rame da un bulino. Guarda David mentre si spoglia per la notte, sentendosi un individuo
spregevole, ma non riesce a farne a meno, non ha la forza per salutare e
tornare nella sua camera. David si è tolto la camicia. Jean prova disgusto per se stesso, ma il
desiderio è più forte di tutto. Dopo essersi tolto i pantaloni, però, David
si ferma e rimane ad ascoltarlo senza accennare a togliersi anche le mutande. Jean sorride. - Ti lascio dormire, sarai stanco. Mi sono trattenuto anche troppo.
Buona notte. - Buona notte. Jean torna in camera. Si è trattenuto troppo, è vero. Si stende sul letto e si lascia guidare dal desiderio, umiliato ed
infelice. Il giorno successivo guarda David, gli legge in faccia l'assoluta
fiducia che ha in lui, e pensa alla notte precedente, a quando, disteso sul
letto, si è servito di David per soddisfare i suoi bisogni. Si sente indegno
dell'affetto che David gli dimostra e ne soffre. Eppure a volte disegna David, sempre più spesso insieme a se stesso,
in immagini esplicite: non trova altro modo per alleviare la tensione
dell’astinenza. Poi, dopo aver completato la sua opera, distrugge
immediatamente il disegno. * Marguerite chiude il libro. Ha gli occhi arrossati. Non ha mai letto
niente di più bello. E di più terribile. Ogni racconto è una lama
scintillante che colpisce a fondo, al cuore. È terribile, è terribile. Questa è la vita? Solo sofferenza? Marguerite ha la sensazione di
soffocare. No, così no. Non vuole. Non vuole vivere così. Non così. * Léon sta danzando con la baronessa del Pardo. Lei gli sta dicendo
qualche cosa. Léon scoppia a ridere. Anche la baronessa ride, gettando
leggermente indietro la testa, in modo da mettere in mostra il bel collo. È
una bella donna, la baronessa del Pardo, giovane, molto giovane. Ed ha un
marito poco attento, che sembra voler smentire la fama di gelosia che
accompagna gli uomini spagnoli. Hortense de Soulanges guarda suo marito, che ha stretto la donna nel
suo abbraccio, in modo da avvicinarla a sé, mentre continuano a volteggiare.
Hortense si porta la mano alla testa. Le sembra che scoppi. È la stanchezza.
Solo una questione di stanchezza. La tensione della serata. Vedere Léon e
quella donna che chiacchierano, ridono, ballano insieme, si cercano con lo
sguardo quando sono lontani, come se nessuno li potesse vedere, come se lei
non ci fosse neanche. Ma lei non c’è davvero, non esiste più, da tempo. Léon
non la guarda. Lei è la madre dei suoi figli, non sua moglie. Da quanto tempo
è così? Da tanto, tantissimo, dalla nascita di Amélie.
Ma Léon non era fedele neanche prima. Hortense china il capo. Ha voglia di
piangere, ma ricaccia indietro le lacrime. Perché non riesce a farsi una
ragione? Sa benissimo che è così, dovrebbe aver capito che non può fare altro
che rassegnarsi. Léon sta chiacchierando con alcuni amici, ma ogni tanto lancia
un’occhiata alla baronessa, che sta danzando con Eugène de Rastignac. Lei ricambia lo sguardo. La musica si
interrompe, anche questo ballo è concluso. Léon lascia gli amici e quando
inizia un nuovo giro di danza, invita di nuovo la baronessa a ballare. Lei
sorride, dice qualche cosa, ride alla sua stessa battuta, poi incominciano a
danzare. Come sorride Léon, come sembra felice! A casa è sempre serio, chiuso
nei suoi pensieri, spesso nervoso. Quando lei gli parla, l’ascolta appena, a
meno che non ci sia qualche problema serio relativo ai figli. La danza è finita. La baronessa si dirige verso un salottino, entra.
Léon scambia due parole con gli amici, finge di non aver nemmeno notato che
lei è uscita dalla stanza. Ma poi si dirige anche lui verso il salottino.
Crede che gli altri non si accorgano della loro manovra? No, non lo crede, ma
non gli importa, per nulla. Hortense fissa lo sguardo su di lui, quasi
potesse fermare il marito, ma Léon prosegue il suo cammino, con aria
indifferente. Scompare oltre la porta. Hortense abbassa il capo. Fissa il tappeto. * È bella quella donna seduta sul divano. Ha una carnagione molto chiara
e bei capelli castani. Non ha danzato una sola volta in tutta la serata.
Segue con lo sguardo le coppie che danzano. David vorrebbe invitarla, ma non
la conosce. Émile Blondet
gli passa vicino in quel momento. David lo ferma. - Émile, conosci quella donna seduta sul divano, vicino alla finestra? L’amico guarda nella direzione indicata. - Quella vestita di bianco, con la collana di zaffiri e perle? È la contessa Hortense de Soulanges. - È un po’ che la osservo. Non credo che abbia ballato per tutta la
serata. Rimane seduta, da sola. Prima guardava con attenzione i danzatori,
adesso ha chinato la testa. - Guardava il marito. La contessa è una moglie fedele e, come spesso
accade in questi casi, ha un marito infedele, che poco fa si è appartato con
la sua amante del momento, la bella baronessa del Pardo, moglie
dell’ambasciatore di Spagna. David scuote la testa. - Povera donna! Guarda la contessa. È davvero una bella donna. Quanti anni avrà? Ha
superato i trenta, ma ha un ovale perfetto e due occhi a mandorla, così
dolci. - Émile, ti spiace presentarmela? - Ma certamente. Però ti avviso: con lei non hai nessuna speranza. - No, ho solo voglia di conoscerla. Mi sembra una persona
interessante. - Conti di metterla nella tua prossima opera? Bada, nei libri le donne
virtuose hanno così poco fascino! A David pare invece che questa donna sia davvero affascinante.
L’attira la sua sofferenza. E qualche cosa a cui non saprebbe dare un nome,
purezza, forse. Ma purezza autentica, non come quella della duchessa di
Maufrigneuse, la cui apparenza angelica è soltanto un’illusione abilmente
creata. Émile e David si avvicinano alla contessa. - Contessa, posso salutarla? - Buonasera, signor Blondet. Come sta? Ha una bella voce, dolce e triste come lo sguardo. Émile risponde, poi fa le presentazioni. - Mi permetto di presentarle il mio amico David Guyère, autore del
grande successo del momento, un magnifico libro… La contessa interrompe Émile con un sorriso: - Non occorre che me ne parli, signor Blondet.
Ho letto i suoi racconti. Posso dirle, signor Guyère, che è davvero un libro
bellissimo? David è contento di aver regalato un sorriso a questa donna, ma è un
sorriso mesto. La sua sofferenza è troppo forte. - Mi fa molto piacere che l’abbia apprezzato. - Lei è davvero molto bravo, signor Guyère, e sono contenta di
conoscerla. Non credevo che fosse così giovane. Émile interviene: - Non è tanto giovane! Ha un anno in più di me! Hortense scuote la testa e ha una piccola smorfia ironica: - Diciamo che porta bene i suoi anni, signor Guyère. Non sembra
vecchio com’è in realtà. Émile scoppia a ridere, poi si eclissa, lasciandoli soli. Ha capito
che David è interessato alla contessa. Émile sa essere molto discreto. Con lui
David si trova molto bene, hanno molte cose in comune, tra cui il portare il
cognome di un uomo che non è il loro vero padre e che li detesta. La contessa cerca di precisare il suo pensiero. - Non volevo dire che è troppo giovane per essere un grande scrittore,
non è così. Ma in quei racconti lei sembra avere dell’animo umano e della
sofferenza una conoscenza che di solito si raggiunge più tardi. David si dice che anche questa donna conosce bene il dolore, ma certo
ha diversi anni in più di lui. - Credo che si possa imparare molto presto a conoscere la sofferenza. La donna abbassa gli occhi. - Sì, è vero. Si può incominciare a soffrire molto presto. Rialza lo sguardo su di lui. Nell’azzurro dei suoi occhi a David pare di
intravedere un luccichio, mentre gli dice: - Continui a scrivere, signor Guyère. Libri come i suoi sono un dono
per tanti lettori. - Grazie, contessa. Il suo incoraggiamento è prezioso. Hortense gli chiede che cosa sta scrivendo, poi passano a parlare di
letteratura, ma lo sguardo della donna torna spesso alla porta del salottino.
A un certo punto David la vede sussultare leggermente. David è sicuro che sia
uscito il marito - o la baronessa. E in effetti poco dopo un uomo si avvicina loro. La contessa fa le
presentazioni. Léon de Soulanges è un bell’uomo, ma David prova per lui
un’istintiva antipatia. Il suo nome non sembra dire nulla al conte e David
non se ne stupisce: Léon de Soulanges ha altri interessi. David si allontana e raggiunge il gruppo dove si trova Émile, insieme
ad altri giornalisti e scrittori. Il giornalista Étienne
Lousteau, che David ha avuto modo di conoscere e
frequentare nell’ultimo periodo, si stacca dal gruppo e gli viene incontro. - Posso parlarti un momento, David? * - Lousteau mi ha fatto una proposta di lavoro interessante. Potrei
scrivere recensioni ed articoli per Le
Journal de Paris: mi ha detto che i miei
articoli sarebbero pagati bene, anche ottanta franchi la colonna, e che
potrei guadagnare... Jean non lo lascia concludere la frase. Il tono delle voce tradisce
una violenta irritazione. - Scrivere per quella rivista? Recensioni in cui vendi il tuo talento
scrivendo quello che vuole il direttore? Ma perché devi prostituirti in
questo modo? David sa che quando Jean si arrabbia, usa spesso termini pesanti, che
abitualmente evita. Ma che scrivere per un giornale sia prostituirsi gli
sembra un po’ troppo. Non capisce neanche perché Jean se la stia prendendo
tanto. - Ma non mi sembra proprio… - Non ti sembra? Che cosa credi, David? Su un giornale non sei libero
di scrivere quello che vuoi. Devi scrivere quello che vuole il direttore, che
vuole far fallire la commedia in cui recita la rivale della sua amante o far
trionfare il libro del poetucolo che scopa la moglie del proprietario del
giornale. Le recensioni si decidono a letto o alla cassa. Che ci possano essere anche questi aspetti, David è ben disposto a
crederlo. Se deve dire la verità, si stupirebbe se non ci fossero: per quanto
giovane non è così ingenuo da non avere un’idea di come va il mondo. Ma
proprio per questo ha chiesto ragguagli e Lousteau gli ha dato delle
garanzie. - Lousteau dice che sarei libero di scrivere quello che penso. Secondo
lui è anche un modo per farmi conoscere da un pubblico più vasto. - È soprattutto un modo per sottrarre tempo ed energie preziose al tuo
lavoro. - Lousteau pensa... Jean lo interrompe, incapace di controllare la sua rabbia. - Lousteau, Lousteau. Ascolti uno come quello, tu! Se vuoi saperlo,
Lousteau è l'autore di quell'articolo infame, apparso su David sa di aver cambiato faccia. L’articolo in cui si denigravano i
suoi racconti e lo si accusava di aver sfruttato la fama di Jean per venderli
è rimasto ben presente nella sua mente. Ancora oggi, a distanza di mesi, il
solo pensiero gli provoca una sensazione sgradevole. Lousteau… com’è
possibile? C’è un lungo momento di silenzio, interrotto da Jean: - Scusa l’irruenza, David, ma non posso sopportare l’idea di vederti trascinato
in quel branco di leccaculo pronti a vendersi al miglior offerente. David lo fissa ancora incredulo. Lousteau… - Lui. Lousteau. Quell’articolo infame. Ne sei sicuro, Jean? - Perfettamente. - Lousteau, che con me è sempre gentile. - Lousteau è sempre gentile con quelli che hanno successo, salvo poi
pugnalarli alla schiena. Alla schiena si colpisce meglio, la gente non sta in
guardia. E tu ti vuoi mettere nelle mani di quel... Jean si interrompe. Respira a fondo. David si rende conto che cerca di
calmarsi. - Scusami, David, non sono affari miei, lo so, e non ho il diritto di
prendermela, ma il pensiero che tu metta i piedi in quel letamaio che è
l'ambiente del giornalismo oggi, proprio non riesco a sopportarlo. L'idea di
vederti degradato mi ferisce. Scusami. - Non hai da scusarti. Sono io che non imparerò mai a muovermi in
questo mondo. Penso che tutti siano come te. Non riesco a pensare che gli
altri possano essere così abietti. - Sei troppo onesto. Ti ci vorrà tempo per abituarti. - Onesto? Vorrai dire ingenuo! Sono un imbecille, a non accorgermi
delle cose. David si sente un po’ umiliato davanti a Jean. Si è fidato di
Lousteau, proprio di quello che, come dice Jean, l’ha colpito alle spalle. Ma
perché, dopo aver scritto quella recensione, gli ha proposto questo lavoro?
Se lo odia, perché… No, Lousteau
non lo odia, semplicemente non gli importa niente di lui: ha pubblicato
quell’articolo immondo perché in quel momento gli serviva o qualcuno glielo
aveva chiesto o magari anche solo per divertirsi ed ora gli ha proposto di
lavorare al giornale, perché occorre qualcuno ed ha pensato che David fosse
la persona adatta. Niente di personale. Ti sparano alla schiena, ma non è
niente di personale. * E quella accanto alla madre è la giovane Marguerite de Grandlieu. Da quella volta in cui hanno parlato dell’Incontro,
non l’ha mai più vista. Ha avuto occasione di imbattersi nella madre, nel
salotto della signora de Camps, ma la figlia non
l’accompagnava. Marguerite non si è accorta di lui. Tiene la testa un po’ chinata,
sembra immersa nei propri pensieri. Poi un’ospite si accomiata, una donna che
David conosce solo di vista, di cui non sa il nome. Marguerite si alza per
salutarla e mentre si siede si guarda intorno. Quando lo vede ha un piccolo
movimento delle labbra, poi china il capo ed arrossisce. Non guarderà più nella sua direzione, David ne è sicuro. Ed in effetti è così, fino al momento in cui Marguerite e la madre non
escono. Allora la giovane lo fissa, ma solo per un attimo. Quando è uscita, la marchesa d’Espard dice: - Credo che sia l’ultima volta che abbiamo visto la povera Marguerite
de Grandlieu. La frase stupisce tutti gli ospiti riuniti intorno alla padrona di
casa. Per un attimo David pensa che la ragazza sia gravemente malata. Ma la
verità è un’altra. - So per certo che ha deciso di entrare in convento. Mi sono stupita
di vederla qui, ma credo che la madre le abbia chiesto di accompagnarla per… qualche motivo personale. David non saprebbe dire quale possa essere questo motivo. Di certo, e non
è la prima volta che David lo nota, quando la marchesa vuole, riesce a far
apparire insinuante o spregiativa anche l’osservazione più anodina. Da come
ha formulato la frase, David è stato portato ad immaginarsi che Marguerite
abbia accompagnato la madre per qualche ragione inconfessabile. Ma adesso la sua attenzione ritorna alla giovane donna che è appena
uscita. Marguerite de Grandlieu
in convento! Che cosa può averla spinta a prendere
questa decisione? David è stupito. Nulla in lei faceva pensare ad una
vocazione monastica. Ma forse da parte sua è presunzione dirlo, ha avuto modo
di parlarle un’unica volta. Perché una donna può decidere di entrare in convento? Che cosa può
spingere una giovane di una famiglia nobile e ricca a rinunciare al mondo? Un
amore deluso, forse, come quello di Hortense de Soulanges? David sorride di
sé. Una spiegazione ordinaria, priva di fantasia. Eppure così spesso la
verità è tanto banale. Il pensiero di Hortense ritorna spesso nella mente di David. L’ha
rivista un’unica volta, dopo il loro primo incontro, ma non è riuscito a
parlarle, perché Berthe d’Ajuda-Pinto
l’ha coinvolto nella conversazione di un gruppo e Hortense se n’è andata poco
dopo. Viene molto poco alle serate. Forse anche lei si tiene lontana dal bel
mondo, come altre donne deluse dalla vita e soprattutto dagli uomini a cui
erano legate: David ha sentito parlare della contessa di Coudray,
che da dodici anni vive in campagna con il figlio e non è mai ritornata a
Parigi, perché il marito la tradiva senza nemmeno curarsi di nascondere la
sua relazione; o della viscontessa di Beauséant,
che ha fatto la stessa scelta qualche anno fa, perché lasciata dall’amante.
Forse anche Hortense ha rinunciato a frequentare la società, per non vedere i
tradimenti del marito, per non incontrare le sue amanti. * David Guyère. Non l’ha mai più visto da quella volta…
no, si sono ancora incontrati, ma non si sono parlati. Chissà che cosa starà
scrivendo. Guarda da questa parte. L’ha notata. Hortense fa un cenno di saluto, molto leggero. Non vuole apparire
scortese, ma non vuole nemmeno dare l’impressione di volerlo chiamare presso
di sé. David Guyère si alza, mormora due parole al vicino e si dirige verso
di lei. La saluta con un sorriso caloroso. - Da quanto tempo non la vedo! Come sta? - È vero, non sono uscita molto in quest’ultimo periodo. Ho avuto
molte cose da fare, i figli… Hortense cerca di celare dietro ad un sorriso l’abisso in cui è
scivolata in questi mesi. Ha evitato di rispondere alla domanda di Guyère.
Non potrebbe raccontare a questo giovane come sta, ciò che ha passato, il
buio in cui è ancora immersa. Non è più la sofferenza per i tradimenti di Léon a tormentarla: quella
è una piaga ancora aperta, ma che ormai le pare di avvertire appena. Per anni
ha sperato che suo marito ritornasse da lei, poi ha smesso di sperare, ma non
di soffrire ad ogni nuovo tradimento. Ed ora Hortense rimpiange i giorni in cui una carezza di Léon sembrava
illuminare il mondo o il letto ancora vuoto il mattino la faceva precipitare
nella disperazione. In quei giorni la sua sofferenza aveva una causa precisa
ed a quel dolore si era abituata: è stato a lungo il suo compagno, lui sì
fedele, fin dai primi mesi del suo matrimonio. Ma quella sofferenza non era nulla in confronto al vuoto che l’ha inghiottita.
Vuoto di sensazioni ed emozioni. Vuoto di desideri. Vuoto di affetti. Ci sono
giorni in cui guarda i suoi figli, che sono sempre stati la sua ragione di
vivere, e le sembra che non le importi nulla di loro. Ed allora li abbraccia,
li stringe a sé, li copre di carezze ed i loro sguardi stupiti le dicono che
recita male una parte che non sente più propria. Guarda Léon che si veste con
cura, osservandosi allo specchio, perché intende lanciarsi in una nuova
conquista, e l’idea la lascia del tutto indifferente. Ma ci sono momenti in
cui un’angoscia violenta si impadronisce di lei, senza motivo, senza che
nulla possa giustificarla. Momenti in cui vorrebbe gridare, in cui non se la
sente di stare da sola, ma neanche di affrontare il mondo. Momenti in cui
chiama la sua cameriera personale inventando scuse assurde, per non rimanere
da sola. Ed altre ore, di apatia assoluta, in cui rimane seduta a guardare
nel vuoto, in cui se prende un libro, dopo un po’ si accorge di averlo
lasciato cadere dalle mani e non saprebbe dire neppure che cosa ha letto,
lei, che ha sempre amato la lettura. Oggi si è forzata ad uscire: le pare di stare un po’ meglio ed è
troppo tempo che non si fa vedere. La sua assenza ha di sicuro alimentato
chiacchiere e malevolenze, anche se lei è sempre rimasta un po’ ai margini
della vita mondana. - Lei è una madre attenta. Qui sembra che nessuna donna abbia figli, è
un argomento che non viene mai toccato… La frase di David l’ha ferita. In questo periodo non è certo una madre
attenta, tutt’altro. È una madre distratta, incapace di vedere i suoi figli.
Risponde, ma poi cambia argomento: - I figli rivelano l’età dei genitori e per noi donne non è facile
invecchiare. Sia indulgente nei nostri confronti. Ma mi dica, è uscito
qualche altro suo libro? È molto tempo che non vado dal mio libraio. Non è vero. O, piuttosto, è solo parzialmente vero: è uscita qualche
settimana fa, in un momento in cui le pareva di stare meglio. Arrivata dal
libraio, ha guardato i libri esposti ed ha provato un senso di nausea, come
se quelle pagine piene di parole fossero del tutto prive di significato per
lei. David Guyère sorride. Ha un sorriso bellissimo. - Sto scrivendo un romanzo, ormai l’ho quasi concluso, ma voglio
ancora rivedere alcune parti che non mi convincono. - Che bello! Potrò leggere qualche cosa di suo, finalmente. Mi parli
un po’ di questo romanzo, ma non mi dica troppo: non voglio rovinarmi la
sorpresa di scoprirlo! David Guyère incomincia a parlare. Non le racconta la storia, ma
accenna ad alcuni elementi, suscitando la sua curiosità. Hortense lo segue
con attenzione. Quando altri si avvicinano, Hortense è dispiaciuta. David Guyère le ha
regalato un po’ di sole in questo autunno che le pesa sull’anima. * David è incerto, già due volte ha aperto la bocca per parlare, ma poi
l’ha richiusa, senza dire niente. Ha sicuramente qualche cosa da
comunicargli, ma è in imbarazzo. Ci sarà un problema? Jean sorride per
incoraggiare il cugino e gli dice: - C’è qualche cosa che non va, David? Qualche problema? - No, no… tutto bene…
è che… credo di aver concluso il romanzo, Jean. Jean sorride. - Ma bene, mi sembra una bella notizia! Il pubblico aspetta un’altra
prova del giovane autore. Ed io pure. - Hai voglia di leggerlo, Jean? Voglia e tempo, perché so che il
lavoro non ti manca. Jean può rispondere in tutta onestà: - Ho il tempo necessario ed ho davvero molta voglia di leggere qualche
cos’altro di tuo. È un po’ che non leggo un buon romanzo. David non sembra sicuro di sé ed anche la sua risposta conferma questa
impressione di Jean: - Non dare per scontato che sia buono. Sì, questo è il motivo dell’incertezza di David. Non è pienamente
convinto di quello che ha scritto o comunque ha dei dubbi sull’accoglienza
che sarà riservata al suo romanzo. - Ne sono convinto, ma lo leggerò senza preconcetti, dimenticando che
l’autore ha scritto alcuni splendidi racconti. Farò conto di non conoscerlo,
di non sapere che ha un grande talento e che lavora impegnandosi allo
spasimo. Troppo, secondo me. David sorride, ma rimane esitante. - Se hai troppe aspettative, rimarrai deluso. Nei giorni seguenti Jean legge il romanzo. L’opera conferma quelle
doti di David che Jean conosce già: la trama è ben costruita, i personaggi
sono delineati con sicurezza, lo stile è di una semplicità classica. Nessun
difetto significativo. Il romanzo è uno dei migliori che Jean ha avuto modo
di leggere negli ultimi anni. Ed allora? Che cosa c’è che non va? Perché Jean apprezza il romanzo,
ma si accorge di provare un pizzico di delusione. Forse si aspettava di più,
sì, questa è la verità. David è un grande scrittore, ma è ancora molto
giovane, non si può pretendere da lui ciò che certamente darà tra qualche
anno. Jean rilegge il romanzo una seconda volta, poi espone le sue
considerazioni a David: nulla di particolare, solo alcune osservazioni di
dettaglio su qualche dialogo e su un personaggio che non appare
sufficientemente definito. Di certo non gli dirà che non gli è parso
all’altezza delle proprie aspettative, ma suggerisce di far leggere il testo
anche a qualcun altro, che sia in grado di fornire un’opinione più
qualificata. David non saprebbe a chi rivolgersi: dopo aver scoperto che Lousteau è
l’autore di quella recensione, è diventato molto diffidente. Perciò è Jean a
proporgli di sottoporre il romanzo ad un giovane scrittore che conosce e di
cui apprezza la capacità di giudizio, l’onestà e l’intelligenza: Daniel d'Arthez. Ottenuto il consenso di David, Jean contatta D’Arthez,
che accetta di leggere il romanzo e ne stende un’analisi molto puntuale.
Anche il suo giudizio è largamente positivo. Jean si dice che ha aspettative
eccessive nei confronti di David. David riprende il romanzo ed apporta diversi ritocchi, fino a che
ritiene che sia pronto per la pubblicazione. Questa volta tratterà direttamente con Dauriat: Jean si limita a
dargli qualche consiglio. Ormai l’aquilotto è in grado di spiegare le ali e
di volteggiare. Non ancora sulle vette, forse, ma è solo questione di tempo. Nel volo David acquista sicurezza. Chiede ancora spesso consiglio a
Jean, dimostra grande fiducia in lui, ma diventa in fretta sempre più
autonomo. * Sì, c’è David Guyère. Uscire le è costato, ha dovuto fare uno sforzo.
Ma l’idea che potesse esserci David l’ha aiutata. Lo vede volentieri. È così
gentile con lei, così caro. E sentirlo parlare è sempre un piacere. Di rado
riescono a scambiare due parole senza avere altra gente attorno, David è
sempre al centro dell’attenzione. D’altronde è naturale, un uomo così bello e
con un grande talento. David le è di grande conforto. Se adesso va meglio, è anche grazie a
lui. Hortense non si avvicina subito al gruppo in cui siede David. Saluta
la padrona di casa, poi si rivolge ad alcune conoscenti. Si informa della salute
di qualche parente, risponde alle loro domande. Solo dopo un buon momento, si
dirige verso la compagnia riunita intorno a David ed ad alcuni altri
scrittori. Quando si avvicina a lui, vede che David le sorride e le fa un cenno
di saluto. Non si rivolge spesso a lei e Hortense sa che è un segno di
rispetto: non vuole metterla a disagio, non vuole che si parli - e si sparli
- di lei. Ma nel corso della serata fa sempre in modo di riuscire a scambiare
due parole con lei, di chiederle come sta. Ha intuito che Hortense soffre. David Guyère è l’unica persona a cui Hortense risponde sinceramente.
Non ha cercato di spiegargli i motivi della sua angoscia, che lei stessa non
comprende appieno. Non gli ha parlato dei momenti in cui l’assale un terrore
cieco ed ha bisogno di qualcuno accanto a sé. Ma gli dice se va meglio. Va un po’ meglio, in effetti. Riesce ad uscire più spesso, gli
attacchi di angoscia sono meno frequenti e forse meno forti. Ha ripreso a
leggere. Ha riletto i racconti di David Guyère. Ed è riuscita a provare
nuovamente emozioni di fronte ad una storia. David Guyère è davvero un grande
scrittore. E le illustrazioni del cugino sono bellissime. Il ritratto che gli
ha fatto è perfetto, ogni tanto Hortense lo guarda e si dice che Jean Guyère
ha saputo creare un’immagine assolutamente corrispondente alla realtà. * In questi ultimi mesi Jean ha spesso accompagnato David in alcuni dei
salotti del bel mondo, superando la propria istintiva ripugnanza. Questa sera hanno in programma di andare all’opera, ma a pranzo,
quando Jean fa riferimento allo spettacolo, David gli dice: - No, mi sono dimenticato di dirtelo, scusa. Questa sera vado dalla
duchessa di Maufrigneuse. Jean rimane un po’ stupito. David non gliene ha parlato prima. - Peccato, questa sera danno - Ho detto alla duchessa che sarei andato, ma tu vai pure a teatro,
non è un problema. David non mostra nessun dispiacere all’idea che Jean non ci sia: si
direbbe che non gli importi nulla della presenza di Jean. E dire che Jean va
in questi salotti solo perché David gliel’ha chiesto! Ma ormai David è in
grado di muoversi da solo. Facile che per lui, gran conversatore, a suo agio
nel gran mondo, la presenza del cugino, poco portato per la vita mondana, sia
solo un impaccio. Inizialmente gli ha chiesto di accompagnarlo perché si
sentiva insicuro, ma adesso è di certo in grado di muoversi molto meglio di
Jean stesso nei salotti della Parigi che conta. Jean si dà dello stupido per
non averci pensato prima. Come mai non gli è passato per la mente? Ha
incominciato ad accompagnare David perché lui gliel’aveva chiesto e poi ha
proseguito, senza domandarsi se David lo voleva ancora. Il cugino non glielo
ha mai più chiesto. Jean sa benissimo perché non l’ha capito prima, perché ha continuato
ad accompagnare David, senza rifletterci. La risposta è semplicissima: per
poter stare con David, per poterlo guardare, per sentirlo parlare, per poi
commentare con lui la serata. Per sé, non per David. È bene che si stacchi un po’ da David. Rischia di diventare importuno,
di certo lo è già diventato. Bene: è un bel sollievo non dover più affrontare quella che per lui è
soltanto una corvée. David non ha più bisogno di lui. Sta percorrendo la sua
strada, che è un’altra. David ha bisogno di libertà, ha superato l’età della
balia. Logico che, fatti i primi passi, adesso voglia muoversi per conto
proprio, senza palle al piede. Naturale. Logico e naturale, ma fa male. Non
dovrà frequentare il bel mondo, ma avrà meno occasioni di vedere David. Dovrà
rinunciare ad uscire spesso con David. Anche questo fa male. Molto. Ma non c’è altra soluzione. * “Posso chiamarla Hortense?” La frase di David Guyère le risuona all’orecchio. Hortense è turbata. “Sono
contento che vada meglio, Hortense… Posso chiamarla
Hortense? Mi farebbe piacere poterla chiamare per
nome, quando riesco a parlarle senza nessuno intorno.” Ha detto queste parole, Hortense le ricorda perfettamente. Sentirsi
chiamare così l’ha disorientata. Non se l’aspettava. Non si aspettava la
richiesta di David Guyère. Da un altro uomo la giudicherebbe un’impertinenza,
ma da una persona sensibile come lui non va intesa così. Eppure le parole di
David hanno destato in lei una ridda di pensieri e sensazioni che non riesce
ad ordinare. David… Da tempo lo chiama David nei
suoi pensieri. David. Da tempo pensa spesso a lui. Il pensiero di David l’ha
aiutata ad uscire dall’antro buio in cui era prigioniera. Quanto spazio occupa David nei suoi pensieri? Quanto spesso pensa a
lui? Quante volte le capita di prendere i racconti di David e sfogliarli,
osservando le illustrazioni, leggendo le righe in cui Antoine dichiara il suo
amore a Jacqueline o quelle in cui Clémentine pensa a Pierre? Sono pagine di
un grande scrittore. È solo per questo che le rilegge così spesso? Ed ogni
volta si ferma a guardare il ritratto di David. Si dice che il cugino l’ha
raffigurato proprio bene. È solo per questo che lo osserva con attenzione
ogni volta? Quanto spesso a casa, dopo una serata in cui ha parlato con
David, il pensiero ritorna a lui? Quante volte ripensa a ciò che si sono
detti o anche solo a ciò di cui David ha parlato in presenza di altri,
davanti ad un cerchio di ascoltatori ammirati, ad una sua battuta folgorante,
che l’ha fatta sorridere, ad una riflessione profonda, che l’ha rapita?
Quanto spesso nella sua mente rivede i dettagli della serata, riflette su ciò
che è stato detto? Come ha potuto essere così cieca da non capire? * È notte fonda, ma David non riesce a prendere sonno. Da giorni cerca
di definire gli elementi essenziali del nuovo romanzo che intende scrivere.
Ha provato a sviluppare alcune idee: diverse sono state abbandonate dopo
poche pagine; altre hanno dato vita a racconti, uno dei quali è già stato
pubblicato su E questa sera, nel buio, ha avuto un’idea per cui i diversi elementi
sembrano infine aver trovato ognuno il proprio spazio in un quadro d’insieme.
Sì, questa potrebbe essere la direzione in cui muoversi. Non vuole rischiare
di dimenticarsene, nel sonno ciò che ora gli appare chiaro potrebbe
offuscarsi. Si alza, accende la candela e si mette a scrivere una traccia. A
questo punto però altre idee incalzano e si immagina la scena iniziale, una
presentazione non della protagonista, che apparirà più tardi, ma della
sorella e del marito, gli altri due personaggi. È meglio che si metta a
scrivere, così fisserà la scena, anche se solo a grandi linee. Domani la
rivedrà, darà lo spessore necessario ai personaggi ed apporterà le correzioni
opportune. In quel momento sente bussare alla porta. Jean, sveglio, a quest’ora?
Deve aver visto la luce filtrare dalla porta. - Avanti. Jean appare sulla soglia: - Non stai bene? - No, non riuscivo a dormire, mi è venuta un'idea per il romanzo ed ho
deciso di mettermi subito a scrivere. - Allora non ti disturbo. Jean si mette ad accendere il fuoco nel camino: l'inverno è ormai
arrivato e nella notte la camera si è raffreddata. David non ci ha badato, ma
in effetti stare fermo a scrivere con questa temperatura non è piacevole.
Però gli spiace che Jean stia a trafficare per lui. - Ma non è il caso. - Lo è, non voglio che tu prenda freddo. Lavora e non ti distrarre. Quando ha finito, Jean esce dalla camera in silenzio, senza neppure
salutare. Il cugino è sempre premuroso. E di colpo una nuova idea attraversa la mente di David. Sì, Jacques potrebbe… Sì, così… Così è
convincente. * Il giorno dopo David esce per ritirare le copie del suo primo romanzo,
che è stato appena stampato. Quando rientra, gli porge sorridente un volume. - Questo è per te, fresco di stampa. Jean lo prende. Gli fa molto piacere vedere il libro con il nome di
David ed ancora di più che il cugino gli abbia dato subito una copia. L’apre
e nella prima pagina, accanto al titolo, legge la dedica: A Jean, senza cui questo volume non sarebbe mai uscito. Con affetto e riconoscenza David “Con affetto” desta in Jean sensazioni confuse. Affetto, una bella
parola. - Grazie, David. Ma questo libro lo avresti scritto comunque. - Grazie a te, Jean. Non sarei arrivato fin qui senza di te, lo sai. Jean sorride, risponde qualche banalità. David non si allontana. Ha
ancora qualche cosa da dirgli, che non c’entra con il libro. - Jean, ho approfittato della tua generosità molto a lungo. Jean intuisce ciò che David vuole dire, se l’aspettava. Ha cercato di
prepararsi a questo momento. - Non mi sembra di aver fatto molto… - Quanto tempo è che mi ospiti a casa tua? Quasi due anni. Jean cerca di sorridere, mentre risponde: - Sai benissimo che è un piacere. Un piacere, certo. Una sofferenza, anche. Un piacere ed una sofferenza
a cui Jean non rinuncerebbe, ma non può imporsi a David. - So che non ti è pesato, ma adesso è ora che mi cerchi un’altra
sistemazione. Jean non cerca di trattenerlo: David vuole cercare un appartamento
perché avverte l’esigenza di maggiore libertà, non per paura di essere di
peso a Jean. La situazione non è più quella dell’anno scorso, Jean lo sa
benissimo. - David, per me puoi rimanere finché vuoi, ma ovviamente non ho
intenzione di costringerti a stare qui. Parlano ancora un momento, poi David gli comunica che esce. Vuole
festeggiare la pubblicazione del suo romanzo con alcuni amici. David se ne va verso quello che ormai è il suo mondo: incontrerà altri
scrittori ed artisti. Jean non gli chiede chi sono, sarebbe indiscreto.
Rimane seduto a guardare la parete, stringendo il libro tra le mani. Fissa il muro, ma altre immagini scorrono nella sua mente, immagini di
un tempo che ormai si è concluso, ben prima della separazione imminente: il tempo
in cui è nato questo romanzo, di cui ora accarezza il dorso, con molta
delicatezza, quasi avesse paura di sciuparlo. Molto poco è rimasto dell’intimità che avevano costruito. Si vedono
sempre di meno: di giorno il cugino rimane chiuso nello studio, la sera esce
molto spesso, ma frequenta salotti in cui Jean non si reca quasi mai. Quelle
rare volte in cui rimangono tutti e due in casa, come un tempo, hanno poco da
dirsi. Non è solo questo. C’è di più. Negli ultimi mesi Jean ha visto David cambiare, con una rapidità che
lo ha angosciato. David si è allontanato da lui, non sembra avere più la
piena fiducia che un tempo nutriva nei suoi confronti. No, non è così. David
gli chiede ancora consiglio su qualunque problema importante e segue le sue
indicazioni. Qualunque? No, certamente no: c’è un problema di cui non gli
parla. Perché David non è felice. Questo non può nasconderlo, non a lui che
vive sotto lo stesso tetto. Spesso David, dopo una delle loro rare serate in
comune, in cui ha fatto sfoggio delle sue doti di conversatore brillante,
sembra afflosciarsi, perdendo ogni energia. Non è solo la stanchezza: il
cugino appare svuotato, in preda ad una tristezza profonda. David esce molto,
troppo forse. Torna sovente tardi, molto più tardi di Jean. A volte però
rientra presto, senza spiegare. Jean non gli domanda nulla. Sa di non aver il
diritto di chiedere chiarimenti. E David non gli racconta più le sue emozioni, non gli comunica le sue
riflessioni, come faceva un tempo. Un tempo! Pochi mesi fa. Un'eternità fa.
Un tempo remoto, in cui le loro anime erano state vicine. Ed ora... David è distante, come se già non abitasse più nella stessa casa. Presto David se ne andrà. Troverà un bell’appartamento. David si sta
allontanando, come Jean aveva previsto. David si è già allontanato. Il tempo della loro intimità si è concluso. Il tempo dell’amore di
Jean per David no. Quello del desiderio che gli brucia la carne, neppure. Ma
è un desiderio senza speranza. Lo è sempre stato. Jean ripensa ad alcuni versi del Petrarca. Cerca il volume del Canzoniere,
nella traduzione di Vasquin Philieul,
con il testo originale a fianco. Eccoli: Con lei foss’io da che si parte il sole E non ci vedess’altri che le stelle, sol’una notte, e mai non fosse l’alba… Ma io sarò sotterra in secca selva, e ‘l giorno andrà pien di minute stelle prima ch’a si dolce alba arrivi il sole. Sì, è così. * Vieni a salvarmi, o Dio, vieni presto, Signore, in mio aiuto. Marie-Anne chiude Altro dovrebbe gridare, Marie-Anne lo sa: Pietà di me, o Dio, secondo la tua
misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio
peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. Ma Marie-Anne non vuole che il suo peccato sia cancellato. Vorrebbe
poter peccare ancora e Dio la punisce. Lei stessa ha chiesto che la punizione
ricadesse su di lei e Dio l’ha ascoltata. Terribile è la mano di Dio. Tu sei terribile; chi ti resiste quando si scatena la tua ira? Dal cielo fai udire la sentenza: sbigottita la terra tace quando Dio si alza per giudicare… David se ne va, lascia questa casa. David non la porterà con sé, anche
se Marie-Anne gliel’ha chiesto. A David non importa nulla di lei. Marie-Anne si inginocchia a terra. Vorrebbe pregare. Ma non trova le
parole. Il suo dolore la schiaccia. La fiamma della candela vacilla. La cera è quasi consumata. Marie-Anne
guarda, sgomenta, quella luce, destinata a spegnersi tra poco. La fiamma è solo più un puntino luminoso, che svanisce. La stanza
piomba nell’oscurità. Marie-Anne rimane in ginocchio. Rabbrividisce. |
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