V -
Uno stronzo in meno Terzo
movimento: giallo, quasi noir Salvatore
ferma l’auto dietro ai bidoni. Un gatto che stava frugando tra l’immondizia
li guarda, ma non si allontana. Karim non dice nulla. Ha capito che con
Salvatore non bisogna mai fare troppe domande: meno si parla, meglio è. Karim
ci tiene a fare bella figura con Salvatore. È il primo lavoro che fanno
insieme. Salvatore
si accende una sigaretta, senza chiedergli se vuole fumare anche lui. Apre il
finestrino e dai bidoni arriva il fetore della spazzatura. Salvatore fuma,
sempre in silenzio. Karim non sa nulla di quello che deve fare, ma non
chiede. Karim è uno che impara in fretta, è sempre stato un ragazzo sveglio,
anche se lo studio non fa per lui. E poi perché studiare se può guadagnare
bene lavorando per Salvatore e i suoi amici? Salvatore
guarda l’orologio. Annuisce, a se stesso. Butta la sigaretta in strada. Non
c’è nessuno: sono le tre di notte e non è ora di passeggiare sul lungodora. Salvatore
parla. -
Prendi il pacco che c’è sotto il tuo sedile. Karim
non sapeva che ci fosse un pacco. Mette le mani sotto il sedile e lo trova
subito. Lo tira fuori e se lo mette in grembo. -
Adesso scendi e cammina verso la passerella. Avvicinati all’Opel parcheggiata
prima del corso e consegni il pacco al tipo seduto accanto al guidatore. Poi
torni indietro. Karim
annuisce. Non dice nulla. Non mostra esitazioni, nasconde la sua agitazione. Non
è la prima volta che fa qualche lavoretto sporco, è già stato anche pizzicato
dagli sbirri, ma non ha mai lavorato per Salvatore e i suoi amici. Quella è
gente importante, molto importante. Si occupano solo di roba grossa. Lavorare
con loro per un ragazzo di diciassette anni è come una laurea. Karim ci tiene
a fare bella figura. Karim
scende e si dirige verso la Opel, sul terreno in
leggera salita. È agitato e si dice che è proprio un coglione: è una normale
consegna di merce. Tutto andrà liscio e Salvatore sarà contento di lui. È a
metà strada, quando dall’Opel scende un uomo che cammina verso di lui. Karim
si ferma. Questo non era previsto, Salvatore gli ha detto che l’uomo
l’avrebbe atteso in auto. Il
rumore che sente alle sue spalle non è forte. Sono tre piccoli colpi, in
rapida successione. Ma Karim sa di che cosa si tratta, conosce quel rumore:
una pistola con il silenziatore. C’è
un grido strozzato. Karim sente che gli manca il fiato. Si volta. C’è un uomo
di fianco all’auto di Salvatore, che è reclinato sul sedile. Karim
volta di nuovo la testa e guarda l’uomo che avanza verso di lui: ha tirato
fuori una pistola. È tra due fuochi: l’uomo che procede nella sua direzione
e, accanto alla porta dell’auto di Salvatore, l’uomo che l’ha ucciso. A
destra c’è la sponda che scende ripida verso la Dora. Karim ha visto tutto in
un lampo. Senza un attimo di esitazione getta via il pacco e scatta a
sinistra, verso la strada. Sa benissimo che non ha nessuna possibilità di
fuggire, i due uomini sono a pochi metri da lui, ma non vuole morire. Karim
ha diciassette anni e non vuole morire. Corre, corre con tutte le sue forze,
con la velocità che gli dà la disperazione, pensa a sua madre che l’aspetta a
casa, a Rosy che è orgogliosa di lui, a… Il
dolore che gli esplode nella schiena cancella ogni altro pensiero e lo getta
a terra, sull’asfalto. Karim non vuole morire. Si trascina sull’asfalto, con
le braccia, anche se sente i passi dell’uomo che si sta avvicinando e che ora
è sopra di lui. Karim non vuole morire. Il
colpo che gli esplode in testa distrugge ogni pensiero. L’uomo
che ha sparato si dirige rapidamente verso la Opel,
la raggiunge e sale sul sedile posteriore. L’altro è già rientrato, mentre
l’uomo al volante metteva in moto. La Opel volta in
corso Giulio Cesare e scompare in direzione Nord. Nessuno
ha parlato, né gli assassini, né le vittime. Neanche la donna che dal terzo
piano ha assistito alla scena e che ora sta telefonando alla polizia. Roberto
Aruna guarda i due cadaveri. Quello nell’auto, riverso sul sedile, è
Salvatore Scibetta, ben noto alla polizia, clan dei Barresi. Ha
ricevuto tre colpi: uno alla testa e due al torace. Probabilmente ognuno dei
tre mortali. Chi l’ha fatto fuori è un professionista. Quello
sulla strada è un ragazzo, giovanissimo. Un colpo alla schiena e uno alla
testa. L’ispettore Bragadin è chino sul ragazzo. Roberto sa benissimo che
cosa sta pensando l’ispettore: lavora con lui da tre anni, ormai, lo conosce.
Roberto
si avvicina. Mauro Bragadin si volta verso di lui e lo guarda, senza dire
niente. Anche
Roberto tace. Rimangono un momento immobili, a fissarsi,
poi Mauro sbotta: -
Cazzo, Roberto! Non deve avere neanche diciott’anni! Roberto
annuisce. Mauro prosegue: -
Una vita davanti e… Per un balordo come Salvatore Scibetta, farsi ammazzare
per una merda come quello. In effetti che uno come Salvatore Scibetta sia
stato spedito al Creatore (di certo per fare conoscenza con Satanasso) non è
una disgrazia. Roberto si chiede se lo sia davvero anche la morte del
ragazzo: quando si è presa una certa strada, difficilmente si torna indietro.
Ma per Mauro Bragadin la morte di ragazzi che sono appena entrati nel giro
sbagliato, che potrebbero ancora uscirne, è un’angoscia intollerabile.
Roberto ha spesso pensato che Mauro sarebbe adatto a lavorare con i minori.
Ma forse no, soffrirebbe troppo. Mauro forse dovrebbe fare un altro lavoro,
anche se il suo lo fa benissimo. Roberto
si dice che è ora di scuotere Mauro, svegliare l’ispettore, che si dia da
fare ed anestetizzi un po’ l’uomo. - Li
hanno attirati in una trappola. Mauro
annuisce. - Volevano
eliminare Scibetta. Qualche sgarro che ha fatto quel bastardo. O l’inizio di
una guerra. - Se
è l’inizio della guerra ci saranno molti morti, Mauro. Si
danno del tu, anche se Mauro è ispettore e Roberto solo agente. -
Temo che lo sia, Roberto. Se sono gli amici di Scibetta che hanno deciso di farlo fuori, perché eliminare anche il
ragazzo? - Mi
sa che avremo il nostro da fare, ispettore Bragadin. Dovrà cercare di far
funzionare quei quattro neuroni che si ritrova. Se
usano il cognome e si danno del lei, è perché si stanno prendendo per il
culo. E infatti Mauro replica: - Va
bene, sarà la volta che si dà una mossa, agente Aruna, e magari smaltisce un
po’ del grasso che accumula quando sta seduto tutto il giorno a non fare un
cazzo. Roberto
Aruna in effetti è alquanto corpulento, ma a lui
piace essere grosso. Intanto
gli agenti stanno facendo tutti i rilievi. - La
donna che ha chiamato sta al terzo piano di questa casa. La faccio scendere e
andiamo in commissariato o saliamo noi? -
Meglio che saliamo noi, Roberto. Magari dopo che ci ha raccontato quello che
ha visto, avremo ancora da fare qui. Manuela
Ginetti dev’essere sui quaranta, forse qualche cosa di più. Mauro
e Roberto si presentano. Poi Mauro dice: - Le
chiederò di venire domani a deporre in commissariato, ma intanto vorrei farle
qualche domanda. -
Dica pure, ispettore… tanto non credo che questa notte riuscirò più a
dormire. In effetti assistere ad un doppio omicidio non ha
proprio la funzione di un Tavor. -
Come mai ha assistito alla scena? Intendo dire, come mai era alla finestra? -
Non ero alla finestra. Ero sul balcone. Fumavo una sigaretta. Mi capita
spesso di svegliarmi nella notte e se non mi riaddormento subito, è meglio se
mi alzo, leggo un po’ o fumo. Allora ho preso una sigaretta, l’ho accesa e
sono uscita sul balcone. Non mi piace l’odore del fumo in casa. -
Che ora era? - Le
2.48, quando mi sono alzata. Mauro
sorride alla precisione. La donna riprende: - Mi
ero svegliata alle 2.20. So che se non mi riaddormento in mezz’ora, è inutile
che resti a letto. Mi innervosisco e basta. Meglio che mi muova un po’. Così,
quando ho visto l’ora sulla sveglia, mi sono alzata, ho messo la vestaglia,
preso la sigaretta e ho aperto il balcone. -
Quindi saranno state le tre meno dieci. -
Sì, anche qualche minuto dopo. -
L’auto era già in strada? - La
Bravo no. L’altra sì, ma non mi sono accorta che ci fosse qualcuno dentro.
Non l’ho neanche notata. - E
allora come fa a dire che era già lì? -
Non è arrivata dopo, quindi c’era già. - Lei
non è rientrata in casa? È stata sul balcone tutto
il tempo? -
Sì, ma guardi, ispettore, è stato tutto brevissimo.
Non avevo neanche finito la sigaretta. -
Che macchina era? - Una Opel, lo so perché mia sorella ne ha una uguale. Di
auto non me ne intendo. -
Però conosce la Bravo. -
Non è che ci voglia molto. - Va
bene, continui pure. -
Ero appena uscita quando è arrivata la Bravo. Si è parcheggiata poco prima
dei bidoni. Hanno spento il motore, ma non è sceso nessuno. Io ho pensato a
qualcuno che voleva bucarsi. -
Perché proprio bucarsi? - In
questa zona succede. Non c’è passaggio di gente, di solito. Il mattino spesso
troviamo siringhe, sul marciapiede o sulla sponda
della Dora. Poteva anche essere una coppietta, ma parcheggiare proprio dietro
ai bidoni, a quest’epoca, con il caldo che fa ancora… C’è un odore che a
volte… quasi arriva fin qui. Mauro
annuisce, senza dire nulla. La donna riprende. -
Sono rimasti un buon momento fermi. Qualche minuto. Quello al volante si è
acceso una sigaretta. -
Lei ha visto quanti erano? -
No. Ma la luce della sigaretta si vedeva. La
donna sorride. Ha un bel sorriso. -
Sa, di sigarette me ne intendo. Poi
aggiunge: -
L’altro l’ho visto solo quando è sceso. - Il
ragazzo? -
Quello che hanno ammazzato in mezzo alla strada. È un ragazzo? Mauro
annuisce di nuovo, un’espressione cupa in viso. -
Prosegua. La
donna si accende una sigaretta. Guarda Mauro. - Ne
vuole una? -
No, grazie. Non fumo. Ma pensavo che non le piacesse fumare in casa. - Quando
ci vuole, ci vuole. Sono troppo tesa. La
donna incomincia a fumare. Roberto registra che a lui non ha offerto una
sigaretta. Deve essersi dimenticata completamente di lui, per quanto con la
sua stazza sia alquanto visibile. Ma non è la prima volta che gli capita.
Potrebbe essere che la donna è ancora sconvolta, ma Roberto ha un’altra
spiegazione: in presenza dell’ispettore Mauro Bragadin, le signore tendono a
non accorgersi dell’esistenza di altri esseri umani. Manuela Ginetti non fa
eccezione. Roberto Aruna capisce benissimo la signora Ginetti. La
donna riprende: -
Poi quello che fumava ha buttato via la sigaretta e poco dopo è sceso
qualcuno dall’altra parte, con un pacco in mano. - Un
pacco? -
Sì, un pacchetto. Ero molto curiosa. Mi chiedevo che cosa significava la
faccenda. Mi sono tirata un po’ indietro, in modo da non essere troppo
visibile dalla strada. Insomma, mi sembrava una faccenda poco pulita, anche
se non immaginavo… Manuela
si ferma. - E
poi? - Io
guardavo il tipo con il pacco, ma d’improvviso mi sono resa conto che di
fianco all’auto, alla Bravo, c’era un uomo. Per un attimo ho pensato che
fosse il guidatore che era sceso. Intanto dall’altra auto è sceso un uomo. - Da
che parte? - Da
quella del passeggero. - Ho
sentito dei rumori, leggeri, secchi. Il tipo con il pacchetto si è voltato.
Ha buttato via il pacco e si è messo a correre verso il palazzo. Alla
signora tremano le mani. - Il
tipo che era accanto all’auto, la Bravo, intendo, si
è girato dalla sua parte e aveva una pistola. Ho sentito ancora quel rumore
sordo e quello che correva è crollato. L’altro si è avvicinato. Gli ha
sparato una seconda volta. La
signora si interrompe. Poi riprende, a fatica: - Si
è diretto all’Opel ed è salito. L’auto aveva già il motore acceso. Sono
partiti. - Il
motore era già acceso? -
Sì, lo hanno acceso mentre il tipo sparava la seconda volta. Ho sentito il
rumore. Mauro
annuisce. Ripassa mentalmente tutti i passaggi della scena. -
Lei mi ha detto che il ragazzo ucciso aveva un pacco e l’ha buttato. -
Sì, l’ha scagliato via, come se volesse liberarsene. -
Dove? In che direzione? -
Verso il fiume. L’ho visto volare verso il fiume. - È
caduto in acqua? -
Non lo so. -
Altro? Manuela
Ginetti scuote la testa. -
Non ha visto il numero di targa dell’Opel? Roberto
Aruna si dice che tanto l’auto è certamente rubata. -
Non ci ho proprio pensato. A questa distanza non credo che sarei riuscita a
leggerlo. Parlano
ancora un momento, ma la donna non ha altri elementi utili da fornire. Si
alzano. Manuela apre la porta e Mauro e Roberto escono sul pianerottolo. -
Ah, ispettore, una cosa. Roberto
si chiede se la donna intende farsi dare il numero di cellulare
dell’ispettore, nel caso le venisse in mente qualche cosa che ha dimenticato
di raccontare: non sarebbe la prima che ci prova. Mauro di solito evita di
dare il numero, dicendo che lo possono rintracciare in qualunque momento
attraverso il commissariato. Ma
Manuela Ginetti ha davvero qualche cosa da dire, anche se probabilmente poco
utile. -
Non so se possa servire, ma quando ha attraversato il corso, la Opel quasi metteva sotto due persone, che erano sulle
strisce. Magari loro hanno visto il guidatore. Può
essere, ma rintracciare i testimoni non sarà facile. I
rilievi sono finiti, le foto sono state scattate, ma i cadaveri sono ancora
al loro posto. - Va
bene, cerchiamo questo pacco. Francesco, fammi luce mentre scendo. L’agente
Francesco Torrazzo guarda l’ispettore un po’ perplesso. -
Dove vuole andare, ispettore? - A
vedere se trovo traccia di un pacco. Roberto
guarda la riva, alquanto scoscesa. - È
vero che fa caldo, ma ci tiene proprio a fare un bagno, ispettore? Mauro
ghigna. Scende con cautela lungo il pendio erboso, mentre l’agente Torrazzo
illumina il percorso. Un po’ di immondizia, qualche siringa. Quando arriva sul
bordo, Mauro dice: -
Ora illumina tutta l’area davanti. Francesco
muove la torcia. Non c’è nulla che paia un pacchetto. -
Illumina la parte dietro di me. A
due passi da Mauro c’è un pacco. Mauro annuisce. Se è quello che è stato
gettato – e sarà facile appurarlo – hanno avuto un colpo di culo che non sia
finito in acqua. Magari servirà a poco, ma qualche elemento in più lo darà. -
OK, venite a fotografarlo e a prenderlo. Gli
agenti non sono entusiasti e poco ci manca che Riccardo
Gribaudo non finisca in acqua: lo blocca Mauro, mentre l’agente sta perdendo
l’equilibrio. Il pacco viene fotografato e poi, con le dovute precauzioni,
raccolto. In
commissariato il pacco viene aperto. Il
contenuto è interessante: un plico di giornali, di quelli distribuiti
gratuitamente per le strade. Mauro guarda Roberto e Francesco che hanno
assistito all’apertura. Francesco è rimasto a bocca aperta. Roberto mormora: -
Però! Mauro
incomincia a pensare ad alta voce. Lo fa spesso, con i suoi collaboratori. È
un modo per chiarirsi le idee. -
Ipotesi numero uno: Scibetta o chi l’ha mandato voleva fare un pacco a quelli
a cui doveva consegnare questo pacco, scusate il bisticcio di parole… -
Prego, ispettore, tanto sappiamo che lei con l’italiano non ha buoni
rapporti. Mauro
fulmina con lo sguardo Roberto e osserva: -
Non si distragga, agente Aruna, o quell’unico neurone che le è rimasto non
riuscirà a stare dietro. Dicevo, dunque, ipotesi numero uno, che Scibetta
voleva fare un pacco a qualcuno, ma questo qualcuno lo sospettava, per cui ha
deciso di mettere subito in chiaro che non intendeva farsi prendere per il
culo. -
Sì, potrebbe essere. -
Grazie, agente Aruna, lei è davvero troppo buono. Francesco
ridacchia. Non è tanto in confidenza con l’ispettore Bragadin, ma si diverte
sempre quando lui e Aruna si punzecchiano. -
Ipotesi numero due. Scibetta era davvero convinto di consegnare un pacco
importante, ma era solo una trappola per farlo fuori. Roberto
storce il naso. -
Non sei convinto? -
Non tanto. Se è così, perché tutta questa messinscena? Se volevano farlo
fuori quelli che l’hanno mandato, i suoi capi, cioè Daniele Barresi, allora
non mancavano le occasioni. -
Questo è vero… Gribaudo
entra mentre stanno parlando. - Il
ragazzo non aveva documenti, ma attraverso il telefonino siamo risaliti alla
sua identità. È un tal Karim Catania e la famiglia sta a
Mirafiori. Diciassette anni, compiuti un mese fa. Avvisiamo i suoi? Mauro
annuisce. Per un attimo è come se non fosse più nella stanza. Poi si riscuote. -
Domani mattina voglio vedere i genitori. E se ha
fratelli e sorelle, anche quelli. Dobbiamo sapere chi frequentava, trovare i
suoi amici. Probabilmente
non servirà a nulla, chi frequentava Karim Catania è chiaro: un giro di
pessime compagnie, di quelle che incominciano con piccoli reati e poi fanno
carriera, raggiungendo più o meno in fretta posizioni di rispetto oppure il
carcere o l’obitorio. Nessuno parlerà, faranno tutti i duri, per loro avere a
che fare con la polizia è quasi un onore. E dato che di cervello ne hanno
poco, probabilmente la lezione non gli servirà a niente: tutti convinti che
loro sono più furbi di Karim, che non si faranno
beccare, che non finiranno così. Il
commissario Ferraris arriva alle otto. Mauro gli fa una relazione completa
dell’accaduto. Ferraris ascolta fino in fondo, bestemmia un paio di volte, fa
alcune domande, poi gli dice: - Va
bene Bragadin. Questa inchiesta la segue lei. Adesso però lasci le consegne a
qualcun altro, il suo turno è finito. - No,
commissario, voglio sentire la famiglia del ragazzo, prima di andare a casa. -
Come vuole. Daniele
Barresi è furente. Hanno fatto fuori il suo braccio destro. Chi e perché? -
Che cazzo ci faceva Salvo sul lungodora? Chi ce l’ha mandato? -
Credevo che… Non l’hai mandato tu, allora? Luca
Barresi è incredulo. Salvatore Scibetta si muoveva su ordine di suo padre o
per curare gli affari del clan. Ma non prendeva iniziative autonome. Un
sospetto attraversa la testa di Luca: -
Non è che faceva il doppio gioco? -
Salvo? Scherzi? Luca
Barresi riflette. -
Che ci faceva lì, a quell’ora, con quel Catania, se non lo avevamo mandato
noi? Lavorava in proprio? Voleva incontrare qualcuno che invece ha preferito
sbarazzarsene? -
Salvatore non era uno che tradiva. - E
allora? Io una spiegazione non riesco a trovarla. Neanche
Daniele Barresi riesce a darsi una spiegazione. Una faccenda privata? Ma
un’esecuzione in piena regola come quella non ha niente a che vedere con
qualche storia di corna o un litigio da bar. E poi Salvatore non era un
ragazzotto dal sangue caldo. Luca
Barresi sente il cellulare che squilla. Guarda il display. È Gabriela, una
delle ragazze moldave, la più giovane. Che cazzo vuole,
quella? -
Che cazzo c’è? Nella
voce di Gabriela Luca avverte agitazione e paura. -
Luca, vieni subito. Ho paura. Sono venuti due, dicono che devo lavorare per
loro, se non voglio finire come Salvatore. Chi è Salvatore, Luca? -
Cazzo! Sono ancora lì? -
No, sono andati via. Mi hanno tirato giù dal letto. Mi hanno picchiata. Luca, io ho paura. Ho paura. Non voglio stare
qui. Mi hanno detto che ritornano, che mi prendono e mi portano da un’altra
parte. Che mi danno di più. Io non voglio. Ho paura,
Luca. -
D’accordo, adesso vengo. Luca
Barresi chiude la chiamata e guarda suo padre. - Da
una delle ragazze sono passati due tizi. L’hanno menata e minacciata, dicendo
che deve lavorare per loro, altrimenti fa la fine di Salvatore. Vogliono
portarla via. Daniele
Barresi storce la bocca. - Questa
faccenda non ha senso, Luca. Gabriela sa benissimo che se sgarra la paga
cara. Hanno ammazzato Salvatore, ma il giro lo controlliamo sempre noi. Luca
annuisce. -
Sì, potrebbe essere un avvertimento per noi, più che per lei. Hanno parlato
di portarla via. È meglio tranquillizzare le ragazze. Daniele
Barresi rimane a riflettere un momento. -
Sì, due sberle ben date aiutano a ricordare chi è che comanda. Non ci andare
tanto piano, Luca. -
Sta’ tranquillo. So quello che faccio. Luca
esce dalla casa. Si accende una sigaretta, per avere il tempo di guardarsi
intorno. Niente di sospetto. Si dirige a passo tranquillo verso il punto in
cui Nando ha parcheggiato l’auto, diversi isolati più in là: nessuno deve
sapere dove si nasconde Daniele Barresi, solo Luca e Scibetta ne erano al
corrente, ora soltanto Luca. Per Daniele Barresi la prudenza è d’obbligo: è
stato condannato in contumacia come mandante di due omicidi. Luca
si fa portare a San Salvario, nella pensione dove sta Gabriela. Nando si
ferma un isolato dopo. Luca
fa un cenno al portiere, che china il capo in modo ossequioso. A Luca Barresi
nessuno chiede dove va. Lui è padrone di muoversi come vuole. La
stanza di Gabriela è la 32. Luca prova ad aprire, ma la porta è chiusa. -
Chi è? Chi è? Gabriela
ha quasi urlato. Dev’essere terrorizzata. -
Sono io, Gabriela. Apri. Sente
qualcuno che armeggia davanti alla porta, come se stesse togliendo qualche
cosa, forse una sedia. Si è barricata dentro, quella
stronza? Poi la chiave gira e la porta si apre. Sì, c’è una sedia di fianco
alla porta. La ragazza è in lacrime, sembra terrorizzata, ha una guancia
gonfia. Questa sera con la faccia così non troverà molti clienti. -
Luca, Dio mio! Luca! Luca
entra e chiude la porta con un calcio. Avanza verso Gabriela senza dire nulla.
La ragazza indietreggia, spaventata. -
Luca, che hai? Luca! Il
nome è quasi gridato. Luca avanza ancora, un viso
impassibile. Vuole farle paura, vuole che impari ad avere paura di lui più
che di qualunque altro. Qualche altra sberla farà l’affare. Le ragazze devono
capire che chi comanda è lui. Il
rumore secco Luca fa appena in tempo a sentirlo. La pallottola che gli si
conficca nel cranio gli spegne i sensi e la vita. Crolla al suolo. Gabriela
lo guarda, gli occhi sgranati. Si rivolge verso
l’uomo che ha sparato e che ora avanza, la pistola con il silenziatore in
pugno. -
Avevi detto che non gli sparavi, Gianni. Avevi detto
che… L’uomo
che Gabriela ha chiamato Gianni, ma che ha un altro nome, la interrompe: -
Lascia perdere, Gabriela. Ho fatto quello che dovevo
fare. - E
adesso? E adesso? Gabriela
è terrorizzata. Luca Barresi è morto. La uccideranno per vendicarlo, perché è
stata lei ad attirarlo in trappola. Ma lei non lo sapeva,
lei… L’uomo
sorride. -
Non ti preoccupare. - Ma
come, non ti preoccupare!? Come? Mi troveranno, mi
uccideranno. L’uomo
è molto vicino. L’afferra, attirandola a sé. Gabriela gli batte i pugni sul
petto, ma tra quelle braccia forti è davvero solo una ragazzina di sedici
anni. L’uomo le molla una violenta sberla con la sinistra. Gabriela
scoppia a piangere disperatamente. -
Gianni, perché? Perché? Perché
l’ha picchiata prima e di nuovo adesso? Perché la tratta così? L’uomo
la spinge sul letto, scavalcando il cadavere di Luca Barresi. Gabriela
piange e lascia che l’uomo le sollevi la gonna, le abbassi le mutandine e,
dopo essersi calato i pantaloni, la prenda. L’uomo
pesa su di lei. Gabriela lo lascia fare. Di Gianni si è innamorata, ma è
stato solo un sogno, che si è trasformato in un incubo. La mente di Gabriela
si allontana, mentre l’uomo la prende. Da quando è in Italia sono tanti gli
uomini che l’hanno presa. Gabriela vorrebbe non aver mai lasciato il suo
paese. Ripensa alla fontana del villaggio, dove andava a prendere l’acqua,
perché in casa non c’era. Alle risate che faceva con le altre ragazze. Mentre
gli uomini la prendono, Gabriela pensa spesso al villaggio in cui è nata e
vissuta, fino a un anno fa. Quando
ha finito, l’uomo si alza. Si tira su i pantaloni.
Prende la pistola che ha lasciato sul letto. Gabriela
si mette a sedere. Si tira su le mutandine. Si sistema la gonna. -
Chiama il portiere. Digli che Luca Barresi vuole parlargli. Gabriela
scuote la testa, terrorizzata. - Ma
perché? Se vede… Vuoi uccidere anche lui? La
voce dell’uomo è dura: - Chiama
il custode, fa’ quello che ti ho detto. Deve salire subito. Gabriela
respira a fatica. La mano le trema, mentre solleva il telefono. Fa il numero
della portineria. -
Marco, Luca Barresi ti vuole parlare. Sali, per favore. Gabriela
attende la risposta, poi riattacca. -
Arriva subito. Che cosa vuoi fare, Gianni? Gianni
non risponde. Punta la pistola al cuore di Gabriela e spara. Gabriela ricade
sul letto, una smorfia di stupore sul viso. L’uomo copre il corpo con il
lenzuolo. Il cadavere di Barresi non è visibile dalla porta. L’uomo
socchiude la porta e si nasconde dietro. Poco
dopo qualcuno bussa. Non ricevendo risposta, il portiere entra. Guarda verso
il letto. Gianni dà un calcio alla porta, in modo di chiuderla. Il portiere
sussulta e si volta verso di lui. Fa appena in tempo a vedere la pistola,
prima di cadere, un proiettile conficcato tra gli occhi. L’uomo
guarda la stanza. Si infila la pistola nella cintura dei pantaloni. Si guarda
intorno, poi esce e scende. Nella hall non c’è nessuno. L’uomo lascia
l’albergo e si allontana. Tre
cadaveri in via Saluzzo. Li ha trovati la donna delle pulizie, che è uscita
dalla stanza urlando. Le altre ragazze sono accorse, hanno visto anche loro i
corpi, sono fuggite via gridando, poi alcune sono tornate, per vedere se
Gabriela era ancora viva. C’è stato un bel puttanaio nella pensione. I
primi due agenti che arrivano fanno allontanare tutti, poi chiamano la
scientifica. Quando
si scopre che il morto è Luca Barresi, uno dei poliziotti chiama il
commissariato cercando Bragadin, che però è fuori. Quando
infine Bragadin arriva, accompagnato da Aruna, la scientifica sta finendo i
rilevamenti. Tra poco si potranno portare via i cadaveri. Roberto
Aruna guarda l’ispettore Bragadin. La ragazza è di sicuro minorenne. E se
davanti ai ragazzi che prendono la strada sbagliata l’ispettore patisce, con
le ragazze dell’est avviate alla prostituzione è ancora peggio: che colpa hanno, se non quella di essere disperatamente povere?
Roberto Aruna si dice ancora una volta che Mauro Bragadin avrebbe dovuto fare
un altro lavoro. La
scientifica ha concluso. Bragadin si rivolge alla responsabile, Elisabetta
Della Rocca. - È emerso qualche cosa? -
Nulla di significativo, Mauro. Qui sono entrate le altre ragazze, quando
hanno trovato i morti, complicandoci non poco il lavoro. Comunque l’assassino
non sembra aver lasciato molte tracce. In
commissariato Mauro Bragadin interroga le tre ragazze che sono entrate nella
camera e che conoscevano Gabriela. Irina, Sonia e Giorgia non sanno niente,
non hanno visto niente. Quando hanno sentito le urla
della donna delle pulizie sono uscite dalle loro camere e sono corse in
quella di Gabriela, dove hanno visto i tre cadaveri. Nessuna di loro tre era amica di Gabriela, che era arrivata da poco. Nessuna
sa chi la frequentasse, a parte Luca Barresi. La camera a destra di quella di
Gabriela è vuota, la camera a sinistra è abitata da Natascia, che è uscita
presto (verso le dieci del mattino) e non è ancora rientrata. Sul piano ci
sono altre ragazze che “conoscevano Luca Barresi”, il che significa che
lavoravano per lui, ma non sono nelle loro camere. Nella
hall della pensione due poliziotti in borghese aspettano che le altre donne
rientrino, ma per il momento nessuna si è presentata. Mauro
Bragadin insiste e, giocando sulle loro contraddizioni e minacciando di
incriminarle per reticenza, ottiene qualche cosa di più: c’erano anche altre
due ragazze, Katiuscia e Anna, ma sono scappate
subito dopo la scoperta dell’omicidio, prima che arrivasse la polizia.
Difficile che abbiano visto qualche cosa, altrimenti non sarebbero accorse
nella camera e sarebbero già scappate prima: più probabilmente non vogliono
farsi beccare. Bisognerà
cercare anche loro, sperando che i loro documenti siano autentici e i nomi
che risultano alla pensione siano veri: quelli delle ragazze sono quasi tutti
nomi d’arte, perché i clienti amano un po’ di aroma esotico, ma non troppo.
Sonia si chiama Kasimira Tokarezuk, ma per i clienti è meglio Sonia. Gabriela
si chiamava davvero così. L’unica
amica di Gabriela era Natascia, la ragazza che sta nella camera a sinistra. Anche
dalla donna delle pulizie non c’è molto da ricavare, in primo luogo perché
lavora nella pensione solo da tre mesi, in secondo luogo perché è sotto
shock. In effetti tre cadaveri in un colpo solo sono
un po’ troppo, per una abituata al massimo a schiacciare qualche scarafaggio
(più d’uno nella pensione). Quando
arriva sera, Mauro Bragadin ha interrogato anche una delle altre due ragazze
che hanno visto i cadaveri, senza ricavarne nulla. Natascia,
la ragazza che occupa la camera a fianco di quella di Gabriela, non è tornata
alla pensione. Qualcuno deve averla avvisata e probabilmente non ha i
documenti a posto. Sempre che invece non abbia fatto la stessa fine di
Gabriela: l’assassino ha ucciso il portiere solo perché l’aveva visto.
Potrebbe aver ucciso anche lei. Ormai
tutto sembra chiaro: si tratta di una guerra per il controllo del territorio,
tra il clan dei Barresi e qualche altro gruppo. Quale? Questo è il problema
aperto. In città il traffico delle bianche dall’Est è controllato dai
Barresi: sono loro che, attraverso i rapporti che hanno con varie mafie
locali, fanno arrivare ragazze dalla Moldavia, dall’Ucraina e da alcuni altri
stati. Non è un giro d’affari di dimensioni enormi: diciamo che è una
tranquilla rendita. Eppure qualcuno ha deciso di scalzarli, magari proprio
perché i Barresi non sono un clan così importante e potente. Qualcuno che
prima ha attirato Scibetta in una trappola, poi ha colpito ancora più in
alto, eliminando Luca Barresi. Daniele Barresi è latitante e non può
occuparsi direttamente dei suoi affari: deve tenersi nascosto e agire
attraverso intermediari. Ma i due uomini di cui si serviva sono morti. Emanuele
Barresi è seduto davanti allo zio. Non era mai stato nel suo rifugio, una
casa a Lucento, non lontano dal nuovo stadio. Daniele
Barresi vive come un pensionato, non riceve gente, fa le sue
passeggiate tranquillo e nessuno penserebbe che è ricercato dalla polizia. I
contatti con lo zio li hanno sempre tenuti Salvatore Scibetta ed il cugino di
Emanuele, Luca, ma ora sono tutti e due sui tavoli dell’obitorio. Lo zio lo
ha convocato. Gli ha dato istruzioni precise sulle ragazze: quelle che sono
alla pensione e quelle che hanno tagliato la corda. -
Quelle bisogna ritrovarle, Emanuele. Nessuno può
pensare che chi ci deve obbedienza può scappare via, chiaro? -
State tranquillo, zio, le ritroveremo. Carmine si sta dando da fare. Non ci
metteremo molto. Lo
zio ha parecchie istruzioni da dare. Emanuele ascolta attento: deve imparare
tutto, se vuole gestire bene il patrimonio della famiglia, perché ormai tocca
a lui. -
Emanuele, ascoltami bene, c’è una cosa che devi fare. - Dite, zio. - Quello
che ha ammazzato Luca, quello voglio che me lo porti
vivo, Emanuele. Quando l’hai beccato, mi avvisi, che voglio pensarci io.
Voglio che maledica quella puttana di sua madre per averlo messo al mondo,
prima di morire. -
State tranquillo zio, che quello lo troviamo, dovessimo scendere all’inferno
per beccarlo. Emanuele
se ne va. Daniele sa che si darà da fare. Ormai è lui il suo braccio destro.
Le braccia che aveva, Luca e Scibetta, gliele hanno
spezzate. Natascia
ha grandi occhi da cerbiatta, capelli color del grano e un viso dolcissimo.
Mauro Bragadin non ama le donne, ma la bellezza di questa ragazza lo turba. E
al pensiero della vita che fa Natascia gli si stringe lo stomaco. Natascia
è nervosa. Fuma una sigaretta. Mauro vorrebbe toglierle la sigaretta dalle
dita, mandarla a lavarsi la faccia (anche se il trucco di Natascia non è
pesante) e costringerla a smetterla con la vita che fa: che studi, che vada a
scuola. La
polizia non ha trovato Natascia: è venuta lei a presentarsi. Ha chiesto di
lui, dell’ispettore Mauro Bragadin, e solo allora ha detto chi era. Mauro ha
detto di farla entrare subito. Francesco
Torrazzo è in un angolo, che guarda la ragazza, incantato. -
Ispettore, ho chiesto di te, perché so che non sei un bastardo. Non
è proprio un inizio canonico, per una ragazza probabilmente senza permesso di
soggiorno e magari con documenti falsi, ma a Mauro va bene così. Sorride e
dice; -
Come lo sai? - Me
l’hanno detto le mie amiche. E poi te lo si legge in faccia. - Va
bene. Sono contento che tu sia venuta, Natascia. - Io
voglio che lo prendete, quel bastardo. Non m’importa
se mi rimandate al mio paese, tanto qui so come tornarci. Ma quel figlio di
puttana lo dovete prendere. -
Anche noi vogliamo prenderlo. E se tu collabori, non verrai rimandata al tuo
paese. Natascia
lo guarda, dubbiosa. Mauro riprende: -
Sì, per chi collabora con la polizia è possibile ottenere un permesso di
soggiorno, in regola. Natascia
sorride. Francesco sa benissimo che cosa sta pensando: che
in effetti Mauro Bragadin non è un bastardo. Su questo Francesco
concorda. Scambiano
ancora due parole, Natascia dà le sue vere generalità, poi incomincia a
raccontare. -
Luca Barresi stava dietro a Gabriela. Gabriela era arrivata da poco e lui si
occupava sempre personalmente delle ultime arrivate. Luca Barresi era un
bastardo e sono contenta che l’hanno ammazzato. Mauro
Bragadin annuisce. Non può dissentire, in effetti. -
Che cosa intendi dire con “stava dietro”? Voleva portarsela a letto? Natascia
scuote la testa, come a dire che l’ispettore non sarà un bastardo, ma non è
tanto sveglio. -
Certo che se la portava a letto. Noi non abbiamo nessuna scelta. Se Luca
Barresi voleva scopare una di noi, lo faceva. Lui si prendeva sempre l’ultima arrivata. Con Gabriela… lei gli piaceva. Gabriela
aveva sedici anni. A lui piacevano le ragazze molto giovani. C’è
una contrazione sul viso dell’ispettore, che a Natascia non sfugge. Natascia
si passa una mano sulla fronte. Poi riprende. - Insomma,
veniva spesso a trovarla. Ma la faceva lavorare come le altre. Luca Barresi
non faceva sconti. Mauro
Bragadin annuisce. Luca Barresi era proprio un figlio di puttana, ma questo
si sapeva già. -
Una settimana fa Gabriela ha conosciuto uno, un
cliente, che è tornato due volte. Gabriela lo descriveva come un vero toro.
Quel bastardo ha finto di essersi innamorato di lei, voleva toglierla dal
giro, voleva portarla via, diceva che sapeva come metterla al sicuro. Natascia
fa una pausa: -
Gabriela ci credeva, ci sperava. Gabriela non era fatta per questa vita. -
Neanche tu sei fatta per questa vita. Natascia
guarda l’ispettore. Per un momento si fissano negli occhi. Natascia non
risponde. Francesco Torrazzo non verbalizza la risposta dell’ispettore.
Mentalmente si dice che in un interrogatorio serio una battuta del genere non
ci può proprio stare, prima di lavorare con Bragadin non gli era mai
successo. Le puttane le ha sempre viste trattare in
altro modo. Ma nei pochi mesi in cui ha avuto a che fare con Bragadin ha
imparato che lui spesso riesce a ottenere dagli interrogati molto di più
degli altri ispettori. Ha una marcia in più e con alcuni funziona benissimo. Natascia
riprende: - Si
vedevano di nascosto. -
Sai quante volte si sono visti? Natascia
riflette un attimo: -
Credo cinque. -
Hai detto che si erano conosciuti una settimana fa. Vuol dire quasi tutti i
giorni. -
Sì. -
Dove si incontravano? - Le
prime due volte lui l’ha incontrata come cliente. Poi lei lo raggiungeva in
una soffitta di via Foggia. Non volevano farsi vedere insieme. Se Luca
Barresi scopriva che Gabriela la dava via gratis, la ammazzava di botte… Natascia
china il capo e mormora: - Ma
quell’altro bastardo l’ha ammazzata davvero. -
Come fai a sapere che è stato lui? -
Gabriela mi ha detto che incontrava Gianni martedì notte, alla fine del
lavoro, e che lui veniva alla pensione. Gianni aveva raccomandato di non
dirlo a nessuno e Gabriela di certo non lo raccontava in giro, ma noi eravamo
amiche. Vede ispettore… Natascia
si ferma di nuovo, poi prosegue: -
No, non c’entra niente. - Dimmi, Natascia, anche se non c’entra. - Io
le volevo bene, ispettore. Erano pochi mesi che aveva incominciato questo
lavoro maledetto. Era ancora una ragazza. Mi ricordava la mia sorellina, che
vive ancora in Ucraina. Lei non sa che lavoro faccio, crede che sono una badante. Ma lei andrà all’università, ispettore,
non farà questa vita. Natascia
ha gli occhi lucidi e Francesco Torrazzo giurerebbe che anche Mauro Bragadin
li ha. Gli verrebbe da dire che così non funziona, ma si tiene
i suoi pensieri per sé. Mauro
Bragadin annuisce. -
Puoi ancora smetterla con questa vita, Natascia. Natascia
lo guarda. Francesco
decide che anche questa frase non sarà verbalizzata. L’ispettore
e la ragazza si fissano un buon momento, poi Natascia scuote la testa e
riprende: -
Martedì notte… dovrei dire mercoledì mattina, Gabriela è arrivata alla
pensione con Gianni. Era un’imprudenza, ma Gianni aveva insistito molto. Quel
bastardo… - E
il portiere non controllava? -
Marco? – Natascia ride – Un biglietto da 20 e non servivano documenti di
nessun genere. Mauro
Bragadin adesso ha ben chiaro perché l’assassino ha ucciso il portiere:
poteva fornire una sua descrizione. Natascia
conclude: - Io
li ho sentiti arrivare, quella mattina. Erano ancora in camera quando sono
uscita. Poi… ho saputo. Mauro
Bragadin riflette. Qualcuno ha avvicinato Gabriela per arrivare a Luca
Barresi. Qualcuno che sapeva che Luca Barresi scopava con Gabriela, che lei
non era una delle tante ragazze del giro. E l’ha usata e poi l’ha uccisa
perché a quel punto non aveva altra scelta. - Tu
sai com’è questo Gianni? L’hai visto? Perché
se Natascia non ha visto Gianni, l’utilità della sua testimonianza è alquanto
limitata. Natascia
apre la borsa e tira fuori un telefonino. Preme qualche tasto e fa vedere una
foto a Mauro. -
Questo è Gianni. La
foto è sufficientemente nitida da permettere il riconoscimento. -
Come cazzo… -
Come ho fatto? Natascia
scuote la testa, poi riprende. -
Gabriela si stava innamorando. Voleva una foto di Gianni, ma quel bastardo
naturalmente non voleva certo farsi fotografare. Allora ha chiesto a me di
fargliene una. Un mattino che lei è andata in via Foggia, io l’ho
accompagnata. Sono rimasta fuori, naturalmente. Quando lei è uscita, mi ha
raggiunto e mi ha detto che anche lui stava per uscire: anche la volta prima,
lui era uscito poco dopo di lei. Ha aspettato che scendesse, me l’ha indicato
e si è subito allontanata. Io l’ho seguito due
isolati e poi, ad un semaforo, ho scattato la foto con il cellulare. Gliene
ho fatte due, la seconda non si vede molto bene. -
Sei in gamba, Natascia. Potresti lavorare nella polizia! Mauro
Bragadin sorride. Anche Natascia sorride. Francesco non verbalizza neanche
questa battuta. -
Adesso faccio scaricare la foto. Bragadin
esce e ritorna dopo qualche minuto, restituendo il telefono a Natascia. Bragadin
pone ancora alcune domande sulla casa di via Foggia e su altri aspetti.
Quando ha finito chiama l’agente Diana, che spiegherà a Natascia che cosa
deve fare per mettersi in regola. Al
momento di congedarsi, Natascia sorride e dice: -
Ispettore, le mie amiche avevano ragione. Anche
Mauro Bragadin sorride. -
Grazie. Quando
Natascia se n’è andata, Mauro rimane pensieroso. Francesco non dice niente.
In quel momento entra l’agente Aruna. Mauro lo guarda e dice: - Il
mondo funziona proprio male, agente Aruna. -
Non credo di essere responsabile del cattivo funzionamento del mondo. Mauro
inarca le sopracciglia. -
Lei fa la sua parte, agente Aruna, ed è una parte… consistente. -
Sono solo un povero agente. Mauro
alza le spalle. -
Bisognerebbe che il mondo funzionasse in un altro modo. -
Ispettore, lei non è mica Dio. -
Però vorrei esserlo. Roberto
Aruna ha l’impressione che se Mauro Bragadin fosse Dio, il mondo
funzionerebbe meglio, ma non lo dice. Lascia che l’ispettore prosegua: -
Diciamo che potremmo metterci in società: io faccio la mente, lui il braccio.
Un po’ di problemi li risolviamo. -
Provi a risolvere il caso, Nostro Signore Bragadin. Mauro
inarca le sopracciglia e lo guarda. Poi dice: - Sa
una cosa, agente Aruna? - Dica, ispettore. - Se
fossi Dio o lo avessi a disposizione, mi procurerei collaboratori dotati di
cervello. Chissà che sensazione nuova sarebbe per lei, agente Aruna, avere un
intero cervello a sua disposizione! -
Temo che mi appesantirebbe la testa, ispettore
Bragadin. E poi non riusciremmo più a comunicare così bene, se io avessi un
cervello... Mauro
Bragadin guarda le due foto. Gli originali, le stampe ingrandite ed i
disegni, in cui i tratti sono ben visibili, meglio che nell’ingrandimento
delle foto. Quella è la faccia dell’assassino, quello che fatto fuori tre
persone o, più probabilmente, cinque: anche Scibetta e Catania deve averli uccisi lui. Una
faccia da duro, squadrata, capelli cortissimi neri, con un po’ di grigio,
sopracciglia folte, baffi e barba tagliata in modo da inquadrare la bocca ed
il mento. Il fisico è possente, dev’essere uno che va in palestra. Non quella
in cui va Mauro: sarebbe troppo semplice. Chi
è quest’uomo? Dove trovarlo? In via Foggia, ovviamente, se c’è ancora. La
prima cosa da fare è mandare alcuni uomini a sorvegliare il portone di via Foggia,
per sapere se l’uomo vive ancora lì. Intanto Mauro farà controllare le foto
dell’archivio per capire se si tratta di un pregiudicato. È un lavoro lungo,
ma Riccardo e Laura sono bravissimi. Se ne occuperanno loro. In
via Foggia Mauro manda quattro uomini, di quelli esperti: hanno a che fare
con un pluriomicida, un professionista, di certo abituato a controllare di
non essere seguito. Non devono farsi beccare. Se
lo vedono, devono arrestarlo e portarlo immediatamente in commissariato. Intanto,
mentre Riccardo e Laura controllano l’archivio e i poliziotti la casa di via
Foggia, Mauro Bragadin provvede a sentire tutte le ragazze della pensione.
Una di loro si ricorda di averlo visto avvicinare Gabriela, una settimana
prima che venisse assassinata. L’aveva colpita perché sembrava molto virile.
Mauro si dice che doveva avere un po’ invidiato Gabriela.
È una conferma importante. Da
via Foggia nessuna notizia. Gianni non è entrato o uscito. A questo punto
l’ispettore, attraverso l’amministratore, risale al numero della soffitta e
ottiene dal giudice l’autorizzazione a forzare la porta per entrare e
arrestare l’uomo. La
soffitta è vuota: nessun oggetto personale, nessuna traccia. Gianni ha
lasciato la casa. O ha finito il suo lavoro in città o ha preferito cambiare
abitazione, visto che in quella qualcuno poteva aver visto arrivare Gabriela,
la cui foto è sui giornali. La
scientifica farà il suo lavoro, alla ricerca di impronte e altre tracce. Il
giorno dopo Laura entra sorridente nell’ufficio dell’ispettore Bragadin, con
la cartella sotto il braccio. A Mauro Laura piace molto: ironica, allegra,
molto in gamba nel suo lavoro. -
L’avete trovato? -
Sappiamo chi è. Mauro
balza in piedi. -
Fantastico! Così riusciremo a beccarlo. Laura
scuote la testa: -
Temo che non sia così facile, ispettore. Ci stanno provando a Catanzaro, a
Roma, a Palermo, a Milano, a Napoli e ora ci proveremo anche noi. -
Cazzo! Mauro
si risiede. Laura si mette davanti a lui. -
Bruno Cammarota, nato a Roccella Jonica. Si trasferisce a Catanzaro con la
famiglia. Piccoli reati, ma incomincia presto a fare sul serio, a sedici
anni: omicidio di un impresario edile, per conto del clan dei Trapanese,
probabilmente. Sfugge all’arresto. Tre anni dopo, a Napoli, nuovo omicidio:
non uno qualunque, uccide il boss di una delle famiglie camorriste. Questa
volta viene beccato e finisce in carcere, a Fossombrone, dove a 22 anni
strangola un altro detenuto, tal Antonio Neri, appena arrivato: uno che
sapeva molto e che forse avrebbe parlato. Altri sei anni di galera, finché,
in un trasferimento, riesce a fuggire. Posso risparmiarti i commenti sulle
circostanze della fuga? Di certo qualcuno ha ingrossato il suo conto in
banca. -
Qualche nostro collega, intendi? -
Esatto. Ma non divaghiamo. Le tracce si perdono per qualche anno, ma
l’omicidio del segretario di un consigliere regionale siciliano è sicuramente
opera sua. Avviene… cinque anni dopo, quando Cammarota ha 33 anni. - Un
professionista, chiaramente. Ma era evidente. -
L’ultimo caso è dell’anno scorso. Non si hanno certezze, non è stato neanche
ritrovato il cadavere. Un tal Filippo Torni, scomparso nel nulla, coinvolto
in un giro di droga. Bruno Cammarota lo ha agganciato in una
discoteca gay ed è stato con lui per un mese. Poi il Torni ha fatto
arrivare un carico di droga nel posto sbagliato ed è scomparso. Doveva
partire in aereo, ma non si è mai presentato all’imbarco. Mauro
Bragadin annuisce. Fa un po’ fatica a stare dietro a tutta la storia, ma non
è importante. Un pluriomicida, killer professionista. Già nel giro delle
famiglie calabresi, abituato a lavorare per loro. Catanzaro, Napoli, Palermo,
Milano, Torino. Va a stabilirsi dove serve e fa quello che deve. E
adesso dove cazzo è Bruno Cammarota? Laura
se ne va. Arriva Roberto Aruna. -
Novità? Mauro
Bragadin riferisce, concludendo: - E
adesso dobbiamo trovarlo. - In
una città come Torino è facile nascondersi. Vogliamo provare a fare uscire
l’identikit sui giornali? -
Aspettiamo un momento. -
Non è che mentre noi aspettiamo, quello si dilegua, ispettore Bragadin? Chi
ha tempo non aspetti tempo, dicevano dalle mie parti. -
Erano saggi, dalle sue parti, agente Aruna. Peccato che le nuove generazioni
siano cadute così in basso… Roberto
Aruna incassa. Daniele
Barresi guarda la televisione. Nella trasmissione si parla del triplice
omicidio di Torino, naturalmente, e degli altri due che sono senz’altro
collegati. La polizia non ha niente in mano, da quello che viene detto è
chiaro. C’è la foto di Luca. C’è anche la sua. Una vecchia foto, di quindici
anni fa, almeno. Non lo riconoscerebbero in molti, da quella foto, ma sarebbe
stato meglio che fosse rimasta negli archivi della polizia. C’è sempre
qualcuno che non ha un cazzo da fare nella vita se non spiare gli altri.
Qualcuno che potrebbe notare la somiglianza tra il pensionato che va a bersi
il caffè al bar ed il capoclan ricercato dalla polizia. Daniele
Barresi prende il pacchetto e si accende una sigaretta. Gliele ha portate Luca, le sigarette. Non gliene porterà altre. Quando
la trasmissione è finita, Daniele Barresi spegne il televisore, poi apre il
cassetto del comodino, lo estrae completamente e prende una busta di plastica
attaccata dietro al cassetto con quattro puntine. Ne tira fuori un’altra
bustina, più piccola, poi rimette il cassetto al suo posto. Vuota
il contenuto della bustina sul tavolino. Guarda la polvere bianca. Poi
aspira. Daniele
Barresi si spoglia. Posa gli abiti sulla poltrona. Va a pisciare. Tira
l’acqua. Poi torna in camera e si mette a letto. Spegne la luce. Dalle
imposte filtra la luce della strada. Tarda ad addormentarsi, come sempre in
questi giorni, ma infine sprofonda nel sonno. Apre
gli occhi di colpo, con la sensazione che ci sia qualcuno nella stanza. C’è.
Un uomo che gli punta addosso una pistola con il
silenziatore. Daniele Barresi non fa in tempo ad aprire bocca che il primo
proiettile lo prende al torace. Il dolore lo schiaccia e gli impedisce di
sollevarsi. Il secondo colpo lo avverte appena. Quando il terzo gli si
conficca nel cuore, ha già smesso di vivere. Bruno
Cammarota sorride. Si aggiusta il cazzo nei pantaloni: uccidere glielo fa
sempre diventare duro. Si infila la pistola nella fondina sotto la giacca ed
esce. Daniele
Barresi aveva ragione. C’è gente che non ha un cazzo da fare nella vita se
non spiare gli altri. La signora Giovanna Depetris è tra questi. Ha sentito
il portone di casa che si chiudeva. Alle tre di notte non è normale. Si è
svegliata: ha il sonno leggero. Si è alzata. Ha guardato dallo spioncino.
L’ascensore era fermo, ma qualcuno saliva le scale. La signora Depetris lo ha
visto passare, un attimo di profilo e poi di
schiena. È salito al secondo piano. Non ha suonato, non ha bussato, non si è
sentito nessun rumore. La signora è rimasta ad attendere. Poco
dopo l’uomo è ridisceso. Questa volta lei l’ha visto bene in faccia. Il
portone si è richiuso. Dove
può essere andato? Chi è quell’uomo? Aveva un aspetto sinistro. Sicuramente
un poco di buono. Un terrone, ci scommetterebbe,
come il Puglisi del piano di sopra. Magari quell’uomo è andato dal Puglisi. La
signora è agitata. A Torino non si vive più sicuri. La giunta di sinistra non
fa abbastanza per la sicurezza. Quei maledetti comunisti. Ci sono un sacco di assassini, anche se li prendono e li
mettono in carcere, li fanno uscire subito. Ne hanno ammazzati tre a San
Salvario, l’altro giorno ma si sa, quello è un quartiere di drogati, spacciatori e prostitute. E per un momento ritorna quel
pensiero disturbante. L’altra sera al telegiornale hanno fatto vedere le foto
di quelli che hanno ammazzato e di quel boss mafioso, quello che è ancora in
fuga. Da quando l’ha visto in televisione, Giovanna Depetris non riesce a
toglierselo dalla testa. Perché quella faccia è familiare? E quest’altro che
è andato dal Puglisi… il Puglisi! Le sembra di non riuscire più a respirare.
Il Puglisi! È il Barese, Barrese, come diavolo si chiama. Ecco perché quella
foto le sembrava familiare. È lui! Che
cosa stanno facendo a casa sua? Quell’uomo che cosa è venuto a fare? Deve
avvisare la polizia che il mafioso abita lì, subito, prima che si accorga che
lei sa e magari decida di ucciderla. Giovanna Depetris solleva la cornetta
del telefono. Poi un’idea improvvisa la ferma: se il Barrese sente che lei
telefona? Potrebbe ucciderla subito. Meglio aspettare domani mattina. In
quel momento sente di nuovo chiudere il portone. Quell’uomo si è accorto che
lei l’ha visto e viene ad ucciderla. Giovanna Depetris guarda dallo
spioncino. Non è lo stesso uomo. È un altro. Sale le scale a piedi anche lui.
Non suona. Giovanna
sente rumori di passi sopra la sua testa: sì, è andato anche lui dal Puglisi.
Ma non si sente nessuna voce. Qualcuno si muove al piano di sopra. Apre
cassetti, ante. Giovanna rimane con il fiato sospeso. Dopo una mezz’ora
ritorna il silenzio. L’uomo scende. Giovanna lo guarda. Anche questo è un
terrone. Più giovane, forse. Ha una busta di plastica piena. Quando è salito
non aveva niente in mano. Telefonare
alla polizia da casa è troppo pericoloso. Farà una telefonata anonima domani
mattina. La telefonata
anonima non era una bufala. Nell’alloggio abitava davvero Daniele Barresi.
C’è ancora adesso, ma non si può più dire che abiti lì. Mauro
Bragadin guarda il cadavere di Daniele Barresi, capo del clan. Chiunque stia
cercando di prendere il posto dei Barresi, lo sta facendo in modo sistematico
e senza perdere tempo. Tutto in dieci giorni. Prima il braccio destro di
Daniele Barresi, Salvatore Scibetta. Poi il figlio di Daniele, Luca. Infine
Daniele Barresi stesso. Bruno Cammarota, perché di sicuro è lui che ha fatto
fuori i Barresi, aveva molte più informazioni della polizia, che da anni
cercava Daniele senza riuscire a beccarlo. Mauro Bragadin pensa che se la
polizia lo avesse trovato, a quest’ora Daniele Barresi sarebbe ancora vivo.
L’ispettore Bragadin avrebbe avuto un sacco di domande da fare a Barresi, ma
da lui nessuno otterrà più risposte. Probabilmente non le avrebbe ottenute
neanche se avesse arrestato Barresi prima che lo ammazzassero. Mauro si
rivolge alla collega della scientifica: -
Qualche cosa di interessante, Eli? -
Daniele Barresi ha sniffato cocaina prima di mettersi a letto: ce ne sono
tracce nel comodino. E sicuramente l’assassino o un suo complice ha frugato
in casa, cercando qualche cosa. Bragadin
inarca le sopracciglia. Si chiede sempre come diavolo faccia Eli a scoprire
queste cose. La casa gli sembra del tutto a posto. Ma non chiede: sa
benissimo che lei non si sbaglia. Pomeriggio.
Riunione in commissariato. Discussione sul caso Barresi. Mauro Bragadin fa il
punto della situazione. Poi esprime il suo pensiero: -
Credo che Bruno Cammarota abbia ucciso anche Daniele Barresi, Scibetta e
Catania. Forse addirittura con la stessa arma, ma per avere una conferma
dobbiamo aspettare i risultati delle analisi balistiche. L’assassino però è
lui: gli omicidi hanno tutti la stessa impronta, sono stati progettati ed
eseguiti con grande sicurezza, senza lasciare niente al caso. Chiaramente
opera di un professionista, che ha sparato undici colpi in tutto, uccidendo
sei persone, ed erano tutti colpi mortali. E poi è difficile che chi ha deciso di sterminare i capi del clan si sia rivolto a
sicari diversi, moltiplicando i rischi di essere scoperto. -
Fin qua va bene. Ma non è che siamo molto avanti. L’assassino è latitante e
non abbiamo un’idea di chi sia il mandante. Il
commissario non sembra molto contento. E quando mai? - Io
un’idea ce l’ho. -
Per il culo di Satana, muoviti a tirarla fuori. -
Abbiamo sempre pensato che fosse una guerra tra clan. Ma è una guerra a senso
unico. Questi hanno fatto fuori tutto il vertice del clan, senza che i
Barresi muovessero un dito. Possibile che nemmeno loro sapessero da che parte
veniva il colpo? E che non fossero in grado di reagire? Neppure di
difendersi? Daniele Barresi doveva pur sospettare che qualcuno lo avrebbe
fatto fuori. Il
commissario è nervoso: questa storia gli fa girare i coglioni alla grande,
perché suscita un grande clamore e lui proprio non sopporta vedere i suoi
casi in televisione. -
Che cazzo intendi dire, Bragadin? -
Che potrebbe essere un affare interno, commissario. Nessuno esterno al giro ha contattato le ragazze che
lavorano per i Barresi: i nostri uomini non hanno notato nulla.
Semplicemente, ciò che prima facevano Salvatore Scibetta e Luca Barresi,
adesso lo fa Emanuele Barresi, con l’aiuto di qualche suo scagnozzo. Diciamo…
un ricambio generazionale, con un piccolo spostamento di lato: il successore
del boss, invece del figlio, defunto, è il nipote. -
Secondo te il mandante potrebbe essere Emanuele Barresi? -
Sì, credo di sì. Chi altri poteva sapere dove si
nascondeva suo zio? E c’è anche un altro fattore. - E
quale? Cazzo, sembra che tu ti diverta a tenerci sulla corda, Bragadin! -
Cammarota ha spesso lavorato per le famiglie calabresi. Niente di strano che
Emanuele Barresi si sia rivolto a lui. -
Questo non significa niente: qualunque famiglia calabrese avrebbe potuto
rivolgersi a lui. -
Sì, ma difficilmente avrebbe saputo dove trovare Daniele Barresi. Il
commissario non appare convinto. -
Per il culo di Satana! Hai qualche elemento in mano o sono solo ipotesi? Un
giudice non lo convinci con le tue impressioni. Mauro
Bragadin vorrebbe sbuffare. Sta facendo ipotesi, ma il commissario vuole
l’assassino scodellato su un piatto d’argento, con contorno e tovagliolo
bianco, oltre al comunicato stampa già pronto. -
Commissario, sto cercando di ragionare. -
Sì, sarebbe utile che ogni tanto provaste a farlo, in questo commissariato,
tanto per provare qualche cosa di nuovo. Bragadin
incassa, si dice che chiederà il trasferimento e poi prosegue: - Sulla
colpevolezza di Cammarota non ci sono dubbi, la testimonianza di Natascia è
sufficiente. Se lo becchiamo risaliremo anche al mandante. - E
se non lo becchiamo? Mauro
non ne può più. Sa benissimo che il suo capo è un rompicoglioni e che è
incontentabile. Sa anche che ha stima di lui. Però certe volte gli manca
l’aria. Ha scoperto l’assassino. Ha formulato un’ipotesi intelligente. Se
qualcun altro provasse a dare una mano? Ci
prova Corrado Vela, uno degli altri ispettori. -
Facciamo controllare il traffico telefonico di Emanuele Barresi. - Sarà mica tanto coglione da telefonare al Cammarota per
complimentarsi con lui: “Bravo, hai fatto un bel lavoro.
Dammi il numero del tuo conto in banca che ti faccio
un bonifico. O preferisci un assegno non trasferibile?” Per
il culo di Satana, prova a farti venire un’idea intelligente! Corrado
non demorde: -
No, ma magari dalle telefonate qualche cosa emerge. Orari, date e numeri
chiamati. E poi mettiamo sotto torchio le ragazze che lavorano per i Barresi,
cercando di capire... - Le
abbiamo già spremute come limoni. -
Sì, ma adesso si tratta di capire se hanno ricevuto minacce o proposte da
altri. Se nessuno si è fatto vivo, allora l’ipotesi di Mauro è la più
sensata. Ferraris
mugugna. Non è soddisfatto. E quando mai? Mauro
ha fatto controllare il traffico telefonico, per risalire all’origine della
telefonata del giorno prima. A portargli il risultato è l’agente che ha
risposto. - La
telefonata proveniva da una cabina, ispettore. Vicino alla casa dove abitava
Barresi. C’era
da aspettarselo, naturalmente. -
Chi era la persona che telefonava? Mauro
l’ha già chiesto, ma visto che non ci sono altri elementi, vuole vedere se
l’agente ricorda qualche cosa di più. -
Una donna, anziana, direi. -
C’è qualche elemento che ci potrebbe aiutare a riconoscerla? -
No… no… L’esitazione
di Albese non sfugge a Mauro. - Un
piccolo indizio. Avanti… Non farti pregare. -
Ecco, ispettore, non aveva nessun accento particolare, ma direi che è
piemontese. L’elemento
può essere interessante: Barresi abitava in una zona in cui prevalgono le
famiglie di origine meridionale, oltre a qualche immigrato di altri paesi. - In
base a che cosa lo dici? Albese
alza le spalle. -
Non so che dirle ispettore, ma la mia famiglia è piemontese e quella…
sembrava proprio una delle amiche di mia mamma. Mauro
sorride. È un elemento un po’ debole, ma ci può stare. - Di
un’altra cosa sono più sicuro, ispettore. -
Quale? -
Quella donna abita nella casa. -
Perché dici questo? - Ha
detto il cognome, l’indirizzo, la scala e anche il
piano. Anche in questo si vede che è piemontese. Nicola
Albese sorride. Anche Mauro sorride. Si dice che probabilmente Albese ha
ragione. Mauro
e i due agenti entrano nella casa dove abitava Barresi. Mauro ha alcune
fotografie nella busta. Possono essere la carta
vincente o possono essere il due di picche. Il
signor Achille Vitale non fornisce molte informazioni: abita nella casa da
undici anni, conosceva il Puglisi alias Barresi solo di vista, non gli
capitava mai di parlargli. Era uno che stava sulle sue. Non sa dire chi
veniva da lui. Il signor Vitale si fa gli affari suoi. Nelle foto non
riconosce nessuno. Però alla fine gli dice: -
Ispettore, se c’è una persona che può aiutarla è la Depetris. Più ficcanaso
di lei non c’è nessuno in tutta la casa. E forse nemmeno in tutta Torino. Mauro
decide di lasciare la Depetris per ultima. Se è curiosa, il vedere la polizia
che gira per la casa senza passare da lei, attizzerà la sua curiosità. E
intanto Mauro capirà se ci sono altre donne che possono aver telefonato. Giovanna
Depetris ha seguito tutti i movimenti della polizia. Non ha capito in base a
che criterio hanno scelto quali inquilini interrogare. In ogni caso, non ha
nessuna intenzione di rivelare che è stata lei a telefonare in commissariato. Mauro
ha concluso il giro, a parte la Depetris. Nessuna delle donne che ha
incontrato fino a ora sembra essere quella che ha telefonato per informare
che Barresi abitava lì. Mauro
suona alla porta della Depetris. Appena la vede, non ha dubbi: è lei. Che cosa
ha visto? È stata solo la foto in televisione a permetterle di riconoscere
l’inquilino del piano di sopra? Mauro
decide di bluffare. Non appena si è presentato e la signora l’ha fatto
accomodare in salotto (sì, cortesia piemontese, questa, qualcuno degli
inquilini non voleva neanche farlo entrare), dice: - In
primo luogo volevo ringraziarla di averci avvisato: grazie a lei abbiamo
trovato il cadavere del Barresi. Giovanna
spalanca la bocca. Questa non se l’aspettava, di certo. - Ma
io… ma che cosa dice… -
Lei ha dato un contributo importante alla giustizia, permettendoci di
scoprire la residenza del Barresi e gliene siamo grati. - Ma
come avete fatto a sapere che ero stata io? Ho telefonato dalla cabina
pubblica. Mauro
sorride. -
Noi sappiamo tutto, signora. È il nostro lavoro. Roberto
Aruna si dice che Mauro ha la faccia come il culo, ma anche questa volta ha
azzeccato. Giovanna
Depetris annuisce, disorientata. -
Adesso le chiediamo se può darci ancora una mano. Perché dobbiamo trovare l’assassino.
Ha già ucciso cinque persone. La
signora Depetris rabbrividisce. Mauro coglie la sua paura. -
Lei non corre nessun rischio, signora. La sua testimonianza non verrà resa
pubblica fino a che non avremo catturato l’assassino. La
donna annuisce. -
Può dirci che cosa ha sentito quella notte? Giovanna
Depetris respira a fondo. Poi annuisce di nuovo, senza parlare. Mauro
sorride, quello che l’agente Aruna chiama il suo sorriso a 44 denti. Poche
donne al mondo sono in grado di resistere. Anche diversi uomini hanno ceduto
a quel sorriso, ma questa è un’altra storia. -
Sono entrati due uomini, ispettore. Uno alle tre di notte,
è rimasto poco. L’altro è entrato dopo, dopo le tre e mezzo, ed è rimasto una
mezz’ora. Cazzo!
Questo però Mauro non lo dice. La signora non apprezzerebbe. -
Come fa a dire che erano due uomini diversi, signora? Non avrebbe potuto
essere lo stesso uomo? - Li
ho visti, ispettore Bragadin. Roberto
Aruna registra che la donna ha chiamato Mauro con il nome e il grado giusto.
Questo fa di lei un testimone più attendibile della media (una volta un tizio
l’ha chiamato colonnello Bragadoccio). Mauro
sussulta. -
Visti? Ma come… Si
trattiene dal proseguire (“Come cazzo ha fatto?” era la frase completa, ma
con una signora piemontese sui sessanta, no, non va bene). - Ho
guardato dallo spioncino. Ispettore Bragadin, quando qualcuno entra alle tre
di notte, mi preoccupo. Non è un’ora a cui le
persone per bene vanno in giro. Allora controllo, per vedere chi è, che cosa
fa. Due mesi fa hanno rubato al quarto piano. Non si è
mai troppo vigili. Mauro
annuisce. Non è convinto del ragionamento, ma in questo momento è felice che
la signora ragioni così. - Concordo, signora. Con i tempi che corrono… Mauro
è sicuro che Roberto Aruna sta ghignando, ma non guarda da quella parte.
L’ultima frase fa parte della strategia per conquistare la signora. Mauro
avrebbe voglia di tirare subito fuori le fotografie, ma aspetta. Raccoglie
con cura tutte le informazioni. Poi tira fuori il contenuto della busta. - Le
è mai capitato di vedere questi due uomini, signora Depetris? La
donna guarda le foto, annuisce. Mauro trattiene il respiro. -
Questo è quello che è entrato alle tre. Questo è quello che è arrivato dopo. Bingo!
pensa Mauro. Cazzo,
che culo! pensa Roberto Aruna. Centro!
pensa l’agente Torrazzo. Mauro
è seduto in ufficio. La signora Depetris ha nuovamente fornito la sua
testimonianza, debitamente registrata, verbalizzata e firmata. Adesso Mauro
aspetta l’uomo che ha convocato. Emanuele Barresi si presenta puntuale. Mauro
lo fa accomodare, senza dire niente. -
Qualche novità, ispettore? Avete scoperto l’assassino? Mauro
lo fissa un momento, senza dire nulla. A Barresi il silenzio di Mauro non
piace, lo innervosisce. Mauro
apre la bocca e chiede: -
Perché è andato a casa di suo zio, la notte in cui fu ucciso? Sembra
che a Barresi di colpo manchi il fiato. “Adesso gli viene un coccolone”,
pensa l’agente Aruna. - Ma.. ispettore… che dice… io… ispettore… ma no… - È
stato visto. Come è stato visto l’assassino che lei ha assoldato, Bruno
Cammarota. Che ha ucciso suo zio e poi le ha dato il via libera per andare a
cercare ciò che le serviva, mandandole un messaggio sul cellulare. Emanuele
Barresi è sbiancato in volto. Questo non se l’aspettava. La polizia sa chi è
l’assassino, sa che lui è andato a casa dello zio, sa che Cammarota l’ha
avvisato. L’ispettore
Bragadin cambia tono. Dal lei passa al tu, un tu
sprezzante. Più ancora che le parole, è quel cambiamento di tono a dare a
Emanuele Barresi il senso della disfatta. - Sei
il mandante di sei omicidi. Per te è finita, Barresi. Barresi
apre la bocca, ma non riesce a trovare le parole.
Sanno di Bruno, sanno che lui è andato a casa dello zio, sanno del
messaggino. È fottuto. Guarda smarrito l’ispettore. - La
tua unica possibilità è quella di collaborare, se vuoi evitare l’ergastolo.
Dov’è Bruno Cammarota? Emanuele
Barresi non ha la stoffa del boss. Probabilmente per questo Daniele Barresi
l’ha sempre escluso dal potere, senza immaginare che il nipote accumulasse
tanta rabbia da arrivare a farlo uccidere. Ma Daniele Barresi aveva ragione,
perché Emanuele è un debole. Cede, senza resistere, senza chiedersi neppure
se davvero, con sei omicidi, ha qualche possibilità di non finire in galera a
vita. Guarda speranzoso Mauro: -
Ispettore, se collaboro… - Il
giudice ne terrà conto, Barresi. Ma devi dirci dov’è Cammarota. Le due volanti sono ferme vicino alla
fabbrica. Il vecchio edificio ha un solo ingresso, sulla strada. Di lì
entreranno gli uomini alla ricerca di Cammarota. Ci deve essere anche un
ragazzo con lui, in base a quanto ha detto Barresi, uno che gli ha fatto da
autista e questa notte dovrebbe portarlo a Genova. Alle
spalle della fabbrica c’è un terreno incolto e poi
il fiume. Ai lati altri edifici, circondati da muri. Prima
di entrare, Mauro vuole fare un giro di perlustrazione, per verificare che
dal lato del fiume non ci sia possibilità di scendere da una finestra.
Intorno alla fabbrica c’è una striscia d’asfalto e
più in là un prato con qualche albero. Una
finestra è abbastanza bassa per saltare. Bisognerà
mettere due uomini lì, anche tre. Mauro prosegue il suo giro. Improvvisamente
sente un rumore alle sue spalle. Si volta, la pistola nella destra, mentre
con la sinistra preme il tasto delle chiamate del cellulare: come d’accordo,
il telefono dell’agente Aruna suonerà e gli uomini verranno a dargli man
forte. Un
ragazzo è saltato dalla finestra e dietro di lui un’altra figura atterra: nel
buio non è visibile, ma Mauro è sicuro che si tratti di Cammarota. Devono essersi
accorti dell’arrivo delle due volanti. Non hanno
visto lui, ma ora il ragazzo si accorge della sua presenza ed estrae la
pistola. Mauro
sa benissimo che dovrebbe sparare, subito, per evitare che il ragazzo lo
colpisca, ma non vuole farlo, se può evitarlo. Vuole provare a convincerlo. -
Butta quella pistola, ragazzo. Non cacciarti in guai peggiori di quelli in
cui sei. Tano
esita un attimo. Ma Bruno Cammarota si è spostato dietro un albero. Punta la
pistola e sibila a Tano: - Spara, stronzo! I
due colpi risuonano insieme. Tano
non è un gran tiratore. Raggiunge il bersaglio, ma in basso. Bruno colpisce
esattamente all’altezza del cuore: non sbaglia mai un colpo. L’ispettore
Bragadin si avvita su se stesso e cade a terra. Si dice che in fondo è meglio
così. Rimane disteso bocconi sull’asfalto. Bruno
sorride. -
Uno stronzo in meno. Fa
per avvicinarsi e controllare che lo sbirro sia davvero morto, ma in quel
momento sentono i passi degli agenti che arrivano di corsa. -
Merda! Stanno arrivando gli altri. Via. Tanto quello l’ho fottuto. Corrono
nella direzione opposta, ma hanno appena svoltato l’angolo, quando la volante
sbuca da dietro la fabbrica. Non c’è tempo per scappare. L’auto frena, i fari
illuminano in pieno Bruno e Tano. Bruno
fa per sparare, ma Tano scatta e fugge via, passandogli davanti. Quando Bruno
spara, le portiere dell’auto si sono già aperte ed il colpo di Bruno manda in
frantumi il tergicristallo, senza raggiungere nessuno degli agenti. Bruno
spara ancora, mentre la sirena di una seconda volante risuona alle sue
spalle. Bruno
sa di essere fottuto, ma intende vendere cara la pelle. In
quel momento il colpo lo raggiunge sopra l'ombelico. Bruno barcolla per
l'impatto. Sente il dolore, una lama di fuoco che gli attraversa il ventre.
Emette un grugnito sordo. Spara ancora, due, tre volte, accecato dai fari,
verso le ombre che si muovono intorno alla macchina, mentre sente i rumori
dei passi alle sue spalle. Altri spari. Tre colpi in rapida successione gli
accendono un incendio nel ventre. Bruno grugnisce ancora, mentre cade sulla
schiena. Bestemmia, due volte. Cerca di alzare la pistola, ma fa fatica. Il
braccio è diventato pesantissimo. Nel ventre ha l’inferno. Bruno urla
un’altra bestemmia. Gli agenti stanno correndo verso di lui. Con
uno sforzo Bruno riesce a sollevare il braccio, ma un violento calcio alla
mano gli fa cadere la pistola. -
Che cazzo pensi di fare? Bruno
guarda l’agente. Sta sprofondando in un gorgo da cui sa che non riuscirà a
riemergere. Riesce ancora dire: -
Quel…lo stronzo… l’ho fo…ttuto. Francesco
Torrazzo guarda il corpo dell’ispettore Bragadin, steso bocconi una ventina
di metri più in là. Roberto Aruna si sta chinando su di lui, chiamandolo per
nome. Francesco stringe convulsamente la pistola, mentre guarda morire
Cammarota. Sente
la voce di Aruna: -
Mauro, Mauro! |
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