III
– Convalescenza Intermezzo La
sveglia suona alle sei e quindici: oggi è uno dei tre giorni in cui vai in
palestra. A seconda dei turni di lavoro, a volte vai il mattino presto, prima
di entrare, a volte il pomeriggio, quando hai finito. Una rapida doccia, poi
ti asciughi e ti vesti. Non devi neanche raderti: in questo periodo porti la
barba corta e te la sistemi solo ogni tre-quattro giorni. Anche i capelli
sono corti, non hai bisogno di pettinarteli. Esci dal bagno senza neppure
esserti guardato nello specchio. È
strano, devi ammetterlo, Mauro. Quando si è belli, e
belli in un modo fuori dal comune, di faccia e di corpo, la tendenza a essere
un po’ vanitosi è normale e, comunque, un’occhiata alla propria immagine
nello specchio la danno tutti, ma proprio tutti, il
mattino. Eppure lo specchio, in questo monolocale che hai affittato, non ha
spesso l’onore di riflettere il tuo sguardo. Non ti piace la tua faccia,
Mauro? Saresti davvero l’unico. La bellezza è un peso che ti porti dietro e
che ti ha regalato solo sofferenza? O hai paura di vederti, di guardarti negli
occhi e leggere quello che c’è dietro? Anche nel vestirti, sembri non badare
mai a quello che ti metti addosso: prendi una delle tue camicie, uno dei
tre-quattro maglioni scuri, un paio di jeans scuri. Non badi agli
abbinamenti, non cerchi una nota di colore. Non a caso qualcuno ti chiama “il
bel tenebroso”. Stai benissimo anche così, Mauro. Sei
già fuori casa e alle sette in punto arrivi davanti alla palestra. Per te è
comodissima: è a due passi; apre presto, prima di tutte le altre; ha l’orario
più lungo. Un colpo di culo, trovare una palestra così, proprio vicino a casa.
Non
c’è quasi nessuno a quest’ora. In un attimo sei pronto e incominci a
lavorare. Trenta minuti di nuoto, poi di corsa sul tapis-roulant, il vogatore
e gli altri attrezzi. Non sei un fanatico del corpo, non ti interessa il
body-building. Ti serve fare un po’ di moto. La domenica vai
spesso in montagna, da solo. Ma non ti basta: hai bisogno di muoverti quasi
tutti i giorni. Ci dai dentro e non pensi. È quasi una forma di meditazione
zen. Il corpo lavora e la mente si svuota. Ruggero,
l’istruttore, arriva alle otto e un quarto, quando tu ormai hai finito. Oggi
entri alle dieci, non hai fretta, avresti potuto
venire più tardi. Vi incrociate negli spogliatoi. Sei stato nel bagno turco,
hai fatto la doccia e ora hai l’accappatoio addosso. -
Hai già finito, Mauro? Cazzo! Mi sa che hai battuto
la fiacca… Tu
sorridi, quel mezzo sorriso un po’ triste che ti contraddistingue. Ti sei mai
chiesto che effetto fa il tuo sorriso sugli altri, Mauro? Un’arma proibita
dalla Convenzione di Ginevra, avresti potuto dire in altri tempi, quando
amavi scherzare. -
Senti chi parla! Arrivi a quest’ora e hai il coraggio di accusarmi di battere
la fiacca! Scendi dal letto un po’ prima, il mattino… Scherzate
spesso, tu e Ruggero. Stai lentamente ritrovando la
tua ironia. Eri famoso a scuola, per le tue battutacce, mai cattive, ma
sempre pungenti. Poi ci sono stati anni in cui non scherzavi mai. Adesso ti
capita di nuovo, ogni tanto. Con Ruggero lo fai spesso. In
realtà è lui che attacca bottone, sempre. Tu hai intuito che gli piaci. E a
te? A te Ruggero piace? Non è un adone, la faccia è sgraziata, ma ha un
fisico di tutto rispetto. Diciamo che non ti dispiace, che lo trovi
abbastanza attraente, fisicamente, e questo basta. Se invece parliamo di
sentimenti, è un’altra faccenda: non ti importa di lui, né di nessun altro. Il
cuore l’hai sepolto un inverno non lontano, prima
ancora di compiere vent’anni. Una gelata precoce. A
lungo hai perfino rifiutato di ascoltare le richieste del tuo corpo. Adesso
non più. Anche in questo è avvenuto un risveglio. - Ci
sarei rimasto a letto, questa mattina... Ruggero
si guarda intorno, prima di proseguire. Tu hai colto benissimo il significato
di quello sguardo: vuole sincerarsi che nessuno vi possa sentire. A questo
punto hai un’idea anche di quello che seguirà. Replichi: -
Sei il solito pigro. Ruggero
ignora la tua battuta e prosegue: -
…ma ero da solo e avevo voglia di un po’ di compagnia. -
Non è che trovi molta compagnia qui in palestra, a quest’ora. In effetti in palestra ci sono sette-otto
persone, non di più: troppo presto per la folla. Ma la tua risposta non è
innocente come sembra. Sei entrato nel gioco, Mauro, stai provocando Ruggero.
Non ti rivesti, rimani lì, l’accappatoio aperto, fingendo di asciugarti.
Ruggero si passa la lingua sulle labbra. Quello che vede lo stuzzica
alquanto. -
Non ho bisogno di molta compagnia, Mauro. Non ho voglia di un’ammucchiata. Ruggero
ghigna. Tu sorridi, ironico. Inarchi le sopracciglia e fai finta di stupirti: -
Qui? E dove? Mica nel bagno turco? Ruggero
sorride. Ha letto nella tua domanda una risposta positiva. -
Del locale del pronto soccorso solo gli istruttori hanno la chiave. Ti guarda, sorridente, e aggiunge: -
Che ne dici? -
Che improvvisamente mi sento molto male e ho bisogno di un soccorso urgente. Ruggero
sorride. -
Meno male che ci sono io… Si
guarda ancora intorno, mentre tu tiri fuori il lucchetto. Il locale del
pronto soccorso è nella zona delle docce. È una stanzetta piccola, con un
lettino. Tu poni la solita domanda: -
Hai l’occorrente? Sei
abituato a prendere precauzioni. Non vuoi correre rischi, non vuoi farne
correre agli altri. Nel borsone della palestra ci sono due preservativi, ma
non occorre prenderli. Ruggero tira fuori dalla tasca una bustina, poi
ghigna, guarda la tua attrezzatura e dice: -
Spero che vada bene. Forse dovevo passare dal veterinario e chiederne uno per
cavalli. Tu
sorridi. Ruggero esagera, fa parte del gioco: d’altronde ti ha già visto nudo
altre volte, nello spogliatoio (e ti ha anche guardato bene, te ne sei
accorto). Intanto in questo modo Ruggero ti ha detto che cosa vuole: il
preservativo te lo devi mettere tu. A te va bene. È un
po’ che non scopi. Non che ti manchino le occasioni, tutt’altro, ma sei un
poliziotto e ti imponi certi limiti: nei gabinetti pubblici o al parco non
intendi proprio andare. Non frequenti nemmeno il giro dei locali gay. Non
cerchi l’amore, con quello hai chiuso. Per un po’ di sesso, bastano gli
incontri casuali e a uno come te le occasioni di certo non mancano, anche se
non le cerchi. In
commissariato arrivi un po’ in anticipo, come sempre. Il lavoro lo prendi
molto sul serio. Il commissario Chiodi apprezza molto la tua puntualità. È
lui che ti ha convinto a dare il concorso per diventare ispettore, non perché
sei puntuale, ma perché sei capace. Tu eri molto incerto, ma non c’era
davvero nessuna ragione per dire di no. E allora hai seguito il suo
consiglio. La prova scritta sarà tra un mese. Linda
Ferro, l’agente che lavora alla scrivania vicino alla tua, ti saluta con il
suo sorriso cordiale e con un “Buongiorno, signor Musone!” sonoro. Ti prende
per il culo, scherzando, perché sorridi di rado. Di solito tu rispondi
appena. Linda è una cara ragazza, ma tu hai capito benissimo che le piaci e non
hai voglia di far soffrire nessuno, hai già sofferto tu più che a sufficienza.
Non vuoi coinvolgere altri. Se la vita ha deciso di prenderti a sberle ogni
volta che può, non è il caso di offrire altri bersagli. E poi, anche se Linda
come persona ti piace, ha un difetto che non può eliminare: appartiene al
sesso sbagliato. Qualcuno direbbe che sei tu ad avere i gusti sbagliati, è
una questione di punti di vista. Su questo non ti sei mai posto molti
problemi, non ti è stato difficile accettare di essere quello che sei. È
stato molto più difficile sopportare tutto quello che la
vita ti ha rovesciato addosso. Ci sono stati momenti in cui ti sembrava che
non saresti mai riuscito a farcela. Quando ce l’hai fatta a tirare la testa
fuori dall’acqua, un’onda più grossa ti ha subito ricacciato a fondo. Adesso
riemergi di nuovo, lentamente, ma sul fondo hai lasciato una parte di te, lo
sai benissimo. La
battuta di Linda è la stessa degli altri giorni, ma oggi replichi con un bel: -
Buongiorno, signora musa! Linda
e Antonio rimangono di sasso, a sentirti rispondere così allegramente. -
Musa? Tu sorridi (di nuovo: oggi è giorno di sorrisi) e rispondi: -
Musa, ispiratrice di opere d’arte. Cantami,
o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta. Non
era così? Linda
scoppia a ridere. -
Nessuno mi aveva mai dato della musa. -
C’è sempre una prima volta. È anche
la prima volta che scherzi così con Linda. Si direbbe che oggi tu sia di buon
umore. Senti la primavera? Antonio
scuote la testa, ridendo, poi torna serio e dice: - Morini
vuole vederti, Mauro. Morini
è uno degli ispettori. Mauro si alza e va nel suo ufficio. - Senti,
Mauro, c’è bisogno di qualcuno che faccia un giro di controllo nei cantieri
della zona Barona. Abbiamo avuto due segnalazioni diverse di movimenti
sospetti. Non credo che ci sia niente di particolare, ma è meglio che
sappiano che noi non dormiamo. - Va
bene, ispettore. Dobbiamo badare a qualche cantiere in particolare? -
Direi di fare un giro di controllo in tutti, con particolare attenzione ai
due della ditta Fraschi. Chiedete i documenti di quelli che trovate e
controllate con i dati della centrale. Il controllo è una buona scusa per vedere
le reazioni, capire se hanno qualche cosa da nascondere. Queste cose le sai cogliere solo tu. Quindi ci vai tu. La
frase è un bell’attestato di stima, ma non ci badi. - Va
bene, ispettore. -
Partite appena arriva Carlo. Sei molto
spesso insieme a Carlo. È stato il commissario ad abbinarvi, tre mesi fa, quando
ha capito che tipo sei, Mauro. Carlo è esattamente l’opposto di te, piuttosto
grezzo e spesso brutale. Ci sono state proteste nei suoi confronti e in due
occasioni la sua brutalità lo ha portato sull’orlo di una denuncia. Tu fai da
contrappeso a Carlo: molto attento alle persone, ligio al regolamento. Non
è facile, all’inizio è stato un continuo tormento. Carlo ti vedeva come il
fumo negli occhi, perché gli impedivi di muoversi liberamente, di assaporare
il senso di potere che gli dà la divisa. Adesso si è abituato a te e apprezza
certe tue doti: il coraggio, il sangue freddo nelle situazioni di pericolo,
la prontezza nel reagire. Ma vorrebbe lavorare con qualcun altro, più simile
a lui. Il
giro dei cantieri si svolge senza problemi. Emergono
irregolarità che riguardano più l’Ispettorato del lavoro che la polizia: più
o meno quello che c’è da aspettarsi in questi controlli. Tu tieni gli occhi
ben aperti, ma le preoccupazioni che il vostro arrivo suscita, mascherate più
o meno bene, sembrano essere quelle di ordinaria amministrazione in una
realtà in cui il lavoro in nero è una pratica frequente. Anche ai due
cantieri della Fraschi la situazione pare la stessa. Vi
sono rimasti soltanto altri due cantieri, che sono un po’ isolati dagli
altri, vicino al canale. Entrate
nel cortile del primo e fermate la macchina. Scendete. Si avvicina il
capocantiere e ti accorgi subito che è teso, più degli altri con cui avete
parlato nella mattinata. Lasci che sia Carlo a dire che volete vedere tutti
gli uomini che lavorano lì, per controllare i documenti, mentre tu ti guardi
intorno e con la coda dell’occhio non perdi di vista il capocantiere. Vedi
che si è irrigidito, anche se sorride e dice che non c’è problema, che tutto
è a posto. Ha lanciato un’occhiata verso una baracca, a pochi passi
dall’auto, che evidentemente funge da magazzino. -
Vediamo chi c’è. Partiamo dal magazzino. - Vi
chiamo io gli uomini. Il
capocantiere si muove, ma tu lo accompagni. Ti accorgi che è sempre più a
disagio. Nella
baracca due uomini stanno esaminando un grande foglio di carta aperto su una
cassa che funge da tavolino. Il capocantiere dice: -
Sandro, Italo, la polizia vuole controllare i documenti. I
due alzano la testa. Uno dei due si muove più lentamente dell’altro ed è su
di lui che si concentra la tua attenzione. Quell’uomo sta pensando che cosa
fare e tra poco agirà. L’altro lo guarda, aspettando di capire le sue
intenzioni. Senti
la voce di Carlo: - E che
cazzo, muovetevi! Non abbiamo mica la giornata da perdere. I
due prendono le loro giacche ed escono, con fare indifferente. Il primo porge
i propri documenti a Carlo che, appoggiato al finestrino dell’auto, li
controlla. Tu fingi di guardarli, ma tieni sotto controllo l’altro. Sai che
agirà tra poco. Come? Cercherà di fuggire? L’uomo
mette una mano in tasca, come a cercare le sigarette. Tu hai capito, ma prima
che tu possa estrarre la pistola, lui ha già tirato fuori la sua e sta per
sparare a Carlo. Ti butti su Carlo e lo getti a terra, mentre lo sparo
risuona. Senti un dolore al braccio, poco sotto la spalla, ma dev’essere solo
un graffio. Hai tirato fuori la pistola e spari. Non hai il tempo per mirare
al braccio. Prendi l’uomo al ventre. Questi barcolla, lascia cadere la
pistola e poi crolla al suolo. Tu
ti stai alzando, tenendo la pistola puntata sul secondo operaio. Ti rivolgi a
lui e al capocantiere. -
Alzate le mani tutti e due. Subito. Chiama la centrale, Carlo. I
due uomini alzano le braccia. Il capocantiere parla: - Io
non ne so niente… io non sapevo… che cazzo ne sapevo che questo bastardo
aveva una pistola… che voleva sparare… -
Questo lo spieghi poi in commissariato. Carlo
ha già chiesto rinforzi e un’ambulanza. Intanto diversi operai sono usciti
dall’edificio in costruzione e parlano tra di loro. -
Nessuno di voi si muova. Carlo
prende la giacca del secondo operaio. Anche in quella c’è una pistola. Poi
perquisisce l’uomo e il capocantiere: addosso non hanno niente. Quando
arrivano gli altri agenti, Carlo guarda i vetri rotti dell’auto. Esattamente
dove era lui, un momento fa. Poi guarda te. -
Cazzo! Mi hai salvato la pelle, Mauro! Tu scrolli
le spalle. -
Ma… sanguini, Mauro. Sei ferito. Anche
un altro degli agenti si avvicina. -
Non è niente, dev’essere solo un graffio. In
realtà adesso che la tensione è diminuita, avverti il dolore. Non è una
ferita grave, di certo, ma fa male. Intanto
sono arrivate altre due auto. Un agente insiste per accompagnarti subito in
ospedale. Anche Carlo dice che devi assolutamente farti vedere. È
preoccupato. Vedere Carlo in ansia per te ti fa sorridere. Forse in futuro riuscirete
a lavorare meglio insieme. L’ispettore
Morini arriva in questo momento. Ti ordina di andare immediatamente in
ospedale. Tu cerchi di spiegargli che cosa è successo, ma lui ti blocca: -
Com’è andata me lo racconta Carlo. Patrizio, portalo in ospedale subito. - Ma
è solo un graffio. È
Carlo a spingerti sull’auto, quasi a forza. Ma la sua sollecitudine ti fa
piacere. Prima che l’auto parta, ti dice ancora: -
Grazie, Mauro. E scusa se ogni tanto mi comporto da coglione. Tu gli
sorridi. All’ospedale
ti fanno passare subito, ma è davvero poco più di un graffio. Mentre ti
stanno medicando e tu sei a torso nudo, l’infermiera dice: - A
voi poliziotti un controllo del torace dovrebbero
farlo una volta alla settimana. È
una donna sui cinquanta, grassoccia e con un sorriso che mette allegria. La
sua è una battuta e anche tu sorridi. Quando
te ne vai, l’infermiera ti saluta, dicendo: -
Agente, spero di rivederla presto. Anche solo per una radiografia. Non
occorre l’impegnativa. Anche
questa volta la frase ti strappa un sorriso. Torni
in commissariato. Tutti ti fanno i complimenti, compreso il commissario.
Carlo ha raccontato l’accaduto e sei l’eroe del giorno. La tua piccola ferita
vale una medaglia al valore. Dopo
l’accoglienza trionfale, Morini ti fa passare nel suo studio e si fa
raccontare in dettaglio. Vuole capire come hai fatto ad agire così in fretta.
Tu gli spieghi di aver avuto dei sospetti appena hai visto come si muovevano
i due uomini nella baracca. Morini annuisce: - È
il motivo per cui ho mandato te. E ho rischiato di perdere il nostro migliore
agente. Sai chi era l’uomo che hai ferito? -
No. E, a proposito, come sta? - Lo
stanno operando, magari hanno già concluso. Se la caverà. Comunque era Lucio Sauro,
uno che ha ammazzato almeno sei persone, tra cui due poliziotti. -
Cazzo! -
Complimenti, Mauro, per tutto. Non sei uno che ci tiene ai complimenti, ma
non posso non farteli. Chini
la testa, non sai bene che cosa dire. L’ispettore aggiunge: - Adesso
è ora di smontare e tu te ne vai a casa. -
Manca ancora mezz’ora. - È
un ordine, Mauro. Sorridi
e dici: -
Obbedisco. Te
ne torni a casa più sereno del solito. La giornata di oggi è andata bene e
sei contento di essere riuscito a salvare Carlo. Magari sarà davvero più
facile lavorare insieme, d’ora in poi. Il
sole sta calando. Tra i palazzi di questa periferia, l’orizzonte non si vede,
ma il cielo si sta incendiando e le nuvole sono brillanti, con un risvolto di
un rosa quasi arancione. È bello questo squarcio di
cielo. Per un attimo ti senti bene. Apri
il portone del condominio e sali fino al tuo appartamento. Sono cinque piani,
ma li fai a piedi, come sempre, di buon passo. Apri la finestra e guardi
ancora il cielo. Il sole dev’essere calato e le nuvole stanno tornando
grigie. La festa di rosa e bianco si sta spegnendo. È durato poco, ma ti ha
regalato un momento di gioia. Ci sono stati anni di buio, buio assoluto, in
cui non alzavi nemmeno lo sguardo al cielo e anche quando camminavi in
montagna non vedevi quello che avevi attorno. Ti
siedi al tavolo e ti metti a studiare per il concorso. Sono tante le materie
in cui devi prepararti: diritto penale, diritto amministrativo e pubblica
sicurezza, diritto processuale penale, diritto civile, diritto
costituzionale. Buono. Occupano il cervello, lo costringono a lavorare. A te
non spiace studiare, non ti è mai pesato. Potresti dire che studiare ti
appassionava: eri curioso di scoprire il mondo. Saresti andato all’università
molto volentieri, se… Ma a questo non hai voglia di pensare. Supererai
questo concorso, Mauro, lo sai benissimo. Lo supererai con il massimo dei
voti, come quella maturità a cui ti sentisti umiliato, anche se la commissione
ti fece i complimenti. Perché tu avresti voluto dare la maturità classica. Ma
la sofferenza di quel momento era durata poco, per te era un periodo felice:
amavi, eri amato. Avevi ripreso a vedere l’azzurro del cielo, a sentire il
calore del sole. Non ti rendevi conto che i giorni della tua felicità erano
contati. Vedevi un futuro davanti a voi. Ci voleva una buona dose di
ingenuità a immaginare un futuro, in quella situazione, Mauro, lo sai
benissimo, l’hai capito dopo, la vita te l’ha fatto capire in fretta. Ma non
avevi neppure vent’anni, allora. Se
supererai il concorso, ti manderanno in un’altra regione, come è successo
quando sei diventato agente e sei arrivato a Milano. Per te non è un
problema. Te ne sei andato volentieri da Torino, allontanandoti dai ricordi,
anche se ti porti dentro quella città di grandi viali alberati e cortili
segreti. In
ogni caso, dopo qualche tempo potrai chiedere il trasferimento. Ti piacerebbe
tornare a Milano o preferiresti Torino? Milano non ha saputo catturarti, ma
quanto utilizzi delle infinite opportunità che offre? Vivi nel tuo monolocale
come una lumaca nel suo guscio. Che
conti di fare del tuo futuro? Tu non
ti poni queste domande. A te andrebbe bene anche se ti spedissero in Sicilia,
in prima linea contro la mafia. Uno come te
rischierebbe grosso, Mauro, lo sai, vero? Troppo onesto, non disponibile a
nessun compromesso nel lavoro. E troppo intelligente. Un uomo pericoloso, da
eliminare. Ma l’idea non ti spaventa. Forse, se fossi più onesto con te
stesso, ammetteresti che l’idea ti attrae. Un colpo di pistola è un buon modo
di finire. E tu di finire avresti voglia, Mauro, non lo negare, anche se non
sei il tipo che pensa al suicidio. La
sofferenza si è stemperata, il tempo è un gran medico. Ma la voglia di vivere
quella no, non è ancora tornata. Lasci che le giornate passino, come questa.
Non è certo il corpo di un Ruggero che può restituirti la gioia di vivere,
anche se oggi qualche cosa sembra risvegliarsi e il mondo ti appare meno
grigio. Sono
le otto. Metti da parte i libri e ti prepari la cena. Non è una grande cena,
anche se hai scoperto che cucinare ti piace. Qualche volta ti è capitato di
portare una torta in commissariato o a casa di amici, in occasione di qualche
festeggiamento per un collega promosso o trasferito o per un compleanno.
Sperimenti volentieri ricette diverse. È una sensazione gradevole, vedere gli
ingredienti che nelle tue mani si trasformano in qualche cosa che non è la
loro semplice somma. Da ragazzo pensavi che ti sarebbe piaciuto scrivere, è
un po’ la stessa cosa, ma quello è uno dei tanti sogni che si sono persi. Non
ne sono rimasti molti, Mauro. Ne è
rimasto qualcuno? Dopo
cena riprendi a studiare. Non avresti bisogno di studiare come fai. Ma
preferisci addentrarti nella legislazione piuttosto che leggere un buon
romanzo. La letteratura fa stare male. Risveglia troppe cose dentro di te. Eppure
ogni tanto prendi in mano un buon libro, come quei fumatori che non riescono
mai a smettere del tutto. Leggi e sai che prima o poi quelle pagine
susciteranno un’eco dentro di te, risvegliando ricordi e sensazioni dolorose.
Ma hai bisogno anche di questo, di cullare un po’ la sofferenza, di guardarla
in faccia. Forse un giorno riuscirai a contenerla,
se una pallottola non arriverà prima. Studi
un’ora, poi chiudi i volumi di diritto. Qualcuno potrebbe dirti che ne sai
più di un avvocato ormai, ma non lo ascolteresti. Domani riprenderai a
studiare. La commissione esaminatrice rimarrà senza parole davanti al tuo
scritto, qualcuno penserà che tu abbia copiato dai manuali. All’orale capiranno
che non hai copiato e ti faranno i complimenti, ma tu non ci farai caso. Non badi
mai alle reazioni di apprezzamento degli altri, ti scivolano addosso.
Sembrano quasi darti fastidio. Dai l’impressione di voler scomparire tra la
folla, di essere uno dei tanti. Questo non ti capita sul lavoro: quando sei
in servizio sei attentissimo. Ma quando qualcuno ti
fa i complimenti o sembra ammirarti, tu stacchi la spina. Non ti interessa,
ti sembra sempre che non sappiano, che parlino solo perché non sanno. Che
cosa c’è da sapere, Mauro? Non
potevi salvare tuo padre, né Fabrizio. Non potevi impedire che Aldo
diventasse quello che è diventato, non puoi impedire che tua madre sprofondi
in un gorgo di rimorsi e rimpianti. Nessuno potrebbe rimproverarti nulla. Ma
tu riesci a rimproverarti tutto. Guardi
i volumi della tua libreria. Non sono molti. Una volta amavi moltissimo
leggere. Ti piace ancora, ma fa male. Come un dolce per un diabetico:
sconsigliato. Questa sera però hai voglia di leggere un po’. Hai ricevuto due
libri, per il tuo compleanno. Hai pochi amici, non ricerchi la compagnia
degli altri, ma sul lavoro sei apprezzato. Prendi Vento largo. Biamonti. Il nome dell’autore non ti dice nulla. Non
è un romanzo molto lungo. Ti
siedi sull’unica poltrona e incominci a leggere. Si respira aria di Liguria,
nel libro che hai tra le mani, aria di mare, ma anche di monte, di paesi
sparsi nell’entroterra, lontano dal carnaio della costa. E un ricordo
affiora, quella gita da Vallecrosia, a Dolceacqua, l’incanto di quel borgo
medioevale. Tuo padre, tua madre, Aldo e tu. Asciugati
le lacrime, Mauro. |
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