I – Il comandante dell’esercito

II – L’emiro di Halel

 

III – Il signore di Jabal al-Jadid

 

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È una giornata di gran sole quello in cui l’esercito di Jabal al-Jadid va incontro alla morte: non c’è una nuvola in cielo.

A metà mattinata una delle porte della città viene aperta e le truppe dell’emiro si lanciano all’attacco. Gli assedianti non si aspettavano questa manovra, ma non appena vedono l’esercito uscire dalla città, si dispongono per affrontare il nemico.

È una battaglia impari, che vede inevitabilmente soccombere i soldati di Jabal al-Jadid, le cui schiere si assottigliano rapidamente.

Una freccia si conficca nella spalla destra di Ashraf. La spada gli sfugge dalle mani e l’emiro cade a terra.

Barbath frena il cavallo, scende e aiuta Ashraf a rialzarsi.

- Non voglio cadere vivo nelle mani del Circasso, Barbath. Uccidimi.

Barbath guarda l’emiro. Sa che se Ashraf venisse catturato, sarebbe torturato e umiliato in tutti i modi, prima di essere ucciso. E ormai nulla al mondo può rovesciare le sorti della battaglia. Annuisce. Recita:

- Testimonio che non vi è dio se non Iddio e che Muhammad è l'inviato di Dio.

Poi aggiunge:

- Addio, emiro.

Con un movimento rapido, Barbath affonda la spada nel petto di Ashraf, che spalanca la bocca e cadrebbe a terra se la spada stessa non lo sostenesse. Barbath gli passa una mano dietro la schiena, estrae la spada e distende il corpo al suolo.

Non bada a ciò che succede intorno a lui. Si darà la morte, ma prima di farlo vuole chiudere gli occhi al suo signore. Sa che del corpo dell’emiro faranno scempio, ma adesso vuole comporlo nella morte. Dispone il corpo in modo che abbia la testa rivolta verso Sud, nella direzione della Mecca. Poi gli chiude gli occhi, gli distende le braccia lungo il corpo e mormora una preghiera:

- Dio, assicura il perdono ai nostri vivi e ai nostri morti, maschi e femmine: a quelli che sono presenti e a quelli che sono assenti, ai giovani e agli anziani. Dio, quello di noi al quale assicuri la vita, aiutalo a vivere nell’Islam; quello di noi al quale decreti la morte, aiutalo a morire nell’Islam. Dio, non privarci del premio della pazienza mostrata per la sua morte e non indurci in tentazione dietro di lui.

Ha appena finito di recitare la preghiera, quando si sente spingere a terra e viene bloccato. Cerca di reagire, ma sono in troppi e nonostante la sua resistenza gli legano le mani dietro la schiena. È prigioniero. Ciò che ha evitato ad Ashraf, sarà lui a subirlo, Barbath lo sa benissimo, ma non ha paura. Ha svolto quello che era il suo compito. Ha reso l’ultimo omaggio al suo signore, dopo averne portato in salvo il figlio. Non è venuto meno ai suoi doveri.

Barbath si guarda intorno. Il Circasso è a pochi passi, la battaglia si è ormai conclusa. Alcuni soldati cercano nella fuga una salvezza, ma gli uomini di Kazbech li inseguono. Barbath si dice che nessuno dei guerrieri sarà lasciato vivo: Jabal al-Jadid è un centro troppo importante perché al Circasso convenga distruggerlo, ma per chi ha combattuto non c’è speranza.

Barbath e gli altri prigionieri vengono portati nelle tende dell’accampamento degli assedianti. Vengono tutti spogliati e poi legati.

Un soldato vicino a lui dice:

- Ci uccideranno tutti, vero, comandante?

- Sì. La nostra ora è giunta. Possiamo solo raccomandare le nostre anime ad Allah.

Il soldato risponde:

- Se questo è ciò che Allah ha deciso, sia fatta la sua volontà. Ma sono orgoglioso di morire al tuo fianco, comandante.

Le parole del soldato colpiscono Barbath. Il pensiero va a Feisal.

 

Jabal al-Jadid ha aperto le porte al vincitore. Una delegazione di notabili accoglie Kazbech prosternandosi davanti a lui. Il più anziano, che li guida, si rivolge al nuovo signore, ma ha appena proferito un saluto, quando questi lo blocca con un gesto.

- Più tardi. Attendetemi al palazzo.

La delegazione si dirige alla porta del palazzo dell’emiro.

Le truppe prendono possesso della città. Gli abitanti sperano che Jabal al-Jadid non venga distrutta. Si dicono che la città è un centro troppo importante e troppo ricco perché al Circasso possa convenire raderla al suolo: è la gemma del suo dominio. Ma Jabal al-Jadid ha resistito a lungo.

Sarà possibile placare l’ira del vincitore e salvare la vita, offrendo ricchi tributi?

 

Nel pomeriggio Kazbech fa eviscerare, castrare e poi squartare il cadavere di Ashraf nella piazza principale di Jabal al-Jadid. Tutti seguono il rito: i notabili che da ore attendono di essere ricevuti dal nuovo sovrano; i cittadini, a cui è stato intimato di assistere; i soldati prigionieri, che sono certi di essere destinati alla morte. Solo Barbath non viene portato in città.

Come ha già fatto più volte, Kazbech fa infilare la testa dell’emiro, con i genitali in bocca, su un palo piantato alla porta principale della città. Poi entra nel palazzo.

 

È sera quando Barbath viene condotto da Kazbech. Entrando in città vede la testa del suo signore sul palo. Sapeva che sarebbe successo. Mormora una preghiera. Per le strade c’è poca gente. I pochi passanti guardano il comandante dell’esercito, che cammina, nudo, con le mani legate dietro la schiena, tra due soldati. Qualcuno prega per lui, altri abbassano gli occhi e si allontanano in fretta.

Davanti alla porta d’ingresso del palazzo vi è la delegazione dei notabili, che ha atteso per tutto il pomeriggio di essere ricevuta. Qualcuno inveisce contro Barbath, come se fosse lui il responsabile della resistenza della città.

Barbath viene portato alla presenza di Kazbech, seduto nella sala delle udienze, sul trono dell’emiro.

- Tu hai ucciso Ashraf.

- Sì.

- Perché? Speravi forse che io ti risparmiassi per aver ucciso l’emiro?

- Me l’ha chiesto lui.

Il Circasso annuisce. Sospettava la verità.

- Pagherai anche per questo.

Barbath non dice nulla. Guarda tranquillo l’uomo nelle cui mani si trova la sua vita. O forse sarebbe più esatto dire: la sua morte. Di certo il Circasso gli darà una morte terribile: Barbath era il comandante dell’esercito e gli ha sottratto Ashraf, la preda più ambita.

Kazbech non dice altro. Con un gesto fa mettere Barbath contro un muro. Poi dà ordine di far entrare i notabili.

Gli uomini si prosternano davanti a lui e si rimettono alla sua clemenza. Addossano ogni responsabilità al defunto emiro, che si è ostinato a voler resistere, sperando nel valore di Barbath. Il capo dell’esercito diventa il capro espiatorio della sconfitta: è stato lui a consigliare all’emiro di non arrendersi, a suggerirgli di chiedere aiuto a Nur ad-Din, a volere l’ultima sortita invece di aprire le porte della città. Molto di ciò che dicono questi uomini è falso, ma Barbath non cerca di discolparsi: sarebbe inutile.

I notabili sperano che il Circasso sfoghi la sua ira su Barbath, risparmiandoli. Tutti si dichiarano pronti a servire il loro nuovo signore, di cui conoscono la grandezza e il valore. Se fosse dipeso da loro, la città gli avrebbe aperto le porte, perché il grande Kazbech è il migliore dei signori, il più grande dei conquistatori, colui che merita di regnare su tutta la Siria e anche oltre, colui a cui spetterebbe davvero il titolo di Califfo.

Seduto sul trono, il Circasso li guarda impassibile, in silenzio. Poi osserva:

- Vedo che siete pronti a diventare sudditi obbedienti.

I notabili ribadiscono la loro fedeltà. Il Circasso sorride.

- Bene, alzatevi.

Poi si rivolge alle guardie:

- Costoro accompagneranno il sovrano.

Due guardie si mettono di fianco ad ogni uomo e il piccolo drappello esce. I notabili si chiedono se il Circasso li porterà con sé nella capitale. Alcuni pensano che sarà Jabal al-Jadid a diventare capitale: è la città più importante tra tutte quelle che il Circasso ha conquistato. Che senso ha che la capitale rimanga Halel, un piccolo centro tra i monti del Nord? Tutti sanno che il Circasso mira a nuove conquiste, che avverranno verso Sud.

Barbath non ha detto nulla. La viltà dei notabili lo disgusta, ma capisce la loro paura, il loro desiderio di salvare la propria vita e i propri beni.

 

Nella sala del trono Kazbech fa un cenno. I soldati portano Barbath di fronte a lui.

- E tu, Barbath, comandante di un esercito che ho cancellato dalla faccia della terra,  mi riconosci come tuo sovrano?

- L’unico signore che riconosco è il nuovo emiro, ‘Izz ibn Ashraf, successore di Ashraf ibn Harun sul trono di Jabal al-Jadid.

Il Circasso ride.

- Sembri dimenticare che il “nuovo emiro”, come lo chiami tu, è scappato: l’hai accompagnato proprio tu, come vedi so anche questo. Adesso qui regno io. Tu sei nelle mie mani e con un semplice gesto posso farti rimpiangere di essere nato.

- Non lo dimentico. Mi hai catturato. Sono il tuo schiavo e puoi fare di me tutto ciò che vuoi. Tu sei il mio padrone, ma l’unico sovrano che riconosco è ‘Izz ibn Ashraf.

Il Circasso scuote la testa. Non si aspettava che quest’uomo rifiutasse di sottomettersi. Barbath di certo conosce la sua fama e sa che prima di morire, invocherà molte volte la morte. Eppure non mostra paura. Questo maschio ha i coglioni, come forse nessuno degli uomini che Kazbech ha incontrato fino a ora. Quando glieli avrà tagliati, i coglioni, anche Barbath abbasserà la cresta. O no? Forse no. Kazbech ha il sospetto che quest’uomo non cederà nemmeno di fronte alle torture.

Kazbech fa chiamare un ufficiale.

- Ti occuperai tu di quest’uomo. Lo porterai all’accampamento e domani mattina lo farai crocifiggere, poi lo castrerai. Quando sarà morto, getterai la carogna nella latrina dell’accampamento.

Barbath ha assistito, impassibile, alla sua condanna a morte. L’agonia sulla croce è lunga e dolorosa, la castrazione è un’umiliazione e una sofferenza di fronte a cui Barbath inorridisce, ma sapeva che non gli sarebbe stata risparmiata. Nessuno lo stuprerà: almeno questo. Il pensiero va a Feisal, all’uomo che ama. Feisal è a Damasco, non corre rischi. Sia lode ad Allah.

L’ufficiale gli fa cenno di seguirlo. Due soldati si dispongono ai suoi lati. Barbath viene accompagnato alla porta principale della città.

Davanti alle mura ci sono molti pali, ognuno con una testa infilata: accanto all’emiro Ashraf hanno trovato posto tutti i notabili che hanno accolto il Circasso. Le loro teste, con i genitali infilati in bocca, formano una lunga successione. Hanno davvero “accompagnato il sovrano”, come ha ordinato Kazbech, ma il sovrano che hanno accompagnato è Ashraf, l’emiro sconfitto.

Barbath sa che la sua agonia non sarà più breve, ma almeno non si sarà umiliato davanti al conquistatore.

 

Il saccheggio di Jabal al-Jadid è condotto in modo sistematico: il Circasso ha dato ordini precisi e nessuno oserebbe trasgredire. Casa per casa, palazzo per palazzo, i soldati requisiscono i beni e un funzionario redige una lista dei servitori e delle loro competenze.

Waahid è registrato come pittore, Latif come suo aiutante. Poi i soldati se ne vanno. Nella residenza di Barbath, come in tutta la città, tutti si chiedono che ne sarà di loro. I notabili che hanno cercato di ingraziarsi il nuovo sovrano sono morti tutti. Il comandante dell’esercito verrà crocifisso domani mattina. E dei cittadini, dei servitori, che avverrà?

Waahid e Latif attendono, angosciati per la notizia della prossima esecuzione di Barbath.

 

Barbath è steso a terra, sotto la tenda, le braccia e le gambe saldamente legate, in modo tale da impedirgli di alzarsi. Sono passate parecchie ore dall’alba, ma non è stato crocifisso. È impossibile che un ordine dato dal Circasso non sia eseguito, perciò se la sua esecuzione è stata rinviata, è solo perché Kazbech ha deciso così. Probabilmente vuole infliggergli una morte più dolorosa e umiliante, un’agonia più lunga.

La sete lo tormenta, ma non gli viene dato nulla.

Le ore passano. Sembra che si siano dimenticati di lui. La luce si attenua. Dev’essere tardo pomeriggio. Barbath si addormenta.

Si sveglia più volte nella notte, la gola riarsa. Nessuno sembra occuparsi di lui.

Solo il mattino seguente due soldati sciolgono le corde che legano Barbath. Gli hanno portato da mangiare e da bere. Dopo che si è nutrito e dissetato, gli legano ancora le caviglie e i polsi, dietro la schiena, ma adesso Barbath può alzarsi e muoversi all’interno della tenda.

Verso sera vengono a prenderlo. Nuovamente Barbath viene scortato fino al palazzo dell’emiro, dove si è stabilito il Circasso.

Barbath si chiede quale supplizio gli abbia riservato Kazbech. Avrà modo di scoprirlo presto.

Non lo portano nella sala del trono, ma in una stanza dove lo attende il Circasso. Kazbech ordina di sciogliere le corde e Barbath si ritrova libero. A un cenno del capo del loro signore, gli uomini escono. Senza dire nulla, Kazbech si spoglia, rimanendo solo con la fascia che gli copre i fianchi. Quando ha finito, si rivolge a Barbath:

- Benvenuto, comandante Barbath.

Kazbech ha calcato sulla parola “comandante”, a rimarcare per contrasto che Barbath è ormai solo uno schiavo.

Kazbech gli porge una spada. Barbath l’osserva, stupito. La prende in mano. Il Circasso lo sfida?

- Come hai detto, sei il mio schiavo e posso fare di te ciò che voglio. Adesso mi mostrerai come sai combattere.

- Come vuoi, padrone.

Kazbech sorride: Barbath lo ha chiamato padrone, non emiro. Ma lo domerà. Vuole costringere quest’uomo altero a riconoscerlo non solo come padrone, ma come emiro di Jabal al-Jadid. Non cambia nulla, è solo una soddisfazione personale.

Barbath si mette in posizione e il duello incomincia. Kazbech è abile con la spada e non teme nessuno, ma capisce subito che quest’uomo è un rivale formidabile. Il duello procede a lungo, finché Kazbech fa una finta e poi attacca di sorpresa. Barbath para l’attacco, forza Kazbech ad abbassare la lama e muove la spada verso di lui. Kazbech vede la lama che sta per squarciargli il ventre, senza che lui possa fare più nulla per fermarla. La punta apre appena la carne sotto l’ombelico: Barbath si ferma e ritrae l’arma, abbassandola subito. La ferita è un taglio molto superficiale, ma il sangue cola, macchiando la fascia che il Circasso indossa. Kazbech non abbassa neppure lo sguardo. I suoi occhi sono fissi su Barbath, che non mostra nessun segno di paura. E quando mai un uomo come questo potrebbe aver paura? Neppure con il palo in culo.

Barbath avrebbe potuto ucciderlo.

- Perché non mi hai ucciso? Avresti potuto ucciderti dopo e scampare a una morte atroce.

Barbath lo guarda senza abbassare gli occhi.

- Uno schiavo non uccide il suo padrone. Due giorni fa, in battaglia, ti avrei ucciso senza esitare.

Kazbech annuisce.

- Posa la spada.

Barbath esegue.

- Bene, schiavo. Adesso vedremo qual è la tua obbedienza.

Kazbech sorride.

- Ora stenditi su quei cuscini, a gambe larghe, in modo che io possa incularti.

Barbath guarda Kazbech. China la testa. Poi la rialza, fissa per un attimo il Circasso e si stende sui cuscini, allargando le gambe.

Barbath non si aspettava quest’ordine. È abituato a obbedire. Il suo corpo rifiuta questo sfregio, ma Barbath è uno schiavo e uno schiavo obbedisce al suo padrone, qualunque cosa questi gli chieda.

Kazbech guarda questo culo che gli si offre. È sicuro di essere il primo a possedere questo guerriero invitto, che accetta di farsi prendere da lui, e questo lo esalta. Desidera forzare l’apertura nascosta. Poggia le mani sulla natiche, le divarica e sputa due volte sull’apertura, poi preme la cappella contro il buco ed entra.

Kazbech sente che la carne resiste: non è mai stata violata. Barbath si tende. Kazbech ride:

- Il tuo padrone ti sta fottendo, schiavo.

Kazbech spinge in avanti, senza dare tregua allo schiavo. Sa che gli sta facendo un male bestiale e questo aumenta il suo piacere. Barbath è teso, ma non geme, non dice nulla, anche se il cazzo gli scava le viscere sempre più a fondo.

Kazbech afferra i coglioni di Barbath: vuole scuotere questo maschio che sembra impassibile. Sente qualche cosa di strano.

- Ma… tre?! Già Barbath Tre-coglioni, avevo sentito parlare di te, ma pensavo che fosse una leggenda. Sarà un piacere spaccarli uno per uno e poi tagliarteli.

Kazbech ride. Barbath non dice nulla. Kazbech stringe con forza.

Barbath sta sudando. Il dolore ai coglioni cresce di intensità e il culo è in fiamme. Kazbech incomincia a spingere vigorosamente, la stretta ai coglioni si allenta, ma il dolore al culo cresce, fino a diventare intollerabile. Il cazzo del Circasso è un’arma che trafigge Barbath, in una tortura che sembra non voler finire mai. Kazbech spinge con energia sempre maggiore e Barbath chiude gli occhi. Gocce di sudore gli scorrono sul viso, che ora Kazbech ha afferrato e in cui affonda le unghie.

Le spinte diventano ancora più violente e infine il seme si sparge dentro il culo di Barbath. Le mani del Circasso scendono di nuovo ai coglioni e stringono con forza. Barbath vede il mondo ondeggiare davanti a sé. Chiude gli occhi. Kazbech stringe ancora, poi molla la presa, si alza e colpisce con un calcio Barbath alle costole, rovesciandolo sul pavimento. Barbath lo guarda incombere su di lui, il cazzo ancora teso, un po’ di sangue sulla cappella.

Kazbech mette un piede tra le gambe di Barbath, poi molla un calcio ai coglioni. Barbath geme. Kazbech colpisce di nuovo, ma questa volta Barbath riesce a reprimere l’urlo.

Kazbech scuote la testa.

- Ti piegherò, stronzo. Ti piegherò.

Barbath viene condotto in una cella sotterranea. Cammina a fatica e a ogni passo un’ondata di dolore gli sale dal culo e dai coglioni. Scivola sul pavimento della cella.

Per tutto il giorno è in preda a dolori violenti. I coglioni gonfiano e ogni movimento provoca fitte.

Per tre giorni Barbath rimane nella cella. Gli portano da bere e da mangiare, ma non gli permettono di uscire per nessun motivo. Lentamente il dolore si attenua.

Il quarto giorno due soldati entrano nella cella. Gli danno un secchio per lavarsi. Barbath si pulisce. È contento di poter togliere un po’ dello sporco che ha su di sé, ma quando cerca di lavarsi i testicoli, il dolore è tanto forte da costringerlo a rinunciarci.

Gli uomini lo accompagnano fuori. Salire le scale è un tormento, ma Barbath sa che è niente rispetto a ciò che lo aspetta.

 

Kazbech lo attende nella stessa stanza in cui hanno combattuto e poi il Circasso lo ha preso.

- Vedo che avevi al tuo servizio un pittore con il suo aiutante. Che te ne facevi?

A Barbath manca il fiato. Non vuole che a Waahid e a Latif succeda qualche cosa per colpa sua. I due ragazzi non hanno fatto nulla. Ma il Circasso potrebbe prendersela con loro. Barbath sceglie con attenzione le parole con cui rispondere alla domanda di Kazbech. Il Circasso non deve sospettare che Barbath scopava con i due giovani, che è affezionato a loro. Non devono pagare loro per lui.

- Sono due ragazzi di Shaqra, uno lo catturai in battaglia, l’altro me lo donò l’emiro. Waahid ibn Munthir è bravissimo e ha dipinto molti notabili, che mi pagavano per farsi fare il ritratto. Anche l’emiro aveva alcune scene dipinte da lui.

- Ti sei fatto dipingere da lui?

- Sì, ha fatto alcuni ritratti anche a me.

Kazbech fa venire un ufficiale e ordina a Barbath di spiegare dove si trovano i ritratti. Poi congeda Barbath, che viene riportato nella sua cella.

Kazbech pensa a quest’uomo impavido. Aveva deciso di farlo crocifiggere, come gli aveva detto, e certamente lo farà, ma prima vuole domarlo. L’esecuzione può attendere.

Intanto l’ufficiale, accompagnato da quattro soldati, si è diretto alla residenza di Barbath e ha preso le miniature, che consegna a Kazbech.

In una si vede Barbath seduto sui cuscini, con un abito da cerimonia. In una seconda Barbath è sul cavallo, pronto alla battaglia. La terza riproduce Barbath a mezzo busto. Nell’ultima immagine Barbath è nudo ed emerge dal bagno.

I dipinti sono capolavori di raffinatezza e precisione. Kazbech si sofferma a lungo sul nudo. Gli sta venendo un’idea. Chiama di nuovo l’ufficiale:

- Perquisite l’abitazione di Barbath. Cercate con cura tutte le immagini che trovate e portatemi il pittore.

I soldati si recano nell’abitazione di Barbath e perquisiscono la stanza di Waahid e il suo laboratorio, sequestrando tutte le miniature. Poi accompagnano Waahid al palazzo dell’emiro.

- Tu sei Waahid ibn Munthir.

- Sì, mio signore.

- Sei molto bravo a dipingere. Mi farai un ritratto.

- Come comandi, signore.

- E questi sono i dipinti che hai fatto.

Kazbech si rende conto che Waahid è in imbarazzo. Scorre rapidamente le miniature, alcune semplici esercitazioni, altre non ancora finite, finché non ne trova una che lo fa scoppiare in una risata. La scena rappresenta due uomini, i cui lineamenti sono perfettamente riconoscibili: uno è Barbath, l’altro Waahid. Il pittore è steso su un cuscino, la veste sollevata che lascia scoperto il culo. Dietro di lui Barbath lo sta penetrando. Kazbech ha avuto modo di vedere spesso immagini di questo genere, ma si tratta sempre di opere poco accurate. Questa invece è un gioiello, curata in ogni dettaglio.

- Questa al tuo padrone non l’hai mai fatta vedere, eh?

Waahid scuote la testa.

Kazbech scorre altre miniature, finché non ne trova una in cui Barbath è insieme a Waahid e a un altro ragazzo.

- E questa?

Waahid è arrossito.

- Il comandante Barbath con me e mio fratello, quello che mi fa da aiutante.

Kazbech annuisce, divertito.

- Così il comandante vi fotteva, te e tuo fratello.

Waahid annuisce. Dice, balbettando:

- Era il nostro padrone… eravamo i suoi schiavi.

- Adesso sei il mio schiavo, ma il tuo culo non mi interessa. Preferisco quello del tuo padrone.

Kazbech ride. Poi ordina:

- Rimarrai a palazzo, Waahid. Sarai al mio servizio.

- Come il signore desidera. Ma mi servono i miei strumenti. E avrei bisogno che mio fratello, che mi assiste, rimanesse con me.

Kazbech annuisce. Dà gli ordini necessari. Due circassi accompagnano Waahid alla casa di Barbath, dove Latif lo attende con ansia. Vedendolo arrivare accompagnato da due soldati, Latif si spaventa. Waahid gli spiega rapidamente la situazione. Raccolgono le loro cose e si trasferiscono a palazzo, dove vengono loro assegnate due stanze comunicanti. In una dormiranno, l’altra servirà come laboratorio.

- Spero di non aver fatto male a farti venire qui, Latif. Il comandante mi aveva raccomandato di tenerti con me.

- Barbath è sempre stato un uomo tanto generoso quanto valoroso. Sa che ci amiamo e ti ha dato questo consiglio perché non dovessimo separarci.

- Tu credi?

- Ne sono sicuro.

- Io temevo che potesse essere geloso.

Latif sorride.

- Il comandante ci voleva bene, è un uomo buono, ma non ci amava. E se si tratta dei piaceri del letto, come poteva essere geloso di me o di te? Ti sembra forse che tu e io possiamo competere con il comandante?

Anche Waahid sorride e scuote la testa.

 

*

 

La notizia è giunta a Damasco: Jabal al-Jadid è caduta nelle mani del Circasso. L’emiro è morto in battaglia.

È Feisal a portare la notizia a ‘Izz. Il ragazzo annuisce, in silenzio. Non vuole piangere. Feisal lo guarda e gli sembra che ‘Izz sia cresciuto in questi giorni. Ha perso ciò che di infantile c’era ancora in lui.

- Scusami, Feisal, preferisco stare solo.

- Come vuoi, ‘Izz.

Anche Feisal non ha voglia di vedere nessuno. Un dolore atroce gli scava dentro. Barbath è stato catturato. Feisal sa che questo significa una sola cosa: un’agonia atroce. Feisal vorrebbe darsi la morte, ma ‘Izz ha bisogno di lui e Feisal non intende venire meno all’incarico che gli è stato affidato.

La sera il pasto si svolge in silenzio. Nessuno dei quattro ha voglia di parlare, nemmeno Qais, che in questi giorni ha sempre cercato di distrarli un po’ dalle loro preoccupazioni.

Nei giorni seguenti arrivano le altre notizie: lo scempio del cadavere di Ashraf, l’impalamento dei notabili. Di Barbath nessuno sa nulla. È prigioniero nel palazzo. Alcuni dicono che sia rinchiuso in una cella sotterranea dove lo lasceranno morire di sete e di fame, altri che sarà giustiziato presto.

Qais nota che Feisal guarda spesso nel vuoto. Un giorno gli mette una mano sulla spalla. Feisal sussulta.

- Gli volevo bene anch’io, Feisal. Gli volevamo bene tutti, anche se non come te. Che Allah lo protegga.

Feisal china la testa. Poi dice:

- Io spero solo che sia morto, che non stia ancora soffrendo.

 

*

 

Il Circasso sa che il giovane ‘Izz è fuggito e non fa fatica a scoprire che si è rifugiato a Damasco, da Nur ad-Din. Jabal al-Jadid è la capitale che Kazbech ha scelto per il suo regno, finché non avrà conquistato tanti territori da rendere opportuno uno spostamento della sua residenza, forse a Damasco, forse al Cairo, forse a Bagdad. Ma non ci deve essere nessuno che possa rivendicare Jabal al-Jadid. ‘Izz deve morire.

Kazbech convoca Imad.

- Imad, sei già stato una volta dagli ismailiti di Ramzi, che hanno eseguito il loro compito.

Imad è l’unico a sapere che sono stati gli ismailiti inviati da Ramzi a uccidere Dakhir. Gli altri hanno sempre pensato che si trattasse di uomini inviati da Bilal o da Kazbech stesso.

Imad annuisce. Attende di sapere ciò che vuole da lui il Circasso.

- C’è un ragazzo che ritiene di essere il legittimo signore di Jabal al-Jadid. Vive a Damasco, sotto la protezione di Nur ad-Din. Quel ragazzo deve morire. Mi piacerebbe avere la sua testa, da mostrare allo schiavo che fu un tempo comandante dell’esercito, ma so che non è facile: mi accontento di saperlo morto.

Imad ha intuito. Chiede:

- Vuoi che vada da Ramzi?

- Sì. Ci sono diversi ragazzi e bambini imparentati con la famiglia del defunto emiro. Li regalerò a Ramzi, insieme a oro e pietre preziose.

- Quando vuoi che parta?

- Domani mattina. Assicura a Ramzi la mia amicizia e portagli i doni.

Kazbech congeda Imad. Ramzi è uno strumento utile. Quando non servirà più, Qasr al-Hashim sarà attaccato e distrutto e Ramzi finirà come tutti coloro che hanno osato opporsi a lui. Ma per il momento può servire.

 

*

 

Un soldato si presenta da Feisal e gli dice che uno degli ufficiali al servizio di Nur ad-Din vuole parlargli con urgenza. Feisal segue il soldato, che lo porta da Abdul-Qaadir. Feisal ha avuto modo di conoscere questo ufficiale, che ha fatto rapidamente strada ed è diventato uno degli uomini di fiducia di Nur ad-Din.

Abdul-Qaadir è scuro in volto. Fa accomodare Feisal e gli spiega i motivi per cui lo ha convocato:

- Feisal, il mio signore ha offerto ospitalità e protezione al giovane ‘Izz, ma una minaccia mortale grava su di lui.

Feisal guarda Abdul-Qaadir, attendendo una spiegazione.

- Il Circasso, che il suo nome sia maledetto, si è rivolto a Ramzi, il signore del castello di al-Hashim. Credo che tu conosca gli ismailiti, che hanno già commesso diversi omicidi in Siria e in altre terre.

Feisal annuisce. Abdul-Qaadir prosegue:

- Non posso dirti come l’abbiamo saputo, ma vogliono uccidere ‘Izz, Kazbech li ha pagati per questo. E lo faranno, Feisal, non c’è modo per impedirlo.

- Ma… non è possibile… nel palazzo del signore di tutta la Siria, un giovane che è sotto la sua protezione…

- Gli uomini che Ramzi ha addestrato sono fanatici, disposti ad affrontare ogni supplizio per eseguire gli ordini del loro signore. Ce ne sono diversi, anche qui a palazzo, e colpiranno. Potrebbero colpire presto, molto presto, anche oggi.

Feisal è angosciato. ‘Izz è in pericolo e Abdul-Qaadir gli sta dicendo che non c’è modo di proteggerlo.

- Come possiamo fare?

- C’è un’unica soluzione: andatevene. Oggi o domani, non oltre. Domani potrebbe essere già tardi. Non dite a nessuno dove andate. Che nessuno sappia chi siete. È l’unico modo per salvare il ragazzo.

- Ma, Nur ad-Din…

- Nur ad-Din mi ha incaricato di parlarti, perché se ti avesse ricevuto, loro avrebbero capito. Nur ad-Din sta facendo tutto il possibile per proteggere ‘Izz, ma adesso l’unica soluzione è la fuga. Tieni.

Abdul-Qaadir passa a Feisal una borsa. È pesante ed è piena di monete d’oro.

Feisal guarda Abdul-Qaadir senza capire.

- Per la fuga. Ma veglia sul ragazzo. Se scopriranno dove si trova, la sua vita non varrà niente.

Feisal è sconvolto. Guarda la borsa. ‘Izz ha già con sé molto denaro e questa borsa è un dono generoso, ma le ricchezze non sono una difesa sufficiente contro gli assassini.

- Ringrazia il tuo signore. Domani mattina scompariremo.

Feisal torna nell’ala del palazzo dove si trova l’appartamento di ‘Izz. Chiama immediatamente Qais e Mahdi, gli unici due di cui può fidarsi. Espone rapidamente la situazione. Qais dice quanto appare chiaro a tutti:

- Dobbiamo partire, oggi stesso, visto che domani potrebbe essere tardi.

Anche Feisal è d’accordo.

- Partire, sì. Ma dove andare? In Siria non ci sono luoghi in cui ‘Izz non corra rischi. Se lo stesso Nur ad-Din non è in grado di assicurargli una protezione efficace, dove potremmo andare?

Izz ha seguito la discussione senza dire nulla. Non mostra paura, ma l’esilio e la morte del fratello prima, dello zio e del padre poi lo hanno fatto crescere in fretta. Osserva:

- Verso Bagdad, forse?

Bagdad è la sede di un califfo che ormai non ha più nessun potere effettivo. La città è lontana, la via per arrivarci presenta diversi pericoli.

- Saremmo molto lontani dalla Siria, non potremmo seguire gli sviluppi della situazione. E non è detto che saresti al sicuro neanche lì.

Discutono le varie possibilità, finché Qais dice:

- C’è un unico posto dove non cercheranno ‘Izz.

- E sarebbe?

- Al-Hamra.

Tutti si guardano in silenzio. L’idea di rifugiarsi in territorio cristiano è folle, tanto folle che probabilmente agli uomini di Ramzi non verrebbe mai in mente.

Feisal osserva:

- Anche al-Hamra è minacciata dal Circasso.

- Anche per questo è il posto migliore. Nessuno cercherà ‘Izz lì. Dobbiamo solo riuscire a far perdere le nostre tracce. Se il Circasso attaccherà la città, ci sposteremo altrove, sempre in territorio franco. Ma finché sarà in vita, il duca di Rougegarde proteggerà ‘Izz. Conosce me e Mahdi e ci crederà quando gli spiegheremo i pericoli che corre ‘Izz.

Feisal annuisce.

- Sei saggio, Qais. La minaccia che incombe sulla città è forte, ma è vero quello che dici: proprio per questo nessuno penserà che siamo lì.

C’è un momento di silenzio, poi Feisal dice:

- Abbiamo gli abiti con cui siamo arrivati. Vanno bene per quattro semplici mercanti. Ci uniremo a una carovana che vada in direzione di al-Hamra. Qais, occupati tu di trovarne una. È inutile che ti dica di non parlare con nessuno. Io e Mahdi rimaniamo qui di guardia.

Qais esce. Non gli sarà difficile trovare quello che cerca.

Mahdi e Feisal si occupano personalmente dei preparativi per il viaggio. Non hanno molto bagaglio: hanno portato pochissimo con sé da Jabal al-Jadid e hanno acquistato poche cose a Damasco.

Hanno appena finito, quando un servitore porta un messaggio: Nur ad-Din vuole parlare con Feisal.

Feisal è stupito di questa convocazione: poche ore fa Nur ad-Din gli ha fatto parlare da uno degli ufficiali per non destare sospetti e adesso lo convoca? C’è qualche novità? È possibile che il rischio sia svanito? Gli sembra improbabile.

Feisal congeda il servitore, dicendogli che andrà immediatamente da Nur ad-Din.

Feisal non vuole lasciare l’appartamento: Qais è fuori e ‘Izz rimarrebbe solo con Mahdi. Feisal attenderà il ritorno di Qais. Parla brevemente con Mahdi e poi esce, ma dopo aver attraversato il cortile, ritorna di nascosto.

Izz è in una stanza la cui finestra è sbarrata. Mahdi è sulla porta.

Due uomini entrano e si inchinano davanti a Mahdi. Uno di loro ha un involto e mostrandolo dice:

- Il nostro signore, Nur ad-Din, manda un dono per il giovane emiro.

Mahdi dice:

- Mostra il tuo dono.

- Solo il giovane emiro può vederlo.

- Non entrerete se non mi farete vedere che cosa avete.

L’uomo sembra esitare, poi sorride, apre l’involto e ne estrae un pugnale che brandisce scagliandosi su Mahdi.

Anche l’altro uomo ha estratto un’arma e si lancia sull’ufficiale.

Mahdi sta in guardia e con la scimitarra colpisce il primo uomo mentre questi balza su di lui. Intanto Feisal ha scostato la tenda dietro a cui si era nascosto e si è lanciato fuori: l’altro sicario viene trafitto prima che possa reagire.

Tutto si è svolto in un attimo: a terra ci sono un cadavere e un uomo agonizzante.

- Avevi visto giusto, Feisal. Era un tranello per attirarti lontano e poter colpire qui.

Feisal manda un servitore a chiamare Abdul-Qaadir, che arriva poco dopo. Feisal racconta quanto è successo e conclude:

- Non hanno perso tempo. Noi ce ne andremo tra poco.

Abdul-Qaadir annuisce. Si china sull’uomo che ancora agonizza e gli pianta il coltello nella gola.

- Così muoiano tutti questi maledetti.

Poi si rivolge a Feisal e dice:

- Temevo che avrebbero agito subito. Mi occuperò io dei cadaveri appena siete partiti. Buona fortuna, Feisal.

Qais torna poco dopo. Guarda i due corpi. Non chiede nulla, ci sarà tempo per parlare. Si limita a dire:

- Ho trovato una carovana. Possiamo unirci a loro. Stanno per lasciare la città. Vogliono dormire nei dintorni per poter partire molto presto domani mattina, senza dover aspettare che aprano le porte, in modo da fare più strada e ridurre il rischio di incontrare i briganti cristiani. Vanno a San Giacomo d’Afrin. Di lì potremo raggiungere al-Hamra.

- Va bene.

Un’ora dopo quattro uomini di al-Hamra, che sono venuti a Damasco per il matrimonio di un loro parente, escono dalla città con una carovana diretta in territorio franco. Qualcuno dei viaggiatori, curioso, chiede ai nuovi arrivati del matrimonio. Uno dei quattro, che non ha un bel viso, ma è simpatico, racconta della cerimonia e di tutti i festeggiamenti: non trascura nessun dettaglio e a quelli che ascoltano dopo un po’ sembra di essere stati anche loro presenti alle nozze. Gli altri tre non dicono niente, devono essere abituati alle chiacchiere di questo tipo, che parla per quattro e non la smette più. Però sa raccontare e certo che a quel matrimonio ce n’era di gente strana. A meno che questo tipo non si inventi qualche aneddoto per rendere il suo racconto più interessante. Può anche darsi, ma è piacevole viaggiare con uno così, non ti accorgi neanche che il tempo passa.

La carovana raggiunge San Giacomo d’Afrin senza intoppi. L’indomani i quattro viaggiatori si uniscono a un gruppo di mercanti diretto a al-Hamra.

 

In città Feisal e gli altri trovano alloggio in una modesta locanda: non vogliono dare nell’occhio, la loro presenza deve passare il più possibile inosservata. Dicono di arrivare da una cittadina vicino a Jabal al-Jadid e di essere fuggiti prima dell’arrivo del Circasso. Sono rimasti un po’ di tempo a Damasco e poi sono venuti a Rougegarde perché hanno dei parenti.

Il mattino successivo all’arrivo, Mahdi e Qais si presentano al palazzo ducale. Chiedono di parlare con Nicolas, che hanno conosciuto nella loro visita precedente, in modo che avvisi il duca senza che nessun altro lo sappia.

Denis di Rougegarde accoglie stupito gli uomini che erano venuti a Rougegarde per il riscatto del fratello dell’emiro.

Mahdi racconta quanto è successo: la fuga da Jabal al-Jadid, la protezione di Nur ad-Din, la minaccia degli ismailiti, la decisione di fuggire a Rougegarde. Sa che con il duca può parlare liberamente. E mentre racconta, pensa che la situazione è assurda: le due città, Rougegarde e Jabal al-Jadid, hanno un lungo confine in comune e la situazione rende nemici il duca cristiano e il giovane emiro musulmano. Denis avrebbe interesse a imprigionare ‘Izz e tenerlo come ostaggio. Eppure Mahdi sa che quest’uomo farà tutto il possibile per salvare ‘Izz.

Denis pone alcune domande. Poi riflette.

- Mahdi, Qais, siete miei ospiti. Potrei alloggiarvi a palazzo, ma la vostra presenza sarebbe notata: i servitori si chiederebbero perché ho accolto alcuni saraceni. È più opportuno non destare sospetti.

- Ciò che dici è saggio, duca. È meglio che nessuno badi a noi.

- Per sicurezza vi stabilirete in qualche abitazione in città. E so qual è il posto adatto: la casa di un mercante, che ha alcuni appartamenti in affitto.

In effetti la casa del mercante Giovanni è la scelta migliore: vi risiedono Morqos, che lavora in segreto come informatore per il duca, e Pierre, che è uno dei suoi uomini di fiducia. Su di loro Denis sa di poter sempre contare e sanno tenere gli occhi aperti. La locanda che è presente nella stessa casa è un porto di mare, come tutte, ma è gestita da due donne cristiane ed è ben difficile che vi passino saraceni. Inoltre nella casa abitano parecchie persone che conoscono l’arabo e possono comunicare con i quattro fuggiaschi: Morqos e suo fratello Istfan, che sono arabi cristiani, e anche Emich, Pierre, Giovanni e suo nipote Riccardo.

Dopo aver parlato un momento, Denis conclude:

- Preparatevi un’unica spiegazione del perché siete a Rougegarde. Una sola persona saprà la verità: gli altri è meglio che non sappiano nulla. Nessuno vi tradirebbe intenzionalmente, ma gli ismailiti sono una minaccia troppo grave perché possiamo permetterci il minimo errore.

Denis manda a chiamare Pierre. Gli presenta Qais e Mahdi e gli spiega la situazione. Sarà lui a comunicare a Giovanni che deve affittare uno degli appartamenti ai quattro saraceni ed è a lui che loro dovranno rivolgersi per qualsiasi problema.

Anche Morqos sarà informato, ma questo solo Pierre lo saprà: nessuno deve sospettare che Morqos lavora per il duca.

 

In giornata Denis riceve segretamente anche Feisal e ‘Izz. Saluta il giovane come il legittimo emiro di Jabal al-Jadid e gli augura di poter riprendere presto il controllo della città su cui regnava suo padre. Poi lo congeda. Non si vedranno più, fino al giorno in cui ‘Izz lascerà Rougegarde: nessuno deve sospettare che i quattro uomini che hanno preso in affitto un appartamento nella casa del mercante Giovanni abbiano qualche legame con il duca.

Izz, Feisal, Qais e Mahdi si sistemano nell’appartamento che il mercante Giovanni, su richiesta del duca, ha immediatamente affittato loro. È un appartamento vasto, con quattro camere. ‘Izz e Feisal avranno ognuno una camera per sé, Qais e Mahdi dormiranno nella stessa camera. Quando Feisal vuole pagare, il mercante Giovanni gli dice che l’affitto è già stato pagato. Evidentemente il duca li considera suoi ospiti.

L’appartamento ha già i mobili essenziali. Nei prossimi giorni si procureranno quello che può ancora servire, ma non sarà molto: non contano di rimanere a lungo. Prima o poi Rougegarde sarà attaccata e allora dovranno andarsene o, se Kazbech sarà sconfitto, potranno ritornare a Jabal al-Jadid.

Izz aveva sentito parlare spesso del duca di Rougegarde: nei territori musulmani è noto come il nemico più pericoloso, ma tutti lo considerano anche un signore giusto e saggio. Il colloquio avuto con lui ha turbato profondamente il ragazzo. Gli avvenimenti degli ultimi mesi, culminati nella fuga da Jabal al-Jadid e nella morte del padre, lo hanno portato a chiudersi per un certo tempo nel proprio dolore. Ma adesso ‘Izz si dice che deve uscire da questo torpore in cui è sprofondato. Deve in qualche modo prepararsi al ruolo di emiro, che forse un giorno sarà chiamato a svolgere. La morte di suo fratello Muhammad e poi di suo padre Ashraf hanno fatto di lui il legittimo emiro di Jabal al-Jadid. La città è in mano al Circasso, ma se Kazbech venisse sconfitto, ‘Izz dovrà essere in grado di governarla. E vorrebbe essere un signore rispettato e temuto, generoso e capace come il duca di Rougegarde.

La sera, nella casa che non è ancora stata sistemata del tutto, ‘Izz osserva:

- Il duca parla perfettamente l’arabo.

- Sì, dicono che sia stato prigioniero a Damasco, ma l’aveva già imparato prima.

Izz medita un momento, poi dice:

- Voglio imparare anch’io la lingua dei franchi. Non so quanto tempo rimarremo qui, ma se riuscirò a tornare a Jabal al-Jadid e a governare, mi potrà servire. Se il duca conosce l’arabo, è sensato che io impari la sua lingua.

Rimangono tutti un po’ stupiti dalla decisione di ‘Izz, che nelle ultime settimane è sempre stato piuttosto apatico.

Feisal ha intuito i motivi che muovono ‘Izz ed è contento di vedere che sta incominciando a riprendersi.

- Credo che a tutti noi farà bene apprendere questa lingua, visto che non sappiamo quanto tempo dovremo restare qui.

Qais osserva:

- Imparare la lingua dei cristiani sarà anche un buon modo per essere impegnati e non passare il tempo inattivi. Non possiamo fare molto altro, qui.

E mentre lo dice guarda Mahdi.

Loro due possono fare altro, lo faranno questa notte stessa: l’amore che li unisce rende piacevole perfino questo esilio. Ma anche per loro sarà utile conoscere la lingua dei signori del posto.

L’indomani Feisal ne parla con Pierre, che propone come insegnante uno degli abitanti della casa, Morqos: il fatto che abiti nello stesso edificio evita di mettere i quattro ospiti in contatto con sconosciuti, che potrebbero chiacchierare in giro. Pierre garantisce che Morqos è un uomo molto discreto, che non racconta gli affari altrui.

In realtà Morqos è informato della vera identità degli ospiti e, frequentandoli come insegnante di lingua, potrà più facilmente tenere sotto controllo la situazione.

Pierre ne parla anche con Emich. Non l’ha proposto subito, perché non sa se Emich sia disponibile: certamente guadagnerebbe volentieri un po’ di denaro, ma forse non ha piacere di insegnare a quattro arabi, visto che è stato prigioniero dei saraceni per anni e sono stati loro a evirarlo. Emich invece risponde che lo farà volentieri: si alternerà con Morqos.

Le lezioni incominciano il giorno stesso. ‘Izz è un allievo molto diligente e impara in fretta, Mahdi e Feisal non hanno grosse difficoltà. Qais sembra impadronirsi delle parole appena le sente, per poi costruire frasi sempre scorrette, ma comprensibili.

Nei primi giorni i quattro arabi hanno pochi contatti con gli altri abitanti della casa, ma poi, attraverso Morqos, Emich e Pierre, finiscono per fare conoscenza con tutti.

Qais, che è il più curioso e anche il più attento, ha l’impressione che nella casa ci sia un’altra coppia di uomini che si amano: il medico, Istfan, che è il fratello di Morqos, e il servitore della locanda, Tristan. Con Tristan è difficile comunicare, perché di arabo conosce poche parole. Con Istfan invece Qais parla volentieri.

I quattro non escono molto spesso, ma non possono neppure passare le giornate sempre chiusi in casa. Pierre li accompagna talvolta in lunghe cavalcate nei dintorni di Rougegarde. ‘Izz si muove di rado per le strade della città: è difficile che qualcuno lo riconosca, ma non impossibile. Meglio essere prudenti.

 

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Waahid esegue un ritratto del Circasso seduto in pompa magna nella sala delle udienze. Poi gli viene commissionato un altro ritratto, a cavallo.

Il lavoro richiede parecchi giorni.

Waahid spera di sentire qualche notizia di Barbath, ma del comandante nessuno parla. Waahid e Latif a volte escono dal palazzo, ma anche in città nessuno sa nulla. Qualcuno pensa che Barbath sia morto, magari in seguito alle torture, ma molti lo ritengono improbabile: in questo caso il corpo sarebbe stato esposto al pubblico ludibrio, come è stato fatto con Ashraf, con i notabili e con alcuni altri. Anche un atto di clemenza del Circasso viene escluso: non è pensabile. Kazbech ha risparmiato la città, perché l’ha scelta come sua capitale, e i soldati non sono stati massacrati, come tutti si aspettavano, ma ridotti in schiavitù. Ma di certo il comandante dell’esercito pagherà con la vita.

 

Barbath è nel buio della sua cella. Vede un po’ di luce solo quando gli portano il cibo. Non può mai uscire e nello spazio angusto l’aria è irrespirabile. Ma gli portano regolarmente da mangiare e da bere e lentamente il dolore per i colpi e per la violenza si attenua e scompare.

Kazbech non si occupa di lui: ha altro da fare.

Poi Barbath viene trasferito in una cella che ha una piccola finestra in alto. I suoi occhi si abituano nuovamente alla luce. Lo spazio è più grande e Barbath può muoversi meglio. C’è un buco che serve come cesso e l’aria è meno fetida.

Un giorno lo fanno uscire e lo portano a uno dei bagni del palazzo, dove Barbath può lavarsi. Barbath si dice che lo condurranno dal Circasso: altrimenti lo lascerebbero sporco. Gli danno una fascia da mettere ai fianchi e una tunica. Barbath si chiede se sarà nuovamente stuprato. Non pensa che a Kazbech possa interessare il suo corpo: la violenza è stato solo un modo per umiliarlo.

 

Waahid è stato convocato al cospetto del sovrano. Pensa che il Circasso voglia un altro ritratto e non si aspetta certo ciò che Kazbech gli dice:

- Adesso farai un’immagine di me che inculo Barbath.

Waahid trema.

Intanto un ufficiale introduce Barbath, che si inchina a Kazbech e fa un cenno di saluto a Waahid. Barbath appare impassibile, ma è preoccupato per Waahid. Perché Kazbech ha fatto venire il ragazzo? Barbath ha paura che il Circasso possa fargli del male. La spiegazione è un’altra e la fornisce direttamente Kazbech:

- Barbath, ti ho fatto chiamare perché ora ti inculerò davanti a Waahid. Voglio che dipinga la scena.

Barbath china la testa. Poi la rialza, come se volesse dire qualche cosa, ma non apre bocca. Si toglie la tunica che indossa e poi la fascia, rimanendo nudo. A un cenno del capo di Kazbech si stende sui cuscini e allarga le gambe. Non c’è spazio per un rifiuto, che metterebbe a rischio anche Waahid. Barbath è uno schiavo. Uno schiavo obbedisce al suo padrone.

Waahid è pallidissimo. Gli sembra incredibile che Barbath accetti di farsi possedere, ma sa che non può esternare nulla di ciò che prova. Si prepara a tracciare uno schizzo, che poi trasformerà in dipinto. Si accorge che la mano gli trema.

Kazbech sorride.

- Allora, Waahid, il momento che devi riprodurre è quello in cui io entro dentro di lui.

Kazbech si spoglia. Ha già il cazzo duro. Sorride a Waahid. Poi si avvicina a Barbath e gli afferra i capelli. Gli tira indietro la testa, con decisione, mentre spinge in avanti il culo ed entra con forza. Barbath sussulta. Le ferite provocate dal primo stupro si sono rimarginate, ma l’ingresso violento le riapre.

Kazbech sorride. Rimane un momento fermo, perché Waahid possa dipingere la scena. Lo diverte pensare che il pittore e il suo aiutante si facevano montare da Barbath e che ora lui fotte Barbath. Waahid è pallido.

Poi Kazbech incomincia a fottere Barbath. Gli piace spaccare questo culo sodo, che nessuno aveva mai preso prima di lui. Gli piace umiliare quest’uomo che non vuole saperne di piegarsi. Gode più di quanto non goda quando scopa con qualsiasi altro uomo o donna. Il piacere che prova è intensissimo.

Quando infine viene, Kazbech si ritrae. Guarda Barbath, che è rimasto in posizione. Dal culo gli cola un po’ di sborro. Kazbech ride. Dopo un momento, quando il cazzo ha chinato la testa, Kazbech piscia sulla tunica e sulla fascia di Barbath, poi dice:

- Rivestiti.

Barbath obbedisce.

- Ora puoi andare, Barbath.

Barbath raggiunge la porta, dove due soldati lo riaccompagnano nella cella.

Kazbech si rivolge a Waahid:

- Adesso puoi andare anche tu, Waahid. Mettiti subito al lavoro.

Waahid è sempre pallidissimo.

- Sì, mio signore.

Quando Waahid entra nell’appartamento che condivide con Latif, trema tanto che lo schizzo gli cade di mano. Latif si spaventa.

- Che è successo, Waahid? Stai male?

Waahid scuote la testa, poi scoppia a piangere.

Latif lo abbraccia. Cerca di consolarlo, ma è angosciato. Si chiede che cosa sia successo, teme che qualche minaccia pesi su di loro, che Waahid abbia sentito qualche notizia terribile, magari su Barbath. Poi lo sguardo gli cade sullo schizzo che Waahid ha lasciato cadere. Lo prende e capisce. Abbraccia nuovamente Waahid, che lentamente si calma ed è infine in grado di raccontare ciò che è successo. Latif non dice nulla: che cosa potrebbe dire?

Più tardi Waahid si mette al lavoro. Esegue il disegno con cura, poi lo colora. Sa che deve produrre un’immagine perfetta. Deludere Kazbech è pericoloso.

 

Kazbech guarda l’immagine che Waahid ha dipinto. È un gioiello.

- Bravo, Waahid. Hai fatto un ottimo lavoro. Te ne farò fare altre.

Kazbech congeda Waahid. Rimane a fissare il dipinto. Si rende conto che gli sta diventando duro. Dice di far lavare Barbath e portarglielo. Poi ci ripensa e dice di portarlo senza farlo lavare. Manda a chiamare anche Waahid.

Waahid è appena rientrato nella sua stanza quando un soldato gli dice che l’emiro lo vuole e che deve portare con sé gli attrezzi. Waahid prende l’occorrente e segue il soldato.

Nella stanza c’è già Barbath. È nudo e ha le mani legate dietro la schiena. Kazbech sorride e dice a Waahid:

- Adesso farai un ritratto di me che fotto in bocca Barbath.

Waahid ha l’impressione che le gambe non lo reggano. Trova la forza per dire:

- Come volete, mio signore.

Kazbech ride e si rivolge a Barbath:

- In ginocchio, cane.

Barbath obbedisce.

- Succhiamelo, cane.

Barbath respira a fondo. Vorrebbe rifiutarsi e forse lo farebbe, anche se ritiene che uno schiavo debba obbedire al suo padrone, anche se sa che questo significherebbe una morte atroce, ma il pensiero che Kazbech potrebbe prendersela con Waahid lo spinge a obbedire. Barbath avvicina la bocca al cazzo del Circasso, ne sente l’odore di piscio e sborro. Prende in bocca la cappella e incomincia a succhiare.

Kazbech si rivolge a Waahid:

- Non questo momento, quando lo fotto proprio.

Waahid annuisce. Sta tracciando uno schizzo per fissare la posizione dei due uomini.

Il cazzo del Circasso diventa duro in fretta. Kazbech allora mette una mano dietro la nuca di Barbath per tenergli ferma la testa e incomincia a fottere. Spinge fino in fondo e a Barbath manca il fiato. Il viso gli si arrossa. Quando Kazbech si ritrae, Barbath riesce a immettere un po’ d’aria, ma il Circasso riprende subito a fotterlo in bocca. Per lunghi momenti Barbath sente che il cazzo di Kazbech lo soffoca ed è sul punto di svenire. Il Circasso spinge con energia e Barbath vede il mondo oscillare. Solo la mano del Circasso gli impedisce di crollare a terra. Pensa che morirà così, ma Kazbech si ritrae e lo lascia respirare, poi ricomincia a spingere.

Infine Kazbech viene, riempiendo la bocca di Barbath di seme. Barbath tossisce, il viso congestionato, e un po’ di seme cola dalla bocca. Quando Kazbech toglie la mano, Barbath scivola al suolo, tossendo e ansimando.

 

Kazbech ha riorganizzato il suo dominio e si prepara alla grande spedizione contro Rougegarde, la tappa fondamentale della sua espansione. Una volta conquistata Rougegarde, Kazbech sconfiggerà lo stesso Nur ad-Din e diventerà il signore di tutta la Siria. Kazbech sta raccogliendo un grande esercito, con cui si prepara ad attaccare la perla della Terrasanta.

Quasi ogni giorno manda a chiamare Barbath e lo possiede. Più volte si fa ritrarre mentre lo fotte o lo umilia pisciandogli in bocca o lo fustiga. Ma con rabbia crescente si rende conto che Barbath non si piega. Kazbech è furente. Vorrebbe far giustiziare Barbath in qualche modo terribile, ma farlo prima di averlo piegato sarebbe accettare una sconfitta.

Kazbech si rende conto che Barbath sta diventando un’ossessione per lui.

Un giorno Kazbech gli grida:

- Sei una troia, Barbath, nient’altro che una troia. Ti farò montare da un porco. Voglio vedere Barbath inculato da un porco immondo.

Kazbech ride.

- Sì, il comandante Barbath, Barbath-Tre-coglioni, inculato da un porco.

Kazbech  è di parola. Nei domini musulmani non si allevano maiali, ma in territorio cristiano sì. Kazbech fa arrivare un allevatore di maiali con un maschio e una femmina. L’uomo viene dal territorio dell’Arram, sotto il dominio di Ferdinando di Siracusa: una delle terre che il Circasso ha in progetto di conquistare entro breve.

Quando la scrofa è in calore, lo spettacolo viene allestito in uno dei cortili del palazzo dell’emiro.

Barbath viene legato a quattro zampe, su un ponticello di legno che gli impedisce di stendersi al suolo. L’allevatore gli mette addosso una pelle di maiale, che viene fissata alle braccia e alle gambe. Poi l’uomo passa la mano più volte prima sulla fica della scrofa e poi sul buco del culo di Barbath. Le ultime due volte infila la mano nella fica e poi due dita in culo allo schiavo.

La troia è nascosta in una cassa davanti a Barbath, in modo che il maschio ne sente l’odore e i grugniti.

Il verro viene condotto nella piazza e guidato a montare Barbath. L’allevatore a un certo punto gli afferra il cazzo e lo guida a infilzare lo schiavo. Barbath si morde il labbro. Prega Allah di dargli la morte. Il maiale lo fotte con energia.

Kazbech assiste divertito allo spettacolo. Un animale immondo incula quello che era il comandante dell’esercito, ora schiavo del Circasso.

Kazbech non ha invitato nessun altro. Il suo primo pensiero era stato quello di farne uno spettacolo pubblico, nella piazza davanti al palazzo. Ma poi ha deciso che voleva essere il solo a vedere: perché, non saprebbe dirlo.

 

Nella notte Barbath è messo nel recinto del maiale, con le mani legate dietro la schiena. La scrofa è vicino, separata solo da uno steccato. Il maiale ne sente l’odore e si agita. Barbath sa bene che l’animale potrebbe sbranarlo. Quando si avvicina, Barbath gli molla un calcio, per tenerlo lontano.

Tre giorni Barbath rimane nel recinto. Il guardiano getta ogni tanto del cibo, su cui il maiale si avventa. Per poter mangiare, Barbath dovrebbe sottrarglielo, ma Barbath non intende farlo. È la sete a tormentarlo.

Progressivamente Barbath perde le forze. Finirà divorato da un animale immondo, in questo recinto fetido. 

Il terzo giorno un cadavere nudo viene gettato nel recinto: è quello dell’allevatore, a cui è stata tagliata la gola. Barbath non sa spiegarsi il perché. Il maiale si avventa sul corpo. Più tardi il maiale viene portato via, ma Barbath viene lasciato nel recinto. Ora però gli danno da bere e da mangiare.

Infine lo vengono a prendere, sporco del fango e della merda del porcile. Lo fanno lavare e lo accompagnano da Kazbech, che lo possiede ancora. Barbath desidera solo finire.

 

*

 

Denis di Rougegarde e Ferdinando dell’Arram sono nel palazzo di Denis.

Hanno seguito con attenzione e con preoccupazione crescente l’espansione di Dakhir fino alla caduta di Shaqra. La morte dell’emiro e l’inerzia di Hamdan hanno alimentato qualche speranza, ma la salita al trono del Circasso ha confermato le loro preoccupazioni. La presa di Jabal al-Jadid non li ha stupiti ed entrambi sanno che adesso è il loro turno.

- Rougegarde è la prossima meta. Il Circasso sa che conquistando la città non amplierà soltanto i suoi domini, ma potrà presentarsi a tutti i maomettani come il liberatore di al-Hamra, colui che ha saputo riconquistare le terre che gli infedeli avevano occupato. Un ottimo elemento da giocare contro Nur ad-Din, che non è stato capace di ottenere lo stesso risultato.

- Dicono che il Circasso abbia soldati ben addestrati e coraggiosi.

- Lo sono anche i nostri, conte.

Sia Denis, sia Ferdinando, vivendo in territori sotto la continua minaccia di attacchi saraceni, hanno sempre curato molto l’addestramento delle truppe.

- Sì, duca, ma il Circasso può raccogliere molti soldati da un vasto territorio.

- Io unirò le truppe di Rougegarde e di Cesarea, che è ugualmente minacciata.

- Non pensate di rivolgervi anche a Renaud di San Giacomo d’Afrin? Se Rougegarde dovesse cadere, per San Giacomo non ci sarebbe scampo.

- No, preferisco avere meno soldati, ma su cui posso contare pienamente.

Ferdinando annuisce.

- E se Nur ad-Din mandasse truppe ad appoggiare il Circasso? Non ha mai nascosto che la riconquista di tutta la Terrasanta è uno dei suoi obiettivi e in base a quanto mi dite, duca, avrebbe un buon motivo per farlo, per evitare di apparire imbelle in confronto al Circasso. In questo caso saremmo soverchiati.

Denis scuote la testa:

- Nur ad-Din non interverrà a favore di Kazbech. Sarebbe una mossa suicida.

- E perché mai?

- Perché se il Circasso conquistasse Rougegarde, aumenterebbe ancora il suo potere e potrebbe affrontare lo stesso Nur ad-Din. Kazbech vuole dominare su tutta la Siria e la Palestina e anche oltre. La sua ambizione è sconfinata e Nur ad-Din lo ha capito benissimo. Starà a guardare. Nur ad-Din spera nella sua sconfitta, per riprendere il controllo delle terre che il Circasso ha occupato, installandovi come regnanti uomini a lui fedeli: sarebbe un ottimo risultato per lui, in questo momento molto più importante della riconquista delle terre in nostro possesso. Se invece Kazbech ottenesse la vittoria, potrebbe trovarsi costretto a intervenire contro di lui. E Kazbech potrebbe prendere il suo posto.

Ferdinando annuisce. Sa benissimo che di rado Denis si sbaglia e l’analisi della situazione gli sembra perfettamente convincente.

- E come possiamo sconfiggere un nemico così forte?

- Dobbiamo agire d’astuzia. Dobbiamo riuscire a portarlo in una posizione svantaggiosa, in cui il numero di soldati e il loro coraggio non siano sufficienti.

- Avete già elaborato un piano.

- Sto cercando di metterlo a punto. Non c’è più molto tempo.

 

Lo scudiero di Kazbech, Imad riporta le notizie che le spie inviate nei territori dei franchi hanno riferito:

- Il duca di al-Hamra sta rinforzando le difese della città e facendo portare grandi quantità di viveri. Si preparano a sopportare un lungo assedio.

Kazbech sputa per terra.

- Credevo che il Cane dagli occhi azzurri mi avrebbe affrontato in battaglia. Dicono che è un grande guerriero, ma si rintana come un coniglio.

- Il Cane è prudente. Tu hai vinto tutte le battaglie che hai affrontato in campo aperto. Il Cane preferisce non correre rischi. Al-Hamra ha mura possenti e non sarà facile espugnarla. So che esistono numerosi passaggi sotterranei, che conducono oltre le mura. Probabilmente contano di usarli per procurarsi altri viveri durante l’assedio e compiere azioni di disturbo.

- In qualche modo riusciremo a entrare. So che in città ci sono numerosi credenti. Non sarà difficile trovare qualcuno che dall’interno ci aiuti.

Imad non ne è convinto. Sospetta che i musulmani di al-Hamra preferiscano il dominio del duca, che assicura loro pace e giustizia, a quello del Circasso, noto per la sua ferocia. Ma Imad sa che non è sempre saggio dire ciò che si pensa. Si limita a osservare:

- Il Cane è molto benvoluto dai suoi sudditi, anche dai credenti, perché lascia libertà di religione e non interferisce negli affari.

 

Tutto è pronto per la spedizione. Kazbech definisce gli ultimi dettagli con Imad e i suoi ufficiali:

- Passeremo dalla valle dell’Arram.

- Al confine c’è Qasr Basir, una fortezza dei Cavalieri del Tempio che loro chiamano Castello San Michele.

- Lo so. È ben munita e controlla l’ingresso principale della valle.

- Conti di conquistarla? Richiederà diversi giorni e questo darà al nemico il tempo di prepararsi.

- No, l’aggirerò. Una volta che Qasr Arram e al-Hamra saranno state conquistate, i Cavalieri del Tempio si troveranno completamente isolati e io li schiaccerò come pidocchi.

Il Circasso fa con le dita il gesto. Poi prosegue:

- Passeremo da sud. Piomberò su Qasr Arram e me ne impadronirò senza fatica: le truppe del conte Ferdinando non potranno nulla contro il nostro esercito.

- Qasr Arram non è lontano da al-Hamra. Il Cane dagli occhi azzurri potrebbe inviare delle truppe in difesa del conte.

- Ben venga, li spazzerò via e il Cane avrà perso una parte del suo esercito.

- E se invece si muovesse con tutte le truppe?

- Per me sarebbe la soluzione migliore. Lo sconfiggerò in campo aperto, lo annienterò, come ho fatto con tutti coloro che hanno osato opporsi.

Imad annuisce. Il Circasso ha un esercito molto numeroso e i soldati sono valorosi: nessuno è stato in grado di resistergli. Ma il Cane dagli occhi azzurri non è un guerriero qualunque e Imad ha l’impressione che Kazbech lo sottovaluti.

 

Guillaume di Hautlieu è arrivato a Rougegarde con duecento templari.

- So che stai rinforzando le difese della città. Pensi di lasciar avvicinare il Circasso o di cercare di intercettarlo, Denis?

- Vi esporrò il mio piano. Nessun altro deve saperlo.

Ferdinando ride:

- Denis, non saremo tanto sciocchi da raccontarlo in giro. Fidati di noi. Ci conosci.

In presenza di Guillaume, si ricrea l’intimità di quando erano tre giovani guerrieri, senza nessun titolo e senza nessun dominio: si chiamano per nome, si danno tutti e tre del tu.

- Lo so, Ferdinando, ma è bene che ve lo ricordi. Il piano può funzionare solo se il Circasso non sospetterà le nostre mosse.

Ferdinando e Guillaume annuiscono. Denis riprende:

- L’esercito del Circasso si sta dirigendo verso la valle dell’Arram, come ti hanno riferito le tue spie, Ferdinando.

- Porcoddio, a quanto pare potrei essere il primo di noi a finire con il cazzo e i coglioni in bocca e la testa infilzata su un palo.

Denis annuisce: quella è la sorte riservata dal Circasso a coloro che hanno osato opporglisi.

- Per arrivare dovrebbero attaccare Castello San Michele. Non credo che lo faranno: è difficile espugnare la fortezza con un attacco diretto e assediarla farebbe perdere loro tempo. Oltretutto un esercito che assediasse il castello si troverebbe in una pessima posizione, molto esposto agli attacchi dalle montagne circostanti. Il Circasso è un guerriero molto abile e non credo che commetterà questo errore.

- Ma non possono pensare di passare sotto la fortezza con l’esercito. Gli arcieri ne farebbero strage…

- No, penso che l’aggireranno, risalendo lungo la valle del Nahr e poi scendendo attraverso uno dei passi, quasi sicuramente il passo della Caverna.

Guillaume annuisce.

- Sì, sarebbe una buona mossa. Potrebbero piombare sulla valle dell’Arram e conquistare la residenza di Ferdinando.

Il palazzo di Ferdinando non ha grandi fortificazioni: era una residenza di piacere dello sceicco di al-Hamra, non una fortezza. Ferdinando ha fatto fare diversi lavori, ma in ogni caso, anche per la sua posizione sul fondovalle, l’edificio è difficilmente difendibile contro un esercito numeroso.

Ferdinando sorride e attraverso la stoffa della tunica si afferra cazzo e coglioni.

- Porcoddio, mi sa che dovrò rinunciare presto a questa roba qui.

Denis e Guillaume scuotono la testa, ma entrambi sanno che potrebbero finire tutti così.

Guillaume chiede:

- E allora, Denis, che cosa proponi?

- Da questo momento in avanti, ci muoveremo in un modo di giorno e in un altro di notte. Di giorno il conte Ferdinando ammasserà truppe a difesa del suo palazzo e farà montare un accampamento, di notte piccoli gruppi di uomini si sposteranno fino a raggiungere i monti intorno al passo della Caverna. Nell’accampamento rimarranno le tende e pochi soldati, che però dovranno essere molto attivi e dare l’impressione di essere molto numerosi.

- Non pensi che qualcuno dei sudditi musulmani di Ferdinando potrebbe accorgersi delle manovre e avvisare il Circasso?

- Gli uomini si muoveranno a piccoli gruppi e non è strano che, preparandosi una guerra, ci siano spostamenti di soldati. Se ognuno farà bene la sua parte, nessuno sospetterà di nulla.

- E qual è la mia parte, Denis?

- Di giorno i Templari si divideranno in due: una parte andrà a dare man forte al conte Ferdinando per difendere il palazzo di Arram, una parte a rinforzare la guarnigione di Castello San Michele. Di notte tutti confluiranno con le truppe di Ferdinando.

- E suppongo che le truppe del duca di Rougegarde usciranno anche loro dalla città di notte.

- Esatto. In città rimarranno pochi soldati, ma i cittadini dovranno avere l’impressione che siano molti. E anche le truppe di Cesarea verranno ad accamparsi non lontano dalle mura, ma poi si sposteranno nottetempo.

Guillaume annuisce, ma non nasconde la sua perplessità:

- È una manovra azzardata, Denis. Se il Circasso scoprisse la verità, cambierebbe i suoi piani e noi avremmo tutti gli uomini nel posto sbagliato.

- Certo, è un rischio da correre. Ma anche se scoprisse quello che stiamo facendo, potrebbe solo cercare di cambiare percorso e tutte le altre vie d’accesso sono difficili da percorrere e gli farebbero perdere parecchio tempo. Noi riusciremmo a riorganizzarci.

- Mi sembra un ottimo piano, Denis. Come sempre. Speriamo che funzioni.

Ferdinando ride e aggiunge:

- Altrimenti dovrò dire addio a ciò a cui più tengo al mondo. Porcoddio, mi spiacerebbe proprio finire senza…

 

A Rougegarde fervono i preparativi per l’assedio, che tutti giudicano imminente. Molti si chiedono perché il duca non abbia deciso di sbarrare la strada al Circasso sulle montagne, dove forse sarebbe stato più facile fermare il nemico. Ma i cittadini hanno fiducia nel loro signore: Denis di Rougegarde è un guerriero valoroso e ha sempre dato prova di grande intelligenza.

Sono arrivate anche le truppe di Cesarea, che si sono accampate fuori città, tra il fiume e le mura. Forse il duca pensa a una battaglia davanti a Rougegarde o ritiene comunque che in quella posizione il campo cristiano sia difendibile. Ci sarà sempre il tempo per far entrare i soldati in città quando il Circasso si avvicinerà.

Giorno e notte c’è un continuo movimento nell’accampamento e anche per la città ci sono sempre molti soldati in giro.

 

Chiedendo a Pierre, Feisal ha ottenuto un nuovo colloquio con il duca.

- Duca, la minaccia del Circasso incombe sulla città. Non ritieni che sia ora per ‘Izz ibn Ashraf di lasciarla?

- No, per il momento siete più al sicuro qui. So come farvi uscire dalla città, se dovesse essere assediata. Potete contare su di me. Se non potessi occuparmene direttamente, Pierre provvederà a voi e, se lui non ci fosse, ci sarà qualcun altro.

Feisal ringrazia, si congeda e ritorna all’appartamento. Delle gallerie sotterranee di Rougegarde ha sentito parlare, d’altronde anche da Jabal al-Jadid sono usciti in questo modo.

A nessuno di loro spiace rimanere a Rougegarde. Nella casa di Giovanni si trovano bene, hanno stretto rapporti cordiali con diversi degli altri abitanti.

 

Le spie del Circasso gli riferiscono gli spostamenti nel campo avversario:

- Sono arrivati almeno cento Cavalieri del Tempio a Qasr Basir e altrettanti a Qasr Arram. Molte truppe provenienti da Cesarea si sono accampate nei pressi di al-Hamra.

Kazbech sputa per terra.

- Il Cane dagli occhi azzurri è un vile. Manda a morire i Cavalieri del Tempio per difendere il suo amico: che cosa possono fare cento cavalieri e le truppe di Ferdinando contro il mio esercito? Quel coniglio si prepara a difendere la sua città, ma farò terra bruciata intorno a lui e al-Hamra sarà mia.

Imad annuisce, ma aggiunge:

- Non sottovalutare il Cane dagli occhi azzurri. Non gli importa di sacrificare il conte e i Cavalieri, ma difenderà al-Hamra. E non è un avversario da poco.

Kazbech alza le spalle. Sa bene che Denis di Rougegarde è un guerriero valoroso, ma gli sembra che rintanandosi in città stia commettendo un errore. Forse spera che re Amalrico venga in suo soccorso? Questo potrebbe avvenire e in tal caso Kazbech lo sconfiggerà e conquisterà la stessa Gerusalemme: allora tutti i credenti lo acclameranno come il liberatore e gli sarà facile prendere il posto di Nur ad-Din.

 

L’esercito del Circasso sale verso il passo della Caverna. Il sentiero, inizialmente agevole, diventa via via più difficile da percorrere.

Il Circasso manda in avanti esploratori a controllare che non ci sia nessuno: sa benissimo che il territorio montuoso si presta ad agguati. Ma non si vede traccia del nemico: i cristiani si aspettano un attacco a Qasr Basir, dove le spie hanno visto un accampamento accanto alla fortezza, che evidentemente non può accogliere tutti i cavalieri giunti per difenderla. Anche a Qasr Arram c’è un accampamento di Cavalieri del Tempio. I Cavalieri del Tempio devono essere numerosi, perché negli accampamenti c’è sempre parecchio movimento e la notte ardono numerosi fuochi.

 

Gli uomini mandati in esplorazione comunicano che al passo della Caverna ci sono alcuni soldati franchi, una dozzina: il passo viene sorvegliato, com’è logico, soprattutto in tempo di guerra. Essi daranno l’allarme, ma sarà troppo tardi: domani l’esercito di Kazbech arriverà a Qasr Arram, che non potrà resistere. Il conte Ferdinando sarà il primo dei signori franchi a incontrare la morte.

Al passo della Caverna l’esercito giunge che è ormai notte. Non c’è traccia dei soldati franchi, che devono aver avvistato l’esercito e sono certamente scappati.

Il passo è un lungo pianoro, stretto tra le pareti scoscese di alte montagne. Vi soffia spesso un forte vento, che sembra far gemere i monti.

L’esercito si accampa per la notte. Non vengono montate tende, a parte quella dell’emiro: domani mattina si ripartirà all’alba.

Kazbech fa chiamare Barbath.

Barbath entra. Kazbech lo guarda e, come sempre più spesso avviene, sente la rabbia invaderlo. Ha conquistato un vasto dominio, ha costretto i potenti della regione a sottomettersi e presto regnerà su un territorio ancora più vasto. Il suo nome è sufficiente a incutere terrore. Ma Barbath, il suo schiavo, l’uomo che lui fotte quasi ogni giorno, a cui fa bere il proprio piscio, Barbath non si è mai davvero piegato. Kazbech ha più volte pensato di farlo castrare: questo probabilmente spezzerebbe la sua resistenza. Ma Kazbech vuole che quest’uomo gli si sottometta nel pieno della sua forza. Lo farà castrare dopo.

- In ginocchio, Barbath. Voglio pisciare.

Barbath obbedisce. Barbath obbedisce sempre. Barbath è il più obbediente degli schiavi, ma questo schiavo non si è mai davvero sottomesso.

Kazbech si abbassa i pantaloni e piscia in bocca a Barbath. L’obbedienza di Barbath lo infastidisce. Kazbech ha un moto di rabbia e afferra il suo schiavo alla gola.

- Ti piegherò, Barbath. Ti piegherò, come ho piegato tutti coloro che ho incontrato.

Ma Kazbech non è sicuro che questo avverrà. Kazbech stringe con la mano il collo di Barbath. Vede che allo schiavo manca il respiro. Stringe ancora. Lo sguardo di Barbath si spegne. Kazbech lascia la presa. Barbath cade a terra.

Lo ha ucciso? Kazbech si dice che sarebbe meglio, ma sa che sarebbe una sconfitta.

Kazbech colpisce Barbath alle costole con un calcio. Barbath geme. Un secondo e un terzo colpo risvegliano lo schiavo.

- Spogliati e stenditi sui cuscini, stronzo.

Barbath obbedisce: si toglie la fascia che porta ai fianchi, l’unico indumento che può portare, nonostante a questa quota l’aria sia fresca, e si mette a pancia in giù, come sa che deve fare. Ma Kazbech ha un’altra idea.

- No, stronzo, sulla schiena.

Barbath esegue. Non capisce ma obbedisce. Barbath obbedisce sempre.

Kazbech si spoglia. Il cazzo è già mezzo duro. Il corpo di Barbath desta in lui un desiderio violento, che Kazbech non ha mai conosciuto prima.

Kazbech allarga le gambe di Barbath e si mette in ginocchio davanti a lui. Solleva i piedi dello schiavo e se li appoggia sulle spalle. Ora Barbath gli offre il culo e Kazbech può vederlo in faccia. Kazbech si inumidisce la cappella e penetra Barbath con violenza. Barbath ha un leggero sussulto e corruga la fronte.

A Kazbech piace fottere Barbath, più che qualsiasi altro maschio. Gli piace benché ne avverta la resistenza. O forse gli piace proprio perché Barbath non si è sottomesso. Kazbech sa di esserne attratto come non è mai stato da nessun altro uomo, eppure prova nei suoi confronti una rabbia sorda, che è quasi odio.

- Ti farò castrare, Barbath. Non morirai con i coglioni. E neanche con il cazzo. Da eunuco creperai, figlio di puttana.

Kazbech fa rimanere Barbath nella sua tenda. Intende fotterlo di nuovo prima di partire. Dovrebbe farlo uccidere, lo sa. Barbath è diventato la sua ossessione. Lo ucciderà, sì. Ma prima lo piegherà. In un modo o nell’altro lo piegherà.

 

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È l’alba. Il cielo si sta schiarendo. È ora di smontare l’accampamento e di riprendere la marcia che li porterà a Qasr Arram, una facile preda per il possente esercito del Circasso.

Una sentinella grida, indicando con un dito:

- Lassù, degli uomini.

Tutti guardano nella direzione segnalata. Sulla parete della montagna possono vedere alcuni soldati. Altri compaiono più in alto, altri ancora più in basso. In pochi minuti su tutte le montagne intorno appaiono centinaia e migliaia di guerrieri.   

Gli uomini di Kazbech rimangono impietriti. Sono caduti in una trappola e gli avversari hanno su di loro un vantaggio schiacciante. Per stanarli dovrebbero arrampicarsi sulle rocce, completamente esposti alle frecce dei nemici. Per i cristiani colpirli dall’alto è facilissimo.

C’è il suono di un corno e al segnale un nugolo di frecce si abbatte sull’accampamento. Molti soldati vengono colpiti. Alcuni cadono morti, i feriti cercano barcollando un riparo.

 

Kazbech è uscito dalla sua tenda. Gli basta un attimo per capire la situazione e per rendersi conto che la sua spedizione è fallita e la sua stessa vita si avvicina alla fine. Dà alcuni ordini, ma c’è ben poco da fare, sotto il diluvio di frecce che si abbatte sul campo. Anche lanciandosi in un attacco lungo le pareti, si potrebbe al massimo conquistare qualche posizione, con gravissime perdite, ma che cosa cambierebbe? I franchi sono disseminati su tutto il fianco della montagna, anche in posizioni raggiungibili solo calandosi dall’alto con corde, come certamente hanno fatto.

Kazbech rientra nella sua tenda. Guarda Barbath, l’uomo che non è riuscito a piegare. Kazbech sa che probabilmente oggi morirà, perché la manovra di Denis di Rougegarde lo ha messo in una posizione di inferiorità e Kazbech non ha nessuna intenzione di cadere vivo nelle mani del nemico e vedere il disfacimento del suo regno: Kazbech non si arrenderà.

È ora di separarsi dal suo schiavo.

Barbath è stato più forte di lui. Ha sopportato ogni umiliazione, senza cedere. Perché Barbath è solo uno schiavo, è stato posseduto da un porco, ma Barbath non si è piegato.

- Oggi morirai, Barbath. Sulla croce. Ti farò crocifiggere.

Barbath non dice nulla.

- Spogliati, Barbath.

Barbath si toglie la fascia. Lo schiavo obbedisce, come sempre.

 

Barbath viene portato nella piccola caverna che ha dato il nome al passo: Kazbech non vuole che una freccia cristiana abbrevi l’agonia del suo schiavo.

La rientranza nella roccia in realtà non è una vera e propria caverna, solo una spaccatura larga ma poco profonda che offre un certo riparo. E in effetti alcuni guerrieri si sono rifugiati lì per non essere colpiti dalle frecce. Kazbech li guarda, furente:

- Fuori, vigliacchi! A combattere.

Non c’è nessuna battaglia da affrontare, il nemico non può essere raggiunto. Ma gli uomini sanno di non poter disobbedire.  Si alzano a malincuore e si dirigono all’uscita. Appena il primo esce, viene colpito da una freccia che gli si conficca nel torace. L’uomo grida e cade a terra.

Uno degli altri soldati arretra. Kazbech estrae la spada e l’abbatte sul collo dell’uomo, quasi staccandogli la testa dal busto. Gli altri guardano il loro compagno cadere e si allontanano correndo.

Kazbech ordina ai soldati che lo hanno accompagnato:

- Crocifiggetelo.

I soldati mettono a terra i due pali che hanno portato con sé. Li legano saldamente.

Barbath si distende docile sulla croce. I soldati gli legano i polsi al palo orizzontale e le caviglie a quello verticale.

- Pisciategli addosso.

I soldati obbediscono: uno dopo l’altro pisciano sulla faccia e sul corpo di Barbath.

La croce viene issata. Barbath sa che lo attende una lunga agonia. Ma è contento di morire, di vedere la fine di questo inferno di umiliazioni e violenze.

Kazbech si rivolge a Imad: sa che di lui si può fidare.

- Lo castrerai, Imad. Gli taglierai il cazzo e i coglioni, ma solo quando i cani cristiani saranno qui. Voglio che la sua agonia duri il più a lungo possibile.

 

Il campo è una distesa di morti e feriti. Non ci sono posti per ripararsi. Parecchi soldati hanno cercato la salvezza nella fuga, correndo verso il sentiero che li ha portati al passo o provando a scendere dall’altra parte, ma hanno trovato altri guerrieri in agguato e pochissimi sono riusciti a tornare verso Jabal al-Jadid, nessuno è potuto fuggire verso l’Arram.

A Kazbech sembra incredibile. Non è possibile che dopo tante vittorie, il suo esercito venga annientato senza nemmeno un vero combattimento.

Ma ormai non c’è più speranza, Kazbech sa bene che la battaglia è persa. No, non c’è stata nemmeno una battaglia. Ora l’esercito cristiano sta scendendo dalle montagne. Sono tantissimi e gli uomini di Kazbech sono decimati. Finalmente si potrà combattere davvero, ma quanti dei suoi uomini sono ancora in grado di combattere?

Lo scontro è breve, l’esercito di Kazbech non esiste più e i superstiti sanno che ogni resistenza è inutile. E poi, perché morire per questo feroce emiro straniero che ormai è stato sconfitto? Molti si arrendono, altri pensano soltanto a fuggire. Gli unici a resistere sono i circassi, che ancora si sforzano di combattere, ma sono ormai pochissimi e vengono rapidamente sbaragliati.

Kazbech riconosce il Cane dagli occhi azzurri, l’uomo che lo ha sconfitto. Avanza verso di lui. Vuole ucciderlo. I due condottieri si affrontano. Denis di Rougegarde è un avversario formidabile e presto Kazbech si rende conto che non riuscirà ad avere ragione di lui. Rischia invece di essere catturato, perché ormai è quasi il solo a combattere ancora: i suoi uomini sono morti o si sono arresi. Allora Kazbech sposta leggermente la spada sulla destra e lo scudo verso sinistra, scoprendo il petto. È un piccolo spostamento, ma per un guerriero esperto come Denis d’Aguilard è più che sufficiente. Con un movimento rapido Denis immerge la spada nel ventre di Kazbech, fino a che la lama esce dalla schiena, poi la ritira.

Kazbech barcolla. Lascia cadere lo scudo e la spada, cade in ginocchio. Si appoggia sulle braccia, incapace di sostenersi. Mormora:

- Barbath!

Dietro di lui Denis preme la spada sulla nuca e con un colpo secco la infila nel collo, premendo finché la punta tocca il suolo.

Kazbech scivola lentamente sulla lama, mentre il mondo scompare. La testa rimane poggiata a terra. Dalla bocca il sangue esce a fiotti. 

 

Imad ha aspettato a castrare Barbath: è un servitore fedele e intende eseguire gli ordini del suo signore, anche se la battaglia è ormai perduta.

Adesso un gruppo di franchi sta arrivando anche nel punto riparato dove è stato crocifisso Barbath.

Imad prende il coltello e alza il braccio. La sinistra afferra il cazzo e i coglioni di Barbath. Alza la destra per recidere, ma sente un dolore violentissimo alla schiena e al petto. La lancia che lo ha trapassato lo inchioda alla croce, tra le gambe di Barbath. Le braccia gli ricadono, benché cerchi disperatamente di sollevarle ancora, e il coltello scivola al suolo. Imad respira affannosamente, mentre il mondo ondeggia davanti ai suoi occhi e poi svanisce.

Barbath non verrà castrato. Imad non ha potuto eseguire l’ultimo ordine del suo padrone.

 

Intanto Denis estrae la spada e calandola recide la testa di Kazbech. La fa infilare su una lancia e sollevare, in modo che tutti possano vedere. Ma ormai la battaglia è finita.

Ferdinando si avvicina a Denis.

- Vieni a vedere. Abbiamo trovato un uomo crocefisso.

Denis controlla con un’occhiata circolare la situazione e poi segue Ferdinando. Contro la parete, in una rientranza, è stata montata una croce, su cui un uomo si contorce, sollevandosi spasmodicamente per far entrare un po’ d’aria nei polmoni. Un altro uomo è appoggiato alla croce, una lancia piantata nella schiena.

- Lo voleva castrare. Gli ho tirato la lancia.

Denis guarda l’uomo crocifisso.

- Tiratelo giù.

La croce non è molto in alto. Un uomo slega i piedi di Barbath, un altro si arrampica sulla croce, salendo sulle spalle dei compagni, e scioglie le corde che legavano le braccia. Sostiene il corpo dell’uomo agonizzante, mentre i compagni da sotto lo raccolgono.

Il cadavere di Imad rimane inchiodato alla croce dalla lancia. Uno degli infiniti morti.

Denis ritorna al punto in cui giace il cadavere di Kazbech.

- Lo impaliamo, come monito per chi vorrà attaccare Rougegarde.

Ferdinando annuisce:

- Sì, è una buona idea. E lo castriamo, come lui avrebbe fatto con noi.

Ferdinando si fa aiutare da due uomini e spoglia il cadavere.

- Porcoddio, questo figlio di puttana aveva un bel cazzo.

Ferdinando ride. Prende il coltello e incomincia a tagliare.

- E che coglioni. Proprio un gran maschio. Porcoddio, l’avrei fottuto volentieri.

Ferdinando infila i genitali del Circasso nella bocca del morto. Spinge all’interno i coglioni, lasciando che il cazzo sporga. Osserva il risultato del suo lavoro e ride.

Il corpo e la testa vengono trascinati all’estremità settentrionale del pianoro, dove arriva il sentiero che sale dai territori saraceni.

Gli uomini hanno preparato il palo. Il corpo viene tenuto fermo, mentre Ferdinando spinge con una mazza il palo dentro il cadavere, fino a che la punta esce dalla spalla. Il palo viene issato. Ferdinando infilza la testa sulla punta aguzza. Poi guarda il corpo e di nuovo ride.

- Porcoddio, che bello spettacolo.

La carogna viene lasciata a marcire al sole, divorata dagli insetti. Ma al passo sono tantissimi i cadaveri destinati a putrefarsi al sole, talmente numerosi che in certi tratti si cammina a fatica e in altri non si può passare senza calpestare i morti. Ben presto in cielo incominciano a volteggiare gli avvoltoi.

Il Passo della Caverna verrà chiamato da tutti il Passo dei Morti. E per molti anni tutti eviteranno questo luogo maledetto, dove dicono aggirarsi gli spettri dei guerrieri che non hanno avuto sepoltura.

Di un grande esercito sono rimasti solo alcuni prigionieri, che vengono condotti a valle. Saranno schiavi, ma a Rougegarde potranno riscattarsi, pagando.

 

La notizia della sconfitta è giunta a Jabal al-Jadid: l’ha portata uno dei pochi soldati scampato al massacro. Ha raccontato della morte del Circasso e della vittoria di Denis di Rougegarde.

I cittadini sono increduli. Piccoli gruppi si formano nelle strade. Alcuni discutono animatamente, altri preferiscono tacere. E se non fosse vero? Se fosse un trucco di Kazbech? Il Circasso non è nuovo a tranelli di questo genere, a Halel ha fatto organizzare una congiura per scoprire chi gli era ostile e poi ha giustiziato i congiurati in un modo orribile.

Altri tre soldati arrivano e confermano la notizia. Sono uomini della città, di loro ci si può fidare. È uno di loro a dire per primo ciò che molti pensano:

- L’usurpatore è morto, non tornerà. Possiamo sbarazzarci anche della sua puttana, quella che ha sposato l’assassino di suo padre e dei suoi fratelli.

Alcuni uomini prendono armi e bastoni e si dirigono a palazzo. Man mano che la folla si avvicina, cresce di numero: uomini e donne si uniscono, spinti dal desiderio di vendetta o dalla prospettiva di saccheggiare il palazzo.

Nabila è già stata avvisata della sconfitta. Si rende conto che la sua vita e quella del piccolo Mondar sono in pericolo e non si stupisce quando le dicono che la folla vuole assalire il palazzo. Non sa che cosa fare per salvarsi: dovrebbe fuggire, ma dove? Non conosce nessuno che possa accoglierla. Per le strade della città di certo qualcuno la riconoscerebbe e verrebbe uccisa.

Nel palazzo ci sono molti servitori dell’emiro precedente, Ashraf, e diverse guardie. Kalibel, il circasso che Kazbech ha lasciato come comandante della guarnigione, dà ordine di chiudere le porte e di prepararsi alla difesa. La folla che raggiunge il portone esita vedendo gli uomini armati sulle mura: molti si aspettavano di non incontrare resistenza, ma soldati e servitori sembrano intenzionati a difendersi. Probabilmente sanno che la folla scatenata potrebbe prendersela anche con loro.

Qualcuno se ne va: chi possiede qualche cosa ha paura che ci siano disordini e saccheggi in città e sceglie di tornare a sorvegliare la propria casa o la bottega. Altri, che hanno poco da perdere, rimangono sotto le mura. Gridano, esigono che Nabila venga consegnata loro, imprecano, minacciano. Ma non sono certo in grado di attaccare.

Per il momento la situazione è sotto controllo, ma per quanto tempo?

Kalibel raggiunge Nabila:

- Principessa, bisogna che tu lasci il palazzo con il principe Mondar. Nella notte sarà possibile uscire da una delle porte secondarie.

- Uscire? Ma se qualcuno mi vedesse per le vie…

- Io e gli altri circassi ti accompagneremo dove vorrai.

- E dove potrei andare, Kalibel?

La moglie e il figlio del Circasso non sarebbero bene accolti in nessuna città della Siria.

- Verso Halel, principessa. E se non ti accoglieranno là, torneremo nelle nostre terre, dal fratello del principe Kazbech, che ti proteggerà.

 

È notte fonda. Nella loro stanza, Waahid e Latif sono ancora svegli. Come tutti nel palazzo, sono preoccupati per quello che potrebbe succedere nel caso di un attacco da parte della folla. Per farsi coraggio, parlano.

- Devono essere tutti morti. Che ne sarà stato del comandante?

- Spero che Allah lo abbia protetto. Non meritava di morire.

- Non meritava niente di quello che ha passato, Latif.

C’è un momento di silenzio. Sentono dei passi.

Waahid si alza e si muove. Raggiunge la porta. Qualcuno sta passando nel corridoio. Più persone. Si muovono senza parlare, cercando di non fare rumore. Che cosa succede? Ladri? Servitori che fuggono?

Dal corridoio si passa nel giardino interno. Waahid e Latif spiano dalla finestra. Alla luce della luna possono vedere alcune ombre. Uomini armati e una donna che ha un fagotto tra le braccia. Quando le ombre sono scomparse in direzione di un’uscita secondaria, Latif dice:

- Probabilmente Kalibel e i circassi rimasti accompagnano Nabila fuori dal palazzo, in qualche posto sicuro.

- Sì, credo che tu abbia ragione.

Latif riflette un momento e dice:

- Waahid, quei dipinti, quelli che hai fatto di Barbath e del Circasso, sai dove sono?

- Sì, il Circasso li teneva in una stanza del suo appartamento. Glieli ho visti prendere e riporre quando aggiungeva un altro dipinto.

- Se davvero se ne sono andati… Waahid, non è giusto che qualcuno possa vedere quei dipinti. Il comandante non se lo merita.

Waahid rimane un momento in silenzio.

- Sì, Latif. Domani mattina…

- No, Waahid. Domani mattina i servitori avranno scoperto la fuga di Nabila e facilmente qualcuno di loro frugherà nelle stanze del Circasso per impadronirsi degli oggetti di valore, se ne trova. Non vorrei che trovasse anche quei dipinti e li facesse vedere in giro.

Latif pensa anche che domani mattina la folla potrebbe attaccare il palazzo e i servitori potrebbero aprire le porte. Ma non vuole spaventare Waahid, che è già preoccupato.

- Dici… di farlo adesso?

Waahid ha paura.

- Lo dobbiamo al comandante.

Waahid annuisce. Anche lui ritiene che debbano farlo, per Barbath. Ma quando escono dalla stanza, trema.

Latif ha una lanterna cieca. Non c’è nessuno davanti all’appartamento di Kazbech: di certo Kalibel ha fatto in modo che fossero di turno i suoi circassi, per evitare che qualcuno desse la notizia della fuga. Molti servitori odiavano il Circasso e non hanno sicuramente simpatia per Nabila.

La stanza in cui Kazbech teneva i dipinti è sulla destra. La raggiungono. Si sente un rumore fuori. Waahid trasale.

La cartella con i dipinti è al suo posto. Waahid l’apre. Vuole cercare quelli che raffigurano Barbath e il Circasso.

- No, Waahid, non qui. In camera nostra.

Waahid annuisce. È più saggio fare il controllo in camera. Nessuno penserà alla cartella e nessuno si stupirebbe di trovarla nel laboratorio di Waahid. Rapidamente ritornano nella loro camera.

 

Waahid e Latif controllano i dipinti. Ci sono tutti: i ritratti che il Circasso si è fatto fare, quelli di Barbath, gli altri dipinti e disegni che Waahid aveva quando la città è stata conquistata dal Circasso e infine le scene delle violenze subite da Barbath.

Prendono solo queste ultime. Waahid dice:

- Nascondiamoli. Domani li distruggeremo.

- No, se domani il palazzo venisse attaccato, potrebbero scoprirli. Facciamolo ora.

Da ogni miniatura Waahid e Latif tagliano la parte centrale, con le figure del Circasso e di Barbath. Poi riducono in minuscoli pezzetti le immagini e infine le gettano nella latrina. La cartella con i dipinti viene messa nel laboratorio.

Waahid e Latif si coricano. Si stringono l’uno all’altro. Hanno paura, non sanno che cosa riservi loro il destino. La sconfitta del Circasso ha liberato la città dal suo dominio, ma il futuro è incerto. Ci saranno disordini, forse il palazzo sarà attaccato. Ma l’essere insieme dà loro forza. E sentono di aver fatto quanto dovevano.

 

Il giorno seguente si diffonde la notizia che Nabila è fuggita con il figlio e gli ultimi circassi. Qualcuno vorrebbe organizzare una spedizione per raggiungere i fuggitivi. I circassi sono soltanto otto e, per quanto valorosi, non potrebbero difendersi da un contingente molto più numeroso.

Ma gli uomini validi rimasti in città non sono molti e ora gli abitanti si pongono altri problemi.

Che cosa succederà? Il Cane dagli occhi azzurri scenderà a conquistare Jabal al-Jadid? La città non ha abbastanza soldati per resistere: i guerrieri cristiani potrebbero espugnarla facilmente lanciandosi all’assalto delle mura sguarnite. Ma Nur ad-Din non permetterà che Jabal al-Jadid cada nelle mani degli infedeli. Sicuramente interverrà. Il giovane ‘Izz ibn Ashraf è il legittimo sovrano. Dicevano che alcuni ufficiali l’avessero portato a Damasco, ma poi era giunta voce che fosse scomparso nel nulla, che il Circasso fosse riuscito a farlo uccidere.

La città vive giorni inquieti.

Ma l’esercito franco non avanza. Dai posti di guardia al confine arrivano notizie rassicuranti. E presto si scopre che Nur ad-Din sta avanzando verso Jabal al-Jadid.

 

Anche a Rougegarde è giunta la notizia della battaglia al Passo della Caverna, portata dai messaggeri di Denis. In tutta la città non si parla d’altro: l’esercito del Circasso è stato annientato, non c’è stata una vera battaglia, ma un’ecatombe, e il Passo della Caverna è un immenso carnaio in cui banchettano gli avvoltoi. Tutti sono stupefatti: credevano che le truppe del duca fossero nell’accampamento alle porte della città o nelle vicinanze di Rougegarde e invece erano tra i monti. L’assedio temuto non ci sarà, la minaccia è svanita. A molti viene in mente la conquista di Rougegarde, che avvenne in una notte: gli abitanti si svegliarono il mattino e scoprirono di aver cambiato signore. E ora che tutti si attendevano un lungo assedio e battaglie sotto le mura, scoprono che il combattimento è avvenuto lontano e il pericolo che incombeva è stato evitato. Ciò che si dice del duca è vero: per i cristiani sono le armate degli angeli a combattere al suo fianco, per i musulmani sono le schiere infernali, ma in ogni caso nelle sue vittorie c’è qualche cosa che va molto oltre le forze umane. Il Circasso, che aveva conquistato gran parte della Siria settentrionale, è morto e il suo esercito è stato annientato quasi senza una battaglia. Non è opera di potenze sovrannaturali, questo?

C’è un clima di grande festa in città.

È Morqos a portare la notizia ai quattro arabi alloggiati nella casa del mercante Giovanni. Pierre ha accompagnato il duca nella spedizione e in questo momento Morqos è l’unico nella casa a essere informato della reale identità degli stranieri.

 - Il Circasso è morto, le sue truppe sono state massacrate dal duca, al Passo della Caverna. Sono sopravvissuti pochissimi uomini. Non ci sarà un assedio, il pericolo è scongiurato.

Quando Morqos è uscito, i quattro uomini si guardano. Feisal scuote la testa e dice:

- Non avrei mai pensato che un giorno sarei stato contento di sapere che un esercito cristiano aveva sbaragliato un’armata di credenti.

Qais ride:

- Hai detto quello che pensavamo tutti. ‘Izz, credo che presto potrai ritornare in patria.

Feisal annuisce e aggiunge:

- Ma dagli ismailiti bisognerà guardarsi. Non è detto che rinuncino ad agire.

Questo è un problema serio, lo sanno tutti. Anche a Jabal al-Jadid ‘Izz non sarà al sicuro, se gli ismailiti vorranno ucciderlo.

Più tardi Qais va a caccia di notizie. Loro quattro hanno tutti in testa la stessa domanda, anche se nessuno l’ha posta. Qais gira per le strade e si unisce ai capannelli di arabi che commentano. Talvolta si avvicina anche ai gruppi di cristiani, ma della lingua dei franchi non conosce ancora abbastanza da riuscire a seguire una conversazione.

Nei quartieri arabi non si parla d’altro. Con un certo stupore Qais si accorge che anche per i musulmani la sconfitta del Circasso è una buona notizia: non ci sarà un assedio, non ci saranno massacri e saccheggi. Tutti preferiscono vivere sotto il duca che sotto il Circasso. Anche per loro la morte di Kazbech significa soltanto che una minaccia è stata allontanata e la vita può riprendere tranquilla.

Qais chiede dei prigionieri, dei feriti, ma si sa ben poco. La battaglia dev’essere stata davvero una carneficina per le truppe saracene e Qais si dice che probabilmente tra le vittime ci sono anche guerrieri di Jabal al-Jadid che lui conosceva.

Quando torna a casa, Qais racconta ciò che ha sentito.

La domanda sfugge a Feisal, anche se sa che è una richiesta assurda:

- Sai qualche cosa del comandante Barbath?

Per tutti loro Barbath è il comandante, anche se da tempo era solo uno schiavo.

- No, nessuno sa nulla. Ho chiesto, ma per il momento si sa solo quello che ho riferito.

Barbath era prigioniero del Circasso, che lo portava sempre con sé. Ha trovato anche lui la morte al Passo della Caverna? Nessuno può dirlo.

 

L’esercito ritorna due giorni dopo.

Ferdinando vuole rientrare a Qasr Arram: deve provvedere a molte cose. Prima di andarsene, parla con Denis. A un certo punto osserva:

- Abbiamo fatto un grande favore a Nur ad-Din, rafforzando la sua posizione.

Denis di Rougegarde annuisce.

- Sì, non c’è dubbio, ma abbiamo anche guadagnato diversi anni di pace con i nostri vicini.

- Voi dite, duca?

- Gli eserciti di tutti i centri più prossimi sono stati decimati. Ci vorranno anni prima che Jabal al-Jadid possa riprendersi. E Nur ad-Din non potrà raccogliere un grande esercito in queste terre dove tantissimi guerrieri sono morti.

- Avete ragione.

Ferdinando esita un momento, poi dice:

- Denis, che intendete fare del prigioniero?

I prigionieri sono parecchi. Ma sanno entrambi che Ferdinando allude a Barbath, il Flagello, come lo chiamano nelle terre cristiane.

A Ferdinando quest’uomo forte è piaciuto subito. Denis ha intuito a che cosa mira Ferdinando. Non gli va l’idea che Barbath venga stuprato. Risponde:

- Non ho ancora deciso. Sta riprendendosi solo ora.

- Mi piacerebbe averlo come mia parte del bottino.

La vittoria non ha portato un grande bottino: solo i prigionieri catturati e poche cose di valore che Kazbech aveva con sé.

Denis scuote la testa.

- Ferdinando, Barbath è un guerriero valoroso.

Ferdinando ride.

- Proprio per questo.

- Ne riparleremo.

- Va bene, Denis. Io oggi torno al mio palazzo. Sarò qui tra qualche giorno.

 

Al rientro dell’esercito in città incominciano a circolare le notizie della battaglia. In giro si dice anche che i franchi hanno trovato un uomo che il Circasso aveva fatto crocifiggere. L’uomo era ancora vivo e il duca lo ha fatto portare a Rougegarde. Pare che si tratti di Barbath, il Flagello dei cristiani.

Feisal ha l’impressione di impazzire. Barbath è vivo, anche se forse in pericolo di vita, è prigioniero, è a Rougegarde.

Feisal chiede a ‘Izz l’autorizzazione a contattare il duca: anche se ‘Izz ha solo sedici anni, è lui l’emiro. ‘Izz gli dice di fare tutto il possibile per liberare Barbath.

Feisal informa Pierre che vorrebbe parlare con il duca. Denis di Rougegarde ha molto da fare in questi giorni, ma riceve Feisal il mattino seguente, molto presto.

Dopo aver salutato il duca e avergli reso omaggio, Feisal dice:

- Duca, in città si dice che tra i prigionieri che hai portato con te ci sono alcuni uomini di Jabal al-Jadid e tra questi il grande Barbath, un uomo giusto e valoroso, che il Circasso ha fatto crocifiggere.

- Sì, Barbath è qui a palazzo. Si è ripreso.

Feisal sente che le gambe gli cedono. Con uno sforzo cerca di controllare l’emozione e di non lasciare trapelare ciò che prova.

- Duca, Barbath era il comandante delle truppe di Jabal al-Jadid, che affrontò l’esercito del Circasso e venne sconfitto per volontà di Allah. Fu lui a portare in salvo l’erede dell’emiro, ‘Izz ibn Ashraf, che tu hai generosamente ospitato e che ora proteggi. Tutti noi gli siamo debitori della vita.

Feisal si ferma un attimo. Denis risponde:

- Barbath è prigioniero e per ora non posso rendergli la libertà, ma se lo desideri, posso farti parlare con lui.

Feisal chiude un attimo gli occhi, sopraffatto dall’emozione. Sa di essere impallidito e il duca di certo deve essersene accorto. Mormora, senza riuscire a nascondere il tremito nella voce:

- Ti ringrazio, duca.

 

Barbath guarda fuori dalla finestra della stanza che gli ha messo a disposizione il duca, nell’area degli alloggiamenti militari. Non è una cella, anche se Barbath non può lasciarla: si tratta probabilmente di una delle stanze riservate agli ufficiali.

Fisicamente Barbath sta bene, ma dentro di lui c’è un grande vuoto. L’incubo è finito, ma la sua vita non ha più senso. Barbath avrebbe preferito morire sulla croce. Non sa che cosa lo aspetta, ma spera che sia la morte. Ashraf non avrebbe mai rilasciato un comandante franco valoroso: lo avrebbe fatto decapitare, mandando la testa in dono a Nur ad-Din. Un signore catturato può essere riscattato, ma un grande guerriero va eliminato. Barbath sarebbe contento di morire. Non si è mai piegato davanti al Circasso, ma adesso che Kazbech è morto, Barbath si è reso conto che solo la volontà di resistere lo ha mantenuto in vita.

Un soldato apre la porta della stanza.

- C’è una visita per te.

Feisal entra. Barbath lo guarda, smarrito.

- Barbath! Comandante!

Barbath scuote la testa e fa due passi indietro, mentre Feisal avanza. Feisal si blocca, sconcertato dalla reazione di Barbath.

- Barbath…

- Perché sei qui?

La voce di Barbath è aspra, quasi ostile.

- Ci siamo rifugiati qui, perché gli ismailiti vogliono uccidere ‘Izz e Nur ad-Din sapeva di non poterci proteggere. Il duca ci ha accolto in gran segreto.

- Gli ismailiti? Ma perché… Kazbech, vero?

- Credo di sì.

C’è un momento di silenzio. Si guardano, immobili. Feisal riprende, mentre una vertigine di dolore lo fa incespicare nelle parole:

- Barbath… comandante… perché…

Non riesce a continuare. Ama quest’uomo che si tiene a distanza e lo guarda, indifferente, ostile.

Rimangono muti, poi Barbath dice:

- Porta i miei saluti a ‘Izz. Spero che possiate tornare a Jabal al-Jadid presto.

Feisal ha la sensazione che lo abbiano pugnalato.

- Barbath…

- Dimenticami, Feisal.

Barbath si volta e guarda fuori dalla finestra. Per lui il colloquio è finito.

Feisal fa un passo avanti.

- Barbath!

Barbath non si volta. La sua voce è un ringhio ostile:

- Vattene! Ora!

È uno schiaffo. Feisal barcolla ed esce, senza dire più nulla.

Prima di tornare a casa, si ferma a bere una bevanda calda per avere il tempo di riprendersi. Barbath è vivo, ma l’uomo che Feisal ha visto non è Barbath: è uno sconosciuto ostile.

Quando infine Feisal si è ripreso, raggiunge ‘Izz e gli altri e racconta loro che Barbath è vivo, ma molto cambiato e che lo ha congedato bruscamente. Raccontarlo è doloroso. Qais lo guarda e nei suoi occhi Feisal legge che ha capito. Qais non dice nulla, ‘Izz e Mahdi chiedono, non capiscono. Feisal non ha risposte.

È Qais infine a parlare:

- Il comandante Barbath è stato a lungo prigioniero del Circasso e ha visto l’inferno. Dovremo aiutarlo a uscirne. Ci riusciremo. In qualche modo otterremo la sua liberazione.

 

Nur ad-Din e le sue truppe si dirigono verso nord. Da tutta la regione numerosi emiri e sceicchi si sono uniti all’esercito del signore della Siria: sperano di ottenere da Nur ad-Din una città o un villaggio o una fortezza, come ricompensa per la fedeltà dimostrata. Nur ad-Din intende rimettere sul trono i legittimi eredi delle città che il Circasso ha conquistato, ma in alcune le famiglie regnanti sono state sterminate: il loro territorio dovrà essere assegnato ad altri.

Nur ad-Din giunge a Jabal al-Jadid, che gli apre le porte. Il signore della Siria prende possesso della città in nome dell’erede legittimo, ‘Izz ibn Ashraf. Dove sia il giovane, nessuno lo sa, ma Nur ad-Din proclama che sarà lui a regnare.

Nur ad-Din è intenzionato a cancellare per sempre dalla Terra la stirpe del Circasso. Chiunque fornirà informazioni su come trovare Nabila e il figlio Mondar, sarà ricompensato. Nur ad-Din non nasconde le sue intenzioni: il bambino sarà soppresso. Di Nabila poco gli importa: è solo una femmina. Probabilmente sarà eliminata anche lei o resa schiava.

La promessa di una ricompensa scioglie le lingue. Tutti pensavano che Nabila fosse ormai lontana, ma i circassi e Nabila non hanno potuto fare molta strada: il bambino si è ammalato e hanno dovuto fermarsi in una fattoria non molto lontano dalla città.

Nur ad-Din manda immediatamente un centinaio di uomini, guidati da Abdul-Qaadir.

La fattoria viene raggiunta e circondata. L’anziano contadino si presenta ad Abdul-Qaadir e si inginocchia. Non nega di aver ospitato i fuggitivi, ma dice di non aver avuto nessuna scelta: i circassi lo avrebbero ucciso. Abdul-Qaadir sa che è vero e poco gli importa di quest’uomo.

- Dove sono, ora?

- Hanno saputo del tuo arrivo, comandante, e poche ore fa sono fuggiti verso nord.

I cavalieri si mettono alla ricerca delle tracce dei fuggitivi, che in effetti portano verso nord.

I circassi si muovono in fretta, anche di notte, fermandosi il minimo indispensabile per riposare. Ci vogliono due giorni perché i soldati di Nur ad-Din riescano a raggiungerli. Li trovano accampati in una valle. Abdul-Qaadir si stupisce che abbiano montato anche una tenda, sapendo di avere gli inseguitori alle calcagna, ma di certo è per Nabila.

Abdul-Qaadir fa circondare l’accampamento e manda un uomo a intimare la resa. Kalibel respinge con sdegno la richiesta: non consegnerà l’erede dell’emiro di Halel, intende proteggerlo a costo della vita.

Quando il messaggero torna con la risposta, Abdul–Qaadir fa disporre gli arcieri, che a un segnale del comandante scagliano le frecce. Tre circassi vengono abbattuti. Poi Abdul-Qaadir dà l’ordine di attaccare. I circassi si difendono con valore, ma la disparità numerica non lascia loro nessuna speranza.

Abdul-Qaadir affronta personalmente Kalibel, mentre i suoi uomini massacrano i circassi. Kalibel è un avversario formidabile e il combattimento dura a lungo. Infine Abdul-Qaadir riesce a ferire al braccio destro Kalibel, a cui la spada sfugge dalla mano. Kalibel fa per afferrare con la sinistra il pugnale, ma Abdul-Qaadir è su di lui e gli infila la spada nel ventre. Kalibel emette un gemito. Abdul-Qaadir spinge con forza e la spada affonda nel corpo ed esce dalla schiena. Kalibel vacilla e quando Abdul-Qaadir estrae la spada, il circasso cade a terra, agonizzante.

Abdul-Qaadir lo lascia al suolo e si dirige verso la tenda dove di certo si trova Nabila con il bambino.

Abdul-Qaadir entra. La tenda è vuota.

- Merda!

Abdul-Qaadir esce e raggiunge Kalibel.

- Cane, dov’è la donna?

Kalibel lo guarda. Nonostante i singulti che lo scuotono, ha un sorriso di scherno.

- Non l’avrete mai.

Abdul-Qaadir intuisce: i circassi si sono allontanati senza la donna, per permetterle di scappare in un’altra direzione. Mentre Abdul-Qaadir li inseguiva verso nord, Nabila si è diretta altrove. Sono passati due giorni e ce ne vorranno almeno altri due per tornare alla fattoria. Merda!

Abdul-Qaadir è furente. Punta la spada al petto di Kalibel, per finirlo. Poi sorride e scuote la testa. Dice a uno dei suoi uomini:

- Togligli i pantaloni.

L’uomo esegue. Kalibel si tende: ha intuito ciò che lo aspetta.

- Ora castralo, come il suo signore faceva con i nemici.

Kalibel freme, ma stringe i denti e non dice nulla.

Il soldato si china e con il coltello recide il cazzo e i coglioni di Kalibel, che ha una smorfia di dolore, ma riesce a non urlare.

- Mettiglieli in bocca.

Dopo che il soldato ha concluso l’opera, Abdul-Qaadir volta il corpo di Kalibel con un calcio, si china e gli infila la spada in culo, spingendola a fondo. Kalibel emette un grido soffocato mentre solleva la testa con uno scatto e poi la reclina.

I circassi vengono tutti decapitati.

Le loro teste vengono consegnate a Nur ad-Din, che le fa esporre infilzate su pali davanti alle mura di Jabal al-Jadid.

Ma nessuno sa dove cercare Nabila.

Dopo il ritorno di Abdul-Qaadir, Nur ad-Din prosegue il suo percorso.

Shaqra viene resa a un membro della famiglia che vi regnava, un fratello di quel Khuzaymah che rifiutò di cedere la città ad Ashraf e venne trafitto dalle frecce sulla croce. Davanti a Nur ad-Din il nuovo sceicco giura di rinunciare a ogni pretesa sul territorio di Qasr Rim, per cui scoppiò la guerra tra Shaqra e Jabal al-Jadid: il signore di tutta la Siria non vuole che nuove guerre interne indeboliscano il paese.

Non esistono invece eredi per Barqah, dove Nur ad-Din insedia un suo uomo di fiducia. Anche a Marwan l’intera famiglia regnante è stata sterminata, a parte forse il piccolo Ridwan, che è scomparso nel nulla, portato via dall’emiro Sabri. Perciò Nur ad-Din sceglie un nuovo signore. Se si dovesse scoprire che Ridwan è ancora vivo, in qualche modo verrà indennizzato.

Le cittadine minori che Dakhir aveva conquistato nel primo periodo di espansione recuperano la propria indipendenza. Villaggi e fortezze vengono distribuiti ad altri uomini fedeli a Nur ad-Din. Molti ritornano soddisfatti dalla spedizione, solo qualcuno è invece deluso.

Rimane Halel, che apre le porte al signore di tutta la Siria. Alla notizia della carneficina del Passo dei Morti, il palazzo è stato attaccato. Suleiman è stato trascinato in piazza e linciato dalla folla, che ne ha fatto a pezzi il cadavere. Quando Nur ad-Din arriva, la testa del traditore è infilzata su un palo accanto alla porta della città.

Anche Halel ha bisogno di un signore. Un erede legittimo per la città vi sarebbe: il figlio di Nabila e del Circasso, ma di certo nessuno vuole che regni il figlio dell’uomo che ha sterminato tutta la famiglia dei signori di Halel. E la volontà di Nur ad-Din è nota a tutti. Nur ad-Din assegna Halel a uno dei suoi guerrieri. Poi riprende il viaggio di ritorno verso Damasco.

 

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Nabila non si è allontanata molto da Jabal al-Jadid. Quando i circassi hanno saputo di essere stati traditi, Kalibel le ha consigliato di dirigersi verso i territori franchi: in tutta la Siria la sua vita è in pericolo.

Dopo tre giorni in cui ha camminato, cercando di tenersi lontana dai villaggi e comprando un po’ di cibo nelle cascine isolate, Nabila ha ottenuto ospitalità in una fattoria. Ha raccontato che il marito è rimasto ucciso nella guerra e che ora cerca di raggiungere il fratello, che abita vicino ad al-Hamra.

Ma un giorno Immanuel, il contadino ebreo che l’ha accolta, torna a casa dopo essere stato al villaggio e le dice:

- Tu sei Nabila, vero? E tuo figlio è Mondar.

Nabila china il capo. Sa che è inutile negare. Quando rialza la testa, sta piangendo. Dice:

- Questo bimbo non ha colpe.

L’uomo scuote la testa.

- Nabila, non intendo denunciarti. Ma non puoi rimanere qui. Prima o poi qualcuno ti tradirebbe.

- Dove posso rifugiarmi, se tu mi scacci?

- Non ti voglio scacciare, ma ti porterò lontano. Qui la tua vita sarebbe in pericolo.

Nella notte Immanuel e Nabila partono, dirigendosi verso le terre dei franchi. Il confine non è molto lontano, ma il viaggio presenta diversi pericoli, soprattutto per la presenza di briganti.

Immanuel e Nabila giungono a un villaggio tra le montagne. Si presentano come marito e moglie con il loro figlioletto e ottengono ospitalità per la notte da un vecchio contadino. Anche se nel villaggio si sapesse che una donna con un bambino piccolo è ricercata in tutta la Siria per volontà di Nur ad-Din, nessuno sospetterebbe di questa famigliola tranquilla, che vuole raggiungere dei parenti in un villaggio vicino ad al-Hamra.

Immanuel chiede informazioni sulla strada da percorrere.

- La via più breve è quella del Passo dei Morti, ma nessuno la percorre più.

- Il Passo dei Morti è dove c’è stata la battaglia?

- La battaglia? Non hanno combattuto. Sono stati scannati come agnelli, dai demoni infernali che il Cane dagli occhi azzurri evoca con un gesto della mano. Credi davvero che se ci fosse stata una battaglia il Circasso, che aveva conquistato città dopo città, sarebbe stato sconfitto?

Nabila ha abbassato gli occhi, nascondendo un tremito. Il vecchio prosegue:

- Sono morti a migliaia e adesso i loro spiriti vagano inquieti. Scendono fino qui, la notte, e li sentiamo battere alle porte della casa. Chiedono che i loro corpi vengano sepolti, ma nessuno ha il coraggio di salire fin lassù e poi, che potrebbe fare un uomo, o anche dieci? Ci sono migliaia di corpi che marciscono.

- E quella è la via più rapida per raggiungere al-Hamra?

- Non penserete mica di passare di lì? Uno del villaggio è salito a vedere, una settimana fa. È giovane ed è sempre stato coraggioso, ma quando è tornato sembrava un vecchio come me e tremava tutto. Adesso a volte la notte lo sentiamo urlare, dice che gli spiriti bussano alla sua porta. Lui è salito lassù e loro l’hanno visto. Vogliono che li seppellisca.

- Di certo non andremo al passo, la strada di Qasr Basir è più sicura.

Il mattino successivo Nabila e Immanuel si avviano. Salgono verso il passo: sanno che non rischiano di incontrare qualcuno.

Man mano che procedono Immanuel diventa sempre più nervoso. Le chiacchiere del vecchio lo hanno spaventato e in ogni caso non può assentarsi molto a lungo da casa.

- Nabila, io devo tornare.

Nabila lo guarda e annuisce. Sapeva che Immanuel non l’avrebbe accompagnata fino ad al-Hamra. Lo ringrazia, gli dona un po’ di denaro e prosegue la salita verso il Passo dei Morti. Quando scende la notte non manca più molto. Nabila dorme sotto il passo. Si è alzato il vento, un vento forte che riempie la montagna di echi sinistri. Nabila ha paura, ma sa che per lei non c’è altra strada.

Il giorno dopo riprende a salire. Il vento continua a soffiare impetuoso, infilandosi negli anfratti. Nabila tiene stretto il bambino, che dorme tranquillo.

Infine Nabila raggiunge il pianoro. C’è un palo, su cui è infilzato un cadavere in putrefazione.

Nabila sa di chi è quel corpo, anche se ormai è irriconoscibile, anche se nessuno le ha detto che il cadavere di Kazbech è stato impalato. Nabila mormora una preghiera e prosegue per la sua strada.

 

Nur ad-Din ritorna verso Damasco soddisfatto: la principale minaccia sul suo dominio è stata cancellata e il suo potere si è molto rafforzato, perché ora su diverse città regnano uomini a lui fedeli, che gli sono debitori della loro nuova posizione. Il Cane dagli occhi azzurri gli ha fatto un grande favore.

A Jabal al-Jadid, dove fa tappa prima di tornare nella capitale, lo attende un ufficiale, Feisal. 

- Signore di tutta la Siria, come tu sai, prima di morire l’emiro Ashraf mi affidò suo figlio. Abbiamo goduto della tua ospitalità finché la minaccia degli ismailiti non ci ha costretti a fuggire da Damasco. Ora ti chiedo l’autorizzazione di ricondurre in questa città il suo legittimo signore.

Nur ad-Din ha proclamato pubblicamente ‘Izz ibn Ashraf emiro di Jabal al-Jadid e ‘Izz potrebbe tornare in qualsiasi momento, ma Feisal ha ritenuto opportuno coinvolgere il signore di tutta la Siria in questo rientro, in modo da conferirgli tutta la solennità necessaria: ‘Izz è solo un ragazzo, molti uomini fedeli ad Ashraf sono morti e per il giovane emiro non sarà facile governare. Un palese sostegno da parte di Nur ad-Din gli sarà senz’altro utile.

Nur ad-Din è soddisfatto della deferenza dimostrata da Feisal e lo invita a ricondurre ‘Izz in patria.

 

Feisal torna a Rougegarde e i quattro prendono congedo dal duca.

Izz si rivolge a Denis di Rougegarde:

- Duca, non scorderò l’ospitalità che mi hai accordato. L’ostilità tra i franchi e i credenti potrà forse spingerci un giorno ad affrontarci in battaglia, ma per me non sarai mai un nemico.

Feisal è stupito dalle parole di ‘Izz: il ragazzo è cresciuto davvero in fretta. Sarà un buon emiro, se gli ismailiti non spegneranno la sua vita.

Al momento del congedo, Feisal chiede di rimanere un momento con il duca.

- Duca, non volete concederci di riportare in patria con noi il glorioso Barbath? Vi assicuro che pagheremo il riscatto che ci chiedete, qualunque esso sia.

- Feisal, Barbath è un prigioniero troppo importante perché io possa liberarlo senza l’autorizzazione del re. Non è mia intenzione trasformare un guerriero valoroso in uno schiavo, ma non voglio restituirgli la libertà senza il consenso del re.

Feisal si inchina. Ringrazia ancora Denis e saluta. Dentro porta una sofferenza che cerca di nascondere. Non sa che cosa sarà di Barbath, ma a pesargli più di tutto è il ricordo di come il comandante lo ha accolto quando gli ha parlato. Perché è così cambiato? Sembrava quasi odiarlo.

Se Barbath avesse reagito in modo diverso quando si sono ritrovati, adesso Feisal chiederebbe di poterlo salutare, per comunicargli che stanno per partire e che cercheranno di ottenere la sua liberazione. Ma Feisal sa che Barbath preferisce non vederlo e, anche se il pensiero lo schianta, rispetta la volontà di quello che per lui è sempre il comandante.

 

Renaud di San Giacomo d’Afrin è arrivato a Rougegarde. Formalmente Renaud e Denis hanno rapporti molto corretti, che celano la loro ostilità. Renaud chiede di essere ricevuto dal duca, che gli dà subito udienza: non intende certo mostrarsi scortese con il barone di San Giacomo d’Afrin. Denis è con Ferdinando, che da due giorni si trova a Rougegarde.

Dopo i saluti, Renaud dice:

- Duca, vengo ora da Gerusalemme, dove ho incontrato il re, che vi porge i suoi saluti e si complimenta con voi per la magnifica impresa compiuta.

Tra Denis e il re c’è già stata una corrispondenza. Dopo la vittoria Denis ha immediatamente inviato una lettera, raccontando la battaglia e spiegando i motivi per cui ha scelto di non avanzare in territorio saraceno. Re Amalrico gli ha risposto, lodando la sua impresa, e Denis ha ringraziato.

Ora Denis non capisce dove voglia arrivare Renaud, che si atteggia ad ambasciatore del re, ma sa che il barone glielo dirà.

Infatti Renaud prosegue:

- Il re ha saputo che avete catturato l’uomo che chiamano il Flagello, il comandante dell’esercito di Jabal al-Jadid.

Denis guarda Renaud, perplesso. Naturalmente il re l’ha saputo: glielo ha comunicato Denis stesso. Non ha acconsentito alla richiesta di Feisal, proprio perché aspettava di sapere se il re aveva ordini in proposito.

- Sì, Barbath è mio prigioniero.

- Il re sa che voi siete disponibile a rendere la libertà ai prigionieri se pagano il riscatto.  Il re ritiene che quest’uomo non debba essere liberato a nessun costo. E per sicurezza pensa che sarebbe meglio togliergli la vita.

Denis è sicuro che quest’ultima idea è stata suggerita ad Amalrico da Renaud, ma non si stupisce che il re l’abbia accettata: Amalrico è un uomo pragmatico e se uccidere un prigioniero è utile a difendere i territori franchi, non esita a farlo.

Renaud sa benissimo che a Denis ripugna uccidere un prigioniero. Ha suggerito lui al re di eliminarlo, per mettere Denis in difficoltà, costringendolo a scegliere tra disubbidire al re e compiere un’azione infame? Potrebbe essere. Denis sa che deve cercare una via d’uscita, senza irritare il re.

Ferdinando interviene prima che Denis abbia risposto:

- In questo caso, potremmo fare una bella caccia all’uomo. Barbath sarebbe una splendida preda. E voi, barone, potreste partecipare.

Renaud sorride, anche se il sentirsi chiamare barone da Ferdinando lo irrita sempre profondamente, perché gli ricorda che questo siciliano pezzente e ignorante è stato nominato conte e gli è superiore per grado. Renaud risponde:

- Ho sentito parlare delle cacce all’uomo che organizzate. Non nego che mi piacerebbe partecipare, a questa in particolare.

Denis guarda Ferdinando perplesso. L’amico ha in mente qualche cosa? Di sicuro a Ferdinando non dispiacerebbe cacciare un maschio vigoroso come Barbath, ma la rapidità con cui ha appoggiato la richiesta di Renaud insospettisce Denis. Ferdinando sa benissimo che Denis non vuole uccidere Barbath e abitualmente lo asseconda.

Ferdinando prosegue, rivolto a Renaud:

- Potreste portare i vostri cani. Dicono che siano molto bravi a fiutare le tracce.

Renaud è stupito. Come tutti i signori, ha dei buoni cani da caccia, ma non pensava che fossero noti in altre città per la loro abilità.

- Molto volentieri.

- Allora vediamo di combinare tra qualche giorno. Sempre che il duca sia d’accordo.

C’è un sorriso sornione sulla faccia di Ferdinando. Prima di dare una risposta, Denis vuole sapere che cosa ha in testa l’amico.

- Ne parliamo oggi pomeriggio. Adesso è ora di prepararci per il pranzo. Siete mio ospite, barone.

Il barone Renaud raggiunge l’appartamento che gli ha assegnato Denis. Ferdinando rimane con l’amico. Ghigna e dice:

- So che cosa pensi, Denis. Ma secondo me questa caccia si può fare.

 

Nel pomeriggio Denis parla di nuovo con Renaud.

- Non mi piace l’idea che un guerriero valoroso venga cacciato come un animale e sbranato dai cani. Ma se il re ritiene opportuno che Barbath muoia, non voglio negare a voi e al conte Ferdinando il piacere di una bella caccia. Tra una settimana Barbath sarà in grado di partecipare come preda a questa battuta. Mi occuperò io di farlo giungere a Qasr Arram, dove il conte Ferdinando organizzerà la caccia.

Ferdinando interviene, rivolgendosi a Renaud:

- Ma voi porterete i vostri cani: da quando un cinghiale ha ucciso le mie due bestie migliori, non ne ho più trovate di brave come quelle.

Renaud sorride:

- Con molto piacere.

Renaud si congeda. Denis non è contento di disobbedire a un ordine del re e sa bene che sta liberando un nemico che domani potrebbe minacciare il suo dominio, ma è abituato ad agire secondo la propria coscienza e far uccidere un prigioniero gli sembra infame.

 

Nel pomeriggio Denis fa chiamare Barbath.

- Barbath, alcuni vogliono che tu sia messo a morte.

- Duca, è quello che farebbe il mio signore se catturasse un comandante cristiano.

Denis scuote la testa.

- Non ti ho catturato in battaglia, Barbath. Ti ho liberato da una croce a cui il nemico che combattevo ti aveva appeso. E non uccido i prigionieri, se non sono colpevoli di delitti.

Barbath tace. Denis riprende:

- Come ti dicevo, alcuni vogliono la tua morte, ma per me sarebbe un’infamia dare la morte a un uomo valoroso che non ha colpe.

- Non desidero vivere, duca.

- Non so perché tu voglia morire, ma non chiedere a me di ucciderti. Sarebbe contrario ai miei principi. Ora ti spiegherò che cosa succederà.

Denis spiega il piano che ha ideato con Ferdinando. Al termine della spiegazione, aggiunge:

- Quando sarai libero, potrai fare ciò che vorrai, ma segui le mie istruzioni e quelle di Ferdinando, se non vuoi crearmi dei problemi.

Denis ha aggiunto l’ultima frase perché sa che Barbath seguirà le istruzioni proprio per non mettere lui in difficoltà, anche se preferirebbe morire.

Denis fa chiamare Morqos e lo manda a Jabal al-Jadid. Di solito non si serve di lui per questo tipo di incarichi, ma Morqos conosce bene Qais e Mahdi, a cui deve rivolgersi: ottenere un colloquio con l’emiro o anche solo con Feisal sarebbe più difficile e rischierebbe di attirare l’attenzione. Anche Pierre potrebbe svolgere questo compito, ma a Morqos, essendo arabo, sarà più facile raggiungere la città senza destare sospetti.

In effetti Morqos arriva senza problemi a Jabal al-Jadid e a palazzo chiede di Qais. A lui riferisce quanto ha il compito di riportare, poi ritorna.

 

Poi Denis chiama Pierre e dà anche a lui le istruzioni necessarie. Infine scrive una lettera al re in cui dice che il barone Renaud gli ha trasmesso l’ordine di uccidere il prigioniero Barbath, chiamato il Flagello, e che l’ordine verrà eseguito attraverso una caccia nelle terre del conte Ferdinando. Denis sceglie con molta cura le parole: non scrive niente che non corrisponda a verità, ma leggendo la lettera si direbbe che l’idea della caccia è stata di Renaud e che sarà il barone a condurla, con i suoi cani.

 

Dieci giorni dopo Renaud è ospite di Ferdinando di Siracusa a Qasr Arram. Il prigioniero non è ancora arrivato. Renaud si chiede se davvero Denis di Rougegarde lo manderà o se non organizzerà una finta fuga. Sa benissimo che a Denis non piace l’idea di uccidere un nemico valoroso che ha catturato.

Renaud partecipa volentieri alla caccia: questi giochi di sangue e di morte gli piacciono molto. Ma sarebbe altrettanto contento di non vedere arrivare Barbath e poter mettere in giro la voce che il duca Denis di Rougegarde lo ha fatto scappare, disobbedendo al re.

Barbath arriva nel pomeriggio, come previsto. Evidentemente Denis ha preferito non rischiare di perdere di nuovo il favore del re. Renaud osserva Barbath, che indossa una tunica. Un maschio magnifico, di cui sarà un piacere fare scempio.

 

La sera Ferdinando dice:

- Mi scuso se non vi tengo compagnia, barone, ma vado a trovare il prigioniero: con lui non avrò più occasione di parlare.

Ferdinando ghigna ed esce. A Renaud non spiace certo rimanere da solo: la compagnia del rozzo siciliano non gli interessa. Renaud sa benissimo che Ferdinando va a fottere il prigioniero. Quello che fa Ferdinando lo sanno tutti, ma non importa a nessuno. Ferdinando è un guerriero forte e coraggioso, che ha dato prova di lealtà nei confronti del re. Finché Denis sarà duca di Rougegarde, cercare di sbarazzarsi di Ferdinando non avrebbe senso: la valle dell’Arram passerebbe a Denis stesso. Ma il giorno in cui Denis non fosse più signore di Rougegarde, i gusti di Ferdinando potrebbero essere usati come arma contro di lui. E se quel giorno arriverà, Renaud intende di sicuro servirsi di quest’arma.

 

Nella sua cella Barbath aspetta. Lo hanno spogliato e lo hanno fatto lavare, poi gli hanno legato i polsi con una corda che gli lascia una certa libertà di movimento delle braccia e lo hanno condotto in una cella.

Barbath si chiede se andrà tutto come previsto. Non può saperlo. Ferdinando arriva poco dopo che i carcerieri sono usciti. Barbath sapeva che sarebbe venuto: Denis glielo ha detto. Ferdinando si rivolge a lui in un arabo approssimativo, ma comprensibile.

- Allora, Barbath, domani tu sarai la preda di una bella caccia. Prima di una battuta, io fotto sempre la preda. Aiuta a correre.

Ferdinando ride. Barbath sapeva che sarebbe successo: conosce la fama di Ferdinando e anche Denis di Rougegarde ha fatto allusione a quello che probabilmente il conte gli avrebbe fatto. Barbath è stato stuprato per settimane dal Circasso. È stato inculato da un maiale. Di certo non lo spaventa subire un’altra violenza, anche se avrebbe preferito evitarla.

- Voltati, Barbath. Appoggiati sul tavolo.

Barbath si gira, dando le spalle a Ferdinando. Appoggia le braccia sul tavolo e si china in avanti. Si aspetta che Ferdinando entri dentro di lui con violenza. Sente invece un morso al culo, poi un secondo e ancora parecchi altri. Non se l’aspettava, come non si aspettava questa lingua che ora scorre lungo il solco, avanti e indietro, e che è piacevole, maledettamente piacevole. Ferdinando lavora un buon momento con la lingua e con i denti e le sue mani stuzzicano i coglioni di Barbath.

- Tre coglioni. Non ci credevo, ma quando ti hanno calato dalla croce, li ho visti. Cazzo! Mi piacerebbe averne anch’io tre.

Barbath sente che il suo corpo reagisce, che il desiderio lo avvolge e cresce, fino ad assumere una forma precisa: il cazzo si irrigidisce e si tende in avanti, aumentando di volume. Kazbech lo ha preso molte volte, ma Barbath non ha mai provato piacere, solo sofferenza, rabbia e umiliazione.

Ferdinando si è alzato e ora Barbath può sentire il suo cazzo premere contro l’apertura. Ferdinando spinge piano. Probabilmente non sa che Barbath è stato violentato molte volte da Kazbech e non vuole fargli male. Barbath sente il cazzo del conte scivolare lentamente dentro di lui e sgomento scopre che anche questa sensazione è piacevole. La mano di Ferdinando passa davanti, trova l’arma di Barbath già tesa e la stuzzica, facendola crescere ancora.

Barbath preferirebbe una violenza come quelle che ha subito ad opera del Circasso, vorrebbe che il suo corpo subisse senza accendersi, ma Ferdinando procede piano e le sue mani giocano a lungo con il cazzo e i coglioni di Barbath.

Ora che Ferdinando è giunto al fondo, Barbath sente il dolore di questa mazza poderosa che gli scava le viscere, ma questo dolore è assai meno forte del piacere che le mani di Ferdinando gli trasmettono. E non solo le mani: anche il cazzo che ha preso a muoversi suscita in lui un piacere nuovo.

- Merda!

Barbath non ha saputo trattenere l’esclamazione. Ferdinando non ci bada e continua ad accarezzare, stringere, stuzzicare con le mani e a scavare con il suo aratro, spingendolo ogni volta a fondo. Barbath sente che il piacere diventa sempre più forte e infine lo travolge. Il suo seme si sparge sul tavolo.

Poco dopo anche Ferdinando viene, dentro di lui.

Barbath si abbassa e appoggia la testa sul tavolo. Gli sembra di non riuscire a reggere. Ha goduto mentre un uomo lo inculava. Si sente umiliato.

Ferdinando lo tiene tra le braccia e rimane dentro di lui.

Quando esce da lui, il conte gli dice:

- Cazzo, Barbath, sarebbe bello fotterti tutti i giorni. E sarebbe bello cacciarti davvero.

Barbath si volta. Guarda l’uomo che lo ha preso e lo ha fatto godere. Vorrebbe dire qualche cosa, ma nulla di ciò che potrebbe dire ha un senso.

 

Ferdinando fissa il cazzo di Barbath, ancora gonfio di sangue. Poi il suo sguardo risale, scivolando sul corpo robusto di questa guerriero. Ferdinando non è sazio. Il cazzo gli si tende di nuovo. E un nuovo desiderio si accende in lui.

Ferdinando è abituato a fottere, ma di rado si lascia possedere. Il brigante che ha amato, Baahir, era stato il primo uomo a prenderlo e lo aveva inculato molte volte. Da allora solo ogni tanto Ferdinando ha desiderato che un maschio lo fottesse.

Ora, guardando questo guerriero vigoroso, Ferdinando prova un desiderio violento. Prende nella mano il cazzo di Barbath e lo accarezza un po’. L’attrezzo acquista subito volume e consistenza.

Ferdinando si inginocchia e la sua bocca avvolge la cappella. Barbath chiude gli occhi e geme. Quello che sta succedendo ora è lontanissimo da quanto si aspettava  e a Barbath appare assurdo. Ma le sensazioni che prova sono intensissime. Barbath non capisce più nulla, gli sembra di aver perso ogni punto fermo, non sa se sta volando o sprofondando, in preda a un piacere che cresce continuamente.

Poi Ferdinando si stacca e si appoggia al tavolo, nella posizione in cui era Barbath. Non c’è bisogno di parole, Barbath capisce immediatamente.

Barbath guarda questo culo forte e peloso che gli si offre. È completamente diverso dal culo dei ragazzi che gli sono sempre piaciuti. E anche da quello di Feisal, l’unico uomo che ha amato e posseduto. Eppure Barbath si rende conto di desiderarlo.

Barbath ha l’impressione di essere ubriaco. Ha voglia di prendere Ferdinando, di mordergli il culo, di leccarlo. Non è possibile, questo desiderio assurdo non ha senso, eppure è reale. Barbath afferra il culo di Ferdinando, stringe forte, desiderando fare male, e la sensazione di questa carne calda lo inebria.

Poi Barbath si china, sputa sull’apertura, sparge la saliva ed entra, senza esitare. Il sussulto di Ferdinando gli dice che gli ha fatto male, ma a Barbath non importa. Eppure le sue mani ora non stringono più, ma accarezzano. Barbath non sa quello che sta facendo, non vuole saperlo, vuole solo possedere questo corpo che stringe, accarezza, pizzica, morde, travolto da un turbine di sensazioni che non controlla. Barbath spinge con violenza, mentre il piacere cresce e infine lo travolge. Allora con una mano afferra il cazzo di Ferdinando, anch’esso teso, e con l’altra i coglioni, stringendoli forte, con rabbia, facendogli male. Ma le dita che hanno afferrato il cazzo del conte si muovono rapide, fino a portarlo al piacere.

Barbath si stacca, con un movimento brusco. Fissa Ferdinando, che si volta sorridendo. Si chiede perché l’ha fatto.

Dice:

- Se un giorno ci troveremo uno di fronte all’altro in battaglia, ti ucciderò e poi ti castrerò, Ferdinando. E se ti catturerò vivo, ti castrerò prima di ucciderti.

Ferdinando ha capito le parole di Barbath. Ride. Si avvicina, stringe Barbath tra le braccia, lo bacia sulla bocca e poi gli infila la lingua tra i denti.

Barbath lo lascia fare. Nuovamente il suo corpo lo tradisce e accetta questa invasione.

Ferdinando si stacca, lo guarda e scuote la testa. Poi incomincia a dare le istruzioni. Il suo arabo è approssimativo, ma sufficientemente chiaro da essere compreso da Barbath. Ferdinando ripete tutto ciò che ha da dire due volte, sincerandosi che Barbath abbia capito. Barbath ascolta con attenzione. Denis gli aveva detto come avrebbero organizzato la caccia, ma ci sono elementi essenziali che solo Ferdinando può comunicare.

Barbath dice soltanto:

- Grazie.

Ferdinando lo guarda e scuote di nuovo la testa:

- Magari ci rivedremo in battaglia. Se mi catturi, mi hai detto che cosa mi farai. Se ti catturo io, che cosa ti farò lo sai già.

Ferdinando ride e se ne va, Barbath rimane in piedi a guardare la porta. Tutto ciò che è successo è privo di senso.

 

Il mattino seguente Barbath viene caricato su un carro. Indossa solo una fascia che gli cinge i fianchi e ha le mani legate. Il carro lo porta verso la foresta. Dietro il carro cavalcano Ferdinando e Renaud, seguiti da diversi soldati. Due uomini di Renaud tengono i cani.

Il viaggio dura quasi un’ora. Ferdinando parla della caccia che stanno per fare, racconta le battute precedenti, le prede sbranate dai cani. Renaud si dice che lo spettacolo sarà interessante. L’unico particolare che lo lascia perplesso è quello del coltello: dare un’arma in mano a un condannato è di per sé pericoloso, ma darla a un guerriero forte come Barbath gli sembra una follia.

- Pensate che sia meglio non dargli nulla, barone?

- Sì, non mi sembra saggio che abbia un’arma per difendersi.

- A me piace di più se hanno il coltello, c’è più gusto, ma in questo caso faremo come dite voi.

Infine il carro si ferma. Ferdinando scende da cavallo e raggiunge il prigioniero. Gli scioglie la fascia, che lascia cadere, e gli taglia la corda.

- Niente coltello per te. Va’. Hai un’ora.

Barbath scende dal carro, si guarda intorno e poi si muove rapidamente verso nord.

Ferdinando si china e raccoglie un tessuto sul fondo del carro. Renaud e i suoi uomini pensano che sia la striscia che indossava Barbath, ma quella Ferdinando l’ha spinta sotto la paglia ammucchiata in un angolo.

Renaud osserva:

- Un’ora di vantaggio mi sembra troppo.

- Ma noi siamo a cavallo e lui è a piedi. E non conosce minimamente questa zona.

- Meglio non dargli troppo vantaggio.

- Va bene, come volete voi. Non vedo l’ora di fottere quel bastardo.

Renaud è stupito dell’acquiescenza di Ferdinando, ma vi legge solo l’impazienza del cacciatore e il desiderio di non contrariare l’ospite.

 

Barbath cammina in fretta. Non vorrebbe fuggire, preferirebbe aspettare i cacciatori e trovare la morte e la pace. Ma gli sembrerebbe di tradire il duca Denis e questo non può farlo. Non lui, non il Cane dagli occhi azzurri, il più temuto dei signori franchi, ma anche il più generoso.

Barbath segue la traccia che Ferdinando gli ha indicato. Non si guarda intorno, indifferente all’opulenza del bosco, uno dei più belli di tutta la regione: non a caso l’emiro di al-Hamra aveva scelto questa zona per la sua residenza di caccia. Ma i cedri, i tassi, gli arbusti di mirto con i loro fiori di un bianco rosato e quelli di bosso, il tripudio della tarda primavera, con i suoi profumi inebrianti, tutto gli è indifferente. Una volpe che attraversa il sentiero attira appena il suo sguardo. Barbath ascolta con attenzione, ma non bada neppure al canto degli uccelli: cerca solo di sentire lo scroscio dell’acqua di un torrente che non dovrebbe essere lontano. Infine lo avverte e poco dopo lo raggiunge. Vi entra, come gli è stato detto di fare. L’acqua gli arriva appena ai polpacci. Barbath si muove rapidamente fino a due alberi abbattuti. Lì risale sulla riva e segue un’altra traccia. Arriva alla radura e la lascia a sinistra, seguendo un sentiero appena visibile. Infine raggiunge due case abbandonate, una è ancora in buone condizioni, l’altra è solo un rudere. Dietro le case dovrebbe aspettarlo un uomo con due cavalli. È davvero così? O è un’ultima beffa e ad attenderlo sono i suoi assassini? Sarebbe meglio se davvero Ferdinando all’insaputa del duca avesse deciso di farlo uccidere. Ma dietro la casa ci sono davvero due cavalli e un uomo: Qais.

Si guardano.

- Qais!    

- Comandante!

Qais si avvicina. Abbraccia Barbath, che d’istinto ricambia la stretta.

Poi Qais si stacca e dice:

- Presto, andiamo. Mettiti gli abiti.

Da una bisaccia appesa alla sella di un cavallo, Qais ha estratto un paio di pantaloni e una tunica, che Barbath si infila rapidamente. Qais gli passa un pugnale e una spada, poi salgono entrambi sui cavalli e li spronano.

 

Ferdinando ha dato la striscia di tessuto all’uomo che guida i cani. Non è passata neanche mezz’ora da quando Barbath si è allontanato, non può certo aver fatto tanta strada.

I cani fiutano e si buttano subito sulla traccia del fuggitivo, dirigendosi prima a nord, poi deviando verso ovest. A un certo punto giungono ai piedi di una parete scoscesa, da cui scende una piccola cascata. I cani sembrano perdere la traccia, poi uno la ritrova. Adesso si dirigono verso sud.

- Ma che cazzo di strada ha fatto!?

Ferdinando sembra perplesso. Renaud replica:

- Forse vuole seminare i cani. O semplicemente non riesce a orientarsi. Come dite voi, non conosce questi luoghi.

Dopo un po’ i cani perdono nuovamente la traccia.

- Ma come è possibile, barone? Mi avevano decantato i vostri cani, ma mi sembra che non riescano a trovare la traccia. E il tempo passa.

Renaud è nervoso.

Dopo un momento i cani fiutano di nuovo qualche cosa. La nuova traccia li riporta alla pista che hanno percorso per arrivare al luogo da cui è partita la caccia. Qui i cani non riescono a trovare più niente.

- Merda! Che cani del cazzo! Hanno combinato un bel guaio, barone.

- Ma non è possibile. Doveva avere un complice, qualcuno che lo ha raccolto, non può essere svanito nel nulla.

- Esaminiamo le tracce.

In effetti ci sono i segni del passaggio di un cavallo, ma sono stati in parte cancellati dal carro: si tratta di tracce più vecchie.

- Porcoddio, barone! E adesso? Questi fottuti cani del cazzo!

L’intera giornata passa in ricerche inutili. Infine i cacciatori tornano a Qasr Arram. Ferdinando continua a lamentarsi dei cani: sembra che lo faccia apposta a esasperare Renaud, che è furente.

Ferdinando riesce a mantenersi serio fino a quando è da solo nella sua camera. Qui scoppia a ridere, tanto forte che deve appoggiarsi alla parete.

Poi scrive una lettera a Denis, nel modo concordato, e la affida a un messaggero. Il duca informerà il re di quanto è avvenuto, accludendo anche la lettera di Ferdinando: anche se Denis si assumerà la colpa, scrivendo che non avrebbe dovuto acconsentire alla caccia, la responsabilità dell’accaduto ricadrà soprattutto sulle spalle di Renaud.

Poi Ferdinando va nel bagno, si lava e chiama Berto, uno dei servitori. Ha voglia di scopare. Gli piacerebbe poter fottere ancora Barbath, ma ormai il prigioniero è uccel di bosco e il suo uccello se lo gusta qualcun altro.

 

Pierre è già a Rougegarde. Si è messo a dormire, per recuperare il sonno perduto: ha camminato a lungo nei boschi intorno a Qasr Arram durante la notte, indossando la fascia che poi il mattino ha lasciato nel carro, come concordato con Ferdinando. Ha preferito non fermarsi a dormire a Qasr Arram, per cui è risalito sul suo cavallo ed è tornato a casa. Ma adesso riposa nel suo letto.

 

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Barbath e Qais cavalcano tutta la mattina. Mentre procedono, Barbath riflette sulla sua situazione. Non vuole ritornare a Jabal al-Jadid, non vuole rivedere Feisal. Si sente indegno.

Quando si fermano per far riposare i cavalli, Barbath chiede:

- Che strada pensi di seguire?

- Pensavo di percorrere la valle del Nahr.

- No, andiamo al Passo della Caverna.

- Il passo della Caverna? Dove…

Qais si interrompe, poi prosegue:

- Lo chiamano il Passo dei Morti, adesso, è un’immensa distesa di cadaveri in putrefazione.

- Passiamo di là.

Qais annuisce. Mangiano un po’ del cibo che Qais ha con sé, in silenzio. Qais si rende conto che Barbath non ha voglia di parlare. Qais vorrebbe chiedergli mille cose, dargli notizie, ma Barbath è chiuso in se stesso, quasi ostile. Due volte Qais si accorge che Barbath lo sta fissando, ma gli sembra che non lo veda. Qais è inquieto. Aveva immaginato tutt’altro. Solo il rapido abbraccio iniziale è stato quello che si aspettava.

Procedono tutto il giorno lungo piste e sentieri e si fermano solo quando il buio impedisce loro di proseguire. Si accampano in un anfratto. Domani raggiungeranno il passo.

Dopo un pasto frugale, Barbath si sdraia. Qais si stende molto vicino a lui. Sono esausti, ma Qais ha bisogno di parlare, di rompere il silenzio di Barbath, di ritrovare in lui l’uomo che conosce, superando il muro di freddezza e ostilità.

Qais parla. Racconta brevemente della situazione di Jabal al-Jadid, degli amici comuni, dà notizie della casa di Barbath, di Waahid e Latif. Barbath non chiede nulla, sembra che non gli interessi, Qais non è nemmeno sicuro che stia ascoltando.

Quando Qais ha concluso, Barbath rimane in silenzio. Qais chiede:

- È stato terribile, vero, Barbath?

Barbath non risponde subito. Solo dopo un buon momento, dice:

- Sì, Qais.

Qais sente la rabbia vibrare nella voce di Barbath, che non dice altro. Qais sa che è inutile parlare. Si abbandona al sonno.

Barbath rimane sveglio a lungo.

Il mattino seguente ripartono presto e salgono fino a raggiungere il passo. Barbath si ferma e scende da cavallo. Qais lo imita. Barbath dà le redini a Qais, senza nemmeno rendersi conto di quello che sta facendo.

Barbath guarda il pianoro. Ci sono i resti di tantissimi corpi, ormai decomposti. Gli animali hanno banchettato per giorni e giorni.

Barbath si dirige verso la parete contro cui è stato crocifisso. La croce è ancora al suo posto. Un corpo a brandelli è inchiodato al legno da una lancia: quel che rimane di Imad, lo scudiero di Kazbech che stava per castrarlo.

Barbath vorrebbe che Imad avesse potuto fare quello che voleva. Vorrebbe essere ancora appeso alla croce, un cadavere in decomposizione.

Barbath guarda la croce, il corpo infilzato, la distesa di cadaveri. C’è un grande silenzio intorno a lui e dentro di lui.

Barbath si volta e si rivolge a Qais.

- Puoi andare, Qais. Io mi fermo qui.

Qais lo guarda, senza parole. Poi dice:

- Il nostro signore, l’emiro di Jabal al-Jadid, mi ha ordinato di riportarti da lui. Non posso disobbedire ai suoi ordini. E nemmeno tu puoi farlo.

Qais sa che Barbath ha un fortissimo senso del dovere e infatti lo vede esitare, ma poi il comandante dice:

- No, Qais, non verrò con te.

Qais non intende cedere. Ha capito benissimo che se lascerà Barbath qui, ci sarà un cadavere in più al Passo dei Morti. Dice:

- L’emiro ‘Izz ha bisogno di te. Molti uomini a lui fedeli sono morti, la minaccia degli ismailiti incombe su di lui. Ha bisogno di tutti gli uomini su cui può contare.

Barbath abbassa il capo e chiude gli occhi.

- Vattene, Qais. Di’ all’emiro che Barbath è morto.

Qais si morde il labbro, poi dice:

- Non puoi fare questo a Feisal.

Barbath solleva la testa di scatto e fissa Qais.

Qais prosegue:

- Ti aspetta, è angosciato. Dopo il colloquio in carcere, ad al-Hamra, era sconvolto. Sai cosa vuol dire attendere colui che ami e temere che non arrivi? Lui ti sta aspettando. E ha paura che tu non arrivi.

Barbath arretra di un passo, pensa alla notte passata davanti alle porte di Jabal al-Jadid, quando temeva che Feisal fosse morto o caduto nelle mani del Circasso, all’angoscia infinita di quelle ore. È quello che Feisal sta patendo per colpa sua.

- Non posso, Qais. Lo capisci? Sono indegno di lui.

- Barbath, tu?! Che cosa dici?

Barbath respira a fatica e poi dice, quasi grida:

- Mi ha preso, mi ha fottuto infinite volte, mi ha pisciato addosso e in bocca, sono stato la sua troia.

Non ha detto di chi sta parlando, non è necessario.

- E allora? Non l’hai scelto tu. E non gli hai ceduto, perché altrimenti non ti avrebbe crocifisso.

- Merda, Qais! Sono stato inculato da un porco, lo sai questo? Un maiale, che il Circasso ha fatto venire dai territori franchi. E dovrei andare da Feisal e…

- Sì, perché tu lo ami e lui ti ama.

- Sono indegno.

C’è un momento di silenzio. Poi Qais parla. Le sue parole sono diverse da quelle che Barbath si attendeva. Anche la sua voce è diversa, c’è un’eco di qualche cosa che viene da lontano, un’eco del passato e un dolore profondo.

- Avevo otto anni quando mio padre mi vendette per la prima volta. Lui non lavorava, non aveva più voglia di lavorare. Si era messo a bere, vivevamo non lontano da Gerusalemme, che era in mano ai cristiani, ed era facile procurarsi il vino, di nascosto. Lui mi vendeva per pagarsi da bere. Per sei anni sono stato venduto a uomini di ogni tipo, che volevano il culo o la bocca di un bambino, poi di un ragazzino. Vuoi che ti racconti che cosa ho dovuto fare, Barbath? Lo vuoi sapere?

Barbath scuote la testa. Vorrebbe fermare Qais, le sue parole gli fanno male, la sofferenza che sente nella sua voce lo angoscia.

- No, forse è meglio che tu non lo sappia. Una volta, a undici anni, cercai di ammazzarmi, perché non volevo tornare da un vecchio che mi faceva schifo e pretendeva da me cose…

Qais si ferma. Barbath fa nuovamente un cenno di diniego. Qais riprende:

- Mio padre mi scoprì, mi fece vomitare il veleno che avevo preso, poi mi mandò dal vecchio. Quando tornai a casa mi fustigò per aver cercato di avvelenarmi.

Barbath ha chinato il capo. Qais prosegue:

- Fuggii di casa a quattordici anni, dopo sei anni di quella vita. In quei sei anni ho fatto di tutto, Barbath, peggio dell’ultima puttana del più squallido bordello di Damasco. Ma non l’avevo scelto io. Il Circasso ti ha fatto bere il suo piscio? Non so più quanti uomini mi facevano bere il loro piscio, mi pisciavano in faccia, uno mi lordava, mi…

Qais rabbrividisce, si ferma. Tace un momento, poi riprende.

- A volte questi ricordi ritornano, Barbath, e allora rido sguaiatamente e scherzo e parlo più forte, per scacciarli. Non l’avevo mai raccontato a nessuno, solo a Mahdi l’ho detto. Lui doveva sapere. Avevo paura che mi allontanasse, ma ho capito che dopo aver saputo mi ama di più.

Barbath annuisce. Guarda Qais. Gli sembra che i suoi occhi luccichino.

- Hai vinto, Qais, verrò con te.

Anche Qais annuisce, sorridendo, ma sul suo viso il dolore ha lasciato il segno. D’impulso Barbath lo abbraccia, lo stringe forte.

Risalgono a cavallo. Arrivano all’altra estremità del pianoro, dove i resti di Kazbech sono ancora infilzati sul palo. Barbath lo guarda a lungo, poi, sputa a terra. Non dice nulla.

Scendono oltre il passo. Ormai sono entrati nel territorio di Jabal al-Jadid e non dovrebbero esserci più rischi di incontrare guerrieri cristiani alla ricerca di un fuggitivo. Quando si fermano Barbath chiede altre notizie di Jabal al-Jadid: ora davvero vuole sapere che ne è stato di coloro che conosceva, della sua casa, della città.

 

Barbath e Qais raggiungono la città. Vengono riconosciuti subito e la notizia del ritorno del comandante si diffonde in fretta. Per le vie la gente li ferma e li accoglie festosamente. Tutti sono contenti che il comandante Barbath sia ancora vivo e che sia ritornato a Jabal al-Jadid.

A palazzo anche i soldati sono felici di rivedere Barbath, che viene subito introdotto nella sala delle udienze dove lo attende ‘Izz, già informato del suo arrivo. Nella sala ci sono alcuni ufficiali, tra cui Feisal e Mahdi.

Mentre si inchina davanti a ‘Izz, Barbath guarda Feisal, che è pallidissimo e nasconde a fatica la sua emozione. Dopo aver salutato l’emiro, Barbath abbraccia Mahdi, che gli si è avvicinato, e saluta cordialmente alcuni altri ufficiali, i pochi scampati alla morte. Poi si avvicina a Feisal, che è rimasto fermo contro una parete, lo abbraccia forte e gli sussurra:

- Perdonami, Feisal. Questa sera ci parleremo. Ti aspetto a casa mia dopo l’ultima preghiera.

Feisal ha le lacrime agli occhi.

Dopo l’udienza, Feisal e gli ufficiali fanno il punto con Barbath sulla situazione della città e del territorio. Non ci sono problemi con i signori vicini, anche la contesa con Shaqra per il territorio di Qasr Rim è stata risolta da Nur ad-Din in persona. Ma moltissimi ufficiali e soldati sono morti: l’esercito è stato decimato e ci vorranno anni prima che ritorni forte come un tempo.

 

Più tardi Barbath riprende possesso della sua abitazione. I servi ci sono tutti: Kazbech non ha devastato la città che doveva diventare la capitale del suo regno. La casa del comandante dell’esercito era stata assegnata a uno degli ufficiali del Circasso, che ha incontrato la morte al Passo della Caverna.

Solo Waahid e Latif si sono trasferiti a palazzo, per ordine di Kazbech, ma dei due giovani Barbath si occuperà più tardi. Intende rendere loro la libertà.

Barbath attende con impazienza la sera. Sa che non sarà facile parlare con Feisal, ma deve farlo.

Feisal arriva appena il muezzin ha concluso la preghiera serale. Barbath lo abbraccia. Feisal ricambia la stretta con impeto, mormorando il nome di Barbath più volte.

- Avevo paura che non tornassi, Barbath. Mi è parso di impazzire, dopo quel giorno ad al-Hamra.

- Perdonami, Feisal.

- Non devo perdonarti niente.

- Sì, ti ho fatto soffrire.

Barbath si stacca e lo fa sedere. Poi gli dice:

- Feisal, devo parlarti.

- Dimmi, Barbath.

Barbath racconta tutto, senza nascondere nulla, neppure la violenza da parte di Ferdinando e la reazione del suo corpo.

- Questo è tutto, Feisal.

Feisal ha di nuovo le lacrime agli occhi. Scuote la testa.

- Barbath, io… è terribile ciò che quel mostro ti ha fatto. Spero che nella Geenna sconti tutto il male che ha commesso.

- Feisal, non ti faccio orrore?

Feisal si avvicina, stringe Barbath tra le braccia, poi lo bacia sulla bocca.

- Barbath, ti amo. Soffro per quello che hai sofferto, vorrei poterlo cancellare. Preferirei averlo subito io. Ma per me averti qui è il paradiso.

Barbath è commosso. Cerca di nascondere ciò che prova con una battuta:

- Tu dici che per noi in paradiso ci saranno, invece delle settantadue vergini…

Barbath non conclude. È Feisal a dire:

- Vorrei che ci fossi tu, ma anche la Geenna va bene, se è con te.

Barbath sorride.

- Sei blasfemo, Feisal.

- Ti amo, Barbath. Ti amo e ti desidero.

Feisal bacia di nuova Barbath, a lungo, impedendogli di rispondere. E poi le sue mani incominciano a spogliarlo, con movimenti prima incerti, che diventano via via più sicuri. Barbath sente il desiderio avvolgerlo. Lascia che Feisal finisca di spogliarlo, poi gli toglie gli abiti, mentre lo bacia e lo accarezza, finché si ritrovano distesi, abbracciati, sui cuscini. Il desiderio è forte e i loro corpi lo tradiscono.

- Quando ci siamo lasciati vicino a Damasco, ero sicuro che non ci saremmo mai più rivisti.

Barbath sorride:

- Anch’io ne ero sicuro.

Feisal sorride e aggiunge:

- E quando ci siamo visti ad al-Hamra…

Feisal non prosegue. Scuote la testa.

Barbath lo abbraccia. Sussurra:

- Perdonami.

- Non ho niente da perdonarti, te l’ho già detto.

Feisal bacia ancora Barbath, poi si stende.

Barbath guarda questo corpo che gli si offre. Lo accarezza, con un tocco leggero, come se temesse di fargli male. Non pensava che un giorno avrebbe potuto nuovamente stringere questo corpo, possederlo. Le mani di Barbath scendono dalla nuca alla schiena, poi stringono con forza il culo e divaricano le natiche. Barbath osserva l’apertura che ha forzato una volta. Sa che nessun altro ha preso Feisal dopo di lui e il pensiero gli regala gioia. Mormora:

- Sei mio, Feisal, per sempre.

Sanno entrambi che è davvero per sempre, che neppure la morte potrebbe davvero spezzare il legame che li unisce.

- Sì, Barbath.

Barbath bacia Feisal sul collo, poi sulla schiena. La sua bocca scende fino al culo e Barbath morde, delicatamente, poi con più forza. La sua lingua scivola sul solco, fino all’apertura.

Poi Barbath si stende su Feisal e lentamente lo prende. La sensazione del suo cazzo che affonda nel culo di Feisal è bellissima, un piacere che non è solo fisico. Barbath mormora:

- Feisal, Feisal, mio…

Poi incomincia a muoversi lentamente e ogni movimento gli trasmette un’ondata di piacere. Come la prima volta che si sono amati, tutto intorno a loro scompare. Barbath accarezza il corpo che possiede, in un delirio di desiderio e amore.

Quando viene, Barbath grida il nome di Feisal, mentre il piacere lo sommerge. Si abbandona su di lui e ancora ripete:

- Feisal, Feisal, amore.

Feisal non è venuto: deliberatamente Barbath non l’ha portato al piacere, perché vuole offrirglisi. Barbath accarezza ancora il corpo su cui giace, poi esce da Feisal, si distende accanto a lui e allarga le gambe.

- Prendimi, Feisal.

- Barbath, io…

- Non vuoi?

- Barbath, lo desidero, ma non voglio…

Feisal non sa come esprimere i suoi dubbi. Barbath risponde:

- Feisal, mi ha preso l’uomo che ho odiato di più al mondo, mi ha preso il conte Ferdinando. E non dovrebbe prendermi l’uomo che amo? Io desidero che tu mi prenda.

Feisal annuisce. Accarezza il corpo di Barbath e le sue mani gli trasmettono un brivido di piacere.

Barbath sente le dita di Feisal preparare la strada, inumidendo l’apertura e introducendosi all’interno. Poi il cazzo di Feisal entra dentro di lui. E Barbath sente nuovamente un’ondata di piacere avvolgerlo. Appartiene a Feisal, è suo. Per la prima volta, Barbath si dà liberamente a un uomo, all’uomo che ama.

Feisal procede a lungo e Barbath sente che il cazzo gli si tende nuovamente e il piacere diventa sempre più forte. Questa volta vengono insieme.

Feisal esce da Barbath, che lo stringe tra le braccia. Rimangono a lungo in silenzio, appagati. Poi Barbath dice:

- Dormirai con me, Feisal. O… vuoi andare… devi rientrare?

- No, Barbath. Sono libero fino a domani mattina. Qais sa che venivo qui; se mi dovessero cercare, non trovandomi agli alloggiamenti militari, verranno qui.

- Qais…

- Che c’è, Barbath?

- Gli devo molto, Feisal. Senza di lui non sarei qui.

- Temevo che non riuscisse a riportarti indietro.

- Non volevo tornare. È stato lui a convincermi. Anche lui ha conosciuto l’inferno in terra.

Feisal è stupito, ma Barbath non spiega: dev’essere qualche cosa che Qais ha raccontato a Barbath e che il comandante ritiene di non dover ripetere ad altri.

 

Il giorno dopo a palazzo ‘Izz parla a Barbath.

- Barbath, il Circasso, che il suo nome sia maledetto in eterno, aveva fatto venire a palazzo due giovani che erano di tua proprietà, il pittore Waahid al-Munthir e il suo aiutante Latif. Se lo desideri, torneranno nella tua dimora, perché ti appartengono.

- No, mio signore. Desidero rendere ai due giovani piena libertà.

- Li faccio chiamare?

Barbath non ha piacere di incontrare Waahid, che l’ha visto e dipinto mentre il Circasso lo prendeva e lo umiliava. Sa che sarà inevitabile incontrarlo, ma preferisce rimandare il momento.

- No, emiro. Annuncia tu loro che sono uomini liberi.

Più tardi però un soldato comunica a Barbath che Waahid e Latif vorrebbero vederlo.

Dopo uno scambio di saluti e un ringraziamento per la libertà donata, Waahid dice:

- Comandante, volevamo dirti anche un’altra cosa.

- Ditemi.

- Tutti i dipinti che il Circasso mi fece fare, li abbiamo distrutti la notte stessa in cui la vedova del Circasso fuggì. Tutti. Nessuno li ha potuti vedere.

Barbath sorride. È contento di sapere che nessun altro potrà vedere quelle testimonianze della sua umiliazione.

- Grazie.

- Non abbiamo mai parlato a nessuno di ciò che ho dovuto vedere e non diremo mai nulla. Non sarebbe giusto.

- Grazie anche di questo.

- Era giusto che così fosse.

Sono tutti e tre un po’ imbarazzati. Latif dice:

- Rimarremo a palazzo. Lavoreremo per l’emiro.

Waahid aggiunge:

- Ancora una cosa: abbiamo i ritratti che avevo fatto prima della conquista di Jabal al-Jadid. Te li renderò, comandante. E quando vorrai un altro ritratto, saremo ben felici di fartene dono.

Barbath sorride. Poi dice:

- Magari un giorno mi farete un ritratto di Feisal.

L’ha detto senza pensare. Ma Barbath non intende nascondere il legame che lo unisce a Feisal.

- Molto volentieri, comandante.

Quella di Barbath è stata solo una battuta, ma il giorno stesso Waahid contatta Feisal e gli dice del desiderio espresso da Barbath. Così due settimane dopo Barbath riceve i vecchi ritratti che gli aveva fatto Waahid e un’immagine di Feisal.

Quando incontra nuovamente Waahid e Latif, Barbath dice:

- Grazie per il ritratto di Feisal. È davvero bellissimo.

C’è anche Feisal, per cui Barbath aggiunge:

- Meglio dell’originale.

Feisal, Waahid e Latif scoppiano a ridere. Anche Barbath si scopre a sorridere: da molto tempo non gli succedeva. Sta imparando a convivere con il passato. Non è impossibile. Qais glielo ha insegnato.

 

*

 

Nicolas si presenta da Denis di Rougegarde.

- Una saracena con un bambino chiede di parlarvi, duca. Non ha voluto dire chi è, né perché è qui. Non è di Rougegarde. Vuole parlare con voi, a ogni costo, senza che ci sia nessun altro. I soldati volevano respingerla, visto che si rifiutava di dire chi era, ma lei si è seduta accanto alla porta e ha detto che non se ne andrà finché non l’avrai ricevuta. Dopo un po’ mi hanno chiamato. Anche a me non ha voluto dire il motivo per cui vuole parlarvi, ma non sembra una pazza. È molto determinata e… ho l’impressione che la sua richiesta non sia insensata.

Denis è perplesso.

- Hai fatto controllare che non abbia armi?

- Certo. Non ha niente con cui colpire. Solo oro e gioielli.

- Va bene. Falla passare.

Denis fa uscire i servitori.

La donna entra e si inginocchia davanti a lui. Poi scoppia a piangere.

Denis la guarda. Non conosce questa donna.

- Chi siete e perché avete chiesto di parlarmi?

- Il mio nome è Nabila, sono figlia di Hamdan di Halel. E questo bambino è Mondar, il figlio di Kazbech.

Denis è rimasto paralizzato dallo stupore. Non dice nulla. Tutto si sarebbe potuto aspettare, ma non questo.

- Duca, vogliono uccidere questo bambino che non ha colpe. Neanch’io ho colpe. Mio padre mi diede in sposa a colui che l’avrebbe ucciso, ma io non sapevo nulla delle sue intenzioni. Non c’è posto per me in Siria. Non voglio che mio figlio muoia. Mi affido a te.

- A me? Ma sai…

Denis non prosegue. Questa donna sa benissimo che è stato lui a uccidere Kazbech.

Nabila ha ripreso a piangere, ma cerca di spiegare, mentre con il velo si asciuga le lacrime.

- In tutta la Siria mio figlio verrebbe messo a morte. E tra i franchi non sarebbe trattato meglio. So che sei un uomo giusto e generoso. Non ho nessuno a cui rivolgermi.

Denis annuisce. Nabila ha ragione. In Siria prima o poi verrebbe scoperta e il bambino ucciso. Tra i franchi nessun altro l’accoglierebbe. Nabila ha fatto la scelta più ragionevole. L’alternativa era cercare di raggiungere Bagdad o l’Egitto, ma una donna giovane e un bambino piccolo correrebbero enormi rischi. E poi, che cosa potrebbe fare questa giovane donna che di certo non ha mai lavorato e non conosce nessuno?

- Va bene, Nabila. Ti proteggerò, anche se il padre di questo bambino era il mio peggior nemico. Troverò una sistemazione per te e per lui.

- Iddio ti ricompenserà, duca.

- Dovrete cambiare nome, tu e tuo figlio. Per il futuro, è meglio che nessuno conosca la vostra vera identità.

Denis sa benissimo che Rougegarde potrebbe essere riconquistata dai saraceni e tornare ad essere al-Hamra.

Nabila annuisce:

- Io sarò Mara e mio figlio sarà Abdel Rahim.

 

Denis chiama Nicolas.

- Nicolas, questa donna ha bisogno di una casa. Rivolgiti al mercante Giovanni: se non ha ancora affittato l’appartamento dove stavano quei quattro saraceni, per Mara è perfetto. Farai trovare anche una serva per lei.

Nicolas esegue gli ordini del duca. Denis di Rougegarde non gli ha spiegato chi è la donna e perché intende proteggerla, ma Nicolas è abituato ad ubbidire al suo signore senza chiedere chiarimenti: se il duca riterrà di dargliene, lo farà. Altrimenti, Nicolas ne farà a meno senza problemi.

L’appartamento è ancora libero. Quando Nicolas dice al mercante che il duca lo vorrebbe per una saracena, Giovanni è ben contento di darglielo: in primo luogo il duca garantisce per la donna; in secondo luogo sapere che il duca si rivolge a lui è un onore e una conferma del favore di Denis di Rougegarde.

Mara si stabilisce nella casa. Racconta di essere vedova e di aver dovuto abbandonare la sua città per contrasti con la famiglia del marito. Ma è evidente che non parla volentieri del passato e nella casa tutti rispettano la sua riservatezza.

Mara è contenta della sistemazione. Diversi abitanti della casa parlano l’arabo e con loro Mara può intendersi. Le donne sono molto gentili nei suoi confronti e ci sono diversi bambini piccoli con cui Abdel Rahim potrà giocare quando sarà più grande.

 

In città la voce circola in fretta.

Il duca ha avuto un figlio da una donna araba, che ora gliel’ha portato. Il duca li ha sistemati in uno degli appartamenti del mercante Giovanni.

La duchessa non sembra avere niente da dire, ma probabilmente è abituata alle scappatelle del marito. Qualche tempo fa si era parlato di un’ebrea. Denis d’Aguilard l’ha poi fatta sposare a un suo uomo di fiducia, che fa da padre ai due bastardi del duca. Anche in quel caso la donna non è rimasta in palazzo, ma è stata sistemata nella casa del mercante, in un appartamento in affitto. Insomma, a quanto pare in quella casa ci sono un po’ di figli del duca. Chissà se le due madri litigheranno tra di loro? E il duca, troverà un marito anche per quest’altra donna, che è giovanissima?

Comunque la duchessa dovrà rassegnarsi: evidentemente quando il duca è impegnato nelle campagne militari, miete allori nelle battaglie campali come in quelle del letto. Un’ebrea e una saracena, tutt’e due gran belle donne: il duca rispetta le cristiane, ma le infedeli fa benissimo a prendersele.

E mentre mezza Rougegarde discute dell’amante e del bastardino del duca, Denis ha chiamato Nicolas. Sono sei anni ormai che i loro corpi si ritrovano. Non si amano, ma il legame che li unisce è profondo e anche questa notte cercheranno insieme il piacere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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