I – Il comandante dell’esercito Città e governanti del
romanzo TERRITORI ARABI Halel: emiro Dakhir Fratelli di Dakhir: Hamdan (tre figli: Akram, Farid e Nabila) Bilal (una figlia) Al-Unayzah: sceicco Barqah: sceicco Nidal (molti figli) Marwan: emiro Sabri Shaqra: sceicco Abdel Haqq Fratello di Abdel Haqq:
Issam al-Misri (figlio: Khuzaymah) Jabal
al-Jadid: emiro Ashraf Figli
di Ashraf: Muhammad, ‘Izz Fratello di Ashraf: Omar
(moglie: Munira) TERRITORI
CRISTIANI Rougegarde (Al-Hamra): duca Denis d’Aguilard Arram: conte Ferdinando di Siracusa San Giacome d’Afrin (Afrin): barone Renaud di Soissons *** Il sole si sta abbassando all’orizzonte e la luce penetra dalla finestrella, tracciando un riquadro luminoso sulla parete di fronte al letto. Mahdi è disteso sul pagliericcio e fissa l’area illuminata, senza vederla. Il suo pensiero vaga altrove, oltre la stanzetta in cui si trova, quella che era la sua camera di ufficiale e ora è la sua cella. Mahdi è stato mandato
quattro mesi fa a Qasr Basir, una delle fortezze di Ashraf ibn Samih, emiro
di Jabal al-Jadid. Qasr Basir è posta sul fianco di una montagna, a
strapiombo sopra il fiume Arram, in una delle valli ai confini dei domini di
Ashraf. Non è un grande castello, ma ha una posizione strategica importante
perché è alla frontiera con il territorio dei franchi. Mahdi era l’ufficiale
al comando della guarnigione, ma a prendere le decisioni era Omar ibn Samih,
il fratello dell’emiro Ashraf. L’ambizione di Omar l’ha portato a compiere
diverse incursioni nei domini del conte Ferdinando, signore dell’Arram, e ha
provocato la reazione dei franchi. Ci sono stati tre mesi di
assedio e due battaglie, che hanno visto la sconfitta delle truppe inviate da
Ashraf in soccorso del fratello. E tre giorni fa Qasr Basir è stato
conquistato dal duca Denis, dal conte Ferdinando e da un drappello di
templari. La fortezza e l’alta valle sono passati al conte, che affiderà Qasr
Basir ai cavalieri del Tempio. L’ambizione di Omar ha provocato la perdita di
una posizione importante e per tutti gli uomini della guarnigione la morte o
la schiavitù. Adesso la stanzetta in cui
Mahdi dormiva, in quanto ufficiale superiore, è diventata la sua cella. Mahdi
vi trascorre le sue giornate di prigioniero. Mahdi ripensa al giorno
della conquista. La vittoria dei franchi era inevitabile: vi era una grande
sproporzione di forze e i difensori, pur essendo riusciti a respingere molte
volte il nemico, sapevano che sarebbero stati sopraffatti. Mahdi ha combattuto
valorosamente, anche se tutto era ormai perduto: i franchi si riversavano a
ondate dalle mura su cui erano riusciti a salire e la guarnigione era ormai
troppo esigua per poter difendere il castello. Mahdi pensava di trovare la
morte in battaglia, ma è stato disarmato dal duca in persona e catturato dai
suoi uomini. Si è così ritrovato prigioniero, destinato a rimanere schiavo
dei franchi, a meno che qualcuno paghi un riscatto per lui. L’emiro potrebbe
farlo, di certo non la famiglia di Mahdi, che dispone di pochi mezzi. Anche
Omar ibn Samih è stato catturato, come Mahdi, ma Ashraf di certo pagherà ciò
che gli verrà richiesto per liberare il fratello. La morte o la schiavitù
sono eventualità che un guerriero non può non mettere in conto: Mahdi sapeva
bene che sarebbe potuto succedere, in questi tempi turbolenti, in cui gli
invasori franchi e i credenti si affrontano spesso. Ma è successo qualche
cos’altro che Mahdi non si aspettava: il giorno stesso della conquista di
Qasr Basir, il conte Ferdinando dell’Arram lo ha preso come schiavo e lo ha
stuprato. Mahdi è bello, molto, di una bellezza maschia che ha sempre
affascinato le donne e non pochi uomini: un corpo forte e armonioso; un viso
dai lineamenti non regolari, ma virile; lunghi capelli castani come gli occhi
e una barba di un rosso scuro. Mahdi ha spesso letto negli occhi delle donne
e degli uomini il desiderio che suscita, ma si è sempre ritratto. Gli è
capitato di andare qualche volta con qualche prostituta, insieme ad altri
ufficiali, ma si è presto accorto che le donne non gli interessano. E con gli
uomini non aveva mai avuto rapporti, a parte qualche esperienza con un amico,
da ragazzino. Mahdi ha cercato di
resistere, ma il conte è un Ercole: lo ha bloccato facilmente e lo ha
posseduto e dopo di lui l’ha preso un suo servitore. Quella sera Mahdi ha
provato dolore, ma soprattutto rabbia per l’umiliazione subita. Anche nei giorni
successivi il conte lo ha preso, ogni sera. Mahdi non ha più cercato di
opporre resistenza: sapeva che sarebbe stato inutile. La prima volta la
penetrazione è stata molto dolorosa e d’altronde il conte Ferdinando è noto
anche tra gli arabi per essere particolarmente dotato: durante l’assedio
della fortezza, diversi soldati ne parlavano. Ma il conte si muove con
cautela, cercando di non fare male, e Mahdi si è abituato ad essere
posseduto, anche se ogni sera il culo è sempre un po’ dolorante. Ieri però si è verificato
qualche cosa che Mahdi non aveva previsto. Ferdinando lo ha preso due volte,
come aveva fatto anche le sere precedenti, e la seconda volta Mahdi si è
accorto che i movimenti del cazzo di Ferdinando nel suo culo provocavano una
serie di sensazioni non spiacevoli. Per un momento ha temuto che gli
diventasse duro. Ora Mahdi ha paura di
quello che succederà questa sera, quando, quasi sicuramente, Ferdinando lo
prenderà di nuovo. Mahdi sente aprire la
porta della stanza. Ha un attimo di smarrimento. È ancora presto, il sole non
è ancora tramontato. Non si aspettava di essere chiamato ora. Guarda il soldato
cristiano che sulla soglia gli ingiunge di alzarsi, perché il conte
Ferdinando lo desidera. L’uomo parla un po’ di arabo, come diversi soldati
franchi. Mahdi non vorrebbe andare: teme le reazioni del suo corpo. Ma non
può rifiutarsi di obbedire: ormai è uno schiavo. Anche questa sera il conte
lo prenderà, magari due volte, come ha sempre fatto in questi giorni. Il
pensiero lo turba. Il suo corpo lo tradirà? Ferdinando lo attende
nella stanza che era di Omar ibn Samih: adesso che Qasr Basir è passata sotto
il controllo del conte, questi ha preso possesso della camera di Omar,
l’unica nella fortezza ad avere un vero e proprio letto. Su quel letto Mahdi
è stato violentato nei giorni scorsi e lo sarà anche oggi. Ferdinando dice subito a
Mahdi, nel suo arabo approssimativo: - Spogliati. Mahdi obbedisce: sa di non
avere alternative. Anche Ferdinando si toglie la tunica. Mahdi non può non
ammirarne il corpo forte: il torace ampio, le braccia vigorose, le gambe
possenti, il pelame rigoglioso, le cicatrici lasciate dalle battaglie. Il
conte è un guerriero valoroso e temuto, non un vile. Lo sguardo di Mahdi
scende al grande cazzo del conte, che già si tende. Anche questa sera Mahdi
lo sentirà dentro di sé. Mahdi ha la gola secca. Deglutisce. - Sul letto. Mahdi china la testa.
Guarda il letto, il raffinato lavoro di intaglio che orna la testiera e le
zampe. Guarda il tessuto che lo copre. Ha paura, paura non del conte, ma del
proprio corpo. - Muoviti. La voce di Ferdinando lo
riscuote. Mahdi non ha scelta. Obbedisce. Si stende sul letto e allarga le
gambe. Ferdinando si avvicina. Le sue mani accarezzano la schiena di Mahdi.
Mahdi preferirebbe una rapida violenza, un dolore che cancelli ogni altra
sensazione, ma ora che Mahdi non oppone più resistenza, il conte si muove con
delicatezza. E Mahdi si rende conto che gli piace la sensazione di queste
mani che accarezzano il suo corpo, che stringono il suo culo, che gli
scompigliano i capelli. Non gli spiace nemmeno il momento in cui un dito di
Ferdinando si spinge dentro di lui. Ferdinando si stende sul
letto, mordicchia il culo di Mahdi, più volte, poi i suoi denti lasciano un
segno leggero sulla spalla dell’ufficiale, la sua lingua scorre dietro
l’orecchio, le sue mani pizzicano con forza il culo, scivolano in una carezza
decisa lungo il corpo, fino al collo. E mentre Ferdinando gli morde il lobo
di un orecchio, Mahdi sente il grosso cazzo del conte entrare dentro di lui.
Lo aspettava e il suo corpo reagisce, con intensità. Il sangue affluisce al
suo cazzo, mentre quello di Ferdinando avanza baldanzoso, spingendosi a
fondo. Mahdi è sgomento, ma le sensazioni sono troppo forti e questa massa
calda che entra dentro di lui, nonostante il dolore che provoca, accende il
suo desiderio. Mahdi prova vergogna, vorrebbe che questo non avvenisse, che
il suo corpo non si arrendesse così all’invasore, non ne diventasse
rapidamente complice. Ferdinando incomincia a
spingere, mentre le sue mani tormentano il corpo di Mahdi, che sente il
piacere crescere, diventare sempre più forte a ogni spinta del conte. Non vuole
venire, non vuole questa ulteriore umiliazione, ma troppo a lungo dura la
stretta dei loro corpi e quando le spinte di Ferdinando diventano più
intense, Mahdi sente l’ondata del piacere rovesciarsi in lui, mentre il suo
seme si sparge. Geme. Ferdinando lo stringe tra
le braccia, mentre il suo seme ancora si spande nel culo di Mahdi. Gli
accarezza i capelli. Mahdi non vuole questa tenerezza, che lo rende complice
di ciò che è avvenuto. Ha uno scatto di rabbia, cerca di divincolarsi, come
la prima sera, umiliato, infelice. Ma Ferdinando lo tiene stretto, in un
abbraccio tanto forte quanto dolce. - Tranquillo. Tranquillo. Questa rivolta tardiva è
inutile, Mahdi se ne rende conto. Si abbandona alla stretta. Lentamente
ritrova la calma. Ferdinando rimane sopra di lui e lo accarezza. Mahdi
sgomento si rende conto che gli piace la sensazione di queste mani che
scorrono sul suo corpo, di queste braccia che ogni tanto lo stringono, della
bocca di Ferdinando che si posa sulla sua nuca, dei piccoli morsi, dei baci.
E gli piace anche il calore del cazzo di Ferdinando che è rimasto dentro di
lui, non più rigido, ma ancora grande e forte. Ferdinando ritrae il cazzo
e le sue mani scivolano sul corpo di Mahdi, gli accarezzano il viso, si
infilano sotto il ventre, giocherellando con il suo cazzo e i suoi coglioni.
Mahdi non oppone resistenza: ha accettato la propria sconfitta. Sta bene tra
queste braccia che lo stringono. Ora Mahdi sente che il cazzo del conte preme
contro il suo culo, nuovamente grande, caldo e duro. Mahdi si rende conto che
attende il momento in cui entrerà dentro di lui. Chiude gli occhi, smarrito.
Anche questa volta la penetrazione provoca sensazioni fortissime. Ogni spinta
provoca dolore e incendia il suo corpo, finché il piacere lo travolge nuovamente. Ferdinando si alza.
Sorride. Mahdi si rende conto che in qualche modo Ferdinando è contento che
anche lui sia venuto: gli è piaciuto che abbiano goduto insieme. Ferdinando si pulisce e si
riveste. Gli dice: - Vestiti. Mahdi obbedisce. Tiene gli
occhi bassi. Si vergogna di aver goduto mentre quest’uomo lo possedeva. - Vieni con me. Mahdi segue Ferdinando.
Nella stanza del castello dove Omar riuniva gli ufficiali, Denis di
Rougegarde li attende. Si rivolge a lui, chiamandolo per nome. Denis di Rougegarde
parla un arabo perfetto, ma questo Mahdi lo sapeva già. È invece stupito che
il duca sappia come si chiama. - Mahdi, sappiamo che eri
l’ufficiale di grado superiore in questo castello. Ti affidiamo pertanto il
compito di recarti dall’emiro Ashraf ibn Samih e chiedere il riscatto per suo
fratello Omar. Domani mattina partirai e tornerai a essere un uomo libero. Mahdi è sorpreso. Non si
aspettava di recuperare la libertà. Guarda il conte Ferdinando, che sorride o
forse ghigna. Non verrà più posseduto da quest’uomo. Il pensiero è un
sollievo, anche se il suo corpo ha provato piacere, anche se una parte di lui
lo desidera, di questo Mahdi è perfettamente conscio. E il pensiero gli fa
orrore. Vorrebbe poter partire ora, andarsene, non rivedere mai più il conte.
Mahdi viene condotto da
Omar ibn Samih, che gli dà alcune istruzioni per il fratello. Omar ha un
braccio fasciato: è rimasto ferito quando ha cercato di uccidere a tradimento
Denis di Rougegarde, che però se n’è accorto e ha evitato il colpo. Il duca
voleva farlo giustiziare, ma non l’ha fatto per le suppliche della moglie di
Omar, Munira. L’indomani è ancora notte
quando la porta della camera di Mahdi si spalanca e Ferdinando entra, una
candela in mano. Mahdi si mette a sedere.
Ha intuito. Sa che non può opporsi e sa che una parte di lui vuole ciò che
succederà. - Rimani così. Mahdi non capisce. Ferdinando si spoglia.
Mahdi osserva il corpo vigoroso che emerge dagli abiti e si accorge di avere
la gola secca. Vorrebbe guardare altrove, ma non ci riesce. I suoi occhi
fissano il conte, scorrono sull’ampio petto villoso, scendono al ventre e si
fissano sul cazzo, già teso in avanti. Mahdi deglutisce. Gli mancano le
forze. Si stende e chiude gli occhi. Nuovamente il suo corpo lo
tradisce e il desiderio si rivela nel cazzo che si gonfia di sangue. Mahdi
prova vergogna. Ferdinando sorride, si
avvicina al pagliericcio, prende i piedi di Mahdi e li allontana uno
dall’altro, spostandoli verso l’esterno, poi si inginocchia tra le sue cosce.
Gli solleva le gambe e se le mette sulle spalle, forzandolo a sollevare il
culo. Sputa due volte sul buco e sparge la saliva con le dita, poi avvicina
il cazzo, tenendolo con la mano, fino a che la cappella preme contro
l’apertura e la forza. Lentamente Ferdinando penetra Mahdi, mentre lo guarda
negli occhi e sorride. Mahdi guarda questo
maschio magnifico che lo sta possedendo. La fiamma della candela illumina il
corpo vigoroso di Ferdinando e il viso sorridente. Mahdi vorrebbe non cedere
al desiderio, ma il piacere lo avvolge e il suo cazzo si tende. È la prima
volta che può guardare in faccia Ferdinando mentre questi lo prende. Mahdi
non saprebbe dire che cosa prova, ma il suo corpo si arrende,
incondizionatamente, a questo toro che prende possesso di lui. Ferdinando muove avanti e
indietro il culo e a ogni spinta, il cazzo penetra più in profondità e poi si
ritrae, in un movimento continuo. La presenza di quest’arma in culo è
dolorosa, ma trasmette anche sensazioni fortissime. Il cazzo di Mahdi è ormai
teso come una lama d’acciaio e il piacere lo avvolge. Mahdi vorrebbe che la
sua bocca trattenesse i gemiti che gli vengono alle labbra, che il suo viso
non tradisse ciò che prova, ma il suo corpo non gli obbedisce, la sua resa è
completa. E il piacere cresce,
sempre di più, finché è troppo forte per essere contenuto ed esplode. Mahdi
prova vergogna sapendo che Ferdinando può vederlo godere mentre lo incula. Ma
l’ondata che lo travolge non lascia spazio a finzioni. Ferdinando continua a
spingere, finché anche lui viene. Per l’ultima volta riempie il culo di Mahdi
del suo seme. Poi esce, si toglie le gambe dalle spalle e si stende su di
lui. Mahdi sente il peso di questo corpo che lo schiaccia: è pesante, questo
toro che lo ha posseduto, ma è bello sentirlo su di sé. Ferdinando bacia
Mahdi sulla bocca. Questa volta Mahdi non si sottrae. Ferdinando spinge la
lingua nella bocca di Mahdi, poi sussurra: - Sei bello, Mahdi. Ferdinando lo guarda un
attimo, poi aggiunge: - E hai un bellissimo
culo. Ride, si alza e si
riveste. Guarda fuori dalla finestra. Dice, nella sua lingua, che Mahdi non
può capire: - Sta albeggiando, sei un
uomo libero, Mahdi. Un po’ mi spiace. Ripete, in arabo: - Sei libero. Peccato. Ferdinando scuote la
testa. Si avvicina, gli passa una mano dal viso al collo, poi sul torace,
fino a ventre e al cazzo. Stringe con delicatezza i coglioni. Scuote la testa
ed esce, sorridendo. Mahdi rimane a guardare il soffitto. Poco dopo l’alba Mahdi
parte per Jabal al-Jadid, la capitale dell’emiro Ashraf. Lo accompagnano tre
soldati che sono stati anche loro liberati perché potessero fargli da scorta.
Tutti hanno ottenuto le loro armi: queste aree di montagna sono infestate da
briganti. Il viaggio richiede alcuni
giorni di marcia. Mahdi parla pochissimo. Non è mai stato un uomo loquace e
dopo quanto è successo tende a essere ancora più silenzioso. I soldati non
sanno nulla dello stupro subito dal loro comandante, ma non si stupiscono nel
vederlo così poco comunicativo: lo conoscono e attribuiscono il suo umore
alla sconfitta e alla prigionia. I soldati invece scherzano spesso tra di
loro: non si aspettavano di recuperare così presto la libertà; temevano
invece di rimanere schiavi a lungo, magari per sempre. Il pensiero di essere
liberi e di tornare alla capitale li rende allegri. Mahdi non bada a loro,
chiuso nei suoi pensieri. Il quarto giorno il gruppo
arriva sulle colline da cui si può vedere Jabal al-Jadid, circondata
completamente da alte mura. Dall’alto Mahdi e i suoi compagni osservano le
case bianche, gli orti ombreggiati dalle palme, i minareti svettanti delle
numerose moschee, l’altura su cui sorge una seconda cinta di mura che
protegge il grande palazzo dell’emiro, quasi una città nella città. E poi il
fiume che scorre pigro, le norie che sollevano l’acqua, il via vai di
mercanti e viandanti lungo la strada che conduce alla porta occidentale. Uno dei soldati esclama: - Non pensavo di tornare a
rivederla. Credevo di rimanere schiavo per tutta la vita. Un altro annuisce e
aggiunge: - Che meraviglia! Dicono
che solo al-Hamra sia più bella di Jabal al-Jadid. Però adesso è in mano a
quei cani cristiani. La chiamano Rougegarde. Mahdi annuisce. Una grande
stanchezza si è impadronita di lui. Vorrebbe sedersi, stendersi, dormire.
Vorrebbe dimenticare tutto quello che è stato. L’idea di incontrare gli altri
ufficiali, i suoi amici, lo angoscia. Con uno sforzo reagisce: - Andiamo. Il gruppo scende dalla
collina e seguendo per un lungo tratto la riva del fiume raggiunge la porta
più vicina. Alcuni dei soldati di guardia riconoscono Mahdi e lo accolgono
festosi: sapevano della conquista di Qasr Basir a opera dei cristiani e
temevano che Mahdi vi avesse trovato la morte, come tanti guerrieri. Mahdi sorride e risponde,
dominando l’impulso di fuggire via. Poi Mahdi e i suoi uomini
raggiungono il palazzo dell’emiro, che è stato avvisato del loro arrivo e li
attende impaziente nella sala delle udienze: Ashraf ibn Samih vuole avere
notizie del fratello Omar. Mahdi entra, si prosterna
davanti all’emiro e lo saluta. Ashraf chiede subito
notizie. Mahdi risponde. - Tuo fratello si è
arreso, ma poi ha cercato di uccidere a tradimento il duca di Rougegarde. - Cosa?! E… Ashraf non osa chiedere:
gli è stato riferito che Omar non è morto nella conquista del castello, ma
nessuno aveva notizie sicure. Se suo fratello ha cercato di uccidere il duca
a tradimento, Denis di Rougegarde potrebbe averlo fatto giustiziare. Ashraf
darebbe ordine di crocifiggere un nemico che si comportasse così. - Il duca voleva farlo
giustiziare, ma poi lo ha graziato. - Allah sia lodato. Ciò
che dicono della generosità del Cane dagli occhi azzurri non è menzogna. Ma
dimmi anche di sua moglie, Munira, che non ha voluto lasciare il castello
prima che venisse conquistato dagli infedeli. - È anche lei prigioniera. - I cristiani l’hanno
rispettata, vero? - Sì. - Lo pensavo. Denis di
Rougegarde è un uomo giusto. Mahdi pensa che a subire
violenza è stato lui, non la bella Munira. Mahdi è un ufficiale devoto al suo
signore e se gli fosse stato dato di scegliere, avrebbe accettato di essere
stuprato per evitare che lo fosse Munira. Ma non ha avuto scelta. E il
pensiero che il suo corpo lo ha tradito lo angoscia. Mahdi comunica la
richiesta di riscatto e consegna la lettera che il duca di Rougegarde ha
scritto ad Ashraf. L’emiro sa che deve pagare. La somma è consistente, ma la
richiesta non è particolarmente esosa. Dopo il colloquio con
l’emiro, Mahdi si dirige agli alloggiamenti militari, dove risiedono gli
ufficiali in servizio a palazzo e quelli che non hanno una propria
abitazione: per Mahdi la caserma è la sua casa e gli altri ufficiali sono la
sua seconda famiglia. I suoi genitori abitano in un villaggio lontano e Mahdi
li vede di rado. Mahdi viene raggiunto dal
comandante Barbath ibn Yusuf, con il suo braccio destro, Feisal, e alcuni
altri. Sono tutti contenti che Mahdi “il Silenzioso”, come lo chiama l’amico
Qais, sia tornato sano e salvo: il giovane ufficiale ha un buon carattere e
gode della stima e dell’affetto di tutti. Gli chiedono notizie della
battaglia finale, dei compagni, del fratello dell’emiro. Mahdi racconta tutto
ciò che è successo; solo della violenza subita non dice nulla. Barbath e Feisal fanno
domande precise sulla conquista del castello da parte dei franchi guidati dal
duca di Rougegarde. Poi si parla della prigionia di Mahdi. I compagni
scherzano e Qais dice, ridendo: - Avrei voluto essere al
tuo posto. Dicono che il conte Ferdinando abbia il cazzo più grosso di tutti
i franchi e sia il miglior stallone della Terra. Magari avrei avuto occasione
di provare se dicono il vero. Qais ride, come i suoi
compagni, abituati alle battute di questo ufficiale, tanto impudente, quanto
generoso e leale. Qais non sembra porsi nessun limite, ma è difficile dire
quanto le sue parole rispecchino i suoi comportamenti. Qais è sfrontato,
sembra disponibile a provare di tutto, ma che cosa fa effettivamente, non lo
racconta. Gli ufficiali lo prendono
in giro, ma Qais si è accorto che Mahdi è sbiancato in volto. Intuisce
immediatamente la verità: sa che Ferdinando ha preso con la forza molti
prigionieri. Continua a fare battute, per attirare su di sé l’attenzione ed
evitare che qualcun altro noti il turbamento di Mahdi: - Dicono che Ferdinando
non si tirerebbe indietro nemmeno di fronte a un ginn a tre teste e non sono
mica più brutto di un ginn, io! Qais ha un corpo forte, ma
di viso non è certo bello. Qais non se ne fa un cruccio e ci scherza
volentieri. I compagni rincarano la dose: - Secondo me il conte
Ferdinando preferirebbe un ginn a tre teste. - Sì, un ginn a tre teste
è certamente più bello di Qais. - Immaginatevi un ginn che
ha tre teste, tutte come quella di Qais: quel maledetto del conte Ferdinando
ci rimarrebbe secco solo a vederlo. - Come uccidere il nemico,
senza bisogno di armi… - Ci libereremmo dei
franchi una volta per tutte. Qais finge di essere
offeso: - Certo che siete proprio
una manica di stronzi! Ma non appena ha finito di
parlare, Qais scoppia a ridere. Mahdi si è ripreso,
dissimulando il suo turbamento. Qais chiede del duca d’Aguilard. La
conversazione si sposta. Giunge l’ora del pasto,
che gli ufficiali di solito consumano in comune, come i soldati. La riunione
si scioglie: si ritroveranno tra poco nella mensa. Qais si chiede se dire
qualche cosa a Mahdi. Gli è sinceramente affezionato ed è anche attratto da
lui, ma ha capito che Mahdi non è interessato agli uomini, per cui non ha mai
espresso il suo desiderio. Sente di doversi scusare
con Mahdi, anche se la sua voleva essere solo una battuta del tutto
innocente. Al momento in cui gli altri escono, fa in modo di rimanere da solo
con lui, trattenendolo ancora un momento, mentre i compagni si disperdono. Qais dice: - Scusa, Mahdi, non
pensavo… Avrei fatto meglio a stare zitto. Mahdi è nuovamente
impallidito. Qais aggiunge: - Nessun altro si è
accorto di niente. E non sarò certo io a dire qualche cosa. Mi spiace, Mahdi. Mahdi china la testa.
Vorrebbe liberarsi del peso che porta dentro e sa che Qais, nonostante sia un
gran chiacchierone, non va certo in giro a raccontare i segreti che gli altri
gli hanno confidato. Ma esita, non sa da che parte incominciare, prova
vergogna per ciò che è successo. Non è sicuro che Qais possa capire il suo
turbamento, perché l’amico non sembra porsi nei confronti della sessualità
nessun limite. Qais coglie l’esitazione
di Mahdi e intuisce che l’amico vorrebbe parlare. Dice, per incoraggiarlo: - Dev’essere stato
terribile per te. Mahdi annuisce. È stato
duro subire la violenza, ma quello che davvero lo ha angosciato è stato
scoprire il desiderio del proprio corpo. Questo però non sa come dirlo, per
cui tace. Qais capisce che per Mahdi
non è il momento giusto per parlare. Osserva: - Mahdi, dimenticherai
tutto questo: una violenza è come una ferita, in guerra può accadere a
chiunque. E un giorno magari potrai vendicarti e ammazzare quel fottuto
Ferdinando in battaglia. Mahdi guarda Qais e scuote
la testa. Gli sembra d’improvviso di essere stanchissimo, di non riuscire più
a reggersi in piedi. - Che hai, Mahdi? Mahdi muove di nuovo il
capo in un cenno di diniego. - Lascia perdere, Qais. È
ora di andare a mangiare. Nella mensa altri
ufficiali e soldati salutano Mahdi, gli chiedono notizie, si congratulano per
il suo ritorno. Qais rimane in disparte. Vorrebbe aiutare in qualche modo
Mahdi, ma in questo momento non c’è nulla che possa fare. Dopo il pasto, Barbath e
Feisal discutono. Barbath, oltre a essere il comandante dell’esercito, è il
consigliere più ascoltato dall’emiro Ashraf: un ruolo che lo carica di
responsabilità. Barbath si confronta volentieri con il suo vice, di cui
apprezza l’intelligenza. Feisal chiede: - Comandante, pensi che i
franchi approfitteranno della conquista di Qasr Basir per attaccarci? - Non credo, Feisal. I
cristiani non mirano a impadronirsi di Jabal al-Jadid. Vogliono difendere i
loro territori. Sai benissimo qual era la situazione: troppe incursioni in
territorio franco sono partite dalla fortezza. Era inevitabile che
organizzassero una spedizione per conquistarla. - Sì, l’ho pensato
anch’io. Ma perché Omar ibn Samih continuava a sferrare attacchi? - Omar ibn Samih sperava
di togliere ai franchi le terre che loro ci hanno preso qualche anno fa.
Credo che sognasse di riconquistare al-Hamra e diventarne il signore. - Tu pensi? Un obiettivo
molto ambizioso. Per conquistare Al-Hamra bisognerebbe sconfiggere il Cane
dagli occhi azzurri e nessuno ci è mai riuscito. - Sì, ma il fratello
dell’emiro è un uomo irruente e talvolta non valuta con l’attenzione
necessaria la situazione. Sanno entrambi che questo
è un difetto che ha anche l’emiro, abituato a prendere decisioni, a volte
avventate, sull’onda dell’emozione del momento. Non lo dicono esplicitamente,
non perché non abbiano fiducia l’uno nell’altro, ma perché avrebbero
l’impressione di mancare di rispetto nei confronti del loro signore, anche se
nessun altro li sta ascoltando. È uno degli elementi che Barbath apprezza
nelle conversazioni che ha con Feisal: si intendono perfettamente, senza
bisogno di esprimere completamente il loro pensiero. - E così abbiamo perso anche
Qasr Basir. Forse, se l’emiro avesse mandato tutto l’esercito e non solo
qualche truppa di rinforzo… - No, Feisal, l’emiro non
poteva intervenire con tutto l’esercito. Ci sono forti tensioni con lo
sceicco di Shaqra, lo sai bene. Se le nostre truppe si fossero mosse tutte
contro i franchi, lo sceicco avrebbe attaccato: poco gli importa che noi
combattiamo contro gli infedeli. E noi ci saremmo ritrovati tra lo sceicco di
Shaqra e il duca di al-Hamra. Il Cane dagli occhi azzurri è un nemico
formidabile e doverlo affrontare mentre alle spalle abbiamo quell’altro… No,
sarebbe stato troppo azzardato. Feisal annuisce. Sa che il
comandante ha ragione, come sempre. Gli piace parlare con lui, che è in grado
di analizzare sempre lucidamente la situazione. Feisal si trova bene con il
suo comandante. Non ne apprezza solo l’intelligenza, gli piace proprio come
persona, come uomo. È sempre contento di stare insieme a lui. In serata tutti gli
ufficiali si riuniscono nell’abitazione del comandante dell’esercito, che è molto
ampia ed è situata nella cinta più interna di mura, vicino al palazzo
dell’emiro e agli alloggiamenti militari. Barbath apre spesso la sua
casa agli ufficiali e tutti vi vanno volentieri: stanno bene insieme e tra
loro si è creata una grande familiarità. Spesso a loro si unisce anche
Muhammad ibn Ashraf, il figlio maggiore dell’emiro, che ha venticinque anni.
Si siedono sui cuscini o direttamente sui tappeti, mangiano una pesca o un
po’ di frutta secca, qualche ciambella ripiena o un pasticcino. Bevono
volentieri e qualcuno sorseggia anche un po’ di vino, nonostante la
proibizione del Corano: ma circola voce che perfino l’emiro beva vino.
Discutono e chiacchierano, molto liberamente. Qualche volta c’è anche un
suonatore e la musica del liuto, del cembalo o del tamburo allieta la
riunione. E allora qualcuno si mette a cantare, un altro recita una poesia. All’inizio della serata
c’è sempre un momento in cui Barbath e gli ufficiali analizzano la situazione
della città. Oggi si parla della minaccia costituita dallo sceicco di Shaqra,
un uomo ambizioso, che rivendica un territorio da molto tempo in mano ad
Ashraf. Muhammad vorrebbe che suo padre attaccasse Shaqra, in modo da
costringere lo sceicco a rinunciare a ogni pretesa, ma per il momento Ashraf
preferisce non prendere iniziative. Anche Barbath non ritiene opportuno
scatenare una guerra e lui e Muhammad discutono animatamente. Muhammad si
accalora, come spesso gli accade: è impulsivo, come suo padre, e spesso
trascende. Qualche volta ha litigato con alcuni degli ufficiali. Nei
confronti di Barbath però è sempre rispettoso, perché lo stima e lo ammira. Mahdi non dice nulla e
nessuno se ne stupisce: parla sempre poco ed è appena tornato dalla
prigionia. Ma il silenzio di Mahdi ha un’altra ragione. Il giovane ufficiale
fissa Barbath e si rende conto di non riuscire più a seguire ciò che dice il
comandante. Barbath è un uomo molto forte, i cristiani lo chiamano il
Flagello, perché è uno dei guerrieri più temuti. È tarchiato e ha pochi
capelli, che tiene molto corti. Ha un viso dai lineamenti molto duri, la
mascella squadrata e una fitta barba nera. Gli occhi sono chiari, di un
grigio-verde che Mahdi non ha mai visto in altri uomini. Mahdi guarda quel
viso maschio e gli sembra che gli manchino le forze. Pensa a qualche cosa che
ha sempre saputo, ma che ora si riaffaccia come un pensiero disturbante: a
Jabal al-Jadid Barbath non è soprannominato il Flagello, ma Tre Coglioni,
perché ha tre testicoli. Gli ufficiali lo chiamano così quando parlano tra di
loro, ma non in sua presenza: anche se sa benissimo di questo nomignolo che
gli è stato affibbiato e che non gli dispiace per niente, Barbath è il
comandante dell’esercito. Per quanto ci sia molta familiarità tra lui e i
suoi ufficiali, nessuno vorrebbe mancargli di rispetto. Solo Qais ogni tanto
si permette una battuta, ma è uno sfrontato. Una volta Barbath gli ha detto
che gli avrebbe tagliato la lingua e l’avrebbe gettata nella latrina degli
alloggiamenti militari. Adesso Mahdi non pensa a
Barbath il Flagello dei cristiani, ma a Barbath Tre-coglioni, che dicono
essere un vero toro da monta. Pare che gli interessino solo i ragazzi. Ora
Mahdi si scopre a guardarlo con altri occhi e, sgomento, si chiede che cosa
proverebbe se Barbath lo possedesse. Il pensiero lo sconvolge: a questo è
giunto? A immaginare che cosa proverebbe se lo prendesse il comandante? Mahdi si sforza di
reagire. Dopo che si è discusso del problema costituito dallo sceicco di
Shaqra, chiede: - Che altre novità ci sono
state in questo periodo? Gli risponde Feisal: - Nulla di particolare. A
nord, Dakhir, l’emiro di Halel, ha attaccato e conquistato Ras an-Bair e
adesso sta assediando al-Unayzah, ma sembra che non riesca a venire a capo
della resistenza della città. Halel, Ras an-Bair e al-Unayzah sono lontane, tra le montagne all’estremità settentrionale della Siria. Nessuno dei presenti si preoccupa di questo emiro che vuole impadronirsi di altre terre. Scontri tra i piccoli signori sono molto frequenti, gli ufficiali di Jabal al-Jadid non possono immaginare l’importanza della partita che si sta giocando ad al-Unayzah, ma da ciò che sta succedendo davanti alle mura di quel piccolo centro dipenderanno la vita e la morte di tutti loro. Dakhir ibn Nadim, emiro di Halel, guarda i curdi che stanno smontando una delle tende sotto lo sguardo vigile di Boran e di suo figlio Ishan. Dakhir freme di rabbia, ma non dice nulla: Boran si è unito volontariamente alle truppe di Dakhir, ma non gli deve obbedienza, perché la vallata in cui vive non fa parte del territorio di Halel. Boran si è stufato di quest’assedio che si trascina e ha deciso di andarsene. Non è il primo, non sarà l’ultimo. Dakhir volge lo sguardo
verso al-Unayzah, che da un mese cerca di conquistare, e nuovamente freme.
Al-Unayzah non è un grande centro, non ha un forte esercito, ma ha solide
mura, sorge su uno strapiombo che costituisce un’ottima difesa naturale su
due lati e gli abitanti oppongono una resistenza tenace. Dakhir aveva sperato
in una conquista rapida, ma i suoi sogni si sono infranti contro la barriera
delle mura. Anche l’attacco lanciato oggi è stato un fallimento. Gli uomini
sono scoraggiati. Boran si allontana con i
suoi guerrieri. Dakhir guarda da un’altra parte: non ha voglia di salutarlo.
Nel campo rimane un altro spazio libero. Il caldo è soffocante, nonostante si
sia in una regione montuosa e la primavera sia appena incominciata, ma da
alcuni giorni il vento soffia da est, portando calore, polvere e sabbia.
Dakhir mormora: - Merda! Poi ritorna nella tenda,
posta ai piedi di una parete, in modo da rimanere in ombra e sfuggire al
calore opprimente del giorno. Dakhir è ambizioso. Finché
suo padre Nadim era in vita, ha dovuto obbedirgli. Nadim è vissuto molto a
lungo: solo quando ha compiuto i settantotto anni Allah l’ha chiamato a sé.
Adesso che suo padre è morto, Dakhir intende ampliare il suo dominio nella
Siria settentrionale, frazionata in tanti territori i cui signori riconoscono
la sovranità di Nur ad-Din, ma godono di ampia autonomia. Halel è la cittadina più
ricca della regione, anche se non può certo competere con i grandi centri più
a sud, come Jabal al-Jadid, Shaqra e Aleppo. Dakhir vorrebbe fare di Halel il
centro di uno stato potente. La città di Ras an-Bair è stata conquistata
senza fatica, ma ora Dakhir non riesce a venire a capo della resistenza di
al-Unayzah. Nell’esercito c’è molto
malcontento: tutti contavano di espugnare la città in pochi giorni,
procurandosi un buon bottino senza gravi disagi, ma la guerra si trascina e
ogni giorno qualcuno abbandona l’esercito: gli uomini di queste valli del
Nord sono più briganti che guerrieri, sono abituati più alle rapide
incursioni che al logorio di un conflitto protratto nel tempo. Hamdan, il fratello di
Dakhir, entra nella tenda. - Ho saputo che anche
Boran se n’è andato. Dei curdi non è rimasto nessuno. Dakhir alza le spalle. - Sai come sono quelli…
Sono abituati alle razzie, non alla guerra. - Ma… pensi che sia
davvero il caso di rimanere ancora? È un mese che… Dakhir non lo lascia
terminare. Le defezioni lo hanno irritato e l’atteggiamento di Hamdan lo
infastidisce. - Non ho nessuna
intenzione di tornarmene a Halel senza aver conquistato al-Unayzah. - Ma ne vale la pena? Non
è… Dakhir ha uno scatto
d’ira. - Merda, Hamdan! Ma non
capisci? Se non riusciamo a conquistare neanche al-Unayzah, non riusciremo
mai ad allargare il nostro dominio! - Nostro padre ha
conquistato… Dakhir lo interrompe di
nuovo: - Appunto, nostro padre ha
conquistato, non è rimasto a grattarsi i coglioni! Certe volte mi chiedo se
sei davvero suo figlio. Lasciami in pace, Hamdan. Hamdan china la testa e si
allontana. Dakhir è ancora più irritato. Suo fratello se ne sarebbe rimasto
volentieri a Halel. Non gli piace combattere. Non ha i coglioni, questa è la
verità. Dakhir si stende e finisce
per assopirsi. Quando si desta, un servitore gli trasmette la notizia portata
da uno dei soldati: - È arrivato il messaggero
di un principe circasso, Kazbech. Dice che il suo signore ha con sé duecento
guerrieri e vuole mettersi al tuo servizio. Dakhir è alquanto sorpreso
dalla notizia. Dà ordine che l’uomo venga introdotto. Il messaggero, un uomo sui
trent’anni, si inchina davanti a lui e gli dice di venire da parte del principe
Kazbech. Il suo signore ha lasciato le terre dei suoi avi con duecento
guerrieri ed è giunto da poco nei pressi di al-Unayzah. Si è accampato nelle
vicinanze, perché vorrebbe mettersi al servizio di Dakhir. Dakhir è perplesso: i
circassi sono una popolazione che vive molto più a nord, con cui gli arabi e
i curdi della Siria hanno sempre avuto pochi contatti. Perché questo principe
ha deciso di mettersi al suo servizio? In ogni caso duecento uomini sarebbero
i benvenuti. Dakhir si dichiara disposto a ricevere subito Kazbech. Il principe circasso
giunge mezz’ora dopo, a cavallo di un magnifico stallone nero.
L’abbigliamento non sembra quello di un principe: Kazbech indossa solo un
mantello e una tunica che gli lascia scoperte le braccia e parte delle gambe.
Ma il portamento fiero, il bracciale d’oro, la preziosa fibbia che chiude il
mantello, il pesante monile che porta al collo, la superba cavalcatura e la
sicurezza con cui tiene le redini, tutto in lui dimostra la nobiltà e la
ricchezza della sua stirpe. Il principe scende da
cavallo e davanti a Dakhir china leggermente la testa, in segno di omaggio:
non è il saluto di un servitore, ma di un uomo fiero. L’emiro lo invita a
entrare nella sua tenda e si siedono entrambi sui cuscini. Mentre scambiano i saluti,
Dakhir osserva attentamente il suo ospite. Kazbech è un uomo di alta statura
e grande vigore. Dev’essere sui trentacinque anni e ha spalle larghe, da
lottatore, braccia e gambe muscolose, un viso dai tratti decisi con occhi
chiari e capelli e barba di un rosso scuro. Deve avere una forza taurina. Dakhir è affascinato da
questo maschio: è sempre stato attratto dagli uomini, in particolare da
quelli molto virili, come Kazbech. Le donne invece non gli interessano: si è
sposato due volte per avere un erede, ma le mogli sono morte e nessuno dei
tre figli che ha generato ha raggiunto i cinque anni. Dakhir non si è più
risposato. Dopo i saluti e alcune
frasi di cortesia, Dakhir pone una domanda diretta: - Come mai hai lasciato le
tue terre, principe? - Mio fratello ha
ereditato l’intero regno, secondo le nostre tradizioni, e io sono partito con
coloro che hanno voluto seguirmi, alla ricerca di fortuna. So che sei un
guerriero valoroso, emiro. Ti chiedo se vuoi prendermi al tuo servizio. - Come mai hai deciso di
rivolgerti proprio a me, che non ho un grande dominio? - Perché intendi
conquistare quel vasto dominio che non hai ancora e io voglio combattere, non
rimanere ozioso. Preferisco aiutare un signore coraggioso a conquistare un
regno che servire un sovrano imbelle che regna su un immenso territorio. Sono
un guerriero. Dakhir annuisce. Non
intende nascondere la verità, per cui dice come stanno le cose. - Ho conquistato Ras
an-Bair in tre giorni, ma ora sono bloccato da un mese qui davanti ad
al-Unayzah e tra i miei uomini c’è molto malcontento. - Se mi darai mano libera,
conquisterò al-Unayzah in tre giorni, servendomi solo dei miei uomini. Dakhir è perplesso.
Quest’uomo conta di ottenere in tre giorni ciò che Dakhir stesso non è
riuscito ad avere in un mese? - Sei davvero convinto di
riuscire in una simile impresa? - Sì. La conquisteremo da
soli. La città passerà sotto il tuo dominio, i miei uomini si spartiranno il
bottino, a parte le ricchezze del palazzo dello sceicco, che ti spettano. L’offerta è allettante ed
è un buon modo per mettere alla prova Kazbech. Se il principe circasso
fallirà, Dakhir non avrà perso nulla. Se invece avrà successo e manterrà i
patti, Dakhir otterrà al-Unayzah. E se Kazbech non mantenesse i patti? Se
volesse tenersi la città per regnarvi? In questo caso poco cambierebbe:
Dakhir si troverebbe nella stessa situazione di adesso, ad assediare la città
che avrebbe semplicemente cambiato signore. Vale la pena di provare. - Va bene, Kazbech. Ti do
mano libera e accetto le tue condizioni. Se riuscirai nella tua impresa, i
tuoi uomini potranno saccheggiare la città e solo le ricchezze del palazzo
dello sceicco saranno per me, ma al-Unayzah entrerà a far parte dei miei
domini. - Sì, emiro. Così sarà. I duecento guerrieri di
Kazbech rimangono accampati più a nord: il principe non vuole che i difensori
della città li vedano. Solo alcuni raggiungono il loro signore e studiano le
modalità d’attacco. Intanto nell’accampamento
si è diffusa la voce che gli uomini del Circasso, come viene chiamato
Kazbech, espugneranno da soli la città. Altri uomini di Dakhir lasciano
l’accampamento: senza la speranza di un bottino, che senso ha continuare a
combattere? Hamdan appare sempre più
perplesso. Osserva: - Dakhir, ormai diversi
uomini se ne sono andati. Se il circasso non riuscirà a conquistare
al-Unayzah, dovremo ritirarci. Dakhir annuisce. Sa che
Hamdan ha ragione, ma proprio per questo l’osservazione del fratello lo
irrita. Ha quasi l’impressione che Hamdan speri in un fallimento del circasso,
per poter finalmente tornare a Halel. - Staremo a vedere che
cosa riuscirà a fare Kazbech. È un uomo forte e deciso. - Sì, ma credi che il
circasso riuscirà davvero a espugnare la città? L’impresa non è facile. Ci
proviamo da un mese. Dakhir cerca di tenere a
freno la propria irritazione: - Credo di sì. In realtà anche Dakhir ha
molti dubbi, ma non vuole dare ragione al fratello. - E pensi davvero che se
la conquisterà, manterrà i patti e te la cederà? Potrebbe decidere di tenerla
per sé. - Merda, Hamdan! Ma si può
sapere… Dakhir non completa la
frase. Si controlla e prosegue: - Anche questo è
possibile, Hamdan, lo so, lo so benissimo. Ma in questo caso il suo dominio
durerebbe poco: duecento guerrieri, per quanto formidabili, non riuscirebbero
a controllare a lungo la città. Noi possiamo raccogliere molti più uomini e
lo stesso si può dire di tanti principi della regione. Non credo che a
Kazbech convenga ingannarci. - Spero che sia così,
fratello. Non mi fido di quest’uomo. Dakhir scuote la testa. - Adesso lasciami in pace. - Come vuoi. Hamdan se ne va. Dakhir
scuote la testa mentre lo guarda allontanarsi. Hamdan ha la stessa struttura
robusta di Dakhir e del loro padre e fisicamente è un uomo molto forte, ma
non ha ambizione, non ha proprio i coglioni. Kazbech, invece… cazzo! Quello è
un maschio. Ce la farà a conquistare questa fottuta città? Se non ci riuscirà
lui, non ce la farà nessuno. I dubbi di Dakhir sono
destinati a durare poco. Due giorni dopo il suo arrivo, Kazbech fa arrivare
le sue truppe dopo il tramonto e lancia un attacco di sorpresa. In città
nessuno sa dell’arrivo dei circassi: le truppe di Dakhir impediscono ogni
contatto con l’esterno. Vedendo l’esercito assediante indebolito dalla
defezione di molti guerrieri, gli assediati non pensano di dover subire un
nuovo attacco. Al-Unayzah sorge su uno
sperone roccioso ed è facilmente raggiungibile solo da sud e da ovest: a nord
e a est le mura si innalzano su una parete quasi verticale, che costituisce
una difesa formidabile. Ma è proprio da est che gli uomini del Circasso
avanzano nottetempo, arrampicandosi sulle rocce. È una manovra difficile per
uomini armati e molto pericolosa: chi non riesce a tenersi, precipita,
sfracellandosi sul greto del torrente molto più in basso. Due uomini scivolano
mentre scalano la parete e cadono, ma nessuno dei due emette un grido:
muoiono in silenzio, perché un loro urlo tradirebbe la presenza dei
compagni. Kazbech e i suoi uomini
raggiungono la base delle mura, che in questo tratto sono più basse. Con l’aiuto
di corde e uncini si arrampicano. Non è difficile sorprendere le sentinelle,
che non si aspettano certo un attacco da questo lato. Le guardie vengono
sgozzate prima che possano dare l’allarme. Quando gli uomini di Kazbech
sono tutti sulle mura, si lanciano alla conquista della città. La
guarnigione, presa di sorpresa, viene massacrata senza che riesca a
difendersi. I circassi non fanno prigionieri tra i soldati che li affrontano:
anche molti di coloro che si arrendono vengono uccisi. Il palazzo dello
sceicco è conquistato senza fatica e lo sceicco stesso catturato, insieme a
molti dei suoi uomini, che non oppongono resistenza. Alcuni cittadini si
rendono conto che in città si combatte, ma ormai è troppo tardi. Chi è tanto
temerario da uscire per dare man forte alla guarnigione, trova rapidamente la
morte. I più preferiscono rimanere in casa e non esporsi inutilmente. È ancora notte fonda
quando gli uomini di Kazbech aprono le porte della città a Dakhir. In poche
ore di combattimento al-Unayzah è espugnata. Kazbech accoglie Dakhir
sulla porta. Il circasso è a torso nudo e il suo corpo possente è sporco di
sangue. La luce delle torce fa luccicare i rivoli di sudore che scorrono sul
suo petto e sul suo viso. Dakhir può sentire l’odore forte che emana da
questo guerriero. Ha l’impressione che gli manchi il respiro mentre lo
contempla. Si rende conto di desiderare questo maschio feroce e vigoroso, di
desiderarlo con un’intensità che gli rende difficile parlare. Kazbech si rivolge a lui: - La città è nelle nostre
mani. Il palazzo è stato conquistato, ma i miei uomini non hanno preso nulla.
L’emiro di al-Unayzah e le guardie che non hanno combattuto sono stati
rinchiusi nelle prigioni del palazzo. - Sei stato di parola e anch’io
rispetterò l’impegno preso: potete saccheggiare la città, come premio per
averla conquistata. Il mattino dopo incomincia
il saccheggio. I circassi passano casa per casa e si prendono tutto ciò che
li attira: oro, gioielli, denaro, donne, armi, stoffe, ragazzi. Quasi tutti
consegnano ciò che hanno senza cercare di opporsi. Qualcuno prova a difendere
la moglie o un figlio e viene immediatamente ucciso. Dakhir è entusiasta.
Kazbech si è rivelato il comandante coraggioso e capace di cui aveva bisogno
e i suoi uomini sono davvero guerrieri intrepidi. Dakhir decide di dare al
principe circasso un’ulteriore ricompensa. Il giorno dopo, nella sala del
palazzo, si rivolge a lui: - Kazbech, i tuoi uomini
hanno catturato le guardie del palazzo: puoi considerarli tuoi prigionieri.
Potrai usarli come schiavi o chiedere un riscatto per loro. - Emiro, al-Unayzah ha
osato resisterti. Se gli uomini dell’emiro sono miei prigionieri, darò ordine
che vengano tutti decapitati, come monito per coloro che oseranno opporsi ai
tuoi piani. Dakhir è perplesso. - Che senso ha? Questo
priverà la città di molti uomini, senza portare nessun guadagno. - L’esempio renderà più
facile la conquista di altre città, che cederanno e verranno risparmiate. Se
ti mostrerai clemente con costoro, altri penseranno di poterti contrastare
senza correre rischi: ogni conquista richiederà uno sforzo maggiore. Dakhir sa che Kazbech ha
ragione: nella prospettiva di una serie di conquiste, ciò che si potrebbe
ricavare vendendo come schiavi le guardie di al-Unayzah non ha una grande
importanza, conta di più dare un esempio. E adesso che ha al suo fianco
questo comandante valoroso, Dakhir non intende certo fermarsi: al-Unayzah non
vale molto, ci sono ben altre prede. - Ti do mano libera. Kazbech si inchina davanti
a Dakhir - Grazie, emiro. Le guardie vengono portate
davanti alle mura della città e disposte in file di quattro. Hanno le mani
legate dietro la schiena. Gli uomini della prima fila sono costretti a fare
due passi avanti e a inginocchiarsi. Sono perplessi e non capiscono che cosa
stia succedendo, finché a un cenno di Kazbech, il primo di loro viene
decapitato. La testa cade al suolo un attimo prima del corpo, da cui il
sangue sgorga abbondante. Gli altri prigionieri gridano, qualcuno invoca
pietà, qualcuno invece maledice Kazbech e Dakhir. Uno dei quattro uomini
inginocchiati cerca di alzarsi, ma la spada del boia si abbatte sul suo collo
prima che sia riuscito a mettersi in piedi. Passato il primo momento,
i più si inginocchiano e muoiono in silenzio o recitando una preghiera.
Quando i circassi che svolgono la funzione di boia hanno concluso il loro
lavoro, a terra c’è un’enorme pozza di sangue in cui giacciono oltre cento
corpi decapitati. Le teste vengono collocate
a un lato della porta principale della città, disposte in modo da formare una
piramide: chiunque entrerà o uscirà dalla porta principale, vedrà che cosa
succede a chi osa resistere a Dakhir. Anche lo sceicco di
al-Unayzah è prigioniero di Dakhir. Kazbech chiede: - Emiro, che cosa conti di
fare dello sceicco? - Chiederò un riscatto. A
Hims ha alcuni parenti che possono pagare per lui. - Emiro, lo sceicco è tuo
prigioniero e ne farai ciò che tu vuoi. Ma se al-Unayzah dev’essere un
esempio per tutte le città della Siria, lo sceicco deve subire una sorte
peggiore di quella dei difensori: sua è stata la scelta di non consegnarti la
città. Tutti coloro che governano in Siria devono sapere che opporsi
all’emiro Dakhir si paga a caro prezzo. Dakhir guarda il principe
circasso. Kazbech parla di “tutti coloro che governano in Siria”. Dakhir è
ambizioso, ma non aveva mai immaginato di poter diventare un giorno signore
di tutta la Siria, prendendo il posto di Nur ad-Din. Le parole del principe
circasso aprono nuove prospettive. - Va bene, Kazbech. Fa’ di
lui ciò che ritieni opportuno. Ti lascio piena libertà. Kazbech sorride e si
inchina. Dà ordine di portare lo sceicco davanti alla porta principale della
città, dove già si erge la piramide di teste dei guerrieri. - Spogliatelo. Lo sceicco è un uomo
ancora giovane e vigoroso, che cerca di non mostrare paura, anche se ha
capito che verrà ucciso. Gli uomini di Kazbech gli tolgono tutti gli abiti,
lasciandolo nudo. - In ginocchio, cane. L’uomo non obbedisce, ma
due soldati lo costringono a inginocchiarsi. A un cenno del capo di Kazbech,
il boia decapita lo sceicco con un movimento rapido della spada. La testa
rotola sulla terra. Il corpo cade inerte. Kazbech dà ordine al boia: - Castralo. Il boia si china sul
cadavere e con il pugnale recide il cazzo e i coglioni, poi infila i genitali
nella bocca del morto. Un palo viene infisso nella terra, sul lato della
porta opposto a quello della piramide di teste. È Kazbech stesso a
prendere il capo dello sceicco e a infilarlo sul palo aguzzo con un movimento
deciso. Il cadavere viene legato a un cavallo e trascinato via. Verrà
abbandonato in aperta campagna, agli animali selvatici: il negargli la
sepoltura è un ulteriore sfregio. Dakhir e Hamdan hanno
assistito alla scena dall’alto delle mura. Sì, Kazbech ha ragione. Il terrore
spingerà i signori a cedere: nessuno vorrà finire come lo sceicco di
al-Unayzah. Certo, non tutti si arrenderanno facilmente, i più forti
cercheranno comunque di resistere, sperando in una vittoria. Ma con Kazbech
al suo fianco, Dakhir si sente sicuro del fatto suo. Dakhir osserva,
trionfante: - Avevi dei dubbi, ma
Kazbech ha mantenuto la sua parola. Hamdan annuisce: - È davvero un uomo
valoroso e un grande combattente. Un ottimo acquisto. - Credo che ne farò il
nuovo comandante dell’esercito. - Non pensi che questo
susciterà malcontento tra i nostri uomini? - Se Kazbech decidesse di
andarsene e mettersi al servizio di qualcun altro, sarebbe molto peggio: hai
visto che uomo è, non vorrei mai trovarmelo di fronte come avversario. No,
rimarrà al mio fianco. E grazie a lui tutta la Siria settentrionale dovrà
piegarsi. Dakhir ha parlato della
Siria settentrionale, ma la sua mente va oltre, ormai immagina di spodestare
lo stesso Nur ad-Din. Per il momento è solo un sogno piacevole da
accarezzare, un domani forse non lontano potrebbe diventare realtà. Hamdan osserva: - Hai promesso che mi
darai una città. Dakhir sorride. Hamdan
voleva tornarsene a Halel, rinunciando a conquistare persino al-Unayzah, ma
ora che la città è stata espugnata, ricorda la promessa che Dakhir gli ha
fatto tempo fa. - Certo, Hamdan,
diventerai signore di una città. - Mi darai al-Unayzah? Dakhir ride. - Al-Unayzah? È un piccolo
centro che vale poco. Davvero ti accontenteresti di al-Unayzah? Presto
conquisteremo le fertili valli più a sud, dove ci sono città ben più
importanti e ricche: ti darò Shaqra o Jabal al-Jadid. Hamdan sorride, ma sembra
incerto. - Sono due splendide città,
ma sono lontane, prima di riuscire a conquistarle… Dakhir scuote la testa:
suo fratello sarebbe ben felice di governare una ricca città, come le due che
lui ha citato, ma sa che prima di arrivare alle valli meridionali dovranno
espugnare numerose fortezze e centri meno importanti e non ha nessuna voglia
di affrontare ancora battaglie e assedi. Hamdan ha seguito Dakhir in guerra
perché gli deve obbedienza, ma avrebbe preferito non impegnarsi in una
gravosa campagna militare. Eppure saranno i figli di
Hamdan a ereditare un giorno i territori conquistati, dato che Dakhir non ha
eredi e l’altro loro fratello, Bilal, è più giovane. Kazbech li raggiunge sulle
mura. Dakhir guarda le mani del guerriero, sporche di sangue. Questo maschio
forte e spietato lo attrae, come non gli era mai capitato. Dakhir ha
posseduto molti uomini e ha permesso a pochi di prenderlo, ma ora gli sembra
di non aver mai desiderato nessuno come il principe circasso. Hamdan si allontana.
Dakhir si rivolge a Kazbech: - Sei un grande guerriero,
Kazbech. - Ti ringrazio, emiro.
Spero di avere altre occasioni di dimostrare il mio valore. Non sono sceso
dai monti della Circassia per oziare. - Altre gloriose imprese
ti attendono, principe. Ho grandi progetti. - Sarò ben lieto di
servirti. Dakhir intende far capire
a Kazbech che lo desidera, ma vuole saggiare il terreno prima di scoprirsi.
Chiede: - Non ti è pesato lasciare
la tua terra? - Là sarei sempre rimasto
soltanto il fratello del sovrano. E mio fratello diffidava di me. Non era
contento di avere al suo fianco un guerriero valoroso, che poteva metterlo in
ombra. Ho scelto di andarmene, alla ricerca di fortuna. - Non hai una famiglia,
una moglie? - No, ora non ne sento il
bisogno. Forse in futuro. Dakhir sorride. - Sì, capisco. Io mi sono
sposato due volte per avere figli a cui lasciare il regno, ma Allah non ha
voluto che i miei figli vivessero. Saranno i figli di Hamdan a ereditare il
regno che voglio creare. Kazbech annuisce. Dakhir
prosegue: - Tu hai conquistato il
palazzo. Il giovane sceicco aveva tre mogli e diverse concubine. Se qualcuna
di loro ti piace, te ne faccio volentieri dono. - Ti ringrazio, emiro, ma
non mi interessano. Le femmine… Kazbech lascia la frase in
sospeso e alza le spalle, come a dire che non vale nemmeno la pena di
parlarne. - Hai ragione. Mi dico che
anch’io avrei potuto fare a meno di sposarmi, visto che i miei figli sono
morti ancora bambini. Il matrimonio serve per quello, per fare figli, per il
piacere… Dakhir alza le spalle e
sorride. Kazbech annuisce. Deve
aver capito. E infatti risponde, sorridendo: - Il piacere si può
raggiungere in molti modi. C’è un momento di
silenzio. I due uomini si fissano, senza dire nulla. Poi Dakhir mormora, con la
voce resa un po’ roca dal desiderio: - Vuoi venire questa notte
nella mia camera? Kazbech annuisce. - Verrò. Dakhir sorride. È l’emiro
e se invita un uomo nel suo letto, ben difficilmente qualcuno si rifiuta. Ma
se non lo desiderasse, Kazbech avrebbe detto di no. Nel palazzo dello sceicco
di al-Unayzah si tiene un grande banchetto serale per festeggiare la
vittoria. I musicisti suonano per allietare il nuovo emiro, suo fratello e il
comandante dell’esercito. Le serve portano in tavola le vivande, che i cuochi
hanno cucinato scegliendo il meglio che la dispensa dell’emiro offriva. Tutti
sorridono al loro nuovo signore, anche se molti hanno perso un fratello, un
figlio, un amico. Al termine del pasto,
Hamdan e Dakhir si ritirano nelle loro camere: entrambi dormono negli
appartamenti dello sceicco. Kazbech preferisce dormire nella sua tenda,
nell’accampamento fuori dalle mura: non gli interessano le comodità. Ma questa sera dopo il
banchetto Kazbech non lascia il palazzo. Si limita a fare un giro di
controllo e quando tutti ormai si sono ritirati nelle loro camere, si dirige
verso la stanza di Dakhir. Gli uomini di guardia lo lasciano passare, come ha
ordinato l’emiro: sicuramente pensano che il principe circasso e Dakhir si
ritrovino per prendere decisioni importanti. L’ambiente è illuminato
solo da una lampada a olio posata a terra, vicino al tappeto su cui è seduto
Dakhir. L’emiro avrebbe voluto spogliarsi e stendersi sul letto, ma conosce
appena Kazbech e preferisce non mostrarsi impaziente. Non vuole che il
principe circasso lo disprezzi. Quando Kazbech entra,
Dakhir si alza in piedi. Osserva il magnifico maschio che ha davanti a sé. Ha
la gola secca. Deglutisce. Kazbech sorride. Dice,
piano: - Spogliami, Dakhir. Non lo ha chiamato con il
titolo: ogni distanza tra l’emiro e il guerriero al suo servizio è
cancellata, ma questo non sminuisce Dakhir, perché Kazbech è un principe. Dakhir annuisce. Posa le
mani sulla fibbia che tiene fermo il mantello: uno splendido gioiello d’oro a
forma di aquila. Dakhir sorride e per nascondere la sua tensione dice: - Questa fibbia è una meraviglia. Quando Dakhir apre la
fibbia, il mantello scivola a terra. Dakhir posa le mani sui fianchi di
Kazbech e solleva la tunica. Il principe alza le braccia per permettergli di
sfilarla. Dakhir osserva le spalle larghe e il torace possente del circasso,
velato da una leggera peluria di un rosso ancora più scuro della barba, quasi
nero. Dakhir ha la gola secca. Vorrebbe calare i pantaloni del guerriero, ma
esita. Poi, superate le remore, appoggia le mani sui fianchi del circasso e
cala lentamente l’ultimo indumento. Quando i pantaloni
scendono a metà coscia, Dakhir, si ferma. Mai nella sua vita ha visto un
maschio così dotato. Smarrito, Dakhir alza gli occhi sul circasso, che
sorride leggermente e gli poggia le mani sulle spalle. Dakhir non oppone resistenza:
scivola in ginocchio. La sua resa è completa. Le sue mani abbassano
completamente i pantaloni. Dakhir avvicina la bocca al cazzo del circasso. Ne
sente l’odore, intenso, di sudore e piscio. Questo afrore non gli dispiace.
Quasi tremando prende in bocca il cazzo e lo accarezza con la lingua.
L’animale drizza rapidamente il capo, acquistando rigidità e volume. Man mano
che si gonfia di sangue, Dakhir si rende conto di fare sempre più fatica a
tenerlo in bocca, finché è costretto a lasciarlo. Lo contempla, meravigliato.
Il cazzo del circasso proietta una grande ombra sul suo ventre e sul torace.
Sotto, illuminati dalla luce della lampada, i due coglioni sono magnifici.
Dakhir tende la mano e li stringe. Ne sente la durezza e la grandezza, sotto
la pelle umida di sudore. Dakhir è preso da un senso di vertigine. Il circasso gli mette una
mano dietro la testa e l’avvicina al cazzo, senza dire nulla. Dakhir ha l’impressione di
non avere più forza. Apre la bocca al massimo e passa più volte avidamente la
lingua sulla cappella, poi l’avvolge con le labbra e incomincia a succhiarla.
Le sue mani si posano sui fianchi di Kazbech, stringono con vigore il culo
muscoloso. Tutto in questo maschio è forza e virilità. Una mano di Kazbech si è
posata sulla sua testa, dietro la nuca, come a impedirgli di staccare la
testa dal cazzo che sta succhiando. Ma Dakhir non vuole lasciare la preda,
per quanto non sia facile tenerla in bocca. Kazbech toglie la mano.
Dakhir ritrae il capo e guarda ammaliato il cazzo del principe circasso.
Davvero non hai mai visto nulla del genere. - Stenditi, Dakhir. Dakhir alza gli occhi su
Kazbech, che incombe su di lui. Gli sembra di essere piccolo e debole di
fronte a questo maschio possente. Di colpo ha paura: non sarà facile
accogliere l’arma del circasso. Kazbech gli mette le mani
sulle spalle e lo forza a sdraiarsi, poi lo volta. Ora Dakhir è steso sui
cuscini, prono. Kazbech gli fa sollevare un po’ il culo e divaricare bene le
gambe. Gli appoggia le mani sulle natiche e spinge verso l’esterno. Sputa sul
buco del culo e poi sparge la saliva tutto intorno. Poi sputa di nuovo e
inumidisce bene l’apertura, spingendo un dito all’interno. Ripete ancora
l’operazione tre volte, introducendo due dita. Fa male, ma a Dakhir non importa.
Attende l’ingresso dell’arma. Kazbech si appoggia su di lui e spinge un po’
in avanti il culo. Dakhir sente la pressione, forte, del cazzo contro
l’apertura. Apre la bocca e gli sfugge un gemito. Lentamente il cazzo del
circasso entra in lui. Dakhir ha l’impressione che sia un palo che lo
penetri. Eppure, nonostante il dolore, violento, che a tratti gli toglie il
fiato, c’è una sensazione di pienezza che lo stordisce. Kazbech avanza ancora. Se
i cuscini non lo sostenessero, Dakhir crollerebbe. Mormora: - Kazbech! Sente la risata del
circasso, le cui mani scivolano sotto per afferrargli il cazzo e i coglioni.
È una stretta forte, che fa sussultare Dakhir. Una mano di Kazbech accarezza
il cazzo, che acquista rapidamente consistenza e volume. L’altra stringe i
coglioni in una carezza rude. E intanto Dakhir sente che il palo che lo
trafigge ha preso a muoversi. Ogni spinta trasmette una fitta, ma è anche
un’ondata di piacere, che stordisce l’emiro. Kazbech cavalca a lungo,
martoriando il culo di Dakhir, mentre le sue mani tormentano il cazzo e i
coglioni dell’emiro. Dolore e piacere si mescolano, in ondate sempre più
forti. E infine il piacere è incontenibile e Dakhir viene. Il suo seme si
sparge sui cuscini, mentre Kazbech accelera il movimento e infine sparge il
suo seme dentro di lui. Kazbech esce e si stende
sui cuscini accanto a Dakhir, che chiude gli occhi, stremato. Il piacere è
stato intensissimo, ma adesso il dolore al culo è violento. Dakhir si volta,
mettendosi sulla schiena. Muove il braccio e la sua mano raggiunge il cazzo
del circasso. Lo sente rigido e grande, come se non fosse venuto. Lo
accarezza. Kazbech ride. - Ci vuole un momento
perché abbassi la testa. Tra poco però chinerà il capo e poi lo rialzerà e
potremo riprendere. Dakhir non lascia la sua
preda, ma risponde: - Non ce la farei un’altra
volta… No, mi sembra di avere tutti i diavoli della Geenna in culo. Kazbech ride di nuovo. - Ti abituerai. Se sei
sazio, per questa sera ci fermiamo qui. - Credo che sia meglio. Ma la mano di Dakhir
stringe ancora il cazzo del circasso, che lentamente si riduce di volume e
perde rigidità. Dakhir guarda il corpo steso accanto al suo. - Sarai il comandante del
mio esercito, Kazbech. E la notte, se vorrai, dividerai il mio letto. - Non chiedo di meglio,
Dakhir. Vuoi che mi fermi qui o preferisci che torni nella mia tenda? A Dakhir spiace che
Kazbech se ne vada, ma preferisce che non circolino voci. Non c’è niente di
strano che Kazbech abbia trascorso un’ora nella camera di Dakhir: possono
aver discusso mille cose. Ma se vi trascorresse l’intera notte, la
spiegazione che verrebbe data sarebbe diversa. - Vorrei che tu ti
fermassi, ma è più saggio che tu te ne vada. Kazbech annuisce. Si
rialza. Dakhir lo guarda vestirsi, senza riuscire a distogliere lo sguardo da
lui nemmeno un secondo. Quando è pronto, Kazbech
si mette il mantello su una spalla e chiude la fibbia. Poi si toglie il
monile d’oro che porta al collo e lo porge all’emiro. - Questo è per te. Dakhir accoglie il dono
con gioia: vi legge il pegno di un legame che li unirà fino alla morte. - Grazie. Dakhir stringe il monile
tra le dita, poi se lo mette al collo. - Buona notte, emiro. - Buona notte, comandante. Dakhir si stende. Le sue
dita accarezzano il monile. Kazbech esce dalla camera e
poi dal palazzo. Raggiunge la porta principale della città, dove le guardie
gli aprono un battente per permettergli di uscire, e si dirige
all’accampamento. Il suo scudiero Imad si
alza quando lo sente arrivare. Kazbech lascia che Imad lo
spogli. Quando è nudo, si rivolge a Imad e gli ordina: - Succhia il cazzo del
comandante dell’esercito dell’emiro, Imad. Imad sorride, lieto che
Kazbech abbia ottenuto il posto di comandante. Si mette ginocchioni e, come
ha fatto tante volte, prende in bocca il cazzo del principe. Sente dall’odore
e dal gusto che Kazbech ha posseduto da poco qualcuno. L’emiro, forse? O il
fratello? Imad sa che non spetta a lui chiedere e che Kazbech non gli dirà
nulla. Il principe gli comunicherà i suoi piani se avrà bisogno di lui per portarli
a compimento. Imad tace e lavora
alacremente. Sa come far godere il suo signore e le sue labbra e la sua
lingua guidano al piacere il circasso. Imad inghiotte il seme di Kazbech. Poi
attende che il suo signore si stenda e spegne la lanterna. Dakhir si ferma ad
al-Unayzah, per organizzare l’amministrazione della città, che è ormai parte
del suo dominio. Kazbech è sempre al suo fianco. Di giorno progettano insieme
nuove conquiste: il principe circasso è sicuro che riusciranno a impadronirsi
di tutta la Siria settentrionale e lascia intravedere la possibilità di
andare anche oltre. La notte Dakhir si offre a Kazbech senza remore, preda di
un desiderio che non può e non vuole controllare. A malincuore lascia che il
circasso torni alla sua tenda dopo averlo posseduto due o tre volte: vorrebbe
trattenerlo, ma preferisce che nessuno sospetti il legame che li unisce. Il
monile d’oro che Kazbech gli ha donato è sempre al suo collo, giorno e notte. Una settimana dopo la
conquista, l’esercito lascia la città sottomessa e fa ritorno a Halel. La
cittadina si trova all’ingresso di una stretta valle, sui cui fianchi sorgono
due fortezze. Una muraglia unisce le due piazzeforti alla città, creando un
imponente complesso di fortificazioni che sbarra l’ingresso della valle e
testimonia la potenza della stirpe guerriera dei signori di Halel. I circassi si accampano
fuori dalle mura, vicino al fiume. Solo Kazbech si stabilirà nella residenza
dell’emiro, insieme al suo scudiero e a pochi uomini fidati. Dakhir entra in città, con
Kazbech e Hamdan, percorrendo lo strade in cui si accalca la popolazione: la
folla accoglie festosa l’emiro che ritorna vittorioso e guarda con curiosità
il principe venuto dal nord, che pare essere tanto forte e coraggioso, quanto
spietato. Il circasso non delude le aspettative della gente che si accalca
per vederlo: quest’uomo forte è di certo un guerriero formidabile. L’emiro raggiunge il
palazzo, un edificio fortificato posto sul fiume che attraversa la città.
Nella residenza dell’emiro vivono anche i suoi due fratelli: Hamdan, con i
tre figli, e Bilal, con la moglie e la figlia. Dakhir non intende fermarsi a
lungo a Halel: vuole ripartire presto per conquistare altre fortezze e città.
Nel palazzo Hamdan ritrova
i suoi tre figli. I due maschi, Akram e Farid, non hanno accompagnato il
padre nella spedizione. Akram ha ventisei anni e avrebbe voluto partire: è un
giovane coraggioso e ha già combattuto più volte, ma una malattia lo ha
costretto a letto e gli ha impedito di accompagnare il padre e lo zio. Farid
ha solo sedici anni e Hamdan ha preferito lasciarlo a Halel, tanto più che
Farid non ha il temperamento guerriero del fratello. Hamdan pensa spesso che
il suo figlio maggiore assomiglia a Dakhir: ama la battaglia e l’azione.
Farid invece assomiglia di più a lui e non è attratto dalla guerra. Tutti e
due però sono ambiziosi, assai più del padre, e la conquista di al-Unayzah a
opera di colui che viene chiamato semplicemente il Circasso li ha
entusiasmati. Farid osserva: - Ora che questo Kazbech è
il comandante dell’esercito, conquisteremo tutta la Siria. I signori di Halel
prenderanno il posto dei signori di Damasco. Akram non dice nulla, ma è
irritato: Farid parla come se pensasse di poter diventare lui il signore di
Halel e di tutta la Siria, mentre Akram ritiene di essere l’erede legittimo
dei territori dello zio, visto che è il primogenito. Il problema è che suo
padre non ha mai nascosto la predilezione per il figlio minore. Ad Akram poco
importa che il padre sia più affezionato a Farid, ma teme che un giorno possa
designarlo come erede. Se suo padre morisse prima dello zio, non ci sarebbe
nessun problema: Dakhir non ha mai mostrato nessuna simpatia per il nipote
più giovane. Se invece accadesse il contrario e Hamdan ereditasse i domini
del fratello, Akram teme che suo padre sceglierebbe Farid come successore. Hamdan sorride al figlio
minore e scuote la testa. - Fai tutto semplice,
Farid, ma non è così. Ci saranno altre conquiste, forse, ma ci vorrebbero
davvero molte battaglie per arrivare a scalzare Nur ad-Din. E ogni battaglia
mette a rischio tutte le conquiste precedenti. Basta poco per perdere quanto
si è conquistato. Akram osserva: - Certo, ma senza
rischiare non si può arrivare a nulla. Hamdan scuote la testa:
conosce l’ambizione dei suoi figli, ma non l’approva. Il territorio di Halel
è abbastanza ampio così: perché mettere a rischio quello che si possiede per
conquistare nuove terre? Ma Farid e Akram sono come il loro zio: non si
accontentano di ciò che hanno, vogliono ottenere di più. In ogni caso ciò che
si farà dipende da Dakhir: è lui a comandare. E il Circasso lo sprona a nuove
conquiste. Dakhir ha convocato Bilal,
che in sua assenza ha governato la città. Bilal è un figlio di secondo letto
del padre di Dakhir e Hamdan ed è molto più giovane dei due fratelli: ha
appena trent’anni. È un bell’uomo, vigoroso ma snello, con folti capelli neri
come la lunga barba. Non assomiglia a Dakhir e Hamdan, che sono tarchiati e
hanno corpi appesantiti dagli anni e pochi capelli. Bilal sa che non diventerà
mai signore di Halel, perché dopo Dakhir il comando passerà a Hamdan e poi ai
suoi due figli, ma spera che le nuove conquiste gli permettano di diventare
governatore di una città, garantendogli una certa autonomia. È stato contento
di poter reggere Halel in questo periodo in cui Dakhir era impegnato nelle
conquiste. Bilal si presenta
immediatamente. Accanto a Dakhir c’è Kazbech. Bilal si chiede perché suo
fratello fa assistere questo straniero al loro colloquio: Kazbech è il comandante
militare, ma l’amministrazione della città non riguarda certo l’esercito. Dakhir chiede a Bilal di
riferirgli ciò che è successo durante la sua assenza. Bilal non ha molto da
raccontare. La sua relazione è dettagliata, ma poco significativa: ha svolto
il suo compito con cura, perché è coscienzioso e sapeva che avrebbe dovuto
rendere conto al fratello maggiore. Bilal si accorge che
Kazbech lo fissa con attenzione e questo lo mette a disagio, anche se non ha
niente da nascondere. Questo principe circasso non gli piace. Perché Dakhir
ha tanta fiducia in lui? Kazbech è senza dubbio un grande guerriero, ma è
solo il comandante dell’esercito. Quando Dakhir lo congeda, Bilal lascia la
sala con un senso di fastidio. La sera si tiene un grande
banchetto, allietato dai musicisti. Ai posti d’onore, accanto all’emiro,
siedono Hamdan con i due figli maschi, Bilal e Kazbech. Farid guarda Kazbech. Lo
ha già visto di sfuggita in giornata, ma ora può ammirarlo con calma. Il
principe circasso è un maschio magnifico e Farid, che è sempre stato attratto
dagli uomini, ne è affascinato. Farid è un bel ragazzo, snello, con lunghi
capelli di un castano chiaro e un viso su cui la barba è ancora molto rada. È
abituato ad essere guardato con desiderio, ma Kazbech non sembra badare a
lui. D’altronde Kazbech e Farid non sono seduti vicino e durante la serata
non si parlano direttamente. Farid cerca di attrarre
l’attenzione del Circasso mostrando la sua ammirazione per la conquista di
al-Unayzah, ma le lodi non sembrano ottenere l’effetto desiderato. Alla fine
del pasto i servitori portano l’acqua per lavarsi le mani e gli asciugamani.
Tutti si alzano, ma un servo porta ancora una bevanda all’acqua di rose
moscata. Mentre beve, Farid si rivolge direttamente a Kazbech, dicendogli: - Hai compiuto davvero un
grande impresa, conquistando in una notte una città che aveva resistito un
mese. Kazbech alza le spalle e
dice: - Ci saranno ben altre
conquiste. Poi si sposta,
avvicinandosi a Dakhir. Farid è deluso. Riproverà in un altro momento ad
avvicinarsi a Kazbech, magari quando non ci sarà nessun altro intorno. Dakhir ha notato
l’interesse del ragazzo e, dopo che Hamdan e i suoi figli si sono ritirati,
dice a Kazbech: - Hai fatto colpo su
Farid. Dakhir lo dice ridendo,
per nascondere il malumore che l’interesse di Farid per Kazbech ha suscitato
in lui. A Kazbech non è sfuggito lo sguardo avido di Farid, come ora non gli
sfugge l’irritazione di Dakhir. Perciò alza le spalle e ride. - Davvero? Quel ragazzino
seduto a fianco di Hamdan? Dakhir, che me ne faccio di uno così? Dakhir annuisce. La
risposta di Kazbech lo ha tranquillizzato. Non sopporterebbe l’idea di
dividere Kazbech con altri, men che mai con suo nipote. Osserva: - È bene che stia lontano,
altrimenti potrebbe succedergli qualche cosa di male, anche se è il preferito
di mio fratello. Kazbech scoppia a ridere: - Lascia perdere quel
moccioso, che cosa vuoi che mi importi di uno che ha appena imparato a
pulirsi il culo da solo? Dakhir sorride. Guarda
Kazbech e pensa che questo maschio è suo, soltanto suo, e che tra poco lo
prenderà. - Andiamo in camera mia,
Kazbech. Il Circasso annuisce,
sorridendo. Il giorno dopo Kazbech incrocia Farid in un corridoio. L’incontro potrebbe essere casuale, ma Kazbech ha il sospetto che non lo sia. Kazbech sorride a Farid, ma non si ferma. È invece Farid a fermarsi e a dire, sorridendo: - Volevo farti ancora i
complimenti per la conquista di al-Unayzah. Tu dici che ci saranno altre
imprese e non ne dubito, ma anche questa non è stata da poco. Kazbech sorride, mentre
con una rapida occhiata controlla se qualcuno li può vedere. - Grazie, Farid. Sì, ci
saranno molte altre imprese e altre conquiste. È solo l’inizio. - Certo: sei un uomo
valoroso e un grande guerriero. Kazbech annuisce, poi
dice: - Farid, non è opportuno
che ci vedano parlare a lungo. Poi ti spiegherò. Se mi vuoi… Kazbech fa una breve
pausa, poi riprende: - … parlare, puoi venire
questo pomeriggio nella mia camera, ma bada che nessuno se ne accorga. Kazbech dorme nel palazzo
dell’emiro, in una camera vicino all’appartamento di Dakhir. Farid rimane un attimo
disorientato. Non capisce perché non sia opportuno che li vedano insieme. In
ogni caso la proposta di Kazbech, con quella pausa di certo non casuale, va
esattamente incontro ai suoi desideri. Stabiliscono un’ora, poi si separano. Più tardi,
nell’appartamento di Dakhir, l’emiro dice a Kazbech, ridendo: - E il piccolo Farid? Si è
fatto vivo? La domanda sembra
innocente, ma Kazbech sa benissimo che non lo è, per nulla. Ride e risponde: - Certo! L’ho incrociato e
mi ha fatto di nuovo i complimenti per il mio valore. Non sembra avere molti
argomenti di conversazione, il tuo nipotino. - Tutto lì? - Dakhir, non ho tempo da
perdere per un moccioso che avrà ancora i denti da latte. Sanno tutti e due che a
sedici anni di sicuro Farid non ha i denti da latte, ma il concetto è chiaro.
Dakhir annuisce e dice, senza più nascondere la sua irritazione nei confronti
di Farid: - Non mi piace vederlo che
ti gira intorno e ti guarda in quel modo. - Va bene, Dakhir, se ti
dà fastidio, la prossima volta che lo vedo lo mando a cagare e così girerà
alla larga. C’è un solo maschio che mi interessa e non è un ragazzino. È un
uomo fatto, forte. Kazbech sorride, attira
Dakhir a sé e lo stringe tra le braccia. Poi le sue mani afferrano con forza
il culo dell’emiro, ma una lascia la presa, per sollevare la tunica e
infilarsi nei pantaloni. Due dita scivolano alla ricerca dell’apertura, la
raggiungono, l’indice entra dentro, facendo sussultare Dakhir. Dakhir ride: - Come sei irruente… Ma il desiderio di Kazbech
accende il suo e le sue mani e la sua bocca cercano il corpo del Circasso.
Per la prima volta le loro labbra si incontrano e dopo un bacio appassionato,
Dakhir si stacca e guarda Kazbech. Mormora: - Fino alla morte,
Kazbech, fino alla morte… Kazbech annuisce. Dakhir non avrebbe voluto
parlare: si conoscono da due settimane. Ma ciò che brucia dentro Dakhir è
qualche cosa di molto più forte del desiderio di questo corpo vigoroso, che
sta stringendo a sé. Kazbech lo sta spogliando, con gesti bruschi, che
tradiscono l’impazienza del desiderio. La tunica si lacera. A Dakhir nulla
importa: l’irruenza di Kazbech è miele per l’emiro, che vuole sentirsi
desiderato. - Ti voglio, Dakhir, ti
voglio. Kazbech non ha nemmeno
finito di spogliarsi, ma già spinge Dakhir sui cuscini, passa la lingua sul
solco tra le natiche, due volte, poi infila due dita inumidite e infine, dopo
aver preparato la strada, avvicina il cazzo e lo spinge nel culo dell’emiro. Fa male, questo ingresso
un po’ brusco, ma è così bello essere preda di questo maschio vigoroso,
abbandonarsi al suo amplesso, lasciarsi martoriare le viscere. È così bello
sentire le sue braccia che stringono, i suoi denti che mordono, la sua lingua
che lecca, la sua bocca che pronuncia parole sconce. La cavalcata di Kazbech
è lunga e Dakhir sente il dolore crescere, ma anche il piacere, che diventa
tanto forte da non poter più essere contenuto. Dakhir geme, più volte, e
sparge il suo seme sui cuscini, mentre lo sborro del principe circasso gli
inonda le viscere. Kazbech lo tiene stretto a
sé e Dakhir si abbandona a questo abbraccio. Lentamente, molto lentamente,
dentro di lui il cazzo si riduce di volume e perde consistenza. La sua
presenza diviene più tollerabile e Dakhir pensa che vorrebbe vivere così, tra
le braccia di questo maschio vigoroso. Dakhir ride e dice: - Potrei farti tagliare il
cazzo e poi mettermelo in culo. Così l’avrei tutti i giorni. Kazbech ride e replica: - Ce l’hai già tutti i
giorni, Dakhir. Più tardi Kazbech si alza
e si congeda da Dakhir. Preferiscono non trascorrere troppo tempo insieme, perché
nessuno sospetti. Kazbech raggiunge la sua
camera. Farid arriva poco dopo. - Nessuno ti ha visto? - No, ma non capisco… Farid non prosegue:
Kazbech lo ha afferrato e lo sta stringendo tra le braccia. - Ti spiegherò dopo.
Adesso è altro quello che vogliamo, no? E mentre lo dice gli
stringe il culo con le dita e lo bacia sulla bocca. Farid è sorpreso dalla
sfrontatezza di Kazbech. Si aspettava qualche schermaglia preliminare, ma
Kazbech va subito al dunque. Farid si dice che questo guerriero è abituato a
impadronirsi di slancio di tutto ciò che desidera, che sia una città come
al-Unayzah o il corpo di un giovane maschio, come lui. Le braccia di Kazbech sono
forti, le sue mani spietate e febbrili, i suoi baci impetuosi. Farid si
arrende senza combattere, sapendo che non ci sarà pietà per chi si
sottomette. Ma Kazbech si stacca e dice: - Spogliami, Farid. Farid annuisce. Le sue
dita accarezzano la pelle del principe attraverso la stoffa. Slacciare la
fibbia, far cadere a terra il mantello, togliere la tunica: ogni gesto è un
piacere delle dita e degli occhi. Farid guarda il petto
villoso e ben tornito di Kazbech, poi si inginocchia. Attraverso la stoffa
dei pantaloni può vedere il rigonfio del cazzo. Farid ha la gola secca.
Deglutisce. Fa scivolare a terra i pantaloni e rimane incantato a osservare
l’uccello che svetta. Vorrebbe sentirne il gusto, ma gli sembra di non
riuscire a muoversi. È Kazbech a mettergli una mano dietro la nuca e quasi a
forzarlo ad avvicinare la bocca. Farid sente l’odore, intenso, e poi le sue
labbra si schiudono per accogliere la cappella. Il ragazzo avvolge con la
bocca la sua preda. Le sue labbra e la sua lingua lavorano alacremente. È una
sensazione bellissima, quella di questo cazzo vigoroso che adesso avanza
nella sua bocca. A Farid sembra di non riuscire più a respirare. Si ritrae.
Kazbech lo lascia fare, ma poi nuovamente lo forza ad accogliere il suo
cazzo. Farid lecca e succhia avidamente. Kazbech ride, poi intima: - Stenditi sui cuscini, a
gambe larghe. Farid esita. - Non so… ce l’hai troppo
grosso… io… - Farò piano, non ti
preoccupare. Farid lascia la preda e si
stende. Kazbech gli divarica le natiche con le mani e sputa sul buco. Sparge
bene la saliva. - Kazbech, io… - Non ti preoccupare, te
l’ho detto, non ti farò male. Kazbech preme con il cazzo
contro il buco. Farid sussulta. Kazbech spinge leggermente, introducendo la
cappella. Poi esce. Farid tira il fiato, ma l’ospite si affaccia nuovamente e
questa volta si spinge un po’ più avanti. Kazbech afferra i fianchi di Farid
e stringe con forza, poi le sue mani scivolano in una ruvida carezza sulla
schiena del ragazzo, fino alla testa. E intanto l’arma formidabile avanza
dentro Farid, dando piacere e dolore. Kazbech si ritrae fino a uscire, poi
avanza di nuovo e il movimento del suo cazzo è accompagnato da quello delle
sue mani, che accarezzano, stringono, pizzicano. I suoi denti mordono il lobo
di un orecchio di Farid, mentre l’arma affonda di più e Farid sente il dolore
crescere, ma anche il piacere. Vorrebbe gridare a Kazbech di uscire, perché è
troppo doloroso, ma vorrebbe che Kazbech continuasse. E Kazbech avanza piano
e poi arretra e nuovamente si spinge in avanti, sempre più a fondo, per poi
abbandonare il terreno conquistato e ritornarvi e avanzare ancora. E Farid
geme, preda di un piacere che lo squassa tutto, che è più forte del dolore
provocato da questa invasione. Una mano di Kazbech passa
davanti, avvolge i coglioni e poi il cazzo, stringe, accarezza, avvolge,
mentre le spinte diventano più intense. Farid non regge più, il dolore è
troppo forte, ora, ma il piacere lo domina ancora e infine esplode in un
getto possente, mentre il seme di Kazbech gli inonda le viscere. Farid chiude gli occhi. In
culo sente il cazzo del Circasso, ancora rigido e grande. Sussurra: - Esci, per favore. Kazbech si stacca e si
stende sulla schiena. Farid appoggia la testa sul suo petto. Una mano scivola
fino al cazzo, ancora gonfio di sangue e teso. È bello rimanere così. Dopo un momento, Kazbech
dice: - Ascoltami bene, Farid.
Tuo zio diffida di te. Sa che sei il preferito di suo fratello e quindi il
futuro erede al trono. Se ci vedesse vicini, se sospettasse che scopiamo,
avrebbe paura che ci mettiamo d’accordo per sottrargli il regno. In questo
caso un laccio risolverebbe per sempre i contrasti tra te e tuo fratello per
l’eredità di Halel. Farid è preoccupato. - Non pensavo… ma perché
lo zio dovrebbe preoccuparsi? - Io sono il comandante
dell’esercito, in grado di guidarlo a nuove vittorie. Tu sei un possibile
erede. Un legame tra noi è una minaccia per lui. Sai benissimo come
funzionano le cose tra i signori. Nella famiglia di Dakhir
non è mai stato così, ma in molte dinastie non è raro che alcuni degli eredi
vengano fatti assassinare dal sovrano, come misura precauzionale: se non avevano
nessuna intenzione di complottare per conquistare il potere, non ha
importanza. Quello che conta è che non possano più farlo. - Sì, capisco… - Allora da questa sera
mostrerai nei miei confronti una certa irritazione. Io dirò a Dakhir che tu
ti sei avvicinato e io ti ho deriso e respinto. Io fingerò di disprezzarti e
tu di essere furente con me, anche se lo dissimuli: non esagerare. Così
potremo trascorrere molte altre ore come queste. E quando sarà il momento… Kazbech non conclude il
discorso. Farid chiede: - Che cosa succederà
quando sarà il momento? Kazbech sorride: - Lo vedremo. Però posso
garantirti che per allora il culo ti farà male. Farid ride. - Quello mi fa già male
adesso. Ma intanto pensa al
futuro. Si immagina signore di Halel e di molte altre città, al fianco di
Kazbech. Vede il comandante dell’esercito che torna vittorioso dall’ennesima
battaglia, sporco di sangue, e lo stringe tra le braccia, lo spoglia, lo
possiede. Emiro di Halel, signore della Siria, con Kazbech sempre al suo
fianco, ai suoi ordini, ma insieme suo padrone… Il giorno dopo Dakhir
coglie l’irritazione di Farid e il sorriso beffardo di Kazbech, che sembra
deridere il giovane. Quando si ritrovano nel pomeriggio, Dakhir osserva: - Anche oggi Farid ti guardava,
ma sembrava odiarti. - Avevi visto giusto. Oggi
si è fatto avanti e io gli ho detto ciò che penso di lui: non è stato
contento di sentirsi trattare come un bambinetto infoiato, una troietta in
calore. Ha giurato di vendicarsi. Kazbech ride. Dakhir scuote la testa: - È uno sciocco. - Sì, è solo un ragazzino
sciocco. Non credo che si farà più avanti, non prima di una ventina d’anni,
almeno. Anche Dakhir ride. Poi si amano e nuovamente
Kazbech possiede Dakhir. Quando sono entrambi sazi,
riprendono a tracciare piani d’azione. Intendono avviare una nuova campagna
tra due settimane, dopo aver raccolto le truppe necessarie. E questa volta la
preda non è un piccolo centro o una fortezza: si tratta di conquistare tutta
la regione circostante. A un certo punto Kazbech chiede: - Intendi lasciare
nuovamente il governo di Halel a tuo fratello Bilal? - Certo. Chi altri se ne
potrebbe occupare? Kazbech annuisce, senza
dire nulla. Dakhir chiede: - Che hai? Mi sembri
perplesso. Bilal se la cava bene. - Non so… è che Bilal mi
sembra molto ambizioso. Dakhir aggrotta la fronte: - Bilal? Pensi che… no,
non ha senso. Se provasse a sottrarmi Halel, farebbe la fine dello sceicco di
al-Unayzah. Kazbech ride. - Sono solo impressioni,
ma credo che non gli spiacerebbe se tu non tornassi da questa spedizione. Dakhir non ha mai
diffidato di Bilal. L’idea che il fratello possa desiderare la sua morte lo
infastidisce, ma Kazbech potrebbe avere ragione, soprattutto ora che le nuove
conquiste hanno rafforzato il potere dell’emiro di Halel. Quando infine i
preparativi sono stati conclusi e l’esercito è pronto, Farid e Kazbech si
incontrano di nuovo. Farid soffre per la partenza dell’uomo che gli regala il
piacere più intenso che abbia mai provato. Non gli interessa partecipare alla
guerra, non è attratto dalle battaglie, ma non vorrebbe separarsi da Kazbech. - Vorrei poterti
accompagnare, Kazbech. Akram parte con voi e io… - No, Farid, sarebbe
troppo pericoloso. In un accampamento non è come a palazzo. Si è sempre sotto
gli occhi di tutti. Qualcuno si accorgerebbe di quello che facciamo e Dakhir
verrebbe informato, prima o poi. - Ma rimarremo separati
per diversi mesi. - Pensa al futuro, Farid,
il futuro in cui saremo sempre insieme senza doverci nascondere e tu… - E io? Kazbech ride: - Lo sai benissimo. Sì, Farid sa quello che
Kazbech intende dire. Kazbech parte per conquistare nuove terre per lui, per
dargli un regno più grande. Kazbech non gli ha mai
detto quali sono i suoi progetti. Intende uccidere Dakhir? Forse. E se
decidesse di eliminare anche suo padre, Hamdan? Dicono che Sabri, l’attuale
emiro di Marwan, per salire al trono abbia fatto assassinare il padre e il
fratello: nessuno lo sa con sicurezza, sono stati uccisi nella residenza
estiva da due sicari che non hanno mai confessato chi li aveva mandati,
nonostante le torture. Ma tutti pensano che il mandante fosse Sabri.
D’altronde chi vuole regnare non può avere troppi scrupoli. Ma anche se la guerra per
cui parte Kazbech amplierà i suoi domini, ora Farid vorrebbe che il Circasso
rimanesse a Halel. O almeno, vorrebbe partire con lui. Ma sa che Kazbech ha
ragione. Suo zio non ci penserebbe due volte prima di farlo strangolare. * Gli ufficiali di Jabal
al-Jadid sono riuniti in una sala degli alloggiamenti militari. Feisal racconta
la caduta di al-Unayzah, di cui è giunta notizia in mattinata. In città non
si parla d’altro. Gli ufficiali vogliono sapere se è vero ciò che si dice.
Feisal conferma. - Sì, un principe
circasso, venuto con duecento uomini. Si è messo al servizio di Dakhir, ha
conquistato la città in una notte e ha fatto decapitare tutti i difensori. - Dicono che abbiano fatto
una piramide delle loro teste. Guerre e massacri sono
frequenti in queste terre, ma la ferocia di questa esecuzione non è abituale. - Anche lo sceicco hanno
ammazzato. E poi lo hanno castrato: l’uccello e le palle in bocca e la testa
infilzata su un palo. - Ma perché? Avrebbero
potuto chiedere un riscatto. È Barbath a rispondere: - Per intimorire tutti
coloro che pensano di resistere a Dakhir. L’emiro di Halel non intende certo
accontentarsi di al-Unayzah. È Qais a formulare la
domanda che tutti si pongono: - Comandante, pensi che si
dirigerà verso sud? - Senza dubbio: è questa
l’area più ricca. Che se ne fa delle terre più a Nord, popolate da pastori e
briganti? - Ma prima di arrivare
qui, Dakhir dovrà conquistare Barqah e Marwan e poi Shaqra. - Di certo intende farlo. Per quanto la minaccia sia
ancora lontana, gli ufficiali sanno che non va sottovalutata. Discutono
ancora un momento, poi Barbath si rivolge a Mahdi: - Mahdi, l’emiro vuole che
domani tu ti rechi ad al-Hamra, dal duca Denis, per portare la risposta e
fissare i termini di consegna del riscatto per Omar ibn Sabih. Partirai
domani mattina. Mahdi è leggermente
impallidito. Qais pensa che per Mahdi sarà molto doloroso avere di nuovo a
che fare con i franchi, magari rivedere il conte Ferdinando, e vorrebbe
aiutarlo. Osserva: - Comandante, manda anche
me. Ho sempre desiderato vedere al-Hamra e magari incontro anche il conte
Ferdinando. La richiesta di Qais
provoca molte risate e battute da parte degli altri: - Bada, Qais, che da quel
che dicono, è come essere impalati. - Vuoi vedere al-Hamra o
visitare i suoi bordelli? Qais replica: - Una cosa non esclude
l’altra. Mi mandi insieme a lui, comandante? Mahdi parla troppo poco, per una
trattativa non è l’uomo adatto. Barbath scuote la testa.
Non c’è nessuna trattativa da fare: l’emiro ha accettato le richieste del
duca di Rougegarde, che non erano eccessive. Pretendere una riduzione del
riscatto sarebbe stato sminuire il valore del prigioniero. Ma Barbath aveva
pensato di mandare un secondo ufficiale, per dare una maggiore dignità
all’ambasciata, e Qais va benissimo per accompagnare Mahdi: è intelligente,
sa cavarsela in ogni situazione, è coraggioso e affidabile. Con Mahdi sembra
andare d’accordo, anche se sono diversissimi, tanto loquace ed espansivo
Qais, quanto silenzioso e introverso Mahdi. - Va bene, andrai con
Mahdi, se lui è d’accordo. Ma non so se ha voglia di sopportarti. Barbath si rivolge a
Mahdi: - Ti va bene avere come
compagno di viaggio Qais? Puoi sempre metterti un po’ di cera nelle orecchie,
se non lo reggi più. Mahdi sorride. Qais è il
compagno ideale per questo viaggio, perché sa che cosa è successo, almeno in
parte: a lui Mahdi non deve mentire e su di lui sa di poter sempre contare. - Mi va benissimo,
comandante. I compagni prendono ancora
in giro Qais. Scherzano sugli incontri che farà ad al-Hamra. Si chiedono se
dopo aver conosciuto il conte Ferdinando riuscirà ancora a cavalcare o dovrà
rinunciarci per un po’ di tempo. Qais è felice di partire
con Mahdi, con lui sta sempre volentieri. E ha capito che anche Mahdi è
contento di averlo come compagno di viaggio: questo gli fa molto piacere. Quando la riunione si
scioglie e loro due rimangono soli un momento, Qais dice a Mahdi: - Ti pesa andare a
Rougegarde, vero, Mahdi? - Sì, Qais. Avrei
preferito che venisse mandato qualcun altro al mio posto, ma se l’emiro mi ha
designato, non intendo sottrarmi. E mi fa piacere sapere che sarai al mio
fianco. - Grazie, Mahdi. Mahdi si allontana. Qais
lo guarda. Mahdi gli è sempre piaciuto, parecchio, ma Qais non ha mai provato
a farsi avanti con lui: Mahdi non è mai sembrato essere interessato agli
uomini e adesso, dopo la violenza, di certo l’idea di avere un rapporto gli
ripugnerebbe. Ma Qais sa di volergli davvero bene e ciò che Mahdi gli ha
confidato lo ha avvicinato ancora di più a lui. Dopo alcuni giorni di
viaggio, Qais e Mahdi giungono ai confini del territorio di Jabal al-Jadid.
Li accompagnano alcuni soldati, perché una delegazione dell’emiro Ashraf non
può presentarsi ad al-Hamra senza una scorta adeguata. Mahdi è contento di avere
Qais al suo fianco, perché lo considera un amico. E inoltre Qais sa che cosa
è successo e, se sarà necessario, potrà aiutarlo. Perché dovrebbe aver
bisogno di aiuto? Che cosa teme? Mahdi non lo sa, si sente confuso. Nei primi
giorni di viaggio non ha detto quasi nulla. Qais parla volentieri, ma ha
rispettato il suo silenzio. Mahdi apprezza la sensibilità che dimostra il suo
amico. Sa che Qais ha chiesto di accompagnarlo per poterlo aiutare e anche di
questo gli è grato. Nella locanda, Qais e
Mahdi dormono nella stessa camera. Si spogliano e si mettono a letto. È Qais
a parlare, alla luce incerta della lucerna che tra poco spegneranno: - Sei molto teso, Mahdi. - Sì, Qais, è vero. - Che cosa ti preoccupa?
Non è la missione, di certo. - No… io… avrei preferito
che l’emiro scegliesse qualcun altro. Ma te l’ho già detto. - Il duca Denis ha
conosciuto te e ha affidato a te la lettera. È normale che sia tu a portare
la risposta. - Sì, lo so, per quello
non ho chiesto al comandante di dispensarmi. - Mahdi, tu sei
preoccupato, non negare. C’è qualche cosa che ti angustia. - Sì, io… è vero. Non vorrei…
il conte Ferdinando è amico del duca, so che a cavallo la sua residenza si
può raggiungere in giornata. Non vorrei incontrarlo. - Anche se incontrassi il
conte, sei un uomo libero, inviato dall’emiro. Ferdinando non potrebbe
prenderti con la forza. Sarebbe intollerabile, un’offesa per l’emiro e per il
duca. E di certo il duca di Rougegarde non lo permetterebbe. - No, no, lo so. C’è un lungo momento di
silenzio. Mahdi ha bisogno di parlare e Qais è l’unico uomo al mondo con cui
può farlo, ma la vergogna lo blocca. Mahdi chiude gli occhi. Qais ha colto il bisogno
di confidenza di Mahdi e la sua difficoltà a rivelare ciò che lo angoscia. - Che cosa c’è, Mahdi? Non
vuoi cercare di dirmelo? Mahdi annuisce, ma tace. Qais gli accarezza una
mano. - Puoi avere fiducia in
me, Mahdi. - Lo so, Qais. È che… Mahdi si fa forza. Le
parole gli vengono alle labbra e Mahdi parla, senza darsi il tempo di
pensare: - Mi ha preso con la
forza, Qais. Ma poi… io ho goduto quando mi ha preso, Qais. Non la prima
volta, dopo. Tre volte ho goduto, goduto mentre mi possedeva. L’ha detto. Ora Mahdi si
vergogna, ma gli sembra di sentirsi meglio. Apre gli occhi e fissa Qais, che
gli sorride. Ha un sorriso dolce, Qais. Qais è stupito della
rivelazione di Mahdi, ma è contento della fiducia che Mahdi gli ha
dimostrato. - Credo che molti di noi
avrebbero goduto, a me sarebbe capitato, certamente, ma capisco che per te
sia stata un’umiliazione. Non devi fartene un cruccio, Mahdi. Il nostro corpo
ha i suoi desideri. Possiamo decidere di ignorarli, ma non possiamo
cancellarli. Cerca di dimenticare quello che è successo. Non è dipeso dalla
tua volontà. - Lo so, Qais. Ma mi sono
sentito sporco. Qais sorride. Spegne la
lucerna e dice: - Temo allora che tu mi
consideri un sacco di letame. Mahdi ride. - No, Qais. Ti voglio bene
e ho stima di te. Vivi queste cose in un modo diverso e probabilmente hai
ragione tu. Qais riflette un momento,
poi chiede: - È per questo che sei
preoccupato? Hai paura che il tuo corpo ti tradisca, che il tuo desiderio ti
porti a darti a lui? Mahdi ha l’impressione che
il buio della stanza sia diventato più denso, che lo soffochi. Sì, di questo
ha paura, Qais ha capito. Mahdi non riesce a rispondere. Qais gli stringe la mano.
A Mahdi questo contatto fa piacere, gli sembra che gli restituisca un po’ di
calma. - Non riesci ad accettare
i tuoi desideri, Mahdi? Mahdi non sa rispondere.
Chiede: - Tu… tu non… Mahdi si interrompe,
d’improvviso prova vergogna per la domanda che gli è venuta alle labbra. Qais ha capito. Stringe di
nuovo la mano di Mahdi e dice: - Mahdi, io non ho remore.
Inseguo il piacere e non mi nego nulla. Mi piacciono i maschi. Qais ride e prosegue: - Sono un porco immondo,
Mahdi, un porco e una troia. Di tutto ciò che un uomo può fare con un altro,
non c’è nulla che non mi piaccia. E lo farei più o meno con qualsiasi uomo,
fedele o infedele, giovane o vecchio, purché mi piaccia. E ti assicuro che
sono tanti gli uomini che mi piacciono, da quando gli spunta la prima barba a
quando hanno i capelli bianchi. Ma tu sei fatto di un’altra materia, Mahdi,
una materia migliore, più pura. Mahdi scuote la testa,
anche se Qais non può vederlo. - Una materia più pura… - Sì, Mahdi. - Qais, la notte prima che
partissimo, da Jabal al-Jadid, voglio dire… Mahdi esita, poi prosegue: - Quando il comandante mi
ha affidato l’incarico, quella notte, ho sognato il conte Ferdinando. Mi
prendeva. E io… sono venuto nel sonno, Qais. Questa è la materia di cui sono
fatto. La confessione sorprende
Qais. Nuovamente gli fa piacere che Mahdi si confidi con lui. - Il desiderio è in tutti
noi. E può avere tante forme. Ma tu non riesci ad accettare questo desiderio
che è in te. - Non lo so, Qais, non lo
so. Qais accarezza la mano
dell’amico. Mahdi rimane un momento in silenzio, poi dice: - Grazie, Qais. Il giorno dopo Qais e
Mahdi entrano nel territorio di Rougegarde e dopo altri due giorni
raggiungono la città. Mahdi vi è stato da ragazzo, quando Rougegarde era
ancora in mano agli arabi e si chiamava al-Hamra. Qais invece non vi ha mai
messo piede e non nasconde la sua emozione. Non ha mai visto una città così
bella, una cascata di case e palazzi in pietra rossastra, racchiusa in una
cerchia di mura da cui spuntano torri, minareti, campanili e alberi. - Ora capisco perché la
chiamano la perla della Palestina. Non pensavo che potesse esistere una città
così bella. L’entusiasmo di Qais
aumenta ancora quando, dopo essersi presentati a una porta della città e aver
ricevuto l’autorizzazione ad entrare, si dirigono verso la residenza del
duca, la fortezza superba che domina la città. Qais guarda affascinato i
sontuosi palazzi, l’animazione delle strade, il ricco mercato. - Jabal al-Jadid è bella,
ma non regge il confronto con al-Hamra. O forse dovrei chiamarla Rougegarde,
adesso che sono qui. Mahdi annuisce, ma Qais si
accorge che l’amico è teso. - Andrà tutto bene, Mahdi.
Non ti devi preoccupare. Giunti al palazzo, Qais e
Mahdi si presentano e chiedono di parlare a Denis di Rougegarde, da parte
dell’emiro di Ashraf. Il duca è stato avvisato del loro arrivo quando sono
arrivati alla porta della città: senza un suo ordine, a un gruppo di soldati
arabi non sarebbe stato permesso di entrare in città armati. Il duca li riceve dopo una
breve attesa. Qais guarda quest’uomo di cui si parla in tutta la Siria e
anche oltre. Non è bello di viso, tutt’altro. Non sembra particolarmente
forte. Eppure quello che Qais ha davanti è il franco più temuto da tutti gli
arabi, il guerriero più capace, il nemico che è impossibile sconfiggere.
Quando il duca si rivolge loro, Qais si stupisce di sentirlo esprimersi in un
arabo perfetto: sapeva che Denis di Rougegarde conosceva la lingua, ma non
sospettava che la padroneggiasse completamente. Si potrebbe credere che
l’arabo sia la sua lingua madre. Mahdi presenta la lettera in
cui l’emiro accetta le condizioni poste dal duca per il riscatto del
fratello. Bisogna prendere accordi per la consegna del riscatto e la
liberazione di Omar ibn Sabih e della moglie, ma Denis rinvia a più tardi la
definizione dei dettagli. Mahdi e Qais saranno suoi ospiti: un appartamento
del palazzo viene messo a loro disposizione. In serata potranno vedere Omar. L’appartamento è ampio e
spazioso, con un arredamento più vicino a quello dei palazzi arabi che a
quello dei castelli franchi. Ci sono due camere per i due ufficiali e altre
tre per i soldati che li accompagnano. C’è un bagno privato, dove Qais e
Mahdi possono immergersi. Seduti nell’acqua, i due
amici chiacchierano. - Che accoglienza! Ci
tratta come principi. - Ho sempre sentito dire
che il duca è un signore munifico e che non è secondo a nessuno per cortesia,
come per valore. Tu l’hai visto combattere. Mahdi annuisce: - Sì e posso dirti che in
battaglia è un leone. Quando espugnarono Qasr Basir, sembrava che fosse
dappertutto. Avrei voluto ucciderlo, per liberare i credenti dal più forte
dei nostri nemici, ma mi disarmò come se fossi stato un bambino che per la
prima volta prende in mano una spada. - È il nostro peggior
nemico, ma tutti riconoscono i suoi meriti. C’è un momento di
silenzio. Qais guarda il corpo di Mahdi. Non è la prima volta che lo vede
nudo: spesso gli ufficiali vanno insieme ai bagni negli appartamenti militari
o in città, qualche volta nuotano in fiumi durante una campagna. Tra questi
uomini abituati a rischiare la vita in battaglia esiste una grande intimità. Ma ora questo corpo nudo
lo turba. E mentre lo guarda, Qais avverte la reazione del proprio corpo. Si
alza rapidamente ed esce dall’acqua. Mentre si asciuga, dice: - È meglio che vada a
rivestirmi. Si sta facendo tardi. In serata i due ufficiali
possono cenare con Omar ibn Sabih. Quando si presentano, Omar chiede notizie
di Ashraf, della città, della Siria. Qais racconta ciò che sa, Mahdi
interviene poco, come sempre. Poi, dopo essersi lavati
le mani, si mettono a tavola. La cena è un vero banchetto e i servitori si
mostrano deferenti nei confronti del prigioniero. Qais e Mahdi non possono
non ammirare la generosità del duca di Rougegarde nei confronti di un uomo
che ha cercato di ucciderlo a tradimento. Omar li trattiene a lungo:
è contento di poter parlare con due ufficiali di Jabal al-Jadid. Spera di
poter recuperare presto la propria libertà: la prigionia e l’inattività gli
pesano, benché sia trattato con tutti i riguardi e non gli manchi nulla. Su sua richiesta Mahdi e
Qais si fermano alcuni giorni: questo non ritarderà la liberazione di Omar,
perché Ashraf sta preparando il riscatto e in ogni caso la consegna non potrà
avvenire prima di alcune settimane. Mahdi è più tranquillo,
ora. Il conte Ferdinando non si è visto e in ogni caso Qais e Mahdi hanno
pochi contatti con Denis di Rougegarde, anche se vivono nel suo palazzo. Mahdi però nota che Qais
evita di bagnarsi con lui. Sono abituati a lavarsi insieme: a Jabal al-Jadid,
per gli ufficiali il bagno è spesso un momento piacevole da trascorrere
insieme, chiacchierando tranquillamente. Ma adesso quando Mahdi lo invita a
lavarsi, Qais si defila, accampando ogni volta una scusa diversa. Di certo
Qais non si vergogna di spogliarsi davanti a lui: a parte il fatto che Mahdi
lo ha visto nudo moltissime volte, Qais è uno che niente sembra mettere in
imbarazzo. Un giorno però Qais è
appena entrato in acqua quando arriva Mahdi. - Sono contento di
trovarti qui, Qais. È un po’ che non facciamo il bagno insieme. Qais sorride, ma è a
disagio. Mahdi si spoglia e Qais non riesce a non guardarlo. Il desiderio si
accende in fretta e Qais non ha modo di nasconderlo. Mahdi se ne accorge e
sorride, ma vede che Qais non è sereno come al solito. Non è la prima volta
che a Qais viene mezzo duro e quando gli capita con gli altri ci scherza
sopra, senza nessuna vergogna. Ora però appare nervoso, forse perché ci sono
solo loro due. - Perché ti preoccupi,
Qais? Non è la prima volta che ti succede. Qais ridacchia, ma è teso. - Mahdi, te l’ho detto,
sono un maiale. Questa è la materia di cui sono fatto. Forse quando era
incinta mia madre ha visto il porco di qualche contadino franco. Mahdi alza le spalle, ma
il nervosismo di Qais lo ha contagiato. - È per questo che negli
ultimi giorni hai evitato di bagnarti con me? Nuovamente Qais ridacchia,
cercando di nascondere il disagio che prova. Gli sembra di fare una brutta
figura davanti a Mahdi, di essere scorretto nei suoi confronti. - Direi di sì, Mahdi. Sono
a stecchetto da troppo tempo e non ci sono abituato. Non voglio fare brutte
figure alla corte del duca di Rougegarde che ci ospita, non voglio portarmi a
letto qualcuno dei soldati che ci accompagnano e finisce che sono sempre
infoiato come un orso in calore. Qais vorrebbe aggiungere
che spera solo che arrivi il conte Ferdinando, ma si ferma: sa che la battuta
susciterebbe un ricordo doloroso per Mahdi. Mahdi sorride e dice: - E allora? Devo temere
che tu mi salti addosso? Qais ritorna serio. - No, Mahdi, questo non lo
farei mai. Rimangono in silenzio. Ora
sono entrambi in imbarazzo: la loro nudità ha perso l’innocenza di quando si
bagnavano insieme nei torrenti o agli alloggiamenti militari. Poco dopo Qais
esce dall’acqua e si asciuga. - Ci vediamo dopo, Mahdi. Mahdi e Qais contano di
partire mercoledì. Il lunedì il conte Ferdinando arriva in visita al duca di
Rougegarde. È Qais a sentire la notizia. Non sa se parlarne a Mahdi, ma poi
si dice che è meglio che Mahdi lo venga a sapere da lui piuttosto che da un
altro o magari lo incontri a palazzo. - Mahdi, mi hanno detto
che il conte Ferdinando è qui, in visita. Mahdi annuisce. Sapeva che
sarebbe potuto succedere. - Speravo che non
arrivasse. Partiamo dopodomani… Qais, vorrei evitare di vederlo. - Non credo che sia
difficile. Se il duca ci convoca, andrò solo io. - Ti ringrazio, Qais. In effetti nel pomeriggio
un soldato informa Qais e Mahdi che il duca vorrebbe parlare con loro. Qais si presenta da solo. Come ha previsto, accanto
al duca c’è anche Ferdinando. Qais lo osserva, curioso. È davvero un Ercole,
certamente non bello, ma trasmette un’impressione di forza che toglie il
fiato. Qais dice che Mahdi non si
sente bene. Ferdinando di Siracusa sorride. Denis di Rougegarde annuisce,
senza mostrarsi stupito. Qais è sicuro che il duca ha capito benissimo perché
Mahdi non è presente. Il duca comunica che
partirà domani mattina con il conte e che pertanto non potrà essere presente
al momento in cui se ne andranno, ma ha dato tutte le istruzioni necessarie.
La delegazione potrà partire mercoledì, come concordato, ma se i due
ufficiali decidessero di fermarsi di più o di anticipare la partenza, possono
farlo. Qais ringrazia e saluta.
Quando lascia la sala delle udienze, il conte Ferdinando esce con lui. Ferdinando gli dice, in un
arabo semplice, ma comprensibile: - Volevo salutare il bel
Mahdi, ma lui non vuole. Qais si dice che è assurdo
negare. Ferdinando è molto schietto e questo a Qais piace. - No, preferisce non
ricordare quando è stato prigioniero. Ferdinando annuisce. Qais
dovrebbe congedarsi, ma quest’uomo vigoroso lo attrae. E da troppi giorni
Qais non scopa. Ferdinando dice: - Peccato, rinnovavo
volentieri la conoscenza. Ferdinando ride. Qais
replica: - Mahdi preferisce
dimenticare. Non a tutti piace… Qais sorride, senza
completare la frase. Ferdinando ghigna e dice: - A te piace, vero? Non è una domanda, anche
se il tono è vagamente interrogativo. Qais risponde, sincero: - Parecchio. - Vieni con me. Ti va? Qais annuisce e segue
Ferdinando nella stanza che questi ha a disposizione. Ferdinando si spoglia
rapidamente. Qais lo guarda. È un piacere vedere il corpo di questo stallone
emergere dagli abiti davanti ai suoi occhi. Quando Ferdinando si
abbassa i pantaloni e il suo cazzo appare, già turgido, Qais lo guarda,
stupefatto. Di cazzi Qais ne ha visti parecchi, alcuni dei quali davvero
notevoli: ad esempio il comandante Barbath è alquanto dotato. Ma un’arma così
formidabile Qais non l’ha mai vista. Senza distogliere lo sguardo un secondo,
Qais si spoglia. Poi si inginocchia davanti a Ferdinando, guarda il cazzo che
gli si offre e lo prende in bocca. È bello sentirne il calore, il sapore, la
consistenza, l’odore. È un vino che inebria, come quello che Qais ha avuto
modo di assaggiare qualche volta alla corte di Ashraf: malgrado la
proibizione del Corano, sono in molti a bere tra i signori e l’arrivo dei
franchi, che coltivano la vite e producono vino, ha reso ancora più facile
procurarsi la bevanda vietata. Qais succhia e lecca,
mentre le sue mani si appoggiano sul culo di Ferdinando e stringono, poi
scendono ad afferrare i coglioni, grandi e duri. Qais continua a lavorare con
la bocca, poi le sue dita scivolano sul solco, stuzzicano un po’ l’apertura.
Ferdinando lo lascia fare. Con la mano gli accarezza i capelli, glieli tira
un po’, poi si china in avanti e le sue mani scorrono lungo la schiena di
Qais in una carezza. Qais ha difficoltà a
tenere in bocca la cappella di Ferdinando. La lascia e contempla il cazzo del
conte. Non sarà facile accogliere una simile mazza. I compagni avevano
ragione quando gli dicevano che non sarebbe riuscito a cavalcare per un po’. Ferdinando fa un cenno con
la testa. Qais si stende sui cuscini. Ferdinando gli afferra le natiche, le
apre un po’, gli passa la lingua sul solco, più volte, indugia sul buco. Poi
si stende su Qais e, molto lentamente, spinge il suo cazzo nel culo del
giovane. Qais chiude gli occhi. È
una sensazione splendida, intensissima. C’è anche dolore, perché una mazza
così Qais non l’ha mai presa in culo, ma il piacere è molto più forte,
avvolge il dolore stesso. Ferdinando procede,
affondando la sua arma. Qais sente il dolore crescere, ma il piacere diventa
sempre più intenso. Quando è giunto in fondo, Ferdinando incomincia a muovere
il culo avanti e indietro, affondando l’arma e poi ritraendola. Qais geme.
Questo stallone che lo fotte senza dargli un attimo di tregua lo sta facendo
godere come di rado gli è capitato nella vita. Ferdinando prosegue a
lungo e infine viene, con una successione di spinte violente che strappano a
Qais un grido di dolore. Ma quando una mano di Ferdinando scivola sotto il
ventre di Qais, il contatto è sufficiente perché Qais sia travolto dal
piacere e sparga il suo seme. Ferdinando rimane su di
lui e dentro di lui. Gli accarezza i capelli, gli mordicchia il collo. A Qais
piace sentire la formidabile mazza del conte nel culo, meno rigida e grande,
ora. Sta bene così, sotto questo corpo che con il suo peso lo schiaccia, tra
queste braccia che lo tengono prigioniero, con questo cazzo che dentro di lui
presto incomincia a riacquistare volume e consistenza. La seconda cavalcata è
interminabile. Qais a tratti ha l’impressione di svenire. Quando infine
entrambi vengono, Qais grida. Ferdinando rimane un buon
momento dentro di lui. Poi esce. Qais geme quando sente il cazzo del conte
lasciarlo. Si rialza a fatica, con una smorfia per il dolore al culo. È
esausto, ma si sente pienamente appagato. Qais ritorna nell’appartamento
che gli è stato assegnato. Mahdi lo aspetta. - Sei rimasto molto a
lungo. Il duca aveva comunicazioni importanti? Qais si sente un po’ in
imbarazzo, ma poi scoppia a ridere. Non è abituato a mentire, non gli piace
farlo: è un uomo molto schietto. Risponde: - Il duca no, il conte
Ferdinando sì. Mahdi lo guarda un momento
senza capire, poi comprende e china la testa. - Mahdi, mi spiace. Non
volevo risvegliare un ricordo che ti fa stare male. Ma non voglio mentirti.
Il conte ha capito subito che mi attraeva e non ci ha girato intorno. Mahdi alza il capo. - Va bene, va bene. Adesso
mi stendo un po’. Voglio riposare. Qais guarda Mahdi
allontanarsi. Gli spiace che il suo amico abbia avuto una reazione negativa.
Avrebbe dovuto prevederlo, il ricordo di certo gli brucia ancora. Ma Qais non
ha pensato di fare nulla di male. Se avesse sospettato che Mahdi l’avrebbe
presa così male, non avrebbe stuzzicato Ferdinando. Qais si siede e rimane
assorto nei suoi pensieri. C’è qualche cosa che non va, da qualche giorno
Qais se n’è reso conto. Le reazioni di Mahdi suscitano un’eco troppo forte in
lui. Tiene molto a Mahdi. Troppo. Sì, questa è la semplice verità. Ciò che
prova per lui non è la vaga attrazione che Qais ha sempre provato per
qualsiasi maschio bello e vigoroso. E il legame che lo unisce a Mahdi non è
più solo amicizia. C’è qualche cosa di più profondo, ora, un desiderio che
brucia e fa male, un sentimento che preme e che spaventa Qais. Qais non si è
mai davvero innamorato, ma a ciò che prova per Mahdi non può dare un altro
nome. Qais rimane inebetito a
guardare nel vuoto. La sera cenano con Omar
ibn Sabih. Qais deve fare uno sforzo su se stesso per sostenere la
conversazione. Non fa fatica a capire che anche Mahdi non ha nessuna voglia
di parlare. Ma non possono mostrarsi scortesi con il fratello del loro emiro. Quando si ritirano, Mahdi
dice che è molto stanco e si corica immediatamente. Qais rimane a lungo
sveglio, immerso in un turbine di pensieri. Il martedì è l’ultimo
giorno che trascorrono a Rougegarde. Il mattino Mahdi rimane a lungo nella
propria camera. Nel pomeriggio esce dal palazzo, senza dire nulla a Qais. Qais ha la netta
sensazione che Mahdi faccia di tutto per evitarlo. Si sente in colpa, anche
se ritiene di non aver fatto niente di male. Mahdi rientra e dopo un
breve saluto si infila nella sua camera. Qais bussa ed entra. - Ho bisogno di parlarti,
Mahdi. Mahdi lo guarda. Esita un
momento, poi risponde: - Dimmi. - Mahdi, mi spiace per
quello che è successo. Vedo che mi eviti. Non volevo certo ferirti. Pensavo
che non te ne sarebbe importato niente, che per te contasse solo non
rivederlo. - Il conte Ferdinando? Di
lui non m’importa niente. Non avevo voglia di rivederlo, certo, ma per me può
scopare con chi vuole. C’è una certa asprezza nel
tono di Mahdi e Qais se ne accorge. - Ma ti ha dato fastidio
che io scopassi con lui. Mi dispiace. Non pensavo che potesse essere
importante per te, se l’avessi sospettato, non l’avrei fatto. Scusami. Mahdi si alza di scatto.
Fa due passi, come se non sapesse bene dove andare. Senza tornare a sedersi
dice: - Lascia perdere, Qais. Il tono è brusco. Mahdi è
irritato. - Mahdi, mi dispiace.
Scusa se in qualche modo ti ho infastidito. - No, no. Non mi hai
infastidito. Puoi fare quello che vuoi. Sei libero di scopare con tutti
quelli che vuoi. A Qais pare di intravedere
qualche cosa nella frase, nel tono con cui è stata pronunciata. Un sospetto
lo sfiora. Sarebbe troppo bello per essere vero. Prova a ironizzare: - Proprio libero, no. C’è
uno che mi piace moltissimo, ma non posso mica scopare con lui, se lui non
vuole. Mahdi lo guarda. È rimasto
interdetto. Qais si dice che forse ha visto giusto. Il cuore gli batte forte,
mentre prosegue: - E dire che gli voglio
molto bene. Che credo di essermene innamorato. La voce gli è tremata un
po’ nel pronunciare le ultime parole. Ora ha paura. Mahdi lo fissa, senza dire
una parola. Appare smarrito. Scuote la testa. - Qais… tu… io… Qais ora è sicuro di aver
capito giusto. Gli sembra che gli manchi il fiato, mentre sferra l’ultimo
colpo: - Io mi sono innamorato di
te, Mahdi. Mahdi annuisce. Sembra non
riuscire a parlare. Cerca le parole. Poi chiude gli occhi e dice: - Anch’io, Qais, anch’io…
ti amo, Qais! Qais si avvicina e
abbraccia Mahdi, con dolcezza. C’è una gioia sconfinata in lui, un tripudio.
Non è mai stato così felice, in tutta la sua vita. Non ha mai amato. Non è
mai stato amato. Qais bacia Mahdi sulla
bocca. Mahdi sorride e Qais lo bacia nuovamente, poi lo stringe tra le
braccia e rimane con la testa appoggiata su una spalla di Mahdi. È bellissimo
rimanere così, stringere il corpo dell’amato contro il proprio. - Qais, Qais… Qais solleva il capo.
Bacia di nuovo Mahdi, poi fa scivolare le mani sui fianchi dell’amico e ne
afferra la tunica. La solleva, le sue dita sfiorano la pelle di Mahdi e poi
stringono con forza. - Mahdi, Mahdi. Qais gli sfila la tunica.
Mahdi lo lascia fare, alzando le braccia perché Qais possa passarla sopra la
sua testa. Qais lo guarda e sorride. - Sei bellissimo, Mahdi. Mahdi scuote il capo.
Toglie la tunica a Qais. Rimangono uno di fronte all’altro, a torso nudo. Si
abbracciano ancora. I loro corpi aderiscono e il desiderio li avvolge. Si
baciano appassionatamente. Qais spinge la sua lingua nella bocca di Mahdi,
che rimane disorientato, ma l’accoglie, poi quando questa si ritira, ride e
fa avanzare la sua tra le labbra di Qais. Le mani di Qais stringono
il culo di Mahdi e poi abbassano i pantaloni, con un movimento deciso. Mahdi
è nudo, ora, e Qais può vederne il cazzo che già si tende. Adesso Mahdi
appoggia le mani sul culo di Qais. Vorrebbe togliergli i calzoni, ma esita.
Allora Qais mette le proprie mani su quelle di Mahdi e le guida ad abbassare
l’indumento. Ora sono tutti e due nudi, uno di fronte all’altro. Mahdi
sorride, ma il suo sorriso cela male il suo smarrimento. Qais gli accarezza il viso
con la mano. L’intensità di ciò che prova lo spaventa. Qais bacia ancora Mahdi,
poi si stende sul letto e gli tende una mano. Mahdi gli porge la propria e
Qais attira Mahdi su di sé. Stesi sul letto si baciano e si abbracciano
ancora e il desiderio li guida a superare ogni imbarazzo. Qais stringe Mahdi
e rotola sul letto insieme a lui. Ora è sopra il compagno e la sua bocca
dalle labbra di Mahdi scende al collo e poi ai capezzoli. Qais ne mordicchia
uno, poi lo succhia un buon momento, prima di passare all’altro. Le sue mani
intanto percorrono il corpo di Mahdi, gli scompigliano i capelli, gli
accarezzano il viso, si infilano nella sua bocca (e Mahdi mordicchia), poi
scendono lungo il collo, il torace, i fianchi. Qais passa la lingua
intorno a uno dei capezzoli, poi scende fino all’ombelico e poi ancora fino
al cazzo di Mahdi, ormai teso. La lingua percorre l’asta due volte, scendendo
fino alla base, per poi risalire. Qais avvolge la cappella e incomincia a
succhiare. Mahdi geme. È la prima volta che qualcuno gli succhia l’uccello, è
la prima volta che fa l’amore con qualcuno che ama. Le sensazioni sono troppo
forti. Le sue mani stringono i capelli ricci di Qais, li afferrano tanto
forte da fargli male. - Ahi! Qais lascia la sua preda,
ma le sue mani percorrono ancora il corpo di Mahdi e la sua bocca ora si posa
su quella dell’amico. Poi Qais guarda Mahdi e gli dice: - Vuoi prendermi, Mahdi? Mahdi annuisce. Qais lo
bacia ancora sulla bocca e poi si stende a pancia in giù sul letto. Allarga
un po’ le gambe. Mahdi guarda il culo che
gli si offre. Non ha mai posseduto un uomo, ma il desiderio lo guida. Si sputa sulle dita e
lubrifica bene l’apertura, poi afferra le natiche e le divarica. Guarda
affascinato il buco e lentamente avvicina il cazzo. Lo preme contro
l’apertura e con lentezza lo spinge dentro. La sensazione del cazzo che
affonda dentro la carne di Qais lo stordisce. - Qais, Qais, Qais! Mahdi spinge fino in
fondo, poi si abbandona sul corpo di Qais e gli accarezza i capelli. – Non ti
faccio male, Qais? - È splendido, Mahdi. È davvero splendido per
Qais, sentire sul suo corpo quello dell’uomo che ama, sentirne il cazzo che
gli riempie il culo. Mahdi incomincia a
muoversi. È bellissimo, è il momento più bello che ha vissuto fino a ora. Il
piacere cresce, lo avvolge completamente, lo inghiotte, fino a che a Mahdi
sembra di non sapere più dove si trova: tutto scompare, rimane solo questo
corpo che stringe e il piacere sempre più forte, che infine lo travolge. Il
seme sgorga. Mahdi grida il nome di Qais e si abbandona su di lui. Lentamente, molto
lentamente, Mahdi recupera coscienza di dov’è e dove si trova. Sussurra: - Ti ho fatto male, Qais? - Scherzi? È stato
bellissimo, Mahdi. Mahdi vorrebbe chiedere a
Qais se ha goduto, ma d’improvviso prova vergogna. Non ha senso, hanno appena
scopato, ma gli sembra che sia una domanda troppo diretta. Mahdi si volta di lato,
facendo voltare anche Qais. La sua mano scorre fino al cazzo del compagno,
ancora teso. Mahdi lo accarezza, piano, esitante. Poi lo stringe con forza e,
muovendosi rapidamente, porta anche Qais al piacere. Mahdi guarda le gocce di
seme sulla sua mano. Qais guida la mano di Mahdi alla propria bocca e la
pulisce. Mahdi lo guarda, confuso. Mahdi si distende sulla
schiena. Qais si mette al suo fianco. Stringe la mano di Mahdi. Sussurra: - Ti amo, Mahdi. Rimangono a lungo distesi,
uno a fianco dell’altro, mano nella mano. Poi Mahdi si volta verso Qais e incomincia
ad accarezzarlo con la mano libera. La destra scorre lungo il corpo di Qais,
lungo il viso, il collo, il torace, il ventre. Mahdi esita un attimo, poi
accarezza il cazzo di Qais, i suoi coglioni. La carezza diventa una stretta e
Mahdi guarda affascinato il cazzo dell’amico che riacquista volume e
consistenza, fino a tendersi, duro e caldo, sulla peluria scura del ventre. - Qais… vuoi prendermi? Qais lo guarda,
sorridendo: - E me lo chiedi, Mahdi? Poi Qais torna serio e
dice: - Te la senti, Mahdi? Non
vorrei… - Quando mi ha preso, ho
goduto. Mahdi non ha detto di chi
sta parlando, non è necessario: lo sanno entrambi. Mahdi si volta e allarga
le gambe. Qais si sposta e gli morde il culo, con decisione. - Ahi! Qais morde di nuovo, prima
con forza, poi più delicatamente. Lavora un po’ con i denti e poi con la
lingua, mentre le sue mani accarezzano la schiena di Mahdi, fino alla nuca.
Mahdi sente il desiderio crescere. Qais passa la lingua sul solco, indugia
sull’apertura, mentre le sue mani accarezzano e pizzicano. E infine Qais si stende su
Mahdi e avanza il suo sperone. Mahdi geme. - Ti faccio male? - No, no. Va bene così. È stato il piacere a farlo
gemere, non il dolore. Qais avanza, piano, poi si
ritrae. Ripete la manovra tre volte, prima di affondare il cazzo
completamente nel culo di Mahdi. Poi, lentamente, incomincia a muoversi.
Prova un piacere intensissimo, reso più forte dalla coscienza che questo non
è uno dei tanti uomini che ha posseduto, ma è Mahdi, l’uomo che ama. Qais procede a lungo,
finché il piacere lo travolge e viene. Mahdi geme, più forte, e Qais è felice
che Mahdi sia venuto insieme a lui. Lo abbraccia e rimangono
così, finché Qais si stacca, si stende di fianco a Mahdi e lo guarda. Gli sorride e gli dice: -
Vorrei che un coltello mi spaccasse il cuore, che
tu v’entrassi e mi fosse richiuso il petto, e
tu vi restassi senza mai cambiare dimora, fino
al giorno del giudizio e della resurrezione, vivendovi
finché io viva, e quando morirò abitando
il fondo del cuore nelle
tenebre del sepolcro. Mahdi lo guarda, confuso e
felice. Chiede: - L’hai composta tu? Qais risponde subito: - Certo, in tuo onore. Poi scoppia a ridere e
aggiunge: - No, figurati, non so mica
scrivere versi, io, anche se mi piace recitarne. Questi sono di Ibn Hazm, un
poeta di al-Andalus, vissuto oltre cent’anni fa. Mahdi annuisce. Mormora: - Ti amo, Qais. Il giorno dopo Qais e
Mahdi prendono congedo. Nicolas, capo della guardia personale del duca, porge
loro i doni che Denis di Rougegarde ha scelto per gli ambasciatori: due belle
fibbie d’oro. È un’ennesima testimonianza della munificenza del signore di
al-Hamra. Qais e Mahdi si mettono in
strada per Jabal al-Jadid con la loro scorta. Per entrambi il viaggio è il
momento più felice che abbiano mai vissuto. Ogni notte, nelle locande in cui
dormono, si amano. Qais guida Mahdi alla scoperta del piacere, senza nessun
pudore e senza porsi limiti. Mahdi segue Qais, stupito e confuso, ma travolto
da una gioia sconfinata. Il quinto giorno Mahdi si
sveglia e vede che Qais lo sta guardando. Quando si accorge che Mahdi si è
svegliato, Qais lo bacia e lo abbraccia. Mahdi ricambia il bacio, ma dice: - Aspetta, Qais, ho
bisogno di pisciare. Qais ride e risponde: - Certo! Scivola fino a che la sua
bocca non accoglie il cazzo di Mahdi. Lascia un attimo la preda per dire: - Sono pronto. E subito le sue labbra
avvolgono nuovamente la cappella. Mahdi esita. Qais sorride. Si stacca
nuovamente e dice: - Così non devi alzarti.
Io ho sete e questa è un’ottima bevanda. Mahdi scuote la testa,
divertito e imbarazzato. Poi ride e dice: - Come vuoi. Incomincia a pisciare.
Qais beve. Mahdi scuote la testa. - Sei un porco immondo. Ma mentre lo dice ride. - Ebbene sì e lo sapevi
già. Ma ho il sospetto che lo sia un po’ anche tu. - Credo che tu abbia
ragione, Qais. - Per quello andiamo
d’accordo. L’ultima notte di viaggio
è trascorsa: in giornata arriveranno a Jabal al-Jadid. Mahdi e Qais non hanno
dormito. Si sono amati tutta la notte. Ora è l’alba e Qais recita: - Quante notti abbiamo passato a bere vino fino
al primo segno dell’aurora, le
cui stelle si facevano strada nelle tenebre, e
fuggivano le stelle della notte sottomessa. Abbiamo
colto i piaceri più belli, privi
di preoccupazione, non
trattenuti da disturbo. Se
solo durasse, non avrebbe fine la mia gioia: ma
le notti d’amore sono sempre troppo brevi. Mahdi è turbato. Cerca di
nascondere la sua emozione, chiedendo: - Anche questi sono di Ibn
Hazm? - No, di Ibn Zaydun, un
altro poeta di al-Andalus. Mahdi sorride: - È bellissima questa
poesia. Esprime quello che provo anch’io. Grazie per avermela fatta
conoscere. Mahdi è commosso. Cerca di
ironizzare: - Però non abbiamo bevuto
vino. Qais ride di nuovo. - Il tuo piscio e il tuo
sborro sono molto più inebrianti del vino. Mahdi sorride. Questo è
Qais: sa recitare una poesia raffinata e poi esprimersi con una franchezza
sconcertante. E Mahdi sa che non lo vorrebbe diverso. A Jabal al-Jadid Mahdi e
Qais si presentano dall’emiro e riferiscono i risultati della loro missione.
Ashraf chiede notizie del fratello e del modo in cui il prigioniero viene
trattato. I due ufficiali non possono esimersi dal lodare la generosità del
duca, che è stato munifico anche nei loro confronti. Tra una settimana una
nuova ambasciata dovrà recarsi alla frontiera, per portare il riscatto e
riaccompagnare a Jabal al-Jadid Omar ibn Sabih. Ashraf comunica ai due
ufficiali che questo compito sarà nuovamente affidato a loro, com’è logico,
visto che sono stati loro a prendere contatto con il duca di Rougegarde. In serata Qais e Mahdi
ritrovano gli altri ufficiali, che prendono in giro Qais, chiedendogli se ha
avuto modo di conoscere il conte Ferdinando. Qais risponde affermativamente,
ma, com’è sua abitudine, evita di rivelare ciò che è davvero successo,
lasciando gli amici con la loro curiosità. Nei giorni seguenti Qais e
Mahdi passano insieme ogni momento disponibile. Non nascondono il loro
rapporto. Non ne parlano apertamente e non si scambiano effusioni quando ci
sono altri, ma è evidente che sono molto legati. Si scambiano piccoli gesti
d’affetto: Qais porta alle labbra di Mahdi un pasticcino e Mahdi lo addenta;
Mahdi riempie la coppa a Qais. Si guardano e si sorridono, mentre gli altri
parlano. Una sera, dopo che gli
ufficiali hanno tenuto la loro riunione e poi si sono allontanati, Barbath
guarda Qais e Mahdi che se ne vanno insieme e osserva: - Feisal, non pensi anche
tu… Barbath sorride, sornione,
senza completare la frase. - Che cosa comandante? - Che Mahdi e Qais siano
diventati molto… amici. Feisal non sorride.
Annuisce, serio. - Sì, comandante, penso
anch’io che si amino. Barbath scuote la testa.
Ha molta stima di Mahdi e Qais, che considera i migliori tra i suoi ufficiali,
dopo Feisal, ma un amore tra uomini fatti lo stupisce. - Però… sono due uomini
adulti, non sono più ragazzi. - Proprio per questo. Barbath non capisce.
Guarda Feisal perplesso. L’amore per i ragazzi è molto comune, è persino
celebrato in tante poesie. Ma un amore tra due maschi adulti non è
accettabile. - Che cosa intendi dire,
Feisal? - Un ragazzo si può
desiderare, anche di un desiderio violento, può accendere una passione, lo
sappiamo benissimo, lo vediamo spesso, lo hanno anche cantato i poeti, come
quelli che Qais cita ogni tanto. Un ragazzo può dare il piacere. Ma amare… Il
desiderio per un ragazzo dura una stagione, non è un amore che può
accompagnarti per la vita. A fianco di un uomo puoi camminare per la tua
strada, fino alla notte. Barbath è perplesso. - Amare un altro uomo… - Un uomo o una donna,
qualcuno di cui non desideriamo solo il corpo, ma l’anima. Non so,
comandante, il corpo di un ragazzo ti può dare molto piacere, ma la sua anima
non può essere uno specchio per la tua, no? Barbath non ha mai visto
la faccenda da questo punto di vista. Desidera i ragazzi, alcuni hanno
suscitato in lui una passione, in passato. Ma in loro non cerca di certo un
compagno per la vita, solo il piacere di una notte. Su questo punto Feisal ha
ragione. Ma Barbath non ha mai pensato di poter amare un uomo adulto. Il
pensiero lo turba. - Può darsi che tu abbia
ragione, Feisal. Poi aggiunge ridendo: - Ma non credo che
rinuncerò ai ragazzi. Scambiano ancora due
parole, poi Feisal saluta e si allontana. Barbath lo guarda. Un compagno per
la vita, qualcuno al cui fianco camminare… fino alla notte. Se dovesse
scegliere, Barbath non esiterebbe: vorrebbe che fosse Feisal ad accompagnarlo
per la sua strada: con lui può parlare di tutto e sente di volergli bene. Ma
il desiderio… Desiderare un uomo fatto, un corpo forte come il proprio?
Barbath non ha mai scopato con un uomo adulto. Come sarebbe? Con Feisal, ad
esempio? Feisal non è bello. È un uomo forte, virile, la barba folta, il
petto villoso. A Barbath piacciono i ragazzi a cui spunta appena la prima
peluria sul mento, ama il loro culo glabro. Come sarebbe con Feisal? Barbath alza le spalle.
Cazzate, sono solo cazzate. Ma le parole di Feisal ritornano. Camminare a
fianco di un uomo… Barbath vive da solo, ma la solitudine non gli pesa. In
qualità di comandante dell’esercito e consigliere dell’emiro ha sempre molto
da fare. E gli ufficiali sono per lui come tanti fratelli, con loro sta bene
e passa serate molto piacevoli. Per il desiderio ci sono i giovani schiavi e
qualche ragazzo che si offre volentieri al comandante Barbath. Non gli manca
nulla. Amare un uomo? Muhammad,
il figlio dell’emiro, è un bell’uomo, anche con lui Barbath si trova bene. Di
certo è molto più bello di Feisal. Quando Muhammad era più giovane, a Barbath
è capitato di desiderarlo, ma di certo non avrebbe mai toccato il figlio
dell’emiro, gli sarebbe sembrato di tradire la fiducia che Ashraf ha sempre
riposto in lui. Anche Mahdi ha un bel corpo e un bel viso. Coma ha detto Feisal?
Qualcuno la cui anima sia uno specchio… Con Feisal Barbath si è sempre
trovato bene. È contento di averlo vicino. Gli è affezionato, più che a tutti
gli altri ufficiali o a Muhammad. Vivrebbe
volentieri con lui, ma amarlo, possederlo… Che cosa direbbe Feisal se lui gli
proponesse di scopare? Feisal non ha parlato di scopare, ha parlato di amare.
Qualcuno con cui camminare per la tua strada, fino alla notte. È strano
pensare che Feisal… Barbath
scrolla di nuovo le spalle, con un movimento brusco. Non sa perché, ma questi
pensieri lo mettono a disagio. Una settimana dopo il loro
ritorno, Mahdi e Qais ripartono per portare il riscatto concordato e
riaccompagnare a Jabal al-Jadid Omar ibn Sabih e la moglie Munira. Questa
volta hanno con loro cinquanta soldati, un seguito adeguato all’importanza di
colui che devono scortare, il fratello dello sceicco. La spedizione ha con sé
le tende e non alloggia in locande. Anche questo viaggio è per
i due ufficiali un seguito di giorni felici e di notti appassionate. Per
entrambi non c’è nulla di più bello che cavalcare fianco a fianco, scambiare
un sorriso o uno sguardo e leggere negli occhi dell’altro lo stesso
sentimento. E nella loro tenda ogni notte Mahdi e Qais si amano, lasciandosi
guidare dal desiderio che li spinge a vincere ogni remora, felici di offrirsi
e di prendersi. L’incontro con gli inviati
del duca Denis avviene al confine tra il territorio di Rougegarde e quello di
Jabal al-Jadid. Mahdi e Qais consegnano il riscatto pattuito e accolgono Omar
ibn Sabih e la moglie Munira. La carovana riparte verso la capitale. * Dakhir cavalca accanto a
Kazbech. Si sente bene, come non gli sembra di essere mai stato. Ha
cinquantacinque anni, ma gli sembra di averne quindici di meno, come lo
splendido Circasso che ha al suo fianco. Dakhir si presenta con
tutto l’esercito davanti alle mura dei piccoli centri e manda un messaggero:
coloro che accettano di sottomettersi pagheranno un tributo e dovranno
fornire un contingente militare. Gli altri devono prepararsi ad affrontare la
guerra e la morte. La sorte dello sceicco e dei difensori di al-Unayzah è
nota a tutti. I signori di diverse cittadine accettano di sottomettersi
all’emiro di Halel, ben consci di non potersi opporre con le armi. Il tributo
imposto è pesante, ma essi possono conservare il loro potere. Sanno che se
Dakhir sarà sconfitto, recupereranno la loro indipendenza. Altrimenti
rimarranno sotto il giogo dell’emiro. Meglio sottomettersi a un signore esoso
e brutale, che vedere la distruzione della propria città e venire decapitati. La prima fase della
campagna si conclude in fretta, ma Kazbech e Dakhir sanno benissimo che non
significa molto: si trattava di centri minori. La seconda fase sarà più
impegnativa. Adesso ci sono due città
più importanti: Barqah e Marwan. Non sono grandi centri come Jabal al-Jadid,
Shaqra o al-Hamra, la Rougegarde dei franchi, ma le due cittadine sono ben
fortificate e non saranno prede facili. Le truppe di Dakhir
entrano nel territorio di Barqah. Vicino al confine c’è la fortezza del Passo
della Sorgente, che controlla la principale via d’accesso alla città da nord. Dakhir intima al
comandante di arrendersi e consegnare la roccaforte. L’ufficiale risponde che
aprirà le porte del forte solo se glielo ordinerà lo sceicco di Barqah,
Nidal. A nulla valgono le minacce. Eppure il comandante sa che non potrà
resistere a lungo a un esercito agguerrito: la fortezza non sorge in una
posizione particolarmente favorevole e non ha grandi opere difensive. Anche
la guarnigione non è sufficientemente numerosa: il Passo della Sorgente viene
sorvegliato per evitare le scorrerie dei briganti, più che per contrastare
l’avanzata di un nemico. Lo sceicco di Barqah sapeva dell’arrivo di Dakhir,
ma ha preferito non mandare altri uomini, ben sapendo che non sarebbe stato
possibile difendere a lungo la postazione. L’esercito circonda la
fortezza. Un primo attacco viene respinto, ma la terza notte la guarnigione
non riesce a ricacciare gli assalitori e le truppe guidate dal Circasso
espugnano la roccaforte. Per la guarnigione non c’è
nessuna pietà. I sopravvissuti vengono spogliati, impalati e poi castrati. Il
comandante è costretto ad assistere al massacro dei suoi uomini, poi viene
violentato dai circassi sotto lo sguardo dei suoi soldati che agonizzano sui
pali. Quando i circassi hanno concluso, l’ufficiale viene anche lui castrato.
Prima di essere impalato davanti alla porta, gli vengono cavati gli occhi e
tagliate le orecchie. La sua agonia è più breve di quella dei soldati: il
mattino seguente l’uomo viene decapitato, perché la sua testa serve al
messaggero che andrà a parlare con lo sceicco di Barqah. La sera l’esercito si
accampa non lontano dalla cittadina. Dall’altura su cui sono
state piantate le tende, i soldati possono vedere le mura e la fortezza dove
risiede lo sceicco. Barqah sorge su un’isola formata dal fiume; l’acqua non
costituisce una difesa efficace, perché è poco profonda, ma le mura e le
torri sono alte e ben munite. Nella luce del tramonto la città appare una
grande macchia scura, perché la cinta muraria e gli edifici sono costruiti
nella pietra vulcanica abbondante nella zona, di colore quasi nero: per
questo Barqah viene chiamata la città nera. Il mattino seguente un
messaggero si presenta a Nidal. Lo sceicco sa che l’uomo gli intimerà, da
parte di Dakhir, di consegnare la città. Nidal non vorrebbe cedere, ma l’idea
di finire come l’emiro di al-Unayzah lo spaventa. Prima di decidere, vuole
ascoltare le proposte che gli verranno fatte. Il messaggero si inchina,
poi, dopo i saluti di rito, dice: - Il mio signore, il
grande Dakhir, emiro di Halel, ti intima di consegnargli la città. Se lo
farai, avrai la vita salva e per il momento potrai governare in suo nome.
Dovrai versargli i tributi che richiede e fornire truppe per il suo esercito. Nidal non si aspettava
nulla di diverso, ma la brutalità del messaggio lo stupisce. Vorrebbe far
fustigare quest’uomo impudente, ma sarebbe una dichiarazione di guerra. Si
limita a reprimere la sua irritazione e chiede maggiori informazioni. - Tributi e truppe… Quali
sono le richieste dell’emiro? Il messaggero espone ciò
che Dakhir richiede. Non è poco e non c’è nessuna garanzia che Nidal possa
continuare a governare a lungo in nome di Dakhir. Nidal domanda: - E se rifiutassi? Il messaggero apre la
scatola dorata che ha portato con sé, dicendo che era un omaggio per lo
sceicco. Le guardie che sono al suo fianco sono pronte a scattare: non hanno
aperto il dono, per rispetto nei confronti dello sceicco a cui era destinato,
ma vogliono sincerarsi che non vi sia un’arma. Il messaggero estrae il
contenuto: è una testa, a cui sono stati cavati gli occhi e tagliate le
orecchie e dalla cui bocca sporge un cazzo. Nidal ha un movimento di orrore. - Sceicco, questa è la
testa del comandante del forte del Passo della Sorgente. Il suo corpo giace
infilzato su un palo alla porta della rocca che si rifiutò di consegnare.
Prima del palo, conobbe la virilità dei soldati del grande Dakhir, poi, non
essendo più un maschio, fu privato degli attributi che gli furono messi in
bocca. Dopo che gli vennero tolti gli occhi e tagliate le orecchie, trovò la
morte sul palo. C’è un momento di
silenzio, poi il messaggero conclude: - Sceicco, scegli tu se
vuoi subire la stessa sorte del comandante o se preferisci sottometterti. Nidal freme di rabbia. Vorrebbe
dare ordine di prendere il messaggero e trattarlo come il comandante della
fortezza, ma sa che a sua volta rischierebbe di morire nello stesso modo. Nidal si controlla. Vede
che il figlio maggiore vorrebbe scagliarsi sul messaggero e lo ferma con un
gesto. - Di’ al tuo signore che
entro tre giorni gli darò una risposta. Il messaggero ha una
risata di scherno. - Tre giorni? Hai visto
l’esercito del mio signore, accampato sull’altura di fronte alla città. Il
mio signore non intende certo aspettare tre giorni. Al massimo fino a domani
mattina. Di nuovo Nidal reprime
l’impulso di far arrestare questo impudente. - Domani avrai una
risposta. Ora vai. L’uomo si inchina ed esce,
lasciando il dono per lo sceicco. I consiglieri di Nidal non
hanno detto una parola, ma adesso che il messaggero è uscito, esprimono la
loro indignazione. - Sono bestie, non uomini. - Presentarsi con una
testa. E queste minacce… Quando però Nidal chiede
loro che cosa consigliano di fare, tutti si mostrano preoccupati. Qualcuno
suggerisce di chiedere condizioni meno onerose. Quasi nessuno consiglia di
sfidare apertamente l’emiro di Halel. Gli unici che non vorrebbero cedere
sono i due figli maggiori di Nidal: hanno ventiquattro e ventidue anni e
siedono in consiglio perché sono i figli dello sceicco. Gli altri
consiglieri, più anziani, li invitano alla prudenza: terribile sarebbe la
sorte di tutti loro se la città resistesse. Dopo aver sentito i pareri
dei consiglieri, Nidal congeda tutti. Ha bisogno di rimanere solo per
riflettere sul da farsi. Nidal cammina avanti e
indietro nella sala delle udienze. Poi si ferma e guarda la testa.
Rabbrividisce. Sa come è morto lo sceicco di al-Unayzah e non vuole fare la
stessa fine, ma non vorrebbe sottomettersi. Quando ha saputo che l’esercito di
Dakhir assediava la fortezza del Passo della Sorgente, ha mandato un
messaggero a Sabri, l’emiro di Marwan: dopo Barqah, sarà il turno di Marwan,
posta poco più a sud, dove incomincia un’area più fertile e ricca e si
trovano le grandi città di Shaqra e Jabal al-Jadid. Sabri dovrebbe arrivare
in giornata: la distanza tra le due cittadine è ridotta. In questo modo
potranno concordare una linea d’azione. L’emiro Sabri sa che
l’esercito di Dakhir è accampato non lontano da Barqah ed evita di viaggiare
con un grande seguito, per non essere individuato. Arriva in incognito, con
pochi guerrieri, come se fosse qualche signorotto locale, e viene subito
ricevuto. Nidal si sente rinfrancato
dalla presenza di Sabri: quest’uomo forte e sicuro di sé, intelligente e spietato,
gli appare l’alleato ideale contro la minaccia che incombe su di loro. Sabri
è un gigante, dai lunghi capelli neri, il viso dai lineamenti forti
incorniciato da una fitta barba scura. Nidal racconta l’incontro
con il messaggero. Mostra a Sabri la testa del comandante della fortezza.
Guardandola, sente nuovamente un brivido corrergli lungo la schiena. - Avrei voluto fare a
quell’infame ciò che il Circasso ha fatto al comandante della fortezza.
Avessi sentito con che arroganza mi intimava di consegnare Barqah! Che
impudenza! - Sono sicuri di se
stessi. Il comandante dell’esercito, il Circasso, è abile e spietato e Dakhir
è convinto di potersi impadronire di tutta la Siria settentrionale. Non
saremo certo noi due a poterlo fermare. Nidal annuisce. Anche lui
è conscio dell’inferiorità numerica delle proprie truppe, ma vorrebbe trovare
una soluzione ed evitare di arrendersi. Propone: - Potremmo chiedere aiuto
allo sceicco di Shaqra e all’emiro di Jabal al-Jadid: sanno benissimo che
dopo di noi toccherà a loro. Sabri scuote la testa: - No, purtroppo lo sceicco
e l’emiro sono rivali e non accetterebbero mai di combattere insieme. - Neanche davanti a una
minaccia come quella di Dakhir e del Circasso? Rischiano entrambi di perdere
i loro domini e la vita. Che senso ha? - Nessuno, ma lo sceicco
rivendica un territorio che l’emiro ha occupato. - Due galli che pensano
solo ad azzuffarsi mentre la volpe si avvicina. E rivolgersi solo a uno dei
due? - No, uno dei due non interverrebbe,
da solo: avrebbe poche possibilità di vittoria e soprattutto avrebbe paura
che l’altro ne approfittasse per attaccarlo. Troppo rischioso. Nidal annuisce, senza dire
nulla. È scoraggiato. Sperava che Sabri avesse una soluzione da proporre, ma
a quanto pare non è così. C’è un momento di
silenzio. Poi Nidal riprende: - Secondo te, che
possibilità abbiamo di riuscire a resistere, Sabri? - Poche, a meno che Nur
ad-Din non intervenga in nostro aiuto, ma non lo farà: ha abbastanza
grattacapi. Non è facile tenere sotto controllo la situazione in Siria e di
certo preferisce non affrontare direttamente il Circasso. Per il momento non
lo preoccupa ancora. - Quando avrà conquistato
Barqah e Marwan, passerà a Shaqra e Jabal al-Jadid e poi sarà la volta di Aleppo
e Damasco. Non si fermerà, se non quando sarà stato sconfitto. - Lo so, ma Nur ad-Din non
rischierà adesso. Nidal freme. - E allora? Dovrei
sottomettermi? Rinunciare a quello che era il regno di mio padre e prima di
lui di mio nonno? Da oltre cent’anni la mia famiglia regna su Barqah! Sabri rimane in silenzio
un buon momento. Poi dice: - Forse c’è una via. - Quale? - Hai sentito parlare di Ramzi
ibn Qais? -
Chi? Intendi… gli ismailiti, quelli che chiamano Hashishiyya? Quelli che
hanno diversi castelli più a Nord. Ramzi invece è… a Qasr al-Hashim, no? -
Esatto. È stato proprio Nur ad-Din a fargli assegnare il castello, dopo che è
stato ripreso ai cristiani. Qasr al-Hashim è nel territorio di Jabal
al-Jadid. -
E allora? Gli ismailiti non sono certo tanto numerosi da poter sconfiggere
Dakhir e il Circasso, anche se decidessero di intervenire in nostro favore… Nidal
si ferma. Ha intuito dove vuole arrivare Sabri, che spiega: -
Gli ismailiti sono fanatici, Ramzi ha intorno a sé molti giovani che sono ben
felici di immolarsi pensando di conquistare il paradiso. Non occorre
sconfiggere Dakhir. Basterebbe uccidere lui e il Circasso. Nidal
annuisce. Gli ismailiti hanno compiuto diversi omicidi, questo è noto. -
Tu sei in rapporto con loro? -
So come contattarli. Nidal
sospetta che Sabri si sia servito degli Hashishiyya per far uccidere il padre
e il fratello e diventare emiro di Marwan: tutti pensano che sia stato Sabri
a ordinare il duplice omicidio. - Non abbiamo molto tempo.
Dakhir vuole una risposta per domani. - Barqah può resistere
qualche giorno. E una volta che Dakhir e il Circasso siano stati uccisi,
l’esercito abbandonerà l’impresa e la città sarà libera. Nidal annuisce. L’idea di
affrontare l’attacco lo preoccupa: sa benissimo che i suoi uomini sono spaventati.
Il solo nome del Circasso genera terrore. Sabri prosegue: - Ma gli ismailiti non
interverranno certo solo per far piacere a noi. - Che cosa dovremo dare? - Oro e pietre preziose. Parecchio
oro e pietre di valore, non si accontenteranno certo di poco. E ragazzi. - Ragazzi? - Sì, fanciulli tra i sei
e i dodici anni, che non siano mai stati posseduti. Ramzi li addestra a una
fedeltà cieca e li manda poi a uccidere. Sabri sorride e aggiunge: - Non so se prima di
mandarli a uccidere e morire li usi anche per altro, ma non è affar nostro.
Devono essere bei ragazzi. E vergini. Nidal annuisce. Trovarli
non dovrebbe essere molto difficile. - No. Ma… gli ismailiti
accetteranno? E riusciranno nell’impresa? Se gli ismailiti non
accettassero o se fallissero, Nidal sa che sicuramente morirebbe. - Se paghiamo abbastanza,
accetteranno. Quanto a riuscire… Sabri alza le spalle e
prosegue: - Sono determinati e
abili, ma nessuno può dirlo. Nidal è pensieroso. Se
domani rifiuterà di cedere la città, si troverà ad affrontare l’assedio e gli
attacchi che il Circasso lancerà. L’idea di ciò che gli potrebbe succedere se
Kazbech riuscisse a impadronirsi della città lo sgomenta. L’unica alternativa
però è la resa. Sabri conclude: - Io mi rivolgerò a loro,
in ogni caso. Non intendo arrendermi. Ma io ho ancora un po’ di tempo: se tu
decidi di consegnare Barqah, loro si stabiliranno qui per qualche giorno, per
raccogliere i tributi, chiamiamoli così, e arruolare i soldati. Per te la
situazione è diversa. Devi decidere in fretta. Nidal riflette ancora un
momento, poi dice: - Ascolta, Sabri. Credo
che consegnerò Barqah. Se gli ismailiti uccideranno Dakhir e il Circasso
entro qualche settimana, non sarà difficile per me riottenere il pieno
controllo della città: non credo che senza il Circasso il fratello di Dakhir
riuscirà a tenere sotto il suo dominio i territori conquistati. Io ti darò i
ragazzi, l’oro e le pietre preziose che servono. Tu cerca di convincerli a
fare in fretta. Sabri annuisce. Avrebbe
preferito che Nidal resistesse, perché avrebbe avuto più tempo per far
intervenire Ramzi e gli ismailiti, ma l’idea di Nidal non è sbagliata. Se
Dakhir giungesse ad assediare Marwan, Sabri potrebbe comportarsi come Nidal e
cedere la città, in attesa che gli ismailiti riescano a uccidere Dakhir e il
Circasso. - Va bene. Ma non c’è
tempo da perdere. Devo ripartire questa sera stessa, con i ragazzi e l’oro:
domani non sarà più possibile. Nidal concorda. Sceglie
alcuni giovani schiavi, le cui famiglie non possono opporsi. L’emiro Sabri lascia la
città. Ha ottenuto da Nidal la maggior parte di ciò che Ramzi potrà
chiedergli per i due omicidi. A Marwan raccoglierà rapidamente ciò che manca
e raggiungerà Qasr al-Hashim. Non c’è tempo da perdere. Nidal è rimasto a
riflettere. Consegnerà Barqah, su questo non ha dubbi: non ci sono
alternative. Però parlando con Sabri gli è venuta un’altra idea: potrebbe
rivelare il piano di Sabri, in modo da ingraziarsi Dakhir. È un azzardo.
Nidal cerca di valutarne i pro e i contro. Fermare l’avanzata di Dakhir e del
Circasso non è possibile. L’unica speranza è che vengano uccisi. Se il
duplice omicidio riuscirà, Nidal potrà riprendere il controllo della città.
Ma se fallisse e si scoprisse chi sono i mandanti, Nidal rischierebbe una
fine atroce. Rivelando il piano, Nidal si metterebbe in buona luce davanti a
Dakhir, ma per gli ismailiti sarebbe più difficile svolgere il loro compito e
Nidal dovrebbe rassegnarsi a rimanere sottomesso a Dakhir. Nidal non sa decidersi.
Non è l’idea di tradire Sabri a farlo esitare, ma la speranza di conservare
la propria completa indipendenza e questo è possibile solo se Dakhir e il
Circasso troveranno la morte. L’indomani mattina il
messaggero si presenta molto presto. Nidal ha già informato i suoi
consiglieri della decisione presa. Nessuno si è opposto: tutti conoscono la
ferocia del Circasso e preferiscono perdere una parte delle loro ricchezze
piuttosto che andare incontro a una morte terribile. Solo i figli maggiori di
Nidal hanno espresso qualche dubbio, ma sanno anche loro che senza un
appoggio esterno Barqah è condannata. E un aiuto da altre città non arriverà. Nidal comunica all’inviato
di Dakhir che cederà il comando della città. Poche ore dopo le truppe di Dakhir
e del Circasso raggiungono Barqah. Nidal li attende davanti alla porta della
città, come gli è stato intimato, e si prosterna davanti al nuovo signore: è
un’umiliazione che lo fa fremere, ma deve eseguire gli ordini che ha
ricevuto. I notabili schierati dietro di lui possono vederlo a terra, la
faccia nella polvere. Dakhir gli dice: - Sei stato saggio, Nidal.
A Nidal pare di leggere
scherno nelle parole di Dakhir. Alzando appena il capo, in attesa che Dakhir gli
dia il permesso di sollevarsi, risponde: - Allah ti ha dato forza e
alla sua volontà non ci si può opporre. L’Onnipotente dà e prende e noi siamo
i suoi umili servitori. Dakhir sorride. Il Circasso si rivolge ai
notabili: - Che aspettate? A terra,
cani! Tutti si stendono subito a
terra. Rifiutarsi di obbedire sarebbe da sciocchi. Un uomo più anziano fa
fatica a chinarsi. A un gesto del Circasso un soldato avanza, alza la spada e
la cala, troncando il capo dell’uomo. Kazbech ride e commenta: - Non era più nemmeno in
grado di inchinarsi davanti al suo signore. Che cosa viveva ancora a fare? Tutti fremono di orrore,
ma nessuno dice nulla. Dakhir ordina: - Alzati e seguimi, Nidal. Nidal obbedisce. Quando Dakhir e Kazbech,
accompagnati dai loro uomini e da Nidal, sono entrati in città, un ufficiale
dice ai notabili: - Potete alzarvi. Nel palazzo di Nidal,
Dakhir si siede al posto dell’emiro, il Circasso al suo fianco. Dakhir ordina a Nidal di
prosternarsi nuovamente, stendendosi sul tappeto. Nidal esegue. Al suo fianco
si mette un uomo a torso nudo, con la scimitarra in mano. Nidal sa che a un
semplice gesto di Dakhir o del Circasso, l’uomo potrebbe decapitarlo. Dakhir lascia Nidal
disteso, mentre riceve i notabili. Ognuno di loro entrando lancia un’occhiata
all’emiro e al carnefice con la scimitarra. Dakhir impone a ciascuno il
tributo da versare. Anche se il nuovo signore esige molto, nessuno osa
protestare: la morte dell’uomo che non riusciva a prostrarsi è stata un
monito più che sufficiente. Se qualcuno ancora pensava di nascondere le
proprie ricchezze o di escogitare qualche trucco per sottrarsi all’oneroso
tributo, ciò che vede gli fa cambiare rapidamente idea. Il tesoriere di Nidal
dovrà fornire un rendiconto completo delle proprietà dello sceicco deposto.
Nidal si rende conto che l’uomo potrebbe parlare delle pietre preziose e
dell’oro consegnati all’emiro Sabri. Come giustificarla? Nidal sente
l’angoscia invaderlo. Gli conviene rivelare tutto? Il tempo passa. Gli uomini
di Dakhir vengono a riferire come procede l’esazione dei tributi. Un
ufficiale informa che in una delle case signorili il giovane figlio del
padrone ha aggredito gli uomini inviati a requisire i beni. Tutti gli abitanti della casa sono stati
arrestati. Dakhir si volta verso il Circasso, lasciando che sia lui a
decidere il da farsi: ormai sa che la ferocia del comandante dell’esercito è
un ottimo deterrente per tutti. Nidal stesso non avrebbe consegnato
immediatamente la città se non avesse ricevuto la testa dell’ufficiale. Kazbech dice: - Farete impalare e
castrare tutti i maschi, liberi e servitori. Tutte le donne verranno con noi
e, dopo aver soddisfatto i soldati, saranno vendute ai bordelli di Marwan, quando l’avremo
conquistata. Tutti i beni della famiglia saranno sequestrati. Nidal freme. Ha sempre più
paura. Il tesoriere non torna. Dopo un tempo che a Nidal
è parso lunghissimo, l’uomo che Dakhir ha incaricato di affiancare il
tesoriere rientra e presenta la sua relazione. Conclude dicendo: - Ieri pomeriggio una
grande quantità di oro e pietre preziose è stata consegnata all’emiro di
Marwan, Sabri. Dakhir si rivolge a Nidal.
La sua voce è aspra. - Ascoltami bene, cane. Tu
hai ceduto la città e ora sei mio suddito. Un suddito deve essere leale al
suo signore e non nascondergli nulla. Perché hai dato una parte del tesoro a
Sabri? Nidal ha già deciso che
cosa rispondere. Sa che non c’è altra via d’uscita. - Mio Signore, ti prego di
tenere presso di te solo poche persone in cui hai assoluta fiducia, perché nessuno
deve sapere ciò che ti dirò. Non ho parlato prima solo perché se qualcuno
sapesse ciò che intendo rivelarti, tu correresti un grande pericolo. Nidal suda, anche se la
giornata non è calda. Dakhir lo fissa. - Mettiti in ginocchio,
cane. Nidal si solleva. Dakhir
fa uscire la maggioranza degli uomini. Rimangono solo il Circasso e due
guardie. - L’emiro di Marwan,
Sabri, che Allah lo incenerisca, ha deciso di farti uccidere dagli ismailiti
di Ramzi. - Quelli che chiamano Hashishiyya? Dakhir
li conosce di fama: alcuni emiri e sceicchi sono stati uccisi da questi
fanatici, che affrontano sereni la morte più atroce. -
Sì, Ramzi sta a Qasr al-Hashim, che è nel territorio di Jabal al-Jadid. Sabri
di Marwan se n’è già servito per far uccidere il padre e il fratello e salire
al trono. Nidal
non sa se questo è vero, ma ormai perdere Sabri è l’unico modo per salvarsi.
Ma Nidal non è sicuro che basti. Adesso deve convincere Dakhir di non aver
mai voluto prendere parte al piano. È il compito più difficile. -
Io rifiutavo di dargli ascolto e gli ho detto che avrei consegnato Barqah, ma
egli ha minacciato di denunciarmi come traditore a Nur ad-Din, dicendo che io
volevo aiutarti a spodestarlo. Allora ho finto di accettare e gli ho
consegnato quanto mi chiedeva, contando di avvisarti. Kazbech
si alza di scatto e si avvicina a Nidal, che non osa alzare lo sguardo, ma
fissa i piedi del Circasso, di fronte a lui. -
Cane, tu menti! Eri complice e adesso cerchi di giustificarti. Nidal trema. Kazbech
procede: - Meriteresti che ti
uccidessi ora, ma la tua fine non sarà così rapida. Nidal
perde il controllo della vescica, mentre il terrore lo invade. La tunica si
impregna di piscio, che forma una piccola pozza a terra. Il Circasso ride.
Poi chiama alcune guardie e ordina: -
Rinchiudete questo cacasotto in una cella. -
No, no, io… ti avrei avvertito comunque… non puoi, no! No! No! Gli
uomini hanno già afferrato Nidal e lo trascinano nei sotterranei del palazzo.
Lo sbattono in una cella e chiudono la porta. Nidal si rialza, tremante.
Ripensa al comandante della fortezza. Non vuole morire. Non così. Gli tornano
in mente gli ordini che il Circasso ha dato quando gli hanno comunicato che
un giovane ha attaccato i soldati inviati a requisire i beni della famiglia.
Nidal pensa ai suoi figli. Si appoggia alla parete, ma le gambe non lo
reggono. Scivola a terra, balbettando parole senza senso. Sabri
ha scelto altri tre ragazzi da consegnare a Ramzi. Sono due giovani schiavi e
il cugino Ridwan, che ha appena otto anni: è l’unico erede maschio del figlio
di suo zio e Sabri preferisce allontanare un possibile rivale. Il padre è
lontano: Sabri l’ha inviato a Shaqra con un’ambasciata. La madre supplica
invano Sabri, lo prega di desistere, ma l’emiro è irremovibile. Sabri
parte immediatamente per Qasr al-Hashim: non c’è tempo da perdere, perché
Dakhir non si fermerà a lungo a Barqah. Sabri vorrebbe poter inviare qualcun altro,
per non rimanere a lungo lontano da Marwan, ma non è il tipo di trattativa
che possa condurre un ambasciatore. Sabri ha bisogno di parlare direttamente
con Ramzi. Sabri
arriva a Qasr al-Hashim. È la seconda volta che vi viene, ma la sensazione di
potenza che la fortezza trasmette non è meno forte. Qasr al-Hashim, che i
Cavalieri del Tempio hanno tenuto per un breve periodo, è un vero nido
d’aquila, costruito a strapiombo su un precipizio e raggiungibile solo da
settentrione. Dicono che una maledizione gravi su questa fortezza, le cui
guarnigioni sono state tutte sterminate o dalla malattia o dai nemici. Ma
queste dicerie non spaventano certo uomini come Ramzi. Sabri
viene fatto entrare, insieme ai bambini, ma i suoi uomini devono rimanere
fuori, nello spazio tra la prima e la seconda cerchia di mura. Sabri viene
condotto in una sala spoglia, dove si siede sui cuscini e aspetta di essere
accompagnato da Ramzi. Alcuni dei giovani si lamentano e piangono. Sabri
intima di tacere, ma diversi non riescono a trattenere i singhiozzi. Dopo un
momento alcuni uomini di Ramzi vengono a prendere i piccoli e i doni. Sabri
rimane da solo. Meglio così: Sabri non ha nessuno voglia di ascoltare i
bambini che frignano. Ramzi
lo fa attendere quattro ore: dev’essere chiaro che neanche l’emiro di Marwan
può pensare di essere ricevuto immediatamente. Sabri nasconde la sua
irritazione. Ben altro è ciò che gli preme in questo momento. Infine Sabri viene
accompagnato dal signore della fortezza. Nella stanza ci sono i bambini e i
doni che Sabri ha portato con sé. L’emiro di Marwan si inchina di fronte a
Ramzi: non ne avrebbe motivo, Ramzi non ha nessun titolo, sarebbe lui a
doversi inchinare di fronte a un emiro. Ma Ramzi è un uomo potente e Sabri ha
bisogno di lui. Se un giorno Sabri diventasse padrone di tutta la Siria,
farebbe sicuramente squartare Ramzi, ma adesso deve mostrarsi ossequioso. Dopo i saluti e i
convenevoli, Sabri presenta i suoi doni: otto bambini, tra i cinque e i
dodici anni, e una grande quantità di oro e pietre preziose. Ramzi osserva
con attenzione i ragazzi e accoglie il tutto con un breve ringraziamento,
come se fosse un dono dovutogli. Sabri si guarda bene dal dire che vuole
qualche cosa in cambio. Ramzi sa che questo dono è solo il pagamento di un
servizio che gli verrà richiesto, ma non pone domande. Si limita a chiedere
notizie di Sabri e della sua famiglia. - Stiamo bene, ma siamo
tutti preoccupati. L’emiro Dakhir e le sue truppe, guidate dal Circasso,
hanno appena occupato Barqah e ora minacciano Marwan. Dakhir vuole prendere
il posto di Nur ad-Din, il grande sovrano che vi protegge e vi ha fatto dono
di questa magnifica fortezza. Non occorre dire altro: la
richiesta è chiara e il riferimento a Nur ad-Din le conferisce un peso
maggiore. Ramzi sembra riflettere un momento, poi dice: - Certo, quanto mi
racconti, emiro, è grave. Nur ad-Din è il nostro signore. Chi lo minaccia
merita la morte. - Sì, è così. Dakhir e il
Circasso non hanno rispetto per le leggi divine e per coloro che Allah ha
mandato a guidarci. - Allah è grande e per
coloro che si oppongono al suo volere vi è la morte su questa terra e
l’inferno nell’aldilà. È stato detto tutto quanto
era necessario. La conversazione procede ancora un momento, poi Sabri prende
congedo. Sabri sta tornando verso
Marwan con i dieci uomini che lo hanno accompagnato a Qasr al-Hashim. Conta
di arrivare in tarda serata. È stato assente solo due notti e di certo Dakhir
non è ancora arrivato a Marwan: prima procederà a un sistematico saccheggio
delle ricchezze di Barqah. Ma ormai non resta più molto tempo. Purché Ramzi
agisca in fretta. Sabri e i suoi uomini
hanno appena superato la gola dell’Anuar, quando si trovano di fronte un
centinaio di soldati. Sabri non sa chi possano essere: Marwan non è in guerra
con nessuno. Si chiede se non sia meglio tornare indietro, ma si accorge che
la ritirata è bloccata: l’ingresso della gola è sbarrato da altri soldati
scesi dai monti. È una trappola. Un uomo avanza verso di
loro. - Arrenditi. - Chi siete, che attaccate
in tempo di pace chi non vi ha offeso? L’uomo ride. - Il mio nome è Kazbech,
ma mi chiamano il Circasso. Sabri, che fosti signore di Marwan, sei nelle mie
mani. Sabri sa di essere
perduto. Non si aspettava certo di cadere in un agguato e una difesa è
impossibile: i suoi uomini sono troppo pochi. Ma come hanno saputo che lui
era in viaggio e sarebbe passato dalla gola dell’Anuar? - Mi consegno a te, ma non
vi è guerra tra di noi. Kazbech fa un cenno ai
suoi uomini, che disarmano Sabri e i guerrieri che li accompagnano, poi
legano loro le mani. Solo allora Kazbech dice: - Hai tramato per far
uccidere me e il mio signore, l’emiro di Halel. Non è una dichiarazione di
guerra, questa? Kazbech ride. Sabri è
impallidito. Si pente di non aver cercato di resistere: avrebbe trovato una
morte meno atroce di quella che di certo lo attende. Ma come hanno fatto a
scoprire? Lui ha appena parlato con Ramzi… Nidal! È stato lui a tradire, su
questo non c’è nessun dubbio. Ecco perché sapevano dove aspettarlo! Tornando
da Qasr al-Hashim, per lui era inevitabile passare per la gola dell’Anuar.
Merda! Nidal ha raccontato tutto. Lo uccideranno e il suo supplizio sarà
orrendo. Sabri viene condotto a
Barqah, per assistere all’esecuzione dello sceicco Nidal: il Circasso vuole che
veda ciò che faranno al suo complice, ciò che faranno anche a lui. A Sabri non spiace l’idea
di vedere il supplizio di Nidal: lo sceicco lo ha tradito ed è giusto che
paghi. Ma non vuole subire la stessa sorte. Sabri trascorre la notte
in una cella e il mattino dopo viene portato fuori dalla città. Ai piedi
delle mura è stato montato uno steccato che delimita uno spazio
semicircolare. Dietro al recinto e sulle mura si assiepa una grande folla,
chiamata ad assistere al supplizio. Davanti allo steccato i soldati sono
disposti in una doppia fila. Lungo le mura numerosi pali reggono dei corpi
che sono stati castrati. Sabri non sa chi possano essere quegli uomini, ma di
certo devono aver opposto resistenza al Circasso. Per terra vi sono altri
pali acuminati: quei pali squarceranno le carni di Nidal e dei suoi figli,
forse anche quella di Sabri, ma l’emiro sospetta che verrà ucciso davanti
alle mura di Marwan, perché i suoi sudditi possano vedere la sua fine. C’è un odore forte, di
sudore e sporcizia, a cui si mescola il fetore dei corpi in decomposizione
infilzati sui pali. Sabri viene fatto sedere
davanti allo steccato. Davanti a lui non vi sono soldati, in modo che Sabri
possa assistere al supplizio. Nello spiazzo lasciato
libero dai soldati vi sono Nidal e i quattro figli maschi più grandi, che
hanno tra i diciotto e i ventiquattro anni. Nidal ha avuto una ventina di
figli dalle sue mogli, ma Sabri sa che alla fine della giornata non ne
rimarrà uno vivo. O forse qualcuno più sfortunato sarà ancora vivo perché
agonizzerà sui pali. Nello spiazzo ci sono
anche quattro cavalletti. I quattro figli di Nidal vengono costretti a
stendersi su di essi e i soldati legano loro i polsi e le caviglie, in modo
che non possano muoversi. Vedendoli stesi così, a gambe larghe, Sabri
intuisce: verranno violentati. E infatti alcuni soldati si avvicinano e si
mettono dietro i quattro giovani. Nidal scuote la testa. Vorrebbe gridare la
sua disperazione, ma non servirebbe a nulla. I soldati si abbassano i
pantaloni, appoggiano le mani sul culo dei quattro condannati, divaricano le
natiche e li infilzano con un’unica spinta. Uno dei figli di Nidal urla, gli
altri riescono a controllarsi. Quando i primi quattro uomini hanno finito,
altri prendono il loro posto. I soldati che hanno già avuto la loro parte
pisciano in faccia ai condannati. Man mano che un soldato conclude l’opera,
un altro prende il suo posto. Gli stupri si succedono per un tempo che a
Sabri appare interminabile. Ormai i soldati quando si ritraggono hanno il
cazzo sporco di sangue. Uno dei figli di Nidal è svenuto. Il sole è alto in cielo.
La folla assiste immobile, nonostante il calore soffocante. Qualcuno impreca
sottovoce: è una vergogna che anche le donne debbano assistere a uno
spettacolo del genere. Più d’una si è coperta completamente il viso con il
velo, per non vedere. Ma l’ordine di assistere è venuto da Dakhir e nessuno
può pensare di andarsene. Infine il Circasso si
alza. Sguaina la scimitarra e si avvicina al figlio maggiore di Nidal.
Avvicina l’arma al buco del culo e con un movimento deciso affonda la lama.
Non la spinge fino all’elsa, ma ne infila circa metà. L’uomo urla quando
sente la lama entrargli nelle viscere, un urlo che non finisce mai. Quando il
Circasso estrae la scimitarra, l’uomo urla di nuovo. Anche Nidal grida, un
“No” disperato. Pure tra la folla qualcuno ha gridato. Due donne sono svenute
e alcuni spettatori stanno vomitando. C’è un momento di confusione, ma i
soldati ristabiliscono in fretta l’ordine. Le donne svenute vengono
allontanate e la rissa nata perché un uomo si è visto vomitare addosso da un
altro è subito sedata. Il Circasso ripete
l’operazione con gli altri tre figli di Nidal. Nessuno di loro riesce a
trattenere l’urlo. A un cenno del Circasso i soldati si avvicinano ai quattro
giovani, afferrano i loro genitali e li recidono. I giovani gridano, nel
silenzio assoluto che si è creato tra la folla. Solo Nidal balbetta parole
incomprensibili mentre piange. Intanto i quattro vengono
slegati e stesi a terra. I carnefici prendono i pali. Sabri ha le mani legate
dietro la schiena, ma nessuno bada a lui ora che il boia si appresta a
spingere il palo acuminato nel culo del figlio maggiore di Nidal. Mentre i
figli di Nidal venivano stuprati, Sabri ha sfregato contro una sporgenza
dello steccato la corda che gli legava i polsi, senza badare alle schegge che
gli laceravano i polsi. Infine è riuscito a romperla e ha liberato le mani.
Probabilmente chi l’ha legato non ha pensato che Sabri potesse cercare di
liberarsi le mani. Un tentativo di fuga sarebbe risibile, con tutti gli
uomini del Circasso e la folla ostile intorno a lui. Ma Sabri non intende
fuggire. Nel momento in cui il boia vibra il colpo e il palo penetra nel
corpo del figlio di Nidal, Sabri scatta in piedi, afferra il pugnale di uno dei
soldati e se lo infila nel petto. Sente il dolore violento e si lascia cadere
in avanti, in modo che nell’urto con il suolo il pugnale penetri più a fondo
e gli spacchi il cuore. I soldati che si
precipitano su di lui possono solo constatarne la morte. L’emiro Sabri di
Marwan è sfuggito al supplizio. Il suo corpo subirà ogni tipo di oltraggio,
ma nessuno potrà infliggergli altro dolore. Il Circasso si avvicina.
Guarda il cadavere steso a terra. È furente per ciò che è successo. Il
soldato che si è lasciato prendere il pugnale guarda smarrito il comandante.
Sa che morirà. Mormora: - Lo avevano legato male.
Non è colpa mia. Kazbech dà ordine di
arrestarlo. Fa cercare il soldato che ha legato Sabri. I due uomini vengono
portati via. Pagheranno con la vita. Adesso però la cerimonia
continua. I figli di Nidal vengono impalati, uno dopo l’altro, e i pali
issati accanto a quelli già piantati. Due dei giovani sono ancora vivi e
gemono. Due invece sono inerti, probabilmente i giovani sono già morti: Allah
è stato misericordioso con loro. Ora è il turno di Nidal,
che viene legato su uno dei cavalletti e subisce lo stesso strazio dei suoi
figli: prima la violenza, poi la lama in culo, la castrazione e infine il
palo. È ancora vivo quando il palo viene sollevato. Subito dopo i figli più
giovani di Nidal e gli altri parenti vengono portati sulle mura. Ci sono
uomini adulti, bambini e anziani, tutti i maschi della famiglia. Le donne
sono state destinate a soddisfare i soldati. Uno dopo l’altro essi
vengono castrati, poi legati e calati con le corde lungo le mura, fino a
rimanere appesi a testa in giù. Agonizzano uno di fianco all’altro, mentre il
sangue della ferita cola sui corpi fino al collo. Solo dopo che l’ultimo
corpo è stato appeso, la folla può disperdersi. Qualcuno commenta sottovoce,
ma i più tornano a casa in silenzio. In un angolo qualcuno vomita ancora. Akram torna con il padre.
Hamdan scuote la testa. - Nidal era un traditore,
ma sterminare tutta la famiglia in questo modo… Gli uomini inculati e
castrati davanti a tutte le donne della città… Akram non dice nulla,
perché non vuole irritare il padre. Ma dentro di sé pensa che il Circasso ha
fatto benissimo: questa violenza atroce sarà un deterrente per tutti coloro
che cercheranno di sbarrargli la strada. Chi ha grandi ambizioni non può
permettersi di avere pietà. Bisogna incutere paura ai nemici. Kazbech è un
buon maestro e Akram intende imparare da lui tutto ciò che può. Il cadavere di Sabri viene
gettato in una latrina, dopo essere stato castrato, ma più tardi viene
recuperato, attaccato a un cavallo e trascinato fino a Marwan. La città si è
arresa senza opporre resistenza, ma i cittadini devono vedere il corpo del
loro emiro, lordato di merda e fango, decapitato e impalato davanti alle
mura. Le donne della famiglia di
Sabri vengono vendute come puttane nei bordelli di diverse città, gli uomini
subiscono la stessa sorte di Nidal e dei suoi figli. L’unico parente maschio
di Sabri a rimanere vivo è Ridwan, il bambino che Sabri ha consegnato a
Ramzi. Dakhir non sottovaluta la
minaccia costituita da Ramzi: conosce bene gli ismailiti e sa che sono
determinati. - Kazbech, se gli
ismailiti vogliono ucciderci, non sarà facile fermarli. - Nessuno dei miei uomini
accetterà di tradire e tutti sanno fare buona guardia. - Gli ismailiti sono
fanatici, non arretrano davanti a nulla. Ramzi, che comanda a Qasr al-Hashim,
potrebbe rinunciare al progetto, ora che Sabri e Nidal sono morti: non
avrebbe molto senso cercare di farci uccidere adesso, quando chi l’ha pagato
per questo è morto. Ma potrebbe decidere di farlo solo perché si sappia che
tiene fede agli impegni. - Possiamo attaccare il
castello e sterminare Ramzi e gli ismailiti di quest’area. - Qasr al-Hashim è nel
territorio di Jabal al-Jadid ed è imprendibile. Dovremmo assediarlo, magari
per mesi. - Allora manderemo a Ramzi
alcuni doni, per fargli credere che lo consideriamo un amico, e la testa di
Sabri, per fargli capire che cosa succede a chi si schiera contro di noi. Di
lui ci occuperemo dopo, quando avremo conquistato Shaqra e Jabal al-Jadid. - Questa potrebbe essere
una buona idea. Prendiamo alcuni ragazzi di Marwan e Barqah: Ramzi vuole che
gli offrano dei giovani, che poi addestra a diventare i suoi sicari. Li
inviamo, insieme a qualche oggetto d’oro. Crederà che abbiamo paura di lui e
rinuncerà a tentare di assassinarci. E poi penseremo anche a lui. Kazbech annuisce. - Sì, manderò Imad, il mio
scudiero. È un uomo molto capace e saprà come parlare a Ramzi. Imad raggiunge Qasr
al-Hashim, accompagnato da quattro soldati e sei ragazzini, presi a Marwan e
Barqah. Quando arriva al castello,
lo osserva con attenzione: sa bene che un giorno il suo signore potrebbe
decidere di espugnarlo. La fortezza sorge su uno sperone roccioso, a
strapiombo sulla confluenza di due fiumi. Può essere attaccata solo da nord,
ma una doppia cinta di mura la difende. Si può assediare, ma sembra
impossibile prenderla con un attacco diretto. Imad dice che viene a nome
dell’emiro Dakhir e del principe Kazbech. Vuole parlare con l’emiro Ramzi e
porta ricchi doni per lui. Ramzi non è emiro, è solo il capo degli ismailiti
che vivono nel castello, ma Imad sa che deve trattarlo con la massima
deferenza. Gli uomini di Ramzi fanno
entrare la delegazione. I soldati rimangono tra le due cerchie di mura. Imad
passa all’interno, con i regali e i sei giovani. Le guardie controllano
tutto ciò che ha portato Imad. Trovano anche la testa di Sabri, di cui solo
il sale in cui è stata avvolta ha fermato la putrefazione. Il soldato che ha
aperto lo scrigno con la testa guarda interrogativamente Imad, che dice: - Anche questo è un dono
per l’emiro. Lui capirà. L’uomo annuisce. Controlla
che non ci sia un’arma nello scrigno, poi lo richiude. - Spogliati. Imad si spoglia. I suoi
abiti vengono perquisiti con cura. Le guardie passano le mani persino tra i
suoi capelli, per accertarsi che non nasconda un’arma. Sabri non è stato
controllato allo stesso modo, ma uno sceicco non va a uccidere di persona un
nemico: manda un sicario. Imad infine può rivestirsi
e dopo una lunga attesa viene ammesso al cospetto di Ramzi. Si inginocchia davanti al
signore della fortezza, mostrandosi deferente. Dopo i saluti, spiega il
motivo della sua venuta: - Un uomo malvagio ha
cercato di farti credere che il mio signore, Kazbech, detto il Circasso, ti
fosse ostile. Ma Kazbech vuole esserti amico e perciò ti invia questi doni. Ramzi accetta i regali
come se gli fossero dovuti. Con un cenno, dà ordine ai suoi uomini di portare
via ciò che gli è stato offerto. Poi risponde: - Non ho mai creduto alle
parole menzognere di quell’uomo. Imad mostra la testa
recisa. - Allah ha punito l’infame
che ha cercato di seminare l’odio. Ramzi guarda la testa
indifferente, come se fosse un oggetto di scarso valore: già sapeva che Imad
gliel’avrebbe mostrata, perché i suoi uomini gli hanno certamente riferito di
averla trovata, come gli hanno detto il valore dei doni. Ramzi osserva: - Allah è giusto e la sua
volontà si compie sempre. Nessuno sfugge alla sua punizione. - Il mio signore, Kazbech
il Circasso, confida nella tua amicizia. - Digli che lo ringrazio e
che non gli sono nemico, come hanno cercato di fargli credere. - Il tuo nemico, emiro, è
un altro. È l’infame Dakhir che ha conquistato vaste terre e ora mira a
impadronirsi di Jabal al-Jadid. Ha giurato di conquistare Qasr al-Hashim e
sterminare tutti i veri credenti che vi abitano. Ramzi fissa Imad. - L’uomo che Allah ha
punito mi aveva parlato anche di lui. - Egli non è un vero
credente e la punizione di Allah lo colpirà. - Sì, così sarà. Ramzi fa un cenno
d’assenso. È stato detto tutto il necessario. - Kazbech sarà per te un
amico fedele. - Come io lo sarò per lui. Imad e Ramzi sanno che
l’amicizia tra Kazbech e il capo degli ismailiti di Qasr al-Hashim dipenderà
dagli interessi dell’uno e dell’altro, ma per il momento tra loro non vi è
ostilità. Dopo le formule di cortesia, il messaggero si congeda. Dopo la morte degli emiri
di Barqah e Marwan, il territorio sotto dominio di Dakhir comprende tutta la
regione montuosa del nord e si affaccia sulle fertili colline più a sud. Qui
ci sono i centri più importanti: non sarà facile espugnare città come Shaqra
e Jabal al-Jadid, che hanno grandi eserciti, ma ormai anche Dakhir è un
signore potente, in grado di competere con tutti i principi della regione. E
il solo nome del Circasso semina il terrore. Diversi uomini di Kazbech sono
morti nelle battaglie, ma altri sono giunti dal Nord per mettersi al suo
servizio. I circassi di Kazbech costituiscono le truppe più disciplinate e
spietate dell’esercito di Dakhir. Dopo aver concluso la
campagna, l’esercito si appresta a rientrare a Halel: Dakhir vuole
riorganizzare l’amministrazione dei suoi domini, ormai molto vasti, prima di
riprendere l’espansione. Ma sarà solo una breve pausa. Ad Akram spiace che la
campagna non prosegua: avrebbe voluto dimostrare il suo valore in battaglia,
per fare una buona impressione sullo zio e sul Circasso. Ma di battaglie non
ce ne sono state: solo la conquista del Passo della Fortezza ha richiesto
un’azione di forza e uno scontro con l’avversario. Comunque Dakhir ha detto
che intende ripartire presto da Halel per nuove conquiste e in ogni caso
Akram ha avuto diverse occasioni di parlare con Kazbech e di esprimergli la
sua ammirazione. Il Circasso sembra ben disposto nei suoi confronti. Akram è
convinto di poter contare su di lui per garantire i propri diritti contro
Farid: tra il fratellino e il Circasso non sembra correre buon sangue e
questa è un’ottima cosa. Hamdan è contento di poter
ritornare a Halel e ritrovare Farid e la giovane figlia, Nabila. * L’emiro Ashraf ha mandato
alcune truppe a fare un giro di ricognizione ai confini settentrionali del territorio
di Jabal al-Jadid: l’esercito di Dakhir sta rientrando a Halel, ma è
opportuno tenere sotto controllo la situazione. Ora il comandante Barbath,
il suo braccio destro Feisal e altri ufficiali sono seduti sull’erba accanto
a un torrente. Discutono degli ultimi avvenimenti, in particolare la presa di
Barqah e Marwan da parte di Dakhir e del Circasso. La ferocia dimostrata da
Kazbech ha lasciato tutti allibiti. E gli ufficiali si rendono conto che
presto sarà il turno di Jabal al-Jadid. - Dakhir sta tornando a
Halel. - Per il momento. Ma lui e
il Circasso non si fermeranno. Barqah e Marwan non gli bastano. - Questo è sicuro. Presto
ripartiranno e questa volta saranno Shaqra e Jabal al-Jadid a essere
attaccate. - Ne sei sicuro,
comandante? Barbath annuisce. - Dovremo prepararci ad
affrontare un nemico potente e terribile. - Ciò che il Circasso ha
fatto allo sceicco di Barqah… e a tutta la sua famiglia… è atroce. Anche lo
sceicco di al-Unayzah era stato castrato, ma dopo la decapitazione. Un emiro
e i suoi figli violentati, come fossero schiavi… - Davanti a tutti: anche
le donne hanno dovuto assistere! - …e poi castrati e
impalati. - Pure la spada in culo
gli ha infilato. È una bestia, non un uomo. - Di’ pure un demone. - E gli altri figli? Anche
loro castrati e appesi alle mura. Ragazzi, bambini. - Sì, hai ragione, Qais, è
una creatura infernale. Gli risponde Feisal: - È un uomo spietato e
determinato a ottenere ciò che vuole. Sa che il terrore è un’arma efficace e
se ne serve senza scrupoli. C’è un momento di
silenzio. Tutti sanno che presto dovranno affrontare quest’uomo terribile, a
meno che l’emiro Ashraf non decida di sottomettersi. In questo caso, si
troveranno al servizio del Circasso. - Che cosa deciderà
l’emiro? Barbath conosce bene
Ashraf ed è convinto che non accetterà mai di cedere Jabal al-Jadid senza
combattere. Ma non spetta a lui dire che cosa farà il suo signore. - Non posso saperlo. Qualcuno osserva: - Non credo che cederà. Il
nostro emiro ha i coglioni. Qais replica: - Nel qual caso rischia di
finire… male. Qais voleva fare una
battuta sul fatto che Ashraf rischia di finire senza coglioni, come Nidal e
Sabri, ma si è trattenuto: qualcuno avrebbe potuto considerare le sue parole
una mancanza di rispetto nei confronti dell’emiro. Un altro risponde: - Finiremo tutti male. Ma
d’altronde, passare al servizio del Circasso… - È un comandante
valoroso. - Sì, ma… L’uomo scoppia a ridere,
poi osserva: - È meglio che non dica
quello che penso. Potreste riferirglielo se Jabal al-Jadid passasse sotto il
suo controllo. Qais replica: - Lo faremmo di sicuro.
Solo per vedere che cosa ti fa. Qualcuno ride, ma non c’è
molta allegria. Uno degli ufficiali
propone: - Che ne direste di
bagnarci? - Buona idea,
rinfreschiamoci un po’. Meglio sguazzare un po’
nel fiumiciattolo e non pensare a che cosa riserva il futuro, tanto per il
momento non c’è nulla da fare. Gli ufficiali incominciano
a spogliarsi. Mentre si sveste, Barbath guarda Feisal, il cui corpo appare
man mano che l’ufficiale si toglie gli abiti. Gli torna in mente la
conversazione che hanno avuto qualche tempo fa. Ora Feisal è nudo. Lo
sguardo di Barbath indugia su di lui. Feisal è un uomo forte e snello, il
petto e il ventre coperti da un pelame abbastanza fitto. Feisal è un maschio
adulto e vigoroso, il cui corpo porta i segni delle guerre combattute. A Barbath piacciono i
ragazzi tra sedici e diciott’anni, a cui spunta appena la prima peluria. Agli
uomini che hanno la sua età o poco meno, Barbath non si è mai interessato.
Feisal ha ventinove anni, sette in meno di Barbath, ed è un uomo fatto.
Eppure ora Barbath si rende conto di guardare questo corpo con occhi nuovi. E
questo corpo lo attrae, vorrebbe stringerlo. Feisal si avvicina al
torrente. Barbath guarda il culo forte e la peluria scura che lo ricopre.
Feisal si immerge. Barbath entra rapidamente in acqua e cerca di scacciare
dalla sua testa il pensiero di Feisal, che lo disturba. L’acqua non è profonda.
Tutti si spruzzano, ridendo come ragazzini. Poi si sfidano scherzando, si
afferrano e cercano di spingersi l’un l’altro sott’acqua. Barbath guarda Qais
e Mahdi. I due giovani ufficiali stanno lottando avvinghiati. Barbath pensa
che vorrebbe afferrare Feisal, come Qais sta facendo con Mahdi, e mettergli
la testa sott’acqua, ma ha paura che il suo corpo reagisca e non potrebbe
nasconderlo in nessun modo. Già adesso si rende conto che il sangue sta
affluendo al cazzo. Merda! Escono dall’acqua e si
stendono sull’erba. Barbath si stende lontano
da Feisal e non guarda dalla sua parte. Ha il cazzo mezzo in tiro, ma non è
l’unico: le lotte scherzose e il contatto dei corpi nell’acqua hanno fatto lo
stesso effetto anche ad altri, in particolare a Qais e Mahdi, che se
potessero si allontanerebbero per amarsi tranquillamente. Barbath non ha
partecipato alle lotte scherzose, ma ha la fama di essere un gran toro da
monta: niente di strano che sia sempre pronto a passare all’azione. Qais dice: - Barbath, tu sei più
fortunato di noi: se il Circasso ti fa tagliare due coglioni, te ne rimane
uno. Tutti ridono. Un altro risponde, cupo: - Gliene taglierà tre e
soffrirà di più. L’osservazione spegne
l’allegria. Rimangono ancora un momento stesi, lasciando che il sole asciughi
le gocce d’acqua sui loro corpi, poi si alzano e si rivestono. Barbath non
guarda verso Feisal, ma a un certo punto si volta per raccogliere il pugnale
e non riesce a non fissarlo. È completamente diverso dai ragazzi che gli
piacciono. Eppure ora desidera quel corpo, a cui non aveva mai badato.
Perché? Perché Feisal e non Mahdi, per esempio, che è bellissimo? Ma la
bellezza non c’entra. È qualche cosa di diverso, qualche cosa che nasce da
dentro. Che cosa gli ha detto
Feisal? Qualcuno al cui fianco camminare fino alla notte? Qualche cosa del
genere. La notte potrebbe essere vicina per tutti loro. Due giorni dopo Barbath e
le sue truppe rientrano a Jabal al-Jadid. Barbath si presenta dall’emiro
Ashraf, al cui fianco siede il figlio Muhammad. Barbath fa una breve relazione
sulla situazione. Non c’è molto da dire: tutto appare tranquillo, per il
momento. Ashraf esprime i suoi
dubbi: - Barbath, non pensi che
quando il Circasso attaccherà da occidente, a oriente possano esserci
ribellioni fomentate dai nostri nemici? - È possibile, ma non è un
problema. Se riusciremo a resistere al Circasso, ci riprenderemo i territori
che i nostri nemici avranno cercato di toglierci. Altrimenti… Barbath non completa la
frase. Il senso è chiaro: se il Circasso li avrà sconfitti, tutto il territorio
di Jabal al-Jadid sarà nelle sue mani. Ashraf è pensieroso. - Abbiamo qualche
possibilità di resistere, Barbath? - Il Circasso ha un
esercito molto forte. Noi abbiamo meno uomini, ma i nostri soldati sono
determinati. Ciò che accadrà è nelle mani di Allah. Muhammad interviene: - Combatteremo. Allah sarà
dalla nostra parte. - Già… Ashraf rimane un momento
in silenzio, poi dice: - Bisogna mandare un nuovo
comandante a Qasr Rim. Poco fa mi hanno comunicato che Hassam ibn Kassir è
morto improvvisamente. Allah lo ha chiamato a sé. Qasr Rim è una fortezza al
confine nord-occidentale. È in una posizione strategica importante e
controlla un territorio conteso tra Ashraf e lo sceicco di Shaqra. Ashraf aggiunge: - Ci vuole un uomo deciso
e coraggioso. Chi pensi sia adatto? - Feisal, emiro. È
giovane, ma valoroso e intelligente. È l’uomo migliore. Barbath ha risposto senza
esitare: sa che Feisal è davvero l’uomo più adatto al posto di comandante
della fortezza. Ma mentre lo dice, capisce di provare emozioni contrastanti,
che lo sorprendono. L’idea che Feisal vada lontano da una parte è un
sollievo, dall’altra gli spiace. E saperlo in pericolo lo preoccupa. La
faccenda mette Barbath a disagio, lo rende nervoso. - Va bene. Dagli le
istruzioni necessarie e fallo partire subito. Non è bene che la fortezza
rimanga a lungo senza comandante. - Vado immediatamente. Barbath si congeda e fa
chiamare Feisal. Feisal si presenta,
sorridente. Non è bello, però Barbath deve riconoscere che gli piace questo
viso franco, dai lineamenti marcati. E mentre lo pensa, Barbath si rende
conto di essere irritato con se stesso. - Feisal, il comandante di
Qasr Rim è stato chiamato a sé da Allah. Tu prenderai il suo posto. Partirai
oggi stesso. È un incarico impegnativo, ma so che lo svolgerai nel migliore
dei modi. - Grazie, comandante. Feisal chiede qualche
dettaglio, poi si allontana. Barbath si chiede se lo rivedrà ancora. Il
Circasso è a Halel, ma non ci resterà a lungo: quando Dakhir avrà
riorganizzato i suoi domini, scenderà verso Jabal al-Jadid e Qasr Rim è sulla
strada che dovrà percorrere. Barbath pensa al comandante della fortezza del
Passo della Sorgente: il Circasso lo ha fatto stuprare, castrare e poi
impalare, gli ha fatto tagliare le orecchie e cavare gli occhi. Barbath rabbrividisce:
la stessa sorte potrebbe toccare a Feisal, se non consegnerà la fortezza. E
Feisal non lo farà, senza un ordine di Ashraf. Ma anche Barbath potrebbe
finire nello stesso modo, se cadrà vivo nelle mani del Circasso. La notte è
vicina per entrambi. Ma non cammineranno insieme. Barbath vorrebbe
richiamare Feisal, parlargli ancora, dirgli qualche cosa, ma lascia che si
allontani. È meglio così, meglio che Feisal non sappia niente dei pensieri
del suo comandante. Sì, è meglio così. Molto meglio. Quando gli ufficiali si
riuniscono da Barbath, la sera, il comandante comunica loro che Feisal è
partito per raggiungere Qasr Rim. Molti rimangono stupiti, perché non
sapevano neppure della morte del comandante della fortezza. La serata si
svolge piacevolmente, come al solito, l’atmosfera è rilassata, tutti appaiono
contenti. Ma Barbath si accorge di essere insoddisfatto. Guarda gli amici che
si divertono, parlano, ridono, cantano e gli sembra che un muro invisibile lo
separi da loro. Non partecipa alla conversazione generale, non ne ha voglia.
Gli sembra di desiderare solo che tutti se ne vadano in fretta. Nei giorni successivi
Barbath si accorge con stupore che Feisal gli manca. Gli capita spesso di
pensare che vorrebbe potersi confrontare con lui su un problema o anche
soltanto scambiare un’osservazione scherzosa. E a tratti Barbath ripensa a
Feisal che si spoglia al torrente, rivede il corpo nudo che entra in acqua.
Barbath non capisce che cosa gli stia accadendo. La lontananza di Feisal gli
pesa, ogni giorno che passa di più. Ogni tanto Barbath prende
uno dei suoi giovani schiavi, ma il piacere non gli basta più. Si dice che
avrebbe bisogno di un nuovo schiavo: la novità lo distrarrebbe dai pensieri
che si affacciano importuni dopo che ha scopato, a volte anche mentre fotte
un bel culetto. Anche Feisal sente la
mancanza degli amici e soprattutto del comandante, che ha sempre ammirato. Ma
Feisal sa leggere dentro di sé ed è conscio di provare nei confronti di
Barbath qualche cosa che va molto oltre la stima e il rispetto, anche oltre
l’amicizia che li lega. Barbath lo attrae e desta in lui un desiderio
profondo. Feisal sa che Barbath non
è interessato ai maschi adulti e perciò non ha mai espresso i suoi
sentimenti. Forse non avrà più occasione per farlo: se il Circasso scenderà
verso Jabal al-Jadid, la fortezza di Qasr Rim sarà la prima a essere
attaccata e allora per tutta la guarnigione ci sarà solo la morte. Ma per
adesso la minaccia è lontana: il Circasso è ancora a Halel. I giorni passano, senza
novità, ma tutti sanno che è solo una tregua. Gli ufficiali continuano a
ritrovarsi negli alloggiamenti militari o a casa di Barbath. Di rado parlano
di Dakhir e del Circasso, ma il pensiero del pericolo che incombe non li
lascia. Una sera affrontano
nuovamente l’argomento, perché in giornata è arrivato da Ashraf uno dei
generi di Nidal, che vive a Damasco. L’allegria della serata si
spegne. Mahdi prende la mano di Qais. Mahdi è spaventato, non per sé, ma per
Qais. L’idea che Qais possa morire in battaglia lo angoscia, ma non può
tollerare il pensiero che il suo uomo possa cadere nelle mani del Circasso e
subire quello che è toccato a Nidal. Qais ha capito, come
sempre: Mahdi ha avuto molte occasioni di verificare quanto sensibile sia
Qais. Una sensibilità che nasce dalla sofferenza, come solo da poco Mahdi ha
scoperto. Qais gli sorride e gli dice, piano: - Non cadremo vivi nelle
sue mani, Mahdi. Ci daremo la morte, se occorre. Mahdi lo guarda. Le parole
gli vengono alle labbra e non riesce a frenarle: - Non voglio che tu muoia,
Qais. Qais scuote il capo. - Sarà quello che Allah
vorrà. Ma io ti sarò vicino, fino all’ultimo. Mahdi annuisce. Sì, quello
che conta è vivere e morire insieme. La morte non li separerà. Gli altri ufficiali non
dicono nulla. Hanno capito il rapporto che lega Qais e Mahdi e lo rispettano:
sanno che a unirli non è solo il desiderio, ma un amore profondo. Qais e Mahdi passano
insieme ogni momento libero e la notte, dopo essersi amati, dormono sempre
abbracciati nello stesso letto: ogni momento è prezioso, perché la morte
incombe su tutti loro. * Dakhir e il Circasso sono
appena tornati a Halel. Nel palazzo si prepara il grande banchetto che si
terrà in serata. Nella sala si è riunita la
famiglia. Kazbech si avvicina sorridendo a Farid e gli sussurra: - Oggi da me nel primo
pomeriggio. Ma adesso fingi che ti abbia deriso. Farid è felice
dell’invito, ma obbedisce all’ordine di Kazbech e con un movimento brusco si
allontana, scuro in volto, come se fosse stato offeso. Dakhir si è accorto di quanto
è successo e più tardi si rivolge a Kazbech: - Perché provochi Farid? - Perché è sciocco e
presuntuoso. Crede di essere quasi un guerriero, ma in battaglia si
cagherebbe addosso. E secondo me avrebbe paura perfino a dormire in tenda. - Ma non ti aveva detto
niente. Lo hai provocato tu. - Preferisci che gli
sorrida e gli faccia le moine, Dakhir? Dakhir scuote la testa.
Certamente non gli spiace che tra Kazbech e Farid non corra buon sangue, ma
gli sembra assurdo che il Circasso stuzzichi Farid, offendendolo. - Che cosa gli hai detto? - Niente di speciale, gli
ho solo chiesto se aveva trovato qualcuno che gli scaldasse il culo o se
faceva da sé con un pestello. Davvero non capisco perché se la sia presa. Dakhir ride, poi dice: - Sei feroce, Kazbech. Kazbech sorride. - Lo scopri solo ora,
Dakhir? Credevo che te ne fossi già accorto. - L’avevo sospettato. Dakhir ha voglia di
stringere Kazbech tra le braccia, ma non ora, non qui davanti ad altri.
Scuote la testa e mormora, pianissimo: - Questa sera lo scaldi a
me il culo, eh, Kazbech? - Puoi contarci, Dakhir.
Con me, non avrai mai bisogno di usare il pestello, tu. Dakhir ride di nuovo. Le
mani vanno al monile che porta al collo, due dita ne accarezzano la
superficie. Kazbech è suo, soltanto suo. Bilal rende conto del
governo della città a Dakhir. Anche questa volta Kazbech è presente, ma non
si limita a guardarlo: gli rivolge diverse domande, richiedendo chiarimenti e
spiegazioni. Bilal risponde, ma è irritato: non ritiene di dover giustificare
le sue scelte a Kazbech, ma solo a Dakhir. Kazbech chiede ancora: - E che provvedimenti hai
preso nei confronti dello sceicco di Sada? Sada è un piccolo centro
che si è sottomesso a Dakhir, ma il cui sceicco si è permesso di attaccare
una cittadina vicina, senza chiedere autorizzazione a Bilal. - Gli ho ingiunto di
ritirarsi immediatamente e lui ha obbedito. - Questo lo so. Ti ho
chiesto che provvedimenti hai preso. Rispondi alle mie domande, Bilal. Bilal ribatte, con un tono
chiaramente ostile: - Gli ho comunicato che al
ritorno dell’emiro avrebbe dovuto rispondere del suo comportamento. - Al ritorno dell’emiro…
Sembra che qui ognuno possa fare quello che cazzo vuole in assenza
dell’emiro. Bilal è sempre più irritato.
Sa benissimo che se avesse punito lo sceicco, Kazbech adesso lo accuserebbe
di aver preso un’iniziativa non necessaria, invece di attendere la decisione
di Dakhir. - Non volevo… Kazbech lo interrompe: - Non hai neanche mandato
un messaggero a chiedere come comportarti. Non eravamo mica in Egitto. Bilal non regge più. Si
rivolge a Dakhir: - Fratello, rispondo solo
a te di quello che ho fatto. Non c’era nessuna necessità di agire con
urgenza, lo sceicco si è ritirato quando gliel’ho intimato. Dakhir scuote la testa. Si
volge a Kazbech. - Vuoi chiedergli altro? - No, non è il caso. La
situazione è chiara. Dakhir guarda il fratello
e dice: - Puoi andare, Bilal. Fremendo di rabbia, Bilal
fa un cenno d’inchino ed esce. Kazbech osserva: - Non so se gli mancano i
coglioni o se invece è il cervello a fargli difetto. O magari tutti e due,
che ne dici, Dakhir? - Non mi sembra così
grave. - Ci vuole qualcuno che
abbia i coglioni per reggere i tuoi domini in tua assenza. Sono stati
conquistati con la forza e a ogni segno di debolezza i tuoi nemici
rialzeranno la testa. Dakhir annuisce. - Sì, Bilal ha sbagliato. - Mi chiedo… - Che cosa, Kazbech? - Se Bilal non l’ha fatto
per calcolo. Lasciamo che sia Dakhir a punire lo sceicco di Sada. Dakhir è
feroce, Bilal invece no. Meglio che governi Bilal. A Dakhir potrebbe
succedere qualche cosa… Dakhir aggrotta la fronte. - Tu pensi, Kazbech? Bilal
non mi sembra… - Non ti sembra? È tuo
fratello e hai fiducia in lui. Ma è una fiducia mal risposta. O è incapace o
trama contro di te. Guardati da lui. Bilal è fuori di sé dalla rabbia, ma non sa che cosa fare. Dakhir è l’emiro e ha piena fiducia in Kazbech. Come allontanare il Circasso da lui? Un’idea gli viene pensando
all’ostilità che ha notato tra Kazbech e Farid. Forse può contare sul nipote
per impedire che il Circasso diventi troppo potente. Deve parlargli. Quando, qualche ora dopo,
Bilal incrocia Farid, gli dice: - Farid, posso parlarti un
attimo? - Certo, zio. - Vieni in giardino.
Facciamo due passi. Nel giardino Bilal può
controllare che nessuno si avvicini e ascolti quello che si dicono. Farid
segue lo zio. Non sa di che cosa debba parlargli. I rapporti tra loro sono
corretti, ma non esiste nessuna intimità. - Farid, vedo che non hai
buoni rapporti con il Circasso. A Farid viene da ridere,
ma alza le spalle e si finge irritato, rimanendo nella parte. - Mi prende in giro, mi
tratta come un bambino. - L’ho notato. Per questo
ho deciso di parlarti. Senti, io non mi fido di Kazbech. - In che senso? - Secondo me non è un uomo
sincero. Dakhir è completamente succube, non si rende conto che il Circasso è
potente e di certo non si accontenterà di rimanere il comandante
dell’esercito. Per un momento Farid
rimane disorientato. - Tu dici? - Sì. Non è uomo da
accontentarsi di essere al servizio di un altro. Uno come Kazbech vuole il
potere per sé. Le sue truppe costituiscono il nerbo dell’esercito. Le truppe
di Halel controllate da stranieri! Pensi davvero che potremmo contare sulla
loro fedeltà? Farid non sa bene che cosa
pensare. E se ciò che dice Bilal fosse vero? - Non so… io… Bilal riprende: - Tuo padre ti ascolta.
Dovresti parlargli, cercare di farlo ragionare. Il Circasso è un guerriero
valoroso e spietato e di certo ha grandi ambizioni. Non so per chi stia
davvero conquistando queste terre. Non penso che lo faccia per Dakhir. Farid ritiene di saperlo,
anche se le parole di Bilal hanno suscitato qualche dubbio. In effetti
Kazbech non ha motivo per desiderare di rimanere al servizio di Dakhir. Ma
con Farid sarebbe diverso: Kazbech è il suo uomo, ciò che è di Farid, è anche
del Circasso, insieme governeranno la Siria. Farid decide che è meglio
parlarne con Kazbech. A Bilal si limita a dire: - Ne parlerò a mio padre.
Vedremo se si può fare qualche cosa. Ma ho molti dubbi: l’emiro decide sempre
di testa sua e sai che mio padre ha poco ascendente su di lui. Bilal annuisce. Sa anche
lui che le cose stanno così, ma l’importante è cercare di fare il vuoto intorno
a Kazbech, mettere in guardia chi è disponibile ad ascoltarlo: se Farid
riuscirà a convincere Hamdan, forse insieme potranno far capire a Dakhir che
il Circasso è un uomo pericoloso. Bilal è soddisfatto
dell’incontro: non lo sfiora nemmeno il sospetto che Farid possa riferire le
sue parole a Kazbech. Nel pomeriggio Farid
raggiunge la stanza di Kazbech, controllando che nessuno lo segua. Farid è
impaziente. Ha atteso il ritorno di Kazbech con ansia, in preda a un
desiderio feroce. E oggi finalmente ritrova il possente guerriero che è
ritornato ogni notte nei suoi sogni o nelle sue fantasie a occhi aperti. Farid bussa. Kazbech apre
la porta. È quasi nudo, indossa solo la fascia intorno ai fianchi. A Farid
sembra che il fiato gli manchi. - Spogliami, Farid. Farid annuisce. C’è poco
da togliere, solo la fascia. Farid si avvicina. Sente l’odore forte del corpo
del Circasso. Le sue mani si appoggiano sul tessuto, sfiorano la pelle, il
cui calore lo stordisce. Farid scioglie la fascia e le sue mani indugiano
accarezzando la pelle del ventre e del culo, mentre i suoi occhi fissano
l’arma, che ha già sollevato un po’ il capo. - In ginocchio. Farid pensa che Kazbech
voglia farselo succhiare. Non chiede di meglio. Si mette sulle ginocchia. - Adesso bevi, Farid. Farid guarda Kazbech senza
capire. Kazbech ride: - Apri la bocca e bevi, ti
piacerà. Kazbech mette una mano
dietro il collo di Farid e avvicina la testa del ragazzo al cazzo. Farid intuisce. Vorrebbe
ritrarsi: non ha mai bevuto il piscio di un uomo e prova una certa
repulsione. Ma l’idea lo incuriosisce e a Kazbech non vuole dire di no.
Kazbech è il suo uomo, il suo signore. Farid annuisce. Kazbech sorride e
incomincia a svuotare la vescica. Farid beve. Sente il gusto del piscio, un
po’ acido, lo avverte scorrergli in bocca e in gola. È una sensazione strana,
ma non spiacevole. Kazbech si interrompe due volte, per lasciarlo respirare,
poi riprende. Quando ha finito, Kazbech gli dice: - Adesso succhia, Farid. Farid incomincia a passare
la lingua e le labbra sulla cappella e il cazzo del Circasso acquista in
fretta volume e consistenza. Farid succhia avidamente, mentre le sue mani
stringono il culo di Kazbech. È bello sentire il gusto del cazzo del
Circasso, il suo calore, la sua durezza. Non c’è nulla di più gustoso. È
meraviglioso stringere tra le dita questo corpo forte. - Sui cuscini, Farid. Farid lascia a malincuore
la sua preda, ma Kazbech è il suo signore, a cui il suo corpo obbedisce
ciecamente. Farid guarda ancora il magnifico cazzo che tra poco entrerà
dentro di lui e si stende sui cuscini. Kazbech si appoggia su di lui e le sue
mani gli stringono con forza il culo, strappandogli un gemito. Poi Kazbech si
solleva un po’, sputa sull’apertura e con due dita sparge la saliva. Quando
ha finito, infila prima un dito e poi due. Farid geme. Kazbech si stende
nuovamente sul ragazzo. E finalmente Farid sente di nuovo la formidabile arma
del Circasso premere contro l’apertura e poi entrare, forte e grande e calda.
Farid mormora: - Sì! Kazbech incomincia a
spingere avanti e indietro e ogni spinta regala dolore e piacere. È un
martirio che porta direttamente in paradiso. Farid fluttua nel vuoto, in un
nulla in cui esiste solo Kazbech, il cazzo di Kazbech che gli scava le
viscere, le mani di Kazbech che lo stringono, la voce di Kazbech che mormora
oscenità. Il dolore diventa sempre più forte, ma anche il piacere cresce,
fino a diventare intollerabile. E infine Kazbech viene
dentro Farid e questi sente che il piacere prorompe, lasciandolo esausto e
appagato. Più tardi Kazbech lo
possiede una seconda volta, poi si rivestono. Prima di separarsi, Farid
riferisce a Kazbech quello che Bilal gli ha detto. Il Circasso rimane
pensieroso. - Che ne pensi, Kazbech? - Lui non si fida di me e
io non mi fido di lui. Non è leale e mal sopporta di essere il fratello
minore, senza speranza di ereditare il trono. Non è in grado di governare, ma
gli piacerebbe essere l’emiro. Kazbech scuote la testa,
poi conclude: - Fingi di assecondarlo, ma
guardati dalla sua ambizione, Farid. Tu sei uno degli ostacoli che si
frappongono tra lui e il dominio su Halel. Vuole servirsi di te perché sa che
gli impedirei di prendere il posto di tuo zio. Se sapesse la verità, sarebbe
capace di farti uccidere. Che non scopra il nostro legame: se ne servirebbe
per colpirci entrambi. Farid annuisce: è ben
contento di credere a ciò che gli dice il Circasso. Bacia Kazbech, che apre
la porta e controlla che non ci sia nessuno. Il corridoio è vuoto. Kazbech fa un cenno a
Farid, che esce dalla stanza, ma sta ancora chiudendo la porta quando dal
giardino entra un servitore, l’ebreo Yehonathan. L’uomo non nasconde il suo
stupore nel vedere Farid uscire dalla camera del Circasso. Si inchina e dice: - Buongiorno, mio signore. Farid fa un cenno di
saluto e si allontana, alquanto preoccupato: lo schiavo ebreo lo ha visto
uscire dalla camera di Kazbech. Lo andrà a raccontare? È probabile, magari
anche solo per fare due chiacchiere. Suo zio verrà a saperlo? Deve inventare
una scusa convincente per giustificare la sua presenza nella camera del
Circasso. Farid ha fatto pochi passi
quando sente Kazbech chiamare: - Yehonathan! Farid si volta. Il
servitore è davanti alla porta di Kazbech, che gli dice: - Devo darti un pugnale
che mi ha chiesto l’emiro. Vieni dentro. Yehonathan entra. Il mattino successivo le
urla di una delle serve svegliano coloro che ancora dormivano: la donna ha
trovato il corpo di Yehonathan nel giardino. La camera di Kazbech non è
lontana. Il Circasso arriva, con i soli pantaloni addosso: è stato destato
dalle urla. Poco dopo giunge anche Dakhir, che un servitore ha mandato a
chiamare. Kazbech è chino sul
cadavere. Alza la testa e dice a Dakhir: - È stato strangolato. Dakhir è incredulo. Un
delitto nel suo palazzo! - Ma come è possibile?!
Chi può aver osato… Kazbech dice: - Dobbiamo parlarne,
Dakhir. Dakhir vede che Kazbech
sembra pensieroso. Deve sapere qualche cosa. - Che sospetti hai? - Non qui. Ci sono diversi servitori.
Intanto è arrivato anche Bilal. Nessuno riesce a immaginare chi può aver
ucciso Yehonathan e perché. Dakhir dà alcuni ordini.
Il corpo viene portato al lavatore di cadaveri. Non c’è nessuna traccia che
permetta di risalire all’assassino. Bilal è molto perplesso su
quanto è avvenuto. Non si stupirebbe che il Circasso fosse implicato nella
faccenda: ormai è sicuro che Kazbech non arretrerebbe davanti a niente pur di
raggiungere i suoi obiettivi. Ma non sa a chi parlare dei suoi sospetti: di
certo non a Dakhir, che porta il Circasso in palmo di mano. E in ogni caso,
che cosa potrebbe dire Bilal? Non ha nessun elemento oggettivo in mano.
Potrebbe condividere i suoi sospetti con Farid, ma servirebbe a qualche cosa? Farid sa qual è la verità,
ma nella morte di Yehonathan legge una conferma dell’amore di Kazbech per
lui: il Circasso ha ucciso il servitore per proteggere lui, per evitare che
lo zio o Bilal lo facessero uccidere. Kazbech è disposto a tutto per amor suo
e solo Kazbech può difenderlo dai pericoli che lo minacciano. Più tardi, quando Dakhir e
Kazbech sono soli in una stanza del palazzo, il Circasso espone il suo
pensiero: - Dakhir, io non so chi
abbia ucciso Yehonathan, ma da quando hai conquistato Barqah e Marwan, mi
sembra che siano in molti a desiderare il titolo di emiro di Halel. E qualcuno
non si limita a desiderarlo. - Cosa dici… Mio fratello?
Hamdan? - Forse, ma… Dakhir, non
ho prove, ma ho l’impressione che Bilal sia stato molto contento di governare
Halel in tua assenza... e molto scontento di doverne rendere conto a te.
Avrebbe preferito non dover più rendere conto a nessuno. Bilal ha grandi
ambizioni e mi sembra che sia abile a tramare nell’ombra. Dakhir scuote la testa. - Non è possibile… Bilal…
è solo il figlio minore, l’erede è Hamdan. E poi ci sono i figli di Hamdan.
Bilal viene dopo di loro. - Sì, loro potrebbero
essere il primo bersaglio da colpire. Credo che Yehonathan si sia rifiutato
di fare qualche cosa… oppure che abbia sentito o visto ciò che non doveva. Dakhir è perplesso. - Fare qualche cosa? Che
cosa? - Che ne so… magari
uccidere qualcuno. - Era un vecchio, non
certo l’uomo a cui rivolgersi per far assassinare qualcuno. - Per mettere un po’ di
veleno in una coppa non occorre essere forti, un vecchio desta meno sospetti.
E ci sono veleni che non lasciano molte tracce. - Perché dici questo? Che
cosa sai? Kazbech alza le spalle. - Sono nato e vissuto a
corte e conosco gli intrighi. Tu sei un uomo schietto e non noti certi
piccoli dettagli, ma anche qui ci sono manovre sotterranee. - Bilal risponderà… Kazbech lo interrompe. - No, Dakhir, Bilal
negherebbe tutto e non ho nessuna prova. Non puoi condannarlo sulla base dei
miei sospetti. Ma ti consiglierei di portarlo con noi quando partiremo, tra
qualche settimana. Meglio tenerlo d’occhio ed essere sicuro che non possa
tramare qui mentre tu sei lontano. D’altronde ha dimostrato di non essere
all’altezza del compito che gli era stato affidato. - E a chi dovrei lasciare
Halel? - Ad Akram. Ha l’età per
farlo ed è bene che impari come si governa una città. Dakhir annuisce. - Sì, Akram ormai dovrebbe
essere in grado di reggere Halel in mia assenza. Farò come tu mi dici. Bilal non è contento di
scoprire che partirà con i fratelli. Ha governato la città cercando di
svolgere il suo compito nel migliore dei modi: perché viene esautorato e il
potere viene invece dato ad Akram, che è ancora molto giovane e non ha
nessuna esperienza? Bilal conosce benissimo la risposta a questa domanda: il
suggerimento è partito dal Circasso. Bilal non sa quale sia il
motivo della manovra di Kazbech: il Circasso gli è ostile, questo è evidente.
Ha indotto Dakhir a metterlo da parte solo per il piacere di privarlo di ogni
potere o ha qualche piano in mente? Vuole servirsi di Akram per raggiungere i
suoi obiettivi e per questo lo ha favorito? Ma quali sono gli obiettivi di
Kazbech? E che ruolo potrebbe svolgere Akram? In ogni caso Bilal non può
fare nulla e non gli rimane che rassegnarsi. Parla ancora con Farid e gli fa
notare che la manovra di Kazbech avvantaggia Akram a suo danno: Akram si
prepara a governare e ben difficilmente sarà disposto a farsi da parte il
giorno in cui Farid venisse designato come erede. Farid si dichiara
d’accordo, ma dice di non poter far cambiare idea allo zio. In realtà ormai Farid
diffida di Bilal: è convinto che a spingerlo ad accusare il Circasso siano
l’invidia nei confronti di Kazbech e l’ambizione. E in ogni caso se Akram
cercherà di mettersi tra lui e il trono, ci penserà Kazbech. Akram è felice di aver ottenuto
la reggenza di Halel e quando si presenta l’occasione si avvicina a Kazbech. - Volevo ringraziarti. Mio
zio mi ha detto che sei stato tu a consigliargli di affidarmi la reggenza
della città mentre sarete impegnati nella campagna. Kazbech sorride: - Sei un giovane
coraggioso, Akram. Il degno erede del grande Dakhir. Avrai modo di imparare a
governare una città e questo ti servirà il giorno in cui sarai tu l’emiro. Akram è contento delle
parole di Kazbech. Il Circasso è un uomo potente, che ha una grande influenza
su Dakhir. Forse grazie a lui Akram riuscirà a ottenere l’eredità che gli
spetta e che suo padre vorrebbe negargli a favore di Farid. Sicuro di godere della
fiducia del Circasso, Akram decide di accennare all’argomento, per sapere che
cosa ne pensa Kazbech: - Mio padre preferisce mio
fratello: non ha mai nascosto la sua predilezione. - Tu meriti il trono assai
più di lui, ma Farid è astuto e pericoloso. Guardati da lui, Akram. Fa’
attenzione. Akram è stupito dalle
parole del Circasso. - Pericoloso? Che cosa
intendi dire, Kazbech? A che cosa devo fare attenzione? - Non gli confidare i tuoi
progetti. Mostrati gentile nei suoi confronti, fingi di avere fiducia in lui,
ma fa’ attenzione. Tu sei il primogenito e Dakhir non ha certo per Farid la predilezione
che ha tuo padre. Farid ti vede come il fumo negli occhi e prima o poi…
potrebbe decidere di eliminarti. Akram sa che il fratello è
ambizioso, ma non ha mai pensato che potesse volerlo sopprimere. Queste cose
succedono in molte famiglie di signori, ma nella loro non si è mai verificato
nulla del genere. - Tu credi, Kazbech? - Ne sono sicuro. Tuo
padre non si opporrebbe: sai che preferisce Farid e dato che tu sei il figlio
maggiore, potrebbe temere che tu cercassi di conquistare il trono a forza. Akram è disorientato. È
vero che se suo padre designasse come erede Farid, Akram potrebbe cercare di
ottenere con la forza ciò che gli spetterebbe di diritto. Ma che suo padre
possa accettare che lui, il figlio maggiore, venga ucciso… L’idea gli sembra
terribile. Kazbech prosegue: - E poi… Kazbech si interrompe,
sembra esitare, come se volesse aggiungere qualche cosa, ma non fosse sicuro
dell’opportunità di dirla. - Che cosa c’è, Kazbech? - Akram, questa è solo
un’idea, tientela per te. Non mi stupirebbe che la morte di Yehonathan avesse
a che fare con gli intrighi qui a corte… Forse si è rifiutato di fare ciò che
gli è stato chiesto… O forse ha visto o sentito ciò che non avrebbe dovuto
sapere. - Yehonathan? Ma che cosa
avrebbe potuto fare? - Magari mettere qualche
goccia di veleno in una coppa, Akram. Nella tua coppa, ad esempio. Uno di
quei veleni che è difficile riconoscere, per cui un uomo si ammala e muore
come se Allah gli avesse mandato qualche malattia. Akram è rimasto senza
parole. Certo, chi ha strangolato il servitore ebreo aveva qualche motivo per
farlo. E allora… Il giorno seguente Kazbech parla con Hamdan. - E questa volta i tre fratelli saranno alla guida dell’esercito. - La guida dell’esercito sei tu. Dakhir è l’emiro. E noi contiamo
poco. - Tu sei l’erede di un dominio che cresce ogni giorno. - Ma che ogni giorno può essere perduto. - Non lo sarà, Hamdan: vinceremo. - Lo penso anch’io. Tu sei un comandante valoroso, ma man mano che il
dominio di Dakhir cresce, aumentano anche i nostri nemici. - Come sempre accade. Ma non è dei nemici esterni che dovete
preoccuparvi tu e Dakhir. C’è qualche cosa nel tono di Kazbech che spinge Hamdan a chiedere: - Ritieni che abbiamo dei nemici all’interno? - No… ma sai… l’emiro di Halel è ogni giorno più potente. Chi non
vorrebbe essere al posto di Dakhir? Hamdan non capisce. - E allora? - E allora… bisogna essere diffidenti. Fa’ attenzione, Hamdan. Il
servo ebreo, Yehonathan, non
deve essere stato assassinato per qualche rivalità di donne. Kazbech ride. In effetti
Yehonathan era un uomo anziano, di salute malferma e certo non avvenente. - Ma… ma… che cosa dici?
Non capisco. - Ci sono diversi uomini a cui non spiacerebbe che ti succedesse
qualche cosa. Tuo figlio Akram, per esempio, che si ritiene vittima di un’ingiustizia
perché tu preferisci Farid: se tu morissi prima di tuo fratello, non
rischierebbe di vedere un giorno Farid sul trono. O Bilal, che non a caso
Dakhir preferisce portare con sé e non lasciare a Halel. Hamdan china il capo, pensieroso. Poi lo rialza e guarda Kazbech. - Ti ringrazio per avermi avvertito, Kazbech. Kazbech sorride. - Sono solo impressioni, ma è sempre meglio stare in guardia. Un po’
di prudenza non ha mai fatto male a nessuno. * Ashraf ibn Samih,
emiro di Jabal al-Jadid, riceve il soldato che è appena arrivato e ha chiesto
di parlare immediatamente con lui. L’uomo si presenta: fa parte della
guarnigione di Qasr Rim, la fortezza al confine con il territorio di Shaqra,
dove l’ufficiale Feisal si è da poco insediato come comandante. - Emiro, lo sceicco di
Shaqra, Abdel Haqq, alla testa delle sue truppe, ha attaccato Qasr Rim. Ashraf è sbalordito: - Cosa? - Sì, ieri mattina, molto
presto, abbiamo visto in lontananza le truppe. Il comandante della guarnigione,
Feisal, mi ha ordinato di lasciare immediatamente Qasr Rim, ma di attendere
su un’altura per vedere se il forte sarebbe stato davvero attaccato. Le
truppe di Abdel Haqq hanno circondato la fortezza. I contrasti tra gli emiri
di Jabal al-Jadid e gli sceicchi di Shaqra per la valle del fiume Farah
risalgono a oltre un secolo: gli uni e gli altri rivendicano quest’area non
molto estesa, ma fertile, controllata dalla fortezza di Qasr Rim. Dal tempo
del padre di Ashraf sono gli emiri di Jabal al-Jadid a dominare sul
territorio. Adesso però Abdel Haqq ha deciso di conquistarlo. Ashraf fa chiamare
immediatamente Muhammad e Barbath. Il soldato ripete ciò che ha già detto
all’emiro. Ashraf commenta, furente: - È assurdo. Il Circasso
ci minaccia, Shaqra e Jabal al-Jadid saranno presto investite dall’esercito
di Dakhir. E Abdel Haqq ci attacca. Che senso ha lanciarsi in una guerra
proprio ora, che la minaccia del Circasso dovrebbe invece spingerci a unire
le nostre forze per cercare di resistere? Anche Muhammad non
nasconde la sua irritazione. - Quel maledetto
approfitta della situazione. Spera che noi non reagiamo, per timore del
Circasso. È un infame. Merita la morte. - Non reagire? Scherzi,
Muhammad? Lo annienteremo. Barbath è perplesso. Sa
che una guerra tra Jabal al-Jadid e Shaqra indebolirà entrambe le città,
rendendole facile preda dell’invasore, ma l’attacco di Abdel Haqq rende vano
ogni tentativo di accordo per fronteggiare il Circasso. Ashraf si rivolge
direttamente a lui: - Barbath, che cosa ne pensi? - Credo che Muhammad abbia
ragione: Abdel Haqq si illude che con la minaccia del Circasso tu sarai
riluttante a lanciarti in una guerra. Pensa che preferirai perdere la
fortezza, piuttosto che affrontare una battaglia che provocherebbe molti
morti e indebolirebbe l’esercito. - Rassegnarmi a perdere
Qasr Rim e la valle del Farah? No, non ne ho nessuna intenzione. Barbath si rivolge al
soldato: - Abdel Haqq si è mosso
con l’esercito o solo con alcune truppe? - Con l’intero esercito,
comandante. I soldati erano moltissimi. Barbath si rivolge
all’emiro: - Questo significa che è
pronto ad affrontarti. - E noi siamo pronti ad
affrontare lui. Pagherà la sua impudenza. Barbath si inchina e dice: - Allora è bene dare gli
ordini necessari perché l’esercito possa partire domani mattina. Dobbiamo
arrivare in tempo per impedire che la fortezza venga conquistata. Il castello non è lontano
da Jabal al-Jadid: in due giorni l’esercito potrà raggiungerlo. Mentre dà tutti gli ordini
necessari, Barbath riflette. Non è sicuro che quella dell’emiro sia la
decisione giusta. Una grande battaglia campale provocherà molti morti. Anche
se Ashraf ne uscirà vincitore, il suo esercito ne sarà indebolito. Ma
abbandonare la guarnigione di Qasr Rim sarebbe una viltà. Barbath pensa a Feisal.
Come sempre, il pensiero suscita in lui una serie di sensazioni confuse. E il
saperlo in pericolo lo sgomenta. Abdel Haqq ha intimato a
Feisal di arrendersi e consegnare la fortezza. Feisal ha dato l’unica
risposta possibile a un ufficiale: solo l’emiro può autorizzarlo a cedere
Qasr Rim. Abdel Haqq ha minacciato di uccidere Feisal e tutti i suoi uomini,
ma, come prevedeva, non ha ottenuto nessun risultato. Allora ha lanciato
l’attacco. La fortezza è ben munita e
ha bastioni formidabili: i difensori hanno buon gioco a impedire che Qasr Rim
venga espugnata. Ma Feisal sa che non potranno resistere molti giorni.
L’emiro manderà rinforzi? O lascerà che la fortezza venga espugnata? In
questo caso Feisal sa che l’attende la morte o la schiavitù, ma non ha importanza.
Certamente non verrà meno al suo dovere di difendere Qasr Rim. Qualche giorno dopo nel
pomeriggio i cavalieri di Jabal al-Jadid fanno la loro comparsa su una
collina. Il grosso delle truppe non deve essere lontano. Abdel Haqq fa ritirare i suoi
uomini: cercare di conquistare la fortezza ormai è inutile. È meglio disporsi
nella posizione migliore per affrontare la grande battaglia. Lo sceicco non
si aspettava la reazione di Ashraf: si illudeva che l’emiro preferisse
evitare una guerra che avrebbe indebolito il suo esercito proprio ora che la
minaccia del Circasso incombe su di loro. Ha fatto male i suoi calcoli, ma a
questo punto non può tornare indietro: ne va della sua reputazione. La notizia della guerra
scatenata da Abdel Haqq circola rapidamente per tutta la Siria, giungendo
fino a Halel. È Kazbech stesso a
riportarla a Dakhir: l’ha appena saputo dai suoi uomini. - Lo sceicco di Shaqra,
Abdel Haqq, ha attaccato Qasr Rim e Ashraf in persona si è messo alla guida
dell’esercito per affrontarlo. Kazbech ride. E prosegue: - Non potevamo sperare di
meglio. Lasciamo che si scannino tra di loro e completiamo i preparativi per
la partenza. - Pensi che sia opportuno
marciare direttamente su Shaqra? - No, attendiamo di vedere
come si conclude la guerra. Intanto bisogna dare una piccola lezione a questo
sceicco di Sada, che ti ha giurato obbedienza, ma tende a fare un po’ troppo
di testa sua. Dopo aver risolto la faccenda, marceremo su Shaqra. O su Jabal
al-Jadid: vedremo come si sarà conclusa la guerra in corso. Shaqra e Jabal
al-Jadid saranno tue. Jabal al-Jadid sarà una splendida capitale per il tuo
regno e un buon punto di partenza per conquistare l’intera Siria. È in una
posizione assai migliore di Halel. E tu non sei più l’emiro di Halel, sei il
signore della Siria settentrionale. Ciò che ha detto Kazbech è
vero: la guerra indebolirà i due rivali e Dakhir potrà approfittarne per
impadronirsi delle due città. * La battaglia infuria. Le
truppe di Ashraf affrontano quelle di Abdel Haqq. Sull’ala destra, dove a
guidarle è il comandante Barbath, esse stanno avendo la meglio e lo
schieramento avversario si sta sfaldando. Barbath è un guerriero
valoroso: non a caso i cristiani lo chiamano il Flagello. Appena tra i
combattenti si apre un varco, ne approfitta per slanciarsi là dove infuria
Issam al-Misri, il più temuto dei comandanti nemici, fratello dello sceicco
Abdel Haqq. Barbath sa che se riuscirà a ucciderlo, la sua morte seminerà il
panico nelle file nemiche e infonderà coraggio ai suoi uomini. Issam non è meno
coraggioso di Barbath e quando lo vede avanzare contro di lui, si dispone ad
affrontarlo senza dare segno di paura. Appena i due guerrieri sono uno di
fronte all’altro, si scatena una lotta violenta. I colpi sono vibrati con
forza: se raggiungessero il corpo del rivale, lo ucciderebbero. Ma entrambi i
guerrieri sono abili a parare quanto a colpire. Il duello dura a lungo. I
visi dei due comandanti, contratti nello sforzo, gocciolano di sudore. Ma infine Barbath riesce a
ferire al braccio destro Issam e, quando questi è costretto ad abbassare la
guardia, la spada di Barbath si immerge nel petto del nemico. Un grido strozzato segna
la fine del combattimento. L’urlo dei soldati di Issam accompagna la morte
del loro capo. Barbath si volge contro di loro, combattendo con ferocia.
Presto i primi incominciano a darsi alla fuga e l’ala sinistra dello
schieramento nemico si sfalda. Barbath e i suoi uomini li
incalzano, per non dare loro il tempo di serrare le file. Nella manovra si
allontanano dal campo, dove ancora infuria la battaglia. Tra i guerrieri in fuga,
uno volta il cavallo, forse vergognandosi del momento di smarrimento che lo
ha indotto a fuggire. A Barbath basta uno sguardo alle vesti e alle armi per
capire che si tratta di un nobile. Il nemico che ora affronta Barbath è
Mu’ezz ibn Abd Allah al-Misri, cugino dello sceicco e di Issam. Mu’ezz è un uomo
coraggioso, ma non è un grande guerriero come Barbath. Il loro scontro impari
dura poco: Mu’ezz alza la spada per colpire, ma Barbath para il colpo
facilmente, poi con un affondo immerge la spada nel ventre di Mu’ezz, che
urla. Barbath ritira la spada e Mu’ezz si accascia sul cavallo, scivolando a
terra. Qualcuno grida alle spalle
di Barbath: è un guerriero, molto giovane, che si scaglia contro di lui.
Vuole vendicare il suo comandante. Vedendo come si muove, Barbath si rende
conto che non è un avversario temibile. Gli spiace uccidere questo giovane
coraggioso e inesperto. Preferisce sbilanciarlo con una finta e,
approfittando del momento in cui il giovane cerca di recuperare l’equilibrio,
colpirlo con forza alla testa. Un colpo vibrato di piatto, in grado di
stordire il giovane, ma che lo lascerà in vita, senza ferite. Il ragazzo
emette appena un gemito quando la spada si abbatte contro la sua tempia e
cade privo di sensi. Intanto l’ala sinistra
dell’esercito di Ashraf, capeggiata dal figlio dell’emiro, Muhammad, è stata
costretta a ripiegare, ma dalla fortezza di Qasr Rim la guarnigione si lancia
all’assalto, sotto la guida di Feisal. I guerrieri di Shaqra non si
aspettavano questa manovra e si ritrovano tra due fuochi. Gli uomini guidati
da Muhammad contrattaccano e le truppe di Abdel Haqq vengono decimate. Barbath volge il cavallo verso
il campo di battaglia, da cui l’inseguimento del nemico in fuga lo ha un po’
allontanato. Il combattimento prosegue, ma lo sfaldamento dell’ala sinistra
ha messo in difficoltà le truppe nemiche e gli uomini dell’emiro di
Jabal al-Jadid stanno avendo la meglio ovunque. Barbath
sprona il cavallo verso il centro dello schieramento avversario, dove
combatte lo sceicco di Shaqra: la cattura o la morte di Abdel Haqq
assicurerebbe la vittoria alle truppe dell’emiro. Qais e Mahdi, che hanno
combattuto al suo fianco, lo seguono. Gli
uomini dello sceicco oppongono una resistenza feroce: sono disposti a morire
per difendere il loro signore. Non è facile per Barbath e per i suoi uomini
farsi strada, ma uno dopo l’altro i guerrieri nemici cadono. Infine Barbath
attacca Abdel Haqq e gli intima di arrendersi. Lo sceicco rifiuta e Barbath
ingaggia un combattimento: Abdel Haqq sa di avere di fronte un avversario
formidabile, ma non vuole cedere e ammettere la sconfitta in questa guerra
che ha scatenato contando su una facile vittoria. Lo
sceicco si trova presto in difficoltà. I suoi uomini cercano di portargli
aiuto, ma Qais e Mahdi con i loro soldati li tengono a distanza. Abdel Haqq
sa che non riuscirà a resistere a lungo. E infatti un colpo violento di
Barbath gli fa scivolare di mano l’arma. Lo sceicco è costretto ad
arrendersi. La battaglia è conclusa. I soldati nemici fuggono o
vengono fatti prigionieri. Qualcuno, che ancora si ostina a combattere, trova
la morte. Ashraf ibn Samih, emiro di
Jabal al-Jadid, si congratula con il suo comandante. È quasi sera quando
Barbath, dopo aver controllato che i suoi uomini non abbiano bisogno di lui,
ritorna verso il luogo dove ha abbattuto Mu’ezz. Avendo ucciso l’ufficiale
nemico, gli spettano le proprietà del morto, ma a Barbath poco interessano. A
spingerlo verso la collina dove si è svolto il duello è un altro motivo:
vuole vedere che cosa è successo al giovane che ha atterrato. I soldati
spogliano i morti, prendendo i loro abiti. Se il giovane non si è risvegliato
o se qualcuno dei suoi non lo ha portato in salvo, può succedere che i
soldati, trovandolo ancora vivo, lo uccidano. E non ci sono solo i soldati.
Ci sono anche banditi di ogni specie. * L’anello non viene via. La
mano è chiusa ed è difficile sfilare il gioiello. Il Corvo non intende certo
rinunciare a un anello d’oro. Estrae il pugnale e con un colpo secco recide
il dito. Poi prende l’anello e lo infila nella bisaccia che porta a tracolla.
Infine incomincia a spogliare il guerriero. Il morto è un uomo alto e muscoloso,
doveva essere molto forte, ma la forza non gli è servita: la spada che lo ha
colpito lo ha trapassato da parte a parte. Sicuramente il colpo è stato
vibrato da un uomo non meno forte. Un guerriero come questo
di certo era un cavaliere. Da qualche parte ci deve essere il suo cavallo. Il
Corvo si china e sfila gli indumenti dell’uomo: anche se la tunica è
macchiata di sangue e tagliata là dove è entrata la spada, è di grande
valore. L’uomo completa il lavoro, sfilando tutti i capi di vestiario. Mette
gli abiti in una bisaccia, le armi nell’altra. Nella piccola bisaccia che
porta a tracolla mette soltanto gli oggetti di valore. Se arrivassero i
soldati e fosse costretto a fuggire, lasciando il cavallo, salverebbe la
parte più consistente del bottino. Il Corvo guarda il
cadavere del guerriero. Era davvero un maschio imponente, con un ampio torace
ricoperto da un velo di peluria scura, un sesso vigoroso e due coglioni
robusti. Con la punta del piede il Corvo giocherella con le palle del morto. - Il tuo cazzo non ti
servirà più, né io me ne faccio niente. Il Corvo ride. Poi si
guarda intorno. È soddisfatto, ha mietuto una messe abbondante: nei campi ai
margini del bosco i soldati non sono ancora arrivati e lui si è potuto
muovere indisturbato. I morti non sono molti, ma più che sufficienti per
rifornirlo di diversi beni, e questo guerriero, con i suoi gioielli e le sue
armi, era un vero tesoro. Ora farebbe meglio ad
andare. Si sta facendo tardi e probabilmente qualche pattuglia arriverà anche
lì. Sarebbe un peccato perdere il frutto del lavoro. Gli piacerebbe però
trovare il cavallo di questo guerriero. Deve valere una fortuna e la sella
altrettanto. Magari c’è anche… Non è un cavallo, laggiù, tra gli alberi? Il Corvo monta in sella e
rapidamente si dirige al torrente. Sì, vicino al torrente c’è un cavallo. Uno
splendido cavallo nero. E la sella è di grande valore, si capisce al primo
sguardo. Il Corvo scende rapidamente. Si avvicina all’animale, che nitrisce,
ma non si allontana. L’uomo prende le redini e le lega alla propria sella: il
cavallo non può più sfuggirgli. In quel momento lo vede.
Un altro morto, seminascosto tra gli alberi. Il Corvo si guarda intorno. No,
i soldati non ci sono ancora. Fa in tempo a spogliare anche questo, prima di
allontanarsi. Si china sul cadavere e
incomincia a togliergli gli abiti, con gesti rapidi: il Corvo sa benissimo di
non avere più molto tempo. Il soldato emette un
gemito. È vivo? Sì, è vivo, respira ancora. Non per molto: meglio ucciderlo.
Il Corvo preferisce sempre non lasciare testimoni del suo passaggio. Ma il
giovane – deve avere meno di vent’anni – è ancora incosciente. Il Corvo
finisce di spogliarlo. È bello, questo ragazzo, ha un corpo armonioso e
snello. Il Corvo lo volta sulla pancia. - Hai un bellissimo culo,
ragazzo. Il Corvo stringe le
natiche con le mani e le allarga, scoprendo l’apertura segreta. Il desiderio
si desta in lui, violento. - Credo che prima di
spedirti al Creatore, ti farò assaggiare il mio cazzo. Il Corvo ride. Si bagna
l’indice della destra con la saliva e lo infila in culo al soldato, fino in
fondo. Il giovane geme di nuovo. Ora. Il Corvo ha sollevato
la tunica. Il cazzo è già duro. - Adesso togliamo il dito
e mettiamo un bel cazzo. Un signor cazzo. E poi ti taglio la gola… - Che cosa fai? Il Corvo sussulta. Gli
sembra che una mano gelata gli stringa il cuore. Sopra di lui, sul suo
cavallo, incombe un guerriero, la spada sguainata. Se non fosse stato
distratto dal soldato, lo avrebbe sentito arrivare, avrebbe fatto in tempo a
nascondersi, a scappare. * Barbath sa benissimo chi è
l’uomo che ha di fronte: uno di quei fottuti sciacalli che spogliano i
cadaveri, una maledetta genia che Barbath disprezza dal profondo dell’animo.
Questo figlio di puttana voleva inculare il giovane e poi ucciderlo. Il movimento della spada è
rapidissimo. La testa del Corvo rotola a terra prima che l’uomo abbia il
tempo di capire che la sua vita è arrivata alla fine. Barbath scende da cavallo.
Ignora il cadavere decapitato e si china sul giovane. È vivo, respira. Barbath
lo volta. Non ha altre ferite, solo la piattonata che gli ha dato. È bello il ragazzo,
davvero bello: un viso dai tratti regolari e dalla carnagione scura; le
labbra carnose, incorniciate dalla prima peluria che spunta e schiuse a
mostrare i denti bianchissimi; le folte sopracciglia nere, che tracciano due
spesse linee sopra gli occhi chiusi, ornati da lunghe ciglia. Un viso fatto
per il piacere. E anche il corpo… Barbath lo volta nuovamente sulla pancia. Lo ha vinto e quindi è il
suo schiavo. Ne può fare quello che vuole. E sa benissimo quello che vuole. Non ora. Ora bisogna
portarlo all’accampamento, farlo vedere dal medico. E mentre lo pensa,
Barbath guarda il culo del ragazzo, ancora glabro, armonioso e snello. Il
desiderio preme, impetuoso: la battaglia eccita sempre Barbath e la vista di
questo bel culo non può che aumentare la sua eccitazione. Barbath si guarda
intorno, mentre la sua mano che scorre sulle natiche del giovane gli
trasmette un brivido di piacere. Non vorrebbe che lo vedessero scopare tra
gli alberi, anche se il giovane soldato è suo prigioniero e ha tutto il
diritto di farlo. Ma non c’è nessuno, il posto è riparato e questo ragazzo ha
un culo così bello. Barbath non si spoglia. Si
limita ad abbassare i pantaloni e sollevare un po’ la tunica. Sputa sul culo
del ragazzo e inumidisce l’apertura, poi si bagna la cappella e immerge il
cazzo dentro il culo che gli si offre. Il piacere dell’ingresso è violento.
Il ragazzo geme di nuovo, ma il colpo deve averlo intontito, non è ancora cosciente.
Barbath controlla ancora che non ci sia nessuno, poi incomincia a fottere il
giovane. Barbath muove il culo
avanti e indietro, assaporando le sensazioni intensissime che gli trasmette
il cazzo che affonda nella carne e poi si ritira. Sempre controllando che non
arrivi qualche soldato, procede nella sua cavalcata. È un buon cavaliere,
Barbath, e non si stanca facilmente. A lungo spinge il suo sperone, facendolo
affondare nella carne, e poi lo ritrae, finché la tensione che si accumula
dentro di lui si scioglie e il seme prorompe in un getto impetuoso. L’onda del piacere lo
squassa. È stato bellissimo. Barbath si rialza e si
rassetta. Dando un’occhiata in giro, vede i due cavalli legati. Carica il
giovane su uno dei due, poi ci ripensa: è incosciente, potrebbe scivolare a
terra. Lo mette sul proprio cavallo. Guarda il cadavere del Corvo. Dalla
bisaccia che portava a tracolla è scivolato fuori un anello. Barbath si china, sfila la
bisaccia e la apre per osservarne in contenuto. Di certo i gioielli provengono
dal cavaliere che lui ha ucciso. Barbath raccoglie anche l’anello e si mette
la bisaccia al collo, poi sale anche lui sul suo stallone. Attacca le redini degli
altri due cavalli alla propria sella e si dirige verso l’accampamento. Con
una mano tiene le briglie, con l’altra accarezza il culo del giovane. Ma
mentre lo fa, davanti ai suoi occhi appare l’immagine di Feisal. Barbath
sprona il cavallo. * Latif apre gli occhi. La
testa gli duole. Di ciò che è successo ha un ricordo confuso. Ha visto un guerriero
uccidere il nobile Mu’ezz e lo ha affrontato. Poi non ricorda altro. Latif guarda il medico che
gli sta fasciando il capo. Questi si accorge che ha aperto gli occhi e gli
chiede: - Mi senti, ragazzo? - Dove sono? - Nell’accampamento dell’esercito
di Ashraf ibn Samih,
emiro di Jabal al-Jadid. Sei in una delle tende del comandante Barbath ibn
Yusif, che Allah lo protegga. - Sono suo prigioniero? - Sì, sarai suo schiavo.
Hai avuto due volte fortuna, oggi, ragazzo: sei sfuggito alla morte e sei
stato catturato da un uomo valoroso e generoso. Latif non risponde. Cerca
di ricollegare i ricordi. - È lui… è lui quello che
ha ucciso Mu’ezz ibn Abd Allah? Mufeed alza le spalle. - Oggi il comandante
Barbath ibn Yusif ha ucciso moltissimi nemici, coprendosi di gloria, e ha
catturato lo sceicco Abdel Haqq. Non c’è guerriero più coraggioso di lui.
Egli è davvero il braccio destro dell’emiro, che Iddio lo protegga. Non so
chi sia l’uomo di cui tu mi parli. - Era… Latif volta il capo di
lato e due lacrime gli colano sul viso. Che cosa potrebbe dire?
Che era il suo signore, che lo amava? Che era stato lui a guidarlo alla
scoperta del piacere? Il medico si è accorto
delle lacrime e rispetta il dolore di Latif. Solo dopo un momento, gli
chiede: - Come ti chiami? - Latif ibn Otman. - Latif, tu non sei un
guerriero, vero? - No, ho voluto seguire il
mio signore in guerra. - Eri al suo servizio? Latif annuisce, senza dire
nulla. Non vuole raccontare a quest’uomo che il nobile Mu’ezz era il suo
padrone e il suo amante. - Il comandante Barbath
ibn Yusif sarà contento di averti al suo servizio. Apprezza molto i giovani. Mufeed pensa che Barbath
ibn Yusif sarà contento di avere a disposizione il culo di Latif. Ma questo
non lo dice. Il ragazzo avrà modo di scoprirlo. E probabilmente non gli
spiacerà, anche se gli farà male: dicono che Barbath sia un formidabile toro
da monta, bravo nelle battaglie in campo aperto come in quelle del letto.
Mufeed sa che lo hanno soprannominato Tre-coglioni, perché Iddio lo ha dotato
di un terzo testicolo: qualcuno non ci crede, pensa che sia solo una leggenda
alimentata da Barbath stesso per esaltare la propria virilità. Ma Mufeed, in
quanto suo medico, ha avuto modo di vedere che è la verità. Latif riposa tutta la
notte. Il mattino dopo il dolore alla testa è passato. Il medico toglie la
fasciatura per controllare l’escoriazione: nulla di grave. Poi fa avvisare
Barbath ibn Yusif che il giovane può considerarsi guarito. Barbath non passa
a vederlo: stanno smontando l’accampamento e il comandante ha ben altro da
fare. Nei due giorni successivi,
in cui l’esercito ritorna a Jabal al-Jadid, Latif ha modo di vedere Barbath
diverse volte, ma mai di avvicinarglisi. Latif non è l’unico prigioniero di
Barbath, ma gli altri sono guerrieri, con cui il giovane ha poco in comune,
per cui rimane in disparte. Giungono a Jabal al-Jadid
verso sera. Latif guarda le strade e i palazzi, non diversi da quelli di Shaqra.
Pensa che forse non rivedrà mai più quella che era diventata la sua città. È
schiavo di uno straniero. Nel pomeriggio del giorno
seguente, Latif viene convocato da Barbath. Il comandante è seduto sui
cuscini. È un uomo molto forte, con un viso maschio, dai lineamenti duri. Latif rimane in piedi
davanti a lui. - Mufeed mi ha detto che
eri al servizio di un nobile di Shaqra. - Sì. - Un uomo che cavalcava un
purosangue nero? Latif annuisce. Vorrebbe
chiedere a Barbath se è stato lui a ucciderlo, ma non è necessario. Le parole
del suo nuovo padrone confermano i suoi sospetti: - Che Iddio lo accolga
presso di sé. Tu sei scampato alla morte e ti terrò al mio servizio. - Come voi volete, mio
signore. Latif non potrebbe dire
altro: Barbath è il suo padrone. Barbath guarda il ragazzo.
Sorride. - Tornerai da me questa
sera, Latif. Latif capisce benissimo il
senso della frase. China la testa. - Come voi volete, mio
signore. Latif sa di non avere
nessuna scelta. L’idea di essere posseduto da quest’uomo forte e fiero non
gli dispiacerebbe, se Barbath non avesse ucciso il nobile Mu’ezz ibn Abd
Allah. Sarà l’assassino del suo precedente padrone, dell’uomo che Latif
amava, a prenderlo. Latif si sente sgomento. Barbath congeda Latif con
un cenno del capo. A Latif non viene
assegnato nessun compito da svolgere. Ha una camera in cui rimane seduto, immerso
nei suoi pensieri. Verso sera arriva un
servitore, un uomo sui quaranta, basso e tarchiato. - Vieni con me, ragazzo. L’uomo accompagna Latif al
bagno. Latif entra nella vasca. - Lavati bene, ché devi
presentarti al comandante. Latif sente un brivido
corrergli lungo la schiena e smette di lavarsi. - Che hai, ragazzo? Latif guarda l’uomo e
scuote la testa. Riprende a lavarsi. - Niente. L’uomo si guarda intorno,
ghigna e dice, sottovoce: - Hai paura che
Tre-coglioni ti faccia male? Latif non capisce. Guarda
il servitore senza dire nulla: - Il grande Barbath ibn
Yusif ha tre coglioni ed è il miglior stallone di tutta la Siria. Ma non devi
aver paura: ci sa fare, con i ragazzi. È la prima volta? Latif scuote la testa,
imbarazzato. - E allora, di che ti
preoccupi? Latif non avrebbe voglia
di raccontare a quest’uomo ciò che lo rode, ma d’improvviso prova un
fortissimo bisogno di sfogarsi. Non saprebbe con chi farlo, in questa casa in
cui non conosce nessuno, in una città che non ha mai visto e in cui comunque
non potrebbe circolare liberamente. - È lui, il comandante,
intendo, è lui che ha ucciso il mio signore. - Che ti faceva gustare
anche il suo cazzo, vero? Latif abbassa il capo. Si
pente di essersi confidato con quest’uomo. - Non ci pensare, ragazzo.
È normale: il maschio più forte elimina i rivali e si prende ciò che vuole, è
così con i lupi e i leoni e anche con i signori. Ti ha conquistato con le
armi. E questa sera sentirai la sua arma. L’uomo ride e gli passa
una mano tra i capelli. Latif si sottrae a questa carezza che lo
infastidisce. Il servitore non dice più nulla. Quando Latif è pronto, lo
accompagna dal comandante. Barbath guarda Latif e
sorride: - La più bella preda che abbia
mai guadagnato in battaglia. Latif non dice nulla.
Vorrebbe che Barbath non gli parlasse, che lo prendesse senza dire nulla. - Vieni qui. Latif si avvicina. Barbath
gli passa le mani sotto la tunica e la solleva, sfilandola, poi gli cala i
pantaloni: Latif è nudo di fronte al suo nuovo signore. Barbath si spoglia, con
pochi movimenti rapidi. Ora è anche lui nudo e contro il ventre si rizza,
magnifica in tutta la sua potenza, una mazza inquietante per lunghezza e
volume. Al di sotto, lo scroto lascia vedere il suo triplice contenuto. Latif guarda, ammaliato e
incuriosito, suo malgrado. Barbath ride. - Sono tre e questa sera
ti prenderò tre volte. Latif rabbrividisce.
Barbath sorride: - Ma non temere, non ti
farò male. Barbath mette le mani sui
fianchi di Latif e lo fa sedere davanti a lui. Gli fa mettere le gambe oltre
le proprie, in modo che i loro corpi si tocchino. E poi bacia Latif sulla
bocca, lo stringe a sé e lo accarezza. Le sue mani scorrono sulla pelle del
giovane, stringono il culo, risalgono lungo la schiena, solleticano la nuca,
scompigliano i capelli. Il ragazzo freme di piacere. Vorrebbe che il suo
corpo non lo tradisse così, che non si abbandonasse al suo nuovo padrone
senza resistenza, ma la sua mente non riesce a controllare il desiderio che
si impossessa di lui: troppo forte è il piacere che gli trasmettono le mani
di Barbath. Barbath bacia Latif più volte, la sua lingua si introduce nella
bocca del ragazzo e si ritrae, più volte. Poi Barbath si sputa sulle dita,
che scorrono sul solco fino all’apertura. Tre volte Barbath ripete il gesto,
inumidendo bene il buco e introducendo dentro prima un dito, poi due. Barbath si solleva e si
mette in ginocchio, poi le sue mani passano sotto le natiche di Latif e
sollevano, apparentemente senza sforzo, il ragazzo. Una mano rimane sotto il
culo, l’altra sostiene la schiena di Latif, mentre contro l’apertura preme
con forza la grande mazza del comandante. Lentamente Barbath abbassa la mano che
tiene sotto il culo di Latif, portando il ragazzo a impalarsi sul suo cazzo,
poi con l’altra mano guida Latif ad appoggiare la schiena sui cuscini. Quando
Latif è steso, Barbath si mette le sue gambe sulle spalle e poi, sorridendogli
incomincia a muovere i fianchi avanti e indietro, spingendo ogni volta il
cazzo più a fondo e ritraendosi. Latif geme, mentre ondate di piacere salgono
dal suo culo. È bello essere posseduto da Barbath, sentire le sue mani che
percorrono il corpo, il torace e il ventre, i fianchi e le gambe. È bello
sentire il palo di carne che senza pietà lo trafigge. Barbath spinge con forza,
mentre accarezza Latif. Il ragazzo non è certo vergine, ma a Barbath questo
non importa. Gli piace vederlo ansimare, in preda a un piacere che lo squassa
e infine si proietta fuori, sul ventre e sul petto glabro. Con una mano
Barbath sparge il seme sulla pelle del ragazzo, poi porta le dita alla bocca
di Latif, che le morde. La cavalcata dura ancora a
lungo, finché Barbath viene, inondando le viscere di Latif del proprio seme. Poi Barbath si stende sui
cuscini e guida Latif a sdraiarsi su di lui. Ancora lo bacia e lo accarezza,
gli stringe il culo con forza. A Latif piace rimanere disteso su Barbath,
sentire il calore di questo corpo possente, il suo odore di maschio.
Rimangono un buon momento così, ma il desiderio nuovamente si accende e
Barbath guida la testa di Latif fino al proprio cazzo, che rialza il capo.
Latif guarda la cappella di un rosso scuro. Per un momento esita, fissandola
affascinato, poi la prende in bocca. Incomincia a succhiare e a leccare,
mentre Barbath gli accarezza il capo. A lungo Latif lavora con le labbra e la
lingua, mentre le mani di Barbath scivolano tra i suoi capelli, sfiorano il
viso, il collo, la schiena, forti e delicate. E infine Latif sente in bocca
il fiotto. Giacciono ancora
abbracciati ed è bello rimanere così, tra le braccia di questo maschio
vigoroso. Presto Latif sente il desiderio riaccendersi. Prova vergogna, ma
anche in Barbath il contatto rinnova la fiamma e per la terza volta l’arma si
tende. Barbath accarezza ancora il ragazzo, poi lo guida a stendersi sulla
pancia e si mette su di lui. Gli divarica le gambe e lo penetra, con
dolcezza: non c’è nessun dolore in questa penetrazione, solo piacere. Poi
incomincia il movimento intenso che squassa Latif. Questa volta vengono tutti
e due insieme e Latif urla il suo piacere. Ormai sazi, si alzano e si
lavano. Ora Latif si vergogna. Vorrebbe non aver goduto due volte, vorrebbe
avere almeno trattenuto l’urlo di piacere. Mu’ezz ibn Abd Allah è stato
ucciso pochi giorni fa e Latif ha goduto tra le braccia del suo assassino! Ma
Barbath non è un assassino. Ha combattuto lealmente. Come ha detto il
servitore, ha conquistato la sua preda. E Latif, sgomento, si
rende conto che è felice di essere la preda di Barbath. Per tre notti Barbath
manda a chiamare Latif. Barbath è molto contento
del suo nuovo schiavo e il suo corpo gode intensamente ogni notte. Dopo
l’amore, Barbath congeda Latif: non dorme mai con i ragazzi con cui ha
scopato. La terza notte, prima di addormentarsi, pensa che non gli
spiacerebbe dormire stringendo un corpo. Ma l’immagine che gli appare non è
quella di Latif. Il pensiero lo turba. In queste serate con Latif, non ha
pensato mai a Feisal. Eppure ora che il ragazzo se n’è andato, il pensiero di
Barbath va all’ufficiale che è il suo braccio destro e ora comanda la
guarnigione di Qasr Rim. A palazzo Ashraf discute sul
da farsi con il figlio maggiore Muhammad e il fratello Omar, in presenza di
Barbath. Omar vuole che si marci su
Shaqra: - La città non ha più un
esercito in grado di difenderla. L’attaccheremo e la conquisteremo. Ashraf annuisce: - Sì, credo che sia la
cosa migliore. Così tu regnerai su Shaqra e ci sarà infine pace tra le due
città. Anche Muhammad è
entusiasta dell’idea: - Mi sembra un’ottima
cosa. La finiremo una volte per tutte con la vecchia contesa per il
territorio intorno a Qasr Rim. Solo Barbath è molto
perplesso: i signori di Shaqra regnano da lungo tempo sul territorio e la
popolazione mal accetterebbe un cambiamento di dinastia. Omar ibn Sabih si
troverebbe a doversi appoggiare a uomini sulla cui lealtà non potrebbe
contare. Adesso che incombe la minaccia del Circasso, non è saggio attaccare
Shaqra. Sarebbe preferibile chiedere un riscatto per lo sceicco. Barbath vorrebbe esprimere
i suoi dubbi, ma l’emiro non ha chiesto il suo parere. Se Barbath dicesse
ugualmente ciò che pensa, Ashraf lo ascolterebbe, come fa sempre, ma non cambierebbe
idea, visto che anche il fratello e il figlio concordano con lui. A
malincuore Barbath sceglie di tacere. Tre giorni dopo l’arrivo
in città, l’esercito riparte nuovamente: questa volta le truppe di Ashraf ibn
Samih, emiro di Jabal al-Jadid, marciano direttamente su Shaqra. Ashraf manda un messaggero
a intimare la resa della città, promettendo che non ci saranno saccheggi, ma solo
un cambiamento di signore. Le truppe non sono lontano
da Shaqra, quando i messaggeri ritornano indietro: il nipote dello sceicco li
ha respinti e ha comunicato che si rifiuta di consegnare la città. È una follia, non sono
rimasti abbastanza guerrieri a Shaqra per difenderla da un esercito nemico.
Eppure il giovane Khuzaymah, figlio di Issam al-Misri, non vuole cedere:
spera di riuscire a respingere le truppe dell’emiro. Ha anche mandato un
messaggero a Nur ad-Din, signore di tutta la Siria, chiedendo il suo aiuto: da
Nur ad-Din dipendono tutti i diversi capi locali, come l’emiro di Jabal al-Jadid
e lo sceicco di Shaqra. Ma Nur ad-Din non si occupa delle lotte interne,
finché ogni città versa il suo tributo: è difficile che decida di intervenire
senza qualche motivo e certamente non lo farà ora, quando tutta la Siria
settentrionale è sotto la minaccia del Circasso. L’emiro Ashraf dovrà
conquistare la città, ma l’impresa non sembra difficile: troppo grande è la
sproporzione di forze perché Shaqra possa opporre una valida resistenza. Sotto la guida di Khuzaymah,
la città si prepara ad un’inutile difesa. Molti degli abitanti vorrebbero
aprire le porte al nemico e lasciarlo entrare senza cercare di ostacolarlo:
sanno che l’emiro autorizzerà il saccheggio per punire gli abitanti della
loro resistenza. Ma Khuzaymah non intende cedere. Ashraf ha portato con sé
lo sceicco catturato e minaccia di ucciderlo se la città non gli aprirà le
porte. A Khuzaymah ibn Issam ben poco importa della vita dello zio: finché
Abdel Haqq sarà vivo, le sue pretese al trono saranno prive di fondamento.
Meglio che lo zio venga ucciso. La netta superiorità
numerica delle proprie truppe induce Ashraf a cercare di espugnare la città
con un assalto: in questo modo non sarà necessario un lungo assedio. I
carpentieri hanno portato con sé tutto l’occorrente e in pochi giorni di lavoro
febbrile preparano diverse macchine da guerra, che potranno danneggiare le
mura e facilitare così l’impresa. Quando il lavoro è stato
completato, le macchine vengono azionate: mangani e trabucchi scagliano ininterrottamente
proiettili, concentrando i loro colpi in alcuni tratti delle mura. Invano i
difensori cercano di riparare i danni: nuovi massi si abbattono su di loro,
uccidendo gli operai al lavoro e distruggendo altri tratti delle
fortificazioni. Anche la torre di fianco alla porta settentrionale crolla. Dopo due giorni di
martellamento delle mura, i danni sono tali da rendere difficile ogni difesa.
Ashraf intima ancora una volta a Khuzaymah di arrendersi e di fronte al nuovo
rifiuto dà ordine di sferrare l’attacco. Barbath divide le truppe
in quattro contingenti: conta di attaccare in punti diversi, in modo che i
pochi difensori siano costretti a dividersi. Qais, Mahdi e un terzo ufficiale
guideranno i loro soldati all’attacco delle mura in tre tratti in cui la
cinta è stata danneggiata. Barbath si lancerà con i suoi uomini all’assalto
delle rovine della torre vicino alla porta settentrionale. Muhammad ibn Ashraf
insiste per combattere a fianco del comandante, anche se Barbath gli
consiglia di attendere a distanza di sicurezza con il padre: il momento
dell’attacco è molto pericoloso e l’erede dell’emiro non dovrebbe rischiare
la vita come un qualsiasi soldato. Non è una battaglia in campo aperto, in
cui ci si misura con gli avversari: è una mischia confusa, in cui la morte
mena la falce a casaccio. Ma Muhammad è coraggioso e
ardente e non vuole rimanere inattivo mentre le truppe combattono. Lo scontro è breve: le
truppe di Ashraf riescono a salire sulle scale che hanno appoggiato alle mura
e ai detriti. Barbath, Muhammad e alcuni altri uomini raggiungono il cammino
di ronda e costringono i difensori ad arretrare. La battaglia è ormai
vinta. Ma una freccia scagliata da un arciere di Shaqra raggiunge al collo
Muhammad. Il giovane non riesce neppure a gridare: si accascia, mentre dal collo
il sangue sgorga copioso. Invano Barbath, che combatte vicino a lui, lo
prende tra le braccia. Non può che assistere impotente alla sua brevissima
agonia: nulla ormai può salvare l’erede dell’emiro. Intanto sempre nuovi
soldati salgono sulle mura e i pochi difensori ancora vivi sono costretti ad
arrendersi. Anche Khuzaymah viene catturato. Le porte della città
vengono aperte, ma gli uomini che si presentano ad Ashraf non sono lieti in
volto. Si inchinano a lui e gli comunicano che Allah ha chiamato a sé il
giovane Muhammad. Ashraf è incredulo. Sa
bene che in una battaglia la morte è sempre in agguato, ma gli sembra
impossibile che suo figlio abbia perso la vita: lo scontro che ha permesso la
conquista della città è durato pochissimo. E mentre ancora Ashraf
rifiuta di credere a ciò che gli è stato detto, vede Barbath venirgli
incontro, con il corpo tra le braccia. Ashraf scende da cavallo e
si avvicina. Barbath depone il corpo a terra e recita una preghiera. Ashraf
lo guarda, inebetito dal dolore. Mormora: - Avresti dovuto pregare
tu per me, il giorno della mia morte, Muhammad, ma sono io a dover recitare
le preghiere funebri per te. Ashraf si inginocchia e
ripete le parole di Barbath, incapace di formularne altre. Quando si solleva,
guarda ancora il corpo di Muhammad, poi alza gli occhi sulla città e grida: - Pagherai, Shaqra,
pagherete tutti. Per voi sarebbe stato meglio se fosse stato il Circasso a
sconfiggervi. Di questa città non resterà pietra su pietra. Omar è di fianco al
fratello. Non dice nulla, perché sa che in questo momento sarebbe del tutto
inutile. Ma l’idea che Shaqra venga distrutta lo sgomenta: Ashraf gliel’ha
promessa. Su che cosa regnerà Omar? Su un ammasso di rovine? La popolazione è scesa in
strada per acclamare il vincitore, ma quello che entra dalla porta d’Oriente
è un corteo funebre. Gli uomini chinano il capo e le grida di gioia cedono il
posto alle preghiere per i morti. Ashraf prende possesso del
palazzo dello sceicco, ma poco gli importa di aver conquistato Shaqra: ciò
che poche ore fa gli appariva la realizzazione di uno splendido sogno, ora ha
perso ogni valore. Ashraf affida il corpo di
Muhammad al lavatore di cadaveri, ma assiste alla cerimonia, insieme a
Barbath e Omar. Il corpo viene posato su un tavolo, con la testa in direzione
della Mecca. L’uomo copre i genitali con una pezza di tessuto, poi ripulisce
il cadavere con cura, servendosi di una stoffa. Deterge il sangue e il
sudore. Terminata la pulizia, l’uomo esegue i tre lavaggi del corpo: una
prima volta con acqua mista a bacche, una seconda con acqua mista a canfora e
infine con acqua pura. Ogni volta incomincia dal capo, poi scende al collo,
pulisce il lato destro e infine quello sinistro. Barbath accompagna la
cerimonia recitando versi del Corano. Spetterebbe ad Ashraf farlo, ma l’emiro
è come pietrificato. Dopo il lavaggio l’uomo
asciuga con cura il cadavere, lo profuma spargendo la canfora e lo avvolge in
tre teli bianchi. Infine lo depone su una panca e lo copre con un panno. Ashraf barcolla. Barbath
lo sostiene, ma l’emiro si riscuote e lo allontana con forza. Grida, come se
gli abitanti di Shaqra fossero davanti a lui: - Tutti, vi farò uccidere
tutti. Di Shaqra non rimarrà un solo uomo. Le fiamme, le fiamme! Un unico
rogo per questa città maledetta. Ashraf crolla a terra,
singhiozzando. Barbath si avvicina, lo aiuta ad alzarsi e lo accompagna fino
alla sala del trono. Lentamente Ashraf si
calma. Muhammad viene sepolto nel
cimitero di Shaqra. Quando la cerimonia si conclude, è ormai sera. Nella sala
delle udienze, Ashraf comunica le sue decisioni. - Tutti i maschi adulti
verranno decapitati e la città sarà data alle fiamme. Omar interviene: - Fratello, distruggere
Shaqra non ridarà la vita a Muhammad e indebolirà la nostra posizione. Non
dimenticare che il Circasso arriverà presto. - Troverà solo rovine.
Vedrà che sappiamo essere spietati come lui. - Ashraf, tu sei l’emiro e
a te spetta decidere, ma sarebbe più saggio se Shaqra non venisse rasa al
suolo e potesse opporsi alla minaccia che incombe su tutti noi. Ashraf vuole vendetta, ma
si rende conto che Omar ha ragione. Dopo una breve discussione, in cui anche
Barbath interviene a favore di Omar, cede: - E va bene. Shaqra non
sarà distrutta, ma i difensori saranno passati tutti a fil di spada e
Khuzaymah sarà giustiziato in un modo che servirà di esempio a tutti. Prenderò
con me cento giovani di Shaqra, che rimarranno come ostaggi a Jabal al-Jadid. Omar non si oppone, perché
non intende irritare il fratello, ma l’esecuzione di tutti i soldati priverà
Shaqra degli uomini in grado di combattere, lasciandola senza difese di
fronte al Circasso. Gli spiace anche per gli ostaggi, perché sono un
impoverimento di risorse per la città, ma essi costituiranno una buona
garanzia contro eventuali ribellioni. La decisione di Ashraf, riferita
da alcuni degli ufficiali, semina lo sgomento tra i difensori e tra tutta la
popolazione. Barbath non ha detto
nulla. Preferisce lasciar passare un po’ di tempo. Ma il mattino seguente,
quando Ashraf si appresta a dare gli ordini necessari per far giustiziare i soldati
che hanno combattuto, il comandante intercede per loro: - Emiro, il tuo dolore è quello
di tutti noi. Muhammad era per me un fratello e tu lo sai. Ma fare uccidere
tutti i difensori indebolirebbe la città. L’esercito del Circasso non tarderà
a giungere: come potrà tuo fratello difendere la città? Vuoi che si offra
inerme ai nemici? Ashraf guarda Barbath. La
rabbia del giorno prima ha lasciato il posto a una cupa disperazione. Il
dolore lo spingerebbe a mantenere la sua decisione, ma ciò che dice il
comandante è vero. Barbath prosegue: - Che Khuzaymah paghi per
tutti. Risparmia coloro che potranno difendere Shaqra da Dakhir. Ashraf cede. - E va bene, Barbath. Ma tutti
dovranno assistere all’esecuzione di Khuzaymah. La notizia che i difensori
non verranno uccisi è accolta con immenso sollievo dalla popolazione e tutti
si profondono in lodi nei confronti di Barbath. Quanto a Khuzaymah, è stato
lui stesso a provocare la propria rovina. Nessuno lo compatisce. Ashraf stabilisce i
dettagli dell’esecuzione, che dovrà costituire un monito per tutti. - La fine di quell’infame
dovrà essere ricordata a lungo. Omar annuisce e dice al
fratello: - Qui a Shaqra vive un
giovanissimo artista, che tutti considerano il più abile pittore vivente,
Waahid ibn Munthir. Potremmo far ritrarre a lui l’esecuzione di quel
maledetto. Rimarrà come ricordo di questa conquista. Ashraf annuisce. - Ho sentito parlare di
lui. Mi sembra una buona idea. Ashraf riflette un
momento, poi aggiunge: - Lo porterò con me come
ostaggio a Jabal al-Jadid. Omar si pente di aver
parlato, ma ormai è tardi. Contava di prendere il giovane Waahid ibn Munthir
al proprio servizio: ne conosce da tempo la bravura e in passato era anche
riuscito a procurarsi due sue splendide miniature. Poi i franchi lo hanno
sconfitto, impadronendosi di Qasr Basir, e le miniature sono state prese come
parte del bottino. Il giovane artista viene
prelevato dalla casa paterna e portato a corte. Gli viene spiegato che cosa
dovrà fare. Waahid eseguirà il compito assegnatogli: non ha nessuna scelta.
Non ha mai dipinto un’esecuzione, ma per alcuni libri miniati ha
rappresentato battaglie, battute di caccia e cerimonie: è in grado di
dipingere scene in cui ci sono molti personaggi. Qualcuno gli dice che
l’emiro Ashraf intende portarlo con sé a Jabal al-Jadid. La notizia angoscia
Waahid: non ha mai lasciato Shaqra e ora sarà portato come schiavo in una
città che non ha mai visto, dove non conosce nessuno? Waahid ha le lacrime
agli occhi, ma sa di non avere nessuna possibilità di scelta. Si dispone a
svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi. Il giorno dopo una folla
immensa si accalca davanti alla porta orientale della città. Qui avverrà
l’esecuzione di Khuzaymah e l’emiro ha ordinato che tutti i cittadini maschi
assistano. Nessuno certo osa disobbedire. Contro le mura è stato innalzato un
palco e poco lontano un altro più piccolo, su cui siede Waahid, con i suoi
arnesi di lavoro. Khuzaymah viene fatto
salire sul palco principale, mentre la folla inveisce contro di lui: se
avesse vinto, sarebbe stato esaltato come il salvatore della città; ma
essendo stato sconfitto, è solo colui che ha portato Shaqra alla rovina,
provocando la morte di molti soldati e la schiavitù di tanti giovani. Il carnefice e i suoi
aiutanti spogliano Khuzaymah, che rimane completamente nudo, esposto al
ludibrio della folla. Non mostra paura, anche se sa che lo aspetta una morte
orrenda. Rimane in piedi sul palco, la testa ben alta, quasi a sfidare i suo
carnefici. Barbath non può fare a meno di ammirare il coraggio di quest’uomo,
anche se lo disprezza per la sua slealtà. Khuzaymah è un maschio vigoroso,
con spalle larghe, un ampio torace, braccia e gambe nerborute, un cazzo
maestoso. Una peluria fitta, di un castano scuro, ricopre tutto il corpo. Khuzaymah viene legato a
una croce, che viene poi issata, in modo che il condannato rimanga a testa in
giù, e bloccata sul palco. La folla grida contro di lui. Se potessero, gli
sputerebbero addosso o gli lancerebbero qualche oggetto, ma devono tenersi a
distanza, oltre una schiera di soldati armati di lance. Gli arcieri si preparano a
scagliare le frecce: Khuzaymah morirà trafitto. Gli arcieri non tireranno
tutti insieme, ma uno per volta, perché l’agonia sia più lunga e lo
spettacolo più piacevole per l’emiro e il fratello, che assistono. La prima freccia colpisce
Khuzaymah al braccio destro. Una smorfia di dolore appare sul viso dell’uomo,
mentre la folla gli urla il suo odio. La seconda freccia lo prende a una
spalla e la terza si infila nel legno senza toccare la carne. Quando la
quarta freccia trafigge il cazzo di Khuzaymah, per poi penetrare nel ventre,
la folla prorompe in un urlo di gioia selvaggia, che copre il grido del
condannato. Altre frecce colpiscono l’uomo alle gambe, alle braccia, al
torace, al ventre, ai coglioni, ma nessuna sembra mortale. A ogni freccia
Khuzaymah sussulta. Infine un dardo trafigge il cuore e, dopo un ultimo
guizzo, il corpo rimane immobile. Allora, a un segnale del
capo degli arcieri, tutti gli uomini tirano insieme, per cinque volte di
seguito, finché il cadavere di Khuzaymah è irto di frecce. Il corpo verrà lasciato
attaccato alla croce, a marcire sotto il sole. Il giovane pittore, Waahid
ibn Munthir, è preso da conati di vomito. Due soldati lo aiutano a pulirsi il
viso e gli portano da bere, poi lo riaccompagnano a casa, dove Waahid
incomincerà a dipingere la scena a cui ha assistito e di cui ha preparato un
bozzetto. In serata l’emiro convoca
Barbath. - Barbath, Abdel Haqq non
può rimanere vivo. Ci può essere un solo sceicco a Shaqra ed è mio fratello. Barbath assente con un
cenno del capo. Shaqra è nelle mani dell’emiro, ma in effetti finché Abdel
Haqq rimane in vita, qualcuno potrebbe cercare di liberarlo o di organizzare
una rivolta in suo nome. Ashraf prosegue: - Diremo che si è
impiccato, per la vergogna della sconfitta. - Sì, mio signore. Barbath non capisce perché
l’emiro abbia deciso di affidare questo compito a lui: è più un lavoro da
boia. Ma le parole successive sciolgono il dubbio: - Barbath, quel maledetto…
mio figlio è morto per colpa sua… Barbath, fottilo. Fottilo, prima di
impiccarlo. Fallo soffrire. - Sarà fatto, mio signore. A Barbath non piace il
compito assegnato. È un guerriero, non un carnefice, e, anche se uccidere gli
trasmette sensazioni forti, farlo a sangue freddo gli ripugna. E quanto a
fottere, per quanto di certo Barbath non si tiri indietro, preferisce i
giovani. C’è un unico uomo che lo attrae davvero ed è Feisal. Ma le decisioni
dell’emiro non si discutono e i suoi ordini si eseguono. Abdel Haqq è nella stanza
che gli è stata assegnata. All’ingresso ci sono due guardie. Barbath si fa
accompagnare da due uomini fidati, di quelli sul cui silenzio sa di poter
contare: potrebbe aver ragione dello sceicco da solo, senza fatica, ma non
vuole che rimangano tracce troppo evidenti della violenza. Il lavatore di
cadaveri non deve sospettare ciò che è avvenuto. Barbath congeda le due
guardie e poi entra. Abdel Haqq si alza. Non sa che cosa l’aspetta, ma
diffida di quest’uomo possente, che lo ha sconfitto e ha ucciso suo fratello.
Lo sceicco sa che prima o poi lo elimineranno e sospetta che sia giunta la
sua ora. Le due guardie bloccano Abdel
Haqq e lo forzano ad appoggiarsi sui cuscini. Barbath gli solleva la veste,
poi gli abbassa i pantaloni. Lo sceicco intuisce e cerca di divincolarsi, ma
gli uomini lo tengono ben fermo. Lo sceicco sente la pressione del cazzo di
Barbath contro il suo culo e poi l’ingresso, tanto violento da provocare un
dolore lancinante che gli annebbia la vista. Abdel Haqq grida, ma uno
degli uomini gli tappa la bocca con uno straccio. Poi lo imbavaglia. Barbath
incomincia a fottere. Di solito procede con cautela, per dare il tempo di
abituarsi alla sua poderosa mazza, ma ora intende umiliare e far male il più
possibile: questo è ciò che vuole l’emiro e Barbath è un soldato obbediente. Il cazzo lacera la carne e
ogni volta che Barbath lo estrae, un po’ di sangue cola. Lo straccio soffoca
le grida disperate di Abdel Haqq, che ha le lacrime agli occhi. Il suo
martirio sembra durare all’infinito: Barbath spinge con violenza, esce,
rientra, si muove avanti e indietro e dalle viscere dilaniate il dolore sale.
Allo sceicco sembra che Barbath lo stia trapassando con uno spiedo
arroventato. Infine Barbath viene, con
un’ultima serie di spinte violente. Allora estrae il cazzo, prende la cintura
di Abdel Haqq e prepara un nodo scorsoio. I due uomini rialzano lo
sceicco e gli sistemano le vesti. Intontito dal dolore, l’uomo non oppone
resistenza. Solo quando Barbath lo solleva e uno degli uomini fissa la
cintura, Abdel Haqq cerca di divincolarsi. Barbath gli toglie il bavaglio con
la sinistra e poi lo lascia penzolare. Lo sceicco incomincia a
scalciare, ma Barbath gli afferra i coglioni e stringe, tirando con forza
verso il basso. Abdel Haqq si dibatte, disperatamente. Barbath rimane
indifferente ai calci che lo raggiungono. Quando infine lascia la presa, lo
sceicco rimane immobile, il viso congestionato, la lingua che sporge tra i
denti, un po’ di bava che cola sul mento. Barbath raggiunge l’emiro. - Emiro, colui che era
stato sceicco di Shaqra ha messo fine ai suoi giorni, impiccandosi. L’emiro annuisce. Poi
ordina a uno dei suoi servitori: - Portate il corpo dal
lavatore di cadaveri e fatelo seppellire. L’emiro è soddisfatto.
Come sempre Barbath ha eseguito sollecitamente i suoi ordini. Si merita un
premio. Potrebbe fargli fare un ritratto da quel giovane miniaturista. No, può
fare di meglio. A Barbath piacciono i ragazzi. - Ascolta, Barbath. Il
giovane miniaturista, quello a cui abbiamo fatto ritrarre l’esecuzione di Khuzaymah,
sarà uno degli ostaggi che porteremo a Jabal al-Jadid. È un bel ragazzo. Te
lo dono. Mi farò ritrarre da lui e di certo anche altri nobili vorranno che
li dipinga, ma esso è tuo. Barbath si inchina: - Grazie, mio signore. È
un dono prezioso. Waahid è davvero un dono
prezioso: coloro che, seguendo l’esempio dell’emiro, vorranno farsi ritrarre
dal miniaturista, dovranno pagare il compenso a Barbath, perché Waahid è una
sua proprietà. E il ragazzo ha un bel viso, in cui spiccano i grandi occhi
verdi. Barbath è contento di averlo al suo servizio. Le truppe che hanno
conquistato Shaqra stanno per ritornare. A Jabal al-Jadid fervono i
preparativi per un’accoglienza trionfale all’emiro vittorioso e al suo
esercito, ma non ci saranno festeggiamenti: la città è in lutto per la morte
del figlio maggiore di Ashraf ibn Samih. Anche Barbath sarà di
ritorno con il resto delle truppe. Se ne parla nella residenza del
comandante, che ha mandato un messaggero con alcune istruzioni. Latif aiuta
gli altri servitori nei lavori di pulizia. Aspetta con ansia il ritorno del
suo padrone. Spera di riprendere i giochi delle tre notti che ha trascorso
con Barbath. Uno schiavo gli dice: - Il padrone ha portato
con sé un giovane schiavo da Shaqra. L’uomo ride. Non aggiunge
altro, ma guarda Latif in modo malizioso. Latif non sa che cosa dire. China
la testa e prosegue nel suo lavoro, mentre lo schiavo aggiunge: - Ma non farai fatica a
trovare qualcun altro che apprezzi il tuo bel culetto. Lo schiavo ride. Di certo
lui sarebbe ben contento di prendere il posto del padrone accanto a Latif. Latif rimane in silenzio,
ma nella sua testa corrono mille pensieri. Barbath non lo chiamerà più? L’idea
di non essere più posseduto da Barbath lo angoscia. Quando Barbath lo ha
preso, gli è sembrato di tradire il suo signore, Mu’ezz ibn Abd Allah. Allora
avrebbe voluto evitare di essere preso da colui che aveva ucciso il suo
padrone e amante. Ma le tre notti in cui Barbath lo ha posseduto sono state
un delirio crescente di desiderio e piacere. Latif sa che quell’uomo
possente, per quanto non sia bello, lo attrae. Ne ammira la forza e vuole
sentirne ancora la stretta, vuole essere posseduto. L’esercito entra in città
nel primo pomeriggio, ma Barbath è trattenuto dall’emiro. Il nuovo schiavo viene
accompagnato a casa da alcuni uomini della guardia personale di Barbath.
Latif fa in modo di vederlo. Lo riconosce subito: è Waahid ibn Munthir, a Shaqra
tutti lo conoscevano. È il migliore pittore della Siria, per quanto non debba
avere neanche vent’anni. Ha anche ritratto il nobile Mu’ezz, un anno fa.
Latif si dice che con ogni probabilità anche questo ragazzo è stato l’amante
di Mu’ezz. E ora anche lui sarà posseduto da Barbath. Waahid prenderà il suo
posto? Barbath non lo chiamerà più? Latif sa di essere più bello di Waahid,
ma anche il giovane pittore è attraente e di certo il padrone ama cambiare,
come tutti i maschi. Latif si rende conto di essere geloso di Waahid. Il comandante arriva nella
propria residenza solo in serata. Latif non ha modo di vederlo fino a notte,
quando un servitore gli comunica di lavarsi, perché il comandante lo vuole.
Latif si rende conto che il suo cuore ha accelerato i battiti: Barbath non si
è dimenticato di lui. Latif viene accompagnato
nel bagno padronale, dove Barbath è seduto su alcuni cuscini. Il comandante
lo saluta e in quel momento un altro servitore fa entrare Waahid. - Ecco qui il mio nuovo
acquisto. Latif e Waahid, non so se vi conoscevate a Shaqra, ma adesso siete
tutti e due al mio servizio. E questa sera ci divertiremo insieme. Latif non si aspettava la
presenza di Waahid. Crede di aver capito quali sono le intenzioni di Barbath,
ma aspetta che il padrone dica che cosa vuole. - Adesso ci facciamo un
bel bagno, tutti e tre. Il bagno è già pronto e
Barbath si spoglia rapidamente e si immerge. Poi si rivolge ai due ragazzi: - Voi due, muovetevi. Latif si spoglia, mentre
osserva il corpo potente del suo padrone. Anche Waahid obbedisce, più
incerto. Entrano in acqua e si lavano. Poi Barbath esce dall’ampia vasca e
dice - Dai, Latif, qui davanti,
in ginocchio. Tu, Waahid, passa dietro, anche tu in ginocchio. Datevi da fare. Latif si inginocchia
davanti a Barbath. Guarda affascinato l’arma poderosa, che già si drizza, poi
ne prende in bocca la punta. Incomincia a passare la lingua, accarezzando,
poi incomincia a succhiare. Waahid si è messo dietro,
ma non sa che cosa fare. - Muoviti, Waahid. Lecca,
mordi. Ma non ti hanno insegnato niente? Barbath ride. Waahid incomincia a
mordicchiare una natica, poi l’altra. Non è male, è una sensazione nuova.
Continua a mordere, con forza sempre maggiore, finché si becca uno
scappellotto da Barbath, che gli dice. - Piantala, cannibale!
Passa la lingua in mezzo, dai. Waahid obbedisce. Anche
questa è una sensazione mai provata. In altre condizioni, gli farebbe senso,
ma si sono appena lavati e Waahid deve riconoscere che è bello, è proprio bello. Intanto Latif si sta dando
da fare, con sempre maggiore zelo. Ormai il cazzo di Barbath è rigido come
una lama e ha raggiunto il suo massimo volume. - Adesso Waahid ti stendi
sulla schiena, lì, sui cuscini. Waahid obbedisce. Barbath
si inginocchia davanti a lui, si appoggia le gambe del ragazzo sulle spalle e
con cautela avvicina il corpo del ragazzo a sé, infilzandolo. Waahid geme
quando la mazza poderosa entra dentro di lui. Latif è rimasto
disoccupato, ma il padrone non si è dimenticato di lui. - Latif, vieni qui.
Stenditi. Latif si mette di fianco a
Waahid. Guarda affascinato la scena che si sta svolgendo. È la prima volta
che assiste a un rapporto. - Lavora un po’ con la
bocca. E mentre lo dice Barbath
indica l’uccello di Waahid. Poi una mano scivola sul culo di Latif, pizzica,
stringe, giocherella, un dito scivola fino all’apertura e la forza. Waahid è frastornato. Da
quando Mu’ezz si è stufato di lui e lo schiavo Raoul è stato affrancato, non
ha più avuto rapporti. Il cazzo di Barbath che scava dentro di lui è una
presenza dolorosa, ma magnifica. E la bocca di Latif intorno al proprio
uccello è una meraviglia. Waahid sente il piacere
che sale, troppo forte per essere contenuto ancora. Grida e viene. Latif
lascia la preda e guarda affascinato il seme che sgorga. E intanto Barbath
imprime un ritmo più deciso alle sue spinte e viene dentro Waahid. Si riposano un momento,
mangiando alcune ciambelle e bevendo, poi Barbath ordina ai due ragazzi di
scambiarsi le posizioni e il gioco riprende. Dopo ci sono ancora
carezze, baci, abbracci. Infine Barbath si stende sui cuscini e fa mettere i
due ragazzi di lato. - Su leccate per bene. Ognuno dei due usa la
lingua, una sul lato destro del cazzo, l’altro sul lato sinistro. Poi i due
diventano più arditi e usano la bocca, scendendo fino ai tre coglioni e
risalendo alla cappella, finché Barbath non viene per la terza volta. Un servitore accompagna
Latif e Waahid nelle loro camere: essendo al servizio particolare di Barbath,
hanno tutti e due una stanza propria, più ampia quella di Waahid, più piccola
quella di Latif. Waahid si sente solo. È la
prima notte che trascorre in questa casa dove di fatto sarà uno schiavo del
padrone. Si rivolge a Latif: - Latif, vuoi entrare da
me? - Sì, certo. Waahid e Latif entrano e
si siedono sui cuscini. - Dimmi, Latif, è da molto
che sei al servizio del comandante Barbath? Latif scuote la testa. - Sono stato catturato
nella battaglia in cui il nostro esercito è stato battuto. - E Barbath ti ha preso
con sé? - Sì, è lui che ha ucciso
il mio signore. Tu lo conoscevi, gli hai fatto un ritratto, era il nobile
Mu’ezz ibn Abd Allah. Sul viso di Waahid passa
un’ombra. È trascorso un anno, ma il ricordo fa ancora male. Waahid fissa
Latif. - Eri… eri… Waahid si vergogna della
domanda che stava per porre. Non aggiunge più nulla, ma Latif ha capito. - Sì. Lo sei stato anche
tu, vero? Waahid annuisce. Poi dice: - Sì, ma per poco tempo. - Mu’ezz ibn Abd Allah
amava cambiare spesso. So bene che se fosse vissuto, si sarebbe stufato di
me. Ma io… - Lo amavi? Latif annuisce. - Non è stato facile
accettare di essere lo schiavo dell’uomo che lo ha ucciso. Waahid fa un cenno di
assenso. Latif aggiunge: - Eppure… Si interrompe. Non sa come
spiegare. Cerca le parole: - È un tale maschio… Ci
sono dei momenti in cui mi sembra di essere una puttana, ma lo desidero. Latif alza le spalle. Poi
chiede: - Com’è stato per te? Waahid è confuso, non sa
nemmeno lui che cosa dire. - Non so, pochi giorni fa
ero libero, vivevo con mio padre, e ora… - Barbath è un buon
padrone. Non devi preoccuparti. Ma Waahid ha le lacrime
agli occhi. Allora Latif lo abbraccia. Waahid gli dice: - Dormi con me, Latif. Non
voglio dormire da solo questa notte. - Volentieri. I due ragazzi si spogliano
e si stendono uno a fianco dell’altro. Si abbracciano e scivolano presto nel
sonno. Barbath è sazio, ma come
ormai succede ogni sera, prima di addormentarsi il pensiero va a Feisal.
Barbath sa di desiderarlo. Non ha mai scopato con un uomo, non sa come
sarebbe. Ma non può negare che vorrebbe provare con Feisal. I ragazzi non gli
bastano più. Come ha detto Feisal, servono per il piacere, ma non possono
essere compagni di strada. Il mattino seguente Latif
si sveglia con la testa appoggiata sul petto di Waahid. Come spesso gli
succede al risveglio, ha un’erezione e anche l’uccello di Waahid non è del
tutto a riposo. Latif sorride. Si solleva e con delicatezza fa scorrere la
mano sul torace di Latif e poi sul ventre. Waahid socchiude gli occhi. Lo
guarda, un po’ assonnato, e gli dice: - Che cosa fai? Latif ride e dice: - Secondo te? - Non so, ma non smettere,
così magari lo capisco. Latif continua ad
accarezzare il corpo di Waahid. Le sue mani scorrono parallele, risalendo
verso i capezzoli, che stringono, poi scivolano sul viso. Waahid allunga un
braccio, passa una mano dietro la nuca di Latif e lo attira a sé. Le loro
bocche si incontrano e si uniscono in un bacio, prima esitante, poi più
sfacciato: la lingua di Latif si spinge tra i denti di Waahid e quando si
ritira, è quella di Waahid a infilarsi nella bocca dell’amico. Ormai la tensione è forte
in entrambi. Latif si stende su Waahid e ancora si baciano, mentre i loro
corpi aderiscono. Poi Latif si sposta, in modo che la sua bocca si trovi
all’altezza dell’uccello di Waahid. Latif guarda il bel bocconcino, poi lo
afferra con i denti e lo inghiotte. Waahid geme e ruota, in modo da poter a
sua volta gustare l’uccello di Latif. Intanto un servitore va a
cercare Latif, ma non lo trova nella camera. L’uomo si chiede che fine abbia
fatto il giovane schiavo: che sia scappato non è possibile. È un rumore che sente
provenire dalla stanza di Waahid a metterlo in sospetto. L’uomo spinge la
porta e vede sul giaciglio i due giovani schiavi: ognuno dei due sta
succhiando l’uccello dell’altro e sono tutti e due tanto impegnati in questa
attività, da non rendersi conto di avere uno spettatore. Il servitore corre dal suo
padrone. Non sa come la prenderà, ma è suo dovere riferirgli ciò che ha
visto. - Padrone, i due nuovi
schiavi, Waahid e Latif… - Sì, che cosa c’è? Dimmi. - …sono nella camera di
Waahid, insieme. Stanno… Barbath ha capito. Ride e
si alza. Raggiunge la camera di Waahid e guarda dalla porta. Latif e Waahid sono sempre
stesi sul giaciglio, uno con i piedi verso la porta, l’altro in direzione
opposta. Ognuno dei due ha in bocca l’uccello dell’altro e si sta dando da
fare. Barbath guarda la scena.
Sorride. Non gli spiace che i due ragazzi si divertano tra di loro. - Non li disturbare,
Hussein. Lascia che facciano quello che vogliono. Sì, Waahid e Latif possono
fare ciò che vogliono. Hanno la stessa età, si possono amare, ognuno trova
nell’altro uno specchio. Forse potranno camminare insieme, se riusciranno a
sfuggire alla minaccia che incombe su tutti loro. Nei giorni seguenti la
vita a Jabal al-Jadid scorre apparentemente tranquilla, ma molti si chiedono
se il Circasso deciderà di attaccare Shaqra e la stessa Jabal al-Jadid, ora
che la guerra ha indebolito entrambe le città. Quando giunge la notizia
che l’esercito di Dakhir si è mosso e si è accampato sotto Sada, una
cittadina che dipende da Halel, alcuni pensano che per il momento la minaccia
sia scongiurata. Barbath non si fa illusioni: Sada è solo un piccolo problema
interno; la città capitolerà in fretta e l’esercito che ora l’assedia si dirigerà
verso Shaqra e poi su Jabal al-Jadid. Pochi giorni dopo le
notizie confermano che Dakhir sta marciando su Shaqra: le truppe si sono
mosse in fretta, molto più rapidamente di quanto ci si potesse aspettare, e
ormai sono nei pressi della città. Ashraf è preoccupato. - Temo che mio fratello
non sia in grado di difendere Shaqra, non ha abbastanza uomini. Che ne pensi,
Barbath? - No, di sicuro Shaqra non
può resistere al Circasso. Non ha abbastanza soldati e le mura sono
danneggiate. Non c’è stato il tempo per ripararle. Ashraf annuisce. Barbath
chiede: - Che cosa conti di fare,
emiro? - Barbath, abbiamo il
tempo di raccogliere un esercito in grado di contrastare il Circasso e
accorrere in difesa di Shaqra? Ashraf conosce la
risposta, ma spera che Barbath gli dica qualche cosa di diverso. Barbath è
abituato a dire ciò che pensa, senza nascondere la verità, anche quando
questa non piace al suo signore. È uno dei motivi per cui Ashraf ha molta
stima di Barbath. - Il nostro esercito non è
sufficientemente numeroso per affrontare quello del Circasso con qualche
possibilità di vittoria e in ogni caso ormai non possiamo più intervenire per
tempo: da quel che ci hanno riferito gli informatori, Dakhir sarà a Shaqra
domani sera e le sue truppe potrebbero conquistare la città nella notte
stessa: le mura non sono ancora state riparate e non ci sono abbastanza
uomini per difenderle. - Mio fratello dovrà
cedere Shaqra oppure… Ashraf non prosegue la
frase. Sanno tutti e due che cosa succede a chi cerca di opporsi al Circasso. C’è un momento di
silenzio, poi Barbath dice: - È meglio che ci
prepariamo ad affrontare il Circasso, a meno che tu non decida di cedere
Jabal al-Jadid. - Cedere la città?! Sei
diventato pazzo, Barbath? Barbath era sicuro che
l’emiro non avrebbe neanche preso in considerazione l’idea di cedere Jabal
al-Jadid. Ma ha ritenuto suo dovere dirlo. - Allora dobbiamo
organizzare la difesa. - Provvedi a tutto il
necessario, Barbath. Pregherò Iddio per mio fratello. Barbath si congeda. La
città non è impreparata a un assedio: tutti sapevano che il Circasso prima o
poi avrebbe cercato di ampliare i domini di Dakhir verso sud. Le mura sono
state rinforzate in alcuni punti, la sorveglianza intensificata. I depositi
di derrate alimentari in città vengono riempiti. I cittadini sono invitati a
fare scorta di granaglie e altri cibi che si possano conservare. Barbath si occupa di
tutto, instancabile: sembra essere ovunque. Ma la sera Barbath sale sulle
mura e guarda in direzione di Qasr Rim. La rocca è lontana e di certo non si
può vedere dalla città. Ma Barbath non vede ciò che i suoi occhi stanno
guardando. Barbath pensa a Feisal. La fortezza sarà la prima a essere
investita dalle truppe del Circasso. I comandanti che hanno cercato di
resistere hanno sempre subito una sorte terribile, la stessa che subiranno
Barbath e l’emiro Ashraf, se cadranno vivi nelle mani di Kazbech dopo aver
cercato di resistergli. Barbath lo sa benissimo, ma è per Feisal che si
preoccupa. E il saperlo lontano lo fa impazzire. La separazione ha squarciato
il velo che Barbath aveva davanti agli occhi. Sa che cosa prova e sa che cosa
desidera. Non ci sono più serate a
casa del comandante per gli ufficiali, che si ritrovano negli alloggiamenti
militari. Nessuno se ne stupisce: sanno tutti che Barbath è molto impegnato nell’organizzare
la difesa di Jabal al-Jadid. Ma Qais sospetta che ci sia qualche cos’altro. E
si rende conto che a tratti Barbath guarda lui e Mahdi come se li invidiasse.
Barbath sa che Qais e
Mahdi rischiano di morire in modo atroce, come tutti loro. Ma vede la loro
gioia nello stare insieme e quella gioia gli dà la misura della sua
sofferenza. La sera Barbath rientra a
casa molto tardi. Ogni tanto chiama Waahid e Latif, di solito insieme, ma è
solo per soddisfare un bisogno. E quando hanno finito li guarda giocare tra
di loro. Sono due ragazzi, si vogliono bene, forse si amano, anche se ancora
non lo sanno: avranno modo di scoprirlo, se potranno rimanere insieme. Ci
sono, momenti in cui a Barbath sembra quasi di invidiarli, come invidia Qais
e Mahdi. Poi si dice che è pazzo: il comandante dell’esercito che invidia due
dei suoi schiavi? Ma Latif e Waahid sono
sereni. Anche se la minaccia del Circasso li spaventa, sono felici di stare
l’uno con l’altro. Non hanno un rovello che scava dentro di loro. La città è pronta per
l’attacco che ormai è imminente: non rimane che attendere notizie da Shaqra. Le notizie arrivano presto
e sono quelle che Barbath ha previsto. Ma ce ne sono anche altre, che nessuno
si aspettava. |