I – Il comandante dell’esercito

 

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Città e governanti del romanzo

 

TERRITORI ARABI

Halel: emiro Dakhir

Fratelli di Dakhir:

Hamdan (tre figli: Akram, Farid e Nabila)

Bilal (una figlia)

Al-Unayzah: sceicco

Barqah: sceicco Nidal (molti figli)

Marwan: emiro Sabri

Shaqra: sceicco Abdel Haqq

Fratello di Abdel Haqq: Issam al-Misri (figlio: Khuzaymah)

Jabal al-Jadid: emiro Ashraf

               Figli di Ashraf: Muhammad, ‘Izz

Fratello di Ashraf: Omar (moglie: Munira)

 

TERRITORI CRISTIANI

Rougegarde (Al-Hamra):  duca Denis d’Aguilard

Arram: conte Ferdinando di Siracusa

San Giacome d’Afrin (Afrin): barone Renaud di Soissons

 

***

 

Il sole si sta abbassando all’orizzonte e la luce penetra dalla finestrella, tracciando un riquadro luminoso sulla parete di fronte al letto. Mahdi è disteso sul pagliericcio e fissa l’area illuminata, senza vederla. Il suo pensiero vaga altrove, oltre la stanzetta in cui si trova, quella che era la sua camera di ufficiale e ora è la sua cella.

Mahdi è stato mandato quattro mesi fa a Qasr Basir, una delle fortezze di Ashraf ibn Samih, emiro di Jabal al-Jadid. Qasr Basir è posta sul fianco di una montagna, a strapiombo sopra il fiume Arram, in una delle valli ai confini dei domini di Ashraf. Non è un grande castello, ma ha una posizione strategica importante perché è alla frontiera con il territorio dei franchi. Mahdi era l’ufficiale al comando della guarnigione, ma a prendere le decisioni era Omar ibn Samih, il fratello dell’emiro Ashraf. L’ambizione di Omar l’ha portato a compiere diverse incursioni nei domini del conte Ferdinando, signore dell’Arram, e ha provocato la reazione dei franchi.

Ci sono stati tre mesi di assedio e due battaglie, che hanno visto la sconfitta delle truppe inviate da Ashraf in soccorso del fratello. E tre giorni fa Qasr Basir è stato conquistato dal duca Denis, dal conte Ferdinando e da un drappello di templari. La fortezza e l’alta valle sono passati al conte, che affiderà Qasr Basir ai cavalieri del Tempio. L’ambizione di Omar ha provocato la perdita di una posizione importante e per tutti gli uomini della guarnigione la morte o la schiavitù.

Adesso la stanzetta in cui Mahdi dormiva, in quanto ufficiale superiore, è diventata la sua cella. Mahdi vi trascorre le sue giornate di prigioniero.

Mahdi ripensa al giorno della conquista. La vittoria dei franchi era inevitabile: vi era una grande sproporzione di forze e i difensori, pur essendo riusciti a respingere molte volte il nemico, sapevano che sarebbero stati sopraffatti. Mahdi ha combattuto valorosamente, anche se tutto era ormai perduto: i franchi si riversavano a ondate dalle mura su cui erano riusciti a salire e la guarnigione era ormai troppo esigua per poter difendere il castello. Mahdi pensava di trovare la morte in battaglia, ma è stato disarmato dal duca in persona e catturato dai suoi uomini. Si è così ritrovato prigioniero, destinato a rimanere schiavo dei franchi, a meno che qualcuno paghi un riscatto per lui. L’emiro potrebbe farlo, di certo non la famiglia di Mahdi, che dispone di pochi mezzi. Anche Omar ibn Samih è stato catturato, come Mahdi, ma Ashraf di certo pagherà ciò che gli verrà richiesto per liberare il fratello.

La morte o la schiavitù sono eventualità che un guerriero non può non mettere in conto: Mahdi sapeva bene che sarebbe potuto succedere, in questi tempi turbolenti, in cui gli invasori franchi e i credenti si affrontano spesso.

Ma è successo qualche cos’altro che Mahdi non si aspettava: il giorno stesso della conquista di Qasr Basir, il conte Ferdinando dell’Arram lo ha preso come schiavo e lo ha stuprato. Mahdi è bello, molto, di una bellezza maschia che ha sempre affascinato le donne e non pochi uomini: un corpo forte e armonioso; un viso dai lineamenti non regolari, ma virile; lunghi capelli castani come gli occhi e una barba di un rosso scuro. Mahdi ha spesso letto negli occhi delle donne e degli uomini il desiderio che suscita, ma si è sempre ritratto. Gli è capitato di andare qualche volta con qualche prostituta, insieme ad altri ufficiali, ma si è presto accorto che le donne non gli interessano. E con gli uomini non aveva mai avuto rapporti, a parte qualche esperienza con un amico, da ragazzino.

Mahdi ha cercato di resistere, ma il conte è un Ercole: lo ha bloccato facilmente e lo ha posseduto e dopo di lui l’ha preso un suo servitore. Quella sera Mahdi ha provato dolore, ma soprattutto rabbia per l’umiliazione subita.

Anche nei giorni successivi il conte lo ha preso, ogni sera. Mahdi non ha più cercato di opporre resistenza: sapeva che sarebbe stato inutile. La prima volta la penetrazione è stata molto dolorosa e d’altronde il conte Ferdinando è noto anche tra gli arabi per essere particolarmente dotato: durante l’assedio della fortezza, diversi soldati ne parlavano. Ma il conte si muove con cautela, cercando di non fare male, e Mahdi si è abituato ad essere posseduto, anche se ogni sera il culo è sempre un po’ dolorante.

Ieri però si è verificato qualche cosa che Mahdi non aveva previsto. Ferdinando lo ha preso due volte, come aveva fatto anche le sere precedenti, e la seconda volta Mahdi si è accorto che i movimenti del cazzo di Ferdinando nel suo culo provocavano una serie di sensazioni non spiacevoli. Per un momento ha temuto che gli diventasse duro.

Ora Mahdi ha paura di quello che succederà questa sera, quando, quasi sicuramente, Ferdinando lo prenderà di nuovo.

Mahdi sente aprire la porta della stanza. Ha un attimo di smarrimento. È ancora presto, il sole non è ancora tramontato. Non si aspettava di essere chiamato ora.

Guarda il soldato cristiano che sulla soglia gli ingiunge di alzarsi, perché il conte Ferdinando lo desidera. L’uomo parla un po’ di arabo, come diversi soldati franchi. Mahdi non vorrebbe andare: teme le reazioni del suo corpo. Ma non può rifiutarsi di obbedire: ormai è uno schiavo. Anche questa sera il conte lo prenderà, magari due volte, come ha sempre fatto in questi giorni. Il pensiero lo turba. Il suo corpo lo tradirà?

Ferdinando lo attende nella stanza che era di Omar ibn Samih: adesso che Qasr Basir è passata sotto il controllo del conte, questi ha preso possesso della camera di Omar, l’unica nella fortezza ad avere un vero e proprio letto. Su quel letto Mahdi è stato violentato nei giorni scorsi e lo sarà anche oggi.

Ferdinando dice subito a Mahdi, nel suo arabo approssimativo:

- Spogliati.

Mahdi obbedisce: sa di non avere alternative. Anche Ferdinando si toglie la tunica. Mahdi non può non ammirarne il corpo forte: il torace ampio, le braccia vigorose, le gambe possenti, il pelame rigoglioso, le cicatrici lasciate dalle battaglie. Il conte è un guerriero valoroso e temuto, non un vile. Lo sguardo di Mahdi scende al grande cazzo del conte, che già si tende. Anche questa sera Mahdi lo sentirà dentro di sé. Mahdi ha la gola secca. Deglutisce.

- Sul letto.

Mahdi china la testa. Guarda il letto, il raffinato lavoro di intaglio che orna la testiera e le zampe. Guarda il tessuto che lo copre. Ha paura, paura non del conte, ma del proprio corpo.

- Muoviti.

La voce di Ferdinando lo riscuote. Mahdi non ha scelta. Obbedisce. Si stende sul letto e allarga le gambe. Ferdinando si avvicina. Le sue mani accarezzano la schiena di Mahdi. Mahdi preferirebbe una rapida violenza, un dolore che cancelli ogni altra sensazione, ma ora che Mahdi non oppone più resistenza, il conte si muove con delicatezza. E Mahdi si rende conto che gli piace la sensazione di queste mani che accarezzano il suo corpo, che stringono il suo culo, che gli scompigliano i capelli. Non gli spiace nemmeno il momento in cui un dito di Ferdinando si spinge dentro di lui.

Ferdinando si stende sul letto, mordicchia il culo di Mahdi, più volte, poi i suoi denti lasciano un segno leggero sulla spalla dell’ufficiale, la sua lingua scorre dietro l’orecchio, le sue mani pizzicano con forza il culo, scivolano in una carezza decisa lungo il corpo, fino al collo. E mentre Ferdinando gli morde il lobo di un orecchio, Mahdi sente il grosso cazzo del conte entrare dentro di lui. Lo aspettava e il suo corpo reagisce, con intensità. Il sangue affluisce al suo cazzo, mentre quello di Ferdinando avanza baldanzoso, spingendosi a fondo. Mahdi è sgomento, ma le sensazioni sono troppo forti e questa massa calda che entra dentro di lui, nonostante il dolore che provoca, accende il suo desiderio. Mahdi prova vergogna, vorrebbe che questo non avvenisse, che il suo corpo non si arrendesse così all’invasore, non ne diventasse rapidamente complice.

Ferdinando incomincia a spingere, mentre le sue mani tormentano il corpo di Mahdi, che sente il piacere crescere, diventare sempre più forte a ogni spinta del conte. Non vuole venire, non vuole questa ulteriore umiliazione, ma troppo a lungo dura la stretta dei loro corpi e quando le spinte di Ferdinando diventano più intense, Mahdi sente l’ondata del piacere rovesciarsi in lui, mentre il suo seme si sparge. Geme.

Ferdinando lo stringe tra le braccia, mentre il suo seme ancora si spande nel culo di Mahdi. Gli accarezza i capelli. Mahdi non vuole questa tenerezza, che lo rende complice di ciò che è avvenuto. Ha uno scatto di rabbia, cerca di divincolarsi, come la prima sera, umiliato, infelice. Ma Ferdinando lo tiene stretto, in un abbraccio tanto forte quanto dolce.

- Tranquillo. Tranquillo.

Questa rivolta tardiva è inutile, Mahdi se ne rende conto. Si abbandona alla stretta. Lentamente ritrova la calma. Ferdinando rimane sopra di lui e lo accarezza. Mahdi sgomento si rende conto che gli piace la sensazione di queste mani che scorrono sul suo corpo, di queste braccia che ogni tanto lo stringono, della bocca di Ferdinando che si posa sulla sua nuca, dei piccoli morsi, dei baci. E gli piace anche il calore del cazzo di Ferdinando che è rimasto dentro di lui, non più rigido, ma ancora grande e forte.

Ferdinando ritrae il cazzo e le sue mani scivolano sul corpo di Mahdi, gli accarezzano il viso, si infilano sotto il ventre, giocherellando con il suo cazzo e i suoi coglioni. Mahdi non oppone resistenza: ha accettato la propria sconfitta. Sta bene tra queste braccia che lo stringono. Ora Mahdi sente che il cazzo del conte preme contro il suo culo, nuovamente grande, caldo e duro. Mahdi si rende conto che attende il momento in cui entrerà dentro di lui. Chiude gli occhi, smarrito. Anche questa volta la penetrazione provoca sensazioni fortissime. Ogni spinta provoca dolore e incendia il suo corpo, finché il piacere lo travolge nuovamente.

Ferdinando si alza. Sorride. Mahdi si rende conto che in qualche modo Ferdinando è contento che anche lui sia venuto: gli è piaciuto che abbiano goduto insieme.

Ferdinando si pulisce e si riveste. Gli dice:

- Vestiti.

Mahdi obbedisce. Tiene gli occhi bassi. Si vergogna di aver goduto mentre quest’uomo lo possedeva.

- Vieni con me.

Mahdi segue Ferdinando. Nella stanza del castello dove Omar riuniva gli ufficiali, Denis di Rougegarde li attende. Si rivolge a lui, chiamandolo per nome. Denis di Rougegarde parla un arabo perfetto, ma questo Mahdi lo sapeva già. È invece stupito che il duca sappia come si chiama.

- Mahdi, sappiamo che eri l’ufficiale di grado superiore in questo castello. Ti affidiamo pertanto il compito di recarti dall’emiro Ashraf ibn Samih e chiedere il riscatto per suo fratello Omar. Domani mattina partirai e tornerai a essere un uomo libero.

Mahdi è sorpreso. Non si aspettava di recuperare la libertà. Guarda il conte Ferdinando, che sorride o forse ghigna. Non verrà più posseduto da quest’uomo. Il pensiero è un sollievo, anche se il suo corpo ha provato piacere, anche se una parte di lui lo desidera, di questo Mahdi è perfettamente conscio. E il pensiero gli fa orrore. Vorrebbe poter partire ora, andarsene, non rivedere mai più il conte.

Mahdi viene condotto da Omar ibn Samih, che gli dà alcune istruzioni per il fratello. Omar ha un braccio fasciato: è rimasto ferito quando ha cercato di uccidere a tradimento Denis di Rougegarde, che però se n’è accorto e ha evitato il colpo. Il duca voleva farlo giustiziare, ma non l’ha fatto per le suppliche della moglie di Omar, Munira.

 

L’indomani è ancora notte quando la porta della camera di Mahdi si spalanca e Ferdinando entra, una candela in mano.

Mahdi si mette a sedere. Ha intuito. Sa che non può opporsi e sa che una parte di lui vuole ciò che succederà.

- Rimani così.

Mahdi non capisce.

Ferdinando si spoglia. Mahdi osserva il corpo vigoroso che emerge dagli abiti e si accorge di avere la gola secca. Vorrebbe guardare altrove, ma non ci riesce. I suoi occhi fissano il conte, scorrono sull’ampio petto villoso, scendono al ventre e si fissano sul cazzo, già teso in avanti. Mahdi deglutisce. Gli mancano le forze. Si stende e chiude gli occhi.

Nuovamente il suo corpo lo tradisce e il desiderio si rivela nel cazzo che si gonfia di sangue. Mahdi prova vergogna.

Ferdinando sorride, si avvicina al pagliericcio, prende i piedi di Mahdi e li allontana uno dall’altro, spostandoli verso l’esterno, poi si inginocchia tra le sue cosce. Gli solleva le gambe e se le mette sulle spalle, forzandolo a sollevare il culo. Sputa due volte sul buco e sparge la saliva con le dita, poi avvicina il cazzo, tenendolo con la mano, fino a che la cappella preme contro l’apertura e la forza. Lentamente Ferdinando penetra Mahdi, mentre lo guarda negli occhi e sorride.

Mahdi guarda questo maschio magnifico che lo sta possedendo. La fiamma della candela illumina il corpo vigoroso di Ferdinando e il viso sorridente. Mahdi vorrebbe non cedere al desiderio, ma il piacere lo avvolge e il suo cazzo si tende. È la prima volta che può guardare in faccia Ferdinando mentre questi lo prende. Mahdi non saprebbe dire che cosa prova, ma il suo corpo si arrende, incondizionatamente, a questo toro che prende possesso di lui.

Ferdinando muove avanti e indietro il culo e a ogni spinta, il cazzo penetra più in profondità e poi si ritrae, in un movimento continuo. La presenza di quest’arma in culo è dolorosa, ma trasmette anche sensazioni fortissime. Il cazzo di Mahdi è ormai teso come una lama d’acciaio e il piacere lo avvolge. Mahdi vorrebbe che la sua bocca trattenesse i gemiti che gli vengono alle labbra, che il suo viso non tradisse ciò che prova, ma il suo corpo non gli obbedisce, la sua resa è completa.

E il piacere cresce, sempre di più, finché è troppo forte per essere contenuto ed esplode. Mahdi prova vergogna sapendo che Ferdinando può vederlo godere mentre lo incula. Ma l’ondata che lo travolge non lascia spazio a finzioni.

Ferdinando continua a spingere, finché anche lui viene. Per l’ultima volta riempie il culo di Mahdi del suo seme. Poi esce, si toglie le gambe dalle spalle e si stende su di lui. Mahdi sente il peso di questo corpo che lo schiaccia: è pesante, questo toro che lo ha posseduto, ma è bello sentirlo su di sé. Ferdinando bacia Mahdi sulla bocca. Questa volta Mahdi non si sottrae. Ferdinando spinge la lingua nella bocca di Mahdi, poi sussurra:

- Sei bello, Mahdi.

Ferdinando lo guarda un attimo, poi aggiunge:

- E hai un bellissimo culo.

Ride, si alza e si riveste. Guarda fuori dalla finestra. Dice, nella sua lingua, che Mahdi non può capire:

- Sta albeggiando, sei un uomo libero, Mahdi. Un po’ mi spiace.

Ripete, in arabo:

- Sei libero. Peccato.

Ferdinando scuote la testa. Si avvicina, gli passa una mano dal viso al collo, poi sul torace, fino a ventre e al cazzo. Stringe con delicatezza i coglioni. Scuote la testa ed esce, sorridendo. Mahdi rimane a guardare il soffitto. 

 

Poco dopo l’alba Mahdi parte per Jabal al-Jadid, la capitale dell’emiro Ashraf. Lo accompagnano tre soldati che sono stati anche loro liberati perché potessero fargli da scorta. Tutti hanno ottenuto le loro armi: queste aree di montagna sono infestate da briganti.

Il viaggio richiede alcuni giorni di marcia. Mahdi parla pochissimo. Non è mai stato un uomo loquace e dopo quanto è successo tende a essere ancora più silenzioso. I soldati non sanno nulla dello stupro subito dal loro comandante, ma non si stupiscono nel vederlo così poco comunicativo: lo conoscono e attribuiscono il suo umore alla sconfitta e alla prigionia. I soldati invece scherzano spesso tra di loro: non si aspettavano di recuperare così presto la libertà; temevano invece di rimanere schiavi a lungo, magari per sempre. Il pensiero di essere liberi e di tornare alla capitale li rende allegri. Mahdi non bada a loro, chiuso nei suoi pensieri.

Il quarto giorno il gruppo arriva sulle colline da cui si può vedere Jabal al-Jadid, circondata completamente da alte mura. Dall’alto Mahdi e i suoi compagni osservano le case bianche, gli orti ombreggiati dalle palme, i minareti svettanti delle numerose moschee, l’altura su cui sorge una seconda cinta di mura che protegge il grande palazzo dell’emiro, quasi una città nella città. E poi il fiume che scorre pigro, le norie che sollevano l’acqua, il via vai di mercanti e viandanti lungo la strada che conduce alla porta occidentale.

Uno dei soldati esclama:

- Non pensavo di tornare a rivederla. Credevo di rimanere schiavo per tutta la vita.

Un altro annuisce e aggiunge:

- Che meraviglia! Dicono che solo al-Hamra sia più bella di Jabal al-Jadid. Però adesso è in mano a quei cani cristiani. La chiamano Rougegarde.

Mahdi annuisce. Una grande stanchezza si è impadronita di lui. Vorrebbe sedersi, stendersi, dormire. Vorrebbe dimenticare tutto quello che è stato. L’idea di incontrare gli altri ufficiali, i suoi amici, lo angoscia.

Con uno sforzo reagisce:

- Andiamo.

Il gruppo scende dalla collina e seguendo per un lungo tratto la riva del fiume raggiunge la porta più vicina. Alcuni dei soldati di guardia riconoscono Mahdi e lo accolgono festosi: sapevano della conquista di Qasr Basir a opera dei cristiani e temevano che Mahdi vi avesse trovato la morte, come tanti guerrieri.

Mahdi sorride e risponde, dominando l’impulso di fuggire via.

Poi Mahdi e i suoi uomini raggiungono il palazzo dell’emiro, che è stato avvisato del loro arrivo e li attende impaziente nella sala delle udienze: Ashraf ibn Samih vuole avere notizie del fratello Omar.

Mahdi entra, si prosterna davanti all’emiro e lo saluta.

Ashraf chiede subito notizie. Mahdi risponde.

- Tuo fratello si è arreso, ma poi ha cercato di uccidere a tradimento il duca di Rougegarde.

- Cosa?! E…

Ashraf non osa chiedere: gli è stato riferito che Omar non è morto nella conquista del castello, ma nessuno aveva notizie sicure. Se suo fratello ha cercato di uccidere il duca a tradimento, Denis di Rougegarde potrebbe averlo fatto giustiziare. Ashraf darebbe ordine di crocifiggere un nemico che si comportasse così.

- Il duca voleva farlo giustiziare, ma poi lo ha graziato.

- Allah sia lodato. Ciò che dicono della generosità del Cane dagli occhi azzurri non è menzogna. Ma dimmi anche di sua moglie, Munira, che non ha voluto lasciare il castello prima che venisse conquistato dagli infedeli.

- È anche lei prigioniera.

- I cristiani l’hanno rispettata, vero?

- Sì.

- Lo pensavo. Denis di Rougegarde è un uomo giusto.

Mahdi pensa che a subire violenza è stato lui, non la bella Munira. Mahdi è un ufficiale devoto al suo signore e se gli fosse stato dato di scegliere, avrebbe accettato di essere stuprato per evitare che lo fosse Munira. Ma non ha avuto scelta. E il pensiero che il suo corpo lo ha tradito lo angoscia.

Mahdi comunica la richiesta di riscatto e consegna la lettera che il duca di Rougegarde ha scritto ad Ashraf. L’emiro sa che deve pagare. La somma è consistente, ma la richiesta non è particolarmente esosa.

 

Dopo il colloquio con l’emiro, Mahdi si dirige agli alloggiamenti militari, dove risiedono gli ufficiali in servizio a palazzo e quelli che non hanno una propria abitazione: per Mahdi la caserma è la sua casa e gli altri ufficiali sono la sua seconda famiglia. I suoi genitori abitano in un villaggio lontano e Mahdi li vede di rado.

Mahdi viene raggiunto dal comandante Barbath ibn Yusuf, con il suo braccio destro, Feisal, e alcuni altri. Sono tutti contenti che Mahdi “il Silenzioso”, come lo chiama l’amico Qais, sia tornato sano e salvo: il giovane ufficiale ha un buon carattere e gode della stima e dell’affetto di tutti. Gli chiedono notizie della battaglia finale, dei compagni, del fratello dell’emiro. Mahdi racconta tutto ciò che è successo; solo della violenza subita non dice nulla.

Barbath e Feisal fanno domande precise sulla conquista del castello da parte dei franchi guidati dal duca di Rougegarde. Poi si parla della prigionia di Mahdi. I compagni scherzano e Qais dice, ridendo:

- Avrei voluto essere al tuo posto. Dicono che il conte Ferdinando abbia il cazzo più grosso di tutti i franchi e sia il miglior stallone della Terra. Magari avrei avuto occasione di provare se dicono il vero.

Qais ride, come i suoi compagni, abituati alle battute di questo ufficiale, tanto impudente, quanto generoso e leale. Qais non sembra porsi nessun limite, ma è difficile dire quanto le sue parole rispecchino i suoi comportamenti. Qais è sfrontato, sembra disponibile a provare di tutto, ma che cosa fa effettivamente, non lo racconta.

Gli ufficiali lo prendono in giro, ma Qais si è accorto che Mahdi è sbiancato in volto. Intuisce immediatamente la verità: sa che Ferdinando ha preso con la forza molti prigionieri. Continua a fare battute, per attirare su di sé l’attenzione ed evitare che qualcun altro noti il turbamento di Mahdi:

- Dicono che Ferdinando non si tirerebbe indietro nemmeno di fronte a un ginn a tre teste e non sono mica più brutto di un ginn, io!

Qais ha un corpo forte, ma di viso non è certo bello. Qais non se ne fa un cruccio e ci scherza volentieri. I compagni rincarano la dose:

- Secondo me il conte Ferdinando preferirebbe un ginn a tre teste.

- Sì, un ginn a tre teste è certamente più bello di Qais.

- Immaginatevi un ginn che ha tre teste, tutte come quella di Qais: quel maledetto del conte Ferdinando ci rimarrebbe secco solo a vederlo.

- Come uccidere il nemico, senza bisogno di armi…

- Ci libereremmo dei franchi una volta per tutte.

Qais finge di essere offeso:

- Certo che siete proprio una manica di stronzi!

Ma non appena ha finito di parlare, Qais scoppia a ridere.

Mahdi si è ripreso, dissimulando il suo turbamento. Qais chiede del duca d’Aguilard. La conversazione si sposta.

Giunge l’ora del pasto, che gli ufficiali di solito consumano in comune, come i soldati. La riunione si scioglie: si ritroveranno tra poco nella mensa.

Qais si chiede se dire qualche cosa a Mahdi. Gli è sinceramente affezionato ed è anche attratto da lui, ma ha capito che Mahdi non è interessato agli uomini, per cui non ha mai espresso il suo desiderio.

Sente di doversi scusare con Mahdi, anche se la sua voleva essere solo una battuta del tutto innocente. Al momento in cui gli altri escono, fa in modo di rimanere da solo con lui, trattenendolo ancora un momento, mentre i compagni si disperdono.

Qais dice:

- Scusa, Mahdi, non pensavo… Avrei fatto meglio a stare zitto.

Mahdi è nuovamente impallidito. Qais aggiunge:

- Nessun altro si è accorto di niente. E non sarò certo io a dire qualche cosa. Mi spiace, Mahdi.

Mahdi china la testa. Vorrebbe liberarsi del peso che porta dentro e sa che Qais, nonostante sia un gran chiacchierone, non va certo in giro a raccontare i segreti che gli altri gli hanno confidato. Ma esita, non sa da che parte incominciare, prova vergogna per ciò che è successo. Non è sicuro che Qais possa capire il suo turbamento, perché l’amico non sembra porsi nei confronti della sessualità nessun limite.

Qais coglie l’esitazione di Mahdi e intuisce che l’amico vorrebbe parlare. Dice, per incoraggiarlo:

- Dev’essere stato terribile per te.

Mahdi annuisce. È stato duro subire la violenza, ma quello che davvero lo ha angosciato è stato scoprire il desiderio del proprio corpo. Questo però non sa come dirlo, per cui tace.

Qais capisce che per Mahdi non è il momento giusto per parlare. Osserva:

- Mahdi, dimenticherai tutto questo: una violenza è come una ferita, in guerra può accadere a chiunque. E un giorno magari potrai vendicarti e ammazzare quel fottuto Ferdinando in battaglia.

Mahdi guarda Qais e scuote la testa. Gli sembra d’improvviso di essere stanchissimo, di non riuscire più a reggersi in piedi.

- Che hai, Mahdi?

Mahdi muove di nuovo il capo in un cenno di diniego.

- Lascia perdere, Qais. È ora di andare a mangiare.

Nella mensa altri ufficiali e soldati salutano Mahdi, gli chiedono notizie, si congratulano per il suo ritorno. Qais rimane in disparte. Vorrebbe aiutare in qualche modo Mahdi, ma in questo momento non c’è nulla che possa fare.

 

Dopo il pasto, Barbath e Feisal discutono. Barbath, oltre a essere il comandante dell’esercito, è il consigliere più ascoltato dall’emiro Ashraf: un ruolo che lo carica di responsabilità. Barbath si confronta volentieri con il suo vice, di cui apprezza l’intelligenza.

Feisal chiede:

- Comandante, pensi che i franchi approfitteranno della conquista di Qasr Basir per attaccarci?

- Non credo, Feisal. I cristiani non mirano a impadronirsi di Jabal al-Jadid. Vogliono difendere i loro territori. Sai benissimo qual era la situazione: troppe incursioni in territorio franco sono partite dalla fortezza. Era inevitabile che organizzassero una spedizione per conquistarla.

- Sì, l’ho pensato anch’io. Ma perché Omar ibn Samih continuava a sferrare attacchi?

- Omar ibn Samih sperava di togliere ai franchi le terre che loro ci hanno preso qualche anno fa. Credo che sognasse di riconquistare al-Hamra e diventarne il signore.

- Tu pensi? Un obiettivo molto ambizioso. Per conquistare Al-Hamra bisognerebbe sconfiggere il Cane dagli occhi azzurri e nessuno ci è mai riuscito.

- Sì, ma il fratello dell’emiro è un uomo irruente e talvolta non valuta con l’attenzione necessaria la situazione.

Sanno entrambi che questo è un difetto che ha anche l’emiro, abituato a prendere decisioni, a volte avventate, sull’onda dell’emozione del momento. Non lo dicono esplicitamente, non perché non abbiano fiducia l’uno nell’altro, ma perché avrebbero l’impressione di mancare di rispetto nei confronti del loro signore, anche se nessun altro li sta ascoltando. È uno degli elementi che Barbath apprezza nelle conversazioni che ha con Feisal: si intendono perfettamente, senza bisogno di esprimere completamente il loro pensiero.

- E così abbiamo perso anche Qasr Basir. Forse, se l’emiro avesse mandato tutto l’esercito e non solo qualche truppa di rinforzo…

- No, Feisal, l’emiro non poteva intervenire con tutto l’esercito. Ci sono forti tensioni con lo sceicco di Shaqra, lo sai bene. Se le nostre truppe si fossero mosse tutte contro i franchi, lo sceicco avrebbe attaccato: poco gli importa che noi combattiamo contro gli infedeli. E noi ci saremmo ritrovati tra lo sceicco di Shaqra e il duca di al-Hamra. Il Cane dagli occhi azzurri è un nemico formidabile e doverlo affrontare mentre alle spalle abbiamo quell’altro… No, sarebbe stato troppo azzardato.

Feisal annuisce. Sa che il comandante ha ragione, come sempre. Gli piace parlare con lui, che è in grado di analizzare sempre lucidamente la situazione. Feisal si trova bene con il suo comandante. Non ne apprezza solo l’intelligenza, gli piace proprio come persona, come uomo. È sempre contento di stare insieme a lui.

 

In serata tutti gli ufficiali si riuniscono nell’abitazione del comandante dell’esercito, che è molto ampia ed è situata nella cinta più interna di mura, vicino al palazzo dell’emiro e agli alloggiamenti militari.

Barbath apre spesso la sua casa agli ufficiali e tutti vi vanno volentieri: stanno bene insieme e tra loro si è creata una grande familiarità. Spesso a loro si unisce anche Muhammad ibn Ashraf, il figlio maggiore dell’emiro, che ha venticinque anni. Si siedono sui cuscini o direttamente sui tappeti, mangiano una pesca o un po’ di frutta secca, qualche ciambella ripiena o un pasticcino. Bevono volentieri e qualcuno sorseggia anche un po’ di vino, nonostante la proibizione del Corano: ma circola voce che perfino l’emiro beva vino. Discutono e chiacchierano, molto liberamente. Qualche volta c’è anche un suonatore e la musica del liuto, del cembalo o del tamburo allieta la riunione. E allora qualcuno si mette a cantare, un altro recita una poesia.

All’inizio della serata c’è sempre un momento in cui Barbath e gli ufficiali analizzano la situazione della città. Oggi si parla della minaccia costituita dallo sceicco di Shaqra, un uomo ambizioso, che rivendica un territorio da molto tempo in mano ad Ashraf. Muhammad vorrebbe che suo padre attaccasse Shaqra, in modo da costringere lo sceicco a rinunciare a ogni pretesa, ma per il momento Ashraf preferisce non prendere iniziative. Anche Barbath non ritiene opportuno scatenare una guerra e lui e Muhammad discutono animatamente. Muhammad si accalora, come spesso gli accade: è impulsivo, come suo padre, e spesso trascende. Qualche volta ha litigato con alcuni degli ufficiali. Nei confronti di Barbath però è sempre rispettoso, perché lo stima e lo ammira.

Mahdi non dice nulla e nessuno se ne stupisce: parla sempre poco ed è appena tornato dalla prigionia. Ma il silenzio di Mahdi ha un’altra ragione. Il giovane ufficiale fissa Barbath e si rende conto di non riuscire più a seguire ciò che dice il comandante. Barbath è un uomo molto forte, i cristiani lo chiamano il Flagello, perché è uno dei guerrieri più temuti. È tarchiato e ha pochi capelli, che tiene molto corti. Ha un viso dai lineamenti molto duri, la mascella squadrata e una fitta barba nera. Gli occhi sono chiari, di un grigio-verde che Mahdi non ha mai visto in altri uomini. Mahdi guarda quel viso maschio e gli sembra che gli manchino le forze. Pensa a qualche cosa che ha sempre saputo, ma che ora si riaffaccia come un pensiero disturbante: a Jabal al-Jadid Barbath non è soprannominato il Flagello, ma Tre Coglioni, perché ha tre testicoli. Gli ufficiali lo chiamano così quando parlano tra di loro, ma non in sua presenza: anche se sa benissimo di questo nomignolo che gli è stato affibbiato e che non gli dispiace per niente, Barbath è il comandante dell’esercito. Per quanto ci sia molta familiarità tra lui e i suoi ufficiali, nessuno vorrebbe mancargli di rispetto. Solo Qais ogni tanto si permette una battuta, ma è uno sfrontato. Una volta Barbath gli ha detto che gli avrebbe tagliato la lingua e l’avrebbe gettata nella latrina degli alloggiamenti militari.

Adesso Mahdi non pensa a Barbath il Flagello dei cristiani, ma a Barbath Tre-coglioni, che dicono essere un vero toro da monta. Pare che gli interessino solo i ragazzi. Ora Mahdi si scopre a guardarlo con altri occhi e, sgomento, si chiede che cosa proverebbe se Barbath lo possedesse. Il pensiero lo sconvolge: a questo è giunto? A immaginare che cosa proverebbe se lo prendesse il comandante?

Mahdi si sforza di reagire. Dopo che si è discusso del problema costituito dallo sceicco di Shaqra, chiede:

- Che altre novità ci sono state in questo periodo?

Gli risponde Feisal:

- Nulla di particolare. A nord, Dakhir, l’emiro di Halel, ha attaccato e conquistato Ras an-Bair e adesso sta assediando al-Unayzah, ma sembra che non riesca a venire a capo della resistenza della città.

Halel, Ras an-Bair e al-Unayzah sono lontane, tra le montagne all’estremità settentrionale della Siria. Nessuno dei presenti si preoccupa di questo emiro che vuole impadronirsi di altre terre. Scontri tra i piccoli signori sono molto frequenti, gli ufficiali di Jabal al-Jadid non possono immaginare l’importanza della partita che si sta giocando ad al-Unayzah, ma da ciò che sta succedendo davanti alle mura di quel piccolo centro dipenderanno la vita e la morte di tutti loro.

 

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Dakhir ibn Nadim, emiro di Halel, guarda i curdi che stanno smontando una delle tende sotto lo sguardo vigile di Boran e di suo figlio Ishan. Dakhir freme di rabbia, ma non dice nulla: Boran si è unito volontariamente alle truppe di Dakhir, ma non gli deve obbedienza, perché la vallata in cui vive non fa parte del territorio di Halel. Boran si è stufato di quest’assedio che si trascina e ha deciso di andarsene. Non è il primo, non sarà l’ultimo.

Dakhir volge lo sguardo verso al-Unayzah, che da un mese cerca di conquistare, e nuovamente freme. Al-Unayzah non è un grande centro, non ha un forte esercito, ma ha solide mura, sorge su uno strapiombo che costituisce un’ottima difesa naturale su due lati e gli abitanti oppongono una resistenza tenace. Dakhir aveva sperato in una conquista rapida, ma i suoi sogni si sono infranti contro la barriera delle mura. Anche l’attacco lanciato oggi è stato un fallimento. Gli uomini sono scoraggiati.

Boran si allontana con i suoi guerrieri. Dakhir guarda da un’altra parte: non ha voglia di salutarlo. Nel campo rimane un altro spazio libero. Il caldo è soffocante, nonostante si sia in una regione montuosa e la primavera sia appena incominciata, ma da alcuni giorni il vento soffia da est, portando calore, polvere e sabbia. Dakhir mormora:

- Merda!

Poi ritorna nella tenda, posta ai piedi di una parete, in modo da rimanere in ombra e sfuggire al calore opprimente del giorno.

 

Dakhir è ambizioso. Finché suo padre Nadim era in vita, ha dovuto obbedirgli. Nadim è vissuto molto a lungo: solo quando ha compiuto i settantotto anni Allah l’ha chiamato a sé. Adesso che suo padre è morto, Dakhir intende ampliare il suo dominio nella Siria settentrionale, frazionata in tanti territori i cui signori riconoscono la sovranità di Nur ad-Din, ma godono di ampia autonomia.

Halel è la cittadina più ricca della regione, anche se non può certo competere con i grandi centri più a sud, come Jabal al-Jadid, Shaqra e Aleppo. Dakhir vorrebbe fare di Halel il centro di uno stato potente. La città di Ras an-Bair è stata conquistata senza fatica, ma ora Dakhir non riesce a venire a capo della resistenza di al-Unayzah.

Nell’esercito c’è molto malcontento: tutti contavano di espugnare la città in pochi giorni, procurandosi un buon bottino senza gravi disagi, ma la guerra si trascina e ogni giorno qualcuno abbandona l’esercito: gli uomini di queste valli del Nord sono più briganti che guerrieri, sono abituati più alle rapide incursioni che al logorio di un conflitto protratto nel tempo.

Hamdan, il fratello di Dakhir, entra nella tenda.

- Ho saputo che anche Boran se n’è andato. Dei curdi non è rimasto nessuno.

Dakhir alza le spalle.

- Sai come sono quelli… Sono abituati alle razzie, non alla guerra.

- Ma… pensi che sia davvero il caso di rimanere ancora? È un mese che…

Dakhir non lo lascia terminare. Le defezioni lo hanno irritato e l’atteggiamento di Hamdan lo infastidisce.

- Non ho nessuna intenzione di tornarmene a Halel senza aver conquistato al-Unayzah.

- Ma ne vale la pena? Non è…

Dakhir ha uno scatto d’ira.

- Merda, Hamdan! Ma non capisci? Se non riusciamo a conquistare neanche al-Unayzah, non riusciremo mai ad allargare il nostro dominio!

- Nostro padre ha conquistato…

Dakhir lo interrompe di nuovo:

- Appunto, nostro padre ha conquistato, non è rimasto a grattarsi i coglioni! Certe volte mi chiedo se sei davvero suo figlio. Lasciami in pace, Hamdan.

Hamdan china la testa e si allontana. Dakhir è ancora più irritato. Suo fratello se ne sarebbe rimasto volentieri a Halel. Non gli piace combattere. Non ha i coglioni, questa è la verità.

 

Dakhir si stende e finisce per assopirsi. Quando si desta, un servitore gli trasmette la notizia portata da uno dei soldati:

- È arrivato il messaggero di un principe circasso, Kazbech. Dice che il suo signore ha con sé duecento guerrieri e vuole mettersi al tuo servizio.

Dakhir è alquanto sorpreso dalla notizia. Dà ordine che l’uomo venga introdotto.

Il messaggero, un uomo sui trent’anni, si inchina davanti a lui e gli dice di venire da parte del principe Kazbech. Il suo signore ha lasciato le terre dei suoi avi con duecento guerrieri ed è giunto da poco nei pressi di al-Unayzah. Si è accampato nelle vicinanze, perché vorrebbe mettersi al servizio di Dakhir.

Dakhir è perplesso: i circassi sono una popolazione che vive molto più a nord, con cui gli arabi e i curdi della Siria hanno sempre avuto pochi contatti. Perché questo principe ha deciso di mettersi al suo servizio? In ogni caso duecento uomini sarebbero i benvenuti. Dakhir si dichiara disposto a ricevere subito Kazbech.

 

Il principe circasso giunge mezz’ora dopo, a cavallo di un magnifico stallone nero. L’abbigliamento non sembra quello di un principe: Kazbech indossa solo un mantello e una tunica che gli lascia scoperte le braccia e parte delle gambe. Ma il portamento fiero, il bracciale d’oro, la preziosa fibbia che chiude il mantello, il pesante monile che porta al collo, la superba cavalcatura e la sicurezza con cui tiene le redini, tutto in lui dimostra la nobiltà e la ricchezza della sua stirpe.

Il principe scende da cavallo e davanti a Dakhir china leggermente la testa, in segno di omaggio: non è il saluto di un servitore, ma di un uomo fiero. L’emiro lo invita a entrare nella sua tenda e si siedono entrambi sui cuscini.

Mentre scambiano i saluti, Dakhir osserva attentamente il suo ospite. Kazbech è un uomo di alta statura e grande vigore. Dev’essere sui trentacinque anni e ha spalle larghe, da lottatore, braccia e gambe muscolose, un viso dai tratti decisi con occhi chiari e capelli e barba di un rosso scuro. Deve avere una forza taurina.

Dakhir è affascinato da questo maschio: è sempre stato attratto dagli uomini, in particolare da quelli molto virili, come Kazbech. Le donne invece non gli interessano: si è sposato due volte per avere un erede, ma le mogli sono morte e nessuno dei tre figli che ha generato ha raggiunto i cinque anni. Dakhir non si è più risposato.

Dopo i saluti e alcune frasi di cortesia, Dakhir pone una domanda diretta:

- Come mai hai lasciato le tue terre, principe?

- Mio fratello ha ereditato l’intero regno, secondo le nostre tradizioni, e io sono partito con coloro che hanno voluto seguirmi, alla ricerca di fortuna. So che sei un guerriero valoroso, emiro. Ti chiedo se vuoi prendermi al tuo servizio.

- Come mai hai deciso di rivolgerti proprio a me, che non ho un grande dominio?

- Perché intendi conquistare quel vasto dominio che non hai ancora e io voglio combattere, non rimanere ozioso. Preferisco aiutare un signore coraggioso a conquistare un regno che servire un sovrano imbelle che regna su un immenso territorio. Sono un guerriero.

Dakhir annuisce. Non intende nascondere la verità, per cui dice come stanno le cose.

- Ho conquistato Ras an-Bair in tre giorni, ma ora sono bloccato da un mese qui davanti ad al-Unayzah e tra i miei uomini c’è molto malcontento.

- Se mi darai mano libera, conquisterò al-Unayzah in tre giorni, servendomi solo dei miei uomini.

Dakhir è perplesso. Quest’uomo conta di ottenere in tre giorni ciò che Dakhir stesso non è riuscito ad avere in un mese?

- Sei davvero convinto di riuscire in una simile impresa?

- Sì. La conquisteremo da soli. La città passerà sotto il tuo dominio, i miei uomini si spartiranno il bottino, a parte le ricchezze del palazzo dello sceicco, che ti spettano.

L’offerta è allettante ed è un buon modo per mettere alla prova Kazbech. Se il principe circasso fallirà, Dakhir non avrà perso nulla. Se invece avrà successo e manterrà i patti, Dakhir otterrà al-Unayzah. E se Kazbech non mantenesse i patti? Se volesse tenersi la città per regnarvi? In questo caso poco cambierebbe: Dakhir si troverebbe nella stessa situazione di adesso, ad assediare la città che avrebbe semplicemente cambiato signore. Vale la pena di provare.

- Va bene, Kazbech. Ti do mano libera e accetto le tue condizioni. Se riuscirai nella tua impresa, i tuoi uomini potranno saccheggiare la città e solo le ricchezze del palazzo dello sceicco saranno per me, ma al-Unayzah entrerà a far parte dei miei domini.

- Sì, emiro. Così sarà.

I duecento guerrieri di Kazbech rimangono accampati più a nord: il principe non vuole che i difensori della città li vedano. Solo alcuni raggiungono il loro signore e studiano le modalità d’attacco.

Intanto nell’accampamento si è diffusa la voce che gli uomini del Circasso, come viene chiamato Kazbech, espugneranno da soli la città. Altri uomini di Dakhir lasciano l’accampamento: senza la speranza di un bottino, che senso ha continuare a combattere?

Hamdan appare sempre più perplesso. Osserva:

- Dakhir, ormai diversi uomini se ne sono andati. Se il circasso non riuscirà a conquistare al-Unayzah, dovremo ritirarci.

Dakhir annuisce. Sa che Hamdan ha ragione, ma proprio per questo l’osservazione del fratello lo irrita. Ha quasi l’impressione che Hamdan speri in un fallimento del circasso, per poter finalmente tornare a Halel.

- Staremo a vedere che cosa riuscirà a fare Kazbech. È un uomo forte e deciso.

- Sì, ma credi che il circasso riuscirà davvero a espugnare la città? L’impresa non è facile. Ci proviamo da un mese.

Dakhir cerca di tenere a freno la propria irritazione:

- Credo di sì.

In realtà anche Dakhir ha molti dubbi, ma non vuole dare ragione al fratello.

- E pensi davvero che se la conquisterà, manterrà i patti e te la cederà? Potrebbe decidere di tenerla per sé.

- Merda, Hamdan! Ma si può sapere…

Dakhir non completa la frase. Si controlla e prosegue:

- Anche questo è possibile, Hamdan, lo so, lo so benissimo. Ma in questo caso il suo dominio durerebbe poco: duecento guerrieri, per quanto formidabili, non riuscirebbero a controllare a lungo la città. Noi possiamo raccogliere molti più uomini e lo stesso si può dire di tanti principi della regione. Non credo che a Kazbech convenga ingannarci.

- Spero che sia così, fratello. Non mi fido di quest’uomo.

Dakhir scuote la testa.

- Adesso lasciami in pace.

- Come vuoi.

Hamdan se ne va. Dakhir scuote la testa mentre lo guarda allontanarsi. Hamdan ha la stessa struttura robusta di Dakhir e del loro padre e fisicamente è un uomo molto forte, ma non ha ambizione, non ha proprio i coglioni. Kazbech, invece… cazzo! Quello è un maschio. Ce la farà a conquistare questa fottuta città? Se non ci riuscirà lui, non ce la farà nessuno.

 

I dubbi di Dakhir sono destinati a durare poco. Due giorni dopo il suo arrivo, Kazbech fa arrivare le sue truppe dopo il tramonto e lancia un attacco di sorpresa. In città nessuno sa dell’arrivo dei circassi: le truppe di Dakhir impediscono ogni contatto con l’esterno. Vedendo l’esercito assediante indebolito dalla defezione di molti guerrieri, gli assediati non pensano di dover subire un nuovo attacco.

Al-Unayzah sorge su uno sperone roccioso ed è facilmente raggiungibile solo da sud e da ovest: a nord e a est le mura si innalzano su una parete quasi verticale, che costituisce una difesa formidabile. Ma è proprio da est che gli uomini del Circasso avanzano nottetempo, arrampicandosi sulle rocce. È una manovra difficile per uomini armati e molto pericolosa: chi non riesce a tenersi, precipita, sfracellandosi sul greto del torrente molto più in basso. Due uomini scivolano mentre scalano la parete e cadono, ma nessuno dei due emette un grido: muoiono in silenzio, perché un loro urlo tradirebbe la presenza dei compagni. 

Kazbech e i suoi uomini raggiungono la base delle mura, che in questo tratto sono più basse. Con l’aiuto di corde e uncini si arrampicano. Non è difficile sorprendere le sentinelle, che non si aspettano certo un attacco da questo lato.

Le guardie vengono sgozzate prima che possano dare l’allarme.

Quando gli uomini di Kazbech sono tutti sulle mura, si lanciano alla conquista della città. La guarnigione, presa di sorpresa, viene massacrata senza che riesca a difendersi. I circassi non fanno prigionieri tra i soldati che li affrontano: anche molti di coloro che si arrendono vengono uccisi. Il palazzo dello sceicco è conquistato senza fatica e lo sceicco stesso catturato, insieme a molti dei suoi uomini, che non oppongono resistenza.

Alcuni cittadini si rendono conto che in città si combatte, ma ormai è troppo tardi. Chi è tanto temerario da uscire per dare man forte alla guarnigione, trova rapidamente la morte. I più preferiscono rimanere in casa e non esporsi inutilmente.

È ancora notte fonda quando gli uomini di Kazbech aprono le porte della città a Dakhir. In poche ore di combattimento al-Unayzah è espugnata.

Kazbech accoglie Dakhir sulla porta. Il circasso è a torso nudo e il suo corpo possente è sporco di sangue. La luce delle torce fa luccicare i rivoli di sudore che scorrono sul suo petto e sul suo viso. Dakhir può sentire l’odore forte che emana da questo guerriero. Ha l’impressione che gli manchi il respiro mentre lo contempla. Si rende conto di desiderare questo maschio feroce e vigoroso, di desiderarlo con un’intensità che gli rende difficile parlare.

Kazbech si rivolge a lui:

- La città è nelle nostre mani. Il palazzo è stato conquistato, ma i miei uomini non hanno preso nulla. L’emiro di al-Unayzah e le guardie che non hanno combattuto sono stati rinchiusi nelle prigioni del palazzo.

- Sei stato di parola e anch’io rispetterò l’impegno preso: potete saccheggiare la città, come premio per averla conquistata.

Il mattino dopo incomincia il saccheggio. I circassi passano casa per casa e si prendono tutto ciò che li attira: oro, gioielli, denaro, donne, armi, stoffe, ragazzi. Quasi tutti consegnano ciò che hanno senza cercare di opporsi. Qualcuno prova a difendere la moglie o un figlio e viene immediatamente ucciso.

 

Dakhir è entusiasta. Kazbech si è rivelato il comandante coraggioso e capace di cui aveva bisogno e i suoi uomini sono davvero guerrieri intrepidi. Dakhir decide di dare al principe circasso un’ulteriore ricompensa. Il giorno dopo, nella sala del palazzo, si rivolge a lui:

- Kazbech, i tuoi uomini hanno catturato le guardie del palazzo: puoi considerarli tuoi prigionieri. Potrai usarli come schiavi o chiedere un riscatto per loro.

- Emiro, al-Unayzah ha osato resisterti. Se gli uomini dell’emiro sono miei prigionieri, darò ordine che vengano tutti decapitati, come monito per coloro che oseranno opporsi ai tuoi piani.

Dakhir è perplesso.

- Che senso ha? Questo priverà la città di molti uomini, senza portare nessun guadagno.

- L’esempio renderà più facile la conquista di altre città, che cederanno e verranno risparmiate. Se ti mostrerai clemente con costoro, altri penseranno di poterti contrastare senza correre rischi: ogni conquista richiederà uno sforzo maggiore.

Dakhir sa che Kazbech ha ragione: nella prospettiva di una serie di conquiste, ciò che si potrebbe ricavare vendendo come schiavi le guardie di al-Unayzah non ha una grande importanza, conta di più dare un esempio. E adesso che ha al suo fianco questo comandante valoroso, Dakhir non intende certo fermarsi: al-Unayzah non vale molto, ci sono ben altre prede.

- Ti do mano libera.

Kazbech si inchina davanti a Dakhir

- Grazie, emiro.

Le guardie vengono portate davanti alle mura della città e disposte in file di quattro. Hanno le mani legate dietro la schiena. Gli uomini della prima fila sono costretti a fare due passi avanti e a inginocchiarsi. Sono perplessi e non capiscono che cosa stia succedendo, finché a un cenno di Kazbech, il primo di loro viene decapitato. La testa cade al suolo un attimo prima del corpo, da cui il sangue sgorga abbondante. Gli altri prigionieri gridano, qualcuno invoca pietà, qualcuno invece maledice Kazbech e Dakhir. Uno dei quattro uomini inginocchiati cerca di alzarsi, ma la spada del boia si abbatte sul suo collo prima che sia riuscito a mettersi in piedi.

Passato il primo momento, i più si inginocchiano e muoiono in silenzio o recitando una preghiera. Quando i circassi che svolgono la funzione di boia hanno concluso il loro lavoro, a terra c’è un’enorme pozza di sangue in cui giacciono oltre cento corpi decapitati.

Le teste vengono collocate a un lato della porta principale della città, disposte in modo da formare una piramide: chiunque entrerà o uscirà dalla porta principale, vedrà che cosa succede a chi osa resistere a Dakhir.

Anche lo sceicco di al-Unayzah è prigioniero di Dakhir.

Kazbech chiede:

- Emiro, che cosa conti di fare dello sceicco?

- Chiederò un riscatto. A Hims ha alcuni parenti che possono pagare per lui.

- Emiro, lo sceicco è tuo prigioniero e ne farai ciò che tu vuoi. Ma se al-Unayzah dev’essere un esempio per tutte le città della Siria, lo sceicco deve subire una sorte peggiore di quella dei difensori: sua è stata la scelta di non consegnarti la città. Tutti coloro che governano in Siria devono sapere che opporsi all’emiro Dakhir si paga a caro prezzo.

Dakhir guarda il principe circasso. Kazbech parla di “tutti coloro che governano in Siria”. Dakhir è ambizioso, ma non aveva mai immaginato di poter diventare un giorno signore di tutta la Siria, prendendo il posto di Nur ad-Din. Le parole del principe circasso aprono nuove prospettive.

- Va bene, Kazbech. Fa’ di lui ciò che ritieni opportuno. Ti lascio piena libertà.

Kazbech sorride e si inchina. Dà ordine di portare lo sceicco davanti alla porta principale della città, dove già si erge la piramide di teste dei guerrieri.

- Spogliatelo.

Lo sceicco è un uomo ancora giovane e vigoroso, che cerca di non mostrare paura, anche se ha capito che verrà ucciso. Gli uomini di Kazbech gli tolgono tutti gli abiti, lasciandolo nudo.

- In ginocchio, cane.

L’uomo non obbedisce, ma due soldati lo costringono a inginocchiarsi. A un cenno del capo di Kazbech, il boia decapita lo sceicco con un movimento rapido della spada. La testa rotola sulla terra. Il corpo cade inerte.

Kazbech dà ordine al boia:

- Castralo.

Il boia si china sul cadavere e con il pugnale recide il cazzo e i coglioni, poi infila i genitali nella bocca del morto. Un palo viene infisso nella terra, sul lato della porta opposto a quello della piramide di teste.

È Kazbech stesso a prendere il capo dello sceicco e a infilarlo sul palo aguzzo con un movimento deciso. Il cadavere viene legato a un cavallo e trascinato via. Verrà abbandonato in aperta campagna, agli animali selvatici: il negargli la sepoltura è un ulteriore sfregio.

Dakhir e Hamdan hanno assistito alla scena dall’alto delle mura. Sì, Kazbech ha ragione. Il terrore spingerà i signori a cedere: nessuno vorrà finire come lo sceicco di al-Unayzah. Certo, non tutti si arrenderanno facilmente, i più forti cercheranno comunque di resistere, sperando in una vittoria. Ma con Kazbech al suo fianco, Dakhir si sente sicuro del fatto suo.

Dakhir osserva, trionfante:

- Avevi dei dubbi, ma Kazbech ha mantenuto la sua parola.

Hamdan annuisce:

- È davvero un uomo valoroso e un grande combattente. Un ottimo acquisto.

- Credo che ne farò il nuovo comandante dell’esercito.

- Non pensi che questo susciterà malcontento tra i nostri uomini?

- Se Kazbech decidesse di andarsene e mettersi al servizio di qualcun altro, sarebbe molto peggio: hai visto che uomo è, non vorrei mai trovarmelo di fronte come avversario. No, rimarrà al mio fianco. E grazie a lui tutta la Siria settentrionale dovrà piegarsi.

Dakhir ha parlato della Siria settentrionale, ma la sua mente va oltre, ormai immagina di spodestare lo stesso Nur ad-Din. Per il momento è solo un sogno piacevole da accarezzare, un domani forse non lontano potrebbe diventare realtà.

Hamdan osserva:

- Hai promesso che mi darai una città.

Dakhir sorride. Hamdan voleva tornarsene a Halel, rinunciando a conquistare persino al-Unayzah, ma ora che la città è stata espugnata, ricorda la promessa che Dakhir gli ha fatto tempo fa.

- Certo, Hamdan, diventerai signore di una città.

- Mi darai al-Unayzah?

Dakhir ride.

- Al-Unayzah? È un piccolo centro che vale poco. Davvero ti accontenteresti di al-Unayzah? Presto conquisteremo le fertili valli più a sud, dove ci sono città ben più importanti e ricche: ti darò Shaqra o Jabal al-Jadid.

Hamdan sorride, ma sembra incerto.

- Sono due splendide città, ma sono lontane, prima di riuscire a conquistarle…

Dakhir scuote la testa: suo fratello sarebbe ben felice di governare una ricca città, come le due che lui ha citato, ma sa che prima di arrivare alle valli meridionali dovranno espugnare numerose fortezze e centri meno importanti e non ha nessuna voglia di affrontare ancora battaglie e assedi. Hamdan ha seguito Dakhir in guerra perché gli deve obbedienza, ma avrebbe preferito non impegnarsi in una gravosa campagna militare.

Eppure saranno i figli di Hamdan a ereditare un giorno i territori conquistati, dato che Dakhir non ha eredi e l’altro loro fratello, Bilal, è più giovane.

Kazbech li raggiunge sulle mura. Dakhir guarda le mani del guerriero, sporche di sangue. Questo maschio forte e spietato lo attrae, come non gli era mai capitato. Dakhir ha posseduto molti uomini e ha permesso a pochi di prenderlo, ma ora gli sembra di non aver mai desiderato nessuno come il principe circasso.

Hamdan si allontana. Dakhir si rivolge a Kazbech:

- Sei un grande guerriero, Kazbech.

- Ti ringrazio, emiro. Spero di avere altre occasioni di dimostrare il mio valore. Non sono sceso dai monti della Circassia per oziare.

- Altre gloriose imprese ti attendono, principe. Ho grandi progetti.

- Sarò ben lieto di servirti.

Dakhir intende far capire a Kazbech che lo desidera, ma vuole saggiare il terreno prima di scoprirsi. Chiede:

- Non ti è pesato lasciare la tua terra?

- Là sarei sempre rimasto soltanto il fratello del sovrano. E mio fratello diffidava di me. Non era contento di avere al suo fianco un guerriero valoroso, che poteva metterlo in ombra. Ho scelto di andarmene, alla ricerca di fortuna.

- Non hai una famiglia, una moglie?

- No, ora non ne sento il bisogno. Forse in futuro.

Dakhir sorride.

- Sì, capisco. Io mi sono sposato due volte per avere figli a cui lasciare il regno, ma Allah non ha voluto che i miei figli vivessero. Saranno i figli di Hamdan a ereditare il regno che voglio creare.

Kazbech annuisce. Dakhir prosegue:

- Tu hai conquistato il palazzo. Il giovane sceicco aveva tre mogli e diverse concubine. Se qualcuna di loro ti piace, te ne faccio volentieri dono.

- Ti ringrazio, emiro, ma non mi interessano. Le femmine…

Kazbech lascia la frase in sospeso e alza le spalle, come a dire che non vale nemmeno la pena di parlarne.

- Hai ragione. Mi dico che anch’io avrei potuto fare a meno di sposarmi, visto che i miei figli sono morti ancora bambini. Il matrimonio serve per quello, per fare figli, per il piacere…

Dakhir alza le spalle e sorride. 

Kazbech annuisce. Deve aver capito. E infatti risponde, sorridendo:

- Il piacere si può raggiungere in molti modi.

C’è un momento di silenzio. I due uomini si fissano, senza dire nulla.

Poi Dakhir mormora, con la voce resa un po’ roca dal desiderio:

- Vuoi venire questa notte nella mia camera?

Kazbech annuisce.

- Verrò.

Dakhir sorride. È l’emiro e se invita un uomo nel suo letto, ben difficilmente qualcuno si rifiuta. Ma se non lo desiderasse, Kazbech avrebbe detto di no.

 

Nel palazzo dello sceicco di al-Unayzah si tiene un grande banchetto serale per festeggiare la vittoria. I musicisti suonano per allietare il nuovo emiro, suo fratello e il comandante dell’esercito. Le serve portano in tavola le vivande, che i cuochi hanno cucinato scegliendo il meglio che la dispensa dell’emiro offriva. Tutti sorridono al loro nuovo signore, anche se molti hanno perso un fratello, un figlio, un amico.

Al termine del pasto, Hamdan e Dakhir si ritirano nelle loro camere: entrambi dormono negli appartamenti dello sceicco. Kazbech preferisce dormire nella sua tenda, nell’accampamento fuori dalle mura: non gli interessano le comodità.

Ma questa sera dopo il banchetto Kazbech non lascia il palazzo. Si limita a fare un giro di controllo e quando tutti ormai si sono ritirati nelle loro camere, si dirige verso la stanza di Dakhir. Gli uomini di guardia lo lasciano passare, come ha ordinato l’emiro: sicuramente pensano che il principe circasso e Dakhir si ritrovino per prendere decisioni importanti.

L’ambiente è illuminato solo da una lampada a olio posata a terra, vicino al tappeto su cui è seduto Dakhir. L’emiro avrebbe voluto spogliarsi e stendersi sul letto, ma conosce appena Kazbech e preferisce non mostrarsi impaziente. Non vuole che il principe circasso lo disprezzi.

Quando Kazbech entra, Dakhir si alza in piedi. Osserva il magnifico maschio che ha davanti a sé. Ha la gola secca. Deglutisce.

Kazbech sorride. Dice, piano:

- Spogliami, Dakhir.

Non lo ha chiamato con il titolo: ogni distanza tra l’emiro e il guerriero al suo servizio è cancellata, ma questo non sminuisce Dakhir, perché Kazbech è un principe.

Dakhir annuisce. Posa le mani sulla fibbia che tiene fermo il mantello: uno splendido gioiello d’oro a forma di aquila. Dakhir sorride e per nascondere la sua tensione dice:

- Questa fibbia è una meraviglia.

Quando Dakhir apre la fibbia, il mantello scivola a terra. Dakhir posa le mani sui fianchi di Kazbech e solleva la tunica. Il principe alza le braccia per permettergli di sfilarla. Dakhir osserva le spalle larghe e il torace possente del circasso, velato da una leggera peluria di un rosso ancora più scuro della barba, quasi nero. Dakhir ha la gola secca. Vorrebbe calare i pantaloni del guerriero, ma esita. Poi, superate le remore, appoggia le mani sui fianchi del circasso e cala lentamente l’ultimo indumento.

Quando i pantaloni scendono a metà coscia, Dakhir, si ferma. Mai nella sua vita ha visto un maschio così dotato. Smarrito, Dakhir alza gli occhi sul circasso, che sorride leggermente e gli poggia le mani sulle spalle. 

Dakhir non oppone resistenza: scivola in ginocchio. La sua resa è completa.

Le sue mani abbassano completamente i pantaloni. Dakhir avvicina la bocca al cazzo del circasso. Ne sente l’odore, intenso, di sudore e piscio. Questo afrore non gli dispiace. Quasi tremando prende in bocca il cazzo e lo accarezza con la lingua. L’animale drizza rapidamente il capo, acquistando rigidità e volume. Man mano che si gonfia di sangue, Dakhir si rende conto di fare sempre più fatica a tenerlo in bocca, finché è costretto a lasciarlo. Lo contempla, meravigliato. Il cazzo del circasso proietta una grande ombra sul suo ventre e sul torace. Sotto, illuminati dalla luce della lampada, i due coglioni sono magnifici. Dakhir tende la mano e li stringe. Ne sente la durezza e la grandezza, sotto la pelle umida di sudore. Dakhir è preso da un senso di vertigine.

Il circasso gli mette una mano dietro la testa e l’avvicina al cazzo, senza dire nulla.

Dakhir ha l’impressione di non avere più forza. Apre la bocca al massimo e passa più volte avidamente la lingua sulla cappella, poi l’avvolge con le labbra e incomincia a succhiarla. Le sue mani si posano sui fianchi di Kazbech, stringono con vigore il culo muscoloso. Tutto in questo maschio è forza e virilità.

Una mano di Kazbech si è posata sulla sua testa, dietro la nuca, come a impedirgli di staccare la testa dal cazzo che sta succhiando. Ma Dakhir non vuole lasciare la preda, per quanto non sia facile tenerla in bocca.

Kazbech toglie la mano. Dakhir ritrae il capo e guarda ammaliato il cazzo del principe circasso. Davvero non hai mai visto nulla del genere.

- Stenditi, Dakhir.

Dakhir alza gli occhi su Kazbech, che incombe su di lui. Gli sembra di essere piccolo e debole di fronte a questo maschio possente. Di colpo ha paura: non sarà facile accogliere l’arma del circasso.

Kazbech gli mette le mani sulle spalle e lo forza a sdraiarsi, poi lo volta. Ora Dakhir è steso sui cuscini, prono. Kazbech gli fa sollevare un po’ il culo e divaricare bene le gambe. Gli appoggia le mani sulle natiche e spinge verso l’esterno. Sputa sul buco del culo e poi sparge la saliva tutto intorno. Poi sputa di nuovo e inumidisce bene l’apertura, spingendo un dito all’interno. Ripete ancora l’operazione tre volte, introducendo due dita.

Fa male, ma a Dakhir non importa. Attende l’ingresso dell’arma. Kazbech si appoggia su di lui e spinge un po’ in avanti il culo. Dakhir sente la pressione, forte, del cazzo contro l’apertura. Apre la bocca e gli sfugge un gemito. Lentamente il cazzo del circasso entra in lui. Dakhir ha l’impressione che sia un palo che lo penetri. Eppure, nonostante il dolore, violento, che a tratti gli toglie il fiato, c’è una sensazione di pienezza che lo stordisce.

Kazbech avanza ancora. Se i cuscini non lo sostenessero, Dakhir crollerebbe. Mormora:

- Kazbech!

Sente la risata del circasso, le cui mani scivolano sotto per afferrargli il cazzo e i coglioni. È una stretta forte, che fa sussultare Dakhir. Una mano di Kazbech accarezza il cazzo, che acquista rapidamente consistenza e volume. L’altra stringe i coglioni in una carezza rude. E intanto Dakhir sente che il palo che lo trafigge ha preso a muoversi. Ogni spinta trasmette una fitta, ma è anche un’ondata di piacere, che stordisce l’emiro.

Kazbech cavalca a lungo, martoriando il culo di Dakhir, mentre le sue mani tormentano il cazzo e i coglioni dell’emiro. Dolore e piacere si mescolano, in ondate sempre più forti. E infine il piacere è incontenibile e Dakhir viene. Il suo seme si sparge sui cuscini, mentre Kazbech accelera il movimento e infine sparge il suo seme dentro di lui.

Kazbech esce e si stende sui cuscini accanto a Dakhir, che chiude gli occhi, stremato. Il piacere è stato intensissimo, ma adesso il dolore al culo è violento.

Dakhir si volta, mettendosi sulla schiena. Muove il braccio e la sua mano raggiunge il cazzo del circasso. Lo sente rigido e grande, come se non fosse venuto. Lo accarezza.

Kazbech ride.

- Ci vuole un momento perché abbassi la testa. Tra poco però chinerà il capo e poi lo rialzerà e potremo riprendere.

Dakhir non lascia la sua preda, ma risponde:

- Non ce la farei un’altra volta… No, mi sembra di avere tutti i diavoli della Geenna in culo.

Kazbech ride di nuovo.

- Ti abituerai. Se sei sazio, per questa sera ci fermiamo qui.

- Credo che sia meglio.

Ma la mano di Dakhir stringe ancora il cazzo del circasso, che lentamente si riduce di volume e perde rigidità. Dakhir guarda il corpo steso accanto al suo.

- Sarai il comandante del mio esercito, Kazbech. E la notte, se vorrai, dividerai il mio letto.

- Non chiedo di meglio, Dakhir. Vuoi che mi fermi qui o preferisci che torni nella mia tenda?

A Dakhir spiace che Kazbech se ne vada, ma preferisce che non circolino voci. Non c’è niente di strano che Kazbech abbia trascorso un’ora nella camera di Dakhir: possono aver discusso mille cose. Ma se vi trascorresse l’intera notte, la spiegazione che verrebbe data sarebbe diversa.

- Vorrei che tu ti fermassi, ma è più saggio che tu te ne vada.

Kazbech annuisce. Si rialza. Dakhir lo guarda vestirsi, senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui nemmeno un secondo.

Quando è pronto, Kazbech si mette il mantello su una spalla e chiude la fibbia. Poi si toglie il monile d’oro che porta al collo e lo porge all’emiro.

- Questo è per te.

Dakhir accoglie il dono con gioia: vi legge il pegno di un legame che li unirà fino alla morte.

- Grazie.

Dakhir stringe il monile tra le dita, poi se lo mette al collo.

- Buona notte, emiro.

- Buona notte, comandante.

Dakhir si stende. Le sue dita accarezzano il monile.

 

Kazbech esce dalla camera e poi dal palazzo. Raggiunge la porta principale della città, dove le guardie gli aprono un battente per permettergli di uscire, e si dirige all’accampamento.

Il suo scudiero Imad si alza quando lo sente arrivare.

Kazbech lascia che Imad lo spogli. Quando è nudo, si rivolge a Imad e gli ordina:

- Succhia il cazzo del comandante dell’esercito dell’emiro, Imad.

Imad sorride, lieto che Kazbech abbia ottenuto il posto di comandante. Si mette ginocchioni e, come ha fatto tante volte, prende in bocca il cazzo del principe. Sente dall’odore e dal gusto che Kazbech ha posseduto da poco qualcuno. L’emiro, forse? O il fratello? Imad sa che non spetta a lui chiedere e che Kazbech non gli dirà nulla. Il principe gli comunicherà i suoi piani se avrà bisogno di lui per portarli a compimento.

Imad tace e lavora alacremente. Sa come far godere il suo signore e le sue labbra e la sua lingua guidano al piacere il circasso. Imad inghiotte il seme di Kazbech. Poi attende che il suo signore si stenda e spegne la lanterna.

 

Dakhir si ferma ad al-Unayzah, per organizzare l’amministrazione della città, che è ormai parte del suo dominio. Kazbech è sempre al suo fianco. Di giorno progettano insieme nuove conquiste: il principe circasso è sicuro che riusciranno a impadronirsi di tutta la Siria settentrionale e lascia intravedere la possibilità di andare anche oltre. La notte Dakhir si offre a Kazbech senza remore, preda di un desiderio che non può e non vuole controllare. A malincuore lascia che il circasso torni alla sua tenda dopo averlo posseduto due o tre volte: vorrebbe trattenerlo, ma preferisce che nessuno sospetti il legame che li unisce. Il monile d’oro che Kazbech gli ha donato è sempre al suo collo, giorno e notte.

Una settimana dopo la conquista, l’esercito lascia la città sottomessa e fa ritorno a Halel. La cittadina si trova all’ingresso di una stretta valle, sui cui fianchi sorgono due fortezze. Una muraglia unisce le due piazzeforti alla città, creando un imponente complesso di fortificazioni che sbarra l’ingresso della valle e testimonia la potenza della stirpe guerriera dei signori di Halel.

I circassi si accampano fuori dalle mura, vicino al fiume. Solo Kazbech si stabilirà nella residenza dell’emiro, insieme al suo scudiero e a pochi uomini fidati.

Dakhir entra in città, con Kazbech e Hamdan, percorrendo lo strade in cui si accalca la popolazione: la folla accoglie festosa l’emiro che ritorna vittorioso e guarda con curiosità il principe venuto dal nord, che pare essere tanto forte e coraggioso, quanto spietato. Il circasso non delude le aspettative della gente che si accalca per vederlo: quest’uomo forte è di certo un guerriero formidabile.

L’emiro raggiunge il palazzo, un edificio fortificato posto sul fiume che attraversa la città. Nella residenza dell’emiro vivono anche i suoi due fratelli: Hamdan, con i tre figli, e Bilal, con la moglie e la figlia. Dakhir non intende fermarsi a lungo a Halel: vuole ripartire presto per conquistare altre fortezze e città.

 

Nel palazzo Hamdan ritrova i suoi tre figli. I due maschi, Akram e Farid, non hanno accompagnato il padre nella spedizione. Akram ha ventisei anni e avrebbe voluto partire: è un giovane coraggioso e ha già combattuto più volte, ma una malattia lo ha costretto a letto e gli ha impedito di accompagnare il padre e lo zio. Farid ha solo sedici anni e Hamdan ha preferito lasciarlo a Halel, tanto più che Farid non ha il temperamento guerriero del fratello. Hamdan pensa spesso che il suo figlio maggiore assomiglia a Dakhir: ama la battaglia e l’azione. Farid invece assomiglia di più a lui e non è attratto dalla guerra. Tutti e due però sono ambiziosi, assai più del padre, e la conquista di al-Unayzah a opera di colui che viene chiamato semplicemente il Circasso li ha entusiasmati.

Farid osserva:

- Ora che questo Kazbech è il comandante dell’esercito, conquisteremo tutta la Siria. I signori di Halel prenderanno il posto dei signori di Damasco.

Akram non dice nulla, ma è irritato: Farid parla come se pensasse di poter diventare lui il signore di Halel e di tutta la Siria, mentre Akram ritiene di essere l’erede legittimo dei territori dello zio, visto che è il primogenito. Il problema è che suo padre non ha mai nascosto la predilezione per il figlio minore. Ad Akram poco importa che il padre sia più affezionato a Farid, ma teme che un giorno possa designarlo come erede. Se suo padre morisse prima dello zio, non ci sarebbe nessun problema: Dakhir non ha mai mostrato nessuna simpatia per il nipote più giovane. Se invece accadesse il contrario e Hamdan ereditasse i domini del fratello, Akram teme che suo padre sceglierebbe Farid come successore.

Hamdan sorride al figlio minore e scuote la testa.

- Fai tutto semplice, Farid, ma non è così. Ci saranno altre conquiste, forse, ma ci vorrebbero davvero molte battaglie per arrivare a scalzare Nur ad-Din. E ogni battaglia mette a rischio tutte le conquiste precedenti. Basta poco per perdere quanto si è conquistato.

Akram osserva:

- Certo, ma senza rischiare non si può arrivare a nulla.

Hamdan scuote la testa: conosce l’ambizione dei suoi figli, ma non l’approva. Il territorio di Halel è abbastanza ampio così: perché mettere a rischio quello che si possiede per conquistare nuove terre? Ma Farid e Akram sono come il loro zio: non si accontentano di ciò che hanno, vogliono ottenere di più. In ogni caso ciò che si farà dipende da Dakhir: è lui a comandare. E il Circasso lo sprona a nuove conquiste.

 

Dakhir ha convocato Bilal, che in sua assenza ha governato la città. Bilal è un figlio di secondo letto del padre di Dakhir e Hamdan ed è molto più giovane dei due fratelli: ha appena trent’anni. È un bell’uomo, vigoroso ma snello, con folti capelli neri come la lunga barba. Non assomiglia a Dakhir e Hamdan, che sono tarchiati e hanno corpi appesantiti dagli anni e pochi capelli.

Bilal sa che non diventerà mai signore di Halel, perché dopo Dakhir il comando passerà a Hamdan e poi ai suoi due figli, ma spera che le nuove conquiste gli permettano di diventare governatore di una città, garantendogli una certa autonomia. È stato contento di poter reggere Halel in questo periodo in cui Dakhir era impegnato nelle conquiste.

Bilal si presenta immediatamente. Accanto a Dakhir c’è Kazbech. Bilal si chiede perché suo fratello fa assistere questo straniero al loro colloquio: Kazbech è il comandante militare, ma l’amministrazione della città non riguarda certo l’esercito.

Dakhir chiede a Bilal di riferirgli ciò che è successo durante la sua assenza. Bilal non ha molto da raccontare. La sua relazione è dettagliata, ma poco significativa: ha svolto il suo compito con cura, perché è coscienzioso e sapeva che avrebbe dovuto rendere conto al fratello maggiore.

Bilal si accorge che Kazbech lo fissa con attenzione e questo lo mette a disagio, anche se non ha niente da nascondere. Questo principe circasso non gli piace. Perché Dakhir ha tanta fiducia in lui? Kazbech è senza dubbio un grande guerriero, ma è solo il comandante dell’esercito. Quando Dakhir lo congeda, Bilal lascia la sala con un senso di fastidio.

 

La sera si tiene un grande banchetto, allietato dai musicisti. Ai posti d’onore, accanto all’emiro, siedono Hamdan con i due figli maschi, Bilal e Kazbech. 

Farid guarda Kazbech. Lo ha già visto di sfuggita in giornata, ma ora può ammirarlo con calma. Il principe circasso è un maschio magnifico e Farid, che è sempre stato attratto dagli uomini, ne è affascinato. Farid è un bel ragazzo, snello, con lunghi capelli di un castano chiaro e un viso su cui la barba è ancora molto rada. È abituato ad essere guardato con desiderio, ma Kazbech non sembra badare a lui. D’altronde Kazbech e Farid non sono seduti vicino e durante la serata non si parlano direttamente.

Farid cerca di attrarre l’attenzione del Circasso mostrando la sua ammirazione per la conquista di al-Unayzah, ma le lodi non sembrano ottenere l’effetto desiderato. Alla fine del pasto i servitori portano l’acqua per lavarsi le mani e gli asciugamani. Tutti si alzano, ma un servo porta ancora una bevanda all’acqua di rose moscata. Mentre beve, Farid si rivolge direttamente a Kazbech, dicendogli:

- Hai compiuto davvero un grande impresa, conquistando in una notte una città che aveva resistito un mese.

Kazbech alza le spalle e dice:

- Ci saranno ben altre conquiste.

Poi si sposta, avvicinandosi a Dakhir. Farid è deluso. Riproverà in un altro momento ad avvicinarsi a Kazbech, magari quando non ci sarà nessun altro intorno.

 

Dakhir ha notato l’interesse del ragazzo e, dopo che Hamdan e i suoi figli si sono ritirati, dice a Kazbech:

- Hai fatto colpo su Farid.

Dakhir lo dice ridendo, per nascondere il malumore che l’interesse di Farid per Kazbech ha suscitato in lui. A Kazbech non è sfuggito lo sguardo avido di Farid, come ora non gli sfugge l’irritazione di Dakhir. Perciò alza le spalle e ride.

- Davvero? Quel ragazzino seduto a fianco di Hamdan? Dakhir, che me ne faccio di uno così?

Dakhir annuisce. La risposta di Kazbech lo ha tranquillizzato. Non sopporterebbe l’idea di dividere Kazbech con altri, men che mai con suo nipote. Osserva:

- È bene che stia lontano, altrimenti potrebbe succedergli qualche cosa di male, anche se è il preferito di mio fratello.

Kazbech scoppia a ridere:

- Lascia perdere quel moccioso, che cosa vuoi che mi importi di uno che ha appena imparato a pulirsi il culo da solo?

Dakhir sorride. Guarda Kazbech e pensa che questo maschio è suo, soltanto suo, e che tra poco lo prenderà.

- Andiamo in camera mia, Kazbech.

Il Circasso annuisce, sorridendo.

 

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Il giorno dopo Kazbech incrocia Farid in un corridoio. L’incontro potrebbe essere casuale, ma Kazbech ha il sospetto che non lo sia. Kazbech sorride a Farid, ma non si ferma. È invece Farid a fermarsi e a dire, sorridendo:

- Volevo farti ancora i complimenti per la conquista di al-Unayzah. Tu dici che ci saranno altre imprese e non ne dubito, ma anche questa non è stata da poco.

Kazbech sorride, mentre con una rapida occhiata controlla se qualcuno li può vedere.

- Grazie, Farid. Sì, ci saranno molte altre imprese e altre conquiste. È solo l’inizio.

- Certo: sei un uomo valoroso e un grande guerriero.

Kazbech annuisce, poi dice:

- Farid, non è opportuno che ci vedano parlare a lungo. Poi ti spiegherò. Se mi vuoi…

Kazbech fa una breve pausa, poi riprende:

- … parlare, puoi venire questo pomeriggio nella mia camera, ma bada che nessuno se ne accorga.

Kazbech dorme nel palazzo dell’emiro, in una camera vicino all’appartamento di Dakhir.

Farid rimane un attimo disorientato. Non capisce perché non sia opportuno che li vedano insieme. In ogni caso la proposta di Kazbech, con quella pausa di certo non casuale, va esattamente incontro ai suoi desideri. Stabiliscono un’ora, poi si separano.

Più tardi, nell’appartamento di Dakhir, l’emiro dice a Kazbech, ridendo:

- E il piccolo Farid? Si è fatto vivo?

La domanda sembra innocente, ma Kazbech sa benissimo che non lo è, per nulla. Ride e risponde:

- Certo! L’ho incrociato e mi ha fatto di nuovo i complimenti per il mio valore. Non sembra avere molti argomenti di conversazione, il tuo nipotino.

- Tutto lì?

- Dakhir, non ho tempo da perdere per un moccioso che avrà ancora i denti da latte.

Sanno tutti e due che a sedici anni di sicuro Farid non ha i denti da latte, ma il concetto è chiaro. Dakhir annuisce e dice, senza più nascondere la sua irritazione nei confronti di Farid:

- Non mi piace vederlo che ti gira intorno e ti guarda in quel modo.

- Va bene, Dakhir, se ti dà fastidio, la prossima volta che lo vedo lo mando a cagare e così girerà alla larga. C’è un solo maschio che mi interessa e non è un ragazzino. È un uomo fatto, forte.

Kazbech sorride, attira Dakhir a sé e lo stringe tra le braccia. Poi le sue mani afferrano con forza il culo dell’emiro, ma una lascia la presa, per sollevare la tunica e infilarsi nei pantaloni. Due dita scivolano alla ricerca dell’apertura, la raggiungono, l’indice entra dentro, facendo sussultare Dakhir.

Dakhir ride:

- Come sei irruente…

Ma il desiderio di Kazbech accende il suo e le sue mani e la sua bocca cercano il corpo del Circasso. Per la prima volta le loro labbra si incontrano e dopo un bacio appassionato, Dakhir si stacca e guarda Kazbech. Mormora:

- Fino alla morte, Kazbech, fino alla morte…

Kazbech annuisce.

Dakhir non avrebbe voluto parlare: si conoscono da due settimane. Ma ciò che brucia dentro Dakhir è qualche cosa di molto più forte del desiderio di questo corpo vigoroso, che sta stringendo a sé. Kazbech lo sta spogliando, con gesti bruschi, che tradiscono l’impazienza del desiderio. La tunica si lacera. A Dakhir nulla importa: l’irruenza di Kazbech è miele per l’emiro, che vuole sentirsi desiderato.

- Ti voglio, Dakhir, ti voglio.

Kazbech non ha nemmeno finito di spogliarsi, ma già spinge Dakhir sui cuscini, passa la lingua sul solco tra le natiche, due volte, poi infila due dita inumidite e infine, dopo aver preparato la strada, avvicina il cazzo e lo spinge nel culo dell’emiro.

Fa male, questo ingresso un po’ brusco, ma è così bello essere preda di questo maschio vigoroso, abbandonarsi al suo amplesso, lasciarsi martoriare le viscere. È così bello sentire le sue braccia che stringono, i suoi denti che mordono, la sua lingua che lecca, la sua bocca che pronuncia parole sconce. La cavalcata di Kazbech è lunga e Dakhir sente il dolore crescere, ma anche il piacere, che diventa tanto forte da non poter più essere contenuto. Dakhir geme, più volte, e sparge il suo seme sui cuscini, mentre lo sborro del principe circasso gli inonda le viscere.

Kazbech lo tiene stretto a sé e Dakhir si abbandona a questo abbraccio. Lentamente, molto lentamente, dentro di lui il cazzo si riduce di volume e perde consistenza. La sua presenza diviene più tollerabile e Dakhir pensa che vorrebbe vivere così, tra le braccia di questo maschio vigoroso.

Dakhir ride e dice:

- Potrei farti tagliare il cazzo e poi mettermelo in culo. Così l’avrei tutti i giorni.

Kazbech ride e replica:

- Ce l’hai già tutti i giorni, Dakhir.

Più tardi Kazbech si alza e si congeda da Dakhir. Preferiscono non trascorrere troppo tempo insieme, perché nessuno sospetti.

Kazbech raggiunge la sua camera.

 

Farid arriva poco dopo.

- Nessuno ti ha visto?

- No, ma non capisco…

Farid non prosegue: Kazbech lo ha afferrato e lo sta stringendo tra le braccia.

- Ti spiegherò dopo. Adesso è altro quello che vogliamo, no?

E mentre lo dice gli stringe il culo con le dita e lo bacia sulla bocca.

Farid è sorpreso dalla sfrontatezza di Kazbech. Si aspettava qualche schermaglia preliminare, ma Kazbech va subito al dunque. Farid si dice che questo guerriero è abituato a impadronirsi di slancio di tutto ciò che desidera, che sia una città come al-Unayzah o il corpo di un giovane maschio, come lui.

Le braccia di Kazbech sono forti, le sue mani spietate e febbrili, i suoi baci impetuosi. Farid si arrende senza combattere, sapendo che non ci sarà pietà per chi si sottomette. Ma Kazbech si stacca e dice:

- Spogliami, Farid.

Farid annuisce. Le sue dita accarezzano la pelle del principe attraverso la stoffa. Slacciare la fibbia, far cadere a terra il mantello, togliere la tunica: ogni gesto è un piacere delle dita e degli occhi.

Farid guarda il petto villoso e ben tornito di Kazbech, poi si inginocchia. Attraverso la stoffa dei pantaloni può vedere il rigonfio del cazzo. Farid ha la gola secca. Deglutisce. Fa scivolare a terra i pantaloni e rimane incantato a osservare l’uccello che svetta. Vorrebbe sentirne il gusto, ma gli sembra di non riuscire a muoversi. È Kazbech a mettergli una mano dietro la nuca e quasi a forzarlo ad avvicinare la bocca. Farid sente l’odore, intenso, e poi le sue labbra si schiudono per accogliere la cappella. Il ragazzo avvolge con la bocca la sua preda. Le sue labbra e la sua lingua lavorano alacremente. È una sensazione bellissima, quella di questo cazzo vigoroso che adesso avanza nella sua bocca. A Farid sembra di non riuscire più a respirare. Si ritrae. Kazbech lo lascia fare, ma poi nuovamente lo forza ad accogliere il suo cazzo. Farid lecca e succhia avidamente.

Kazbech ride, poi intima:

- Stenditi sui cuscini, a gambe larghe.

Farid esita.

- Non so… ce l’hai troppo grosso… io…

- Farò piano, non ti preoccupare.

Farid lascia la preda e si stende. Kazbech gli divarica le natiche con le mani e sputa sul buco. Sparge bene la saliva.

- Kazbech, io…

- Non ti preoccupare, te l’ho detto, non ti farò male.

Kazbech preme con il cazzo contro il buco. Farid sussulta. Kazbech spinge leggermente, introducendo la cappella. Poi esce. Farid tira il fiato, ma l’ospite si affaccia nuovamente e questa volta si spinge un po’ più avanti. Kazbech afferra i fianchi di Farid e stringe con forza, poi le sue mani scivolano in una ruvida carezza sulla schiena del ragazzo, fino alla testa. E intanto l’arma formidabile avanza dentro Farid, dando piacere e dolore. Kazbech si ritrae fino a uscire, poi avanza di nuovo e il movimento del suo cazzo è accompagnato da quello delle sue mani, che accarezzano, stringono, pizzicano. I suoi denti mordono il lobo di un orecchio di Farid, mentre l’arma affonda di più e Farid sente il dolore crescere, ma anche il piacere. Vorrebbe gridare a Kazbech di uscire, perché è troppo doloroso, ma vorrebbe che Kazbech continuasse. E Kazbech avanza piano e poi arretra e nuovamente si spinge in avanti, sempre più a fondo, per poi abbandonare il terreno conquistato e ritornarvi e avanzare ancora. E Farid geme, preda di un piacere che lo squassa tutto, che è più forte del dolore provocato da questa invasione.

Una mano di Kazbech passa davanti, avvolge i coglioni e poi il cazzo, stringe, accarezza, avvolge, mentre le spinte diventano più intense. Farid non regge più, il dolore è troppo forte, ora, ma il piacere lo domina ancora e infine esplode in un getto possente, mentre il seme di Kazbech gli inonda le viscere.

Farid chiude gli occhi. In culo sente il cazzo del Circasso, ancora rigido e grande. Sussurra:

- Esci, per favore.

Kazbech si stacca e si stende sulla schiena. Farid appoggia la testa sul suo petto. Una mano scivola fino al cazzo, ancora gonfio di sangue e teso. È bello rimanere così.

Dopo un momento, Kazbech dice:

- Ascoltami bene, Farid. Tuo zio diffida di te. Sa che sei il preferito di suo fratello e quindi il futuro erede al trono. Se ci vedesse vicini, se sospettasse che scopiamo, avrebbe paura che ci mettiamo d’accordo per sottrargli il regno. In questo caso un laccio risolverebbe per sempre i contrasti tra te e tuo fratello per l’eredità di Halel.

Farid è preoccupato.

- Non pensavo… ma perché lo zio dovrebbe preoccuparsi?

- Io sono il comandante dell’esercito, in grado di guidarlo a nuove vittorie. Tu sei un possibile erede. Un legame tra noi è una minaccia per lui. Sai benissimo come funzionano le cose tra i signori.

Nella famiglia di Dakhir non è mai stato così, ma in molte dinastie non è raro che alcuni degli eredi vengano fatti assassinare dal sovrano, come misura precauzionale: se non avevano nessuna intenzione di complottare per conquistare il potere, non ha importanza. Quello che conta è che non possano più farlo.

- Sì, capisco…

- Allora da questa sera mostrerai nei miei confronti una certa irritazione. Io dirò a Dakhir che tu ti sei avvicinato e io ti ho deriso e respinto. Io fingerò di disprezzarti e tu di essere furente con me, anche se lo dissimuli: non esagerare. Così potremo trascorrere molte altre ore come queste. E quando sarà il momento…

Kazbech non conclude il discorso. Farid chiede:

- Che cosa succederà quando sarà il momento?

Kazbech sorride:

- Lo vedremo. Però posso garantirti che per allora il culo ti farà male.

Farid ride.

- Quello mi fa già male adesso.

Ma intanto pensa al futuro. Si immagina signore di Halel e di molte altre città, al fianco di Kazbech. Vede il comandante dell’esercito che torna vittorioso dall’ennesima battaglia, sporco di sangue, e lo stringe tra le braccia, lo spoglia, lo possiede. Emiro di Halel, signore della Siria, con Kazbech sempre al suo fianco, ai suoi ordini, ma insieme suo padrone…

 

Il giorno dopo Dakhir coglie l’irritazione di Farid e il sorriso beffardo di Kazbech, che sembra deridere il giovane. Quando si ritrovano nel pomeriggio, Dakhir osserva:

- Anche oggi Farid ti guardava, ma sembrava odiarti.

- Avevi visto giusto. Oggi si è fatto avanti e io gli ho detto ciò che penso di lui: non è stato contento di sentirsi trattare come un bambinetto infoiato, una troietta in calore. Ha giurato di vendicarsi.

Kazbech ride.

Dakhir scuote la testa:

- È uno sciocco.

- Sì, è solo un ragazzino sciocco. Non credo che si farà più avanti, non prima di una ventina d’anni, almeno.

Anche Dakhir ride.

Poi si amano e nuovamente Kazbech possiede Dakhir.

Quando sono entrambi sazi, riprendono a tracciare piani d’azione. Intendono avviare una nuova campagna tra due settimane, dopo aver raccolto le truppe necessarie. E questa volta la preda non è un piccolo centro o una fortezza: si tratta di conquistare tutta la regione circostante. A un certo punto Kazbech chiede:

- Intendi lasciare nuovamente il governo di Halel a tuo fratello Bilal?

- Certo. Chi altri se ne potrebbe occupare?

Kazbech annuisce, senza dire nulla. Dakhir chiede:

- Che hai? Mi sembri perplesso. Bilal se la cava bene.

- Non so… è che Bilal mi sembra molto ambizioso.

Dakhir aggrotta la fronte:

- Bilal? Pensi che… no, non ha senso. Se provasse a sottrarmi Halel, farebbe la fine dello sceicco di al-Unayzah.

Kazbech ride.

- Sono solo impressioni, ma credo che non gli spiacerebbe se tu non tornassi da questa spedizione.

Dakhir non ha mai diffidato di Bilal. L’idea che il fratello possa desiderare la sua morte lo infastidisce, ma Kazbech potrebbe avere ragione, soprattutto ora che le nuove conquiste hanno rafforzato il potere dell’emiro di Halel.

 

Quando infine i preparativi sono stati conclusi e l’esercito è pronto, Farid e Kazbech si incontrano di nuovo. Farid soffre per la partenza dell’uomo che gli regala il piacere più intenso che abbia mai provato. Non gli interessa partecipare alla guerra, non è attratto dalle battaglie, ma non vorrebbe separarsi da Kazbech.

- Vorrei poterti accompagnare, Kazbech. Akram parte con voi e io…

- No, Farid, sarebbe troppo pericoloso. In un accampamento non è come a palazzo. Si è sempre sotto gli occhi di tutti. Qualcuno si accorgerebbe di quello che facciamo e Dakhir verrebbe informato, prima o poi.

- Ma rimarremo separati per diversi mesi.

- Pensa al futuro, Farid, il futuro in cui saremo sempre insieme senza doverci nascondere e tu…

- E io?

Kazbech ride:

- Lo sai benissimo.

Sì, Farid sa quello che Kazbech intende dire. Kazbech parte per conquistare nuove terre per lui, per dargli un regno più grande.

Kazbech non gli ha mai detto quali sono i suoi progetti. Intende uccidere Dakhir? Forse. E se decidesse di eliminare anche suo padre, Hamdan? Dicono che Sabri, l’attuale emiro di Marwan, per salire al trono abbia fatto assassinare il padre e il fratello: nessuno lo sa con sicurezza, sono stati uccisi nella residenza estiva da due sicari che non hanno mai confessato chi li aveva mandati, nonostante le torture. Ma tutti pensano che il mandante fosse Sabri. D’altronde chi vuole regnare non può avere troppi scrupoli.

Ma anche se la guerra per cui parte Kazbech amplierà i suoi domini, ora Farid vorrebbe che il Circasso rimanesse a Halel. O almeno, vorrebbe partire con lui. Ma sa che Kazbech ha ragione. Suo zio non ci penserebbe due volte prima di farlo strangolare.

 

*

 

Gli ufficiali di Jabal al-Jadid sono riuniti in una sala degli alloggiamenti militari. Feisal racconta la caduta di al-Unayzah, di cui è giunta notizia in mattinata. In città non si parla d’altro. Gli ufficiali vogliono sapere se è vero ciò che si dice. Feisal conferma.

- Sì, un principe circasso, venuto con duecento uomini. Si è messo al servizio di Dakhir, ha conquistato la città in una notte e ha fatto decapitare tutti i difensori.

- Dicono che abbiano fatto una piramide delle loro teste.

Guerre e massacri sono frequenti in queste terre, ma la ferocia di questa esecuzione non è abituale.

- Anche lo sceicco hanno ammazzato. E poi lo hanno castrato: l’uccello e le palle in bocca e la testa infilzata su un palo.

- Ma perché? Avrebbero potuto chiedere un riscatto.

È Barbath a rispondere:

- Per intimorire tutti coloro che pensano di resistere a Dakhir. L’emiro di Halel non intende certo accontentarsi di al-Unayzah.

È Qais a formulare la domanda che tutti si pongono:

- Comandante, pensi che si dirigerà verso sud?

- Senza dubbio: è questa l’area più ricca. Che se ne fa delle terre più a Nord, popolate da pastori e briganti?

- Ma prima di arrivare qui, Dakhir dovrà conquistare Barqah e Marwan e poi Shaqra.

- Di certo intende farlo.

Per quanto la minaccia sia ancora lontana, gli ufficiali sanno che non va sottovalutata. Discutono ancora un momento, poi Barbath si rivolge a Mahdi:

- Mahdi, l’emiro vuole che domani tu ti rechi ad al-Hamra, dal duca Denis, per portare la risposta e fissare i termini di consegna del riscatto per Omar ibn Sabih. Partirai domani mattina.

Mahdi è leggermente impallidito. Qais pensa che per Mahdi sarà molto doloroso avere di nuovo a che fare con i franchi, magari rivedere il conte Ferdinando, e vorrebbe aiutarlo. Osserva:

- Comandante, manda anche me. Ho sempre desiderato vedere al-Hamra e magari incontro anche il conte Ferdinando.

La richiesta di Qais provoca molte risate e battute da parte degli altri:

- Bada, Qais, che da quel che dicono, è come essere impalati.

- Vuoi vedere al-Hamra o visitare i suoi bordelli?

Qais replica:

- Una cosa non esclude l’altra. Mi mandi insieme a lui, comandante? Mahdi parla troppo poco, per una trattativa non è l’uomo adatto.

Barbath scuote la testa. Non c’è nessuna trattativa da fare: l’emiro ha accettato le richieste del duca di Rougegarde, che non erano eccessive. Pretendere una riduzione del riscatto sarebbe stato sminuire il valore del prigioniero. Ma Barbath aveva pensato di mandare un secondo ufficiale, per dare una maggiore dignità all’ambasciata, e Qais va benissimo per accompagnare Mahdi: è intelligente, sa cavarsela in ogni situazione, è coraggioso e affidabile. Con Mahdi sembra andare d’accordo, anche se sono diversissimi, tanto loquace ed espansivo Qais, quanto silenzioso e introverso Mahdi.

- Va bene, andrai con Mahdi, se lui è d’accordo. Ma non so se ha voglia di sopportarti.

Barbath si rivolge a Mahdi:

- Ti va bene avere come compagno di viaggio Qais? Puoi sempre metterti un po’ di cera nelle orecchie, se non lo reggi più.

Mahdi sorride. Qais è il compagno ideale per questo viaggio, perché sa che cosa è successo, almeno in parte: a lui Mahdi non deve mentire e su di lui sa di poter sempre contare.

- Mi va benissimo, comandante.

I compagni prendono ancora in giro Qais. Scherzano sugli incontri che farà ad al-Hamra. Si chiedono se dopo aver conosciuto il conte Ferdinando riuscirà ancora a cavalcare o dovrà rinunciarci per un po’ di tempo.

Qais è felice di partire con Mahdi, con lui sta sempre volentieri. E ha capito che anche Mahdi è contento di averlo come compagno di viaggio: questo gli fa molto piacere.

Quando la riunione si scioglie e loro due rimangono soli un momento, Qais dice a Mahdi:

- Ti pesa andare a Rougegarde, vero, Mahdi?

- Sì, Qais. Avrei preferito che venisse mandato qualcun altro al mio posto, ma se l’emiro mi ha designato, non intendo sottrarmi. E mi fa piacere sapere che sarai al mio fianco.

- Grazie, Mahdi.

Mahdi si allontana. Qais lo guarda. Mahdi gli è sempre piaciuto, parecchio, ma Qais non ha mai provato a farsi avanti con lui: Mahdi non è mai sembrato essere interessato agli uomini e adesso, dopo la violenza, di certo l’idea di avere un rapporto gli ripugnerebbe. Ma Qais sa di volergli davvero bene e ciò che Mahdi gli ha confidato lo ha avvicinato ancora di più a lui.

 

Dopo alcuni giorni di viaggio, Qais e Mahdi giungono ai confini del territorio di Jabal al-Jadid. Li accompagnano alcuni soldati, perché una delegazione dell’emiro Ashraf non può presentarsi ad al-Hamra senza una scorta adeguata.

Mahdi è contento di avere Qais al suo fianco, perché lo considera un amico. E inoltre Qais sa che cosa è successo e, se sarà necessario, potrà aiutarlo. Perché dovrebbe aver bisogno di aiuto? Che cosa teme? Mahdi non lo sa, si sente confuso. Nei primi giorni di viaggio non ha detto quasi nulla. Qais parla volentieri, ma ha rispettato il suo silenzio. Mahdi apprezza la sensibilità che dimostra il suo amico. Sa che Qais ha chiesto di accompagnarlo per poterlo aiutare e anche di questo gli è grato.

Nella locanda, Qais e Mahdi dormono nella stessa camera. Si spogliano e si mettono a letto. È Qais a parlare, alla luce incerta della lucerna che tra poco spegneranno:

- Sei molto teso, Mahdi.

- Sì, Qais, è vero.

- Che cosa ti preoccupa? Non è la missione, di certo.

- No… io… avrei preferito che l’emiro scegliesse qualcun altro. Ma te l’ho già detto.

- Il duca Denis ha conosciuto te e ha affidato a te la lettera. È normale che sia tu a portare la risposta.

- Sì, lo so, per quello non ho chiesto al comandante di dispensarmi.

- Mahdi, tu sei preoccupato, non negare. C’è qualche cosa che ti angustia.

- Sì, io… è vero. Non vorrei… il conte Ferdinando è amico del duca, so che a cavallo la sua residenza si può raggiungere in giornata. Non vorrei incontrarlo.

- Anche se incontrassi il conte, sei un uomo libero, inviato dall’emiro. Ferdinando non potrebbe prenderti con la forza. Sarebbe intollerabile, un’offesa per l’emiro e per il duca. E di certo il duca di Rougegarde non lo permetterebbe.

- No, no, lo so.

C’è un lungo momento di silenzio. Mahdi ha bisogno di parlare e Qais è l’unico uomo al mondo con cui può farlo, ma la vergogna lo blocca. Mahdi chiude gli occhi.

Qais ha colto il bisogno di confidenza di Mahdi e la sua difficoltà a rivelare ciò che lo angoscia.

- Che cosa c’è, Mahdi? Non vuoi cercare di dirmelo?

Mahdi annuisce, ma tace.

Qais gli accarezza una mano.

- Puoi avere fiducia in me, Mahdi.

- Lo so, Qais. È che…

Mahdi si fa forza. Le parole gli vengono alle labbra e Mahdi parla, senza darsi il tempo di pensare:

- Mi ha preso con la forza, Qais. Ma poi… io ho goduto quando mi ha preso, Qais. Non la prima volta, dopo. Tre volte ho goduto, goduto mentre mi possedeva.

L’ha detto. Ora Mahdi si vergogna, ma gli sembra di sentirsi meglio. Apre gli occhi e fissa Qais, che gli sorride. Ha un sorriso dolce, Qais.

Qais è stupito della rivelazione di Mahdi, ma è contento della fiducia che Mahdi gli ha dimostrato.

- Credo che molti di noi avrebbero goduto, a me sarebbe capitato, certamente, ma capisco che per te sia stata un’umiliazione. Non devi fartene un cruccio, Mahdi. Il nostro corpo ha i suoi desideri. Possiamo decidere di ignorarli, ma non possiamo cancellarli. Cerca di dimenticare quello che è successo. Non è dipeso dalla tua volontà.

- Lo so, Qais. Ma mi sono sentito sporco.

Qais sorride. Spegne la lucerna e dice:

- Temo allora che tu mi consideri un sacco di letame.

Mahdi ride.

- No, Qais. Ti voglio bene e ho stima di te. Vivi queste cose in un modo diverso e probabilmente hai ragione tu.

Qais riflette un momento, poi chiede:

- È per questo che sei preoccupato? Hai paura che il tuo corpo ti tradisca, che il tuo desiderio ti porti a darti a lui?

Mahdi ha l’impressione che il buio della stanza sia diventato più denso, che lo soffochi. Sì, di questo ha paura, Qais ha capito. Mahdi non riesce a rispondere.

Qais gli stringe la mano. A Mahdi questo contatto fa piacere, gli sembra che gli restituisca un po’ di calma.

- Non riesci ad accettare i tuoi desideri, Mahdi?

Mahdi non sa rispondere. Chiede:

- Tu… tu non…

Mahdi si interrompe, d’improvviso prova vergogna per la domanda che gli è venuta alle labbra.

Qais ha capito. Stringe di nuovo la mano di Mahdi e dice:

- Mahdi, io non ho remore. Inseguo il piacere e non mi nego nulla. Mi piacciono i maschi.

Qais ride e prosegue:

- Sono un porco immondo, Mahdi, un porco e una troia. Di tutto ciò che un uomo può fare con un altro, non c’è nulla che non mi piaccia. E lo farei più o meno con qualsiasi uomo, fedele o infedele, giovane o vecchio, purché mi piaccia. E ti assicuro che sono tanti gli uomini che mi piacciono, da quando gli spunta la prima barba a quando hanno i capelli bianchi. Ma tu sei fatto di un’altra materia, Mahdi, una materia migliore, più pura.

Mahdi scuote la testa, anche se Qais non può vederlo.

- Una materia più pura…

- Sì, Mahdi.

- Qais, la notte prima che partissimo, da Jabal al-Jadid, voglio dire…

Mahdi esita, poi prosegue:

- Quando il comandante mi ha affidato l’incarico, quella notte, ho sognato il conte Ferdinando. Mi prendeva. E io… sono venuto nel sonno, Qais. Questa è la materia di cui sono fatto.

La confessione sorprende Qais. Nuovamente gli fa piacere che Mahdi si confidi con lui.

- Il desiderio è in tutti noi. E può avere tante forme. Ma tu non riesci ad accettare questo desiderio che è in te.

- Non lo so, Qais, non lo so.

Qais accarezza la mano dell’amico. Mahdi rimane un momento in silenzio, poi dice:

- Grazie, Qais.

 

Il giorno dopo Qais e Mahdi entrano nel territorio di Rougegarde e dopo altri due giorni raggiungono la città. Mahdi vi è stato da ragazzo, quando Rougegarde era ancora in mano agli arabi e si chiamava al-Hamra. Qais invece non vi ha mai messo piede e non nasconde la sua emozione. Non ha mai visto una città così bella, una cascata di case e palazzi in pietra rossastra, racchiusa in una cerchia di mura da cui spuntano torri, minareti, campanili e alberi.

- Ora capisco perché la chiamano la perla della Palestina. Non pensavo che potesse esistere una città così bella.

L’entusiasmo di Qais aumenta ancora quando, dopo essersi presentati a una porta della città e aver ricevuto l’autorizzazione ad entrare, si dirigono verso la residenza del duca, la fortezza superba che domina la città. Qais guarda affascinato i sontuosi palazzi, l’animazione delle strade, il ricco mercato.

- Jabal al-Jadid è bella, ma non regge il confronto con al-Hamra. O forse dovrei chiamarla Rougegarde, adesso che sono qui.

Mahdi annuisce, ma Qais si accorge che l’amico è teso.

- Andrà tutto bene, Mahdi. Non ti devi preoccupare.

Giunti al palazzo, Qais e Mahdi si presentano e chiedono di parlare a Denis di Rougegarde, da parte dell’emiro di Ashraf. Il duca è stato avvisato del loro arrivo quando sono arrivati alla porta della città: senza un suo ordine, a un gruppo di soldati arabi non sarebbe stato permesso di entrare in città armati.

Il duca li riceve dopo una breve attesa. Qais guarda quest’uomo di cui si parla in tutta la Siria e anche oltre. Non è bello di viso, tutt’altro. Non sembra particolarmente forte. Eppure quello che Qais ha davanti è il franco più temuto da tutti gli arabi, il guerriero più capace, il nemico che è impossibile sconfiggere. Quando il duca si rivolge loro, Qais si stupisce di sentirlo esprimersi in un arabo perfetto: sapeva che Denis di Rougegarde conosceva la lingua, ma non sospettava che la padroneggiasse completamente. Si potrebbe credere che l’arabo sia la sua lingua madre.

Mahdi presenta la lettera in cui l’emiro accetta le condizioni poste dal duca per il riscatto del fratello. Bisogna prendere accordi per la consegna del riscatto e la liberazione di Omar ibn Sabih e della moglie, ma Denis rinvia a più tardi la definizione dei dettagli. Mahdi e Qais saranno suoi ospiti: un appartamento del palazzo viene messo a loro disposizione. In serata potranno vedere Omar.

L’appartamento è ampio e spazioso, con un arredamento più vicino a quello dei palazzi arabi che a quello dei castelli franchi. Ci sono due camere per i due ufficiali e altre tre per i soldati che li accompagnano. C’è un bagno privato, dove Qais e Mahdi possono immergersi.

Seduti nell’acqua, i due amici chiacchierano.

- Che accoglienza! Ci tratta come principi.

- Ho sempre sentito dire che il duca è un signore munifico e che non è secondo a nessuno per cortesia, come per valore. Tu l’hai visto combattere.

Mahdi annuisce:

- Sì e posso dirti che in battaglia è un leone. Quando espugnarono Qasr Basir, sembrava che fosse dappertutto. Avrei voluto ucciderlo, per liberare i credenti dal più forte dei nostri nemici, ma mi disarmò come se fossi stato un bambino che per la prima volta prende in mano una spada.

- È il nostro peggior nemico, ma tutti riconoscono i suoi meriti.

C’è un momento di silenzio. Qais guarda il corpo di Mahdi. Non è la prima volta che lo vede nudo: spesso gli ufficiali vanno insieme ai bagni negli appartamenti militari o in città, qualche volta nuotano in fiumi durante una campagna. Tra questi uomini abituati a rischiare la vita in battaglia esiste una grande intimità.

Ma ora questo corpo nudo lo turba. E mentre lo guarda, Qais avverte la reazione del proprio corpo. Si alza rapidamente ed esce dall’acqua. Mentre si asciuga, dice:

- È meglio che vada a rivestirmi. Si sta facendo tardi.

 

In serata i due ufficiali possono cenare con Omar ibn Sabih. Quando si presentano, Omar chiede notizie di Ashraf, della città, della Siria. Qais racconta ciò che sa, Mahdi interviene poco, come sempre.

Poi, dopo essersi lavati le mani, si mettono a tavola. La cena è un vero banchetto e i servitori si mostrano deferenti nei confronti del prigioniero. Qais e Mahdi non possono non ammirare la generosità del duca di Rougegarde nei confronti di un uomo che ha cercato di ucciderlo a tradimento.

Omar li trattiene a lungo: è contento di poter parlare con due ufficiali di Jabal al-Jadid. Spera di poter recuperare presto la propria libertà: la prigionia e l’inattività gli pesano, benché sia trattato con tutti i riguardi e non gli manchi nulla.

Su sua richiesta Mahdi e Qais si fermano alcuni giorni: questo non ritarderà la liberazione di Omar, perché Ashraf sta preparando il riscatto e in ogni caso la consegna non potrà avvenire prima di alcune settimane.

Mahdi è più tranquillo, ora. Il conte Ferdinando non si è visto e in ogni caso Qais e Mahdi hanno pochi contatti con Denis di Rougegarde, anche se vivono nel suo palazzo.

Mahdi però nota che Qais evita di bagnarsi con lui. Sono abituati a lavarsi insieme: a Jabal al-Jadid, per gli ufficiali il bagno è spesso un momento piacevole da trascorrere insieme, chiacchierando tranquillamente. Ma adesso quando Mahdi lo invita a lavarsi, Qais si defila, accampando ogni volta una scusa diversa. Di certo Qais non si vergogna di spogliarsi davanti a lui: a parte il fatto che Mahdi lo ha visto nudo moltissime volte, Qais è uno che niente sembra mettere in imbarazzo.

Un giorno però Qais è appena entrato in acqua quando arriva Mahdi.

- Sono contento di trovarti qui, Qais. È un po’ che non facciamo il bagno insieme.

Qais sorride, ma è a disagio. Mahdi si spoglia e Qais non riesce a non guardarlo. Il desiderio si accende in fretta e Qais non ha modo di nasconderlo.

Mahdi se ne accorge e sorride, ma vede che Qais non è sereno come al solito. Non è la prima volta che a Qais viene mezzo duro e quando gli capita con gli altri ci scherza sopra, senza nessuna vergogna. Ora però appare nervoso, forse perché ci sono solo loro due.

- Perché ti preoccupi, Qais? Non è la prima volta che ti succede.

Qais ridacchia, ma è teso.

- Mahdi, te l’ho detto, sono un maiale. Questa è la materia di cui sono fatto. Forse quando era incinta mia madre ha visto il porco di qualche contadino franco.

Mahdi alza le spalle, ma il nervosismo di Qais lo ha contagiato.

- È per questo che negli ultimi giorni hai evitato di bagnarti con me?

Nuovamente Qais ridacchia, cercando di nascondere il disagio che prova. Gli sembra di fare una brutta figura davanti a Mahdi, di essere scorretto nei suoi confronti.

- Direi di sì, Mahdi. Sono a stecchetto da troppo tempo e non ci sono abituato. Non voglio fare brutte figure alla corte del duca di Rougegarde che ci ospita, non voglio portarmi a letto qualcuno dei soldati che ci accompagnano e finisce che sono sempre infoiato come un orso in calore.

Qais vorrebbe aggiungere che spera solo che arrivi il conte Ferdinando, ma si ferma: sa che la battuta susciterebbe un ricordo doloroso per Mahdi.

Mahdi sorride e dice:

- E allora? Devo temere che tu mi salti addosso?

 Qais ritorna serio.

- No, Mahdi, questo non lo farei mai.

Rimangono in silenzio. Ora sono entrambi in imbarazzo: la loro nudità ha perso l’innocenza di quando si bagnavano insieme nei torrenti o agli alloggiamenti militari. Poco dopo Qais esce dall’acqua e si asciuga.

- Ci vediamo dopo, Mahdi.

 

Mahdi e Qais contano di partire mercoledì. Il lunedì il conte Ferdinando arriva in visita al duca di Rougegarde. È Qais a sentire la notizia. Non sa se parlarne a Mahdi, ma poi si dice che è meglio che Mahdi lo venga a sapere da lui piuttosto che da un altro o magari lo incontri a palazzo.

- Mahdi, mi hanno detto che il conte Ferdinando è qui, in visita.

Mahdi annuisce. Sapeva che sarebbe potuto succedere.

- Speravo che non arrivasse. Partiamo dopodomani… Qais, vorrei evitare di vederlo.

- Non credo che sia difficile. Se il duca ci convoca, andrò solo io.

- Ti ringrazio, Qais.

In effetti nel pomeriggio un soldato informa Qais e Mahdi che il duca vorrebbe parlare con loro.

Qais si presenta da solo.

Come ha previsto, accanto al duca c’è anche Ferdinando. Qais lo osserva, curioso. È davvero un Ercole, certamente non bello, ma trasmette un’impressione di forza che toglie il fiato.

Qais dice che Mahdi non si sente bene. Ferdinando di Siracusa sorride. Denis di Rougegarde annuisce, senza mostrarsi stupito. Qais è sicuro che il duca ha capito benissimo perché Mahdi non è presente.

Il duca comunica che partirà domani mattina con il conte e che pertanto non potrà essere presente al momento in cui se ne andranno, ma ha dato tutte le istruzioni necessarie. La delegazione potrà partire mercoledì, come concordato, ma se i due ufficiali decidessero di fermarsi di più o di anticipare la partenza, possono farlo.

Qais ringrazia e saluta. Quando lascia la sala delle udienze, il conte Ferdinando esce con lui.

Ferdinando gli dice, in un arabo semplice, ma comprensibile:

- Volevo salutare il bel Mahdi, ma lui non vuole.

Qais si dice che è assurdo negare. Ferdinando è molto schietto e questo a Qais piace.

- No, preferisce non ricordare quando è stato prigioniero.

Ferdinando annuisce. Qais dovrebbe congedarsi, ma quest’uomo vigoroso lo attrae. E da troppi giorni Qais non scopa.

Ferdinando dice:

- Peccato, rinnovavo volentieri la conoscenza.

Ferdinando ride. Qais replica:

- Mahdi preferisce dimenticare. Non a tutti piace…

Qais sorride, senza completare la frase. Ferdinando ghigna e dice:

- A te piace, vero?

Non è una domanda, anche se il tono è vagamente interrogativo.

Qais risponde, sincero:

- Parecchio.

- Vieni con me. Ti va?

Qais annuisce e segue Ferdinando nella stanza che questi ha a disposizione.

Ferdinando si spoglia rapidamente. Qais lo guarda. È un piacere vedere il corpo di questo stallone emergere dagli abiti davanti ai suoi occhi.

Quando Ferdinando si abbassa i pantaloni e il suo cazzo appare, già turgido, Qais lo guarda, stupefatto. Di cazzi Qais ne ha visti parecchi, alcuni dei quali davvero notevoli: ad esempio il comandante Barbath è alquanto dotato. Ma un’arma così formidabile Qais non l’ha mai vista. Senza distogliere lo sguardo un secondo, Qais si spoglia. Poi si inginocchia davanti a Ferdinando, guarda il cazzo che gli si offre e lo prende in bocca. È bello sentirne il calore, il sapore, la consistenza, l’odore. È un vino che inebria, come quello che Qais ha avuto modo di assaggiare qualche volta alla corte di Ashraf: malgrado la proibizione del Corano, sono in molti a bere tra i signori e l’arrivo dei franchi, che coltivano la vite e producono vino, ha reso ancora più facile procurarsi la bevanda vietata.

Qais succhia e lecca, mentre le sue mani si appoggiano sul culo di Ferdinando e stringono, poi scendono ad afferrare i coglioni, grandi e duri. Qais continua a lavorare con la bocca, poi le sue dita scivolano sul solco, stuzzicano un po’ l’apertura. Ferdinando lo lascia fare. Con la mano gli accarezza i capelli, glieli tira un po’, poi si china in avanti e le sue mani scorrono lungo la schiena di Qais in una carezza.

Qais ha difficoltà a tenere in bocca la cappella di Ferdinando. La lascia e contempla il cazzo del conte. Non sarà facile accogliere una simile mazza. I compagni avevano ragione quando gli dicevano che non sarebbe riuscito a cavalcare per un po’.

Ferdinando fa un cenno con la testa. Qais si stende sui cuscini. Ferdinando gli afferra le natiche, le apre un po’, gli passa la lingua sul solco, più volte, indugia sul buco. Poi si stende su Qais e, molto lentamente, spinge il suo cazzo nel culo del giovane.

Qais chiude gli occhi. È una sensazione splendida, intensissima. C’è anche dolore, perché una mazza così Qais non l’ha mai presa in culo, ma il piacere è molto più forte, avvolge il dolore stesso.

Ferdinando procede, affondando la sua arma. Qais sente il dolore crescere, ma il piacere diventa sempre più intenso. Quando è giunto in fondo, Ferdinando incomincia a muovere il culo avanti e indietro, affondando l’arma e poi ritraendola. Qais geme. Questo stallone che lo fotte senza dargli un attimo di tregua lo sta facendo godere come di rado gli è capitato nella vita.

Ferdinando prosegue a lungo e infine viene, con una successione di spinte violente che strappano a Qais un grido di dolore. Ma quando una mano di Ferdinando scivola sotto il ventre di Qais, il contatto è sufficiente perché Qais sia travolto dal piacere e sparga il suo seme.

Ferdinando rimane su di lui e dentro di lui. Gli accarezza i capelli, gli mordicchia il collo. A Qais piace sentire la formidabile mazza del conte nel culo, meno rigida e grande, ora. Sta bene così, sotto questo corpo che con il suo peso lo schiaccia, tra queste braccia che lo tengono prigioniero, con questo cazzo che dentro di lui presto incomincia a riacquistare volume e consistenza.

La seconda cavalcata è interminabile. Qais a tratti ha l’impressione di svenire. Quando infine entrambi vengono, Qais grida.

Ferdinando rimane un buon momento dentro di lui. Poi esce. Qais geme quando sente il cazzo del conte lasciarlo. Si rialza a fatica, con una smorfia per il dolore al culo. È esausto, ma si sente pienamente appagato.

 

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Qais ritorna nell’appartamento che gli è stato assegnato.

Mahdi lo aspetta.

- Sei rimasto molto a lungo. Il duca aveva comunicazioni importanti?

Qais si sente un po’ in imbarazzo, ma poi scoppia a ridere. Non è abituato a mentire, non gli piace farlo: è un uomo molto schietto. Risponde:

- Il duca no, il conte Ferdinando sì.

Mahdi lo guarda un momento senza capire, poi comprende e china la testa.

- Mahdi, mi spiace. Non volevo risvegliare un ricordo che ti fa stare male. Ma non voglio mentirti. Il conte ha capito subito che mi attraeva e non ci ha girato intorno.

Mahdi alza il capo.

- Va bene, va bene. Adesso mi stendo un po’. Voglio riposare.

Qais guarda Mahdi allontanarsi. Gli spiace che il suo amico abbia avuto una reazione negativa. Avrebbe dovuto prevederlo, il ricordo di certo gli brucia ancora. Ma Qais non ha pensato di fare nulla di male. Se avesse sospettato che Mahdi l’avrebbe presa così male, non avrebbe stuzzicato Ferdinando.

Qais si siede e rimane assorto nei suoi pensieri. C’è qualche cosa che non va, da qualche giorno Qais se n’è reso conto. Le reazioni di Mahdi suscitano un’eco troppo forte in lui. Tiene molto a Mahdi. Troppo. Sì, questa è la semplice verità. Ciò che prova per lui non è la vaga attrazione che Qais ha sempre provato per qualsiasi maschio bello e vigoroso. E il legame che lo unisce a Mahdi non è più solo amicizia. C’è qualche cosa di più profondo, ora, un desiderio che brucia e fa male, un sentimento che preme e che spaventa Qais. Qais non si è mai davvero innamorato, ma a ciò che prova per Mahdi non può dare un altro nome.

Qais rimane inebetito a guardare nel vuoto.

La sera cenano con Omar ibn Sabih. Qais deve fare uno sforzo su se stesso per sostenere la conversazione. Non fa fatica a capire che anche Mahdi non ha nessuna voglia di parlare. Ma non possono mostrarsi scortesi con il fratello del loro emiro.

Quando si ritirano, Mahdi dice che è molto stanco e si corica immediatamente.

Qais rimane a lungo sveglio, immerso in un turbine di pensieri.

 

Il martedì è l’ultimo giorno che trascorrono a Rougegarde. Il mattino Mahdi rimane a lungo nella propria camera. Nel pomeriggio esce dal palazzo, senza dire nulla a Qais.

Qais ha la netta sensazione che Mahdi faccia di tutto per evitarlo. Si sente in colpa, anche se ritiene di non aver fatto niente di male.

Mahdi rientra e dopo un breve saluto si infila nella sua camera. Qais bussa ed entra.

- Ho bisogno di parlarti, Mahdi.

Mahdi lo guarda. Esita un momento, poi risponde:

- Dimmi.

- Mahdi, mi spiace per quello che è successo. Vedo che mi eviti. Non volevo certo ferirti. Pensavo che non te ne sarebbe importato niente, che per te contasse solo non rivederlo.

- Il conte Ferdinando? Di lui non m’importa niente. Non avevo voglia di rivederlo, certo, ma per me può scopare con chi vuole.

C’è una certa asprezza nel tono di Mahdi e Qais se ne accorge.

- Ma ti ha dato fastidio che io scopassi con lui. Mi dispiace. Non pensavo che potesse essere importante per te, se l’avessi sospettato, non l’avrei fatto. Scusami.

Mahdi si alza di scatto. Fa due passi, come se non sapesse bene dove andare. Senza tornare a sedersi dice:

- Lascia perdere, Qais.

Il tono è brusco. Mahdi è irritato.

- Mahdi, mi dispiace. Scusa se in qualche modo ti ho infastidito.

- No, no. Non mi hai infastidito. Puoi fare quello che vuoi. Sei libero di scopare con tutti quelli che vuoi.

A Qais pare di intravedere qualche cosa nella frase, nel tono con cui è stata pronunciata. Un sospetto lo sfiora. Sarebbe troppo bello per essere vero. Prova a ironizzare:

- Proprio libero, no. C’è uno che mi piace moltissimo, ma non posso mica scopare con lui, se lui non vuole.

Mahdi lo guarda. È rimasto interdetto. Qais si dice che forse ha visto giusto. Il cuore gli batte forte, mentre prosegue:

- E dire che gli voglio molto bene. Che credo di essermene innamorato.

La voce gli è tremata un po’ nel pronunciare le ultime parole. Ora ha paura.

Mahdi lo fissa, senza dire una parola. Appare smarrito. Scuote la testa.

- Qais… tu… io…

Qais ora è sicuro di aver capito giusto. Gli sembra che gli manchi il fiato, mentre sferra l’ultimo colpo:

- Io mi sono innamorato di te, Mahdi.

Mahdi annuisce. Sembra non riuscire a parlare. Cerca le parole. Poi chiude gli occhi e dice:

- Anch’io, Qais, anch’io… ti amo, Qais!

Qais si avvicina e abbraccia Mahdi, con dolcezza. C’è una gioia sconfinata in lui, un tripudio. Non è mai stato così felice, in tutta la sua vita. Non ha mai amato. Non è mai stato amato.

Qais bacia Mahdi sulla bocca. Mahdi sorride e Qais lo bacia nuovamente, poi lo stringe tra le braccia e rimane con la testa appoggiata su una spalla di Mahdi. È bellissimo rimanere così, stringere il corpo dell’amato contro il proprio.

- Qais, Qais…

Qais solleva il capo. Bacia di nuovo Mahdi, poi fa scivolare le mani sui fianchi dell’amico e ne afferra la tunica. La solleva, le sue dita sfiorano la pelle di Mahdi e poi stringono con forza.

- Mahdi, Mahdi.

Qais gli sfila la tunica. Mahdi lo lascia fare, alzando le braccia perché Qais possa passarla sopra la sua testa. Qais lo guarda e sorride.

- Sei bellissimo, Mahdi.

Mahdi scuote il capo. Toglie la tunica a Qais. Rimangono uno di fronte all’altro, a torso nudo. Si abbracciano ancora. I loro corpi aderiscono e il desiderio li avvolge. Si baciano appassionatamente. Qais spinge la sua lingua nella bocca di Mahdi, che rimane disorientato, ma l’accoglie, poi quando questa si ritira, ride e fa avanzare la sua tra le labbra di Qais.

Le mani di Qais stringono il culo di Mahdi e poi abbassano i pantaloni, con un movimento deciso. Mahdi è nudo, ora, e Qais può vederne il cazzo che già si tende. Adesso Mahdi appoggia le mani sul culo di Qais. Vorrebbe togliergli i calzoni, ma esita. Allora Qais mette le proprie mani su quelle di Mahdi e le guida ad abbassare l’indumento. Ora sono tutti e due nudi, uno di fronte all’altro. Mahdi sorride, ma il suo sorriso cela male il suo smarrimento.

Qais gli accarezza il viso con la mano. L’intensità di ciò che prova lo spaventa.

Qais bacia ancora Mahdi, poi si stende sul letto e gli tende una mano. Mahdi gli porge la propria e Qais attira Mahdi su di sé. Stesi sul letto si baciano e si abbracciano ancora e il desiderio li guida a superare ogni imbarazzo. Qais stringe Mahdi e rotola sul letto insieme a lui. Ora è sopra il compagno e la sua bocca dalle labbra di Mahdi scende al collo e poi ai capezzoli. Qais ne mordicchia uno, poi lo succhia un buon momento, prima di passare all’altro. Le sue mani intanto percorrono il corpo di Mahdi, gli scompigliano i capelli, gli accarezzano il viso, si infilano nella sua bocca (e Mahdi mordicchia), poi scendono lungo il collo, il torace, i fianchi.

Qais passa la lingua intorno a uno dei capezzoli, poi scende fino all’ombelico e poi ancora fino al cazzo di Mahdi, ormai teso. La lingua percorre l’asta due volte, scendendo fino alla base, per poi risalire. Qais avvolge la cappella e incomincia a succhiare. Mahdi geme. È la prima volta che qualcuno gli succhia l’uccello, è la prima volta che fa l’amore con qualcuno che ama. Le sensazioni sono troppo forti. Le sue mani stringono i capelli ricci di Qais, li afferrano tanto forte da fargli male.

- Ahi!

Qais lascia la sua preda, ma le sue mani percorrono ancora il corpo di Mahdi e la sua bocca ora si posa su quella dell’amico. Poi Qais guarda Mahdi e gli dice:

- Vuoi prendermi, Mahdi?

Mahdi annuisce. Qais lo bacia ancora sulla bocca e poi si stende a pancia in giù sul letto. Allarga un po’ le gambe.

Mahdi guarda il culo che gli si offre. Non ha mai posseduto un uomo, ma il desiderio lo guida.

Si sputa sulle dita e lubrifica bene l’apertura, poi afferra le natiche e le divarica. Guarda affascinato il buco e lentamente avvicina il cazzo. Lo preme contro l’apertura e con lentezza lo spinge dentro. La sensazione del cazzo che affonda dentro la carne di Qais lo stordisce.

- Qais, Qais, Qais!

Mahdi spinge fino in fondo, poi si abbandona sul corpo di Qais e gli accarezza i capelli. – Non ti faccio male, Qais?

- È splendido, Mahdi.

È davvero splendido per Qais, sentire sul suo corpo quello dell’uomo che ama, sentirne il cazzo che gli riempie il culo.

Mahdi incomincia a muoversi. È bellissimo, è il momento più bello che ha vissuto fino a ora. Il piacere cresce, lo avvolge completamente, lo inghiotte, fino a che a Mahdi sembra di non sapere più dove si trova: tutto scompare, rimane solo questo corpo che stringe e il piacere sempre più forte, che infine lo travolge. Il seme sgorga. Mahdi grida il nome di Qais e si abbandona su di lui.

Lentamente, molto lentamente, Mahdi recupera coscienza di dov’è e dove si trova. Sussurra:

- Ti ho fatto male, Qais?

- Scherzi? È stato bellissimo, Mahdi.

Mahdi vorrebbe chiedere a Qais se ha goduto, ma d’improvviso prova vergogna. Non ha senso, hanno appena scopato, ma gli sembra che sia una domanda troppo diretta.

Mahdi si volta di lato, facendo voltare anche Qais. La sua mano scorre fino al cazzo del compagno, ancora teso. Mahdi lo accarezza, piano, esitante. Poi lo stringe con forza e, muovendosi rapidamente, porta anche Qais al piacere.

Mahdi guarda le gocce di seme sulla sua mano. Qais guida la mano di Mahdi alla propria bocca e la pulisce. Mahdi lo guarda, confuso.

Mahdi si distende sulla schiena. Qais si mette al suo fianco. Stringe la mano di Mahdi. Sussurra:

- Ti amo, Mahdi.

Rimangono a lungo distesi, uno a fianco dell’altro, mano nella mano. Poi Mahdi si volta verso Qais e incomincia ad accarezzarlo con la mano libera. La destra scorre lungo il corpo di Qais, lungo il viso, il collo, il torace, il ventre. Mahdi esita un attimo, poi accarezza il cazzo di Qais, i suoi coglioni. La carezza diventa una stretta e Mahdi guarda affascinato il cazzo dell’amico che riacquista volume e consistenza, fino a tendersi, duro e caldo, sulla peluria scura del ventre.

- Qais… vuoi prendermi?

Qais lo guarda, sorridendo:

- E me lo chiedi, Mahdi?

Poi Qais torna serio e dice:

- Te la senti, Mahdi? Non vorrei…

- Quando mi ha preso, ho goduto.

Mahdi non ha detto di chi sta parlando, non è necessario: lo sanno entrambi.

Mahdi si volta e allarga le gambe. Qais si sposta e gli morde il culo, con decisione.

- Ahi!

Qais morde di nuovo, prima con forza, poi più delicatamente. Lavora un po’ con i denti e poi con la lingua, mentre le sue mani accarezzano la schiena di Mahdi, fino alla nuca. Mahdi sente il desiderio crescere. Qais passa la lingua sul solco, indugia sull’apertura, mentre le sue mani accarezzano e pizzicano.

E infine Qais si stende su Mahdi e avanza il suo sperone. Mahdi geme.

- Ti faccio male?

- No, no. Va bene così.

È stato il piacere a farlo gemere, non il dolore.

Qais avanza, piano, poi si ritrae. Ripete la manovra tre volte, prima di affondare il cazzo completamente nel culo di Mahdi. Poi, lentamente, incomincia a muoversi. Prova un piacere intensissimo, reso più forte dalla coscienza che questo non è uno dei tanti uomini che ha posseduto, ma è Mahdi, l’uomo che ama.

Qais procede a lungo, finché il piacere lo travolge e viene. Mahdi geme, più forte, e Qais è felice che Mahdi sia venuto insieme a lui.

Lo abbraccia e rimangono così, finché Qais si stacca, si stende di fianco a Mahdi e lo guarda.

Gli sorride e gli dice:

- Vorrei che un coltello mi spaccasse il cuore,

che tu v’entrassi e mi fosse richiuso il petto,

e tu vi restassi senza mai cambiare dimora,

fino al giorno del giudizio e della resurrezione,

vivendovi finché io viva, e quando morirò

abitando il fondo del cuore

nelle tenebre del sepolcro.

Mahdi lo guarda, confuso e felice. Chiede:

- L’hai composta tu?

Qais risponde subito:

- Certo, in tuo onore.

Poi scoppia a ridere e aggiunge:

- No, figurati, non so mica scrivere versi, io, anche se mi piace recitarne. Questi sono di Ibn Hazm, un poeta di al-Andalus, vissuto oltre cent’anni fa.

Mahdi annuisce. Mormora:

- Ti amo, Qais.

 

Il giorno dopo Qais e Mahdi prendono congedo. Nicolas, capo della guardia personale del duca, porge loro i doni che Denis di Rougegarde ha scelto per gli ambasciatori: due belle fibbie d’oro. È un’ennesima testimonianza della munificenza del signore di al-Hamra.

Qais e Mahdi si mettono in strada per Jabal al-Jadid con la loro scorta. Per entrambi il viaggio è il momento più felice che abbiano mai vissuto. Ogni notte, nelle locande in cui dormono, si amano. Qais guida Mahdi alla scoperta del piacere, senza nessun pudore e senza porsi limiti. Mahdi segue Qais, stupito e confuso, ma travolto da una gioia sconfinata. 

Il quinto giorno Mahdi si sveglia e vede che Qais lo sta guardando. Quando si accorge che Mahdi si è svegliato, Qais lo bacia e lo abbraccia. Mahdi ricambia il bacio, ma dice:

- Aspetta, Qais, ho bisogno di pisciare.

Qais ride e risponde:

- Certo!

Scivola fino a che la sua bocca non accoglie il cazzo di Mahdi. Lascia un attimo la preda per dire:

- Sono pronto.

E subito le sue labbra avvolgono nuovamente la cappella.

Mahdi esita.

Qais sorride. Si stacca nuovamente e dice:

- Così non devi alzarti. Io ho sete e questa è un’ottima bevanda.

Mahdi scuote la testa, divertito e imbarazzato. Poi ride e dice:

- Come vuoi.

Incomincia a pisciare. Qais beve. Mahdi scuote la testa.

- Sei un porco immondo.

Ma mentre lo dice ride.

- Ebbene sì e lo sapevi già. Ma ho il sospetto che lo sia un po’ anche tu.

- Credo che tu abbia ragione, Qais.

- Per quello andiamo d’accordo.

 

L’ultima notte di viaggio è trascorsa: in giornata arriveranno a Jabal al-Jadid. Mahdi e Qais non hanno dormito. Si sono amati tutta la notte. Ora è l’alba e Qais recita:

- Quante notti abbiamo passato a bere vino

fino al primo segno dell’aurora,

le cui stelle si facevano strada nelle tenebre,

e fuggivano le stelle della notte sottomessa.

Abbiamo colto i piaceri più belli,

privi di preoccupazione,

non trattenuti da disturbo.

Se solo durasse, non avrebbe fine la mia gioia:

ma le notti d’amore sono sempre troppo brevi.

Mahdi è turbato. Cerca di nascondere la sua emozione, chiedendo:

- Anche questi sono di Ibn Hazm?

- No, di Ibn Zaydun, un altro poeta di al-Andalus.

Mahdi sorride:

- È bellissima questa poesia. Esprime quello che provo anch’io. Grazie per avermela fatta conoscere.

Mahdi è commosso. Cerca di ironizzare:

- Però non abbiamo bevuto vino.

Qais ride di nuovo.

- Il tuo piscio e il tuo sborro sono molto più inebrianti del vino.

Mahdi sorride. Questo è Qais: sa recitare una poesia raffinata e poi esprimersi con una franchezza sconcertante. E Mahdi sa che non lo vorrebbe diverso.

 

A Jabal al-Jadid Mahdi e Qais si presentano dall’emiro e riferiscono i risultati della loro missione. Ashraf chiede notizie del fratello e del modo in cui il prigioniero viene trattato. I due ufficiali non possono esimersi dal lodare la generosità del duca, che è stato munifico anche nei loro confronti.

Tra una settimana una nuova ambasciata dovrà recarsi alla frontiera, per portare il riscatto e riaccompagnare a Jabal al-Jadid Omar ibn Sabih. Ashraf comunica ai due ufficiali che questo compito sarà nuovamente affidato a loro, com’è logico, visto che sono stati loro a prendere contatto con il duca di Rougegarde.

In serata Qais e Mahdi ritrovano gli altri ufficiali, che prendono in giro Qais, chiedendogli se ha avuto modo di conoscere il conte Ferdinando. Qais risponde affermativamente, ma, com’è sua abitudine, evita di rivelare ciò che è davvero successo, lasciando gli amici con la loro curiosità.

Nei giorni seguenti Qais e Mahdi passano insieme ogni momento disponibile. Non nascondono il loro rapporto. Non ne parlano apertamente e non si scambiano effusioni quando ci sono altri, ma è evidente che sono molto legati. Si scambiano piccoli gesti d’affetto: Qais porta alle labbra di Mahdi un pasticcino e Mahdi lo addenta; Mahdi riempie la coppa a Qais. Si guardano e si sorridono, mentre gli altri parlano.

Una sera, dopo che gli ufficiali hanno tenuto la loro riunione e poi si sono allontanati, Barbath guarda Qais e Mahdi che se ne vanno insieme e osserva:

- Feisal, non pensi anche tu…

Barbath sorride, sornione, senza completare la frase.

- Che cosa comandante?

- Che Mahdi e Qais siano diventati molto… amici.

Feisal non sorride. Annuisce, serio.

- Sì, comandante, penso anch’io che si amino.

Barbath scuote la testa. Ha molta stima di Mahdi e Qais, che considera i migliori tra i suoi ufficiali, dopo Feisal, ma un amore tra uomini fatti lo stupisce.

- Però… sono due uomini adulti, non sono più ragazzi.

- Proprio per questo.

Barbath non capisce. Guarda Feisal perplesso. L’amore per i ragazzi è molto comune, è persino celebrato in tante poesie. Ma un amore tra due maschi adulti non è accettabile.

- Che cosa intendi dire, Feisal?

- Un ragazzo si può desiderare, anche di un desiderio violento, può accendere una passione, lo sappiamo benissimo, lo vediamo spesso, lo hanno anche cantato i poeti, come quelli che Qais cita ogni tanto. Un ragazzo può dare il piacere. Ma amare… Il desiderio per un ragazzo dura una stagione, non è un amore che può accompagnarti per la vita. A fianco di un uomo puoi camminare per la tua strada, fino alla notte.

Barbath è perplesso.

- Amare un altro uomo…

- Un uomo o una donna, qualcuno di cui non desideriamo solo il corpo, ma l’anima. Non so, comandante, il corpo di un ragazzo ti può dare molto piacere, ma la sua anima non può essere uno specchio per la tua, no?

Barbath non ha mai visto la faccenda da questo punto di vista. Desidera i ragazzi, alcuni hanno suscitato in lui una passione, in passato. Ma in loro non cerca di certo un compagno per la vita, solo il piacere di una notte. Su questo punto Feisal ha ragione. Ma Barbath non ha mai pensato di poter amare un uomo adulto. Il pensiero lo turba.

- Può darsi che tu abbia ragione, Feisal.

Poi aggiunge ridendo:

- Ma non credo che rinuncerò ai ragazzi.

Scambiano ancora due parole, poi Feisal saluta e si allontana. Barbath lo guarda. Un compagno per la vita, qualcuno al cui fianco camminare… fino alla notte. Se dovesse scegliere, Barbath non esiterebbe: vorrebbe che fosse Feisal ad accompagnarlo per la sua strada: con lui può parlare di tutto e sente di volergli bene. Ma il desiderio… Desiderare un uomo fatto, un corpo forte come il proprio? Barbath non ha mai scopato con un uomo adulto. Come sarebbe? Con Feisal, ad esempio? Feisal non è bello. È un uomo forte, virile, la barba folta, il petto villoso. A Barbath piacciono i ragazzi a cui spunta appena la prima peluria sul mento, ama il loro culo glabro. Come sarebbe con Feisal?

Barbath alza le spalle. Cazzate, sono solo cazzate. Ma le parole di Feisal ritornano. Camminare a fianco di un uomo… Barbath vive da solo, ma la solitudine non gli pesa. In qualità di comandante dell’esercito e consigliere dell’emiro ha sempre molto da fare. E gli ufficiali sono per lui come tanti fratelli, con loro sta bene e passa serate molto piacevoli. Per il desiderio ci sono i giovani schiavi e qualche ragazzo che si offre volentieri al comandante Barbath. Non gli manca nulla.

Amare un uomo? Muhammad, il figlio dell’emiro, è un bell’uomo, anche con lui Barbath si trova bene. Di certo è molto più bello di Feisal. Quando Muhammad era più giovane, a Barbath è capitato di desiderarlo, ma di certo non avrebbe mai toccato il figlio dell’emiro, gli sarebbe sembrato di tradire la fiducia che Ashraf ha sempre riposto in lui. Anche Mahdi ha un bel corpo e un bel viso.

Coma ha detto Feisal? Qualcuno la cui anima sia uno specchio… Con Feisal Barbath si è sempre trovato bene. È contento di averlo vicino. Gli è affezionato, più che a tutti gli altri ufficiali o a Muhammad. Vivrebbe volentieri con lui, ma amarlo, possederlo… Che cosa direbbe Feisal se lui gli proponesse di scopare? Feisal non ha parlato di scopare, ha parlato di amare. Qualcuno con cui camminare per la tua strada, fino alla notte. È strano pensare che Feisal…

Barbath scrolla di nuovo le spalle, con un movimento brusco. Non sa perché, ma questi pensieri lo mettono a disagio.

 

Una settimana dopo il loro ritorno, Mahdi e Qais ripartono per portare il riscatto concordato e riaccompagnare a Jabal al-Jadid Omar ibn Sabih e la moglie Munira. Questa volta hanno con loro cinquanta soldati, un seguito adeguato all’importanza di colui che devono scortare, il fratello dello sceicco. La spedizione ha con sé le tende e non alloggia in locande.

Anche questo viaggio è per i due ufficiali un seguito di giorni felici e di notti appassionate. Per entrambi non c’è nulla di più bello che cavalcare fianco a fianco, scambiare un sorriso o uno sguardo e leggere negli occhi dell’altro lo stesso sentimento. E nella loro tenda ogni notte Mahdi e Qais si amano, lasciandosi guidare dal desiderio che li spinge a vincere ogni remora, felici di offrirsi e di prendersi.

L’incontro con gli inviati del duca Denis avviene al confine tra il territorio di Rougegarde e quello di Jabal al-Jadid. Mahdi e Qais consegnano il riscatto pattuito e accolgono Omar ibn Sabih e la moglie Munira. La carovana riparte verso la capitale.

 

*

 

Dakhir cavalca accanto a Kazbech. Si sente bene, come non gli sembra di essere mai stato. Ha cinquantacinque anni, ma gli sembra di averne quindici di meno, come lo splendido Circasso che ha al suo fianco.

Dakhir si presenta con tutto l’esercito davanti alle mura dei piccoli centri e manda un messaggero: coloro che accettano di sottomettersi pagheranno un tributo e dovranno fornire un contingente militare. Gli altri devono prepararsi ad affrontare la guerra e la morte. La sorte dello sceicco e dei difensori di al-Unayzah è nota a tutti. I signori di diverse cittadine accettano di sottomettersi all’emiro di Halel, ben consci di non potersi opporre con le armi. Il tributo imposto è pesante, ma essi possono conservare il loro potere. Sanno che se Dakhir sarà sconfitto, recupereranno la loro indipendenza. Altrimenti rimarranno sotto il giogo dell’emiro. Meglio sottomettersi a un signore esoso e brutale, che vedere la distruzione della propria città e venire decapitati. 

La prima fase della campagna si conclude in fretta, ma Kazbech e Dakhir sanno benissimo che non significa molto: si trattava di centri minori. La seconda fase sarà più impegnativa.

Adesso ci sono due città più importanti: Barqah e Marwan. Non sono grandi centri come Jabal al-Jadid, Shaqra o al-Hamra, la Rougegarde dei franchi, ma le due cittadine sono ben fortificate e non saranno prede facili.

Le truppe di Dakhir entrano nel territorio di Barqah. Vicino al confine c’è la fortezza del Passo della Sorgente, che controlla la principale via d’accesso alla città da nord.

Dakhir intima al comandante di arrendersi e consegnare la roccaforte. L’ufficiale risponde che aprirà le porte del forte solo se glielo ordinerà lo sceicco di Barqah, Nidal. A nulla valgono le minacce. Eppure il comandante sa che non potrà resistere a lungo a un esercito agguerrito: la fortezza non sorge in una posizione particolarmente favorevole e non ha grandi opere difensive. Anche la guarnigione non è sufficientemente numerosa: il Passo della Sorgente viene sorvegliato per evitare le scorrerie dei briganti, più che per contrastare l’avanzata di un nemico. Lo sceicco di Barqah sapeva dell’arrivo di Dakhir, ma ha preferito non mandare altri uomini, ben sapendo che non sarebbe stato possibile difendere a lungo la postazione.

L’esercito circonda la fortezza. Un primo attacco viene respinto, ma la terza notte la guarnigione non riesce a ricacciare gli assalitori e le truppe guidate dal Circasso espugnano la roccaforte.

Per la guarnigione non c’è nessuna pietà. I sopravvissuti vengono spogliati, impalati e poi castrati. Il comandante è costretto ad assistere al massacro dei suoi uomini, poi viene violentato dai circassi sotto lo sguardo dei suoi soldati che agonizzano sui pali. Quando i circassi hanno concluso, l’ufficiale viene anche lui castrato. Prima di essere impalato davanti alla porta, gli vengono cavati gli occhi e tagliate le orecchie. La sua agonia è più breve di quella dei soldati: il mattino seguente l’uomo viene decapitato, perché la sua testa serve al messaggero che andrà a parlare con lo sceicco di Barqah.

La sera l’esercito si accampa non lontano dalla cittadina.

Dall’altura su cui sono state piantate le tende, i soldati possono vedere le mura e la fortezza dove risiede lo sceicco. Barqah sorge su un’isola formata dal fiume; l’acqua non costituisce una difesa efficace, perché è poco profonda, ma le mura e le torri sono alte e ben munite. Nella luce del tramonto la città appare una grande macchia scura, perché la cinta muraria e gli edifici sono costruiti nella pietra vulcanica abbondante nella zona, di colore quasi nero: per questo Barqah viene chiamata la città nera.

 

Il mattino seguente un messaggero si presenta a Nidal. Lo sceicco sa che l’uomo gli intimerà, da parte di Dakhir, di consegnare la città. Nidal non vorrebbe cedere, ma l’idea di finire come l’emiro di al-Unayzah lo spaventa. Prima di decidere, vuole ascoltare le proposte che gli verranno fatte.

Il messaggero si inchina, poi, dopo i saluti di rito, dice:

- Il mio signore, il grande Dakhir, emiro di Halel, ti intima di consegnargli la città. Se lo farai, avrai la vita salva e per il momento potrai governare in suo nome. Dovrai versargli i tributi che richiede e fornire truppe per il suo esercito.

Nidal non si aspettava nulla di diverso, ma la brutalità del messaggio lo stupisce. Vorrebbe far fustigare quest’uomo impudente, ma sarebbe una dichiarazione di guerra. Si limita a reprimere la sua irritazione e chiede maggiori informazioni.

- Tributi e truppe… Quali sono le richieste dell’emiro?

Il messaggero espone ciò che Dakhir richiede. Non è poco e non c’è nessuna garanzia che Nidal possa continuare a governare a lungo in nome di Dakhir.

Nidal domanda:

- E se rifiutassi?

Il messaggero apre la scatola dorata che ha portato con sé, dicendo che era un omaggio per lo sceicco. Le guardie che sono al suo fianco sono pronte a scattare: non hanno aperto il dono, per rispetto nei confronti dello sceicco a cui era destinato, ma vogliono sincerarsi che non vi sia un’arma.

Il messaggero estrae il contenuto: è una testa, a cui sono stati cavati gli occhi e tagliate le orecchie e dalla cui bocca sporge un cazzo. Nidal ha un movimento di orrore.

- Sceicco, questa è la testa del comandante del forte del Passo della Sorgente. Il suo corpo giace infilzato su un palo alla porta della rocca che si rifiutò di consegnare. Prima del palo, conobbe la virilità dei soldati del grande Dakhir, poi, non essendo più un maschio, fu privato degli attributi che gli furono messi in bocca. Dopo che gli vennero tolti gli occhi e tagliate le orecchie, trovò la morte sul palo.

C’è un momento di silenzio, poi il messaggero conclude:

- Sceicco, scegli tu se vuoi subire la stessa sorte del comandante o se preferisci sottometterti.

Nidal freme di rabbia. Vorrebbe dare ordine di prendere il messaggero e trattarlo come il comandante della fortezza, ma sa che a sua volta rischierebbe di morire nello stesso modo.

Nidal si controlla. Vede che il figlio maggiore vorrebbe scagliarsi sul messaggero e lo ferma con un gesto.

- Di’ al tuo signore che entro tre giorni gli darò una risposta.

Il messaggero ha una risata di scherno.

- Tre giorni? Hai visto l’esercito del mio signore, accampato sull’altura di fronte alla città. Il mio signore non intende certo aspettare tre giorni. Al massimo fino a domani mattina.

Di nuovo Nidal reprime l’impulso di far arrestare questo impudente.

- Domani avrai una risposta. Ora vai.

L’uomo si inchina ed esce, lasciando il dono per lo sceicco.

I consiglieri di Nidal non hanno detto una parola, ma adesso che il messaggero è uscito, esprimono la loro indignazione.

- Sono bestie, non uomini.

- Presentarsi con una testa. E queste minacce…

Quando però Nidal chiede loro che cosa consigliano di fare, tutti si mostrano preoccupati. Qualcuno suggerisce di chiedere condizioni meno onerose. Quasi nessuno consiglia di sfidare apertamente l’emiro di Halel. Gli unici che non vorrebbero cedere sono i due figli maggiori di Nidal: hanno ventiquattro e ventidue anni e siedono in consiglio perché sono i figli dello sceicco. Gli altri consiglieri, più anziani, li invitano alla prudenza: terribile sarebbe la sorte di tutti loro se la città resistesse.

Dopo aver sentito i pareri dei consiglieri, Nidal congeda tutti. Ha bisogno di rimanere solo per riflettere sul da farsi.

Nidal cammina avanti e indietro nella sala delle udienze. Poi si ferma e guarda la testa. Rabbrividisce. Sa come è morto lo sceicco di al-Unayzah e non vuole fare la stessa fine, ma non vorrebbe sottomettersi. Quando ha saputo che l’esercito di Dakhir assediava la fortezza del Passo della Sorgente, ha mandato un messaggero a Sabri, l’emiro di Marwan: dopo Barqah, sarà il turno di Marwan, posta poco più a sud, dove incomincia un’area più fertile e ricca e si trovano le grandi città di Shaqra e Jabal al-Jadid. Sabri dovrebbe arrivare in giornata: la distanza tra le due cittadine è ridotta. In questo modo potranno concordare una linea d’azione.

 

L’emiro Sabri sa che l’esercito di Dakhir è accampato non lontano da Barqah ed evita di viaggiare con un grande seguito, per non essere individuato. Arriva in incognito, con pochi guerrieri, come se fosse qualche signorotto locale, e viene subito ricevuto.

Nidal si sente rinfrancato dalla presenza di Sabri: quest’uomo forte e sicuro di sé, intelligente e spietato, gli appare l’alleato ideale contro la minaccia che incombe su di loro. Sabri è un gigante, dai lunghi capelli neri, il viso dai lineamenti forti incorniciato da una fitta barba scura.

Nidal racconta l’incontro con il messaggero. Mostra a Sabri la testa del comandante della fortezza. Guardandola, sente nuovamente un brivido corrergli lungo la schiena.

- Avrei voluto fare a quell’infame ciò che il Circasso ha fatto al comandante della fortezza. Avessi sentito con che arroganza mi intimava di consegnare Barqah! Che impudenza!

- Sono sicuri di se stessi. Il comandante dell’esercito, il Circasso, è abile e spietato e Dakhir è convinto di potersi impadronire di tutta la Siria settentrionale. Non saremo certo noi due a poterlo fermare.

Nidal annuisce. Anche lui è conscio dell’inferiorità numerica delle proprie truppe, ma vorrebbe trovare una soluzione ed evitare di arrendersi. Propone:

- Potremmo chiedere aiuto allo sceicco di Shaqra e all’emiro di Jabal al-Jadid: sanno benissimo che dopo di noi toccherà a loro.

Sabri scuote la testa:

- No, purtroppo lo sceicco e l’emiro sono rivali e non accetterebbero mai di combattere insieme.

- Neanche davanti a una minaccia come quella di Dakhir e del Circasso? Rischiano entrambi di perdere i loro domini e la vita. Che senso ha?

- Nessuno, ma lo sceicco rivendica un territorio che l’emiro ha occupato.

- Due galli che pensano solo ad azzuffarsi mentre la volpe si avvicina. E rivolgersi solo a uno dei due?

- No, uno dei due non interverrebbe, da solo: avrebbe poche possibilità di vittoria e soprattutto avrebbe paura che l’altro ne approfittasse per attaccarlo. Troppo rischioso.

Nidal annuisce, senza dire nulla. È scoraggiato. Sperava che Sabri avesse una soluzione da proporre, ma a quanto pare non è così.

C’è un momento di silenzio. Poi Nidal riprende:

- Secondo te, che possibilità abbiamo di riuscire a resistere, Sabri?

- Poche, a meno che Nur ad-Din non intervenga in nostro aiuto, ma non lo farà: ha abbastanza grattacapi. Non è facile tenere sotto controllo la situazione in Siria e di certo preferisce non affrontare direttamente il Circasso. Per il momento non lo preoccupa ancora.

- Quando avrà conquistato Barqah e Marwan, passerà a Shaqra e Jabal al-Jadid e poi sarà la volta di Aleppo e Damasco. Non si fermerà, se non quando sarà stato sconfitto.

- Lo so, ma Nur ad-Din non rischierà adesso.

Nidal freme.

- E allora? Dovrei sottomettermi? Rinunciare a quello che era il regno di mio padre e prima di lui di mio nonno? Da oltre cent’anni la mia famiglia regna su Barqah!

Sabri rimane in silenzio un buon momento. Poi dice:

- Forse c’è una via.

- Quale?

- Hai sentito parlare di Ramzi ibn Qais?

- Chi? Intendi… gli ismailiti, quelli che chiamano Hashishiyya? Quelli che hanno diversi castelli più a Nord. Ramzi invece è… a Qasr al-Hashim, no?

- Esatto. È stato proprio Nur ad-Din a fargli assegnare il castello, dopo che è stato ripreso ai cristiani. Qasr al-Hashim è nel territorio di Jabal al-Jadid.

- E allora? Gli ismailiti non sono certo tanto numerosi da poter sconfiggere Dakhir e il Circasso, anche se decidessero di intervenire in nostro favore…

Nidal si ferma. Ha intuito dove vuole arrivare Sabri, che spiega:

- Gli ismailiti sono fanatici, Ramzi ha intorno a sé molti giovani che sono ben felici di immolarsi pensando di conquistare il paradiso. Non occorre sconfiggere Dakhir. Basterebbe uccidere lui e il Circasso.

Nidal annuisce. Gli ismailiti hanno compiuto diversi omicidi, questo è noto.

- Tu sei in rapporto con loro?

- So come contattarli.

Nidal sospetta che Sabri si sia servito degli Hashishiyya per far uccidere il padre e il fratello e diventare emiro di Marwan: tutti pensano che sia stato Sabri a ordinare il duplice omicidio.

- Non abbiamo molto tempo. Dakhir vuole una risposta per domani.

- Barqah può resistere qualche giorno. E una volta che Dakhir e il Circasso siano stati uccisi, l’esercito abbandonerà l’impresa e la città sarà libera.

Nidal annuisce. L’idea di affrontare l’attacco lo preoccupa: sa benissimo che i suoi uomini sono spaventati. Il solo nome del Circasso genera terrore.

Sabri prosegue:

- Ma gli ismailiti non interverranno certo solo per far piacere a noi.

- Che cosa dovremo dare?

- Oro e pietre preziose. Parecchio oro e pietre di valore, non si accontenteranno certo di poco. E ragazzi.

- Ragazzi?

- Sì, fanciulli tra i sei e i dodici anni, che non siano mai stati posseduti. Ramzi li addestra a una fedeltà cieca e li manda poi a uccidere.

Sabri sorride e aggiunge:

- Non so se prima di mandarli a uccidere e morire li usi anche per altro, ma non è affar nostro. Devono essere bei ragazzi. E vergini.

Nidal annuisce. Trovarli non dovrebbe essere molto difficile.

- No. Ma… gli ismailiti accetteranno? E riusciranno nell’impresa?

Se gli ismailiti non accettassero o se fallissero, Nidal sa che sicuramente morirebbe.

- Se paghiamo abbastanza, accetteranno. Quanto a riuscire…

Sabri alza le spalle e prosegue:

- Sono determinati e abili, ma nessuno può dirlo.

Nidal è pensieroso. Se domani rifiuterà di cedere la città, si troverà ad affrontare l’assedio e gli attacchi che il Circasso lancerà. L’idea di ciò che gli potrebbe succedere se Kazbech riuscisse a impadronirsi della città lo sgomenta. L’unica alternativa però è la resa.

Sabri conclude:

- Io mi rivolgerò a loro, in ogni caso. Non intendo arrendermi. Ma io ho ancora un po’ di tempo: se tu decidi di consegnare Barqah, loro si stabiliranno qui per qualche giorno, per raccogliere i tributi, chiamiamoli così, e arruolare i soldati. Per te la situazione è diversa. Devi decidere in fretta.

Nidal riflette ancora un momento, poi dice:

- Ascolta, Sabri. Credo che consegnerò Barqah. Se gli ismailiti uccideranno Dakhir e il Circasso entro qualche settimana, non sarà difficile per me riottenere il pieno controllo della città: non credo che senza il Circasso il fratello di Dakhir riuscirà a tenere sotto il suo dominio i territori conquistati. Io ti darò i ragazzi, l’oro e le pietre preziose che servono. Tu cerca di convincerli a fare in fretta.

Sabri annuisce. Avrebbe preferito che Nidal resistesse, perché avrebbe avuto più tempo per far intervenire Ramzi e gli ismailiti, ma l’idea di Nidal non è sbagliata. Se Dakhir giungesse ad assediare Marwan, Sabri potrebbe comportarsi come Nidal e cedere la città, in attesa che gli ismailiti riescano a uccidere Dakhir e il Circasso.

- Va bene. Ma non c’è tempo da perdere. Devo ripartire questa sera stessa, con i ragazzi e l’oro: domani non sarà più possibile.

Nidal concorda. Sceglie alcuni giovani schiavi, le cui famiglie non possono opporsi. 

 

L’emiro Sabri lascia la città. Ha ottenuto da Nidal la maggior parte di ciò che Ramzi potrà chiedergli per i due omicidi. A Marwan raccoglierà rapidamente ciò che manca e raggiungerà Qasr al-Hashim. Non c’è tempo da perdere.

Nidal è rimasto a riflettere. Consegnerà Barqah, su questo non ha dubbi: non ci sono alternative. Però parlando con Sabri gli è venuta un’altra idea: potrebbe rivelare il piano di Sabri, in modo da ingraziarsi Dakhir. È un azzardo. Nidal cerca di valutarne i pro e i contro. Fermare l’avanzata di Dakhir e del Circasso non è possibile. L’unica speranza è che vengano uccisi. Se il duplice omicidio riuscirà, Nidal potrà riprendere il controllo della città. Ma se fallisse e si scoprisse chi sono i mandanti, Nidal rischierebbe una fine atroce. Rivelando il piano, Nidal si metterebbe in buona luce davanti a Dakhir, ma per gli ismailiti sarebbe più difficile svolgere il loro compito e Nidal dovrebbe rassegnarsi a rimanere sottomesso a Dakhir.

Nidal non sa decidersi. Non è l’idea di tradire Sabri a farlo esitare, ma la speranza di conservare la propria completa indipendenza e questo è possibile solo se Dakhir e il Circasso troveranno la morte.

L’indomani mattina il messaggero si presenta molto presto. Nidal ha già informato i suoi consiglieri della decisione presa. Nessuno si è opposto: tutti conoscono la ferocia del Circasso e preferiscono perdere una parte delle loro ricchezze piuttosto che andare incontro a una morte terribile. Solo i figli maggiori di Nidal hanno espresso qualche dubbio, ma sanno anche loro che senza un appoggio esterno Barqah è condannata. E un aiuto da altre città non arriverà.

Nidal comunica all’inviato di Dakhir che cederà il comando della città. Poche ore dopo le truppe di Dakhir e del Circasso raggiungono Barqah. Nidal li attende davanti alla porta della città, come gli è stato intimato, e si prosterna davanti al nuovo signore: è un’umiliazione che lo fa fremere, ma deve eseguire gli ordini che ha ricevuto. I notabili schierati dietro di lui possono vederlo a terra, la faccia nella polvere.

Dakhir gli dice:

- Sei stato saggio, Nidal.

A Nidal pare di leggere scherno nelle parole di Dakhir. Alzando appena il capo, in attesa che Dakhir gli dia il permesso di sollevarsi, risponde:

- Allah ti ha dato forza e alla sua volontà non ci si può opporre. L’Onnipotente dà e prende e noi siamo i suoi umili servitori.

Dakhir sorride.

Il Circasso si rivolge ai notabili:

- Che aspettate? A terra, cani!

Tutti si stendono subito a terra. Rifiutarsi di obbedire sarebbe da sciocchi. Un uomo più anziano fa fatica a chinarsi. A un gesto del Circasso un soldato avanza, alza la spada e la cala, troncando il capo dell’uomo. Kazbech ride e commenta:

- Non era più nemmeno in grado di inchinarsi davanti al suo signore. Che cosa viveva ancora a fare?

Tutti fremono di orrore, ma nessuno dice nulla.

Dakhir ordina:

- Alzati e seguimi, Nidal.

Nidal obbedisce.

Quando Dakhir e Kazbech, accompagnati dai loro uomini e da Nidal, sono entrati in città, un ufficiale dice ai notabili:

- Potete alzarvi.

Nel palazzo di Nidal, Dakhir si siede al posto dell’emiro, il Circasso al suo fianco.

Dakhir ordina a Nidal di prosternarsi nuovamente, stendendosi sul tappeto. Nidal esegue. Al suo fianco si mette un uomo a torso nudo, con la scimitarra in mano. Nidal sa che a un semplice gesto di Dakhir o del Circasso, l’uomo potrebbe decapitarlo.

Dakhir lascia Nidal disteso, mentre riceve i notabili. Ognuno di loro entrando lancia un’occhiata all’emiro e al carnefice con la scimitarra. Dakhir impone a ciascuno il tributo da versare. Anche se il nuovo signore esige molto, nessuno osa protestare: la morte dell’uomo che non riusciva a prostrarsi è stata un monito più che sufficiente. Se qualcuno ancora pensava di nascondere le proprie ricchezze o di escogitare qualche trucco per sottrarsi all’oneroso tributo, ciò che vede gli fa cambiare rapidamente idea.

Il tesoriere di Nidal dovrà fornire un rendiconto completo delle proprietà dello sceicco deposto. Nidal si rende conto che l’uomo potrebbe parlare delle pietre preziose e dell’oro consegnati all’emiro Sabri. Come giustificarla? Nidal sente l’angoscia invaderlo. Gli conviene rivelare tutto?

Il tempo passa. Gli uomini di Dakhir vengono a riferire come procede l’esazione dei tributi. Un ufficiale informa che in una delle case signorili il giovane figlio del padrone ha aggredito gli uomini inviati a requisire i beni.  Tutti gli abitanti della casa sono stati arrestati. Dakhir si volta verso il Circasso, lasciando che sia lui a decidere il da farsi: ormai sa che la ferocia del comandante dell’esercito è un ottimo deterrente per tutti. Nidal stesso non avrebbe consegnato immediatamente la città se non avesse ricevuto la testa dell’ufficiale.

Kazbech dice:

- Farete impalare e castrare tutti i maschi, liberi e servitori. Tutte le donne verranno con noi e, dopo aver soddisfatto i soldati, saranno vendute ai bordelli di Marwan,

quando l’avremo conquistata. Tutti i beni della famiglia saranno sequestrati.

Nidal freme. Ha sempre più paura. Il tesoriere non torna.

Dopo un tempo che a Nidal è parso lunghissimo, l’uomo che Dakhir ha incaricato di affiancare il tesoriere rientra e presenta la sua relazione. Conclude dicendo:

- Ieri pomeriggio una grande quantità di oro e pietre preziose è stata consegnata all’emiro di Marwan, Sabri.

Dakhir si rivolge a Nidal. La sua voce è aspra.

- Ascoltami bene, cane. Tu hai ceduto la città e ora sei mio suddito. Un suddito deve essere leale al suo signore e non nascondergli nulla. Perché hai dato una parte del tesoro a Sabri?

Nidal ha già deciso che cosa rispondere. Sa che non c’è altra via d’uscita.

- Mio Signore, ti prego di tenere presso di te solo poche persone in cui hai assoluta fiducia, perché nessuno deve sapere ciò che ti dirò. Non ho parlato prima solo perché se qualcuno sapesse ciò che intendo rivelarti, tu correresti un grande pericolo.

Nidal suda, anche se la giornata non è calda. Dakhir lo fissa.

- Mettiti in ginocchio, cane.

Nidal si solleva. Dakhir fa uscire la maggioranza degli uomini. Rimangono solo il Circasso e due guardie.

- L’emiro di Marwan, Sabri, che Allah lo incenerisca, ha deciso di farti uccidere dagli ismailiti di Ramzi.

- Quelli che chiamano Hashishiyya?

Dakhir li conosce di fama: alcuni emiri e sceicchi sono stati uccisi da questi fanatici, che affrontano sereni la morte più atroce.

- Sì, Ramzi sta a Qasr al-Hashim, che è nel territorio di Jabal al-Jadid. Sabri di Marwan se n’è già servito per far uccidere il padre e il fratello e salire al trono.

Nidal non sa se questo è vero, ma ormai perdere Sabri è l’unico modo per salvarsi. Ma Nidal non è sicuro che basti. Adesso deve convincere Dakhir di non aver mai voluto prendere parte al piano. È il compito più difficile.

- Io rifiutavo di dargli ascolto e gli ho detto che avrei consegnato Barqah, ma egli ha minacciato di denunciarmi come traditore a Nur ad-Din, dicendo che io volevo aiutarti a spodestarlo. Allora ho finto di accettare e gli ho consegnato quanto mi chiedeva, contando di avvisarti.

Kazbech si alza di scatto e si avvicina a Nidal, che non osa alzare lo sguardo, ma fissa i piedi del Circasso, di fronte a lui.

- Cane, tu menti! Eri complice e adesso cerchi di giustificarti.

Nidal trema. Kazbech procede:

- Meriteresti che ti uccidessi ora, ma la tua fine non sarà così rapida.

Nidal perde il controllo della vescica, mentre il terrore lo invade. La tunica si impregna di piscio, che forma una piccola pozza a terra. Il Circasso ride. Poi chiama alcune guardie e ordina:

- Rinchiudete questo cacasotto in una cella.

- No, no, io… ti avrei avvertito comunque… non puoi, no! No! No!

Gli uomini hanno già afferrato Nidal e lo trascinano nei sotterranei del palazzo. Lo sbattono in una cella e chiudono la porta. Nidal si rialza, tremante. Ripensa al comandante della fortezza. Non vuole morire. Non così. Gli tornano in mente gli ordini che il Circasso ha dato quando gli hanno comunicato che un giovane ha attaccato i soldati inviati a requisire i beni della famiglia. Nidal pensa ai suoi figli. Si appoggia alla parete, ma le gambe non lo reggono. Scivola a terra, balbettando parole senza senso.

 

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Sabri ha scelto altri tre ragazzi da consegnare a Ramzi. Sono due giovani schiavi e il cugino Ridwan, che ha appena otto anni: è l’unico erede maschio del figlio di suo zio e Sabri preferisce allontanare un possibile rivale. Il padre è lontano: Sabri l’ha inviato a Shaqra con un’ambasciata. La madre supplica invano Sabri, lo prega di desistere, ma l’emiro è irremovibile.

Sabri parte immediatamente per Qasr al-Hashim: non c’è tempo da perdere, perché Dakhir non si fermerà a lungo a Barqah. Sabri vorrebbe poter inviare qualcun altro, per non rimanere a lungo lontano da Marwan, ma non è il tipo di trattativa che possa condurre un ambasciatore. Sabri ha bisogno di parlare direttamente con Ramzi.

Sabri arriva a Qasr al-Hashim. È la seconda volta che vi viene, ma la sensazione di potenza che la fortezza trasmette non è meno forte. Qasr al-Hashim, che i Cavalieri del Tempio hanno tenuto per un breve periodo, è un vero nido d’aquila, costruito a strapiombo su un precipizio e raggiungibile solo da settentrione. Dicono che una maledizione gravi su questa fortezza, le cui guarnigioni sono state tutte sterminate o dalla malattia o dai nemici. Ma queste dicerie non spaventano certo uomini come Ramzi.

Sabri viene fatto entrare, insieme ai bambini, ma i suoi uomini devono rimanere fuori, nello spazio tra la prima e la seconda cerchia di mura. Sabri viene condotto in una sala spoglia, dove si siede sui cuscini e aspetta di essere accompagnato da Ramzi. Alcuni dei giovani si lamentano e piangono. Sabri intima di tacere, ma diversi non riescono a trattenere i singhiozzi. Dopo un momento alcuni uomini di Ramzi vengono a prendere i piccoli e i doni.

Sabri rimane da solo. Meglio così: Sabri non ha nessuno voglia di ascoltare i bambini che frignano.

Ramzi lo fa attendere quattro ore: dev’essere chiaro che neanche l’emiro di Marwan può pensare di essere ricevuto immediatamente. Sabri nasconde la sua irritazione. Ben altro è ciò che gli preme in questo momento.

Infine Sabri viene accompagnato dal signore della fortezza. Nella stanza ci sono i bambini e i doni che Sabri ha portato con sé. L’emiro di Marwan si inchina di fronte a Ramzi: non ne avrebbe motivo, Ramzi non ha nessun titolo, sarebbe lui a doversi inchinare di fronte a un emiro. Ma Ramzi è un uomo potente e Sabri ha bisogno di lui. Se un giorno Sabri diventasse padrone di tutta la Siria, farebbe sicuramente squartare Ramzi, ma adesso deve mostrarsi ossequioso.

Dopo i saluti e i convenevoli, Sabri presenta i suoi doni: otto bambini, tra i cinque e i dodici anni, e una grande quantità di oro e pietre preziose. Ramzi osserva con attenzione i ragazzi e accoglie il tutto con un breve ringraziamento, come se fosse un dono dovutogli. Sabri si guarda bene dal dire che vuole qualche cosa in cambio. Ramzi sa che questo dono è solo il pagamento di un servizio che gli verrà richiesto, ma non pone domande. Si limita a chiedere notizie di Sabri e della sua famiglia.

- Stiamo bene, ma siamo tutti preoccupati. L’emiro Dakhir e le sue truppe, guidate dal Circasso, hanno appena occupato Barqah e ora minacciano Marwan. Dakhir vuole prendere il posto di Nur ad-Din, il grande sovrano che vi protegge e vi ha fatto dono di questa magnifica fortezza.

Non occorre dire altro: la richiesta è chiara e il riferimento a Nur ad-Din le conferisce un peso maggiore. Ramzi sembra riflettere un momento, poi dice:

- Certo, quanto mi racconti, emiro, è grave. Nur ad-Din è il nostro signore. Chi lo minaccia merita la morte.

- Sì, è così. Dakhir e il Circasso non hanno rispetto per le leggi divine e per coloro che Allah ha mandato a guidarci.

- Allah è grande e per coloro che si oppongono al suo volere vi è la morte su questa terra e l’inferno nell’aldilà.

È stato detto tutto quanto era necessario. La conversazione procede ancora un momento, poi Sabri prende congedo.

 

Sabri sta tornando verso Marwan con i dieci uomini che lo hanno accompagnato a Qasr al-Hashim. Conta di arrivare in tarda serata. È stato assente solo due notti e di certo Dakhir non è ancora arrivato a Marwan: prima procederà a un sistematico saccheggio delle ricchezze di Barqah. Ma ormai non resta più molto tempo. Purché Ramzi agisca in fretta.

Sabri e i suoi uomini hanno appena superato la gola dell’Anuar, quando si trovano di fronte un centinaio di soldati. Sabri non sa chi possano essere: Marwan non è in guerra con nessuno. Si chiede se non sia meglio tornare indietro, ma si accorge che la ritirata è bloccata: l’ingresso della gola è sbarrato da altri soldati scesi dai monti. È una trappola.

Un uomo avanza verso di loro.

- Arrenditi.

- Chi siete, che attaccate in tempo di pace chi non vi ha offeso?

L’uomo ride.

- Il mio nome è Kazbech, ma mi chiamano il Circasso. Sabri, che fosti signore di Marwan, sei nelle mie mani.

Sabri sa di essere perduto. Non si aspettava certo di cadere in un agguato e una difesa è impossibile: i suoi uomini sono troppo pochi. Ma come hanno saputo che lui era in viaggio e sarebbe passato dalla gola dell’Anuar?

- Mi consegno a te, ma non vi è guerra tra di noi.

Kazbech fa un cenno ai suoi uomini, che disarmano Sabri e i guerrieri che li accompagnano, poi legano loro le mani.

Solo allora Kazbech dice:

- Hai tramato per far uccidere me e il mio signore, l’emiro di Halel. Non è una dichiarazione di guerra, questa?

Kazbech ride. Sabri è impallidito. Si pente di non aver cercato di resistere: avrebbe trovato una morte meno atroce di quella che di certo lo attende. Ma come hanno fatto a scoprire? Lui ha appena parlato con Ramzi… Nidal! È stato lui a tradire, su questo non c’è nessun dubbio. Ecco perché sapevano dove aspettarlo! Tornando da Qasr al-Hashim, per lui era inevitabile passare per la gola dell’Anuar. Merda! Nidal ha raccontato tutto. Lo uccideranno e il suo supplizio sarà orrendo.

 

Sabri viene condotto a Barqah, per assistere all’esecuzione dello sceicco Nidal: il Circasso vuole che veda ciò che faranno al suo complice, ciò che faranno anche a lui.

A Sabri non spiace l’idea di vedere il supplizio di Nidal: lo sceicco lo ha tradito ed è giusto che paghi. Ma non vuole subire la stessa sorte.

Sabri trascorre la notte in una cella e il mattino dopo viene portato fuori dalla città. Ai piedi delle mura è stato montato uno steccato che delimita uno spazio semicircolare. Dietro al recinto e sulle mura si assiepa una grande folla, chiamata ad assistere al supplizio. Davanti allo steccato i soldati sono disposti in una doppia fila. Lungo le mura numerosi pali reggono dei corpi che sono stati castrati. Sabri non sa chi possano essere quegli uomini, ma di certo devono aver opposto resistenza al Circasso. Per terra vi sono altri pali acuminati: quei pali squarceranno le carni di Nidal e dei suoi figli, forse anche quella di Sabri, ma l’emiro sospetta che verrà ucciso davanti alle mura di Marwan, perché i suoi sudditi possano vedere la sua fine.

C’è un odore forte, di sudore e sporcizia, a cui si mescola il fetore dei corpi in decomposizione infilzati sui pali.

Sabri viene fatto sedere davanti allo steccato. Davanti a lui non vi sono soldati, in modo che Sabri possa assistere al supplizio.

Nello spiazzo lasciato libero dai soldati vi sono Nidal e i quattro figli maschi più grandi, che hanno tra i diciotto e i ventiquattro anni. Nidal ha avuto una ventina di figli dalle sue mogli, ma Sabri sa che alla fine della giornata non ne rimarrà uno vivo. O forse qualcuno più sfortunato sarà ancora vivo perché agonizzerà sui pali.

Nello spiazzo ci sono anche quattro cavalletti. I quattro figli di Nidal vengono costretti a stendersi su di essi e i soldati legano loro i polsi e le caviglie, in modo che non possano muoversi. Vedendoli stesi così, a gambe larghe, Sabri intuisce: verranno violentati. E infatti alcuni soldati si avvicinano e si mettono dietro i quattro giovani. Nidal scuote la testa. Vorrebbe gridare la sua disperazione, ma non servirebbe a nulla.

I soldati si abbassano i pantaloni, appoggiano le mani sul culo dei quattro condannati, divaricano le natiche e li infilzano con un’unica spinta. Uno dei figli di Nidal urla, gli altri riescono a controllarsi. Quando i primi quattro uomini hanno finito, altri prendono il loro posto. I soldati che hanno già avuto la loro parte pisciano in faccia ai condannati. Man mano che un soldato conclude l’opera, un altro prende il suo posto. Gli stupri si succedono per un tempo che a Sabri appare interminabile. Ormai i soldati quando si ritraggono hanno il cazzo sporco di sangue. Uno dei figli di Nidal è svenuto.  

Il sole è alto in cielo. La folla assiste immobile, nonostante il calore soffocante. Qualcuno impreca sottovoce: è una vergogna che anche le donne debbano assistere a uno spettacolo del genere. Più d’una si è coperta completamente il viso con il velo, per non vedere. Ma l’ordine di assistere è venuto da Dakhir e nessuno può pensare di andarsene.

Infine il Circasso si alza. Sguaina la scimitarra e si avvicina al figlio maggiore di Nidal. Avvicina l’arma al buco del culo e con un movimento deciso affonda la lama. Non la spinge fino all’elsa, ma ne infila circa metà. L’uomo urla quando sente la lama entrargli nelle viscere, un urlo che non finisce mai. Quando il Circasso estrae la scimitarra, l’uomo urla di nuovo. Anche Nidal grida, un “No” disperato. Pure tra la folla qualcuno ha gridato. Due donne sono svenute e alcuni spettatori stanno vomitando. C’è un momento di confusione, ma i soldati ristabiliscono in fretta l’ordine. Le donne svenute vengono allontanate e la rissa nata perché un uomo si è visto vomitare addosso da un altro è subito sedata.

Il Circasso ripete l’operazione con gli altri tre figli di Nidal. Nessuno di loro riesce a trattenere l’urlo. A un cenno del Circasso i soldati si avvicinano ai quattro giovani, afferrano i loro genitali e li recidono. I giovani gridano, nel silenzio assoluto che si è creato tra la folla. Solo Nidal balbetta parole incomprensibili mentre piange.

Intanto i quattro vengono slegati e stesi a terra. I carnefici prendono i pali.

Sabri ha le mani legate dietro la schiena, ma nessuno bada a lui ora che il boia si appresta a spingere il palo acuminato nel culo del figlio maggiore di Nidal. Mentre i figli di Nidal venivano stuprati, Sabri ha sfregato contro una sporgenza dello steccato la corda che gli legava i polsi, senza badare alle schegge che gli laceravano i polsi. Infine è riuscito a romperla e ha liberato le mani. Probabilmente chi l’ha legato non ha pensato che Sabri potesse cercare di liberarsi le mani. Un tentativo di fuga sarebbe risibile, con tutti gli uomini del Circasso e la folla ostile intorno a lui.

Ma Sabri non intende fuggire. Nel momento in cui il boia vibra il colpo e il palo penetra nel corpo del figlio di Nidal, Sabri scatta in piedi, afferra il pugnale di uno dei soldati e se lo infila nel petto. Sente il dolore violento e si lascia cadere in avanti, in modo che nell’urto con il suolo il pugnale penetri più a fondo e gli spacchi il cuore.

I soldati che si precipitano su di lui possono solo constatarne la morte. L’emiro Sabri di Marwan è sfuggito al supplizio. Il suo corpo subirà ogni tipo di oltraggio, ma nessuno potrà infliggergli altro dolore.

Il Circasso si avvicina. Guarda il cadavere steso a terra. È furente per ciò che è successo. Il soldato che si è lasciato prendere il pugnale guarda smarrito il comandante. Sa che morirà. Mormora:

- Lo avevano legato male. Non è colpa mia.

Kazbech dà ordine di arrestarlo. Fa cercare il soldato che ha legato Sabri. I due uomini vengono portati via. Pagheranno con la vita.

Adesso però la cerimonia continua. I figli di Nidal vengono impalati, uno dopo l’altro, e i pali issati accanto a quelli già piantati. Due dei giovani sono ancora vivi e gemono. Due invece sono inerti, probabilmente i giovani sono già morti: Allah è stato misericordioso con loro.

Ora è il turno di Nidal, che viene legato su uno dei cavalletti e subisce lo stesso strazio dei suoi figli: prima la violenza, poi la lama in culo, la castrazione e infine il palo. È ancora vivo quando il palo viene sollevato.

Subito dopo i figli più giovani di Nidal e gli altri parenti vengono portati sulle mura. Ci sono uomini adulti, bambini e anziani, tutti i maschi della famiglia. Le donne sono state destinate a soddisfare i soldati.

Uno dopo l’altro essi vengono castrati, poi legati e calati con le corde lungo le mura, fino a rimanere appesi a testa in giù. Agonizzano uno di fianco all’altro, mentre il sangue della ferita cola sui corpi fino al collo.

Solo dopo che l’ultimo corpo è stato appeso, la folla può disperdersi. Qualcuno commenta sottovoce, ma i più tornano a casa in silenzio. In un angolo qualcuno vomita ancora.

Akram torna con il padre. Hamdan scuote la testa.

- Nidal era un traditore, ma sterminare tutta la famiglia in questo modo… Gli uomini inculati e castrati davanti a tutte le donne della città…

Akram non dice nulla, perché non vuole irritare il padre. Ma dentro di sé pensa che il Circasso ha fatto benissimo: questa violenza atroce sarà un deterrente per tutti coloro che cercheranno di sbarrargli la strada. Chi ha grandi ambizioni non può permettersi di avere pietà. Bisogna incutere paura ai nemici. Kazbech è un buon maestro e Akram intende imparare da lui tutto ciò che può.

 

Il cadavere di Sabri viene gettato in una latrina, dopo essere stato castrato, ma più tardi viene recuperato, attaccato a un cavallo e trascinato fino a Marwan. La città si è arresa senza opporre resistenza, ma i cittadini devono vedere il corpo del loro emiro, lordato di merda e fango, decapitato e impalato davanti alle mura.

Le donne della famiglia di Sabri vengono vendute come puttane nei bordelli di diverse città, gli uomini subiscono la stessa sorte di Nidal e dei suoi figli. L’unico parente maschio di Sabri a rimanere vivo è Ridwan, il bambino che Sabri ha consegnato a Ramzi.

 

Dakhir non sottovaluta la minaccia costituita da Ramzi: conosce bene gli ismailiti e sa che sono determinati. 

- Kazbech, se gli ismailiti vogliono ucciderci, non sarà facile fermarli.

- Nessuno dei miei uomini accetterà di tradire e tutti sanno fare buona guardia.

- Gli ismailiti sono fanatici, non arretrano davanti a nulla. Ramzi, che comanda a Qasr al-Hashim, potrebbe rinunciare al progetto, ora che Sabri e Nidal sono morti: non avrebbe molto senso cercare di farci uccidere adesso, quando chi l’ha pagato per questo è morto. Ma potrebbe decidere di farlo solo perché si sappia che tiene fede agli impegni.

- Possiamo attaccare il castello e sterminare Ramzi e gli ismailiti di quest’area.

- Qasr al-Hashim è nel territorio di Jabal al-Jadid ed è imprendibile. Dovremmo assediarlo, magari per mesi.

- Allora manderemo a Ramzi alcuni doni, per fargli credere che lo consideriamo un amico, e la testa di Sabri, per fargli capire che cosa succede a chi si schiera contro di noi. Di lui ci occuperemo dopo, quando avremo conquistato Shaqra e Jabal al-Jadid.

- Questa potrebbe essere una buona idea. Prendiamo alcuni ragazzi di Marwan e Barqah: Ramzi vuole che gli offrano dei giovani, che poi addestra a diventare i suoi sicari. Li inviamo, insieme a qualche oggetto d’oro. Crederà che abbiamo paura di lui e rinuncerà a tentare di assassinarci. E poi penseremo anche a lui.

Kazbech annuisce.

- Sì, manderò Imad, il mio scudiero. È un uomo molto capace e saprà come parlare a Ramzi.

 

Imad raggiunge Qasr al-Hashim, accompagnato da quattro soldati e sei ragazzini, presi a Marwan e Barqah.

Quando arriva al castello, lo osserva con attenzione: sa bene che un giorno il suo signore potrebbe decidere di espugnarlo. La fortezza sorge su uno sperone roccioso, a strapiombo sulla confluenza di due fiumi. Può essere attaccata solo da nord, ma una doppia cinta di mura la difende. Si può assediare, ma sembra impossibile prenderla con un attacco diretto.

Imad dice che viene a nome dell’emiro Dakhir e del principe Kazbech. Vuole parlare con l’emiro Ramzi e porta ricchi doni per lui. Ramzi non è emiro, è solo il capo degli ismailiti che vivono nel castello, ma Imad sa che deve trattarlo con la massima deferenza.

Gli uomini di Ramzi fanno entrare la delegazione. I soldati rimangono tra le due cerchie di mura. Imad passa all’interno, con i regali e i sei giovani.

Le guardie controllano tutto ciò che ha portato Imad. Trovano anche la testa di Sabri, di cui solo il sale in cui è stata avvolta ha fermato la putrefazione. Il soldato che ha aperto lo scrigno con la testa guarda interrogativamente Imad, che dice:

- Anche questo è un dono per l’emiro. Lui capirà.

L’uomo annuisce. Controlla che non ci sia un’arma nello scrigno, poi lo richiude.

- Spogliati.

Imad si spoglia. I suoi abiti vengono perquisiti con cura. Le guardie passano le mani persino tra i suoi capelli, per accertarsi che non nasconda un’arma. Sabri non è stato controllato allo stesso modo, ma uno sceicco non va a uccidere di persona un nemico: manda un sicario.

Imad infine può rivestirsi e dopo una lunga attesa viene ammesso al cospetto di Ramzi.

Si inginocchia davanti al signore della fortezza, mostrandosi deferente. Dopo i saluti, spiega il motivo della sua venuta:

- Un uomo malvagio ha cercato di farti credere che il mio signore, Kazbech, detto il Circasso, ti fosse ostile. Ma Kazbech vuole esserti amico e perciò ti invia questi doni.

Ramzi accetta i regali come se gli fossero dovuti. Con un cenno, dà ordine ai suoi uomini di portare via ciò che gli è stato offerto.

 Poi risponde:

- Non ho mai creduto alle parole menzognere di quell’uomo.

Imad mostra la testa recisa.

- Allah ha punito l’infame che ha cercato di seminare l’odio.

Ramzi guarda la testa indifferente, come se fosse un oggetto di scarso valore: già sapeva che Imad gliel’avrebbe mostrata, perché i suoi uomini gli hanno certamente riferito di averla trovata, come gli hanno detto il valore dei doni.

Ramzi osserva:

- Allah è giusto e la sua volontà si compie sempre. Nessuno sfugge alla sua punizione. 

- Il mio signore, Kazbech il Circasso, confida nella tua amicizia.

- Digli che lo ringrazio e che non gli sono nemico, come hanno cercato di fargli credere.

- Il tuo nemico, emiro, è un altro. È l’infame Dakhir che ha conquistato vaste terre e ora mira a impadronirsi di Jabal al-Jadid. Ha giurato di conquistare Qasr al-Hashim e sterminare tutti i veri credenti che vi abitano.

Ramzi fissa Imad.

- L’uomo che Allah ha punito mi aveva parlato anche di lui.

- Egli non è un vero credente e la punizione di Allah lo colpirà.

- Sì, così sarà.

Ramzi fa un cenno d’assenso. È stato detto tutto il necessario.

- Kazbech sarà per te un amico fedele.

- Come io lo sarò per lui.

Imad e Ramzi sanno che l’amicizia tra Kazbech e il capo degli ismailiti di Qasr al-Hashim dipenderà dagli interessi dell’uno e dell’altro, ma per il momento tra loro non vi è ostilità. Dopo le formule di cortesia, il messaggero si congeda.

 

Dopo la morte degli emiri di Barqah e Marwan, il territorio sotto dominio di Dakhir comprende tutta la regione montuosa del nord e si affaccia sulle fertili colline più a sud. Qui ci sono i centri più importanti: non sarà facile espugnare città come Shaqra e Jabal al-Jadid, che hanno grandi eserciti, ma ormai anche Dakhir è un signore potente, in grado di competere con tutti i principi della regione. E il solo nome del Circasso semina il terrore. Diversi uomini di Kazbech sono morti nelle battaglie, ma altri sono giunti dal Nord per mettersi al suo servizio. I circassi di Kazbech costituiscono le truppe più disciplinate e spietate dell’esercito di Dakhir.

Dopo aver concluso la campagna, l’esercito si appresta a rientrare a Halel: Dakhir vuole riorganizzare l’amministrazione dei suoi domini, ormai molto vasti, prima di riprendere l’espansione. Ma sarà solo una breve pausa.

Ad Akram spiace che la campagna non prosegua: avrebbe voluto dimostrare il suo valore in battaglia, per fare una buona impressione sullo zio e sul Circasso. Ma di battaglie non ce ne sono state: solo la conquista del Passo della Fortezza ha richiesto un’azione di forza e uno scontro con l’avversario. Comunque Dakhir ha detto che intende ripartire presto da Halel per nuove conquiste e in ogni caso Akram ha avuto diverse occasioni di parlare con Kazbech e di esprimergli la sua ammirazione. Il Circasso sembra ben disposto nei suoi confronti. Akram è convinto di poter contare su di lui per garantire i propri diritti contro Farid: tra il fratellino e il Circasso non sembra correre buon sangue e questa è un’ottima cosa.

Hamdan è contento di poter ritornare a Halel e ritrovare Farid e la giovane figlia, Nabila.

 

*

 

L’emiro Ashraf ha mandato alcune truppe a fare un giro di ricognizione ai confini settentrionali del territorio di Jabal al-Jadid: l’esercito di Dakhir sta rientrando a Halel, ma è opportuno tenere sotto controllo la situazione.

Ora il comandante Barbath, il suo braccio destro Feisal e altri ufficiali sono seduti sull’erba accanto a un torrente. Discutono degli ultimi avvenimenti, in particolare la presa di Barqah e Marwan da parte di Dakhir e del Circasso. La ferocia dimostrata da Kazbech ha lasciato tutti allibiti. E gli ufficiali si rendono conto che presto sarà il turno di Jabal al-Jadid.

- Dakhir sta tornando a Halel.

- Per il momento. Ma lui e il Circasso non si fermeranno. Barqah e Marwan non gli bastano.

- Questo è sicuro. Presto ripartiranno e questa volta saranno Shaqra e Jabal al-Jadid a essere attaccate.

- Ne sei sicuro, comandante?

Barbath annuisce.

- Dovremo prepararci ad affrontare un nemico potente e terribile.

- Ciò che il Circasso ha fatto allo sceicco di Barqah… e a tutta la sua famiglia… è atroce. Anche lo sceicco di al-Unayzah era stato castrato, ma dopo la decapitazione. Un emiro e i suoi figli violentati, come fossero schiavi…

- Davanti a tutti: anche le donne hanno dovuto assistere!

- …e poi castrati e impalati.

- Pure la spada in culo gli ha infilato. È una bestia, non un uomo.

- Di’ pure un demone.

- E gli altri figli? Anche loro castrati e appesi alle mura. Ragazzi, bambini.

- Sì, hai ragione, Qais, è una creatura infernale.

Gli risponde Feisal:

- È un uomo spietato e determinato a ottenere ciò che vuole. Sa che il terrore è un’arma efficace e se ne serve senza scrupoli.

C’è un momento di silenzio. Tutti sanno che presto dovranno affrontare quest’uomo terribile, a meno che l’emiro Ashraf non decida di sottomettersi. In questo caso, si troveranno al servizio del Circasso.

- Che cosa deciderà l’emiro?

Barbath conosce bene Ashraf ed è convinto che non accetterà mai di cedere Jabal al-Jadid senza combattere. Ma non spetta a lui dire che cosa farà il suo signore.

- Non posso saperlo.

Qualcuno osserva:

- Non credo che cederà. Il nostro emiro ha i coglioni.

Qais replica:

- Nel qual caso rischia di finire… male.

Qais voleva fare una battuta sul fatto che Ashraf rischia di finire senza coglioni, come Nidal e Sabri, ma si è trattenuto: qualcuno avrebbe potuto considerare le sue parole una mancanza di rispetto nei confronti dell’emiro.

Un altro risponde:

- Finiremo tutti male. Ma d’altronde, passare al servizio del Circasso…

- È un comandante valoroso.

- Sì, ma…

L’uomo scoppia a ridere, poi osserva:

- È meglio che non dica quello che penso. Potreste riferirglielo se Jabal al-Jadid passasse sotto il suo controllo.

Qais replica:

- Lo faremmo di sicuro. Solo per vedere che cosa ti fa.

Qualcuno ride, ma non c’è molta allegria.

Uno degli ufficiali propone:

- Che ne direste di bagnarci?

- Buona idea, rinfreschiamoci un po’.

Meglio sguazzare un po’ nel fiumiciattolo e non pensare a che cosa riserva il futuro, tanto per il momento non c’è nulla da fare.

Gli ufficiali incominciano a spogliarsi. Mentre si sveste, Barbath guarda Feisal, il cui corpo appare man mano che l’ufficiale si toglie gli abiti. Gli torna in mente la conversazione che hanno avuto qualche tempo fa.

Ora Feisal è nudo. Lo sguardo di Barbath indugia su di lui. Feisal è un uomo forte e snello, il petto e il ventre coperti da un pelame abbastanza fitto. Feisal è un maschio adulto e vigoroso, il cui corpo porta i segni delle guerre combattute.

A Barbath piacciono i ragazzi tra sedici e diciott’anni, a cui spunta appena la prima peluria. Agli uomini che hanno la sua età o poco meno, Barbath non si è mai interessato. Feisal ha ventinove anni, sette in meno di Barbath, ed è un uomo fatto. Eppure ora Barbath si rende conto di guardare questo corpo con occhi nuovi. E questo corpo lo attrae, vorrebbe stringerlo.

Feisal si avvicina al torrente. Barbath guarda il culo forte e la peluria scura che lo ricopre. Feisal si immerge. Barbath entra rapidamente in acqua e cerca di scacciare dalla sua testa il pensiero di Feisal, che lo disturba.

L’acqua non è profonda. Tutti si spruzzano, ridendo come ragazzini. Poi si sfidano scherzando, si afferrano e cercano di spingersi l’un l’altro sott’acqua. Barbath guarda Qais e Mahdi. I due giovani ufficiali stanno lottando avvinghiati. Barbath pensa che vorrebbe afferrare Feisal, come Qais sta facendo con Mahdi, e mettergli la testa sott’acqua, ma ha paura che il suo corpo reagisca e non potrebbe nasconderlo in nessun modo. Già adesso si rende conto che il sangue sta affluendo al cazzo. Merda!

Escono dall’acqua e si stendono sull’erba.

Barbath si stende lontano da Feisal e non guarda dalla sua parte. Ha il cazzo mezzo in tiro, ma non è l’unico: le lotte scherzose e il contatto dei corpi nell’acqua hanno fatto lo stesso effetto anche ad altri, in particolare a Qais e Mahdi, che se potessero si allontanerebbero per amarsi tranquillamente. Barbath non ha partecipato alle lotte scherzose, ma ha la fama di essere un gran toro da monta: niente di strano che sia sempre pronto a passare all’azione.

Qais dice:

- Barbath, tu sei più fortunato di noi: se il Circasso ti fa tagliare due coglioni, te ne rimane uno.

Tutti ridono.

Un altro risponde, cupo:

- Gliene taglierà tre e soffrirà di più.

L’osservazione spegne l’allegria. Rimangono ancora un momento stesi, lasciando che il sole asciughi le gocce d’acqua sui loro corpi, poi si alzano e si rivestono. Barbath non guarda verso Feisal, ma a un certo punto si volta per raccogliere il pugnale e non riesce a non fissarlo. È completamente diverso dai ragazzi che gli piacciono. Eppure ora desidera quel corpo, a cui non aveva mai badato. Perché? Perché Feisal e non Mahdi, per esempio, che è bellissimo? Ma la bellezza non c’entra. È qualche cosa di diverso, qualche cosa che nasce da dentro.

Che cosa gli ha detto Feisal? Qualcuno al cui fianco camminare fino alla notte? Qualche cosa del genere. La notte potrebbe essere vicina per tutti loro.

 

Due giorni dopo Barbath e le sue truppe rientrano a Jabal al-Jadid. Barbath si presenta dall’emiro Ashraf, al cui fianco siede il figlio Muhammad. Barbath fa una breve relazione sulla situazione. Non c’è molto da dire: tutto appare tranquillo, per il momento.

Ashraf esprime i suoi dubbi:

- Barbath, non pensi che quando il Circasso attaccherà da occidente, a oriente possano esserci ribellioni fomentate dai nostri nemici?

- È possibile, ma non è un problema. Se riusciremo a resistere al Circasso, ci riprenderemo i territori che i nostri nemici avranno cercato di toglierci. Altrimenti…

Barbath non completa la frase. Il senso è chiaro: se il Circasso li avrà sconfitti, tutto il territorio di Jabal al-Jadid sarà nelle sue mani. Ashraf è pensieroso.

- Abbiamo qualche possibilità di resistere, Barbath?

- Il Circasso ha un esercito molto forte. Noi abbiamo meno uomini, ma i nostri soldati sono determinati. Ciò che accadrà è nelle mani di Allah.

Muhammad interviene:

- Combatteremo. Allah sarà dalla nostra parte.

- Già…

Ashraf rimane un momento in silenzio, poi dice:

- Bisogna mandare un nuovo comandante a Qasr Rim. Poco fa mi hanno comunicato che Hassam ibn Kassir è morto improvvisamente. Allah lo ha chiamato a sé.

Qasr Rim è una fortezza al confine nord-occidentale. È in una posizione strategica importante e controlla un territorio conteso tra Ashraf e lo sceicco di Shaqra.

Ashraf aggiunge:

- Ci vuole un uomo deciso e coraggioso. Chi pensi sia adatto?

- Feisal, emiro. È giovane, ma valoroso e intelligente. È l’uomo migliore.

Barbath ha risposto senza esitare: sa che Feisal è davvero l’uomo più adatto al posto di comandante della fortezza. Ma mentre lo dice, capisce di provare emozioni contrastanti, che lo sorprendono. L’idea che Feisal vada lontano da una parte è un sollievo, dall’altra gli spiace. E saperlo in pericolo lo preoccupa. La faccenda mette Barbath a disagio, lo rende nervoso.

- Va bene. Dagli le istruzioni necessarie e fallo partire subito. Non è bene che la fortezza rimanga a lungo senza comandante.

- Vado immediatamente.

Barbath si congeda e fa chiamare Feisal.

Feisal si presenta, sorridente. Non è bello, però Barbath deve riconoscere che gli piace questo viso franco, dai lineamenti marcati. E mentre lo pensa, Barbath si rende conto di essere irritato con se stesso.

- Feisal, il comandante di Qasr Rim è stato chiamato a sé da Allah. Tu prenderai il suo posto. Partirai oggi stesso. È un incarico impegnativo, ma so che lo svolgerai nel migliore dei modi.

- Grazie, comandante.

Feisal chiede qualche dettaglio, poi si allontana. Barbath si chiede se lo rivedrà ancora. Il Circasso è a Halel, ma non ci resterà a lungo: quando Dakhir avrà riorganizzato i suoi domini, scenderà verso Jabal al-Jadid e Qasr Rim è sulla strada che dovrà percorrere. Barbath pensa al comandante della fortezza del Passo della Sorgente: il Circasso lo ha fatto stuprare, castrare e poi impalare, gli ha fatto tagliare le orecchie e cavare gli occhi. Barbath rabbrividisce: la stessa sorte potrebbe toccare a Feisal, se non consegnerà la fortezza. E Feisal non lo farà, senza un ordine di Ashraf. Ma anche Barbath potrebbe finire nello stesso modo, se cadrà vivo nelle mani del Circasso. La notte è vicina per entrambi. Ma non cammineranno insieme.

Barbath vorrebbe richiamare Feisal, parlargli ancora, dirgli qualche cosa, ma lascia che si allontani. È meglio così, meglio che Feisal non sappia niente dei pensieri del suo comandante. Sì, è meglio così. Molto meglio.

Quando gli ufficiali si riuniscono da Barbath, la sera, il comandante comunica loro che Feisal è partito per raggiungere Qasr Rim. Molti rimangono stupiti, perché non sapevano neppure della morte del comandante della fortezza. La serata si svolge piacevolmente, come al solito, l’atmosfera è rilassata, tutti appaiono contenti. Ma Barbath si accorge di essere insoddisfatto. Guarda gli amici che si divertono, parlano, ridono, cantano e gli sembra che un muro invisibile lo separi da loro. Non partecipa alla conversazione generale, non ne ha voglia. Gli sembra di desiderare solo che tutti se ne vadano in fretta.

Nei giorni successivi Barbath si accorge con stupore che Feisal gli manca. Gli capita spesso di pensare che vorrebbe potersi confrontare con lui su un problema o anche soltanto scambiare un’osservazione scherzosa. E a tratti Barbath ripensa a Feisal che si spoglia al torrente, rivede il corpo nudo che entra in acqua. Barbath non capisce che cosa gli stia accadendo. La lontananza di Feisal gli pesa, ogni giorno che passa di più.

Ogni tanto Barbath prende uno dei suoi giovani schiavi, ma il piacere non gli basta più. Si dice che avrebbe bisogno di un nuovo schiavo: la novità lo distrarrebbe dai pensieri che si affacciano importuni dopo che ha scopato, a volte anche mentre fotte un bel culetto.

Anche Feisal sente la mancanza degli amici e soprattutto del comandante, che ha sempre ammirato. Ma Feisal sa leggere dentro di sé ed è conscio di provare nei confronti di Barbath qualche cosa che va molto oltre la stima e il rispetto, anche oltre l’amicizia che li lega. Barbath lo attrae e desta in lui un desiderio profondo.

Feisal sa che Barbath non è interessato ai maschi adulti e perciò non ha mai espresso i suoi sentimenti. Forse non avrà più occasione per farlo: se il Circasso scenderà verso Jabal al-Jadid, la fortezza di Qasr Rim sarà la prima a essere attaccata e allora per tutta la guarnigione ci sarà solo la morte. Ma per adesso la minaccia è lontana: il Circasso è ancora a Halel.

 

I giorni passano, senza novità, ma tutti sanno che è solo una tregua. Gli ufficiali continuano a ritrovarsi negli alloggiamenti militari o a casa di Barbath. Di rado parlano di Dakhir e del Circasso, ma il pensiero del pericolo che incombe non li lascia.

Una sera affrontano nuovamente l’argomento, perché in giornata è arrivato da Ashraf uno dei generi di Nidal, che vive a Damasco.

L’allegria della serata si spegne. Mahdi prende la mano di Qais. Mahdi è spaventato, non per sé, ma per Qais. L’idea che Qais possa morire in battaglia lo angoscia, ma non può tollerare il pensiero che il suo uomo possa cadere nelle mani del Circasso e subire quello che è toccato a Nidal.

Qais ha capito, come sempre: Mahdi ha avuto molte occasioni di verificare quanto sensibile sia Qais. Una sensibilità che nasce dalla sofferenza, come solo da poco Mahdi ha scoperto. Qais gli sorride e gli dice, piano:

- Non cadremo vivi nelle sue mani, Mahdi. Ci daremo la morte, se occorre.

Mahdi lo guarda. Le parole gli vengono alle labbra e non riesce a frenarle:

- Non voglio che tu muoia, Qais.

Qais scuote il capo.

- Sarà quello che Allah vorrà. Ma io ti sarò vicino, fino all’ultimo.

Mahdi annuisce. Sì, quello che conta è vivere e morire insieme. La morte non li separerà.

Gli altri ufficiali non dicono nulla. Hanno capito il rapporto che lega Qais e Mahdi e lo rispettano: sanno che a unirli non è solo il desiderio, ma un amore profondo.

Qais e Mahdi passano insieme ogni momento libero e la notte, dopo essersi amati, dormono sempre abbracciati nello stesso letto: ogni momento è prezioso, perché la morte incombe su tutti loro.

 

*

 

Dakhir e il Circasso sono appena tornati a Halel. Nel palazzo si prepara il grande banchetto che si terrà in serata.

Nella sala si è riunita la famiglia. Kazbech si avvicina sorridendo a Farid e gli sussurra:

- Oggi da me nel primo pomeriggio. Ma adesso fingi che ti abbia deriso.

Farid è felice dell’invito, ma obbedisce all’ordine di Kazbech e con un movimento brusco si allontana, scuro in volto, come se fosse stato offeso.

Dakhir si è accorto di quanto è successo e più tardi si rivolge a Kazbech:

- Perché provochi Farid?

- Perché è sciocco e presuntuoso. Crede di essere quasi un guerriero, ma in battaglia si cagherebbe addosso. E secondo me avrebbe paura perfino a dormire in tenda.

- Ma non ti aveva detto niente. Lo hai provocato tu.

- Preferisci che gli sorrida e gli faccia le moine, Dakhir?

Dakhir scuote la testa. Certamente non gli spiace che tra Kazbech e Farid non corra buon sangue, ma gli sembra assurdo che il Circasso stuzzichi Farid, offendendolo.

- Che cosa gli hai detto?

- Niente di speciale, gli ho solo chiesto se aveva trovato qualcuno che gli scaldasse il culo o se faceva da sé con un pestello. Davvero non capisco perché se la sia presa.

Dakhir ride, poi dice:

- Sei feroce, Kazbech.

Kazbech sorride.

- Lo scopri solo ora, Dakhir? Credevo che te ne fossi già accorto.

- L’avevo sospettato.

Dakhir ha voglia di stringere Kazbech tra le braccia, ma non ora, non qui davanti ad altri. Scuote la testa e mormora, pianissimo:

- Questa sera lo scaldi a me il culo, eh, Kazbech?

- Puoi contarci, Dakhir. Con me, non avrai mai bisogno di usare il pestello, tu.

Dakhir ride di nuovo. Le mani vanno al monile che porta al collo, due dita ne accarezzano la superficie. Kazbech è suo, soltanto suo.

 

Bilal rende conto del governo della città a Dakhir. Anche questa volta Kazbech è presente, ma non si limita a guardarlo: gli rivolge diverse domande, richiedendo chiarimenti e spiegazioni. Bilal risponde, ma è irritato: non ritiene di dover giustificare le sue scelte a Kazbech, ma solo a Dakhir.

Kazbech chiede ancora:

- E che provvedimenti hai preso nei confronti dello sceicco di Sada?

Sada è un piccolo centro che si è sottomesso a Dakhir, ma il cui sceicco si è permesso di attaccare una cittadina vicina, senza chiedere autorizzazione a Bilal.

- Gli ho ingiunto di ritirarsi immediatamente e lui ha obbedito.

- Questo lo so. Ti ho chiesto che provvedimenti hai preso. Rispondi alle mie domande, Bilal.

Bilal ribatte, con un tono chiaramente ostile:

- Gli ho comunicato che al ritorno dell’emiro avrebbe dovuto rispondere del suo comportamento.

- Al ritorno dell’emiro… Sembra che qui ognuno possa fare quello che cazzo vuole in assenza dell’emiro.

Bilal è sempre più irritato. Sa benissimo che se avesse punito lo sceicco, Kazbech adesso lo accuserebbe di aver preso un’iniziativa non necessaria, invece di attendere la decisione di Dakhir.

- Non volevo…

Kazbech lo interrompe:

- Non hai neanche mandato un messaggero a chiedere come comportarti. Non eravamo mica in Egitto.

Bilal non regge più. Si rivolge  a Dakhir:

- Fratello, rispondo solo a te di quello che ho fatto. Non c’era nessuna necessità di agire con urgenza, lo sceicco si è ritirato quando gliel’ho intimato.

Dakhir scuote la testa. Si volge a Kazbech.

- Vuoi chiedergli altro?

- No, non è il caso. La situazione è chiara.

Dakhir guarda il fratello e dice:

- Puoi andare, Bilal.

Fremendo di rabbia, Bilal fa un cenno d’inchino ed esce.

Kazbech osserva:

- Non so se gli mancano i coglioni o se invece è il cervello a fargli difetto. O magari tutti e due, che ne dici, Dakhir?

- Non mi sembra così grave.

- Ci vuole qualcuno che abbia i coglioni per reggere i tuoi domini in tua assenza. Sono stati conquistati con la forza e a ogni segno di debolezza i tuoi nemici rialzeranno la testa.

Dakhir annuisce.

- Sì, Bilal ha sbagliato.

- Mi chiedo…

- Che cosa, Kazbech?

- Se Bilal non l’ha fatto per calcolo. Lasciamo che sia Dakhir a punire lo sceicco di Sada. Dakhir è feroce, Bilal invece no. Meglio che governi Bilal. A Dakhir potrebbe succedere qualche cosa…

Dakhir aggrotta la fronte.

- Tu pensi, Kazbech? Bilal non mi sembra…

- Non ti sembra? È tuo fratello e hai fiducia in lui. Ma è una fiducia mal risposta. O è incapace o trama contro di te. Guardati da lui.

 

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Bilal è fuori di sé dalla rabbia, ma non sa che cosa fare. Dakhir è l’emiro e ha piena fiducia in Kazbech. Come allontanare il Circasso da lui?

Un’idea gli viene pensando all’ostilità che ha notato tra Kazbech e Farid. Forse può contare sul nipote per impedire che il Circasso diventi troppo potente. Deve parlargli.

Quando, qualche ora dopo, Bilal incrocia Farid, gli dice:

- Farid, posso parlarti un attimo?

- Certo, zio.

- Vieni in giardino. Facciamo due passi.

Nel giardino Bilal può controllare che nessuno si avvicini e ascolti quello che si dicono. Farid segue lo zio. Non sa di che cosa debba parlargli. I rapporti tra loro sono corretti, ma non esiste nessuna intimità.

- Farid, vedo che non hai buoni rapporti con il Circasso.

A Farid viene da ridere, ma alza le spalle e si finge irritato, rimanendo nella parte.

- Mi prende in giro, mi tratta come un bambino.

- L’ho notato. Per questo ho deciso di parlarti. Senti, io non mi fido di Kazbech.

- In che senso?

- Secondo me non è un uomo sincero. Dakhir è completamente succube, non si rende conto che il Circasso è potente e di certo non si accontenterà di rimanere il comandante dell’esercito.

Per un momento Farid rimane disorientato.

- Tu dici?

- Sì. Non è uomo da accontentarsi di essere al servizio di un altro. Uno come Kazbech vuole il potere per sé. Le sue truppe costituiscono il nerbo dell’esercito. Le truppe di Halel controllate da stranieri! Pensi davvero che potremmo contare sulla loro fedeltà?

Farid non sa bene che cosa pensare. E se ciò che dice Bilal fosse vero?

- Non so… io…

Bilal riprende:

- Tuo padre ti ascolta. Dovresti parlargli, cercare di farlo ragionare. Il Circasso è un guerriero valoroso e spietato e di certo ha grandi ambizioni. Non so per chi stia davvero conquistando queste terre. Non penso che lo faccia per Dakhir.

Farid ritiene di saperlo, anche se le parole di Bilal hanno suscitato qualche dubbio. In effetti Kazbech non ha motivo per desiderare di rimanere al servizio di Dakhir. Ma con Farid sarebbe diverso: Kazbech è il suo uomo, ciò che è di Farid, è anche del Circasso, insieme governeranno la Siria.

Farid decide che è meglio parlarne con Kazbech. A Bilal si limita a dire:

- Ne parlerò a mio padre. Vedremo se si può fare qualche cosa. Ma ho molti dubbi: l’emiro decide sempre di testa sua e sai che mio padre ha poco ascendente su di lui.

Bilal annuisce. Sa anche lui che le cose stanno così, ma l’importante è cercare di fare il vuoto intorno a Kazbech, mettere in guardia chi è disponibile ad ascoltarlo: se Farid riuscirà a convincere Hamdan, forse insieme potranno far capire a Dakhir che il Circasso è un uomo pericoloso.

Bilal è soddisfatto dell’incontro: non lo sfiora nemmeno il sospetto che Farid possa riferire le sue parole a Kazbech.

 

Nel pomeriggio Farid raggiunge la stanza di Kazbech, controllando che nessuno lo segua. Farid è impaziente. Ha atteso il ritorno di Kazbech con ansia, in preda a un desiderio feroce. E oggi finalmente ritrova il possente guerriero che è ritornato ogni notte nei suoi sogni o nelle sue fantasie a occhi aperti.

Farid bussa. Kazbech apre la porta. È quasi nudo, indossa solo la fascia intorno ai fianchi. A Farid sembra che il fiato gli manchi.

- Spogliami, Farid.

Farid annuisce. C’è poco da togliere, solo la fascia. Farid si avvicina. Sente l’odore forte del corpo del Circasso. Le sue mani si appoggiano sul tessuto, sfiorano la pelle, il cui calore lo stordisce. Farid scioglie la fascia e le sue mani indugiano accarezzando la pelle del ventre e del culo, mentre i suoi occhi fissano l’arma, che ha già sollevato un po’ il capo.

- In ginocchio.

Farid pensa che Kazbech voglia farselo succhiare. Non chiede di meglio. Si mette sulle ginocchia.

- Adesso bevi, Farid.

Farid guarda Kazbech senza capire. Kazbech ride:

- Apri la bocca e bevi, ti piacerà.

Kazbech mette una mano dietro il collo di Farid e avvicina la testa del ragazzo al cazzo.

Farid intuisce. Vorrebbe ritrarsi: non ha mai bevuto il piscio di un uomo e prova una certa repulsione. Ma l’idea lo incuriosisce e a Kazbech non vuole dire di no. Kazbech è il suo uomo, il suo signore. Farid annuisce.

Kazbech sorride e incomincia a svuotare la vescica. Farid beve. Sente il gusto del piscio, un po’ acido, lo avverte scorrergli in bocca e in gola. È una sensazione strana, ma non spiacevole. Kazbech si interrompe due volte, per lasciarlo respirare, poi riprende. Quando ha finito, Kazbech gli dice:

- Adesso succhia, Farid.

Farid incomincia a passare la lingua e le labbra sulla cappella e il cazzo del Circasso acquista in fretta volume e consistenza. Farid succhia avidamente, mentre le sue mani stringono il culo di Kazbech. È bello sentire il gusto del cazzo del Circasso, il suo calore, la sua durezza. Non c’è nulla di più gustoso. È meraviglioso stringere tra le dita questo corpo forte.

- Sui cuscini, Farid.

Farid lascia a malincuore la sua preda, ma Kazbech è il suo signore, a cui il suo corpo obbedisce ciecamente. Farid guarda ancora il magnifico cazzo che tra poco entrerà dentro di lui e si stende sui cuscini. Kazbech si appoggia su di lui e le sue mani gli stringono con forza il culo, strappandogli un gemito. Poi Kazbech si solleva un po’, sputa sull’apertura e con due dita sparge la saliva. Quando ha finito, infila prima un dito e poi due. Farid geme. Kazbech si stende nuovamente sul ragazzo. E finalmente Farid sente di nuovo la formidabile arma del Circasso premere contro l’apertura e poi entrare, forte e grande e calda. Farid mormora:

- Sì!

Kazbech incomincia a spingere avanti e indietro e ogni spinta regala dolore e piacere. È un martirio che porta direttamente in paradiso. Farid fluttua nel vuoto, in un nulla in cui esiste solo Kazbech, il cazzo di Kazbech che gli scava le viscere, le mani di Kazbech che lo stringono, la voce di Kazbech che mormora oscenità. Il dolore diventa sempre più forte, ma anche il piacere cresce, fino a diventare intollerabile.

E infine Kazbech viene dentro Farid e questi sente che il piacere prorompe, lasciandolo esausto e appagato.

Più tardi Kazbech lo possiede una seconda volta, poi si rivestono.

Prima di separarsi, Farid riferisce a Kazbech quello che Bilal gli ha detto. Il Circasso rimane pensieroso.

- Che ne pensi, Kazbech?

- Lui non si fida di me e io non mi fido di lui. Non è leale e mal sopporta di essere il fratello minore, senza speranza di ereditare il trono. Non è in grado di governare, ma gli piacerebbe essere l’emiro.

Kazbech scuote la testa, poi conclude:

- Fingi di assecondarlo, ma guardati dalla sua ambizione, Farid. Tu sei uno degli ostacoli che si frappongono tra lui e il dominio su Halel. Vuole servirsi di te perché sa che gli impedirei di prendere il posto di tuo zio. Se sapesse la verità, sarebbe capace di farti uccidere. Che non scopra il nostro legame: se ne servirebbe per colpirci entrambi.

Farid annuisce: è ben contento di credere a ciò che gli dice il Circasso. Bacia Kazbech, che apre la porta e controlla che non ci sia nessuno. Il corridoio è vuoto.

Kazbech fa un cenno a Farid, che esce dalla stanza, ma sta ancora chiudendo la porta quando dal giardino entra un servitore, l’ebreo Yehonathan. L’uomo non nasconde il suo stupore nel vedere Farid uscire dalla camera del Circasso. Si inchina e dice:

- Buongiorno, mio signore.

Farid fa un cenno di saluto e si allontana, alquanto preoccupato: lo schiavo ebreo lo ha visto uscire dalla camera di Kazbech. Lo andrà a raccontare? È probabile, magari anche solo per fare due chiacchiere. Suo zio verrà a saperlo? Deve inventare una scusa convincente per giustificare la sua presenza nella camera del Circasso.

Farid ha fatto pochi passi quando sente Kazbech chiamare:

- Yehonathan!

Farid si volta. Il servitore è davanti alla porta di Kazbech, che gli dice:

- Devo darti un pugnale che mi ha chiesto l’emiro. Vieni dentro.

Yehonathan entra.

 

Il mattino successivo le urla di una delle serve svegliano coloro che ancora dormivano: la donna ha trovato il corpo di Yehonathan nel giardino.

La camera di Kazbech non è lontana. Il Circasso arriva, con i soli pantaloni addosso: è stato destato dalle urla. Poco dopo giunge anche Dakhir, che un servitore ha mandato a chiamare.

Kazbech è chino sul cadavere. Alza la testa e dice a Dakhir:

- È stato strangolato.

Dakhir è incredulo. Un delitto nel suo palazzo!

- Ma come è possibile?! Chi può aver osato…

Kazbech dice:

- Dobbiamo parlarne, Dakhir.

Dakhir vede che Kazbech sembra pensieroso. Deve sapere qualche cosa.

- Che sospetti hai?

- Non qui.

Ci sono diversi servitori. Intanto è arrivato anche Bilal. Nessuno riesce a immaginare chi può aver ucciso Yehonathan e perché.

Dakhir dà alcuni ordini. Il corpo viene portato al lavatore di cadaveri. Non c’è nessuna traccia che permetta di risalire all’assassino.

Bilal è molto perplesso su quanto è avvenuto. Non si stupirebbe che il Circasso fosse implicato nella faccenda: ormai è sicuro che Kazbech non arretrerebbe davanti a niente pur di raggiungere i suoi obiettivi. Ma non sa a chi parlare dei suoi sospetti: di certo non a Dakhir, che porta il Circasso in palmo di mano. E in ogni caso, che cosa potrebbe dire Bilal? Non ha nessun elemento oggettivo in mano. Potrebbe condividere i suoi sospetti con Farid, ma servirebbe a qualche cosa?

Farid sa qual è la verità, ma nella morte di Yehonathan legge una conferma dell’amore di Kazbech per lui: il Circasso ha ucciso il servitore per proteggere lui, per evitare che lo zio o Bilal lo facessero uccidere. Kazbech è disposto a tutto per amor suo e solo Kazbech può difenderlo dai pericoli che lo minacciano.

 

Più tardi, quando Dakhir e Kazbech sono soli in una stanza del palazzo, il Circasso espone il suo pensiero:

- Dakhir, io non so chi abbia ucciso Yehonathan, ma da quando hai conquistato Barqah e Marwan, mi sembra che siano in molti a desiderare il titolo di emiro di Halel. E qualcuno non si limita a desiderarlo.

- Cosa dici… Mio fratello? Hamdan?

- Forse, ma… Dakhir, non ho prove, ma ho l’impressione che Bilal sia stato molto contento di governare Halel in tua assenza... e molto scontento di doverne rendere conto a te. Avrebbe preferito non dover più rendere conto a nessuno. Bilal ha grandi ambizioni e mi sembra che sia abile a tramare nell’ombra.

Dakhir scuote la testa.

- Non è possibile… Bilal… è solo il figlio minore, l’erede è Hamdan. E poi ci sono i figli di Hamdan. Bilal viene dopo di loro.

- Sì, loro potrebbero essere il primo bersaglio da colpire. Credo che Yehonathan si sia rifiutato di fare qualche cosa… oppure che abbia sentito o visto ciò che non doveva.

Dakhir è perplesso.

- Fare qualche cosa? Che cosa?

- Che ne so… magari uccidere qualcuno.

- Era un vecchio, non certo l’uomo a cui rivolgersi per far assassinare qualcuno.

- Per mettere un po’ di veleno in una coppa non occorre essere forti, un vecchio desta meno sospetti. E ci sono veleni che non lasciano molte tracce.

- Perché dici questo? Che cosa sai?

Kazbech alza le spalle.

- Sono nato e vissuto a corte e conosco gli intrighi. Tu sei un uomo schietto e non noti certi piccoli dettagli, ma anche qui ci sono manovre sotterranee.

- Bilal risponderà…

Kazbech lo interrompe.

- No, Dakhir, Bilal negherebbe tutto e non ho nessuna prova. Non puoi condannarlo sulla base dei miei sospetti. Ma ti consiglierei di portarlo con noi quando partiremo, tra qualche settimana. Meglio tenerlo d’occhio ed essere sicuro che non possa tramare qui mentre tu sei lontano. D’altronde ha dimostrato di non essere all’altezza del compito che gli era stato affidato.

- E a chi dovrei lasciare Halel?

- Ad Akram. Ha l’età per farlo ed è bene che impari come si governa una città.

Dakhir annuisce.

- Sì, Akram ormai dovrebbe essere in grado di reggere Halel in mia assenza. Farò come tu mi dici.

 

Bilal non è contento di scoprire che partirà con i fratelli. Ha governato la città cercando di svolgere il suo compito nel migliore dei modi: perché viene esautorato e il potere viene invece dato ad Akram, che è ancora molto giovane e non ha nessuna esperienza? Bilal conosce benissimo la risposta a questa domanda: il suggerimento è partito dal Circasso.

Bilal non sa quale sia il motivo della manovra di Kazbech: il Circasso gli è ostile, questo è evidente. Ha indotto Dakhir a metterlo da parte solo per il piacere di privarlo di ogni potere o ha qualche piano in mente? Vuole servirsi di Akram per raggiungere i suoi obiettivi e per questo lo ha favorito? Ma quali sono gli obiettivi di Kazbech? E che ruolo potrebbe svolgere Akram?

In ogni caso Bilal non può fare nulla e non gli rimane che rassegnarsi. Parla ancora con Farid e gli fa notare che la manovra di Kazbech avvantaggia Akram a suo danno: Akram si prepara a governare e ben difficilmente sarà disposto a farsi da parte il giorno in cui Farid venisse designato come erede. Farid si dichiara d’accordo, ma dice di non poter far cambiare idea allo zio.

In realtà ormai Farid diffida di Bilal: è convinto che a spingerlo ad accusare il Circasso siano l’invidia nei confronti di Kazbech e l’ambizione. E in ogni caso se Akram cercherà di mettersi tra lui e il trono, ci penserà Kazbech.

 

Akram è felice di aver ottenuto la reggenza di Halel e quando si presenta l’occasione si avvicina a Kazbech.

- Volevo ringraziarti. Mio zio mi ha detto che sei stato tu a consigliargli di affidarmi la reggenza della città mentre sarete impegnati nella campagna.

Kazbech sorride:

- Sei un giovane coraggioso, Akram. Il degno erede del grande Dakhir. Avrai modo di imparare a governare una città e questo ti servirà il giorno in cui sarai tu l’emiro.

Akram è contento delle parole di Kazbech. Il Circasso è un uomo potente, che ha una grande influenza su Dakhir. Forse grazie a lui Akram riuscirà a ottenere l’eredità che gli spetta e che suo padre vorrebbe negargli a favore di Farid.

Sicuro di godere della fiducia del Circasso, Akram decide di accennare all’argomento, per sapere che cosa ne pensa Kazbech:

- Mio padre preferisce mio fratello: non ha mai nascosto la sua predilezione.

- Tu meriti il trono assai più di lui, ma Farid è astuto e pericoloso. Guardati da lui, Akram. Fa’ attenzione.

Akram è stupito dalle parole del Circasso.

- Pericoloso? Che cosa intendi dire, Kazbech? A che cosa devo fare attenzione?

- Non gli confidare i tuoi progetti. Mostrati gentile nei suoi confronti, fingi di avere fiducia in lui, ma fa’ attenzione. Tu sei il primogenito e Dakhir non ha certo per Farid la predilezione che ha tuo padre. Farid ti vede come il fumo negli occhi e prima o poi… potrebbe decidere di eliminarti.

Akram sa che il fratello è ambizioso, ma non ha mai pensato che potesse volerlo sopprimere. Queste cose succedono in molte famiglie di signori, ma nella loro non si è mai verificato nulla del genere.

- Tu credi, Kazbech?

- Ne sono sicuro. Tuo padre non si opporrebbe: sai che preferisce Farid e dato che tu sei il figlio maggiore, potrebbe temere che tu cercassi di conquistare il trono a forza.

Akram è disorientato. È vero che se suo padre designasse come erede Farid, Akram potrebbe cercare di ottenere con la forza ciò che gli spetterebbe di diritto. Ma che suo padre possa accettare che lui, il figlio maggiore, venga ucciso… L’idea gli sembra terribile.

Kazbech prosegue:

- E poi…

Kazbech si interrompe, sembra esitare, come se volesse aggiungere qualche cosa, ma non fosse sicuro dell’opportunità di dirla.

- Che cosa c’è, Kazbech?

- Akram, questa è solo un’idea, tientela per te. Non mi stupirebbe che la morte di Yehonathan avesse a che fare con gli intrighi qui a corte… Forse si è rifiutato di fare ciò che gli è stato chiesto… O forse ha visto o sentito ciò che non avrebbe dovuto sapere.

- Yehonathan? Ma che cosa avrebbe potuto fare?

- Magari mettere qualche goccia di veleno in una coppa, Akram. Nella tua coppa, ad esempio. Uno di quei veleni che è difficile riconoscere, per cui un uomo si ammala e muore come se Allah gli avesse mandato qualche malattia.

Akram è rimasto senza parole. Certo, chi ha strangolato il servitore ebreo aveva qualche motivo per farlo. E allora…

 

Il giorno seguente Kazbech parla con Hamdan.

- E questa volta i tre fratelli saranno alla guida dell’esercito.

- La guida dell’esercito sei tu. Dakhir è l’emiro. E noi contiamo poco.

- Tu sei l’erede di un dominio che cresce ogni giorno.

- Ma che ogni giorno può essere perduto.

- Non lo sarà, Hamdan: vinceremo.

- Lo penso anch’io. Tu sei un comandante valoroso, ma man mano che il dominio di Dakhir cresce, aumentano anche i nostri nemici.

- Come sempre accade. Ma non è dei nemici esterni che dovete preoccuparvi tu e Dakhir.

C’è qualche cosa nel tono di Kazbech che spinge Hamdan a chiedere:

- Ritieni che abbiamo dei nemici all’interno?

- No… ma sai… l’emiro di Halel è ogni giorno più potente. Chi non vorrebbe essere al posto di Dakhir?

Hamdan non capisce.

- E allora?

- E allora… bisogna essere diffidenti. Fa’ attenzione, Hamdan. Il servo ebreo, Yehonathan, non deve essere stato assassinato per qualche rivalità di donne.

Kazbech ride. In effetti Yehonathan era un uomo anziano, di salute malferma e certo non avvenente.

- Ma… ma… che cosa dici? Non capisco.

- Ci sono diversi uomini a cui non spiacerebbe che ti succedesse qualche cosa. Tuo figlio Akram, per esempio, che si ritiene vittima di un’ingiustizia perché tu preferisci Farid: se tu morissi prima di tuo fratello, non rischierebbe di vedere un giorno Farid sul trono. O Bilal, che non a caso Dakhir preferisce portare con sé e non lasciare a Halel.

Hamdan china il capo, pensieroso. Poi lo rialza e guarda Kazbech.

- Ti ringrazio per avermi avvertito, Kazbech.

Kazbech sorride.

- Sono solo impressioni, ma è sempre meglio stare in guardia. Un po’ di prudenza non ha mai fatto male a nessuno.

 

*

 

Ashraf ibn Samih, emiro di Jabal al-Jadid, riceve il soldato che è appena arrivato e ha chiesto di parlare immediatamente con lui. L’uomo si presenta: fa parte della guarnigione di Qasr Rim, la fortezza al confine con il territorio di Shaqra, dove l’ufficiale Feisal si è da poco insediato come comandante.

- Emiro, lo sceicco di Shaqra, Abdel Haqq, alla testa delle sue truppe, ha attaccato Qasr Rim.

Ashraf è sbalordito:

- Cosa?

- Sì, ieri mattina, molto presto, abbiamo visto in lontananza le truppe. Il comandante della guarnigione, Feisal, mi ha ordinato di lasciare immediatamente Qasr Rim, ma di attendere su un’altura per vedere se il forte sarebbe stato davvero attaccato. Le truppe di Abdel Haqq hanno circondato la fortezza.

I contrasti tra gli emiri di Jabal al-Jadid e gli sceicchi di Shaqra per la valle del fiume Farah risalgono a oltre un secolo: gli uni e gli altri rivendicano quest’area non molto estesa, ma fertile, controllata dalla fortezza di Qasr Rim. Dal tempo del padre di Ashraf sono gli emiri di Jabal al-Jadid a dominare sul territorio. Adesso però Abdel Haqq ha deciso di conquistarlo.

Ashraf fa chiamare immediatamente Muhammad e Barbath. Il soldato ripete ciò che ha già detto all’emiro. Ashraf commenta, furente:

- È assurdo. Il Circasso ci minaccia, Shaqra e Jabal al-Jadid saranno presto investite dall’esercito di Dakhir. E Abdel Haqq ci attacca. Che senso ha lanciarsi in una guerra proprio ora, che la minaccia del Circasso dovrebbe invece spingerci a unire le nostre forze per cercare di resistere?

Anche Muhammad non nasconde la sua irritazione.

- Quel maledetto approfitta della situazione. Spera che noi non reagiamo, per timore del Circasso. È un infame. Merita la morte.

- Non reagire? Scherzi, Muhammad? Lo annienteremo.

Barbath è perplesso. Sa che una guerra tra Jabal al-Jadid e Shaqra indebolirà entrambe le città, rendendole facile preda dell’invasore, ma l’attacco di Abdel Haqq rende vano ogni tentativo di accordo per fronteggiare il Circasso.

Ashraf si rivolge direttamente a lui:

- Barbath, che cosa ne pensi?

- Credo che Muhammad abbia ragione: Abdel Haqq si illude che con la minaccia del Circasso tu sarai riluttante a lanciarti in una guerra. Pensa che preferirai perdere la fortezza, piuttosto che affrontare una battaglia che provocherebbe molti morti e indebolirebbe l’esercito.

- Rassegnarmi a perdere Qasr Rim e la valle del Farah? No, non ne ho nessuna intenzione.

Barbath si rivolge al soldato:

- Abdel Haqq si è mosso con l’esercito o solo con alcune truppe?

- Con l’intero esercito, comandante. I soldati erano moltissimi.

Barbath si rivolge all’emiro:

- Questo significa che è pronto ad affrontarti.

- E noi siamo pronti ad affrontare lui. Pagherà la sua impudenza.

Barbath si inchina e dice:

- Allora è bene dare gli ordini necessari perché l’esercito possa partire domani mattina. Dobbiamo arrivare in tempo per impedire che la fortezza venga conquistata.

Il castello non è lontano da Jabal al-Jadid: in due giorni l’esercito potrà raggiungerlo.

Mentre dà tutti gli ordini necessari, Barbath riflette. Non è sicuro che quella dell’emiro sia la decisione giusta. Una grande battaglia campale provocherà molti morti. Anche se Ashraf ne uscirà vincitore, il suo esercito ne sarà indebolito. Ma abbandonare la guarnigione di Qasr Rim sarebbe una viltà. Barbath pensa a Feisal. Come sempre, il pensiero suscita in lui una serie di sensazioni confuse. E il saperlo in pericolo lo sgomenta.

 

Abdel Haqq ha intimato a Feisal di arrendersi e consegnare la fortezza. Feisal ha dato l’unica risposta possibile a un ufficiale: solo l’emiro può autorizzarlo a cedere Qasr Rim. Abdel Haqq ha minacciato di uccidere Feisal e tutti i suoi uomini, ma, come prevedeva, non ha ottenuto nessun risultato. Allora ha lanciato l’attacco.

La fortezza è ben munita e ha bastioni formidabili: i difensori hanno buon gioco a impedire che Qasr Rim venga espugnata. Ma Feisal sa che non potranno resistere molti giorni. L’emiro manderà rinforzi? O lascerà che la fortezza venga espugnata? In questo caso Feisal sa che l’attende la morte o la schiavitù, ma non ha importanza. Certamente non verrà meno al suo dovere di difendere Qasr Rim.

 

Qualche giorno dopo nel pomeriggio i cavalieri di Jabal al-Jadid fanno la loro comparsa su una collina. Il grosso delle truppe non deve essere lontano.

Abdel Haqq fa ritirare i suoi uomini: cercare di conquistare la fortezza ormai è inutile. È meglio disporsi nella posizione migliore per affrontare la grande battaglia. Lo sceicco non si aspettava la reazione di Ashraf: si illudeva che l’emiro preferisse evitare una guerra che avrebbe indebolito il suo esercito proprio ora che la minaccia del Circasso incombe su di loro. Ha fatto male i suoi calcoli, ma a questo punto non può tornare indietro: ne va della sua reputazione.

 

La notizia della guerra scatenata da Abdel Haqq circola rapidamente per tutta la Siria, giungendo fino a Halel.

È Kazbech stesso a riportarla a Dakhir: l’ha appena saputo dai suoi uomini.

- Lo sceicco di Shaqra, Abdel Haqq, ha attaccato Qasr Rim e Ashraf in persona si è messo alla guida dell’esercito per affrontarlo.

Kazbech ride. E prosegue:

- Non potevamo sperare di meglio. Lasciamo che si scannino tra di loro e completiamo i preparativi per la partenza.

- Pensi che sia opportuno marciare direttamente su Shaqra?

- No, attendiamo di vedere come si conclude la guerra. Intanto bisogna dare una piccola lezione a questo sceicco di Sada, che ti ha giurato obbedienza, ma tende a fare un po’ troppo di testa sua. Dopo aver risolto la faccenda, marceremo su Shaqra. O su Jabal al-Jadid: vedremo come si sarà conclusa la guerra in corso. Shaqra e Jabal al-Jadid saranno tue. Jabal al-Jadid sarà una splendida capitale per il tuo regno e un buon punto di partenza per conquistare l’intera Siria. È in una posizione assai migliore di Halel. E tu non sei più l’emiro di Halel, sei il signore della Siria settentrionale.

Ciò che ha detto Kazbech è vero: la guerra indebolirà i due rivali e Dakhir potrà approfittarne per impadronirsi delle due città.

 

*

 

La battaglia infuria. Le truppe di Ashraf affrontano quelle di Abdel Haqq. Sull’ala destra, dove a guidarle è il comandante Barbath, esse stanno avendo la meglio e lo schieramento avversario si sta sfaldando.

Barbath è un guerriero valoroso: non a caso i cristiani lo chiamano il Flagello. Appena tra i combattenti si apre un varco, ne approfitta per slanciarsi là dove infuria Issam al-Misri, il più temuto dei comandanti nemici, fratello dello sceicco Abdel Haqq. Barbath sa che se riuscirà a ucciderlo, la sua morte seminerà il panico nelle file nemiche e infonderà coraggio ai suoi uomini.

Issam non è meno coraggioso di Barbath e quando lo vede avanzare contro di lui, si dispone ad affrontarlo senza dare segno di paura. Appena i due guerrieri sono uno di fronte all’altro, si scatena una lotta violenta. I colpi sono vibrati con forza: se raggiungessero il corpo del rivale, lo ucciderebbero. Ma entrambi i guerrieri sono abili a parare quanto a colpire. Il duello dura a lungo. I visi dei due comandanti, contratti nello sforzo, gocciolano di sudore.

Ma infine Barbath riesce a ferire al braccio destro Issam e, quando questi è costretto ad abbassare la guardia, la spada di Barbath si immerge nel petto del nemico.

Un grido strozzato segna la fine del combattimento. L’urlo dei soldati di Issam accompagna la morte del loro capo. Barbath si volge contro di loro, combattendo con ferocia. Presto i primi incominciano a darsi alla fuga e l’ala sinistra dello schieramento nemico si sfalda.

Barbath e i suoi uomini li incalzano, per non dare loro il tempo di serrare le file. Nella manovra si allontanano dal campo, dove ancora infuria la battaglia.

Tra i guerrieri in fuga, uno volta il cavallo, forse vergognandosi del momento di smarrimento che lo ha indotto a fuggire. A Barbath basta uno sguardo alle vesti e alle armi per capire che si tratta di un nobile. Il nemico che ora affronta Barbath è Mu’ezz ibn Abd Allah al-Misri, cugino dello sceicco e di Issam.

Mu’ezz è un uomo coraggioso, ma non è un grande guerriero come Barbath. Il loro scontro impari dura poco: Mu’ezz alza la spada per colpire, ma Barbath para il colpo facilmente, poi con un affondo immerge la spada nel ventre di Mu’ezz, che urla. Barbath ritira la spada e Mu’ezz si accascia sul cavallo, scivolando a terra.

Qualcuno grida alle spalle di Barbath: è un guerriero, molto giovane, che si scaglia contro di lui. Vuole vendicare il suo comandante. Vedendo come si muove, Barbath si rende conto che non è un avversario temibile. Gli spiace uccidere questo giovane coraggioso e inesperto. Preferisce sbilanciarlo con una finta e, approfittando del momento in cui il giovane cerca di recuperare l’equilibrio, colpirlo con forza alla testa. Un colpo vibrato di piatto, in grado di stordire il giovane, ma che lo lascerà in vita, senza ferite. Il ragazzo emette appena un gemito quando la spada si abbatte contro la sua tempia e cade privo di sensi.

 

Intanto l’ala sinistra dell’esercito di Ashraf, capeggiata dal figlio dell’emiro, Muhammad, è stata costretta a ripiegare, ma dalla fortezza di Qasr Rim la guarnigione si lancia all’assalto, sotto la guida di Feisal. I guerrieri di Shaqra non si aspettavano questa manovra e si ritrovano tra due fuochi. Gli uomini guidati da Muhammad contrattaccano e le truppe di Abdel Haqq vengono decimate.

Barbath volge il cavallo verso il campo di battaglia, da cui l’inseguimento del nemico in fuga lo ha un po’ allontanato. Il combattimento prosegue, ma lo sfaldamento dell’ala sinistra ha messo in difficoltà le truppe nemiche e gli uomini dell’emiro di Jabal al-Jadid stanno avendo la meglio ovunque.

Barbath sprona il cavallo verso il centro dello schieramento avversario, dove combatte lo sceicco di Shaqra: la cattura o la morte di Abdel Haqq assicurerebbe la vittoria alle truppe dell’emiro. Qais e Mahdi, che hanno combattuto al suo fianco, lo seguono.

Gli uomini dello sceicco oppongono una resistenza feroce: sono disposti a morire per difendere il loro signore. Non è facile per Barbath e per i suoi uomini farsi strada, ma uno dopo l’altro i guerrieri nemici cadono. Infine Barbath attacca Abdel Haqq e gli intima di arrendersi. Lo sceicco rifiuta e Barbath ingaggia un combattimento: Abdel Haqq sa di avere di fronte un avversario formidabile, ma non vuole cedere e ammettere la sconfitta in questa guerra che ha scatenato contando su una facile vittoria.

Lo sceicco si trova presto in difficoltà. I suoi uomini cercano di portargli aiuto, ma Qais e Mahdi con i loro soldati li tengono a distanza. Abdel Haqq sa che non riuscirà a resistere a lungo. E infatti un colpo violento di Barbath gli fa scivolare di mano l’arma. Lo sceicco è costretto ad arrendersi. La battaglia è conclusa.

I soldati nemici fuggono o vengono fatti prigionieri. Qualcuno, che ancora si ostina a combattere, trova la morte.

Ashraf ibn Samih, emiro di Jabal al-Jadid, si congratula con il suo comandante.

 

È quasi sera quando Barbath, dopo aver controllato che i suoi uomini non abbiano bisogno di lui, ritorna verso il luogo dove ha abbattuto Mu’ezz. Avendo ucciso l’ufficiale nemico, gli spettano le proprietà del morto, ma a Barbath poco interessano. A spingerlo verso la collina dove si è svolto il duello è un altro motivo: vuole vedere che cosa è successo al giovane che ha atterrato. I soldati spogliano i morti, prendendo i loro abiti. Se il giovane non si è risvegliato o se qualcuno dei suoi non lo ha portato in salvo, può succedere che i soldati, trovandolo ancora vivo, lo uccidano. E non ci sono solo i soldati. Ci sono anche banditi di ogni specie.

 

*

 

L’anello non viene via. La mano è chiusa ed è difficile sfilare il gioiello. Il Corvo non intende certo rinunciare a un anello d’oro. Estrae il pugnale e con un colpo secco recide il dito. Poi prende l’anello e lo infila nella bisaccia che porta a tracolla. Infine incomincia a spogliare il guerriero. Il morto è un uomo alto e muscoloso, doveva essere molto forte, ma la forza non gli è servita: la spada che lo ha colpito lo ha trapassato da parte a parte. Sicuramente il colpo è stato vibrato da un uomo non meno forte.

Un guerriero come questo di certo era un cavaliere. Da qualche parte ci deve essere il suo cavallo. Il Corvo si china e sfila gli indumenti dell’uomo: anche se la tunica è macchiata di sangue e tagliata là dove è entrata la spada, è di grande valore. L’uomo completa il lavoro, sfilando tutti i capi di vestiario. Mette gli abiti in una bisaccia, le armi nell’altra. Nella piccola bisaccia che porta a tracolla mette soltanto gli oggetti di valore. Se arrivassero i soldati e fosse costretto a fuggire, lasciando il cavallo, salverebbe la parte più consistente del bottino.

Il Corvo guarda il cadavere del guerriero. Era davvero un maschio imponente, con un ampio torace ricoperto da un velo di peluria scura, un sesso vigoroso e due coglioni robusti. Con la punta del piede il Corvo giocherella con le palle del morto.

- Il tuo cazzo non ti servirà più, né io me ne faccio niente.

Il Corvo ride. Poi si guarda intorno. È soddisfatto, ha mietuto una messe abbondante: nei campi ai margini del bosco i soldati non sono ancora arrivati e lui si è potuto muovere indisturbato. I morti non sono molti, ma più che sufficienti per rifornirlo di diversi beni, e questo guerriero, con i suoi gioielli e le sue armi, era un vero tesoro.

Ora farebbe meglio ad andare. Si sta facendo tardi e probabilmente qualche pattuglia arriverà anche lì. Sarebbe un peccato perdere il frutto del lavoro. Gli piacerebbe però trovare il cavallo di questo guerriero. Deve valere una fortuna e la sella altrettanto. Magari c’è anche… Non è un cavallo, laggiù, tra gli alberi?

Il Corvo monta in sella e rapidamente si dirige al torrente. Sì, vicino al torrente c’è un cavallo. Uno splendido cavallo nero. E la sella è di grande valore, si capisce al primo sguardo. Il Corvo scende rapidamente. Si avvicina all’animale, che nitrisce, ma non si allontana. L’uomo prende le redini e le lega alla propria sella: il cavallo non può più sfuggirgli.

In quel momento lo vede. Un altro morto, seminascosto tra gli alberi. Il Corvo si guarda intorno. No, i soldati non ci sono ancora. Fa in tempo a spogliare anche questo, prima di allontanarsi.

Si china sul cadavere e incomincia a togliergli gli abiti, con gesti rapidi: il Corvo sa benissimo di non avere più molto tempo.

Il soldato emette un gemito. È vivo? Sì, è vivo, respira ancora. Non per molto: meglio ucciderlo. Il Corvo preferisce sempre non lasciare testimoni del suo passaggio. Ma il giovane – deve avere meno di vent’anni – è ancora incosciente. Il Corvo finisce di spogliarlo. È bello, questo ragazzo, ha un corpo armonioso e snello. Il Corvo lo volta sulla pancia.

- Hai un bellissimo culo, ragazzo.

Il Corvo stringe le natiche con le mani e le allarga, scoprendo l’apertura segreta. Il desiderio si desta in lui, violento.

- Credo che prima di spedirti al Creatore, ti farò assaggiare il mio cazzo.

Il Corvo ride. Si bagna l’indice della destra con la saliva e lo infila in culo al soldato, fino in fondo. Il giovane geme di nuovo.

Ora. Il Corvo ha sollevato la tunica. Il cazzo è già duro.

- Adesso togliamo il dito e mettiamo un bel cazzo. Un signor cazzo. E poi ti taglio la gola…

- Che cosa fai?

Il Corvo sussulta. Gli sembra che una mano gelata gli stringa il cuore. Sopra di lui, sul suo cavallo, incombe un guerriero, la spada sguainata.

Se non fosse stato distratto dal soldato, lo avrebbe sentito arrivare, avrebbe fatto in tempo a nascondersi, a scappare.

 

*

 

Barbath sa benissimo chi è l’uomo che ha di fronte: uno di quei fottuti sciacalli che spogliano i cadaveri, una maledetta genia che Barbath disprezza dal profondo dell’animo. Questo figlio di puttana voleva inculare il giovane e poi ucciderlo.

Il movimento della spada è rapidissimo. La testa del Corvo rotola a terra prima che l’uomo abbia il tempo di capire che la sua vita è arrivata alla fine.

Barbath scende da cavallo. Ignora il cadavere decapitato e si china sul giovane. È vivo, respira. Barbath lo volta. Non ha altre ferite, solo la piattonata che gli ha dato.

È bello il ragazzo, davvero bello: un viso dai tratti regolari e dalla carnagione scura; le labbra carnose, incorniciate dalla prima peluria che spunta e schiuse a mostrare i denti bianchissimi; le folte sopracciglia nere, che tracciano due spesse linee sopra gli occhi chiusi, ornati da lunghe ciglia. Un viso fatto per il piacere. E anche il corpo… Barbath lo volta nuovamente sulla pancia.

Lo ha vinto e quindi è il suo schiavo. Ne può fare quello che vuole. E sa benissimo quello che vuole.

Non ora. Ora bisogna portarlo all’accampamento, farlo vedere dal medico. E mentre lo pensa, Barbath guarda il culo del ragazzo, ancora glabro, armonioso e snello. Il desiderio preme, impetuoso: la battaglia eccita sempre Barbath e la vista di questo bel culo non può che aumentare la sua eccitazione. Barbath si guarda intorno, mentre la sua mano che scorre sulle natiche del giovane gli trasmette un brivido di piacere. Non vorrebbe che lo vedessero scopare tra gli alberi, anche se il giovane soldato è suo prigioniero e ha tutto il diritto di farlo. Ma non c’è nessuno, il posto è riparato e questo ragazzo ha un culo così bello.

Barbath non si spoglia. Si limita ad abbassare i pantaloni e sollevare un po’ la tunica. Sputa sul culo del ragazzo e inumidisce l’apertura, poi si bagna la cappella e immerge il cazzo dentro il culo che gli si offre. Il piacere dell’ingresso è violento. Il ragazzo geme di nuovo, ma il colpo deve averlo intontito, non è ancora cosciente. Barbath controlla ancora che non ci sia nessuno, poi incomincia a fottere il giovane.

Barbath muove il culo avanti e indietro, assaporando le sensazioni intensissime che gli trasmette il cazzo che affonda nella carne e poi si ritira. Sempre controllando che non arrivi qualche soldato, procede nella sua cavalcata. È un buon cavaliere, Barbath, e non si stanca facilmente. A lungo spinge il suo sperone, facendolo affondare nella carne, e poi lo ritrae, finché la tensione che si accumula dentro di lui si scioglie e il seme prorompe in un getto impetuoso.

L’onda del piacere lo squassa. È stato bellissimo.

Barbath si rialza e si rassetta. Dando un’occhiata in giro, vede i due cavalli legati. Carica il giovane su uno dei due, poi ci ripensa: è incosciente, potrebbe scivolare a terra. Lo mette sul proprio cavallo. Guarda il cadavere del Corvo. Dalla bisaccia che portava a tracolla è scivolato fuori un anello.

Barbath si china, sfila la bisaccia e la apre per osservarne in contenuto. Di certo i gioielli provengono dal cavaliere che lui ha ucciso. Barbath raccoglie anche l’anello e si mette la bisaccia al collo, poi sale anche lui sul suo stallone.

Attacca le redini degli altri due cavalli alla propria sella e si dirige verso l’accampamento. Con una mano tiene le briglie, con l’altra accarezza il culo del giovane. Ma mentre lo fa, davanti ai suoi occhi appare l’immagine di Feisal. Barbath sprona il cavallo.

 

*

 

Latif apre gli occhi. La testa gli duole. Di ciò che è successo ha un ricordo confuso. Ha visto un guerriero uccidere il nobile Mu’ezz e lo ha affrontato. Poi non ricorda altro.

Latif guarda il medico che gli sta fasciando il capo. Questi si accorge che ha aperto gli occhi e gli chiede:

- Mi senti, ragazzo?

- Dove sono?

- Nell’accampamento dell’esercito di Ashraf ibn Samih, emiro di Jabal al-Jadid. Sei in una delle tende del comandante Barbath ibn Yusif, che Allah lo protegga.

- Sono suo prigioniero?

- Sì, sarai suo schiavo. Hai avuto due volte fortuna, oggi, ragazzo: sei sfuggito alla morte e sei stato catturato da un uomo valoroso e generoso.

Latif non risponde. Cerca di ricollegare i ricordi.

- È lui… è lui quello che ha ucciso Mu’ezz ibn Abd Allah?

Mufeed alza le spalle.

- Oggi il comandante Barbath ibn Yusif ha ucciso moltissimi nemici, coprendosi di gloria, e ha catturato lo sceicco Abdel Haqq. Non c’è guerriero più coraggioso di lui. Egli è davvero il braccio destro dell’emiro, che Iddio lo protegga. Non so chi sia l’uomo di cui tu mi parli.

- Era…

Latif volta il capo di lato e due lacrime gli colano sul viso.

Che cosa potrebbe dire? Che era il suo signore, che lo amava? Che era stato lui a guidarlo alla scoperta del piacere?

Il medico si è accorto delle lacrime e rispetta il dolore di Latif. Solo dopo un momento, gli chiede:

- Come ti chiami?

- Latif ibn Otman.

- Latif, tu non sei un guerriero, vero?

- No, ho voluto seguire il mio signore in guerra.

- Eri al suo servizio?

Latif annuisce, senza dire nulla. Non vuole raccontare a quest’uomo che il nobile Mu’ezz era il suo padrone e il suo amante.

- Il comandante Barbath ibn Yusif sarà contento di averti al suo servizio. Apprezza molto i giovani.

Mufeed pensa che Barbath ibn Yusif sarà contento di avere a disposizione il culo di Latif. Ma questo non lo dice. Il ragazzo avrà modo di scoprirlo. E probabilmente non gli spiacerà, anche se gli farà male: dicono che Barbath sia un formidabile toro da monta, bravo nelle battaglie in campo aperto come in quelle del letto. Mufeed sa che lo hanno soprannominato Tre-coglioni, perché Iddio lo ha dotato di un terzo testicolo: qualcuno non ci crede, pensa che sia solo una leggenda alimentata da Barbath stesso per esaltare la propria virilità. Ma Mufeed, in quanto suo medico, ha avuto modo di vedere che è la verità.

 

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Latif riposa tutta la notte. Il mattino dopo il dolore alla testa è passato. Il medico toglie la fasciatura per controllare l’escoriazione: nulla di grave. Poi fa avvisare Barbath ibn Yusif che il giovane può considerarsi guarito. Barbath non passa a vederlo: stanno smontando l’accampamento e il comandante ha ben altro da fare.

Nei due giorni successivi, in cui l’esercito ritorna a Jabal al-Jadid, Latif ha modo di vedere Barbath diverse volte, ma mai di avvicinarglisi. Latif non è l’unico prigioniero di Barbath, ma gli altri sono guerrieri, con cui il giovane ha poco in comune, per cui rimane in disparte.

Giungono a Jabal al-Jadid verso sera. Latif guarda le strade e i palazzi, non diversi da quelli di Shaqra. Pensa che forse non rivedrà mai più quella che era diventata la sua città. È schiavo di uno straniero.

Nel pomeriggio del giorno seguente, Latif viene convocato da Barbath. Il comandante è seduto sui cuscini. È un uomo molto forte, con un viso maschio, dai lineamenti duri.

Latif rimane in piedi davanti a lui.

- Mufeed mi ha detto che eri al servizio di un nobile di Shaqra.

- Sì.

- Un uomo che cavalcava un purosangue nero?

Latif annuisce. Vorrebbe chiedere a Barbath se è stato lui a ucciderlo, ma non è necessario. Le parole del suo nuovo padrone confermano i suoi sospetti:

- Che Iddio lo accolga presso di sé. Tu sei scampato alla morte e ti terrò al mio servizio.

- Come voi volete, mio signore.

Latif non potrebbe dire altro: Barbath è il suo padrone.

Barbath guarda il ragazzo. Sorride.

- Tornerai da me questa sera, Latif.

Latif capisce benissimo il senso della frase. China la testa.

- Come voi volete, mio signore.

Latif sa di non avere nessuna scelta. L’idea di essere posseduto da quest’uomo forte e fiero non gli dispiacerebbe, se Barbath non avesse ucciso il nobile Mu’ezz ibn Abd Allah. Sarà l’assassino del suo precedente padrone, dell’uomo che Latif amava, a prenderlo. Latif si sente sgomento.

Barbath congeda Latif con un cenno del capo.

A Latif non viene assegnato nessun compito da svolgere. Ha una camera in cui rimane seduto, immerso nei suoi pensieri.

 

Verso sera arriva un servitore, un uomo sui quaranta, basso e tarchiato.

- Vieni con me, ragazzo.

L’uomo accompagna Latif al bagno. Latif entra nella vasca.

- Lavati bene, ché devi presentarti al comandante.

Latif sente un brivido corrergli lungo la schiena e smette di lavarsi.

- Che hai, ragazzo?

Latif guarda l’uomo e scuote la testa. Riprende a lavarsi.

- Niente.

L’uomo si guarda intorno, ghigna e dice, sottovoce:

- Hai paura che Tre-coglioni ti faccia male?

Latif non capisce. Guarda il servitore senza dire nulla:

- Il grande Barbath ibn Yusif ha tre coglioni ed è il miglior stallone di tutta la Siria. Ma non devi aver paura: ci sa fare, con i ragazzi. È la prima volta?

Latif scuote la testa, imbarazzato.

- E allora, di che ti preoccupi?

Latif non avrebbe voglia di raccontare a quest’uomo ciò che lo rode, ma d’improvviso prova un fortissimo bisogno di sfogarsi. Non saprebbe con chi farlo, in questa casa in cui non conosce nessuno, in una città che non ha mai visto e in cui comunque non potrebbe circolare liberamente.

- È lui, il comandante, intendo, è lui che ha ucciso il mio signore.

- Che ti faceva gustare anche il suo cazzo, vero?

Latif abbassa il capo. Si pente di essersi confidato con quest’uomo.

- Non ci pensare, ragazzo. È normale: il maschio più forte elimina i rivali e si prende ciò che vuole, è così con i lupi e i leoni e anche con i signori. Ti ha conquistato con le armi. E questa sera sentirai la sua arma.

L’uomo ride e gli passa una mano tra i capelli. Latif si sottrae a questa carezza che lo infastidisce. Il servitore non dice più nulla. Quando Latif è pronto, lo accompagna dal comandante.

Barbath guarda Latif e sorride:

- La più bella preda che abbia mai guadagnato in battaglia.

Latif non dice nulla. Vorrebbe che Barbath non gli parlasse, che lo prendesse senza dire nulla.

- Vieni qui.

Latif si avvicina. Barbath gli passa le mani sotto la tunica e la solleva, sfilandola, poi gli cala i pantaloni: Latif è nudo di fronte al suo nuovo signore.

Barbath si spoglia, con pochi movimenti rapidi. Ora è anche lui nudo e contro il ventre si rizza, magnifica in tutta la sua potenza, una mazza inquietante per lunghezza e volume. Al di sotto, lo scroto lascia vedere il suo triplice contenuto.

Latif guarda, ammaliato e incuriosito, suo malgrado. Barbath ride.

- Sono tre e questa sera ti prenderò tre volte.

Latif rabbrividisce. Barbath sorride:

- Ma non temere, non ti farò male.

Barbath mette le mani sui fianchi di Latif e lo fa sedere davanti a lui. Gli fa mettere le gambe oltre le proprie, in modo che i loro corpi si tocchino. E poi bacia Latif sulla bocca, lo stringe a sé e lo accarezza. Le sue mani scorrono sulla pelle del giovane, stringono il culo, risalgono lungo la schiena, solleticano la nuca, scompigliano i capelli. Il ragazzo freme di piacere. Vorrebbe che il suo corpo non lo tradisse così, che non si abbandonasse al suo nuovo padrone senza resistenza, ma la sua mente non riesce a controllare il desiderio che si impossessa di lui: troppo forte è il piacere che gli trasmettono le mani di Barbath. Barbath bacia Latif più volte, la sua lingua si introduce nella bocca del ragazzo e si ritrae, più volte. Poi Barbath si sputa sulle dita, che scorrono sul solco fino all’apertura. Tre volte Barbath ripete il gesto, inumidendo bene il buco e introducendo dentro prima un dito, poi due.

Barbath si solleva e si mette in ginocchio, poi le sue mani passano sotto le natiche di Latif e sollevano, apparentemente senza sforzo, il ragazzo. Una mano rimane sotto il culo, l’altra sostiene la schiena di Latif, mentre contro l’apertura preme con forza la grande mazza del comandante. Lentamente Barbath abbassa la mano che tiene sotto il culo di Latif, portando il ragazzo a impalarsi sul suo cazzo, poi con l’altra mano guida Latif ad appoggiare la schiena sui cuscini. Quando Latif è steso, Barbath si mette le sue gambe sulle spalle e poi, sorridendogli incomincia a muovere i fianchi avanti e indietro, spingendo ogni volta il cazzo più a fondo e ritraendosi. Latif geme, mentre ondate di piacere salgono dal suo culo. È bello essere posseduto da Barbath, sentire le sue mani che percorrono il corpo, il torace e il ventre, i fianchi e le gambe. È bello sentire il palo di carne che senza pietà lo trafigge.

Barbath spinge con forza, mentre accarezza Latif. Il ragazzo non è certo vergine, ma a Barbath questo non importa. Gli piace vederlo ansimare, in preda a un piacere che lo squassa e infine si proietta fuori, sul ventre e sul petto glabro. Con una mano Barbath sparge il seme sulla pelle del ragazzo, poi porta le dita alla bocca di Latif, che le morde.

La cavalcata dura ancora a lungo, finché Barbath viene, inondando le viscere di Latif del proprio seme.

Poi Barbath si stende sui cuscini e guida Latif a sdraiarsi su di lui. Ancora lo bacia e lo accarezza, gli stringe il culo con forza. A Latif piace rimanere disteso su Barbath, sentire il calore di questo corpo possente, il suo odore di maschio. Rimangono un buon momento così, ma il desiderio nuovamente si accende e Barbath guida la testa di Latif fino al proprio cazzo, che rialza il capo. Latif guarda la cappella di un rosso scuro. Per un momento esita, fissandola affascinato, poi la prende in bocca. Incomincia a succhiare e a leccare, mentre Barbath gli accarezza il capo. A lungo Latif lavora con le labbra e la lingua, mentre le mani di Barbath scivolano tra i suoi capelli, sfiorano il viso, il collo, la schiena, forti e delicate. E infine Latif sente in bocca il fiotto.

Giacciono ancora abbracciati ed è bello rimanere così, tra le braccia di questo maschio vigoroso. Presto Latif sente il desiderio riaccendersi. Prova vergogna, ma anche in Barbath il contatto rinnova la fiamma e per la terza volta l’arma si tende. Barbath accarezza ancora il ragazzo, poi lo guida a stendersi sulla pancia e si mette su di lui. Gli divarica le gambe e lo penetra, con dolcezza: non c’è nessun dolore in questa penetrazione, solo piacere. Poi incomincia il movimento intenso che squassa Latif.

Questa volta vengono tutti e due insieme e Latif urla il suo piacere.

Ormai sazi, si alzano e si lavano. Ora Latif si vergogna. Vorrebbe non aver goduto due volte, vorrebbe avere almeno trattenuto l’urlo di piacere. Mu’ezz ibn Abd Allah è stato ucciso pochi giorni fa e Latif ha goduto tra le braccia del suo assassino! Ma Barbath non è un assassino. Ha combattuto lealmente. Come ha detto il servitore, ha conquistato la sua preda.

E Latif, sgomento, si rende conto che è felice di essere la preda di Barbath.

Per tre notti Barbath manda a chiamare Latif.

Barbath è molto contento del suo nuovo schiavo e il suo corpo gode intensamente ogni notte. Dopo l’amore, Barbath congeda Latif: non dorme mai con i ragazzi con cui ha scopato. La terza notte, prima di addormentarsi, pensa che non gli spiacerebbe dormire stringendo un corpo. Ma l’immagine che gli appare non è quella di Latif. Il pensiero lo turba. In queste serate con Latif, non ha pensato mai a Feisal. Eppure ora che il ragazzo se n’è andato, il pensiero di Barbath va all’ufficiale che è il suo braccio destro e ora comanda la guarnigione di Qasr Rim.

 

A palazzo Ashraf discute sul da farsi con il figlio maggiore Muhammad e il fratello Omar, in presenza di Barbath.

Omar vuole che si marci su Shaqra:

- La città non ha più un esercito in grado di difenderla. L’attaccheremo e la conquisteremo.

Ashraf annuisce:

- Sì, credo che sia la cosa migliore. Così tu regnerai su Shaqra e ci sarà infine pace tra le due città.

Anche Muhammad è entusiasta dell’idea:

- Mi sembra un’ottima cosa. La finiremo una volte per tutte con la vecchia contesa per il territorio intorno a Qasr Rim.

Solo Barbath è molto perplesso: i signori di Shaqra regnano da lungo tempo sul territorio e la popolazione mal accetterebbe un cambiamento di dinastia. Omar ibn Sabih si troverebbe a doversi appoggiare a uomini sulla cui lealtà non potrebbe contare. Adesso che incombe la minaccia del Circasso, non è saggio attaccare Shaqra. Sarebbe preferibile chiedere un riscatto per lo sceicco.

Barbath vorrebbe esprimere i suoi dubbi, ma l’emiro non ha chiesto il suo parere. Se Barbath dicesse ugualmente ciò che pensa, Ashraf lo ascolterebbe, come fa sempre, ma non cambierebbe idea, visto che anche il fratello e il figlio concordano con lui. A malincuore Barbath sceglie di tacere.

 

Tre giorni dopo l’arrivo in città, l’esercito riparte nuovamente: questa volta le truppe di Ashraf ibn Samih, emiro di Jabal al-Jadid, marciano direttamente su Shaqra.

Ashraf manda un messaggero a intimare la resa della città, promettendo che non ci saranno saccheggi, ma solo un cambiamento di signore.

Le truppe non sono lontano da Shaqra, quando i messaggeri ritornano indietro: il nipote dello sceicco li ha respinti e ha comunicato che si rifiuta di consegnare la città.

È una follia, non sono rimasti abbastanza guerrieri a Shaqra per difenderla da un esercito nemico. Eppure il giovane Khuzaymah, figlio di Issam al-Misri, non vuole cedere: spera di riuscire a respingere le truppe dell’emiro. Ha anche mandato un messaggero a Nur ad-Din, signore di tutta la Siria, chiedendo il suo aiuto: da Nur ad-Din dipendono tutti i diversi capi locali, come l’emiro di Jabal al-Jadid e lo sceicco di Shaqra. Ma Nur ad-Din non si occupa delle lotte interne, finché ogni città versa il suo tributo: è difficile che decida di intervenire senza qualche motivo e certamente non lo farà ora, quando tutta la Siria settentrionale è sotto la minaccia del Circasso.

L’emiro Ashraf dovrà conquistare la città, ma l’impresa non sembra difficile: troppo grande è la sproporzione di forze perché Shaqra possa opporre una valida resistenza.

Sotto la guida di Khuzaymah, la città si prepara ad un’inutile difesa. Molti degli abitanti vorrebbero aprire le porte al nemico e lasciarlo entrare senza cercare di ostacolarlo: sanno che l’emiro autorizzerà il saccheggio per punire gli abitanti della loro resistenza. Ma Khuzaymah non intende cedere.

Ashraf ha portato con sé lo sceicco catturato e minaccia di ucciderlo se la città non gli aprirà le porte. A Khuzaymah ibn Issam ben poco importa della vita dello zio: finché Abdel Haqq sarà vivo, le sue pretese al trono saranno prive di fondamento. Meglio che lo zio venga ucciso.

 

La netta superiorità numerica delle proprie truppe induce Ashraf a cercare di espugnare la città con un assalto: in questo modo non sarà necessario un lungo assedio. I carpentieri hanno portato con sé tutto l’occorrente e in pochi giorni di lavoro febbrile preparano diverse macchine da guerra, che potranno danneggiare le mura e facilitare così l’impresa.

Quando il lavoro è stato completato, le macchine vengono azionate: mangani e trabucchi scagliano ininterrottamente proiettili, concentrando i loro colpi in alcuni tratti delle mura. Invano i difensori cercano di riparare i danni: nuovi massi si abbattono su di loro, uccidendo gli operai al lavoro e distruggendo altri tratti delle fortificazioni. Anche la torre di fianco alla porta settentrionale crolla.

Dopo due giorni di martellamento delle mura, i danni sono tali da rendere difficile ogni difesa. Ashraf intima ancora una volta a Khuzaymah di arrendersi e di fronte al nuovo rifiuto dà ordine di sferrare l’attacco.

Barbath divide le truppe in quattro contingenti: conta di attaccare in punti diversi, in modo che i pochi difensori siano costretti a dividersi. Qais, Mahdi e un terzo ufficiale guideranno i loro soldati all’attacco delle mura in tre tratti in cui la cinta è stata danneggiata. Barbath si lancerà con i suoi uomini all’assalto delle rovine della torre vicino alla porta settentrionale.

Muhammad ibn Ashraf insiste per combattere a fianco del comandante, anche se Barbath gli consiglia di attendere a distanza di sicurezza con il padre: il momento dell’attacco è molto pericoloso e l’erede dell’emiro non dovrebbe rischiare la vita come un qualsiasi soldato. Non è una battaglia in campo aperto, in cui ci si misura con gli avversari: è una mischia confusa, in cui la morte mena la falce a casaccio.

Ma Muhammad è coraggioso e ardente e non vuole rimanere inattivo mentre le truppe combattono.

Lo scontro è breve: le truppe di Ashraf riescono a salire sulle scale che hanno appoggiato alle mura e ai detriti. Barbath, Muhammad e alcuni altri uomini raggiungono il cammino di ronda e costringono i difensori ad arretrare.

La battaglia è ormai vinta. Ma una freccia scagliata da un arciere di Shaqra raggiunge al collo Muhammad. Il giovane non riesce neppure a gridare: si accascia, mentre dal collo il sangue sgorga copioso. Invano Barbath, che combatte vicino a lui, lo prende tra le braccia. Non può che assistere impotente alla sua brevissima agonia: nulla ormai può salvare l’erede dell’emiro.

Intanto sempre nuovi soldati salgono sulle mura e i pochi difensori ancora vivi sono costretti ad arrendersi. Anche Khuzaymah viene catturato.

Le porte della città vengono aperte, ma gli uomini che si presentano ad Ashraf non sono lieti in volto. Si inchinano a lui e gli comunicano che Allah ha chiamato a sé il giovane Muhammad.

Ashraf è incredulo. Sa bene che in una battaglia la morte è sempre in agguato, ma gli sembra impossibile che suo figlio abbia perso la vita: lo scontro che ha permesso la conquista della città è durato pochissimo.

E mentre ancora Ashraf rifiuta di credere a ciò che gli è stato detto, vede Barbath venirgli incontro, con il corpo tra le braccia.

Ashraf scende da cavallo e si avvicina. Barbath depone il corpo a terra e recita una preghiera. Ashraf lo guarda, inebetito dal dolore. Mormora:

- Avresti dovuto pregare tu per me, il giorno della mia morte, Muhammad, ma sono io a dover recitare le preghiere funebri per te.

Ashraf si inginocchia e ripete le parole di Barbath, incapace di formularne altre. Quando si solleva, guarda ancora il corpo di Muhammad, poi alza gli occhi sulla città e grida:

- Pagherai, Shaqra, pagherete tutti. Per voi sarebbe stato meglio se fosse stato il Circasso a sconfiggervi. Di questa città non resterà pietra su pietra.

Omar è di fianco al fratello. Non dice nulla, perché sa che in questo momento sarebbe del tutto inutile. Ma l’idea che Shaqra venga distrutta lo sgomenta: Ashraf gliel’ha promessa. Su che cosa regnerà Omar? Su un ammasso di rovine?

La popolazione è scesa in strada per acclamare il vincitore, ma quello che entra dalla porta d’Oriente è un corteo funebre. Gli uomini chinano il capo e le grida di gioia cedono il posto alle preghiere per i morti.

Ashraf prende possesso del palazzo dello sceicco, ma poco gli importa di aver conquistato Shaqra: ciò che poche ore fa gli appariva la realizzazione di uno splendido sogno, ora ha perso ogni valore.

Ashraf affida il corpo di Muhammad al lavatore di cadaveri, ma assiste alla cerimonia, insieme a Barbath e Omar. Il corpo viene posato su un tavolo, con la testa in direzione della Mecca. L’uomo copre i genitali con una pezza di tessuto, poi ripulisce il cadavere con cura, servendosi di una stoffa. Deterge il sangue e il sudore. Terminata la pulizia, l’uomo esegue i tre lavaggi del corpo: una prima volta con acqua mista a bacche, una seconda con acqua mista a canfora e infine con acqua pura. Ogni volta incomincia dal capo, poi scende al collo, pulisce il lato destro e infine quello sinistro. Barbath accompagna la cerimonia recitando versi del Corano. Spetterebbe ad Ashraf farlo, ma l’emiro è come pietrificato.

Dopo il lavaggio l’uomo asciuga con cura il cadavere, lo profuma spargendo la canfora e lo avvolge in tre teli bianchi. Infine lo depone su una panca e lo copre con un panno.

Ashraf barcolla. Barbath lo sostiene, ma l’emiro si riscuote e lo allontana con forza. Grida, come se gli abitanti di Shaqra fossero davanti a lui:

- Tutti, vi farò uccidere tutti. Di Shaqra non rimarrà un solo uomo. Le fiamme, le fiamme! Un unico rogo per questa città maledetta.

Ashraf crolla a terra, singhiozzando. Barbath si avvicina, lo aiuta ad alzarsi e lo accompagna fino alla sala del trono.

Lentamente Ashraf si calma.

Muhammad viene sepolto nel cimitero di Shaqra. Quando la cerimonia si conclude, è ormai sera. Nella sala delle udienze, Ashraf comunica le sue decisioni.

- Tutti i maschi adulti verranno decapitati e la città sarà data alle fiamme.

Omar interviene:

- Fratello, distruggere Shaqra non ridarà la vita a Muhammad e indebolirà la nostra posizione. Non dimenticare che il Circasso arriverà presto.

- Troverà solo rovine. Vedrà che sappiamo essere spietati come lui.

- Ashraf, tu sei l’emiro e a te spetta decidere, ma sarebbe più saggio se Shaqra non venisse rasa al suolo e potesse opporsi alla minaccia che incombe su tutti noi.

Ashraf vuole vendetta, ma si rende conto che Omar ha ragione. Dopo una breve discussione, in cui anche Barbath interviene a favore di Omar, cede:

- E va bene. Shaqra non sarà distrutta, ma i difensori saranno passati tutti a fil di spada e Khuzaymah sarà giustiziato in un modo che servirà di esempio a tutti. Prenderò con me cento giovani di Shaqra, che rimarranno come ostaggi a Jabal al-Jadid.

Omar non si oppone, perché non intende irritare il fratello, ma l’esecuzione di tutti i soldati priverà Shaqra degli uomini in grado di combattere, lasciandola senza difese di fronte al Circasso. Gli spiace anche per gli ostaggi, perché sono un impoverimento di risorse per la città, ma essi costituiranno una buona garanzia contro eventuali ribellioni.

La decisione di Ashraf, riferita da alcuni degli ufficiali, semina lo sgomento tra i difensori e tra tutta la popolazione.

Barbath non ha detto nulla. Preferisce lasciar passare un po’ di tempo. Ma il mattino seguente, quando Ashraf si appresta a dare gli ordini necessari per far giustiziare i soldati che hanno combattuto, il comandante intercede per loro:

- Emiro, il tuo dolore è quello di tutti noi. Muhammad era per me un fratello e tu lo sai. Ma fare uccidere tutti i difensori indebolirebbe la città. L’esercito del Circasso non tarderà a giungere: come potrà tuo fratello difendere la città? Vuoi che si offra inerme ai nemici?

Ashraf guarda Barbath. La rabbia del giorno prima ha lasciato il posto a una cupa disperazione. Il dolore lo spingerebbe a mantenere la sua decisione, ma ciò che dice il comandante è vero.

Barbath prosegue:

- Che Khuzaymah paghi per tutti. Risparmia coloro che potranno difendere Shaqra da Dakhir.

Ashraf cede.

- E va bene, Barbath. Ma tutti dovranno assistere all’esecuzione di Khuzaymah.

La notizia che i difensori non verranno uccisi è accolta con immenso sollievo dalla popolazione e tutti si profondono in lodi nei confronti di Barbath. Quanto a Khuzaymah, è stato lui stesso a provocare la propria rovina. Nessuno lo compatisce.

Ashraf stabilisce i dettagli dell’esecuzione, che dovrà costituire un monito per tutti.

- La fine di quell’infame dovrà essere ricordata a lungo.

Omar annuisce e dice al fratello:

- Qui a Shaqra vive un giovanissimo artista, che tutti considerano il più abile pittore vivente, Waahid ibn Munthir. Potremmo far ritrarre a lui l’esecuzione di quel maledetto. Rimarrà come ricordo di questa conquista.

Ashraf annuisce.

- Ho sentito parlare di lui. Mi sembra una buona idea.

Ashraf riflette un momento, poi aggiunge:

- Lo porterò con me come ostaggio a Jabal al-Jadid.

Omar si pente di aver parlato, ma ormai è tardi. Contava di prendere il giovane Waahid ibn Munthir al proprio servizio: ne conosce da tempo la bravura e in passato era anche riuscito a procurarsi due sue splendide miniature. Poi i franchi lo hanno sconfitto, impadronendosi di Qasr Basir, e le miniature sono state prese come parte del bottino.

Il giovane artista viene prelevato dalla casa paterna e portato a corte. Gli viene spiegato che cosa dovrà fare. Waahid eseguirà il compito assegnatogli: non ha nessuna scelta. Non ha mai dipinto un’esecuzione, ma per alcuni libri miniati ha rappresentato battaglie, battute di caccia e cerimonie: è in grado di dipingere scene in cui ci sono molti personaggi.

Qualcuno gli dice che l’emiro Ashraf intende portarlo con sé a Jabal al-Jadid. La notizia angoscia Waahid: non ha mai lasciato Shaqra e ora sarà portato come schiavo in una città che non ha mai visto, dove non conosce nessuno? Waahid ha le lacrime agli occhi, ma sa di non avere nessuna possibilità di scelta. Si dispone a svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi.

 

Il giorno dopo una folla immensa si accalca davanti alla porta orientale della città. Qui avverrà l’esecuzione di Khuzaymah e l’emiro ha ordinato che tutti i cittadini maschi assistano. Nessuno certo osa disobbedire. Contro le mura è stato innalzato un palco e poco lontano un altro più piccolo, su cui siede Waahid, con i suoi arnesi di lavoro.

Khuzaymah viene fatto salire sul palco principale, mentre la folla inveisce contro di lui: se avesse vinto, sarebbe stato esaltato come il salvatore della città; ma essendo stato sconfitto, è solo colui che ha portato Shaqra alla rovina, provocando la morte di molti soldati e la schiavitù di tanti giovani.

Il carnefice e i suoi aiutanti spogliano Khuzaymah, che rimane completamente nudo, esposto al ludibrio della folla. Non mostra paura, anche se sa che lo aspetta una morte orrenda. Rimane in piedi sul palco, la testa ben alta, quasi a sfidare i suo carnefici. Barbath non può fare a meno di ammirare il coraggio di quest’uomo, anche se lo disprezza per la sua slealtà. Khuzaymah è un maschio vigoroso, con spalle larghe, un ampio torace, braccia e gambe nerborute, un cazzo maestoso. Una peluria fitta, di un castano scuro, ricopre tutto il corpo.  

Khuzaymah viene legato a una croce, che viene poi issata, in modo che il condannato rimanga a testa in giù, e bloccata sul palco. La folla grida contro di lui. Se potessero, gli sputerebbero addosso o gli lancerebbero qualche oggetto, ma devono tenersi a distanza, oltre una schiera di soldati armati di lance.

Gli arcieri si preparano a scagliare le frecce: Khuzaymah morirà trafitto. Gli arcieri non tireranno tutti insieme, ma uno per volta, perché l’agonia sia più lunga e lo spettacolo più piacevole per l’emiro e il fratello, che assistono.

La prima freccia colpisce Khuzaymah al braccio destro. Una smorfia di dolore appare sul viso dell’uomo, mentre la folla gli urla il suo odio. La seconda freccia lo prende a una spalla e la terza si infila nel legno senza toccare la carne. Quando la quarta freccia trafigge il cazzo di Khuzaymah, per poi penetrare nel ventre, la folla prorompe in un urlo di gioia selvaggia, che copre il grido del condannato. Altre frecce colpiscono l’uomo alle gambe, alle braccia, al torace, al ventre, ai coglioni, ma nessuna sembra mortale. A ogni freccia Khuzaymah sussulta. Infine un dardo trafigge il cuore e, dopo un ultimo guizzo, il corpo rimane immobile.

Allora, a un segnale del capo degli arcieri, tutti gli uomini tirano insieme, per cinque volte di seguito, finché il cadavere di Khuzaymah è irto di frecce.

Il corpo verrà lasciato attaccato alla croce, a marcire sotto il sole.

Il giovane pittore, Waahid ibn Munthir, è preso da conati di vomito. Due soldati lo aiutano a pulirsi il viso e gli portano da bere, poi lo riaccompagnano a casa, dove Waahid incomincerà a dipingere la scena a cui ha assistito e di cui ha preparato un bozzetto.

 

In serata l’emiro convoca Barbath.

- Barbath, Abdel Haqq non può rimanere vivo. Ci può essere un solo sceicco a Shaqra ed è mio fratello.

Barbath assente con un cenno del capo. Shaqra è nelle mani dell’emiro, ma in effetti finché Abdel Haqq rimane in vita, qualcuno potrebbe cercare di liberarlo o di organizzare una rivolta in suo nome.  

Ashraf prosegue:

- Diremo che si è impiccato, per la vergogna della sconfitta.

- Sì, mio signore.

Barbath non capisce perché l’emiro abbia deciso di affidare questo compito a lui: è più un lavoro da boia. Ma le parole successive sciolgono il dubbio:

- Barbath, quel maledetto… mio figlio è morto per colpa sua… Barbath, fottilo. Fottilo, prima di impiccarlo. Fallo soffrire.

- Sarà fatto, mio signore.

A Barbath non piace il compito assegnato. È un guerriero, non un carnefice, e, anche se uccidere gli trasmette sensazioni forti, farlo a sangue freddo gli ripugna. E quanto a fottere, per quanto di certo Barbath non si tiri indietro, preferisce i giovani. C’è un unico uomo che lo attrae davvero ed è Feisal. Ma le decisioni dell’emiro non si discutono e i suoi ordini si eseguono.

Abdel Haqq è nella stanza che gli è stata assegnata. All’ingresso ci sono due guardie. Barbath si fa accompagnare da due uomini fidati, di quelli sul cui silenzio sa di poter contare: potrebbe aver ragione dello sceicco da solo, senza fatica, ma non vuole che rimangano tracce troppo evidenti della violenza. Il lavatore di cadaveri non deve sospettare ciò che è avvenuto.

Barbath congeda le due guardie e poi entra. Abdel Haqq si alza. Non sa che cosa l’aspetta, ma diffida di quest’uomo possente, che lo ha sconfitto e ha ucciso suo fratello. Lo sceicco sa che prima o poi lo elimineranno e sospetta che sia giunta la sua ora.

Le due guardie bloccano Abdel Haqq e lo forzano ad appoggiarsi sui cuscini. Barbath gli solleva la veste, poi gli abbassa i pantaloni. Lo sceicco intuisce e cerca di divincolarsi, ma gli uomini lo tengono ben fermo. Lo sceicco sente la pressione del cazzo di Barbath contro il suo culo e poi l’ingresso, tanto violento da provocare un dolore lancinante che gli annebbia la vista.

Abdel Haqq grida, ma uno degli uomini gli tappa la bocca con uno straccio. Poi lo imbavaglia. Barbath incomincia a fottere. Di solito procede con cautela, per dare il tempo di abituarsi alla sua poderosa mazza, ma ora intende umiliare e far male il più possibile: questo è ciò che vuole l’emiro e Barbath è un soldato obbediente.

Il cazzo lacera la carne e ogni volta che Barbath lo estrae, un po’ di sangue cola. Lo straccio soffoca le grida disperate di Abdel Haqq, che ha le lacrime agli occhi. Il suo martirio sembra durare all’infinito: Barbath spinge con violenza, esce, rientra, si muove avanti e indietro e dalle viscere dilaniate il dolore sale. Allo sceicco sembra che Barbath lo stia trapassando con uno spiedo arroventato.

Infine Barbath viene, con un’ultima serie di spinte violente. Allora estrae il cazzo, prende la cintura di Abdel Haqq e prepara un nodo scorsoio.

I due uomini rialzano lo sceicco e gli sistemano le vesti. Intontito dal dolore, l’uomo non oppone resistenza. Solo quando Barbath lo solleva e uno degli uomini fissa la cintura, Abdel Haqq cerca di divincolarsi. Barbath gli toglie il bavaglio con la sinistra e poi lo lascia penzolare.

Lo sceicco incomincia a scalciare, ma Barbath gli afferra i coglioni e stringe, tirando con forza verso il basso. Abdel Haqq si dibatte, disperatamente. Barbath rimane indifferente ai calci che lo raggiungono. Quando infine lascia la presa, lo sceicco rimane immobile, il viso congestionato, la lingua che sporge tra i denti, un po’ di bava che cola sul mento.

Barbath raggiunge l’emiro.

- Emiro, colui che era stato sceicco di Shaqra ha messo fine ai suoi giorni, impiccandosi.

L’emiro annuisce. Poi ordina a uno dei suoi servitori:

- Portate il corpo dal lavatore di cadaveri e fatelo seppellire.

L’emiro è soddisfatto. Come sempre Barbath ha eseguito sollecitamente i suoi ordini. Si merita un premio. Potrebbe fargli fare un ritratto da quel giovane miniaturista. No, può fare di meglio. A Barbath piacciono i ragazzi.

- Ascolta, Barbath. Il giovane miniaturista, quello a cui abbiamo fatto ritrarre l’esecuzione di Khuzaymah, sarà uno degli ostaggi che porteremo a Jabal al-Jadid. È un bel ragazzo. Te lo dono. Mi farò ritrarre da lui e di certo anche altri nobili vorranno che li dipinga, ma esso è tuo.

Barbath si inchina:

- Grazie, mio signore. È un dono prezioso.

Waahid è davvero un dono prezioso: coloro che, seguendo l’esempio dell’emiro, vorranno farsi ritrarre dal miniaturista, dovranno pagare il compenso a Barbath, perché Waahid è una sua proprietà. E il ragazzo ha un bel viso, in cui spiccano i grandi occhi verdi. Barbath è contento di averlo al suo servizio.

 

Le truppe che hanno conquistato Shaqra stanno per ritornare. A Jabal al-Jadid fervono i preparativi per un’accoglienza trionfale all’emiro vittorioso e al suo esercito, ma non ci saranno festeggiamenti: la città è in lutto per la morte del figlio maggiore di Ashraf ibn Samih.

Anche Barbath sarà di ritorno con il resto delle truppe. Se ne parla nella residenza del comandante, che ha mandato un messaggero con alcune istruzioni. Latif aiuta gli altri servitori nei lavori di pulizia. Aspetta con ansia il ritorno del suo padrone. Spera di riprendere i giochi delle tre notti che ha trascorso con Barbath.

Uno schiavo gli dice:

- Il padrone ha portato con sé un giovane schiavo da Shaqra.

L’uomo ride. Non aggiunge altro, ma guarda Latif in modo malizioso. Latif non sa che cosa dire. China la testa e prosegue nel suo lavoro, mentre lo schiavo aggiunge:

- Ma non farai fatica a trovare qualcun altro che apprezzi il tuo bel culetto.

Lo schiavo ride. Di certo lui sarebbe ben contento di prendere il posto del padrone accanto a Latif.

Latif rimane in silenzio, ma nella sua testa corrono mille pensieri. Barbath non lo chiamerà più? L’idea di non essere più posseduto da Barbath lo angoscia. Quando Barbath lo ha preso, gli è sembrato di tradire il suo signore, Mu’ezz ibn Abd Allah. Allora avrebbe voluto evitare di essere preso da colui che aveva ucciso il suo padrone e amante. Ma le tre notti in cui Barbath lo ha posseduto sono state un delirio crescente di desiderio e piacere.

Latif sa che quell’uomo possente, per quanto non sia bello, lo attrae. Ne ammira la forza e vuole sentirne ancora la stretta, vuole essere posseduto.

 

L’esercito entra in città nel primo pomeriggio, ma Barbath è trattenuto dall’emiro.

Il nuovo schiavo viene accompagnato a casa da alcuni uomini della guardia personale di Barbath. Latif fa in modo di vederlo. Lo riconosce subito: è Waahid ibn Munthir, a Shaqra tutti lo conoscevano. È il migliore pittore della Siria, per quanto non debba avere neanche vent’anni. Ha anche ritratto il nobile Mu’ezz, un anno fa. Latif si dice che con ogni probabilità anche questo ragazzo è stato l’amante di Mu’ezz. E ora anche lui sarà posseduto da Barbath. Waahid prenderà il suo posto? Barbath non lo chiamerà più? Latif sa di essere più bello di Waahid, ma anche il giovane pittore è attraente e di certo il padrone ama cambiare, come tutti i maschi. Latif si rende conto di essere geloso di Waahid.

Il comandante arriva nella propria residenza solo in serata. Latif non ha modo di vederlo fino a notte, quando un servitore gli comunica di lavarsi, perché il comandante lo vuole. Latif si rende conto che il suo cuore ha accelerato i battiti: Barbath non si è dimenticato di lui.

Latif viene accompagnato nel bagno padronale, dove Barbath è seduto su alcuni cuscini. Il comandante lo saluta e in quel momento un altro servitore fa entrare Waahid.

- Ecco qui il mio nuovo acquisto. Latif e Waahid, non so se vi conoscevate a Shaqra, ma adesso siete tutti e due al mio servizio. E questa sera ci divertiremo insieme.

Latif non si aspettava la presenza di Waahid. Crede di aver capito quali sono le intenzioni di Barbath, ma aspetta che il padrone dica che cosa vuole.

- Adesso ci facciamo un bel bagno, tutti e tre.

Il bagno è già pronto e Barbath si spoglia rapidamente e si immerge. Poi si rivolge ai due ragazzi:

- Voi due, muovetevi.

Latif si spoglia, mentre osserva il corpo potente del suo padrone. Anche Waahid obbedisce, più incerto. Entrano in acqua e si lavano. Poi Barbath esce dall’ampia vasca e dice

- Dai, Latif, qui davanti, in ginocchio. Tu, Waahid, passa dietro, anche tu in ginocchio. Datevi da fare.

Latif si inginocchia davanti a Barbath. Guarda affascinato l’arma poderosa, che già si drizza, poi ne prende in bocca la punta. Incomincia a passare la lingua, accarezzando, poi incomincia a succhiare.

Waahid si è messo dietro, ma non sa che cosa fare.

- Muoviti, Waahid. Lecca, mordi. Ma non ti hanno insegnato niente?

Barbath ride.

Waahid incomincia a mordicchiare una natica, poi l’altra. Non è male, è una sensazione nuova. Continua a mordere, con forza sempre maggiore, finché si becca uno scappellotto da Barbath, che gli dice.

- Piantala, cannibale! Passa la lingua in mezzo, dai.

Waahid obbedisce. Anche questa è una sensazione mai provata. In altre condizioni, gli farebbe senso, ma si sono appena lavati e Waahid deve riconoscere che è bello, è proprio bello.

Intanto Latif si sta dando da fare, con sempre maggiore zelo. Ormai il cazzo di Barbath è rigido come una lama e ha raggiunto il suo massimo volume.

- Adesso Waahid ti stendi sulla schiena, lì, sui cuscini.

Waahid obbedisce. Barbath si inginocchia davanti a lui, si appoggia le gambe del ragazzo sulle spalle e con cautela avvicina il corpo del ragazzo a sé, infilzandolo. Waahid geme quando la mazza poderosa entra dentro di lui.

Latif è rimasto disoccupato, ma il padrone non si è dimenticato di lui.

- Latif, vieni qui. Stenditi.

Latif si mette di fianco a Waahid. Guarda affascinato la scena che si sta svolgendo. È la prima volta che assiste a un rapporto.

- Lavora un po’ con la bocca.

E mentre lo dice Barbath indica l’uccello di Waahid. Poi una mano scivola sul culo di Latif, pizzica, stringe, giocherella, un dito scivola fino all’apertura e la forza.

Waahid è frastornato. Da quando Mu’ezz si è stufato di lui e lo schiavo Raoul è stato affrancato, non ha più avuto rapporti. Il cazzo di Barbath che scava dentro di lui è una presenza dolorosa, ma magnifica. E la bocca di Latif intorno al proprio uccello è una meraviglia.

Waahid sente il piacere che sale, troppo forte per essere contenuto ancora. Grida e viene. Latif lascia la preda e guarda affascinato il seme che sgorga. E intanto Barbath imprime un ritmo più deciso alle sue spinte e viene dentro Waahid.

Si riposano un momento, mangiando alcune ciambelle e bevendo, poi Barbath ordina ai due ragazzi di scambiarsi le posizioni e il gioco riprende.

Dopo ci sono ancora carezze, baci, abbracci. Infine Barbath si stende sui cuscini e fa mettere i due ragazzi di lato.

- Su leccate per bene.

Ognuno dei due usa la lingua, una sul lato destro del cazzo, l’altro sul lato sinistro. Poi i due diventano più arditi e usano la bocca, scendendo fino ai tre coglioni e risalendo alla cappella, finché Barbath non viene per la terza volta.

 

Un servitore accompagna Latif e Waahid nelle loro camere: essendo al servizio particolare di Barbath, hanno tutti e due una stanza propria, più ampia quella di Waahid, più piccola quella di Latif.

Waahid si sente solo. È la prima notte che trascorre in questa casa dove di fatto sarà uno schiavo del padrone. Si rivolge a Latif:

- Latif, vuoi entrare da me?

- Sì, certo.

Waahid e Latif entrano e si siedono sui cuscini.

- Dimmi, Latif, è da molto che sei al servizio del comandante Barbath?

Latif scuote la testa.

- Sono stato catturato nella battaglia in cui il nostro esercito è stato battuto.

- E Barbath ti ha preso con sé?

- Sì, è lui che ha ucciso il mio signore. Tu lo conoscevi, gli hai fatto un ritratto, era il nobile Mu’ezz ibn Abd Allah.

Sul viso di Waahid passa un’ombra. È trascorso un anno, ma il ricordo fa ancora male. Waahid fissa Latif.

- Eri… eri…

Waahid si vergogna della domanda che stava per porre. Non aggiunge più nulla, ma Latif ha capito.

- Sì. Lo sei stato anche tu, vero?

Waahid annuisce. Poi dice:

- Sì, ma per poco tempo.

- Mu’ezz ibn Abd Allah amava cambiare spesso. So bene che se fosse vissuto, si sarebbe stufato di me. Ma io…

- Lo amavi?

Latif annuisce.

- Non è stato facile accettare di essere lo schiavo dell’uomo che lo ha ucciso.

Waahid fa un cenno di assenso. Latif aggiunge:

- Eppure…

Si interrompe. Non sa come spiegare. Cerca le parole:

- È un tale maschio… Ci sono dei momenti in cui mi sembra di essere una puttana, ma lo desidero.

Latif alza le spalle. Poi chiede:

- Com’è stato per te?

Waahid è confuso, non sa nemmeno lui che cosa dire.

- Non so, pochi giorni fa ero libero, vivevo con mio padre, e ora…

- Barbath è un buon padrone. Non devi preoccuparti.

Ma Waahid ha le lacrime agli occhi. Allora Latif lo abbraccia.

Waahid gli dice:

- Dormi con me, Latif. Non voglio dormire da solo questa notte.

- Volentieri.

I due ragazzi si spogliano e si stendono uno a fianco dell’altro. Si abbracciano e scivolano presto nel sonno.

Barbath è sazio, ma come ormai succede ogni sera, prima di addormentarsi il pensiero va a Feisal. Barbath sa di desiderarlo. Non ha mai scopato con un uomo, non sa come sarebbe. Ma non può negare che vorrebbe provare con Feisal. I ragazzi non gli bastano più. Come ha detto Feisal, servono per il piacere, ma non possono essere compagni di strada.

 

Il mattino seguente Latif si sveglia con la testa appoggiata sul petto di Waahid. Come spesso gli succede al risveglio, ha un’erezione e anche l’uccello di Waahid non è del tutto a riposo. Latif sorride. Si solleva e con delicatezza fa scorrere la mano sul torace di Latif e poi sul ventre. Waahid socchiude gli occhi. Lo guarda, un po’ assonnato, e gli dice:

- Che cosa fai?

Latif ride e dice:

- Secondo te?

- Non so, ma non smettere, così magari lo capisco.

Latif continua ad accarezzare il corpo di Waahid. Le sue mani scorrono parallele, risalendo verso i capezzoli, che stringono, poi scivolano sul viso. Waahid allunga un braccio, passa una mano dietro la nuca di Latif e lo attira a sé. Le loro bocche si incontrano e si uniscono in un bacio, prima esitante, poi più sfacciato: la lingua di Latif si spinge tra i denti di Waahid e quando si ritira, è quella di Waahid a infilarsi nella bocca dell’amico.

Ormai la tensione è forte in entrambi. Latif si stende su Waahid e ancora si baciano, mentre i loro corpi aderiscono. Poi Latif si sposta, in modo che la sua bocca si trovi all’altezza dell’uccello di Waahid. Latif guarda il bel bocconcino, poi lo afferra con i denti e lo inghiotte. Waahid geme e ruota, in modo da poter a sua volta gustare l’uccello di Latif.

Intanto un servitore va a cercare Latif, ma non lo trova nella camera. L’uomo si chiede che fine abbia fatto il giovane schiavo: che sia scappato non è possibile.

È un rumore che sente provenire dalla stanza di Waahid a metterlo in sospetto. L’uomo spinge la porta e vede sul giaciglio i due giovani schiavi: ognuno dei due sta succhiando l’uccello dell’altro e sono tutti e due tanto impegnati in questa attività, da non rendersi conto di avere uno spettatore.

Il servitore corre dal suo padrone. Non sa come la prenderà, ma è suo dovere riferirgli ciò che ha visto.

- Padrone, i due nuovi schiavi, Waahid e Latif…

- Sì, che cosa c’è? Dimmi.

- …sono nella camera di Waahid, insieme. Stanno…

Barbath ha capito. Ride e si alza. Raggiunge la camera di Waahid e guarda dalla porta.

Latif e Waahid sono sempre stesi sul giaciglio, uno con i piedi verso la porta, l’altro in direzione opposta. Ognuno dei due ha in bocca l’uccello dell’altro e si sta dando da fare.

Barbath guarda la scena. Sorride. Non gli spiace che i due ragazzi si divertano tra di loro.

- Non li disturbare, Hussein. Lascia che facciano quello che vogliono.

Sì, Waahid e Latif possono fare ciò che vogliono. Hanno la stessa età, si possono amare, ognuno trova nell’altro uno specchio. Forse potranno camminare insieme, se riusciranno a sfuggire alla minaccia che incombe su tutti loro.

 

 

Nei giorni seguenti la vita a Jabal al-Jadid scorre apparentemente tranquilla, ma molti si chiedono se il Circasso deciderà di attaccare Shaqra e la stessa Jabal al-Jadid, ora che la guerra ha indebolito entrambe le città.

Quando giunge la notizia che l’esercito di Dakhir si è mosso e si è accampato sotto Sada, una cittadina che dipende da Halel, alcuni pensano che per il momento la minaccia sia scongiurata. Barbath non si fa illusioni: Sada è solo un piccolo problema interno; la città capitolerà in fretta e l’esercito che ora l’assedia si dirigerà verso Shaqra e poi su Jabal al-Jadid.

Pochi giorni dopo le notizie confermano che Dakhir sta marciando su Shaqra: le truppe si sono mosse in fretta, molto più rapidamente di quanto ci si potesse aspettare, e ormai sono nei pressi della città.

Ashraf è preoccupato.

- Temo che mio fratello non sia in grado di difendere Shaqra, non ha abbastanza uomini. Che ne pensi, Barbath?

- No, di sicuro Shaqra non può resistere al Circasso. Non ha abbastanza soldati e le mura sono danneggiate. Non c’è stato il tempo per ripararle.

Ashraf annuisce. Barbath chiede:

- Che cosa conti di fare, emiro?

- Barbath, abbiamo il tempo di raccogliere un esercito in grado di contrastare il Circasso e accorrere in difesa di Shaqra?

Ashraf conosce la risposta, ma spera che Barbath gli dica qualche cosa di diverso. Barbath è abituato a dire ciò che pensa, senza nascondere la verità, anche quando questa non piace al suo signore. È uno dei motivi per cui Ashraf ha molta stima di Barbath.

- Il nostro esercito non è sufficientemente numeroso per affrontare quello del Circasso con qualche possibilità di vittoria e in ogni caso ormai non possiamo più intervenire per tempo: da quel che ci hanno riferito gli informatori, Dakhir sarà a Shaqra domani sera e le sue truppe potrebbero conquistare la città nella notte stessa: le mura non sono ancora state riparate e non ci sono abbastanza uomini per difenderle.

- Mio fratello dovrà cedere Shaqra oppure…

Ashraf non prosegue la frase. Sanno tutti e due che cosa succede a chi cerca di opporsi al Circasso.

C’è un momento di silenzio, poi Barbath dice:

- È meglio che ci prepariamo ad affrontare il Circasso, a meno che tu non decida di cedere Jabal al-Jadid.

- Cedere la città?! Sei diventato pazzo, Barbath?

Barbath era sicuro che l’emiro non avrebbe neanche preso in considerazione l’idea di cedere Jabal al-Jadid. Ma ha ritenuto suo dovere dirlo.

- Allora dobbiamo organizzare la difesa.

- Provvedi a tutto il necessario, Barbath. Pregherò Iddio per mio fratello.

Barbath si congeda. La città non è impreparata a un assedio: tutti sapevano che il Circasso prima o poi avrebbe cercato di ampliare i domini di Dakhir verso sud. Le mura sono state rinforzate in alcuni punti, la sorveglianza intensificata. I depositi di derrate alimentari in città vengono riempiti. I cittadini sono invitati a fare scorta di granaglie e altri cibi che si possano conservare.

Barbath si occupa di tutto, instancabile: sembra essere ovunque. Ma la sera Barbath sale sulle mura e guarda in direzione di Qasr Rim. La rocca è lontana e di certo non si può vedere dalla città. Ma Barbath non vede ciò che i suoi occhi stanno guardando. Barbath pensa a Feisal. La fortezza sarà la prima a essere investita dalle truppe del Circasso. I comandanti che hanno cercato di resistere hanno sempre subito una sorte terribile, la stessa che subiranno Barbath e l’emiro Ashraf, se cadranno vivi nelle mani di Kazbech dopo aver cercato di resistergli. Barbath lo sa benissimo, ma è per Feisal che si preoccupa. E il saperlo lontano lo fa impazzire.

La separazione ha squarciato il velo che Barbath aveva davanti agli occhi. Sa che cosa prova e sa che cosa desidera.

Non ci sono più serate a casa del comandante per gli ufficiali, che si ritrovano negli alloggiamenti militari. Nessuno se ne stupisce: sanno tutti che Barbath è molto impegnato nell’organizzare la difesa di Jabal al-Jadid. Ma Qais sospetta che ci sia qualche cos’altro. E si rende conto che a tratti Barbath guarda lui e Mahdi come se li invidiasse.

Barbath sa che Qais e Mahdi rischiano di morire in modo atroce, come tutti loro. Ma vede la loro gioia nello stare insieme e quella gioia gli dà la misura della sua sofferenza.

 

La sera Barbath rientra a casa molto tardi. Ogni tanto chiama Waahid e Latif, di solito insieme, ma è solo per soddisfare un bisogno. E quando hanno finito li guarda giocare tra di loro. Sono due ragazzi, si vogliono bene, forse si amano, anche se ancora non lo sanno: avranno modo di scoprirlo, se potranno rimanere insieme. Ci sono, momenti in cui a Barbath sembra quasi di invidiarli, come invidia Qais e Mahdi. Poi si dice che è pazzo: il comandante dell’esercito che invidia due dei suoi schiavi?

Ma Latif e Waahid sono sereni. Anche se la minaccia del Circasso li spaventa, sono felici di stare l’uno con l’altro. Non hanno un rovello che scava dentro di loro.

 

La città è pronta per l’attacco che ormai è imminente: non rimane che attendere notizie da Shaqra.

Le notizie arrivano presto e sono quelle che Barbath ha previsto. Ma ce ne sono anche altre, che nessuno si aspettava.

 

 

II – L’emiro di Halel

III – Il signore di Jabal al-Jadid

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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