Samohrab
  
 Samohrab riesce a parare il colpo e arretra. Sa che il duello si avvia alla fine e anche la sua vita. È un grande guerriero e mai gli era capitato di scontrarsi con un avversario più forte, ma quest’uomo con cui combatte accanitamente gli è superiore per vigore e abilità, come per statura. È un colosso, in grado di vibrare fendenti terribili. Samohrab è sereno. Essere ucciso in duello da un guerriero valoroso è una buona morte, assai migliore della fine orribile di tanti suoi compagni. Il suo avversario salta in avanti. A fatica Samohrab blocca la spada che cala su di lui, ma con un rapido movimento della lama il suo rivale gli fa cadere l’arma. Samohrab è disarmato. Attende il colpo che spegnerà la sua vita. Il guerriero sorride e fa un cenno ai suoi uomini, che hanno seguito il duello senza mai intervenire. In un attimo gli sono addosso e lo legano. Samohrab guarda il suo avversario: - Mi hai battuto, uccidimi. L’uomo ride. Ha una risata tonante. - Ne parleremo. Gli infilano un cappuccio in testa e lo fanno scendere lungo il sentiero. Un uomo sta al suo fianco e lo guida. Mentre cammina, Samohrab si chiede che cosa lo aspetta. Aveva sperato di essere ucciso in duello, ma l’uomo che l’ha sconfitto ha deciso altrimenti. Di una cosa sola Samohrab è certo: la sua testa sarà inviata, con il
  cazzo e i coglioni in bocca, a Lazan, il nuovo re di Sjevekral. Lazan ha usurpato il trono e fa dare la
  caccia a tutti coloro che lottano per difendere l’erede legittimo e non
  riconoscono la sua autorità. Chi consegna la testa di un ribelle, con i
  genitali in bocca, riceve cinque pezzi d’oro: una somma alquanto consistente,
  che ha spinto molti guerrieri liberi a cacciare i ribelli. Bande di
  quindici-venti uomini hanno stanato coloro che ancora resistevano e uno dopo
  l’altro i compagni di Samohrab sono stati uccisi. Le loro teste sono ora
  infilzate su pali all’ingresso della capitale del regno. Tra poco ci sarà
  anche la testa del guerriero più valoroso, che sarà pagata ben dieci pezzi
  d’oro: una somma enorme.   Ma prima che la sua testa sia messa in cima a un palo, che cosa succederà? Sarà stuprato, com’è avvenuto a tanti suoi compagni? È normale che il vincitore possieda colui che ha sconfitto, ma alcuni dei compagni di Samohrab sono stati violentati da tutti i componenti della banda, magari dopo essere stati catturati con trappole o con l’inganno: tra i guerrieri liberi molti sono individui abietti e sleali, senza onore. E se decidessero di
  consegnarlo vivo? Lazan sarebbe ben contento di averlo nelle sue mani e farlo
  giustiziare pubblicamente. Di certo gli riserverebbe una morte
  terribile, com’è successo a Mlaratni, che è stato impalato e ha agonizzato
  per due giorni: uno
  spettacolo per la folla e un monito per chi vorrebbe opporsi all’usurpatore.
  Samohrab rabbrividisce. Non percorrono molta strada. Due uomini guidano il prigioniero a sedersi in sella a un animale accovacciato al suolo. - Stringi bene le gambe, altrimenti rischi di cadere quando si alza in volo. Samohrab sa di trovarsi su un siskri, creature alate che spesso si mettono al servizio degli uomini o di altre stirpi, ma che di rado si trovano nelle terre densamente popolate dai figli di Eva. Si stupisce, perché pensava che gli uomini fossero venuti a cavallo: le montagne non sono così lontane dalla capitale. Poco dopo sente la voce dell’uomo che lo ha battuto: - Via! Il siskri si alza in volo. Intorno a lui Samohrab sente il battere di ali di altre cavalcature. L’aria si raffredda: devono essere saliti parecchio e anche questo è strano, perché per raggiungere la capitale dovrebbero scendere. A tratti Samohrab si chiede se non lasciarsi cadere: sfracellarsi al suolo sarebbe una fine più rapida e meno infamante di quella che con ogni probabilità lo aspetta. Volano a lungo. Il freddo è intenso e Samohrab si sente intorpidito. Fa fatica a reggersi in sella. Il lasciarsi scivolare non è una scelta deliberata: è solo un rinunciare a resistere. Si è appena staccato dal siskri quando due mani possenti lo afferrano. - Testa di cazzo! La voce è quella del guerriero che l’ha battuto, che evidentemente gli volava vicino. L’uomo lo afferra e lo mette in sella davanti a sé. Gli passa un braccio intorno alla vita, per evitare che si lasci di nuovo cadere. Questo corpo che preme contro il suo gli trasmette un po’ di calore. È una sensazione piacevole. Il volo prosegue a lungo, ma dopo un po’ i siskri si abbassano e l’aria diventa meno fredda. Infine toccano il suolo. - Scendi. Samohrab obbedisce. - Cammina. Due uomini sono ai suoi lati e lo guidano. Devono trovarsi in un edificio, perché sotto di sé Samohrab può sentire un pavimento di pietre, liscio e regolare, e le voci rimbombano contro le pareti, che devono essere vicine. Camminano per un buon tratto: dev’essere un lungo corridoio. Poi incominciano a salire per una scala. Devono portarlo in una torre, molto alta. Salgono ancora e infine c’è il cigolio di una porta che viene aperta. Lo fanno entrare e gli tolgono il cappuccio. Sono in una stanza debolmente illuminata da una finestrella posta in alto. I due uomini gli slegano le mani, poi escono, chiudendo la porta dietro di loro. Samohrab si guarda intorno. Nella stanza ci sono solo un pagliericcio e una sedia. In un angolo un buco serve come gabinetto. Poco dopo arriva il guerriero che l’ha sconfitto. Samohrab lo guarda. Ora può osservarlo con calma, perché non deve più combattere contro di lui. Lo supera di almeno un palmo, ha spalle larghe, torace muscoloso, braccia e gambe robuste. Ha la testa rasata e la fitta barba è nerissima, come gli occhi, in cui non è possibile distinguere le pupille dall’iride. Un figlio di Lilith, forse? - Samohrab, il mio nome è Valikurac. Ti offro di scegliere tra due possibilità. Samohrab è stupito di avere una scelta, anche se non è detto che una delle due alternative sia accettabile. Valikurac prosegue, senza attendere una replica: - La prima possibilità è che io t’inculi, visto che ti ho battuto in leale duello, poi ti uccida. In questo caso manderò la tua testa, con cazzo e coglioni in bocca, come richiesto, al re Lazan e ne riceverò venti pezzi d’oro. Samohrab sapeva che sulla sua testa c’era una taglia di dieci pezzi d’oro, per cui aggrotta la fronte e chiede: - Venti? Valikurac ride: - Sì, il re ha raddoppiato la ricompensa. Ci tiene ad avere la tua testa e i tuoi attributi. Samohrab non dice nulla. L’idea di essere stuprato da questo colosso non gli piace: non è mai stato posseduto. Ma nel complesso la proposta è tutt’altro che disprezzabile: meglio essere ucciso da quest’uomo che l’ha battuto in duello, piuttosto che consegnato vivo. E meglio essere stuprato da un solo uomo che da venti o trenta, com’è successo ad alcuni. - La seconda proposta è che tu ti unisca a me in un’impresa che mi preparo a compiere. I rischi sono molti e non è detto che tu ed io sopravviviamo. Se ci dovessimo riuscire, sarai libero e lontano da Lazan, dove nessuno può venirti a cercare. Valikurac ha finito di parlare, ma Samohrab tace. - E allora? - In che cosa consiste questa impresa? - Non posso dirtelo, prima che tu abbia accettato. - Non posso accettare, senza sapere in che cosa consiste. - Merda, Samohrab! Ci tieni a farti ammazzare? Non è meglio cercare di salvarti? - Se non mi spieghi qual è l’impresa, non intendo partecipare. - Sai qual è l’alternativa. - Lo so. Se pensi che la morte mi spaventi, ti sbagli di grosso. Valikurac, sibila, chiaramente irritato: - Testa di cazzo! Qual è il problema? - Te l’ho detto: non posso accettare di imbarcarmi in un’impresa senza sapere di che cosa si tratta. Non mi vendo alla cieca, neanche se il prezzo è la mia vita. - Mi sono impegnato sul mio onore a non rivelare lo scopo della mia impresa a nessuno, ad eccezione di chi mi accompagnerà. Non posso dirtelo. - Allora la mia risposta è no. Valikurac annuisce. - Va bene. Come vuoi. Ti do ancora due ore per pensarci. Esce, sbattendo la porta dietro di sé. Samohrab si siede. Sono le sue ultime ore di vita. La morte che lo attende è probabilmente rapida e non gli fa davvero paura. Da tempo, da quando ha scelto di schierarsi con l’erede legittimo e non con l’usurpatore, sapeva che sarebbe finita così: la sproporzione di forze era troppo grande. Lo stupro che sta per subire suscita in lui sensazioni contrastanti. Ha posseduto diversi uomini e ha sempre amato il gioco ruvido e brusco degli amplessi maschili. Ma non si è mai offerto a nessuno. Quest’uomo che sta per prenderlo lo ha vinto e il codice non scritto dei guerrieri gli dà il diritto di togliere la vita a colui che ha sconfitto o di farne il proprio schiavo. E uno schiavo può essere usato anche per il piacere. Samohrab farebbe volentieri a meno di ciò che sta per accadere, ma non può sottrarsi. E forse a una parte di lui non spiace sperimentare, prima di morire, ciò che si prova a essere preso da un altro maschio, un guerriero che lo ha lealmente battuto. Due ore dopo Valikurac ritorna. - Hai riflettuto sulla mia proposta? - Sì. In realtà non ha riflettuto sulla proposta, ma sulla propria morte e sullo stupro che sta per subire. - E qual è la tua risposta? - Non è cambiata. - Testa di cazzo! È la terza volta che questo guerriero si rivolge a lui così. Samohrab dice: - Fai quello che intendi fare. È tuo diritto. Valikurac annuisce. Dice: - Vieni con me. Escono dalla cella, salgono una rampa di scale e attraverso una porta bassa, che costringe il colosso a chinarsi, escono in un cortile. Samohrab si guarda intorno, disorientato. Intorno a lui ci sono le torri di un castello, ma com’è possibile che si trovino in un cortile, quando ci sono arrivati salendo una scala interminabile? Devono essere entrati da un ingresso sotterraneo. Valikurac fa strada fino a un portone. Davanti ci sono un cavallo bardato e un servitore che ha in mano la spada di Samohrab. Il guerriero la prende e gliela porge. - Mettitela alla cintura. Samohrab non capisce. È perplesso. Quando Valikurac gli ha dato la spada, ha pensato che volesse affrontarlo di nuovo in duello, per ucciderlo. Ma può ammazzarlo senza un nuovo duello: l’ha già sconfitto. Il guerriero però gli ha detto di mettere la spada alla cintura. E allora? Valikurac ordina: - Sali a cavallo. Samohrab obbedisce. Il guerriero gli porge una borsa. - Ci sono un po’ di monete, per cavartela i primi giorni. Sei nel
  regno di Usredkral.
  Nessuno ti verrà a cercare qui. Prima
  che Samohrab abbia il tempo di rispondere, Valikurac dà una violenta pacca
  sul culo del cavallo, che parte. Il portone è stato aperto dal servitore e
  Samohrab si trova a cavalcare su una stretta strada che dal castello scende
  verso la valle. Ferma il
  cavallo e si guarda intorno. Il castello, alle sue spalle, è in cima a una
  montagna. Come ha pensato, devono essere arrivati da un ingresso aperto sul
  pendio, più in basso. Per quello sono saliti tanto. Davanti a lui la strada
  si snoda fino al fondovalle boscoso. Samohrab
  è sconcertato. Valikurac non l’ha stuprato, non l’ha ucciso, non l’ha
  consegnato a Lazan. Gli ha donato un cavallo e delle monete. Ha cercato di
  convincerlo a partire con lui in missione, ma di fronte al suo rifiuto, gli
  ha reso la libertà. Il suo
  comportamento scioglie i dubbi che Samohrab aveva: l’impresa che il guerriero
  si accinge a compiere non deve essere contraria al codice di comportamento di
  un guerriero leale.  Samohrab gira il cavallo e
  risale al castello. Il portone si apre: lo hanno visto arrivare. Valikurac è
  in piedi vicino all’ingresso. - Che
  cosa vuoi, Testadicazzo? Samohrab
  risponde: - Vengo
  con te. Sulle
  labbra di Valikurac appare un sorriso. - È la
  prima cosa sensata che ti sento dire, Testadicazzo. - Bene,
  allora puoi chiamarmi Samohrab e non Testadicazzo, che come nome non mi piace
  molto. Valikurac
  ride, di nuovo la sua risata che è come un tuono. - Va
  bene. Scendi da cavallo, Tes… Samohrab,
  e vieni con me. Entrano
  in una stanza che affaccia sul cortile. Valikurac chiude la porta e fa cenno
  a Samohrab di sedersi. Valikurac
  lo guarda con attenzione, poi dice: - Sono contento
  che tu sia tornato indietro. Dubito che tu abbia fatto un buon affare, ma per
  me lo è. - Adesso
  che ho accettato, mi puoi dire di che cosa si tratta. - Sì,
  adesso sì. Conosci senz’altro le pietre della possanza. - Certo.
  Quelle che danno un particolare potere a chi le possiede: so che alcune
  rendono invisibili, altre aumentano la forza, altre rendono più virili. Valikurac
  ride nuovamente. - Già,
  quelle sono molto ricercate tra i figli di Eva, ma anche tra i maschi di
  altre stirpi. E hai sentito parlare delle Nove Pietre Arcane? - Le
  Nove Pietre Arcane? Sì, ma… non sono pietre che ci si può procurare, sono i
  talismani delle Grandi Forze.    - Già.
  Tu li chiami talismani. Sono l’elemento attraverso cui il loro potere si
  manifesta. Se un uomo se ne impadronisse, non diventerebbe una Grande Forza,
  ma di certo avrebbe poteri enormi. Samohrab
  aggrotta la fronte: - Nessun
  uomo ha il diritto di impadronirsi delle Pietre Arcane. - Certo,
  ma si dà il caso che qualcuno voglia farlo. Un uomo che possedesse una Pietra
  Arcana potrebbe conquistare uno dei sette regni. E forse più d’uno. - È
  follia. Significherebbe rovesciare l’ordine delle cose. -
  Qualcuno intende farlo. Non a tutti va bene quello che tu chiami ordine delle
  cose. C’è chi ha grandi ambizioni e non ha voglia di accontentarsi di quello
  che ha avuto in sorte. - E che
  cosa dovremmo fare? Impedire questa follia? - Sì,
  questo è il nostro compito. - Ho
  capito. Spiegami in che modo possiamo fermare quel temerario. - Per
  prima cosa dobbiamo raggiungerlo. Partiremo questa sera stessa per le terre
  all’estremo Occidente. - Samar? Samohrab
  ha spesso sentito parlare di questa città, che si trova al confine
  occidentale delle terre popolate dai figli di Eva: è un avamposto che non fa
  parte di nessuno dei sette regni, ma in cui i re mandano i loro uomini, per
  proteggere le vie commerciali che provengono da ovest. - Oltre. - La
  fortezza di Dubokvoda? La
  fortezza è stata costruita ancora più a ovest, in un’area in cui non c’erano
  mai stati insediamenti umani, a guardia del guado sulla Grande Corrente. - Ancora
  oltre. - Non ci
  sono insediamenti dei figli di Eva. - No,
  sono terre selvagge, popolate da giganti, nani e ogni tipo di creature.  Samohrab
  annuisce. - Sarà
  un lungo viaggio. Non so esattamente dove siamo, ma dal regno di Usredkral
  alla fortezza credo che ci voglia oltre un mese a cavallo. - A
  cavallo, sì. Ma noi voleremo. - Sui
  siskri, vero? Mi era capitato di vederne, due volte, ma non ero mai salito su
  uno. - Sì,
  questa volta bada solo a non cadere, Testadi… Valikurac
  s’interrompe e sorride. Poi riprende: - Ci
  vorranno comunque diversi giorni: anche i siskri hanno bisogno di riposarsi,
  come i cavalli. Voleremo soprattutto la notte: è meglio che non ci facciamo vedere.
  Di sicuro qualcuno cercherebbe di fermarci. - Chi
  vuole impadronirsi di una delle Pietre Arcane? - Un
  uomo, discendente da due stirpi diverse. È lui che mira a ottenere una delle
  Pietre. O di più d’una. - Più
  d’una? Ma è follia! Già impossessarsi di una mi sembra un’impresa
  impossibile. Più d’una… come può pensare di farlo? - Chi
  riuscisse a impadronirsi di una delle Pietre potrebbe forse usarla per
  ottenerne anche una seconda e una terza, acquisendo un potere immenso.
  Arriverebbe a dominare tutte le stirpi e le Grandi Forze. Il
  pensiero che un uomo possa tentare una simile impresa appare assurdo a
  Samohrab: per un figlio di Eva o di Lilith non è certo possibile vincere le
  Grandi Forze. Ma se qualcuno ci riuscisse, sarebbe una catastrofe. - Siamo
  tu ed io da soli per questo compito? Tutti i re dovrebbero mandare i loro
  soldati. Valikurac
  scuote il capo. - Non si
  tratta di sconfiggere un esercito, ma di trovare quest’uomo e fermarlo, a
  ogni costo. Ma dobbiamo muoverci in segreto, altrimenti la nostra missione
  rischia di fallire.  Samohrab
  vorrebbe sapere di più, ma Valikurac preferisce non anticipare altro.  - Ci
  sarà tempo per tutti i dettagli. Adesso abbiamo qualche ora per riposare.
  Quando sorgerà la luna, partiremo. Viaggeremo tutta la notte, per cui è
  meglio se dormiamo un poco. Un
  servitore accompagna Samohrab in una camera, con un letto. Il guerriero si
  lava e poi si stende. La stanchezza del combattimento e del lungo volo lo fa
  scivolare in fretta in un sonno profondo.  Lo
  sveglia lo stesso servitore, che gli porta nuove vesti e un mantello pesante.
  Samohrab si veste. Ritrova Valikurac in una sala, dove mangiano alla luce
  delle candele: dalla finestra si può vedere che il cielo è buio. È alquanto
  affamato, perché non tocca cibo da ventiquattr’ore. Dopo l’abbondante pasto
  raggiungono una sala sotterranea, dove si avvolgono nei mantelli e salgono
  sui due siskri. Una porta viene aperta e le due cavalcature si levano in
  volo. Per
  Samohrab è la prima volta che vola potendosi guardare attorno, ma non riesce
  a vedere molto: la luna è solo un piccolo spicchio e poche stelle sono
  visibili, perché il cielo è in gran parte coperto da nuvoloni. La terra è una
  grande massa buia, in cui è difficile distinguere gli elementi del paesaggio. Samohrab
  riflette sulla svolta del tutto imprevista che ha preso la sua vita. In
  mattinata combatteva una battaglia perduta, sapendo di andare incontro alla
  morte. Adesso si trova impegnato in una grande missione, di cui sa poco. È
  curioso di conoscere le terre occidentali, dove vivono molte creature di cui
  ha sentito parlare, senza averle mai viste. Anche i siskri, che provengono da
  quelle terre, di rado si spingono nei regni fondati dai figli di Eva.  Davanti
  a lui cavalca Valikurac, questo colosso che l’ha sconfitto e invece di ucciderlo
  gli ha offerto di prendere parte a questa missione. Quando
  il primo chiarore appare a oriente, i siskri si abbassano fino a toccare
  terra in un’area montuosa. I due guerrieri cercano un posto riparato tra gli
  alberi, dove si stendono a dormire. È primavera e la temperatura è piacevole. Samohrab
  si addormenta in fretta. Quando si sveglia, il sole è alto in cielo:
  dev’essere circa mezzogiorno. Valikurac
  si è già alzato. - È
  meglio che non ci muoviamo durante il giorno. Sanno quello che voglio fare e
  cercheranno di fermarci. - Chi
  sono quelli che sanno? E come l’hanno saputo? Valikurac
  scuote la testa. - Posso
  dirti solo che qualcuno sa. Sono stato tradito e ora cercheranno di uccidermi
  per fermarmi. Samohrab
  vorrebbe chiedere ancora, ma si rende conto che Valikurac non è disponibile a
  raccontare e non vuole insistere: avrà modo di scoprire qualche cosa di più
  nei prossimi giorni. Mangiano e poi dormono ancora alcune ore. Dopo il
  tramonto ripartono. Le nuvole sono scomparse e il cielo è perfettamente
  sgombro. La falce di luna e le stelle diffondono la loro luce. Fiumi e laghi
  hanno un riflesso argenteo e il profilo dei monti è ben visibile. È
  bellissimo contemplare la terra dall’alto, vedere il paesaggio cambiare, i
  monti lasciar posto alle colline e poi alla pianura, i fiumi formare laghi.
  Nuovamente compaiono colline e poi altri monti: terre che Samohrab non ha mai
  visitato. Qua e là alcune luci segnalano la presenza di una città. Il
  giorno seguente, dopo aver dormito e mangiato, Samohrab pone alcune altre
  domande: - Quanto
  tempo ci vorrà?  - Ci
  vogliono cinque notti di volo per arrivare in una valle un po’ oltre il guado
  di Dubokvoda, dove i siskri ci lasceranno. - Saremo
  giunti alla meta? - No,
  certamente. La meta è oltre, ma nessun siskri sarebbe disponibile a portarci
  più in là. Hanno paura. - Sulle
  terre oltre il confine occidentale circolano molte storie. Valikurac
  alza le spalle. - Tutte
  le terre oltre i confini presentano pericoli. Ci sono forze che nessun uomo
  può controllare. Sai che a oriente vivono i draghi. A occidente non ci sono,
  a meno che qualcuno di loro non si sposti. - Ci
  mancherebbe solo un drago! - Se un
  uomo s’impadronisse di una delle Pietre Arcane, potrebbe comandare anche ai
  draghi. Non ti piacerebbe? Potresti servirti del drago per eliminare Lazan e
  rimettere sul trono il tuo re. - Non ho
  mai pensato a questa possibilità. -
  Allora, non ti piacerebbe avere una delle Pietre Arcane? - Non
  penso che sarebbe una buona cosa. Non credo che noi uomini saremmo in grado
  di controllare il potere di questi talismani. Non sono fatti per noi. Valikurac
  annuisce. - Per
  questo ho bisogno di te per questa missione. Non potevo farmi accompagnare da
  qualcuno che poi cedesse al potere della Pietra. - Come
  facevi a sapere che ero io l’uomo che ti serviva? - Sapevo
  che eri un forte guerriero e che eri leale. Ormai Mlad
  è stato sconfitto e combattere ancora per lui non ha più senso. Ma tu per
  lealtà non ti sei arreso, non sei scappato in uno degli altri regni, anche se
  sai benissimo che ormai non c’è più niente da fare. - E ti
  sei messo a cacciarmi. - Eh sì,
  dovevo trovarti prima degli altri. E ti cercavano in molti. Venti pezzi
  d’oro, cazzo! Non sono pochi. - Chi
  sei, Valikurac? Sei un figlio d’Eva? - Mio
  padre lo era, mia madre era una figlia di Lilith. Tu invece sei un figlio
  d’Eva, vero? - Sì.
  Raccontami della tua vita. - Di
  cose da raccontare ne avrei, ho avuto una vita avventurosa. La mia famiglia
  viveva ai confini orientali del regno di Istokrali. Lì ho avuto modo di
  conoscere molti degli esseri che popolano quelle regioni e ho imparato tante
  cose. Poi ho viaggiato molto, per gusto dell’avventura. Mi piace conoscere
  nuove terre e nuove genti e spesso mi ficco nei guai: non ho paura e ho
  affrontato tanti tipi di esseri, qualche volta cavandomela per un pelo. Mi
  piace combattere. E anche uccidere. Ti avrei ucciso volentieri, perché sei un
  guerriero valoroso. Gli uomini delle tribù del nord infilano le teste dei
  nemici uccisi su dei pali davanti alle loro case. La tua ci starebbe bene.
  Sarebbe un onore averla. -
  Grazie! Meno male che ti servivo per questa missione. - Se non
  avessi avuto bisogno di te, non mi sarei messo alla tua ricerca. Venti pezzi
  d’oro sono una bella somma, ma per quel che mi riguarda, Lazan può metterseli
  in culo.  Valikurac
  ride e aggiunge: - Glielo
  riempirebbero bene, come un grosso cazzo. Samohrab
  annuisce, senza dire nulla. Di certo se fosse stato consegnato a Lazan, la
  sua fine sarebbe stata orribile. Valikurac
  riprende: -
  Raccontami un po’ di te. - Non
  c’è molto da raccontare. Provengo da una famiglia di guerrieri, che sono
  sempre stati al servizio del re di Sjevekral. Mio padre è morto non molto
  tempo fa. Era nel consiglio del re. Ho combattuto in diverse occasioni, ma
  sempre solo contro uomini e delle creature che vivono oltre i confini ho solo
  sentito parlare. Mi è capitato due volte di vedere i siskri e a volte qualche
  altro essere che svaniva subito. - Già,
  coloro che non appartengono alle stirpi di Adamo non amano le terre dove gli
  uomini sono molto numerosi. Dopo la
  quarta notte scendono ai piedi dell’altopiano su cui sorge Samar. I siskri
  hanno volato a lungo e ormai il sole è sorto, quando si fermano in una radura
  nei pressi di un laghetto. In quest’area, ai margini delle terre popolate dai
  figli di Eva, vi sono pochi insediamenti umani, per cui il rischio di essere
  avvistati è minimo, e in ogni caso la presenza dei siskri non stupirebbe
  nessuno, perché in questa zona sono numerosi. I due
  guerrieri dormono a lungo: ormai si sono abituati a riposare di giorno e
  vegliare la notte, per cui il loro sonno è continuo. A un certo punto
  Samohrab si sveglia, con la sensazione di aver sentito un rumore. Ai
  margini della radura sono apparsi alcuni uomini armati. Samohrab si alza di
  scatto, afferrando la spada. - Chi
  siete? Ha
  parlato ad alta voce, in modo da destare anche Valikurac, che in un attimo è
  in piedi accanto a lui. Gli uomini non rispondono. Si guardano incerti: sono
  in sei e quindi in netto vantaggio numerico, ma si rendono conto di avere di
  fronte due avversari temibili.  È chiaro
  che i sei contavano di sorprenderli nel sonno e probabilmente ucciderli:
  devono essere briganti. Nelle terre di confine sono numerosi gli uomini che
  sono fuggiti dai loro paesi, per evitare di essere giustiziati. Alcuni sono
  guerrieri che si sono schierati dalla parte sbagliata in qualche conflitto
  interno, com’è successo a Samohrab. Più spesso sono criminali, ricercati per
  un omicidio o un furto. Altri sono disertori. Molti vivono assaltando i
  viaggiatori privi di una scorta adeguata.  Uno
  degli uomini sorride, aprendo una bocca in cui mancano diversi denti, e dice: -
  Passavamo di qui e volevamo bagnarci al laghetto. Non volevamo mica
  disturbare. L’uomo
  fa due passi avanti, sorridente, ma dalla sua postura e da quella degli altri
  è chiaro che stanno per attaccare. Samohrab non lascia la spada e Valikurac è
  altrettanto vigile. Dopo un attimo è lui a dire: - Ancora
  un passo e ti trovi due spanne di acciaio in pancia. L’uomo
  ride, guarda gli altri e dice, con un cenno d’intesa: - Allora
  togliamo il disturbo, vero, ragazzi? E mentre
  lo dice, tutti e sei balzano in avanti. I sei
  cercano di circondare i due guerrieri, approfittando della loro superiorità
  numerica, ma scoprono subito di avere a che fare con avversari eccezionali.
  Dopo un rapido scambio con quello che forse è il capo dei briganti, Valikurac
  mantiene la sua promessa: la sua spada s’infila nel petto dell’uomo, che
  strabuzza gli occhi e quando Valikurac ritira la spada, cade a terra.
  Samohrab non ha difficoltà a uccidere un altro degli assalitori. I quattro
  rimasti sono disorientati, ma non rinunciano. Uno ferisce di striscio
  Samohrab alla spalla sinistra, ma riceve in cambio la lama nel ventre.
  Valikurac si trova ad affrontare gli altri tre, ma quando Samohrab si scaglia
  su di loro, uno fugge. Valikurac cala la spada sul collo di uno degli
  avversari, decapitandolo, mentre Samohrab uccide un altro dei briganti.
  L’ultimo rimasto si sta allontanando di corsa e ha gettato la spada, ma
  Valikurac lo insegue, lo raggiunge con pochi salti e lo abbatte.  Ora ci
  sono quattro cadaveri e due moribondi, che Valikurac finisce. - Poveri
  stronzi. Hanno sbagliato bersaglio. - Non
  pensi che volessero uccidere proprio noi? Potrebbero essere stati mandati da
  quelli che vogliono fermarci. - No,
  questi erano banditi da quattro soldi. Samohrab
  annuisce, senza dire nulla. È il suo compagno a continuare: - Adesso
  però ho bisogno di lavarmi. Valikurac
  si spoglia in fretta e Samohrab lo imita: anche lui fa un bagno volentieri, perché
  in questi giorni non hanno mai avuto occasione di immergersi. Inoltre la
  giornata è calda e il combattimento li ha fatti sudare molto. Vuole anche
  lavare bene la ferita, che è comunque molto superficiale. Samohrab
  guarda il compagno, che gli dà la schiena. Un corpo forte, una leggera
  peluria sulle gambe e sulle braccia, appena un velo sul culo. Il desiderio si
  desta: da troppo tempo non scopa. Valikurac
  si volta. Samohrab lo fissa, sgomento: contro il ventre batte, rigido come un
  bastone, il più grosso cazzo che Samohrab abbia mai visto. Tutto nel suo
  compagno è fuori misura, ma questo membro è davvero inquietante. Valikurac
  ride e dice: - Te
  l’ho detto che mi piace uccidere. Mi viene duro. Valikurac
  si volta ed entra nella pozza. Samohrab fa lo stesso. Nuotano, s’immergono,
  si lavano e infine riemergono. Valikurac ha ancora il cazzo duro. - Che ne
  diresti di divertirci un po’, Samohrab? Samohrab
  esita. Ha voglia di scopare, ma non se la sente di lasciarsi prendere: non
  l’ha mai fatto e questo colosso non è certo l’uomo adatto per incominciare.
  Risponde: - Non
  credo che reggerei il tuo spiedo. Mi sa che sia come finire impalati. Valikurac
  ride. - No,
  no. Sta’ tranquillo. Ma puoi incominciare tu. Con un
  movimento rapido, il colosso si mette a quattro zampe, offrendo il culo a
  Samohrab, che rimane senza parole. Il sangue affluisce al cazzo, che si
  rizza. Samohrab sa che se prenderà Valikurac poi dovrà offrirglisi: non farlo
  non sarebbe leale. L’idea lo sgomenta, ma ora non riesce a frenare il suo
  desiderio, che è troppo forte: il guerriero è disorientato, perché non ha mai
  provato nulla del genere. Non è capace di controllarsi e già le sue mani
  stringono vigorosamente il culo che gli si offre. Si inumidisce la cappella e
  preme contro l’apertura. Vorrebbe entrare con delicatezza, ma non riesce a
  trattenersi e spinge con forza, travolto dal desiderio. La carne che ha
  forzato gli trasmette una sensazione di piacere intensissima, come ben di
  rado gli è capitato di provare.  Fotte a
  lungo, con grande gusto, perdendosi completamente in questo gioco violento
  dei corpi. Infine il piacere esplode, violentissimo, e mentre il seme si
  rovescia nel culo di Valikurac, questi emette un suono strozzato e viene.
  Samohrab è stupito che questo forte guerriero sia venuto mentre lui lo
  possedeva.  Lentamente
  il respiro si calma e Samohrab assapora la sensazione di benessere che la
  scopata gli ha trasmesso. Un pensiero contribuisce alla sua tranquillità:
  ormai Valikurac è venuto, per cui non lo prenderà più. Samohrab si ritrae e
  scivola a terra, stendendosi sull’erba. Valikurac si mette di fianco a lui. -
  Soddisfatto? - È
  stato grandioso. - Lo
  sarà anche per te. Samohrab
  s’irrigidisce. Valikurac se ne accorge e ride: - Non
  temere. Ti farà male, ma il piacere sarà più forte. Samohrab
  non è per niente convinto: è sicuro che il dolore cancellerà ogni sensazione
  piacevole, ma gli sembrerebbe indegno sottrarsi. Rimangono
  distesi un buon momento. La luce del sole sembra giocare tra le foglie smosse
  del vento e sui loro corpi chiazze di luce e di ombra danzano. Samohrab si
  accorge che il cazzo di Valikurac si sta nuovamente tendendo. Non si stupisce
  quando il guerriero gli dice: - Adesso
  tocca a te. Samohrab
  si rassegna. Si volta
  e si mette a quattro zampe. Sente la pressione del cazzo di Valikurac contro
  il suo culo. Valikurac entra con lentezza, ma avanza in modo inesorabile.
  Samohrab chiude gli occhi. Il dolore è tanto forte da farlo rabbrividire, ma
  con stupore avverte anche che il desiderio si desta in lui. L’uomo continua
  ad avanzare e la pressione, ormai intollerabile, aumenta, fino a che Samohrab
  sente il ventre del compagno aderire al suo culo. Sta sudando e il dolore è
  violento, eppure il cazzo gli s’irrigidisce. Sente la mano di Valikurac
  accarezzargli i coglioni, poi stringere con forza il culo. Il cazzo
  lentamente si ritira, ma quando è quasi del tutto fuori, avanza di nuovo, con
  un movimento brusco. Il fiato gli manca.  Valikurac
  ritrae nuovamente il cazzo e lo spinge con maggiore vigore. Samohrab quasi
  perde l’equilibrio. Gli sembra che gli stiano infilando una spada in culo
  eppure ha il cazzo teso, gonfio di sangue. Dolore e piacere si mescolano,
  entrambi forti, ma il piacere cresce ancora. Valikurac arretra ancora e
  spinge nuovamente, con un movimento ancora più deciso, che strappa un gemito
  a Samohrab.  Il
  colosso fotte con grande energia e Samohrab fluttua tra un dolore intenso e
  un piacere ancora più forte. E quando infine Valikurac viene, anche Samohrab
  sente il getto prorompere e gli sfugge un grido: ha nuovamente goduto, intensamente. Valikurac
  esce da lui e si stende sull’erba. Samohrab si sdraia anche lui, sulla
  schiena. Il dolore al culo è forte, ma c’è anche una sensazione di benessere. Rimangono
  al laghetto fino a sera. Per tutto il giorno, Samohrab è molto pensieroso.
  Valikurac non dice nulla: ha capito che il suo compagno ha bisogno di un po’
  di tempo per abituarsi all’idea di quanto è successo e rispetta il suo
  silenzio. Samohrab glien’è
  grato.  Quando
  il sole tramonta, i due guerrieri salgono sulle loro cavalcature, che si
  levano in volo. Si dirigono all’altopiano alla cui estremità sorge Samar. Il
  cielo è limpido, una mezza luna brilla e illumina il paesaggio. La città
  appare in lontananza ed è uno spettacolo affascinante: le sue torri slanciate
  verso l’alto si ergono su un rilievo che ne accentua la verticalità. La luce
  lunare accende di riflessi argentei il fiume che scorre intorno alle mura e
  poi precipita nell’abisso, là dove l’altopiano termina bruscamente. Superato
  il bordo, Samohrab può vedere, la cascata, illuminata direttamente dalla
  luna: davanti al salto d’acqua vi è un arcobaleno bianco. Samohrab lo fissa
  stupito: non ha mai visto uno spettacolo del genere. Molto più in basso, dove
  l’acqua della cascata forma un lago, inizia l’immensa massa oscura della Foresta
  Purpurea. Oltre si trovano la Grande Corrente e le Terre Alte, loro meta. I
  due siskri però non procedono verso le montagne che si trovano oltre la
  pianura, ma virano verso nord-ovest, costeggiando le pareti rocciose che
  scendono verso la pianura sottostante. I siskri
  si abbassano e si fermano tra alcune rovine poste su una sporgenza rocciosa,
  sul bordo dell’abisso. Samohrab è stupito: la notte è appena agli inizi e
  fino a ora non hanno mai interrotto il volo.  Il luogo
  in cui sono scesi è in parte immerso nell’ombra. Samohrab guarda i muri
  diroccati e prova un senso di disagio profondo. Le rovine gli sembrano
  sinistre. - Come
  mai ci siamo fermati? - Voglio
  vedere se qui posso trovare qualche cosa che ci serva per la nostra missione.
  Questo è il castello del Signore delle Alture. Quanto ne rimane. È stato
  distrutto pochi anni fa. - Chi
  era il Signore delle Alture?  - Un
  figlio di Lilith, che aveva grandi poteri e sognava di dominare su tutto
  questo territorio. Ma commise diversi errori e alla fine fu ucciso. Il suo
  cadavere arse nell’incendio che distrusse il castello, ma la sua presenza non
  è del tutto scomparsa da questi luoghi. - È per
  questo che avverto una sensazione spiacevole? - Sì,
  senz’altro. Aspettami qui. Valikurac
  si muove tra le rovine. A un certo punto scompare alla vista. Torna dopo un
  buon momento. -
  Speravo di trovare qualche cosa che potesse servirci, ma non è rimasto nulla.
  Il Signore aveva raccolto diversi oggetti magici, ma non c’è più nulla di
  utile. Merda! - È
  stato tutto distrutto. Come pensavi di trovare qualcosa ancora intatto? - Ci
  sono oggetti incantati, che nessun incendio può distruggere. - Ma
  come trovarli in queste rovine? - Potrei
  sentirne la presenza, se fossero ancora qui, ma non è rimasto nulla. Chi ha
  distrutto questo castello sapeva che cosa faceva. Di certo ha castrato il
  Signore, dopo averlo ucciso, e ha portato via ciò che si sarebbe potuto
  utilizzare. Inutile restare qui. Riprendiamo il viaggio. Samohrab
  è contento di lasciare le rovine. Salgono sui siskri, che ora puntano
  decisamente a occidente, sorvolando la pianura. Man mano che si avvicinano al
  fiume e alle montagne Samohrab scorge in lontananza, più a sud, diverse aree
  luminose. Non sa di che cosa possa trattarsi. Di certo non insediamenti dei
  figli di Eva, perché non ve ne sono oltre Samar, a parte la fortezza al
  guado. Infine i
  siskri raggiungono i monti, s’infilano in una valle e poco dopo atterrano su
  una sporgenza rocciosa. I due guerrieri scendono dalle loro cavalcature, che
  ripartono subito: non hanno piacere di rimanere tra questi monti, dove sono
  molte le minacce. - Bene.
  Siamo giunti fin qui. Ora dobbiamo proseguire, evitando di incontrare i
  giganti solitari, che sono piuttosto numerosi da queste parti. E non sono un
  bell’incontro. -
  Immagino. Adesso però dovresti dirmi di più su che cosa ci aspetta. - Sì,
  certo. Come prima cosa, dobbiamo trovare un guerriero, che ha raggiunto
  queste terre prima di noi, ma nessuno deve sapere che lo stiamo cercando. Ti
  spiegherò quando sarà giunto il momento. Dipende da questo guerriero se
  l’uomo di cui ti parlavo potrà conquistare una Pietra Arcana o no. Non ci
  possiamo fidare di lui, ma dobbiamo parlargli, altrimenti la nostra missione
  è destinata al fallimento. Samohrab
  annuisce, senza dire nulla. Si guarda intorno, curioso. La luce lunare lascia
  scorgere grandi pareti rocciose che s’innalzano quasi verticali. Non sembrano
  esserci alberi, ma solo nuda pietra. Grandi massi dalle strane forme
  proiettano le loro ombre sul sentiero che si apre davanti a loro: sembrano
  mostri, creature demoniache come quelle che vivono più a occidente e a volte
  si spingono fino in queste terre. Non si sentono versi animali o altri suoni
  della natura; solo, molto lontano, un rumore intermittente, come di tuoni, ma
  il cielo è sereno. Il paesaggio è inquietante, ma Samohrab ne è affascinato. Seguono
  un sentiero, una traccia che si inerpica tra le pareti, ma che a tratti
  scompare. Più volte devono arrampicarsi, su pareti che la luce lunare
  illumina debolmente. Valikurac sembra sapere dove va. Samohrab lo segue. Dopo
  aver scalato un roccione, trovano uno stretto sentiero che corre sul fianco
  della montagna. Lo percorrono con cautela, tenendo una mano sulla parete
  rocciosa: ora la montagna è immersa nell’ombra e riescono a malapena a vedere
  dove mettere i piedi. Di fianco a loro si spalanca un abisso, avvolto
  nell’oscurità. Basterebbe un passo falso per precipitare. Camminano
  a lungo, poi Valikurac si ferma. Samohrab lo imita. Non capisce per quale
  motivo il suo compagno non proceda ma, guardando nell’oscurità davanti a
  loro, scorge due piccole luci rossastre. Per un attimo si chiede che cosa
  possa essere, poi capisce: sono gli occhi di qualche animale, occhi che
  brillano nell’oscurità più completa.  Samohrab
  è coraggioso, ma l’idea di dover affrontare nell’oscurità creature
  sconosciute lo mette a disagio. Valikurac ha sguainato la spada. Le due luci
  rimpiccioliscono, sono solo due piccole linee orizzontali, poi risuona un
  verso selvaggio, quasi un ruggito, e le due luci si avvicinano rapidamente. Samohrab vede appena una sagoma, poi un altro verso, un
  grido di dolore. Le luci scompaiono, qualche cosa precipita nell’abisso.
  Samohrab rimane in ascolto, ma non sente quando il corpo tocca il fondo:
  sembra che sia stato inghiottito nel nulla. - Un risvuk.
  Niente di cui preoccuparsi. Samohrab
  non conosce i risvuk. Sta per chiedere di che animale si tratta, quando gli
  pare di avvertire, lontanissimo, un tonfo. Solo ora l’animale ha raggiunto il
  fondo del precipizio? Quant’è profondo l’abisso sul cui bordo si muovono? Non
  dice nulla, non è neppure sicuro di aver sentito il rumore.  Procedono
  ancora. Il sentiero sembra diventare sempre più stretto. Ora riescono appena
  a poggiare il piede. Che cosa faranno se il passaggio continuerà a
  restringersi? - Qui, a
  destra, dobbiamo infilarci tra queste rocce. Samohrab
  intravede la massa scura del corpo del compagno scomparire tra i massi. Lo
  segue. Valikurac lo guida con la voce. - Devi
  salire. Samohrab
  cerca appigli che non può vedere e lentamente si arrampica. Ora il buio è
  assoluto.  - Dammi
  la mano. Samohrab
  tende la mano verso l’alto. Valikurac la prende e lo issa. Gli tiene la mano
  e lo conduce per un tratto. Ci sono rocce a destra e a sinistra, ma il
  terreno è in piano. Infine Valikurac si ferma e dice: - Qui
  possiamo stenderci. Samohrab
  è stanco. Hanno camminato e si sono arrampicati per molte ore, in uno stato
  di continua tensione. Si siede. Sembra esserci uno spazio abbastanza grande.
  Il buio e il silenzio li avvolgono completamente. Samohrab si stende e il
  sonno lo avvolge in fretta. Quando
  si sveglia, si mette a sedere. I raggi del sole non entrano direttamente
  nella caverna in cui si trovano, ma la luce è sufficiente per vedere che sono
  in una grotta. In una parete si apre una fenditura: il passaggio da cui sono
  entrati.  Anche
  Valikurac si desta e si solleva. A Samohrab pare di vedere che i pantaloni
  del compagno sono tesi sul davanti. - Dove
  siamo, Valikurac? - Poi ti
  spiego. Prima però… Valikurac
  tende una mano e lo afferra. Samohrab non oppone resistenza. Gli sembra di
  non avere più una volontà propria. Lascia che il compagno lo guidi a
  sdraiarsi a terra e gli cali i pantaloni. Avverte nuovamente la pressione
  contro l’apertura e poi il grosso cazzo che entra in lui. Nuovamente il
  dolore violento e il piacere altrettanto intenso. Samohrab cancella dalla sua
  mente ogni pensiero, abbandonandosi completamente alle sensazioni
  violentissime che il cazzo di Valikurac gli trasmette. Dopo una lunga
  cavalcata vengono insieme. Poi si
  rimettono a sedere. Valikurac spiega: - Siamo
  sui monti, ma questo l’hai capito da solo. Non ci sono strade e non è saggio
  percorrere le poche piste che attraversano queste terre. Si possono fare
  brutti incontri. E non intendo un risvuk, che vuole sbranarti, ma che puoi
  uccidere con la spada. Molto di peggio. Sai che non dobbiamo farci scoprire.  - Tu
  conosci bene queste montagne. La via che hai scelto… mi chiedo come cazzo hai
  fatto a ritrovarla al buio, anche se la conoscevi. - Ho
  studiato a lungo la strada da percorrere. - Sono
  curioso di vedere dove siamo. Posso affacciarmi o c’è il rischio che qualcuno
  mi veda? - Se
  rimani un po’ nascosto, non c’è problema. Samohrab
  s’infila nella fenditura e percorre lo stretto passaggio fino al punto dove
  si apre. Si affaccia, cercando di rimanere nascosto. Davanti a lui una
  successione di montagne, alcune coperte di vegetazione, altre spoglie. Ai
  suoi piedi un abisso vertiginoso. Ieri sera si sono arrampicati, sfruttando
  alcuni spunzoni di roccia, ma è stata una follia. Dovranno scendere di qui? Valikurac
  lo ha raggiunto e le sue parole rispondono alla domanda che Samohrab si è
  posto. - Non
  passeremo di qui, ma dall’altra parte. Samohrab
  non ha notato altri passaggi, ma non ha esaminato le pareti della grotta. - Spero
  che sia meglio di questa via. Mi chiedo come abbiamo fatto ad arrivare senza
  cadere e sfracellarci in fondo al burrone. Valikurac
  ride, senza aggiungere nulla. Ritornano
  nella grotta e mangiano un po’ delle provviste che hanno con sé.  - Ora
  seguimi. Samohrab
  è curioso di capire dove si dirigeranno: le pareti della grotta sono molto
  irregolari, piene di sporgenze e rientranze, che possono nascondere un
  passaggio. Valikurac
  inizia ad arrampicarsi e Samohrab lo guarda stupito: non capisce dove intenda
  passare, perché la volta della grotta non è alta e non si vede nessuna
  apertura. Lo segue
  senza fatica: gli appigli sono numerosi. La testa di Valikurac scompare
  dietro una sporgenza, a metà parete e poi è l’intero corpo che viene
  nascosto. Quando Samohrab raggiunge il punto in cui si trovava il suo
  compagno, vede che si apre un cunicolo quasi verticale, una specie di camino,
  stretto e irregolare. Valikurac procede. Non è difficile trovare appigli, ma
  ben presto ogni luce scompare e sprofondano in un’oscurità totale. Il
  passaggio è stretto, ma il buio rende difficile trovare gli appigli per
  issarsi. Ci sono mutamenti bruschi nell’inclinazione e occorre procedere con
  grande cautela. Più volte Samohrab sente sopra di sé la roccia, perché il
  cunicolo ha una curva. Ogni tanto Valikurac gli dice di fare attenzione a un
  brusco cambio di direzione. Ci sono tratti in cui procedono quasi in
  orizzontale, altri in cui si arrampicano in verticale o strisciano lungo un
  pendio. Infine
  Samohrab vede una luce. Può vedere dove attaccarsi e l’ultimo breve tratto
  viene percorso rapidamente. Escono, trovandosi su una piattaforma rocciosa. Il
  paesaggio che si presenta ai suoi occhi è selvaggio: non c’è traccia
  d’insediamenti, né umani, né di altre specie viventi. Le montagne sono alte e
  in cima ad alcune si può vedere la neve. Le pareti sono spoglie: la rada
  vegetazione è costituita da arbusti; solo in basso, nelle vallate, le foreste
  formano macchie scure.  - Sarà
  tutto così? Voglio dire, ci muoveremo sempre di notte sull’orlo di precipizi
  o di giorno in cunicoli tanto bui che non si vede un cazzo? Valikurac
  sorride. - Va
  bene se il problema è solo che non si vede un cazzo. Puoi fare tanti incontri
  e ci sono esseri che ci vedono benissimo anche nel buio più completo. Quanto
  allo sfracellarsi in un precipizio, è sempre meglio che incontrare certi
  esseri. - Certo
  che sei incoraggiante… - Ti
  dico le cose come stanno. - Ho
  capito. Di qui come procediamo? Ci lasciamo scivolare lungo questa parete? - No,
  saliamo ancora. Samohrab
  guarda in alto: la cima della montagna è vicina e non è innevata. Una volta
  arrivati in vetta, che cosa possono fare? - E poi?
  Spicchiamo il volo? - No,
  scendiamo dall’altra parte. - Non
  c’è il rischio che ci vedano? Sotto mi hai detto di rimanere nascosto. - Qui in
  alto è difficile che qualcuno ci veda e dall’altra parte possiamo scendere al
  riparo. Raggiungere
  la vetta non è semplicissimo, perché le pareti della montagna sono piuttosto
  scoscese, ma almeno possono vedere dove mettono le mani e i piedi. Giunti
  quasi in cima, uno stretto passaggio permette loro di raggiungere un canalone
  che scende, con una forte inclinazione. Infilandosi tra le due pareti possono
  scendere rimanendo abbastanza nascosti, ma muoversi non è facile: ci sono
  tratti quasi verticali e altri dove il terreno è coperto di pietre che al
  loro passaggio si muovono, rischiando di farli cadere o di provocare una
  frana. A un
  certo punto una pietra su cui Samohrab ha messo il piede si stacca, facendo
  smuovere le altre e provocando la caduta di entrambi. - Merda! - Non ti
  lamentare, Samohrab. Se piove sarà peggio. Molto peggio. Samohrab
  alza lo sguardo al cielo. Nuvoloni neri si stanno addensando. - Merda! Poco
  dopo si trovano in una nuvola. Percorrono un canalone, per cui non rischiano
  di sbagliare strada, ma in queste condizioni non possono vedere quello che
  c’è sotto. Di lì a
  poco incomincia a piovere. In breve le pietre sono tutte bagnate e rimanere
  in piedi diventa sempre più difficile. Più volte scivolano e cadono a terra.
  All’ennesima caduta Samohrab scivola per un lungo
  tratto lungo il pendio inclinato, trascinando con sé diverse pietre. Si
  rialza con diverse piccole ferite. - Merda! - Poteva
  andarti peggio. Samohrab
  non risponde: gli verrebbe da mandare a quel paese Valikurac e preferisce non
  farlo, anche perché sa che in effetti le pietre avrebbero potuto ferirlo in
  modo ben più grave. Quando
  infine raggiungono la base della montagna, sono fradici, infreddoliti e
  stanchi.  - Sarà
  tutto così, Valikurac? -
  Potrebbe essere peggio, molto peggio. - Sei sempre
  molto incoraggiante. - Me
  l’hai già detto. Avrai modo…  Valikurac
  s’interrompe di colpo, guardando alle spalle di Samohrab. Questi si volta. - Oh,
  merda!  Su di
  loro incombe un gigante, un Solitario. Era dietro un torrione roccioso e deve
  averli sentiti parlare o forse ha avvertito il loro odore: quelli della sua
  stirpe hanno un olfatto molto sviluppato. Samohrab
  salta di lato, mentre Valikurac ha già sguainato la
  spada e balza in avanti. Per quanto di alta statura, appare un nanerottolo a
  fianco del gigante, che ha alzato la grande mazza e fa per abbatterla sul
  guerriero. Questi però s’infila tra le sue gambe e gli passa dietro. Alla
  grande statura dei Solitari si accompagna una certa lentezza di riflessi.
  Prima che il gigante si sia voltato, Valikurac gli ha infilato la spada nella
  gamba, dietro il ginocchio: uno dei punti migliori per colpire e uno dei
  pochi raggiungibili, perché più in alto delle gambe, neanche il guerriero può
  arrivare. Il
  gigante lancia un urlo e barcolla, mentre cerca di voltarsi. Samohrab ne
  approfitta per saltare di lato e colpirlo dietro l’altro ginocchio. Un nuovo
  grido e l’enorme corpo vacilla, poi cade, ma si appoggia contro la parete per
  cui solo le gambe sono a terra. La mazza quasi travolge Samohrab, che riesce
  appena a scansarla. Samohrab
  trafigge la mano destra. Valikurac è tra le gambe del gigante, da cui il
  sangue cola abbondante, e gli infila la spada nel ventre. Il Solitario geme e
  stende la mano sana per afferrarlo, ma un fendente vibrato da Samohrab quasi
  gli recide il polso. L’urlo del gigante risuona altissimo e viene ripetuto
  dalle pareti rocciose: sembra che decine di giganti urlino. Valikurac balza
  su una gamba del Solitario e gli infila la spada nel fegato. La testa del
  gigante ciondola e infine ricade in avanti, inerte. - Ci è
  mancato poco… - Già. -
  Valikurac, ho l’impressione che tu porti sfiga. -
  Sarebbe? - Se
  dici che può andare peggio, immediatamente va peggio. Dovresti evitare di
  fare l’uccello del malaugurio. Valikurac
  grugnisce qualche cosa di indistinto, poi dice: -
  Allontaniamoci da qui. Questa non ci voleva. Le sue urla le hanno sentite
  tutti. Si avvia
  e Samohrab lo segue. La
  nebbia si è un po’ sollevata e davanti a loro appare un bosco. Samohrab è
  contento di ritrovarsi tra alberi e non più su pendii spogli. Seguono
  una traccia che si addentra nel bosco: un percorso che non presenta nessuna
  difficoltà, perché i tronchi sono distanziati e le chiome non sono fitte, per
  cui la luce arriva fino a terra. Il sottobosco è rado e non copre mai la
  traccia che stanno seguendo. Tra gli alberi possono vedere qua e là distese
  di piccoli fiori viola, che formano chiazze più scure.  - Qui ci
  si muove molto meglio. E adesso non mi dire che potrebbe capitarci qualche
  cosa di brutto, perché ci capiterebbe subito. Valikurac
  ride. -
  Avremmo potuto prendere questo sentiero subito. I rischi ci sono, come ti ho
  detto, rischi di brutti incontri, ma non di sfracellarsi in un dirupo o di
  essere travolti da una frana. Questa pista però è sorvegliata e qualcuno
  avrebbe sicuramente cercato di fermarci, facendoci cadere in qualche
  trappola: vogliono impedirmi di portare a termine la nostra missione. E poi
  naturalmente ci sono vari esseri che aspettano al varco chi passa per
  mangiarselo o per fotterlo. La via che abbiamo seguito è un po’ più
  disagevole… - Un po’
  più disagevole… lasciamo perdere. - …un
  po’ più disagevole, ma ci ha permesso di arrivare fin qui senza problemi. Samohrab
  inarca le sopracciglia e guarda Valikurac, che lo ignora e procede: - Il guerriero
  che dobbiamo raggiungere sta percorrendo questa stessa pista. Non dovrebbe
  avere molto vantaggio su di noi, per cui spero di ridurre la distanza e
  domani o dopodomani di incontrarlo. - Mi hai
  detto che da lui dipende se quel temerario potrà impadronirsi di una delle
  Pietre Arcane. - Sì,
  per questo devo incontrarlo. Quando l’avremo trovato, ti spiegherò tutto. Per
  il momento, pazienta. - Va
  bene. Camminano
  in fretta e proseguono fino a notte inoltrata: sostano solo quando Valikurac
  avverte qualche pericolo. La luce della luna è sufficiente per seguire il
  sentiero. Infine
  si fermano. Lasciano la pista e si mettono poco lontano, tra alcuni cespugli.
   -
  Dobbiamo fare i turni e dormiremo pochissimo, perché ci alzeremo prima
  dell’alba. Ma conto domani in serata di raggiungere il guerriero. Farai il
  primo turno. Chiamami quando la luna tramonta. Valikurac
  si stende. Samohrab si siede e rimane vigile, in ascolto. Non sembra esserci
  nessuna minaccia. La foresta è silenziosa: solo ogni tanto si sente qualche verso
  animale. Un po’ di vento porta un odore intenso, che Samohrab non sa
  riconoscere: si direbbe il profumo di fiori che ormai si decompongono. Quando
  il vento si ferma, l’odore si dissolve. La luna
  tramonta. Samohrab chiama il compagno e si stende a dormire. Gli sembra che
  sia passato pochissimo tempo quando Valikurac lo desta. - Ora di
  ripartire. Mangiano
  qualche galletta e riprendono il viaggio. Camminano
  rapidamente. Il bosco diviene meno rado e la vegetazione più rigogliosa, ma
  il sentiero rimane ben visibile. I fiori si moltiplicano e assumono forme
  diverse, ma hanno tutti colori scuri: blu e viola che tendono al nero.
  Probabilmente viene da loro l’odore sempre più intenso, che riempie l’aria.
  Quand’era solo un aroma leggero, non era fastidioso, ma ora prende alla
  gola.   A metà
  giornata Samohrab vede che il compagno si tende. -
  Togliamoci di qui. Nei cespugli, subito! Raggiungono
  un’area dove la vegetazione è più fitta e si nascondono. Valikurac si mette
  un dito sulle labbra, per indicare di mantenere il silenzio. Dopo due
  minuti tra gli alberi s’intravede una grande figura che avanza. Man mano che
  si avvicina al punto dove si trovano, i due guerrieri incominciano a
  distinguere i suoi tratti. L’essere è alto il doppio di un uomo e ha tre
  teste, che si muovono indipendentemente una dall’altra: una guarda in avanti,
  il sentiero, le altre due lanciano occhiate a destra e a sinistra, come a
  cercare qualche cosa. Grandi mani pelose, più simili a zampe, spostano i
  rami, per facilitare il passaggio: l’essere è molto corpulento, Samohrab si
  rende conto che non ha solo due mani, ma diverse, almeno quattro o cinque.
  Ora può vedere che intorno al corpo c’è una cintura, a cui sono appese
  diverse teste: almeno tre sono di uomini, mentre una, molto più grande, è quella
  di un gigante. Un odore
  mefitico si diffonde tutt’intorno. Samohrab fa fatica a respirare. La
  creatura li supera e procede oltre, ma una delle teste si volta indietro,
  controllando il sentiero. Per un attimo sembra guardare proprio nella loro
  direzione. L’essere si ferma e Samohrab ha l’impressione che anche il suo
  cuore si arresti. Che cosa possono fare due uomini di fronte a un mostro di
  questo genere, in grado di decapitare un gigante? La testa
  sembra annusare intorno, alla ricerca di una traccia, ma poi la creatura
  riprende a muoversi. Valikurac
  rimane immobile a lungo. Solo dopo un buon momento che il mostro è scomparso
  e l’odore è diventato meno forte, il guerriero si alza e dice:  - Ora
  possiamo muoverci. - Che
  cos’era? - Un
  triglave. Sono bestie feroci e fortissime. Amano mangiare i corpi e tenere le
  teste di quelli che uccidono. Le accumulano nelle grotte dove vivono.  - Come
  hai fatto ad accorgerti del suo arrivo? -
  Avverto le presenze ostili a una certa distanza. - Del gigante
  però ti sei accorto solo quando ormai era su di noi. - Non
  ero concentrato. Eravamo appena arrivati al fondo della discesa, tu avevi
  rischiato di ammazzarti scivolando tra le pietre. Un errore che poteva
  costarci caro. Ma adesso basta con le chiacchiere. Abbiamo perso abbastanza
  tempo. Riprendono
  il sentiero. Camminano
  veloci, per quanto lo permette il terreno. A tratti devono rallentare, perché
  la traccia è meno visibile o perché Valikurac avverte qualche minaccia, ma
  non incontrano nessuno lungo la pista. A un certo punto Samohrab ha
  l’impressione di sentire in lontananza un rumore, come il battere di fabbri
  sull’incudine. Si chiede se non possano essere i nani, ma non dice nulla.
  Solo quando il rumore cresce, decide di interrogare il compagno: - Che
  cos’è questo rumore? -
  Nessuno lo sa. Viene da quel monte. Valikurac
  indica una montagna non lontana e aggiunge: -
  Qualche cosa al suo interno. - Si
  direbbero fabbri al lavoro. Possono essere le officine dei nani? O le loro
  miniere? - I nani
  non sono così coglioni da farsi sentire: sanno che qualcuno cercherebbe di
  entrare per derubarli. Sono capaci di costruire porte che non lasciano
  passare né la luce, né il suono. Il sole
  è già tramontato e solo la luce della luna permette loro di muoversi, quando
  Valikurac si ferma e dice: - L’uomo
  che cerchiamo è vicino, ormai. Ora tocca a te.  - A me?
  In che senso? - Andrai
  tu a parlare con lui. -
  Perché? - È
  meglio che non sappia della mia presenza. Te l’ho detto, non possiamo fidarci
  di lui e lui sa chi sono. Può fermare l’uomo che vuole una Pietra Arcana, ma
  è un individuo subdolo. Lo raggiungerai e gli dirai che hai bisogno di
  parlargli. - E poi? - Gli
  dirai che hai saputo che un uomo vuole impadronirsi di una delle Pietre
  Arcane e che tu vorresti impedirlo. Che un indovino ti ha annunciato che
  dovevi partecipare a questa impresa. A
  Samohrab non piace mentire, ma quello dell’indovino è un dettaglio
  secondario. - Senti
  che cosa ti dice. Può darsi che accetti di collaborare, può darsi che invece
  si tiri fuori, dicendo che non sa di che cosa parli. Nel primo caso gli dirai
  che ci sono anch’io e mi chiamerai, ma solo dopo che sarai sicuro delle sue
  intenzioni. Altrimenti verrai via e vedremo il da farsi dopo. - Va
  bene. Ma… Valikurac
  lo interrompe: - Non
  abbiamo tempo da perdere. Vedi quel chiarore? Ha acceso un fuoco. Va’. Samohrab
  è stupito che l’uomo abbia acceso un fuoco: loro hanno sempre cercato di
  nascondere la propria presenza. Avanza verso la luce, che non è molto
  distante, ma è poco visibile a causa dei cespugli e dei rami degli alberi. Quando
  infine arriva nello spiazzo dove il fuoco arde, l’uomo alza il viso e guarda
  verso di lui. Alla luce del fuoco, Samohrab può vederlo. Un corpo forte, un
  viso non bello, incorniciato dai capelli scuri e ricci e dalla folta barba.
  Samohrab prova un’istintiva diffidenza, forse per la bruttezza dell’uomo,
  forse per le parole di Valikurac.  - Vieni
  avanti, Samohrab. - Come
  conosci il mio nome? - Ti
  aspettavo. Sapevo che saresti giunto. - Come
  lo sapevi? - Era scritto
  che ci saremmo incontrati qui, per questo ho acceso il fuoco, per indicarti
  la strada. Il mio nome è Ruznimed. Siediti. Samohrab
  avanza, incerto. Diffida di quest’uomo, si chiede se l’invito non sia una
  trappola. Si siede davanti al fuoco, dalla parte opposta rispetto a Ruznimed,
  fissandolo e tenendosi pronto a scattare se sarà attaccato. Mentre si siede
  prova una sensazione strana, come se qualcuno avesse gettato un lenzuolo su
  di lui, avvolgendolo. Qualche incantesimo? Si chiede se i suoi movimenti non
  siano bloccati e sposta un braccio, per verificare che non sia così. Può
  muoversi liberamente, ma gli rimane la sensazione che qualche cosa lo
  avvolga.  - Tu
  vuoi impedire che qualcuno si impossessi di una delle Pietre Arcane. Una
  nobile impresa, a cui sei stato destinato, ma che…  Mentre
  Ruznimed parla, Valikurac compare alle spalle di Ruznimed, uscendo dall’ombra
  di un gruppo di alberi, e con un movimento rapido gli cala la spada sul
  collo, decapitandolo. La testa cade a terra. Il corpo rimane un momento
  seduto, poi si affloscia. Samohrab scatta in piedi. -
  Valikurac! Che hai fatto?! - Quello
  che andava fatto, quello per cui siamo venuti fin qui. - Perché
  l’hai ucciso?  - Perché
  andava fatto. - Era
  forse lui che voleva impadronirsi delle Pietre Arcane? Valikurac
  annuisce. -
  Diciamo che in questa faccenda aveva una parte determinante. Ti spiegherò
  tutto, ma dopo. Adesso…  Samohrab
  lo interrompe: - Non mi
  hai detto che lo volevi uccidere. - No,
  perché non avresti accettato di distrarlo perché io potessi ucciderlo: ti
  sarebbe sembrato scorretto. Ma era necessario farlo. Non c’era altro modo.
  Lui si è concentrato su di te e non ha avvertito la mia presenza. Adesso però
  basta, ti spiegherò tutto dopo. Sai che uccidere mi fa un certo effetto e
  adesso ho voglia d’altro. Valikurac
  si spoglia in fretta. Ha il grosso cazzo duro. Samohrab
  è disorientato. Vorrebbe capire, ma Valikurac è impaziente. Gli si avvicina e
  gli cala i pantaloni. Samohrab
  cerca di allontanarlo, ma Valikurac lo spinge a terra e si stende su di lui.
  Samohrab sente la pressione del grosso cazzo, che entra con un movimento
  brusco.  - Merda!
  Esci un momento. Mi hai fatto un male cane. Valikurac
  ride. - Non ti
  preoccupare. Tra poco passerà, passerà tutto. Valikurac
  fotte con violenza. Nonostante il violento dolore al culo, il piacere cresce. D’improvviso
  Samohrab sente le mani di Valikurac intorno al collo. - Sto
  per venire e ora ti ucciderò, Samohrab, ma prima che tu muoia, ti spiegherò
  alcune cose. L’uomo che vuole impadronirsi di una Pietra Arcana sono io. E lo
  farò, grazie a te. Samohrab
  muove le braccia e con le mani cerca di allentare la pressione, che cresce,
  ma Valikurac è troppo forte. -
  Diversi uomini vorrebbero fermarmi, ma Ruznimed era l’unico che poteva farlo:
  me l’ha detto l’indovino. Dovevo ucciderlo a ogni costo, ma se mi fossi
  battuto con lui, avrebbe potuto ammazzarmi. Dovevo farlo cadere in una
  trappola. Non avrei potuto ingannarlo: non si sarebbe mai fidato di me e non
  avrei potuto prenderlo di sorpresa. Ma non ha diffidato di te, perché ti
  sapeva leale. Come ti ho detto prima, la tua presenza l’ha distratto e mi ha
  permesso di avvicinarmi senza che avvertisse il mio arrivo. Avevo bisogno di
  te per questo, per poterlo uccidere. Ora non mi servi più. Samohrab
  è annichilito. Si è lasciato ingannare e ha contribuito al successo di
  un’impresa le cui conseguenze potranno essere spaventose. - Sei
  proprio una testa di cazzo, Samohrab. L’avevo capito subito. Valikurac
  ride e stringe con forza. Samohrab sente il dolore crescere fino a cancellare
  il piacere. Pensa che la morte è il giusto prezzo da pagare per aver
  contribuito al successo dell’impresa di Valikurac. Si augura che qualcuno
  possa fermarlo. Poi tutto scompare. Valikurac
  si stacca da Samohrab. Guarda il cadavere e scuote la testa, ridendo. Poi
  guarda Ruznimed. Piscia sulla testa i cui occhi spalancati sembrano guardarlo
  e ride di nuovo. Quando
  ha finito, si riveste e si rimette in cammino. Più nessuno può fermarlo:
  otterrà la Pietra Arcana del Fuoco e con quella acquisterà un potere immenso.
  Dominerà sulle terre d’Occidente e sulle nove stirpi dei figli di Adamo. E
  poi riuscirà a impadronirsi di altre Pietre Arcane. (prosecuzione e
  conclusione del racconto)  |