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 Samohrab
  si sveglia. Apre gli occhi e guarda il cielo. C’è una grande luna. Gli ci
  vuole un attimo per capire. Si mette a sedere di scatto. Ruznimed è di fianco
  a lui e lo sta guardando. - Ma…
  come… io… Siamo morti tutti e due? Dove siamo? - Non
  siamo morti, né tu, né io. - Ma
  Valikurac ti ha decapitato. - Sì,
  certo, ma non mi ha ucciso. - Mi ha
  strangolato. - Ma non
  ha ucciso nemmeno te. - Non
  capisco. -
  Cercherò di spiegarti. Io devo fermare Valikurac. Come forse tu sai, ci sono
  missioni che solo alcuni di noi possono compiere. Io sono stato destinato a
  questa e lui lo sapeva, perciò voleva a ogni costo uccidermi. Non osava
  affrontarmi direttamente, perché un indovino l’ha avvertito che potrei ucciderlo,
  perciò si è servito di te per uccidermi a tradimento.  - Sì,
  questo lo so, me lo ha detto lui prima di uccidermi. Ma quello che non
  capisco è che siamo entrambi vivi. Lui ti ha decapitato. - Sono
  protetto da un talismano, che mi è stato donato proprio per compiere questa
  missione. Non mi ha davvero ucciso, anche se mi ha decapitato.  E mentre
  lo dice, Ruznimed s’infila una mano sotto la tunica e ne estrae un ciondolo
  attaccato a un legaccio di cuoio: è una piccola pietra che appare incolore,
  ma non appena il guerriero la tocca, diventa iridescente e proietta
  tutt’intorno i suoi colori. Samohrab lo fissa, affascinato, poi osserva: - Ed io?
  Io non ho nessun talismano, eppure sono qui, vivo. Se non è stato tutto un
  sogno. - No,
  sei vivo, perché quando sei venuto a parlarmi, ho esteso la protezione del
  talismano anche a te. Nessuno di noi due ha passato la prima soglia, per cui
  ci siamo ridestati senza essere davvero morti.  Samohrab
  è perplesso. Come ci si può ridestare quando la propria testa è due passi più
  in là rispetto al collo? Ma questi sono dettagli. Altro gli preme ora: - Ma se
  sapevi che lui voleva ucciderti, perché hai lasciato che lo facesse? - Perché
  tu non mi avresti creduto se ti avessi raccontato la verità e avresti cercato
  di fermarmi. Ed io avevo bisogno di te. Valikurac non ti ha scelto, anche se
  lui non lo sa: la decisione di servirsi di te era scritta nel suo destino. Tu
  hai un ruolo in questa missione e la sconfitta di Valikurac dipende anche da
  te. Siamo noi due che dobbiamo fermarlo.  - Non
  riesco a capire. - Ero
  sicuro che ti avrebbe ucciso dopo aver ucciso me, perché ormai non gli
  servivi più. Questo ti avrebbe fatto capire qual era la verità. Ed io ti
  avrei avuto come alleato. Samohrab
  riflette un momento. Ciò che Valikurac gli ha detto prima di ucciderlo
  conferma in pieno le parole di Ruznimed. Mormora: - Sono
  stato davvero un coglione. Una testa di cazzo, come dice Valikurac. Ha
  ragione. Ruznimed
  sorride. - Lui ha
  avuto buon gioco a ingannarti: tu sei leale e lui ha giocato su questo per
  farti pensare che anche lui lo fosse. C’è anche un altro motivo per cui è
  riuscito a farti credere a ciò che raccontava: ha particolari poteri. Ma te
  lo spiegherò meglio se riusciremo a portare a termine la nostra missione. -
  Fermarlo e impedirgli di impadronirsi di una delle Pietre Arcane... - C’è un
  unico modo di fermarlo: ucciderlo. Lo affronterò in duello. - È
  fortissimo. Non mi ero mai battuto con un avversario forte come lui. - La sua
  forza, come la sua capacità di ingannare, ha in parte un’origine non
  naturale, ma con me non gli serviranno. Ci misureremo ad armi pari. Samohrab
  rimane un momento pensieroso, poi dice: - Non
  dovremmo cercare di raggiungerlo, adesso? Non so quanto tempo sia passato, ma
  non credo che si sia allontanato molto. - Non
  ora. Non siamo stati uccisi, ma i nostri corpi hanno bisogno di riprendersi.
  Io sono ancora debole e tu, anche se non te ne rendi conto, hai perso gran
  parte della tua forza. Non abbiamo fretta. Lo raggiungeremo domani o nei
  giorni successivi. Hai altre domande? Samohrab
  lo guarda. - Ho una
  tale confusione in testa che non saprei da che parte incominciare. Ma credo
  di aver capito l’essenziale. - Allora
  stendiamoci per riposare. Se ti viene qualche altra domanda, me la puoi fare.
  Credo che per entrambi il sonno non arriverà subito. Essere decapitati o
  strangolati scombussola un po’. Ma stare distesi ci aiuterà comunque a
  rimetterci in sesto e poi ci addormenteremo. - Non
  dovremmo fare i turni di guardia?  - Siamo
  protetti dal talismano che porto. Nessuna forza ostile può vederci. Escludo
  che Valikurac torni indietro: lui può vederci, ma in questo caso il talismano
  mi avviserebbe. Si
  stendono, mentre il fuoco si sta spegnendo. Samohrab
  non ha sonno, nonostante la stanchezza della giornata di marcia: troppe cose
  sono successe in queste ultime ore. Ruznimed gli dice: - Non
  riesci a dormire, vero? - No.  - Allora
  raccontami un po’ di te, Samohrab. Samohrab
  racconta la sua vita, fino all’ultima disperata resistenza e all’incontro con
  Valikurac. - Lui ti
  ha proposto subito questa missione? - No, o
  meglio, sì, ma inizialmente non voleva dirmi di che cosa si trattava ed io
  non volevo impegnarmi senza saperlo, per cui ho rifiutato. Allora mi ha
  liberato, dandomi un cavallo, armi e un po’ di monete. - Astuto
  da parte sua. Tutto calcolato per convincerti che era leale e generoso. - Ed io
  ci sono cascato in pieno. - È
  naturale, ma, come ti ho detto, è riuscito a ingannarti anche grazie a poteri
  che possiede. C’è un
  momento di silenzio, poi Samohrab dice: - Questo
  è tutto. Vuoi raccontarmi un po’ di te, Ruznimed? - Sono
  un figlio di Lilith, ma sono stato allevato in una tribù di figli di Eva nel
  regno di Brujekal. A diciassette anni, quando al
  termine dell’addestramento si diventa guerrieri, dovetti lasciare il villaggio,
  per problemi… personali. Scusa, ma preferisco non parlarne. Divenni un
  guerriero libero, mettendomi al servizio delle cause che mi sembravano
  giuste. Ho combattuto spesso, spostandomi da una città all’altra, da un regno
  all’altro. - Non
  hai mai desiderato fermarti? - Mi
  sarebbe piaciuto stabilirmi in un villaggio, entrare a far parte di una
  tribù, magari avere un compagno, … ma sono un figlio di Lilith e i figli di
  Eva mi guardano con diffidenza. Di certo non sono attraente e... insomma,
  vivo da solo e non so se sarei capace di vivere sempre nello stesso luogo con
  qualcuno, posto che qualcuno possa mai desiderare di condividere la mia vita. - Non ti
  pesa la solitudine? - A
  volte sì, ma devo dire che questa assoluta indipendenza ha anche dei
  vantaggi. -
  Capisco. Se riusciremo a portare a termine questa missione e a sopravvivere,
  mi dovrò abituare anch’io a questa vita: non posso certo tornare nel regno di
  Sjevekral.  Samohrab
  ride e aggiunge: - Se
  vuoi guadagnare venti monete d’oro, puoi consegnarmi all’usurpatore, ma ti
  prego di ammazzarmi prima: preferirei evitare di finire impalato. -
  Troverai facilmente un re o un nobile al cui servizio puoi metterti,
  Samohrab: sei un guerriero forte e valoroso. E non sei un figlio di Lilith.
  Ti farai degli amici. E poiché sei un gran bell’uomo, troverai facilmente una
  donna o un compagno con cui dividere la tua vita. Samohrab
  non ha mai avvertito il desiderio di vivere con qualcuno. Aveva i suoi
  compagni, molti dei quali erano suoi amici. Gli è capitato di desiderare
  donne e uomini e non ha mai avuto difficoltà a trovare qualcuno con cui
  scopare: come ha detto Ruznimed, è un bell’uomo. Avverte invece che Ruznimed
  patisce l’isolamento in cui vive. - Perché
  non sei tornato tra la tua gente, Ruznimed, tra i figli di Lilith? Ruznimed esita un attimo, poi
  risponde: - Non
  potevo, non posso. Scusa, preferisco non parlarne. Mi fa male. -
  Scusami tu, non volevo proprio destare ricordi dolorosi.  Dopo un
  momento di pausa, Samohrab riprende: -
  Diciamo che ricominciare da capo non sarà facile, ma in qualche modo farò:
  probabilmente hai ragione tu e troverò facilmente qualche signore al cui
  servizio mettermi. In ogni caso devo uscire vivo da questa impresa. E non è
  detto che ce la facciamo. - No,
  non è detto. Valikurac è un nemico pericoloso. E un altro pericolo ci attende
  se riusciamo a ucciderlo. - Come
  sai queste cose? - Un
  veggente mi disse che toccava a me compiere questa missione e mi avvertì dei
  pericoli. - Fu lui
  a darti il talismano che ti protegge? - Sì. Di veggenti
  e talismani, Samohrab ha spesso sentito parlare, ma non ha nessuna esperienza
  diretta. Spesso era molto dubbioso su ciò che sentiva raccontare da alcuni:
  gli parevano storie inverosimili, raccontate solo per intrattenere gli altri
  o per ingannarli. Ma dopo essere stato ucciso senza morire, tutto gli sembra
  possibile.   - Quando
  hai saputo di questa missione? - Due
  settimane fa. Mi stavo dirigendo alla fortezza di Dubokvoda. Mi chiedevo se
  mi avrebbero preso tra i soldati, anche se sono un figlio di Lilith. - Perché
  proprio lì? - Perché
  conosco queste terre e ho esperienza delle diverse stirpi che le abitano.
  Potrei essere utile. E poi ho avuto modo di parlare con uno degli ufficiali.
  Mi piace come vivono lì. Pensavo che avrei potuto provare a fermarmi. Sento
  il bisogno di un po’ di stabilità, dopo quasi vent’anni spesi a vagabondare
  da solo. - E hai
  incontrato l’indovino. - Non è
  un indovino, è un veggente. E non l’ho incontrato: mi ha chiamato a sé. Ho
  sentito che dovevo dirigermi in cima a una collina, dove lui mi aspettava. Samohrab
  non sa bene qual è la differenza tra un indovino e un veggente, ma gli sembra
  inutile chiedere una spiegazione ora. Osserva invece: - Al
  termine della missione, se non falliamo, potrai fermarti alla fortezza.
  Sapendo del tuo ruolo in questa missione, ti prenderanno senz’altro. - Il
  veggente mi ha detto che al termine di questa missione troverò la pace. Samohrab
  sta per dire che è una bella cosa, ma ci ripensa e tace: trovare la pace può
  anche essere sinonimo di morire, è un’espressione che si usa spesso con quel
  significato. Il silenzio si prolunga e per interromperlo dice: -
  Vedremo che cosa succederà.  - Sì,
  vedremo. Parlano
  ancora un momento, poi si addormentano. Quando
  Samohrab si sveglia, vede il sole già alto in cielo e Ruznimed accanto a lui.
  Si mette a sedere. - Devo
  aver dormito parecchio. - Ne
  avevamo bisogno entrambi. Dopo essere stati decapitati o strangolati, ci
  vuole un momento per riprendersi. Anch’io mi sono svegliato da poco. Mentre
  mangiano, Samohrab chiede: - Adesso
  dobbiamo raggiungere Valikurac. Tu sai dove si è diretto, vero? -
  Valikurac prosegue per questa strada. Vuole raggiungere le miniere
  abbandonate di Rozpac, dove si calerà. Esiste una
  via sotterranea che lo porterà alla dimora di una delle Grandi Forze, il
  Signore del Fuoco. - Vuole
  prendere la Pietra Arcana del Fuoco? Mi sembra una follia. - Lo è,
  ma è scritto che un giorno qualcuno riuscirà a sottrarre al Signore del Fuoco
  la sua Pietra Arcana e Valikurac è convinto di essere l’uomo destinato a
  questa impresa. - Ma il
  Signore del Fuoco non starà in guardia, conoscendo questa profezia? - Il
  Signore del Fuoco confida nella sua potenza e questo forse lo rende meno
  attento: il Fuoco è una Grande Forza, ma è incostante e imprevedibile. Noi dobbiamo
  fermare Valikurac prima che riesca a impadronirsi della Pietra Arcana. Dopo
  non ci sarebbe più possibile: il suo potere ci annienterebbe senza
  difficoltà. - Allora
  dobbiamo raggiungerlo. Ma ormai deve avere un buon vantaggio. - So
  come fare. Il veggente mi ha indicato una via da percorrere. Correremo meno
  rischi e arriveremo prima di lui in un punto dove deve passare. Samohrab
  annuisce. Poi chiede: - Dimmi
  una cosa, se lo sai. Valikurac mi ha fatto seguire
  un percorso accidentato, per non farsi scoprire. Diceva che qualcuno voleva
  fermarlo.  - In
  effetti, qualcuno vuole fermarlo. -
  Qualcun altro… che è dalla nostra parte, allora! Un possibile alleato. - No,
  qualcuno che forse ha le stesse intenzioni e che in ogni caso vuole uccidere
  Valikurac per impadronirsi di ciò che lui ha. - Che
  cosa? - Le
  pietre della possanza che sono in lui. - Mi
  aveva parlato delle pietre della possanza, ma lui mira alle Pietre Arcane. - Certo.
  Dopo essersi impadronito di alcune pietre della possanza, ha perso ogni
  freno. La sua ambizione è sconfinata. E questo lo perderà. Ma ora andiamo. Si
  mettono in cammino, seguendo lo stesso sentiero del giorno precedente. Il
  terreno degrada lentamente. La foresta in cui si muovono diventa sempre più
  fitta e cambia completamente: gli alberi sono vicini gli uni agli altri, i
  loro tronchi sono spesso coperti da altri vegetali, dai rami pendono liane,
  le chiome sono molto più ampie e ricche di foglie; il sottobosco è
  rigoglioso. Seguire il sentiero diventa più difficile, perché a tratti la vegetazione
  copre ogni traccia. Il caldo è opprimente, anche se ora la luce del sole non
  arriva più al suolo e si muovono sempre nell’ombra. Samohrab si rende conto
  di aver cominciato a sudare. Si toglie il mantello che indossa. - Stai
  portandomi direttamente nella dimora del Signore del Fuoco? Anche
  Ruznimed si è tolto la giacca. Ride e dice: - No,
  anche se la direzione è questa. La montagna sulla nostra destra è un vulcano
  e nelle sue viscere scorrono fiumi di roccia fusa. Anche qui, sotto di noi,
  ci sono rivoli di lava che scaldano il terreno. Se provassi a camminare a
  piedi nudi, te ne accorgeresti. Man mano
  che procedono, Samohrab avverte la stanchezza. Sono partiti tardi e non hanno
  fatto tanta strada: in condizioni normali non sentirebbe la fatica, ma il
  calore ormai è insopportabile. Anche la sete lo tormenta: ha finito l’acqua e
  non hanno più trovato un torrente a cui bere.  Da tempo
  procedono a torso nudo, ma rivoli di sudore scorrono sui loro petti, fino
  alla cintura. Samohrab si passa spesso il braccio sulla fronte, per detergere
  il sudore che gli cala fino alle sopracciglia.  Ruznimed
  si ferma e si volta verso il compagno.  - Qui
  lasciamo il sentiero e prendiamo un’altra via. Troveremo l’acqua, di cui
  abbiamo bisogno. - Ottima
  notizia.  -
  Potremo perfino bagnarci. -
  Fantastico. Di colpo
  Ruznimed si tende, guardando alle spalle di Samohrab. -
  Attento! Un kuz-pine. Ruznimed
  sguaina la spada e Samohrab lo imita, mentre si volta: non sa che cosa sia un
  kuz-pine, ma si tratta evidentemente di una
  minaccia. L’essere che appare assomiglia a un uomo, con una testa molto
  grande e un’ampia bocca dai cui angoli spuntano quattro lunghe zanne. Le
  braccia gli arrivano fino alle ginocchia e le mani terminano in artigli. Con un verso
  animale l’essere si getta su di loro, le braccia protese. Samohrab abbassa la
  spada, colpendo gli arti, ma la lama non taglia. Gli artigli stanno per
  lacerargli il petto, quando la spada di Ruznimed si abbatte sulle braccia,
  recidendo entrambe le mani: dai moncherini sgorga abbondante un liquido nero,
  il cui odore pestilenziale si diffonde tutt’intorno. Il kuz-pine lancia un urlo acutissimo, ritrae le braccia e
  si guarda allibito i due moncherini. Ruznimed si
  lancia in avanti e gli infila la spada nello stomaco, poi indietreggia
  rapidamente. Con un altro urlo lancinante, l’essere si abbatte al suolo. -
  Scostati, Samohrab. Attento a non toccare il sangue. Ruznimed
  e Samohrab si allontanano di alcuni passi. La creatura rantola e poi rimane
  immobile, mentre il liquido nero continua a uscire dalle ferite, allargandosi
  in una grande pozza. - Perché
  ci ha attaccati? - Perché
  i kuz-pine si cibano di carne umana. Si
  accontentano anche di altri animali ma un figlio di Eva è il massimo. Per
  quello ha attaccato subito te. La carne dei figli di Lilith è una seconda
  scelta. C’è un
  sorriso beffardo sul volto di Ruznimed. Samohrab sorride. Si rende conto di
  trovarsi bene con questo figlio di Lilith. - Perché
  la mia spada non gli ha tagliato le braccia? - I kuz-pine sono fatati: nessuna spada può ferirli. - E
  perché tu ci sei riuscito? - Questa
  lama è stata forgiata nelle officine di Noz. Non
  c’è incantesimo che valga contro un’arma come questa. Samohrab
  annuisce, mentre Ruznimed pulisce la lama della spada contro un tronco e poi
  completa l’opera con alcune foglie. Ha ancora una domanda: - Perché
  mi hai detto di stare lontano dal suo sangue? - È
  molto velenoso. Può anche penetrare attraverso la pelle. Samohrab
  annuisce. Ruznimed dice ancora: - Ora
  andiamo. Ti ho promesso l’acqua e anch’io ho la gola che arde. Ruznimed
  lascia il sentiero e si dirige verso il fianco della montagna. Avanzano a
  fatica tra la fitta vegetazione, ma la distanza è ridotta. Ora sono ai piedi
  di una parete rocciosa, che incombe su di loro, perfettamente verticale. Non
  c’è nessun appiglio e Samohrab si chiede se dovranno arrampicarsi. Non
  saprebbe davvero come fare. Ruznimed
  si guarda intorno, poi si sposta lungo la parete fino a un punto in cui due
  rocce sporgono. - Ecco,
  qui è la porta. Tra le
  due rocce però la parete è perfettamente liscia. C’è solo una piccola
  rientranza, dove non si riuscirebbe a infilare nemmeno una mano. Ruznimed
  prende il talismano che porta al collo e, mentre la luce multicolore si
  diffonde intorno a loro, lo inserisce nella rientranza. Tra le due rocce si
  apre una porta. Davanti
  a loro appare un corridoio, che permette appena il passaggio di una persona
  per volta. Il pavimento è di pietra e pare perfettamente liscio. Sulla
  sinistra c’è una sporgenza all’altezza dei fianchi. Ruznimed indica la
  sporgenza. - Metti
  la mano qui: servirà come guida. Non ci sono ostacoli o irregolarità, per cui
  anche nel buio non dovremmo avere difficoltà. Samohrab
  esegue e fa due passi in avanti. Ruznimed ritira il talismano ed entra. Non
  appena sono entrambi dentro, la porta si richiude e l’oscurità diventa
  completa. -
  Procediamo. Ruznimed passa avanti e si
  avviano. Il corridoio è in leggera salita, con un’inclinazione costante, e il
  suolo non presenta ostacoli o asperità di nessun tipo: procedono spediti,
  senza difficoltà, tenendo la mano sulla sporgenza. Chi ha scavato questa
  galleria ha fatto un lavoro accurato. Camminano
  a lungo. Non fa più il caldo soffocante della foresta, ma la sete li
  tormenta.  A un
  certo punto a Samohrab pare di scorgere un chiarore in lontananza. - C’è
  una luce, Ruznimed? - Sì.
  Stiamo avvicinandoci alla sala, dove troveremo l’acqua.  Man mano
  che avanzano l’oscurità diventa meno fitta. Ora Samohrab può scorgere davanti
  a sé la sagoma scura del compagno. In lontananza si sente il rumore
  dell’acqua che scorre. A Samohrab pare che la sua gola arda. Il
  chiarore aumenta e il corridoio si apre in una larga sala. La luce proviene
  da un’apertura in alto: non è una luce forte, ma per i loro occhi abituati
  all’oscurità è più che sufficiente. Ci sono tre passaggi che partono dalla
  sala, oltre a quello da cui sono arrivati loro. Dall’interno
  della montagna cola una cascata, le cui acque formano una grande pozza. Ruznimed
  si spoglia in fretta, poi si mette sotto la cascata e con le mani a coppa
  raccoglie l’acqua che beve avidamente. Samohrab lo guarda. Il corpo è forte,
  ma molto villoso. Anche Samohrab ha una buona quantità di peli, ma non così
  fitti e scuri. Lo sguardo scende sotto l’intrico di peli del ventre. Il cazzo
  è grosso, non lungo come quello di Valikurac, ma alquanto voluminoso. C’è
  qualche cosa di animale in Ruznimed. - Non
  avevi sete? Ci stiamo in due. Samohrab
  si riscuote. Si spoglia in fretta e si mette anche lui sotto la cascata.
  L’acqua è fresca, ma non gelida, e stare sotto il getto è piacevole. Poter
  infine bere è bellissimo. Quando
  ha bevuto a sufficienza, Ruznimed si stacca e s’immerge nella pozza. È
  profonda e abbastanza ampia da permettere di nuotare. Samohrab
  lo imita. - Che
  meraviglia! Ma possiamo davvero fermarci un momento? Non dobbiamo raggiungere
  Valikurac? -
  Valikurac deve fare un lungo giro per arrivare dove noi lo aspetteremo: deve
  scendere nella valle che stavamo percorrendo, salire su una montagna e poi scendere
  dall’altra parte, dove troverà la porta che cerca. Questa via è diretta e
  arriveremo prima di lui. - È
  stato il veggente a indicartela? - Sì.
  Anche se conoscevo già queste terre, non sospettavo che ci fosse questo
  passaggio. Comunque adesso è ora che usciamo, non per muoverci, ma perché tra
  non molto sarà buio. Mangiamo qualche cosa e poi ci stendiamo a dormire.  Quando
  si stendono, Ruznimed spiega che cosa li aspetta. - Domani
  scenderemo attraverso il pozzo. Fa’ attenzione a non perdere la presa, perché
  ti sfracelleresti. Al fondo del pozzo troveremo un’ampia sala e lì
  aspetteremo Valikurac. - Lo
  affronteremo lì? - Lo
  affronterò solo io. Tu non c’entri. - Non
  capisco. Non dicevi che io ero importante in questa missione? - Sì, ma
  so che devo affrontarlo io. Non so quale sia il tuo ruolo. Forse era solo
  quello di accompagnarmi. Samohrab
  è perplesso. Non insiste, perché è Ruznimed a sapere quello che devono fare.
  E affrontare in due un avversario non gli sembrerebbe leale, anche se
  Valikurac è stato sleale. Quando
  Ruznimed lo sveglia, Samohrab vede una tenue luce. Si rivestono e raggiungono
  uno dei passaggi. Man mano che procedono il buio diviene più fitto e presto
  si trovano nuovamente a camminare nell’oscurità più completa.  - Ecco.
  È qui. Fa’ molta attenzione, ora. Samohrab
  non sa a che cosa deve fare attenzione. Ruznimed gli prende un polso. - Vieni,
  piano. Fanno
  pochi passi. - Ora
  fermo. Non ti muovere per nessun motivo. Ruznimed
  gli lascia la mano. Poco dopo la riprende. -
  Chinati, qui. In ginocchio. Samohrab
  esegue. Ruznimed gli guida la mano un po’ avanti, dove Samohrab sente uno
  scalino.  - Qui
  incomincia il pozzo. Sono tantissimi gradini. Non so quanti. Ci vorranno ore.
  Non cedere, per nessun motivo. Ruznimed
  gli tira la mano, fino a portarla a una sbarra di ferro. - Ecco,
  questo è il primo gradino. Tieni la mano lì, mentre io mi calo. Ruznimed
  lo lascia e poco dopo riprende; - Ecco,
  io sono sulla scala. Adesso mi calo.  Dopo un
  momento riprende: - Adesso
  tocca a te. Samohrab
  con la mano controlla la dimensione della sbarra che serve come primo
  gradino, poi, muovendosi con molta cautela, si volta e si cala nel pozzo fino
  a mettere i piedi su un’altra sbarra. Incomincia poi a scendere. Le sbarre
  sono tutte alla stessa distanza e questo rende la discesa più semplice, per
  quanto faticosa. Ogni
  tanto Ruznimed gli chiede, pianissimo: - Tutto
  bene?  - Sì. Continuano
  a scendere. Samohrab non saprebbe dire da quanto tempo scendono: gli sembra
  che siano trascorse ore e ore. Le braccia gli fanno male, ma sa che se
  mollasse la presa, si schianterebbe al suolo. Infine
  Ruznimed sussurra: - Siamo
  alla fine. Samohrab
  è contento di sentirlo. Poco
  dopo i suoi piedi toccano terra. Sono immersi nel buio, ma l’oscurità non è
  completa: in lontananza c’è un chiarore. Samohrab però non è in grado di
  vedere che cosa c’è intorno. - Dove
  siamo? - In una
  grande sala sotterranea, completamente spoglia. - Come
  sai che è spoglia? - Lo
  vedo. - Tu
  vedi? Ah, già… Samohrab
  si era scordato che i figli di Lilith vedono piuttosto bene al buio. - Ora
  non ci rimane che attendere. Credo che Valikurac arriverà prima di sera.
  Dobbiamo essere pronti, ma tu non puoi combattere. - Sì, me
  l’hai detto, anche se non capisco il perché. - Non so
  dirtelo, Samohrab. Seguo le indicazioni del veggente. Si
  siedono a terra, vigili e silenziosi. Sono
  passate alcune ore quando a distanza vedono una fiamma che sembra avanzare.
  Quando si avvicina, possono vedere che è una torcia, alla cui luce appare il
  viso di Valikurac. Ora che
  Valikurac è più vicino, Samohrab può vedere lo spazio in cui si trovano. Non
  è molto grande e deve essere stata scavato nella roccia da un torrente, che
  ha lasciato sul suolo ghiaia e sabbia e qualche sasso più grosso. Ora c‘è
  solo un rivolo che forma una piccola pozza d’acqua. Ruznimed sguaina la spada
  e fa un passo avanti. Valikurac si ferma. Lo guarda, incredulo.  -
  Ruznimed? Non è possibile! Io ti ho ucciso. - Sì, a
  tradimento. Ma come vedi, sono vivo e ora regoliamo i conti. - Merda!
  Ti ucciderò, Ruznimed. E questa volta non ritornerai in vita. Valikurac
  appoggia la torcia alla parete, si toglie il mantello e sguaina la spada. In
  quel momento si accorge della presenza di Samohrab. - Anche
  tu qui, vivo, testa di cazzo? In due mi attaccate? È questa la vostra lealtà? Ruznimed
  ride: - Credo
  che tu sia l’ultimo uomo al mondo a poter parlare di lealtà, Valikurac. Ma
  Samohrab non prenderà le armi contro di te. - Lo
  considero un impegno. Senza
  dire altro Valikurac si scaglia su Ruznimed, forse sperando di prenderlo di
  sorpresa. È furente, ma i suoi movimenti sono controllati: anche se non ha
  mai affrontato il suo avversario, sa che per lui costituisce una minaccia
  mortale. Ruznimed
  stava in guardia e para il colpo. Non attacca, limitandosi per un buon
  momento a difendersi. Samohrab ha l’impressione che i colpi di Valikurac non
  abbiano la stessa forza di quando ha combattuto contro di lui, ma non capisce
  come sia possibile. Il
  combattimento procede a lungo. Alla luce delle torce Samohrab può vedere che
  i corpi si coprono di una patina di sudore. Valikurac è chiaramente in
  difficoltà: tutti i suoi attacchi vengono respinti. A un certo punto si trova
  contro la parete. Si getta a terra, raccoglie una manciata di sabbia e ghiaia
  e la lancia sul viso di Ruznimed, mentre rotola via. Ruznimed, accecato,
  balza indietro. Valikurac
  si rialza, sicuro della vittoria: il suo avversario non riesce a vedere e
  prima che sia riuscito a pulirsi gli occhi, sarà un uomo morto.  Samohrab
  è rimasto paralizzato, ma poi agisce rapidamente: l’impegno preso gli
  impedisce di attaccare Valikurac, anche se questi non è stato leale. Allora
  stacca la torcia dalla parete e la getta nell’acqua. La sala sprofonda nel
  buio. Solo un debole chiarore rimane un attimo dove la torcia si sta
  spegnendo. - Merda! Valikurac
  non sa più dove si trova Ruznimed. Questi ha visto la luce sparire e ha
  capito. Cerca di pulirsi gli occhi.  -
  Samohrab, maledetto! Ora ti ammazzo. Valikurac
  balza nella direzione in cui Samohrab si trova: ha visto dov’era quando ha
  buttato la torcia e non può essere lontano. Samohrab ha sguainato la spada,
  ma non vede nulla. Ruznimed
  invece ha recuperato la vista. Valikurac sta avvicinandosi a Samohrab.
  Ruznimed si getta tra di loro e grida: - Sono
  qui. Valikurac
  alza la spada, ma prima che possa calarla, la lama di Ruznimed affonda nel
  suo corpo, fino a uscire dalla schiena, Valikurac barcolla. La sua arma cade
  a terra. - No!
  No! No! Maledetto bastardo… maledetto… Ruznimed
  solleva la spada e la cala deciso sul collo del moribondo, recidendogli la
  testa. - L’hai
  ucciso? - Sì,
  Samohrab. Abbiamo compiuto la missione. Ora possiamo fare un po’ di luce. La
  torcia è inutilizzabile, ma Ruznimed accende una candela, che illumina lo spazio
  in cui si trovano. Samohrab
  guarda il cadavere di Valikurac. Scuote la testa. Ruznimed gli dice: - Non
  possiamo rimanere qui a lungo, ma prima di andarcene dobbiamo fare alcune
  cose. Ti ho parlato delle pietre della possanza. Ora te le farò vedere. Appoggia
  la lama alla base del collo del cadavere e la fa penetrare due dita. Poi la
  punta scorre, aprendo la carne dal collo all’ombelico. Ne escono tre pietre
  che, nonostante siano sporche di sangue, mandano bagliori alla debole luce
  della candela. Con la
  punta della spada Ruznimed indica la pietra che stava più in alto: - La
  pietra verde della vita, che rende il corpo invulnerabile a ogni ferita. - Ma… tu
  l’hai ucciso. - Questa
  lama è stata forgiata nelle officine di Noz, te
  l’ho detto. Non c’è sortilegio che valga contro un’arma come questa.
  Valikurac pensava di essere invulnerabile, ma nessun incantesimo protegge
  contro qualsiasi arma. Perfino Coloro Che Ritornano sono soggetti a morire,
  anche se poi ritornano in vita. Samohrab
  annuisce. - E le
  altre pietre? - Questa
  rossa, posta sotto l’ombelico, è la pietra della forza. Se hai combattuto
  contro di lui, sai che aveva una forza prodigiosa. Era senz’altro un uomo
  molto robusto, ma questa pietra potenziava il suo vigore: il mio talismano ha
  annullato il suo effetto; se così non fosse stato, Valikurac avrebbe potuto
  battermi. La pietra bianca, posta alla base dello sterno, è la pietra della
  conoscenza. Non è una delle più potenti, ma permette di riconoscere le armi
  fatate, i talismani e i veleni e di leggere nella natura degli altri. - È
  incredibile. Quanti poteri riuniti in lui. Per questo pensava di poter
  ottenere una delle Pietre Arcane. Non era più un uomo come gli altri. La sua
  natura si era profondamente trasformata.  - Sì. E
  credo che proprio questo lo abbia portato a diventare temerario e a lanciarsi
  in un’impresa folle. Ogni pietra che acquistava lo rendeva più sicuro di
  poter ottenere tutto ciò che voleva. - Mi
  aveva detto che qualcuno voleva impadronirsi di una delle Pietre e forse di
  più d’una. Parlava di sé. Non avevo sospettato. Queste tre pietre… Samohrab
  non completa la frase. - Ce ne
  sono ancora altre. - Altre?
  Dove? Ruznimed
  non risponde: si limita ad appoggiare la punta della spada alla base del
  membro e a premere. Dal taglio esce un’altra pietra, di un colore blu scuro,
  con riflessi più chiari. - La
  pietra della prestanza. - È
  quella che lo rendeva così virile?  - Questa
  pietra fa crescere le dimensioni del sesso. Non aumenta la potenza sessuale,
  che è invece nelle due pietre gemelle. E mentre
  lo dice, incide i due testicoli, da cui escono due sfere che sembrano d’oro. - Ecco,
  queste sono le pietre del piacere. Danno vigore sessuale, rendono capaci di
  soddisfare qualsiasi uomo o donna o altro essere e accendono il desiderio. Ne
  basta una, di solito, ma chi ne ha due esalta la propria virilità. Ruznimed
  ride e dice: -
  Persino un drago godrebbe, anche se dubito che un drago si lasci possedere da
  un uomo. - Mi
  sembra incredibile. - Anche con
  una sola di queste pietre ogni rapporto, perfino il più doloroso, genera un
  piacere intenso. - Per
  quello… Samohrab
  si ferma. Stava per dire che per quello Valikurac gli si è offerto e ha
  goduto, ma preferisce non parlarne. Ruznimed
  però ha capito.  - Per
  quello poteva offrirsi e godere. Persino se un Solitario lo avesse stuprato,
  nonostante il dolore, avrebbe goduto, mentre moriva. Dopo un
  momento di pausa, Ruznimed dice: - C’è
  ancora una pietra. - Come
  lo sai? Come facevi a sapere che aveva tutte queste pietre dentro il suo
  corpo? - Il
  talismano che porto al collo mi segnala la loro presenza.  Ruznimed
  raccoglie le sei pietre con la mano sinistra, poi con il piede rovescia il
  cadavere sulla pancia e gli allarga le gambe. La punta della spada incide la carne
  tra i testicoli e l’apertura. La settima pietra che ne esce è una sfera
  d’argento. - Questa
  è la pietra dell’inganno. Rende molto difficile diffidare di chi la porta,
  anche quando ordisce inganni. È il motivo per cui è riuscito a ingannarti. La
  pietra stessa gli ha suggerito come doveva comportarsi. Samohrab
  appare perplesso: - Credo
  che a questo abbia contribuito il mio essere una testa di cazzo. Ruznimed
  ride. -
  Valikurac ha commesso diversi errori e anche il suo giudizio su di te era
  sbagliato.  Ruznimed
  raccoglie l’ultima pietra, poi le lava tutte nella pozza. Ora splendono al
  lume della candela e Samohrab ha difficoltà a distogliere lo sguardo. - Le
  pietre esercitano il loro potere su di te, ma non possono piegarti, perché tu
  sei un uomo giusto. - È vero
  che mi sento attratto da loro. Queste pietre hanno ancora il loro potere? Se
  qualcuno ora le prendesse, potrebbe usarne la forza? - No,
  queste pietre sono state usate da un uomo. Io le ho conquistate uccidendo
  Valikurac e solo io posso usarle o donarle. Se qualcun altro le prendesse a
  forza o con l’inganno, non farebbero effetto. Neanche se mi uccidesse per
  prenderle, perché non sono dentro di me ora. Ma se me le mettessi e tu mi
  uccidessi, potresti inserirle nel tuo corpo ed esse avrebbero effetto su di
  te. Samohrab
  scuote la testa. Poi ride e dice: - Allora
  aspetterò che tu te le sia messe per ucciderti.  Anche
  Ruznimed ride e poi dice: - Quali
  di queste pietre ti piacerebbe avere? - Che
  strana domanda! Quella della conoscenza, credo, perché non so nulla di queste
  terre dove mi trovo e sarei curioso di saperne di più. - E poi? - Sono
  tutte interessanti, a parte quella dell’inganno e quella… come l’hai
  chiamata? Della prestanza? Non è che m’interessi averlo più lungo. Delle altre,
  non so. Quella che dà forza, no, non mi sembrerebbe leale. Valikurac mi vinse
  grazie alla pietra, ma questo è scorretto. L’invulnerabilità… anche questo
  non mi sembra leale: quando affronti un avversario senza rischiare, che razza
  di combattimento è? Forse una delle pietre gemelle non mi spiacerebbe. Ride
  ancora, un po’ imbarazzato. Ruznimed annuisce. Poi dice: -
  Spogliati e stenditi. Samohrab
  guarda Ruznimed. È rimasto spiazzato. -
  Perché? - Perché
  hai contribuito a stornare una grave minaccia e hai diritto a una ricompensa.
  Riceverai alcune di queste pietre. - Non
  intendi mettertele tu?  - No,
  Samohrab. Non tutte, certo. Non sono così folle. Per quanto il mio spirito
  sia forte e non incline all’ambizione o al male, so che tutte insieme
  cambierebbero la mia natura. Forse mi convincerei di poter raddrizzare tutto
  ciò che va storto al mondo. Non so… Ruznimed
  ride e aggiunge: -
  Spogliati.  Samohrab
  si toglie tutto ciò che indossa. Ruznimed fa altrettanto e prende un pugnale. -
  Stenditi. Ruznimed
  avvicina la punta della lama alla pelle di Samohrab, subito sotto lo sterno e
  incide. È solo una piccola trafittura, ma quando Ruznimed infila la pietra,
  per un momento il dolore cresce, per poi attenuarsi e scomparire. - La
  pietra bianca della conoscenza ti aiuterà a muoverti in queste terre o
  dovunque tu decida di vivere la tua vita. La
  seconda incisione è alla base del collo. - La
  pietra verde della vita ti proteggerà. Sai che non servirà contro tutte le
  armi, ma ridurrà i rischi che tu venga ucciso a tradimento. Non la
  desideravi, ma proprio per questo puoi averla, perché non approfitterai del
  suo potere. La punta
  del coltello incide uno dei testicoli. Samohrab sussulta. - Una
  delle due pietre d’oro. Ora rimani fermo per un po’. Il tuo corpo deve
  adattarsi. Anche
  Ruznimed si spoglia. - Te le
  metti da solo? - Le ho
  conquistate e solo io posso mettermele. E solo io potevo metterle a te. La
  pietra rossa della forza mi aiuterà a combattere le potenze del male, quella
  d’oro mi permetterà di dare e ricevere più piacere, anche se non so quante
  occasioni avrò di usarla: magari qualcuno si interesserà a me, ora che ho la
  pietra.  Ruznimed
  ride, ma c’è una nota di amarezza nella sua risata. Prosegue: - Non
  intendo usare la pietra della prestanza, non m’interessa. La terrò e forse un
  giorno potrò scambiarla. O magari donarla. - E la
  pietra dell’inganno? - Ora lo
  vedrai. Ruznimed
  prende la pietra e la pone su un sasso piatto. Poi prende un altro sasso e la
  colpisce, senza particolare forza. Quando solleva il sasso che ha usato per
  schiacciarla, la pietra è ridotta a minuscoli granelli, una segatura
  argentea. - L’hai
  distrutta! È così facile distruggerle? Ruznimed
  ride. Prende la pietra della prestanza e la posa sullo stesso sasso. - Prova
  a schiacciarla. - Ma hai
  detto che pensi di poterla scambiare o donare. - Prova,
  ti dico. Samohrab
  prende il sasso che Ruznimed ha usato per schiacciare la pietra dell’inganno.
  Esita un attimo, ma a un cenno d’incoraggiamento di Ruznimed solleva il sasso
  e l’abbatte sulla pietra. Quando lo toglie, la pietra è intatta. Ruznimed
  ride di nuovo: - Tutto
  lì, quello che sai fare? Riprova! Samohrab
  ha intuito che non riuscirà mai a distruggere la pietra. Prova nuovamente,
  esercitando più forza, ma senza nessun risultato. Guarda Ruznimed e gli dice: - Solo
  tu puoi distruggerla, vero? -
  Esatto. Solo il proprietario può farlo. Poi
  Ruznimed prosegue: - Ora,
  anche se vorresti riposarti e ne avresti diritto, dobbiamo andarcene. Presto
  qui verranno i truplar.  -
  Sarebbero? - Esseri
  che si nutrono di cadaveri. Ma che non disdegnano anche un bel figlio di Eva
  come pasto. - Un
  figlio di Lilith no? Ruznimed
  ride. - Sempre
  seconda scelta. -
  Secondo me non me la conti giusta. Comunque non ha importanza e preferisco
  non verificare. Torniamo per la via da cui siamo arrivati? - Sì, è
  la più sicura. La
  salita è lunga e faticosa, ma infine giungono nella sala superiore. La luce è
  fioca: ormai è sera. Mangiano e poi si stendono. -
  Grazie, Samohrab. Spegnendo la torcia hai reso possibile il successo della
  nostra missione e mi hai salvato la vita.  - Tu me
  l’hai salvata almeno tre volte da quando ci siamo incontrati. Lentamente
  la sala sprofonda nel buio. Ruznimed
  chiede: - Che
  cosa pensi di fare, ora? - Una
  domanda che non mi sono ancora posto. Ero sicuro di essere ucciso per aver
  resistito a Lazan, poi mi sono trovato coinvolto in questa missione, che
  poteva concludersi con la morte. - E non
  è detto che non finisca così, perché un pericolo mortale ci attende lungo la
  via del ritorno. - Sì, me
  l’hai detto. Sinceramente, penserò al futuro più avanti. - Hai
  molte strade aperte. - E tu? -
  Proverò a fermarmi alla fortezza, se mi prendono. Vedremo. -
  Sarebbero idioti a non prenderti. Samohrab
  si chiede se non fermarsi anche lui alla fortezza. Nella sua terra non può
  certo tornare, i suoi amici sono morti o dispersi. Ormai è un guerriero
  libero e deve cercare qualcuno al cui servizio mettersi. Ruznimed gli sta
  simpatico e rimarrebbe volentieri per lui. Si
  stendono, perché ormai è buio, ma continuano a parlare. Su
  richiesta di Ruznimed, Samohrab racconta dell’usurpazione e della morte di
  coloro che si opponevano. Vorrebbe
  sapere qualche cosa di più di Ruznimed e dice: - Mi hai
  detto che preferisci non parlare dei motivi per cui hai lasciato il villaggio
  in cui vivevi. - Se
  vuoi, ora posso raccontarteli. Non sei più un estraneo. - Mi
  farebbe piacere. - La mia
  famiglia fu sterminata dai guerrieri di Brujekral,
  quando io ero un bambino e uno di loro mi prese con sé perché non aveva
  figli. Il mio padre adottivo era molto forte e m’insegnò presto l’uso delle
  armi. Divenni bravo e vinsi il torneo che si teneva tra i giovani quando
  venivano ammessi a pieno titolo tra gli adulti. Un grande onore che per me fu
  una disgrazia, anche se forse fu meglio così.  Dopo un attimo
  di pausa, Ruznimed riprende il racconto: - Il
  figlio del capotribù, per vendicarsi di essere stato sconfitto da me, mi
  rivelò la verità: non ero figlio dell’uomo che consideravo mio padre, i miei
  genitori erano stati uccisi proprio da lui e uno dei crani conficcati su pali
  davanti alla sua casa era quello del mio vero padre. Samohrab
  rabbrividisce. Spesso i bimbi più piccoli di una tribù sterminata sono presi
  dai vincitori e allevati come schiavi, per essere in seguito destinati al
  piacere dei loro padroni, se di bell’aspetto, o ai lavori di fatica. Più di
  rado sono presi dalle famiglie senza figli, ma non succede quasi mai che un
  uomo adotti il figlio di colui che ha ucciso: è un atto che di solito viene
  disapprovato.   -
  Dev’essere stato terribile. C’è un
  momento di silenzio, poi Ruznimed risponde: - Lo fu.
  Mi crollò il mondo addosso. Nuovamente
  una pausa, poi il racconto prosegue: - Mi
  rivolsi all’uomo che ritenevo fosse mio padre. È un uomo sincero e mi
  confermò che era vero. Non mi aveva mai detto nulla, perché mi considerava
  suo figlio, ma non intendeva mentirmi. Io avevo due possibilità: sfidarlo a
  duello, vendicando mio padre, o rimanere, continuando a essere suo figlio. Samohrab
  avverte che a Ruznimed costa fatica continuare. Vorrebbe dirgli che non deve
  proseguire, ma si rende conto che sarebbe assurdo. - Non
  volevo uccidere l’uomo che mi aveva allevato e insegnato a usare le armi,
  anche se era l’assassino dei miei genitori: gli volevo bene, era il mio
  modello, per me era stato un padre e un buon padre. Ma non potevo nemmeno
  rimanere con lui, ora che sapevo la verità. Pensai di sfidarlo e farmi
  uccidere da lui, ma lo avrei fatto soffrire e non sarebbe stato giusto: mi
  voleva bene. Scelsi di andarmene. - Ma non
  tornasti dalla tua gente. - No,
  avevo rinunciato a vendicare mio padre e non potevo tornare tra loro, non me
  la sentivo. Così sono diventato un cane randagio. Nel buio
  la mano di Samohrab cerca quella di Ruznimed e la stringe, poi si ritira.  - Credo che
  tu abbia sofferto molto, senza aver fatto nulla per meritarlo. Mi spiace,
  davvero. -
  Grazie, Samohrab. Sono contento di averti raccontato la mia storia. Ora però
  dormiamo. Ci aspetta il viaggio di ritorno e non sarà una passeggiata. Samohrab
  scherza: - Quello
  di andata, invece… - A
  quello di andata siamo sopravvissuti. Adesso dobbiamo cercare di fare lo stesso,
  ma non sarà facile. Buonanotte. - Buonanotte
  a te. Samohrab
  non si addormenta subito. Nel buio i suoi pensieri tornano a Ruznimed e al
  suo racconto. Si è affezionato al suo compagno d’avventura, anche se lo
  conosce da poco. Vorrebbe rimanere con lui e si chiede che cosa prova per
  quest’uomo che ora riposa al suo fianco. La luce
  che filtra dall’apertura in alto illumina appena l’interno: dev’essere ancora
  presto. Samohrab si è svegliato e ora guarda il corpo steso vicino. Ruznimed
  dorme, disteso su un fianco. Gli dà la schiena. La folta capigliatura
  ricciuta sembra quasi continuare nella peluria scura che copre la schiena e soprattutto
  il culo.  In
  Samohrab il desiderio si desta: il cazzo gli si sta tendendo. Si vergogna
  della propria reazione, ma Ruznimed dorme ed è girato dall’altra parte: anche
  se si svegliasse, non potrebbe vederlo. Ruznimed
  gli piace: questa è la verità. Gli piace molto, sotto ogni aspetto. Anche
  questo corpo, che inizialmente gli era sembrato brutto, quasi repellente, ora
  lo attrae. Ruznimed
  si muove, girandosi. Ora è disteso sulla schiena e Samohrab vede che anche
  lui ha il cazzo duro. Un cazzo grosso, molto voluminoso, anche se non
  particolarmente lungo. Samohrab avverte violento il desiderio. Vorrebbe
  tendere la mano, accarezzare questo corpo, stringere questo cazzo. Vorrebbe… Non può
  farlo. Si conoscono appena. Come reagirebbe Ruznimed? Quando gli ha raccontato
  di sé, gli ha detto che gli sarebbe piaciuto avere un compagno. Anche lui è
  attratto dagli uomini. E allora?  Ruznimed
  emette una specie di grugnito. Si sta svegliando. Samohrab si alza e si mette
  sotto l’acqua della cascata, dando la schiena all’amico. Spera che il suo
  cazzo abbia il buon senso di abbassare un po’ la testa, ma non è un gran
  problema: anche Ruznimed ce l’ha duro.  - Tutto
  bene, Samohrab? Samohrab
  volta la testa. Ruznimed si è messo a sedere e ora lo sta fissando. Ha le
  gambe piegate davanti, che nascondono il ventre e il cazzo. - Sì, ho
  dormito benissimo. E tu? -
  Anch’io. È la nostra ultima notte tranquilla. Da stasera dovremo fare i turni
  di guardia. Il talismano non potrà proteggerci. -
  Perché? - Ha
  esaurito la sua funzione: Valikurac è morto. Ci permetterà ancora di uscire
  da questi locali sotterranei, ma poi sarà solo un ornamento. - In
  qualche modo riusciremo a cavarcela e a lasciare queste terre. Ruznimed
  annuisce. - Ci
  proveremo. Mal che vada saremo un buon pasto per qualche kuz-pine
  o per un truplar.  - Io, tu
  no: sei solo una seconda scelta. Ruznimed
  ride. Samohrab pensa che è bello vedere Ruznimed ridere. - È
  vero, ma non puoi sempre avere il meglio.  Il cazzo
  ha abbassato la testa, per cui Samohrab si volta e si toglie dal getto. Ruznimed
  lo guarda. - Sei
  bellissimo, Samohrab. Samohrab
  non sa come replicare. Non può dire a Ruznimed che è bellissimo, perché non è
  vero e l’amico potrebbe sentirsi deriso. Potrebbe dirgli semplicemente che gli
  piace e forse… Ma ormai è tardi. Non ricevendo risposta, Ruznimed si è
  alzato, senza nascondere il cazzo, sempre duro, e si è messo sotto la doccia.
  Non guarda più Samohrab. Rimangono
  in silenzio mentre mangiano. Ruznimed, che ha fatto un inventario di quanto
  hanno con sé, osserva: - Le
  provviste sono poche, ma se non incontriamo ostacoli, dovrebbero bastarci.
  Altrimenti cacceremo qualche animale o raccoglieremo frutti selvatici, ma
  molto di quello che vive e cresce in queste terre non è commestibile per noi. Infine
  si dispongono a partire. Al momento di lasciare la sala, Ruznimed dice: - Mi
  spiacerà separarmi da te. Samohrab
  pensa la stessa cosa: nei confronti di quest’uomo di cui inizialmente
  diffidava prova qualche cosa che va oltre la semplice attrazione fisica.
  Forse dovrebbe dirlo, ma non è abituato a esprimere sentimenti. Si dice che
  c’è ancora tempo per parlarne: prima che giunga il momento di prendere strade
  diverse, potrà proporgli di fermarsi entrambi alla fortezza di Dubokvoda o di
  procedere insieme per un po’. Adesso devono pensare al ritorno.  Si rende
  conto di non aver di nuovo risposto a Ruznimed. Se il suo amico sta cercando
  di dirgli qualche cosa, lui sta dando l’impressione di non volerlo sentire,
  di non essere interessato: esattamente il contrario di quello che prova. Ma
  ormai è tardi. Ne parleranno dopo. Il
  corridoio è lunghissimo, ma Samohrab lo ha già percorso e sa che cosa
  l’aspetta. La temperatura è piacevole e possono procedere senza fatica. Quando
  infine raggiungono la porta attraverso cui sono entrati, Ruznimed dice: - Ora
  usciremo. Dovremo fare attenzione, perché un pericolo ci sovrasta.  - Sai
  qualche cosa di più preciso? È qualcuno che vuole vendicare Valikurac? - Non so
  nulla di preciso, solo che si tratta di un pericolo mortale. Non credo che
  sia qualcuno intenzionato a vendicare Valikurac. Lui agiva da solo: sapeva
  che per la sua impresa non avrebbe potuto contare su nessuno. Si è
  sicuramente servito di uomini e altri esseri che hanno accettato di
  assecondare i suoi piani per desiderio di guadagno o di potere, ma che non
  hanno motivo per vendicare la sua morte.  La porta
  si apre: Ruznimed deve aver azionato il meccanismo. Un’ondata di calore li
  investe. - Merda! - In
  qualche ora saremo fuori da questo pentolone infernale. Se nessuno ci ferma. Si
  avviano. Il terreno sale e il calore è opprimente. Procedono in silenzio,
  guardandosi intorno, pronti a sguainare la spada. Dopo un
  tratto di strada il sentiero appare interrotto da un cespuglio spinoso pieno
  di fiori rossi, che sotto i loro occhi sbocciano, sono raggiunti da grossi
  insetti neri e poi si trasformano in frutti, mentre nuovi fiori si aprono. - Sono i
  Fiori della Morte, vero? Samohrab
  si stupisce della domanda che ha formulato. Non aveva mai visto questi fiori,
  né sentito parlare di loro, ma ne conosce il nome. - Sì, si
  chiamano così. - Come
  faccio a saperlo? E so anche che i frutti sono velenosissimi. - Porti
  in te la pietra della conoscenza. Non sei più ignorante come una capra,
  com’eri prima. Ruznimed
  l’ha detto ridendo. - Quello
  che non so è come abbiano fatto a spuntare… Quando siamo passati, due giorni
  fa, non c’erano. - Qui
  abbiamo ucciso il kuz-pine. Il suo sangue velenoso
  feconda i semi. Se incidi uno di questi frutti con la punta del pugnale, lo renderai
  velenoso e ucciderai chiunque tu ferisca, anche leggermente. -
  Dobbiamo aggirarli, vero? - Sì,
  anche le spine sono velenose.  Procedono
  con cautela, guardandosi attorno. Vedono arrivare un gigante, un Solitario e
  si nascondono nel fitto degli alberi. L’essere passa accanto senza vederli,
  perché la sua attenzione è attirata dai Fiori della Morte, che scavalca,
  badando bene a non calpestarne nessuno. Quando è
  passato, Samohrab chiede: - Le
  spine sono velenose anche per un gigante, vero? - Sì, ma
  non mortali, a meno che non ci si rotoli dentro. Però sono molto fastidiose:
  può gonfiargli un piede e prima che il dolore e il gonfiore passino, ci vuole
  almeno un mese. - E tu
  come sai tutte queste cose? Hai una pietra della conoscenza di cui non mi hai
  mai detto niente? -
  Conosco bene queste terre. Man mano
  che salgono, l’aria si rinfresca e camminare diventa meno faticoso. Sostano
  un momento per mangiare un boccone, poi proseguono. Quando si fermano per la
  notte, a breve distanza dal sentiero, non accendono un fuoco. Dopo una cena
  frugale, Ruznimed si stende: Samohrab farà il primo turno di guardia. Si
  concentra sui rumori intorno a lui. Ogni tanto si sente il verso di un
  uccello notturno o il fruscio di qualche piccolo essere che si muove non
  lontano. A un certo
  punto Samohrab si accorge che qualcuno sta avanzando lungo il sentiero. Si
  tende e sguaina la spada. Non può vedere di chi si tratta. Non si sente
  nessun odore e questo esclude un triglave. L’essere si sta avvicinando. Ora
  sta passando vicino a dove si trovano, ma prosegue per la sua strada,
  allontanandosi. Probabilmente non ha avvertito la loro presenza. Meglio così. Samohrab
  si volta verso Ruznimed e sussulta: ci sono due occhi verdi, luminosi, che lo
  stanno guardando. Fa un passo avanti, tenendo l’arma in mano, per proteggere
  l’amico addormentato. I due occhi si allontanano, poi scompaiono. La luna
  è sorta oltre la montagna e ora s’incomincia a vedere qualche cosa. Samohrab
  deve chiamare Ruznimed quando la luna sarà in alto. Non manca più molto. Ruznimed
  però si sveglia. - Tutto
  a posto? - Sì,
  tutto a posto. È passato qualcuno lungo il sentiero, ma non si è fermato. -
  Stenditi pure. - Non è
  ancora l’ora. - Non
  manca molto ed è inutile che io mi rimetta a dormire. Samohrab
  cede e prima di abbandonarsi al sonno guarda la sagoma scura di Ruznimed,
  appena visibile alla luce lunare. Sorride. Il
  secondo giorno avvistano in lontananza molti uccelli in movimento alla base
  di una montagna. - È lì
  che avete abbattuto il gigante? - Sì,
  credo di sì. - Sono
  passati alcuni giorni, ma prima di spolpare un gigante ci vuole parecchio
  tempo. Sarà meglio evitare di avvicinarci troppo: non vorrei trovare qualcuno
  cui piace di più la carne fresca… - Magari
  qualcuno che preferisce quella dei figli di Lilith. -
  Difficile. I figli di Eva sono più gustosi… Giunti a
  una certa distanza, possono vedere il grande banchetto che si svolge ai piedi
  del monte. Ci sono quattro grossi triglave, il cui lezzo ammorba l’aria. Tre stanno
  nutrendosi del corpo e ne staccano pezzi che portano alle bocche, mentre il
  quarto rimane di guardia e cerca di colpire con una grande mazza gli uccelli
  che calano per afferrare brandelli di carne. Le creature alate, di specie
  molto diverse per aspetto e dimensioni, si muovono rapidamente per sfuggire
  al bastone. Un animale dal lungo collo non è altrettanto veloce e la mazza si
  abbatte sul suo capo, frantumandolo. Diversi
  esseri si tengono a una certa distanza, aspettando il momento in cui potranno
  partecipare anche loro. Tra gli animali più piccoli, alcuni raccolgono i
  pezzi che i triglave fanno cadere spolpando le ossa del gigante: guizzano
  veloci tra le loro gambe, badando a non farsi schiacciare.  - Sono
  passati diversi giorni… ormai dovrebbe essere marcito… ma la carne dei
  giganti si decompone più lentamente. Samohrab
  si rende conto che, com’è avvenuto per i Fiori della Morte, sa cose che prima
  non sospettava. - Sì, ma
  noi dobbiamo fare molta attenzione, perché tra chi non può partecipare al
  banchetto e anche tra chi vi prende parte, molti non disdegnerebbero un po’
  di carne umana. - Di
  prima o di seconda scelta? - Di
  entrambe. La
  vegetazione ai piedi della montagna è scarsa e non è facile rimanere
  nascosti. Cercano di tenersi molto distanti, ma due animali dal collo molto
  lungo, con braccia corte e grosse zampe, avvertono la loro presenza e si
  muovono in fretta nella loro direzione. I loro corpi sono coperti di squame
  dorate e luccicano alla luce del sole. - I truplar. Se sono solo in due, non è un problema. I due
  guerrieri sguainano le spade e aspettano gli attaccanti. Questi però devono
  aver già avuto modo di incontrare uomini armati e preferiscono fermarsi a una
  certa distanza. Ruznimed
  e Samohrab si allontanano, controllando che gli animali non li seguano. I due
  truplar rimangono fermi. Per
  Samohrab la strada è del tutto nuova: con Valikurac non hanno percorso questo
  tratto, scendendo invece dalla cima, dopo aver seguito un percorso in parte
  interno alla montagna. Il sentiero sale dolcemente su una parete spoglia. Non
  ci sono precipizi, ma in molti tratti non c’è nessuna possibilità di
  procedere senza farsi vedere. - Se
  qualcuno ci aspetta, ci vede arrivare con largo anticipo. - Sì,
  certo. È per questo che fingeremo di fermarci e invece, con il buio,
  proseguiremo. Ti guiderò nell’oscurità. Riposeremo in posti più sicuri. Verso
  sera si fermano tra alcune rocce. Mangiano un po’ delle loro provviste e poi
  Samohrab si stende, come se volesse mettersi a dormire, mentre Ruznimed
  rimane di guardia. Quando la notte cala, i due guerrieri riprendono il loro
  cammino. Procedono molto a lungo e infine Ruznimed guida il compagno a una
  piccola grotta che sorge a una certa distanza dal sentiero. - Faccio
  io il primo turno: vedo nel buio e posso individuare prima i pericoli. Quando
  viene l’alba, toccherà a te. Ruznimed
  sveglia Samohrab quando il cielo si sta rischiarando. Si stende a dormire. Samohrab
  rimane nascosto, ma controlla il sentiero e l’area intorno. Non vede niente
  d’interessante. Partono
  nelle ore centrali e nuovamente si fermano solo dopo mezzanotte. - Manca
  ancora molto, Ruznimed? - Ancora
  un giorno di marcia per raggiungere il punto dove le montagne degradano verso
  la pianura e il bosco. Altri due giorni per il guado e la fortezza, perché
  raggiungeremo il fiume molto più a nord. - Le
  provviste ci basteranno, allora, senza che dobbiamo cacciare. -
  Potrebbero avanzare, anche. Samohrab
  non capisce: - Perché
  dici questo? - I
  pericoli maggiori sono ora. Non possiamo non prendere il sentiero, a meno di
  non tornare indietro e percorrere un’altra pista, non meno pericolosa. - Va
  bene. Domani vedremo a che cosa andiamo incontro. Quando
  ripartono, è ormai tarda mattinata. A una svolta del sentiero, possono vedere
  in lontananza le colline e poi la pianura. Il sentiero ormai procede in
  quota, senza più salire, e in alcuni tratti si abbassa. Ruznimed avanza con grande
  cautela, cercando di rimanere il più possibile al coperto e controllando
  sempre le pareti intorno. La giornata però trascorre senza inconvenienti:
  avvistano in lontananza un gigante, che non si accorge di loro. - In
  questa regione si trovano giganti e a volte nani, che però difficilmente si
  lasciano vedere. Gli altri esseri frequentano malvolentieri queste terre
  vicine agli insediamenti degli Aldebri e dei Figli
  di Lilith e adesso anche dei figli di Eva, alla fortezza. - Meglio
  così, meno rischi per noi. Siamo quasi arrivati. - Ma non
  siamo fuori pericolo, tutt’altro. Se qualcuno ci aspetta, lo farà nell’area
  che attraverseremo domani: ai margini di queste terre selvagge, dove è minore
  il rischio di fare brutti incontri. - Ma
  perché dovrebbero aspettarci? - Non so
  nulla di sicuro, solo che vogliono impadronirsi delle pietre della possanza.
  Forse sanno che le ha Valikurac, forse sanno soltanto che chi ha quelle
  pietre passerà di qui. - Quindi
  non sanno che le abbiamo noi.  - Credo
  che tra di loro ci sia qualcuno in grado di sentire la presenza delle pietre.
  E in questo caso, noi siamo i bersagli. E anche se non fosse così, se sono
  briganti, cercheranno comunque di ammazzarci, per prenderci le armi e per
  fotterci. Samohrab
  annuisce. Sa benissimo che i briganti spesso stuprano coloro che catturano e
  non di rado fottono i cadaveri di quelli che hanno appena ucciso. - Va
  bene. La missione l’abbiamo portata a termine. Se devo morire, meglio ucciso
  dai briganti che impalato da Lazan. -
  Contento tu… Fanno
  una sosta a sera, ma con il buio ripartono e solo molto dopo mezzanotte si
  fermano realmente. Il
  giorno dopo procedono lungo il sentiero. Non incontrano ostacoli e quando a
  notte fonda si fermano, sono ai piedi delle montagne, non lontani dalla
  pianura e dai boschi. - Non
  abbiamo incontrato nessuno.  - No, ma
  c’è ancora domani. Ed escludo che il veggente si sia sbagliato. L’indomani
  partono, come al solito piuttosto tardi. Ruznimed appare molto teso. - Non
  possono essere lontano. Tra due o tre ore di marcia ci sono diversi sentieri
  e non possono sapere su quale devono aspettarci. Noi dovremmo piegare verso
  sud, se vogliamo raggiungere la fortezza. Non è
  passato molto tempo quando, a una svolta, vedono sei uomini fermi in mezzo al
  sentiero. - Gli Uborato. Così sono quei pezzi di merda, banditi. Attento,
  Samohrab. Quello che devi temere non è uno di quei sei, ma il settimo, Ubosnaz, che si è nascosto da qualche parte e cercherà di
  colpirci a tradimento. Lui può ucciderti, anche se hai la pietra della vita.
  Non lasciare che qualcuno di loro ti attiri, arretrando, in qualche anfratto
  dove è nascosto quel bastardo. Di sicuro vogliono le pietre e uno di loro, Uboprvi, ha dei poteri: sa che le abbiamo. Samohrab
  annuisce. Vorrebbe chiedere chi sono gli Uborato,
  ma non è il momento. Ruznimed
  ha messo la mano sull’elsa della spada e procede, fino a che si trova a pochi
  passi dagli uomini che sbarrano il sentiero. Samohrab
  l’ha seguito e ora osserva gli Uborato. Sono tutti
  alti e forti, di sicuro avversari temibili. Due di loro sono nettamente più
  anziani: potrebbero essere i padri dei quattro maschi più giovani. Si
  assomigliano alquanto: forse sono fratelli. - Che
  cosa volete? Uno dei
  due uomini anziani risponde: - Quello
  che portate in voi.   - Dovete
  conquistarlo, Uboprvi. - Siete
  in due e noi in sei, Ruznimed. - In
  sette, Uboprvi. Vi conosco. L’uomo che
  ha parlato si tende: non si aspettava che Ruznimed sospettasse la presenza
  del settimo. - Che
  hai fatto della pietra dell’inganno? Sento che non l’hai con te. - L’ho
  distrutta, Uboprvi. L’uomo
  scuote la testa. -
  Idiota! Interviene
  l’altro uomo più anziano: -
  Ascoltami, Ruznimed. Non avete nessuna possibilità contro di noi.
  Arrendetevi. Ti metterai nel corpo la pietra della prestanza.  - Così
  potrete impadronirvi anche di quella, Ubomudar? Ruznimed
  ride e aggiunge: - Perché
  dovremmo arrenderci senza combattere? - Perché
  ci sono molti modi di morire e alcuni sono più spiacevoli di altri. Ruznimed
  sguaina la spada. -
  Vediamo chi morirà oggi. Poi
  sussurra a Samohrab, che è al suo fianco: -
  Ricordati quello che ti ho detto. I sei
  uomini avanzano e circondano i due guerrieri, che ora sono rivolti in
  direzioni opposte, in modo da proteggersi a vicenda le spalle. Ad
  attaccare per primo è Ubomudar. Avanza contro
  Ruznimed e mentre cerca di colpirlo con la spada, mentre uno degli altri
  attacca il guerriero di lato. -
  Vigliacchi! Ruznimed
  colpisce violentemente le due spade: la sua forza, aumentata dal potere della
  pietra che porta in sé, fa cadere la spada al guerriero più giovane. Intanto
  anche un altro dei giovani ha attaccato Ruznimed,
  mentre Uboprvi e gli altri due incalzano Samohrab.
  Se l’amico non l’avesse avvertito, Samohrab non noterebbe che stanno premendo
  tutti da una parte, invece di attaccarlo da tre lati, come sarebbe più
  sensato: vogliono spingerlo verso alcune rocce, tra le quali si nasconde di
  certo il settimo guerriero. Samohrab non si muove. Viene colpito al braccio,
  ma la lama non incide la carne. Samohrab allora attacca e riesce a colpire
  uno dei suoi avversari: calandogli la spada sul collo, gli recide la testa,
  che rotola a terra. - La
  pagherai, maledetto. Anche
  Ruznimed ha ucciso uno dei suoi avversari e ora incalza Ubomudar.
  Riesce a ferirlo al braccio e poi gli infila la lama nel ventre. Il bandito
  crolla in ginocchio, le mani sulla ferita da cui il sangue scorre abbondante. Gli
  avversari sono rimasti in tre, ma da dietro le rocce compare Ubosnaz, che si scaglia su Samohrab. Ruznimed però si
  mette in mezzo. Il combattimento è accanito. Samohrab viene attaccato dagli
  altri, ma nuovamente quando uno di loro riesce a colpirlo al petto, la spada
  non taglia la carne. In un nuovo attacco Uboprvi
  viene colpito al cuore e poco dopo anche un altro dei giovani crolla sotto i
  colpi di Samohrab. Ruznimed
  ha infine la meglio sul suo avversario, cui taglia un braccio, poi gli infila
  la spada nel petto. Ubosnaz crolla a terra.
  L’ultimo dei giovani si volta per fuggire, ma Samohrab lo abbatte. Ruznimed raggiunge Ubomudar, che è ancora in ginocchio, e lo decapita. Samohrab
  si dirige verso di lui, senza badare a Ubosnaz, che
  crede morto. Mentre gli passa vicino, questi riesce ad alzare la spada.
  Ruznimed se n’è accorto. Grida: -
  Attento! In un
  balzo si mette tra Ubosnaz e Samohrab
  e trafigge il moribondo con la lama, ma ne riceve una piccola ferita al
  polpaccio. Samohrab
  lo guarda, stupito: - Perché
  ti sei messo in mezzo? Mi avrebbe preso solo di striscio. Non aveva più
  forza. Ruznimed
  sorride, un sorriso mesto. Scuote la testa. Samohrab si accorge che barcolla. - Che ti
  succede? Stai male? Non
  capisce: la ferita non è grave, è solo un graffio. Ruznimed
  annuisce. C’è un certo sforzo nella voce: - La
  spada è avvelenata. Se ferisce, dà sempre la morte. -
  Ruznimed! No! Samohrab
  sente un dolore violento, che gli toglie il respiro, gli scava dentro. Ruznimed
  sta scivolando a terra. Samohrab lo afferra e lo aiuta a stendersi.  - No,
  non è possibile! No! Ruznimed! Ruznimed
  sorride ancora. - Meglio
  così. Avrò la pace. Avrei sofferto… troppo… vedendoti… andare via. Samohrab gli stringe la mano,
  angosciato. - Non me
  ne sarei andato, no! Ruznimed, io ti amo. Il
  sorriso di Ruznimed si allarga: -
  Grazie… per questa bugia. - Non è
  una bugia, Ruznimed! Ma gli
  occhi di Ruznimed sono spenti. Il guerriero reclina la testa di lato e rimane
  immobile. Samohrab
  gli posa una mano sul petto. Sta piangendo. Rimane a lungo così, sentendo il
  calore svanire dal corpo del compagno. Infine
  rialza la testa. Non sa quanto tempo è passato. Deve seppellire il corpo di
  Ruznimed, dell’unico uomo che abbia mai amato. Non può lasciare che venga
  divorato dagli animali. Si alza e si guarda intorno alla ricerca di un posto
  adatto. Non ha una vanga, per cui dovrà scavare la fossa con la spada. Poco
  più in basso c’è uno spiazzo, dove l’erba è alta: se non ci sono massi sotto
  lo strato superficiale di terreno, potrà seppellire Ruznimed là.  Samohrab
  scende e incomincia a scavare, mentre le lacrime gli rigano nuovamente il
  viso. S’interrompe quasi subito, perché d’improvviso una grande ombra si
  proietta sul suolo. Samohrab alza gli occhi. È un’aquila enorme che cala sul
  luogo dove giacciono i corpi. Prima che il guerriero possa capire e reagire,
  l’aquila afferra il cadavere di Ruznimed e lo solleva. Samohrab corre
  velocemente verso l’animale, per ucciderlo: non vuole che il corpo sia
  divorato, vuole dargli sepoltura. Ma l’aquila è troppo rapida e già è in alto,
  fuori portata, il cadavere tra gli artigli. L’uccello
  si allontana, volando sopra il bosco più in basso. Samohrab lo vede calare.
  Non si è allontanato molto, forse riuscirà a raggiungerlo. Non farà in tempo
  a impedirgli di divorare il corpo, ma almeno vendicherà l’oltraggio subito da
  Ruznimed. Samohrab
  procede attraverso il bosco, che non è molto fitto. Cerca di mantenere la
  direzione, ma non è facile orientarsi tra gli alti alberi. Giunge infine
  in una radura. In piedi c’è un uomo, alto e forte. Ai suoi piedi Ruznimed,
  nudo, l’uccello duro. Samohrab ha l’impressione che il torace gli si alzi e
  gli si abbassi nella respirazione. È possibile…? - Ti
  aspettavo, Samohrab. - Chi
  sei? - Puoi
  chiamarmi Aquila. Sono uno di Coloro Che Ritornano.  Samohrab
  ha sentito parlare di queste creature. - Un
  immortale… - No,
  siamo mortali anche noi, ma ritorniamo in vita. E abbiamo il potere di
  riportare in vita chi è morto da poco. Samohrab
  guarda Ruznimed. Respira, sì, è vero, respira. - L’hai
  salvato! Grazie! - Non
  potevamo intervenire nella missione che avete compiuto: dovevate condurla a
  termine da soli. Ma ora che avete sventato il pericolo che minacciava tutti
  noi, possiamo aiutarvi. Io ora vado. Tornerò quando il sole sarà basso in
  cielo, per prendervi e portarvi al sicuro, lontano da queste terre. Appena
  ha finito di parlare, l’uomo si trasforma: le braccia diventano ali, le gambe
  zampe e in breve di fronte a sé Samohrab ha l’aquila che ha visto prima. In
  un attimo il grande uccello si alza in volo. Samohrab
  grida: -
  Grazie! Poi
  raggiunge Ruznimed e s’inginocchia al suo fianco. Ha nuovamente le lacrime
  agli occhi: da quanto anni non piangeva? Ruznimed
  dorme. Il torace si solleva e si abbassa. Samohrab contempla il corpo
  dell’uomo che ama: il viso, il torace, il ventre, dove i peli diventano una
  vera foresta, su cui batte il grosso cazzo, teso. Chissà che cosa sogna
  Ruznimed. È vivo! È vivo. Ruznimed
  apre gli occhi. Guarda Samohrab. Si mette a sedere di scatto. - Ma…
  com’è possibile? Sono vivo… Samohrab
  annuisce, cercando di fermare le lacrime che sente sotto le ciglia.  - Ti ha
  riportato in vita l’Aquila, uno di Coloro Che Ritornano. -
  Fantastico! Adesso capisco perché il culo mi fa un male terribile e il cazzo
  è duro come una pietra. Samohrab
  lo guarda, confuso. Ruznimed spiega: - Per
  riportare in vita qualcuno, Coloro Che Ritornano devono mettere nel suo corpo
  il loro seme e lo fanno… inculando. Sono molto dotati e ti assicuro che mi
  sembra di aver avuto un palo in culo. Il loro seme rende la vita, ma accende
  il desiderio, per questo ora sono così. 
   Samohrab annuisce. Gli sembra incredibile, ma ormai ha visto di tutto e non si stupisce. Quello che conta è che Ruznimed è vivo. - Mi spiace per il tuo male al culo, ma non mi sembra un prezzo troppo alto da pagare per essere di nuovo vivo. Quanto al cazzo… bisognerà fargli abbassare la testa, no? Ruznimed guarda Samohrab. Non dice nulla. C’è una domanda nei suoi occhi. Samohrab ha capito e ghigna. - Tornando al discorso di prima, non era una bugia. Mi sono innamorato di te, ma non sapevo come dirtelo. Sono un guerriero e non sono bravo con le parole. - Non ci posso credere. - Senti, testa di cazzo, è la seconda volta che mi dai del bugiardo. Se lo fai ancora, ti sfido a duello. - Davvero mi desideri? Samohrab gli prende la testa tra le mani e lo bacia. Un bacio lungo, appassionato, cui Ruznimed sembra prima cedere con riluttanza, ma cui infine risponde. Le sue braccia stringono Samohrab e i due guerrieri scivolano a terra. Quando le loro bocche si separano, Samohrab sorride e dice: - Finalmente! - Non mi sembra possibile. - Basta, adesso! Samohrab si stacca, si solleva e si spoglia rapidamente. Poi si mette a quattro zampe e voltando il capo verso il compagno, dice: - Bene, tu sei già pronto da un pezzo, adesso lo sono anch’io. - Sei sicuro… Samohrab lo interrompe: - Ancora una parola e ti piglio a calci. Ruznimed apre la bocca, ma un’occhiataccia di Samohrab lo blocca. Ride. S’inginocchia dietro di lui, gli morde il culo. - Che fai? Vuoi mangiarmi? - Magari, un po’ di fame ce l’ho… Le mani di Ruznimed corrono lungo il corpo del compagno, in carezze leggere, a tratti afferrano con forza, per poi tornare a sfiorare. Il desiderio incalza. Ruznimed s’inumidisce bene la cappella, poi bagna l’apertura e infine si stende su Samohrab. Avvicina il cazzo e lentamente lo fa avanzare. Samohrab prova dolore, ma anche un piacere intensissimo, molto più forte della sofferenza. Ruznimed
  sente che il corpo di Samohrab vibra, teso allo spasimo. Il desiderio cresce
  e il cazzo avanza nel corpo che lo accoglie con sussulti e gemiti strozzati. Ruznimed
  si ritrae e poi avanza di nuovo, in un movimento lento e continuo, che
  strappa a Samohrab altri gemiti di piacere. Dalle sue viscere sale un dolore
  violento, la sofferenza della carne forzata. Ma la sofferenza accresce il
  piacere che sale impetuoso e si diffonde in tutto il corpo, riempiendo il
  cazzo teso e il culo dilaniato. A
  lungo Ruznimed avanza e arretra. Sente di non avere mai goduto come ora e
  Samohrab dice la stessa cosa con i suoi gemiti, sempre più forti. La violenza
  del piacere sale ancora e li travolge: Samohrab urla, un grido che prorompe
  dalle sue viscere, gli riempie i polmoni e la gola e si proietta fuori, incontenibile,
  come incontenibile è il seme che sgorga dal suo cazzo e si sparge al suolo.
  Un urlo selvaggio, di piacere. E al grido di Samohrab fa eco un suono sordo,
  quasi un grugnito, di Ruznimed, che gli riempie il culo del suo seme.   Rimangono a lungo abbracciati e poi è il turno di Ruznimed di offrirsi. A lungo si amano, scambiando poche parole. Per parlare di ciò che non è il loro legame c’è tempo, ora è il momento di amarsi. Infine si staccano e si rivestono: non manca più molto. Più in alto, sul fianco della montagna gli avvoltoi calano numerosi: ci sono sette cadaveri da spolpare. Quando il sole è ormai basso, vedono in cielo la grande aquila. Disegna un cerchio intorno alla radura e cala. Non prende forma umana, ma la sua voce è quella di un uomo. - Salite su di me e tenetevi bene. Vi porterò alla fortezza di Dubokvoda, così non dovrete più attraversare queste terre selvagge, rischiando la vita. Là potrete acquistare dei cavalli e quello che vi serve, se volete proseguire il viaggio, o fermarvi. I due guerrieri salgono sul dorso dell’aquila. Samohrab le mette le mani intorno al collo. - Va bene così? - Sì, il volo sarà veloce, se vogliamo essere alla fortezza prima di notte, e dovete fare attenzione a non cadere. Ruznimed si stende su Samohrab e gli passa le braccia intorno al corpo. Samohrab ride. È bello sentire su di sé il peso del corpo di Ruznimed e le sue braccia che stringono. Contro il culo sente il grosso cazzo dell’amico che già acquista consistenza. - Ne approfitti, eh? - Perché no? L’aquila sbatte le ali, si solleva da terra e prende rapidamente quota. Sale roteando in giri che diventano più ampi, man mano che la valle si allarga. Ora ha raggiunto le cime e la temperatura è sempre più bassa. Samohrab, stretto tra il corpo dell’aquila e quello dell’amico, avverte il freddo soprattutto alle braccia e sul viso. Ruznimed ha la schiena gelata. L’aquila sale ancora un po’, fino a trovarsi più in alto delle vette, e poi punta verso sud-est. Il battito delle grandi ali è rapido e i due guerrieri vedono passare velocemente sotto di sé le propaggini orientali della catena. Al fondo delle valli scorgono a volte la massa verde di un bosco, ormai immerso nell’ombra, o un torrente. Presto le montagne diventano meno elevate e l’aquila si abbassa, fino a che si scorge la pianura coperta dalla grande foresta. Con un’altra serie di giri, l’uccello perde quota. Ora possono vedere la fortezza di Dubokvoda, che si erge maestosa vicino al fiume. Samohrab è contento che il volo stia giungendo al termine: è stanco e infreddolito. Infine l’aquila si posa in una radura del bosco, non lontano dalla roccaforte. Samohrab e Ruznimed scendono. L’aquila si rivolge a loro: - Vi conviene raggiungere la fortezza prima che chiudano le porte e non fermarvi a dormire qui: anche se ormai queste terre sono meno pericolose di un tempo, il rischio di fare cattivi incontri rimane alto. Ruznimed dice: - Grazie per avermi salvato e per averci portato fin qui. I due guerrieri si dirigono rapidamente verso la fortezza. La porta del recinto esterno è sorvegliata, come sempre, da quattro sentinelle. L’ufficiale che comanda il drappello si rivolge ai due nuovi arrivati. - Ditemi i vostri nomi. - Samohrab. - Ruznimed. L’ufficiale sorride. - Vedendo l’aquila posarsi nel bosco ho pensato che poteste essere voi. Il comandante vi aspetta. I due guerrieri si guardano stupiti: non pensavano di essere attesi. L’ufficiale li conduce attraverso lo spazio esterno, dove si trovano gli edifici per ospitare le carovane di passaggio, la locanda, alcuni negozi e botteghe artigiane, fino al recinto più interno. Alla porta si rivolge a un altro ufficiale: - I due guerrieri che il comandante attende, Zlatorat. - Perfetto, Boratni. Poi l’uomo si rivolge a loro: - Vi accompagno dal comandante. Attraversano il cortile interno e passano in un locale che serve come ufficio. Il comandante non c’è, per cui l’ufficiale manda un soldato a chiamarlo. Poco dopo vedono arrivare un uomo che deve aver superato i
  quarant’anni, calvo
  e con il volto sfregiato da una cicatrice che va dallo zigomo destro al
  mento.  - Io
  sono il comandante, Dvoboposte. Intanto arriva un uomo che ha forse pochi anni in meno di Dvoboposte, con un viso dai tratti regolari, barba e capelli neri. Il comandante lo fa accomodare di fianco a lui e lo presenta: - Questo è Muskinoc, il guaritore. Samohrab si chiede perché un guaritore debba assistere al colloquio, ma si dice che lo scoprirà. - Chi di voi è Ruznimed e chi Samohrab? I due guerrieri dicono i propri nomi. - Attendevo la vostra visita. So che avete compiuto una missione di grande importanza. - Noi invece non pensavamo di essere attesi. Come avete saputo della missione? - Muskinoc ha visioni del futuro e sapeva che sareste arrivati qua. Un guaritore che è anche veggente. Ma in queste terre oltre i confini occidentali non c’è da stupirsi di nulla. - Prima di tutto voglio farvi i complimenti. So che avete rischiato la vita e che siete riusciti a portare a termine il compito che vi è stato assegnato, nonostante tutte le difficoltà. - Diciamo che il grosso l’ha fatto Ruznimed. Io gli ho dato una mano. - Poi ci racconterete, se avete voglia. Io sono molto curioso. Anche Muskinoc, ne sono sicuro, ma non lo dice e poi un po’ ha già visto. - Volentieri. - Io ho fatto preparare una camera per voi, ma se preferite fermarvi alla locanda nella cinta esterna, naturalmente siete liberi di scegliere. Questa sera però siete invitati a cena. Samohrab e Ruznimed si guardano un momento. L’idea di avere una camera per loro è ottima: se c’è tanta gente alla locanda, possono dover dividere la stanza con altri. - Grazie, accettiamo ben volentieri l’invito a cena e l’ospitalità per la notte. Una campanella avvisa che è l’ora di cena. Durante il pasto i due guerrieri raccontano la loro missione. Dvoboposte fa loro i complimenti, poi dice: - Mi piacerebbe avervi qui alla fortezza, come guerrieri liberi o come ufficiali. Samohrab guarda Ruznimed, che si rivolge al comandante: - Comandante, io sono un figlio di Lilith. Dvoboposte sorride: - Lo so. Anche Muskinoc lo è, almeno in parte. Che cosa sia esattamente, non lo sa neanche lui. Qualche fottuto incrocio di stirpi. Muskinoc ride. - Credo di sì, ma almeno per metà sono un figlio di Lilith. Ruznimed, qui non ci sono pregiudizi nei confronti dei figli di Lilith. Dvoboposte prosegue: - Un po’ perché abbiamo a che fare con tante stirpi diverse e di certo non sono i figli di Lilith a darci problemi. E un po’ perché Muskinoc è un guaritore e tutti gli vogliono bene. Non occorre che decidiate ora: pensateci, parlatene tra di voi. Ma c‘è ancora una cosa che devo dirvi. Muskinoc… Dvoboposte s’interrompe e si rivolge a Muskinoc: - Diglielo tu. - Un pericolo incombe su Dubokvoda e su tutte le terre occidentali. Non ora, succederà tra un po’ di tempo, credo qualche anno. Voi due potete contribuire a sventare questa minaccia. Ma anche in questa impresa rischiereste la vita ed è giusto che lo sappiate. Samohrab direbbe subito di sì: gli piace la fortezza; il comandante e Muskinoc gli sono simpatici. È abbastanza sicuro che anche Ruznimed la pensi come lui, ma vuole prima parlargli. - Ne parliamo tra di noi questa sera. - Benissimo. Quando sono da soli in camera, Samohrab dice: - A me piacerebbe fermarmi, ma se non vuoi, non ha importanza. Ciò che conta più di tutto è rimanere con te. - Anche per me rimanere insieme è la cosa più importante. Mi fermerei volentieri qui, sai che era la mia intenzione, ma dipende da te. - Direi allora che è un’ottima sistemazione per tutti e due.  |