Samohrab si sveglia. Apre gli occhi e guarda il cielo. C’è una grande luna. Gli ci vuole un attimo per capire. Si mette a sedere di scatto. Ruznimed è di fianco a lui e lo sta guardando.

- Ma… come… io… Siamo morti tutti e due? Dove siamo?

- Non siamo morti, né tu, né io.

- Ma Valikurac ti ha decapitato.

- Sì, certo, ma non mi ha ucciso.

- Mi ha strangolato.

- Ma non ha ucciso nemmeno te.

- Non capisco.

- Cercherò di spiegarti. Io devo fermare Valikurac. Come forse tu sai, ci sono missioni che solo alcuni di noi possono compiere. Io sono stato destinato a questa e lui lo sapeva, perciò voleva a ogni costo uccidermi. Non osava affrontarmi direttamente, perché un indovino l’ha avvertito che potrei ucciderlo, perciò si è servito di te per uccidermi a tradimento.

- Sì, questo lo so, me lo ha detto lui prima di uccidermi. Ma quello che non capisco è che siamo entrambi vivi. Lui ti ha decapitato.

- Sono protetto da un talismano, che mi è stato donato proprio per compiere questa missione. Non mi ha davvero ucciso, anche se mi ha decapitato.

E mentre lo dice, Ruznimed s’infila una mano sotto la tunica e ne estrae un ciondolo attaccato a un legaccio di cuoio: è una piccola pietra che appare incolore, ma non appena il guerriero la tocca, diventa iridescente e proietta tutt’intorno i suoi colori. Samohrab lo fissa, affascinato, poi osserva:

- Ed io? Io non ho nessun talismano, eppure sono qui, vivo. Se non è stato tutto un sogno.

- No, sei vivo, perché quando sei venuto a parlarmi, ho esteso la protezione del talismano anche a te. Nessuno di noi due ha passato la prima soglia, per cui ci siamo ridestati senza essere davvero morti.

Samohrab è perplesso. Come ci si può ridestare quando la propria testa è due passi più in là rispetto al collo? Ma questi sono dettagli. Altro gli preme ora:

- Ma se sapevi che lui voleva ucciderti, perché hai lasciato che lo facesse?

- Perché tu non mi avresti creduto se ti avessi raccontato la verità e avresti cercato di fermarmi. Ed io avevo bisogno di te. Valikurac non ti ha scelto, anche se lui non lo sa: la decisione di servirsi di te era scritta nel suo destino. Tu hai un ruolo in questa missione e la sconfitta di Valikurac dipende anche da te. Siamo noi due che dobbiamo fermarlo.

- Non riesco a capire.

- Ero sicuro che ti avrebbe ucciso dopo aver ucciso me, perché ormai non gli servivi più. Questo ti avrebbe fatto capire qual era la verità. Ed io ti avrei avuto come alleato.

Samohrab riflette un momento. Ciò che Valikurac gli ha detto prima di ucciderlo conferma in pieno le parole di Ruznimed. Mormora:

- Sono stato davvero un coglione. Una testa di cazzo, come dice Valikurac. Ha ragione.

Ruznimed sorride.

- Lui ha avuto buon gioco a ingannarti: tu sei leale e lui ha giocato su questo per farti pensare che anche lui lo fosse. C’è anche un altro motivo per cui è riuscito a farti credere a ciò che raccontava: ha particolari poteri. Ma te lo spiegherò meglio se riusciremo a portare a termine la nostra missione.

- Fermarlo e impedirgli di impadronirsi di una delle Pietre Arcane...

- C’è un unico modo di fermarlo: ucciderlo. Lo affronterò in duello.

- È fortissimo. Non mi ero mai battuto con un avversario forte come lui.

- La sua forza, come la sua capacità di ingannare, ha in parte un’origine non naturale, ma con me non gli serviranno. Ci misureremo ad armi pari.

Samohrab rimane un momento pensieroso, poi dice:

- Non dovremmo cercare di raggiungerlo, adesso? Non so quanto tempo sia passato, ma non credo che si sia allontanato molto.

- Non ora. Non siamo stati uccisi, ma i nostri corpi hanno bisogno di riprendersi. Io sono ancora debole e tu, anche se non te ne rendi conto, hai perso gran parte della tua forza. Non abbiamo fretta. Lo raggiungeremo domani o nei giorni successivi. Hai altre domande?

Samohrab lo guarda.

- Ho una tale confusione in testa che non saprei da che parte incominciare. Ma credo di aver capito l’essenziale.

- Allora stendiamoci per riposare. Se ti viene qualche altra domanda, me la puoi fare. Credo che per entrambi il sonno non arriverà subito. Essere decapitati o strangolati scombussola un po’. Ma stare distesi ci aiuterà comunque a rimetterci in sesto e poi ci addormenteremo.

- Non dovremmo fare i turni di guardia?

- Siamo protetti dal talismano che porto. Nessuna forza ostile può vederci. Escludo che Valikurac torni indietro: lui può vederci, ma in questo caso il talismano mi avviserebbe.

Si stendono, mentre il fuoco si sta spegnendo.

Samohrab non ha sonno, nonostante la stanchezza della giornata di marcia: troppe cose sono successe in queste ultime ore. Ruznimed gli dice:

- Non riesci a dormire, vero?

- No.

- Allora raccontami un po’ di te, Samohrab.

Samohrab racconta la sua vita, fino all’ultima disperata resistenza e all’incontro con Valikurac.

- Lui ti ha proposto subito questa missione?

- No, o meglio, sì, ma inizialmente non voleva dirmi di che cosa si trattava ed io non volevo impegnarmi senza saperlo, per cui ho rifiutato. Allora mi ha liberato, dandomi un cavallo, armi e un po’ di monete.

- Astuto da parte sua. Tutto calcolato per convincerti che era leale e generoso.

- Ed io ci sono cascato in pieno.

- È naturale, ma, come ti ho detto, è riuscito a ingannarti anche grazie a poteri che possiede.

C’è un momento di silenzio, poi Samohrab dice:

- Questo è tutto. Vuoi raccontarmi un po’ di te, Ruznimed?

- Sono un figlio di Lilith, ma sono stato allevato in una tribù di figli di Eva nel regno di Brujekal. A diciassette anni, quando al termine dell’addestramento si diventa guerrieri, dovetti lasciare il villaggio, per problemi… personali. Scusa, ma preferisco non parlarne. Divenni un guerriero libero, mettendomi al servizio delle cause che mi sembravano giuste. Ho combattuto spesso, spostandomi da una città all’altra, da un regno all’altro.

- Non hai mai desiderato fermarti?

- Mi sarebbe piaciuto stabilirmi in un villaggio, entrare a far parte di una tribù, magari avere un compagno, … ma sono un figlio di Lilith e i figli di Eva mi guardano con diffidenza. Di certo non sono attraente e... insomma, vivo da solo e non so se sarei capace di vivere sempre nello stesso luogo con qualcuno, posto che qualcuno possa mai desiderare di condividere la mia vita.

- Non ti pesa la solitudine?

- A volte sì, ma devo dire che questa assoluta indipendenza ha anche dei vantaggi.

- Capisco. Se riusciremo a portare a termine questa missione e a sopravvivere, mi dovrò abituare anch’io a questa vita: non posso certo tornare nel regno di Sjevekral.

Samohrab ride e aggiunge:

- Se vuoi guadagnare venti monete d’oro, puoi consegnarmi all’usurpatore, ma ti prego di ammazzarmi prima: preferirei evitare di finire impalato.

- Troverai facilmente un re o un nobile al cui servizio puoi metterti, Samohrab: sei un guerriero forte e valoroso. E non sei un figlio di Lilith. Ti farai degli amici. E poiché sei un gran bell’uomo, troverai facilmente una donna o un compagno con cui dividere la tua vita.

Samohrab non ha mai avvertito il desiderio di vivere con qualcuno. Aveva i suoi compagni, molti dei quali erano suoi amici. Gli è capitato di desiderare donne e uomini e non ha mai avuto difficoltà a trovare qualcuno con cui scopare: come ha detto Ruznimed, è un bell’uomo. Avverte invece che Ruznimed patisce l’isolamento in cui vive.

- Perché non sei tornato tra la tua gente, Ruznimed, tra i figli di Lilith?

Ruznimed esita un attimo, poi risponde:

- Non potevo, non posso. Scusa, preferisco non parlarne. Mi fa male.

- Scusami tu, non volevo proprio destare ricordi dolorosi.

Dopo un momento di pausa, Samohrab riprende:

- Diciamo che ricominciare da capo non sarà facile, ma in qualche modo farò: probabilmente hai ragione tu e troverò facilmente qualche signore al cui servizio mettermi. In ogni caso devo uscire vivo da questa impresa. E non è detto che ce la facciamo.

- No, non è detto. Valikurac è un nemico pericoloso. E un altro pericolo ci attende se riusciamo a ucciderlo.

- Come sai queste cose?

- Un veggente mi disse che toccava a me compiere questa missione e mi avvertì dei pericoli.

- Fu lui a darti il talismano che ti protegge?

- Sì.

Di veggenti e talismani, Samohrab ha spesso sentito parlare, ma non ha nessuna esperienza diretta. Spesso era molto dubbioso su ciò che sentiva raccontare da alcuni: gli parevano storie inverosimili, raccontate solo per intrattenere gli altri o per ingannarli. Ma dopo essere stato ucciso senza morire, tutto gli sembra possibile. 

- Quando hai saputo di questa missione?

- Due settimane fa. Mi stavo dirigendo alla fortezza di Dubokvoda. Mi chiedevo se mi avrebbero preso tra i soldati, anche se sono un figlio di Lilith.

- Perché proprio lì?

- Perché conosco queste terre e ho esperienza delle diverse stirpi che le abitano. Potrei essere utile. E poi ho avuto modo di parlare con uno degli ufficiali. Mi piace come vivono lì. Pensavo che avrei potuto provare a fermarmi. Sento il bisogno di un po’ di stabilità, dopo quasi vent’anni spesi a vagabondare da solo.

- E hai incontrato l’indovino.

- Non è un indovino, è un veggente. E non l’ho incontrato: mi ha chiamato a sé. Ho sentito che dovevo dirigermi in cima a una collina, dove lui mi aspettava.

Samohrab non sa bene qual è la differenza tra un indovino e un veggente, ma gli sembra inutile chiedere una spiegazione ora. Osserva invece:

- Al termine della missione, se non falliamo, potrai fermarti alla fortezza. Sapendo del tuo ruolo in questa missione, ti prenderanno senz’altro.

- Il veggente mi ha detto che al termine di questa missione troverò la pace.

Samohrab sta per dire che è una bella cosa, ma ci ripensa e tace: trovare la pace può anche essere sinonimo di morire, è un’espressione che si usa spesso con quel significato. Il silenzio si prolunga e per interromperlo dice:

- Vedremo che cosa succederà.

- Sì, vedremo.

Parlano ancora un momento, poi si addormentano.

 

Quando Samohrab si sveglia, vede il sole già alto in cielo e Ruznimed accanto a lui. Si mette a sedere.

- Devo aver dormito parecchio.

- Ne avevamo bisogno entrambi. Dopo essere stati decapitati o strangolati, ci vuole un momento per riprendersi. Anch’io mi sono svegliato da poco.

Mentre mangiano, Samohrab chiede:

- Adesso dobbiamo raggiungere Valikurac. Tu sai dove si è diretto, vero?

- Valikurac prosegue per questa strada. Vuole raggiungere le miniere abbandonate di Rozpac, dove si calerà. Esiste una via sotterranea che lo porterà alla dimora di una delle Grandi Forze, il Signore del Fuoco.

- Vuole prendere la Pietra Arcana del Fuoco? Mi sembra una follia.

- Lo è, ma è scritto che un giorno qualcuno riuscirà a sottrarre al Signore del Fuoco la sua Pietra Arcana e Valikurac è convinto di essere l’uomo destinato a questa impresa.

- Ma il Signore del Fuoco non starà in guardia, conoscendo questa profezia?

- Il Signore del Fuoco confida nella sua potenza e questo forse lo rende meno attento: il Fuoco è una Grande Forza, ma è incostante e imprevedibile. Noi dobbiamo fermare Valikurac prima che riesca a impadronirsi della Pietra Arcana. Dopo non ci sarebbe più possibile: il suo potere ci annienterebbe senza difficoltà.

- Allora dobbiamo raggiungerlo. Ma ormai deve avere un buon vantaggio.

- So come fare. Il veggente mi ha indicato una via da percorrere. Correremo meno rischi e arriveremo prima di lui in un punto dove deve passare.

Samohrab annuisce. Poi chiede:

- Dimmi una cosa, se lo sai. Valikurac mi ha fatto seguire un percorso accidentato, per non farsi scoprire. Diceva che qualcuno voleva fermarlo.

- In effetti, qualcuno vuole fermarlo.

- Qualcun altro… che è dalla nostra parte, allora! Un possibile alleato.

- No, qualcuno che forse ha le stesse intenzioni e che in ogni caso vuole uccidere Valikurac per impadronirsi di ciò che lui ha.

- Che cosa?

- Le pietre della possanza che sono in lui.

- Mi aveva parlato delle pietre della possanza, ma lui mira alle Pietre Arcane.

- Certo. Dopo essersi impadronito di alcune pietre della possanza, ha perso ogni freno. La sua ambizione è sconfinata. E questo lo perderà. Ma ora andiamo.

Si mettono in cammino, seguendo lo stesso sentiero del giorno precedente. Il terreno degrada lentamente. La foresta in cui si muovono diventa sempre più fitta e cambia completamente: gli alberi sono vicini gli uni agli altri, i loro tronchi sono spesso coperti da altri vegetali, dai rami pendono liane, le chiome sono molto più ampie e ricche di foglie; il sottobosco è rigoglioso. Seguire il sentiero diventa più difficile, perché a tratti la vegetazione copre ogni traccia. Il caldo è opprimente, anche se ora la luce del sole non arriva più al suolo e si muovono sempre nell’ombra. Samohrab si rende conto di aver cominciato a sudare. Si toglie il mantello che indossa.

- Stai portandomi direttamente nella dimora del Signore del Fuoco?

Anche Ruznimed si è tolto la giacca. Ride e dice:

- No, anche se la direzione è questa. La montagna sulla nostra destra è un vulcano e nelle sue viscere scorrono fiumi di roccia fusa. Anche qui, sotto di noi, ci sono rivoli di lava che scaldano il terreno. Se provassi a camminare a piedi nudi, te ne accorgeresti.

Man mano che procedono, Samohrab avverte la stanchezza. Sono partiti tardi e non hanno fatto tanta strada: in condizioni normali non sentirebbe la fatica, ma il calore ormai è insopportabile. Anche la sete lo tormenta: ha finito l’acqua e non hanno più trovato un torrente a cui bere.

Da tempo procedono a torso nudo, ma rivoli di sudore scorrono sui loro petti, fino alla cintura. Samohrab si passa spesso il braccio sulla fronte, per detergere il sudore che gli cala fino alle sopracciglia.

Ruznimed si ferma e si volta verso il compagno.

- Qui lasciamo il sentiero e prendiamo un’altra via. Troveremo l’acqua, di cui abbiamo bisogno.

- Ottima notizia.

- Potremo perfino bagnarci.

- Fantastico.

Di colpo Ruznimed si tende, guardando alle spalle di Samohrab.

- Attento! Un kuz-pine.

Ruznimed sguaina la spada e Samohrab lo imita, mentre si volta: non sa che cosa sia un kuz-pine, ma si tratta evidentemente di una minaccia. L’essere che appare assomiglia a un uomo, con una testa molto grande e un’ampia bocca dai cui angoli spuntano quattro lunghe zanne. Le braccia gli arrivano fino alle ginocchia e le mani terminano in artigli.

Con un verso animale l’essere si getta su di loro, le braccia protese. Samohrab abbassa la spada, colpendo gli arti, ma la lama non taglia. Gli artigli stanno per lacerargli il petto, quando la spada di Ruznimed si abbatte sulle braccia, recidendo entrambe le mani: dai moncherini sgorga abbondante un liquido nero, il cui odore pestilenziale si diffonde tutt’intorno.

Il kuz-pine lancia un urlo acutissimo, ritrae le braccia e si guarda allibito i due moncherini. Ruznimed si lancia in avanti e gli infila la spada nello stomaco, poi indietreggia rapidamente. Con un altro urlo lancinante, l’essere si abbatte al suolo.

- Scostati, Samohrab. Attento a non toccare il sangue.

Ruznimed e Samohrab si allontanano di alcuni passi. La creatura rantola e poi rimane immobile, mentre il liquido nero continua a uscire dalle ferite, allargandosi in una grande pozza.

- Perché ci ha attaccati?

- Perché i kuz-pine si cibano di carne umana. Si accontentano anche di altri animali ma un figlio di Eva è il massimo. Per quello ha attaccato subito te. La carne dei figli di Lilith è una seconda scelta.

C’è un sorriso beffardo sul volto di Ruznimed. Samohrab sorride. Si rende conto di trovarsi bene con questo figlio di Lilith.

- Perché la mia spada non gli ha tagliato le braccia?

- I kuz-pine sono fatati: nessuna spada può ferirli.

- E perché tu ci sei riuscito?

- Questa lama è stata forgiata nelle officine di Noz. Non c’è incantesimo che valga contro un’arma come questa.

Samohrab annuisce, mentre Ruznimed pulisce la lama della spada contro un tronco e poi completa l’opera con alcune foglie. Ha ancora una domanda:

- Perché mi hai detto di stare lontano dal suo sangue?

- È molto velenoso. Può anche penetrare attraverso la pelle.

Samohrab annuisce. Ruznimed dice ancora:

- Ora andiamo. Ti ho promesso l’acqua e anch’io ho la gola che arde.

Ruznimed lascia il sentiero e si dirige verso il fianco della montagna. Avanzano a fatica tra la fitta vegetazione, ma la distanza è ridotta. Ora sono ai piedi di una parete rocciosa, che incombe su di loro, perfettamente verticale. Non c’è nessun appiglio e Samohrab si chiede se dovranno arrampicarsi. Non saprebbe davvero come fare.

Ruznimed si guarda intorno, poi si sposta lungo la parete fino a un punto in cui due rocce sporgono.

- Ecco, qui è la porta.

Tra le due rocce però la parete è perfettamente liscia. C’è solo una piccola rientranza, dove non si riuscirebbe a infilare nemmeno una mano. Ruznimed prende il talismano che porta al collo e, mentre la luce multicolore si diffonde intorno a loro, lo inserisce nella rientranza. Tra le due rocce si apre una porta.

Davanti a loro appare un corridoio, che permette appena il passaggio di una persona per volta. Il pavimento è di pietra e pare perfettamente liscio. Sulla sinistra c’è una sporgenza all’altezza dei fianchi. Ruznimed indica la sporgenza.

- Metti la mano qui: servirà come guida. Non ci sono ostacoli o irregolarità, per cui anche nel buio non dovremmo avere difficoltà.

Samohrab esegue e fa due passi in avanti. Ruznimed ritira il talismano ed entra. Non appena sono entrambi dentro, la porta si richiude e l’oscurità diventa completa.

- Procediamo.

Ruznimed passa avanti e si avviano. Il corridoio è in leggera salita, con un’inclinazione costante, e il suolo non presenta ostacoli o asperità di nessun tipo: procedono spediti, senza difficoltà, tenendo la mano sulla sporgenza. Chi ha scavato questa galleria ha fatto un lavoro accurato.

Camminano a lungo. Non fa più il caldo soffocante della foresta, ma la sete li tormenta.

A un certo punto a Samohrab pare di scorgere un chiarore in lontananza.

- C’è una luce, Ruznimed?

- Sì. Stiamo avvicinandoci alla sala, dove troveremo l’acqua.

Man mano che avanzano l’oscurità diventa meno fitta. Ora Samohrab può scorgere davanti a sé la sagoma scura del compagno. In lontananza si sente il rumore dell’acqua che scorre. A Samohrab pare che la sua gola arda.

Il chiarore aumenta e il corridoio si apre in una larga sala. La luce proviene da un’apertura in alto: non è una luce forte, ma per i loro occhi abituati all’oscurità è più che sufficiente. Ci sono tre passaggi che partono dalla sala, oltre a quello da cui sono arrivati loro.

Dall’interno della montagna cola una cascata, le cui acque formano una grande pozza.

Ruznimed si spoglia in fretta, poi si mette sotto la cascata e con le mani a coppa raccoglie l’acqua che beve avidamente. Samohrab lo guarda. Il corpo è forte, ma molto villoso. Anche Samohrab ha una buona quantità di peli, ma non così fitti e scuri. Lo sguardo scende sotto l’intrico di peli del ventre. Il cazzo è grosso, non lungo come quello di Valikurac, ma alquanto voluminoso. C’è qualche cosa di animale in Ruznimed.

- Non avevi sete? Ci stiamo in due.

Samohrab si riscuote. Si spoglia in fretta e si mette anche lui sotto la cascata. L’acqua è fresca, ma non gelida, e stare sotto il getto è piacevole. Poter infine bere è bellissimo.

Quando ha bevuto a sufficienza, Ruznimed si stacca e s’immerge nella pozza. È profonda e abbastanza ampia da permettere di nuotare.

Samohrab lo imita.

- Che meraviglia! Ma possiamo davvero fermarci un momento? Non dobbiamo raggiungere Valikurac?

- Valikurac deve fare un lungo giro per arrivare dove noi lo aspetteremo: deve scendere nella valle che stavamo percorrendo, salire su una montagna e poi scendere dall’altra parte, dove troverà la porta che cerca. Questa via è diretta e arriveremo prima di lui.

- È stato il veggente a indicartela?

- Sì. Anche se conoscevo già queste terre, non sospettavo che ci fosse questo passaggio. Comunque adesso è ora che usciamo, non per muoverci, ma perché tra non molto sarà buio. Mangiamo qualche cosa e poi ci stendiamo a dormire.

Quando si stendono, Ruznimed spiega che cosa li aspetta.

- Domani scenderemo attraverso il pozzo. Fa’ attenzione a non perdere la presa, perché ti sfracelleresti. Al fondo del pozzo troveremo un’ampia sala e lì aspetteremo Valikurac.

- Lo affronteremo lì?

- Lo affronterò solo io. Tu non c’entri.

- Non capisco. Non dicevi che io ero importante in questa missione?

- Sì, ma so che devo affrontarlo io. Non so quale sia il tuo ruolo. Forse era solo quello di accompagnarmi.

Samohrab è perplesso. Non insiste, perché è Ruznimed a sapere quello che devono fare. E affrontare in due un avversario non gli sembrerebbe leale, anche se Valikurac è stato sleale.

 

Quando Ruznimed lo sveglia, Samohrab vede una tenue luce. Si rivestono e raggiungono uno dei passaggi. Man mano che procedono il buio diviene più fitto e presto si trovano nuovamente a camminare nell’oscurità più completa.

- Ecco. È qui. Fa’ molta attenzione, ora.

Samohrab non sa a che cosa deve fare attenzione. Ruznimed gli prende un polso.

- Vieni, piano.

Fanno pochi passi.

- Ora fermo. Non ti muovere per nessun motivo.

Ruznimed gli lascia la mano. Poco dopo la riprende.

- Chinati, qui. In ginocchio.

Samohrab esegue. Ruznimed gli guida la mano un po’ avanti, dove Samohrab sente uno scalino.

- Qui incomincia il pozzo. Sono tantissimi gradini. Non so quanti. Ci vorranno ore. Non cedere, per nessun motivo.

Ruznimed gli tira la mano, fino a portarla a una sbarra di ferro.

- Ecco, questo è il primo gradino. Tieni la mano lì, mentre io mi calo.

Ruznimed lo lascia e poco dopo riprende;

- Ecco, io sono sulla scala. Adesso mi calo.

Dopo un momento riprende:

- Adesso tocca a te.

Samohrab con la mano controlla la dimensione della sbarra che serve come primo gradino, poi, muovendosi con molta cautela, si volta e si cala nel pozzo fino a mettere i piedi su un’altra sbarra. Incomincia poi a scendere. Le sbarre sono tutte alla stessa distanza e questo rende la discesa più semplice, per quanto faticosa.

Ogni tanto Ruznimed gli chiede, pianissimo:

- Tutto bene?

 - Sì.

Continuano a scendere. Samohrab non saprebbe dire da quanto tempo scendono: gli sembra che siano trascorse ore e ore. Le braccia gli fanno male, ma sa che se mollasse la presa, si schianterebbe al suolo.

Infine Ruznimed sussurra:

- Siamo alla fine.

Samohrab è contento di sentirlo.

Poco dopo i suoi piedi toccano terra. Sono immersi nel buio, ma l’oscurità non è completa: in lontananza c’è un chiarore. Samohrab però non è in grado di vedere che cosa c’è intorno.

- Dove siamo?

- In una grande sala sotterranea, completamente spoglia.

- Come sai che è spoglia?

- Lo vedo.

- Tu vedi? Ah, già…

Samohrab si era scordato che i figli di Lilith vedono piuttosto bene al buio.

- Ora non ci rimane che attendere. Credo che Valikurac arriverà prima di sera. Dobbiamo essere pronti, ma tu non puoi combattere.

- Sì, me l’hai detto, anche se non capisco il perché.

- Non so dirtelo, Samohrab. Seguo le indicazioni del veggente.

Si siedono a terra, vigili e silenziosi.

 

Sono passate alcune ore quando a distanza vedono una fiamma che sembra avanzare. Quando si avvicina, possono vedere che è una torcia, alla cui luce appare il viso di Valikurac.

Ora che Valikurac è più vicino, Samohrab può vedere lo spazio in cui si trovano. Non è molto grande e deve essere stata scavato nella roccia da un torrente, che ha lasciato sul suolo ghiaia e sabbia e qualche sasso più grosso. Ora c‘è solo un rivolo che forma una piccola pozza d’acqua. Ruznimed sguaina la spada e fa un passo avanti. Valikurac si ferma. Lo guarda, incredulo.

- Ruznimed? Non è possibile! Io ti ho ucciso.

- Sì, a tradimento. Ma come vedi, sono vivo e ora regoliamo i conti.

- Merda! Ti ucciderò, Ruznimed. E questa volta non ritornerai in vita.

Valikurac appoggia la torcia alla parete, si toglie il mantello e sguaina la spada. In quel momento si accorge della presenza di Samohrab.

- Anche tu qui, vivo, testa di cazzo? In due mi attaccate? È questa la vostra lealtà?

Ruznimed ride:

- Credo che tu sia l’ultimo uomo al mondo a poter parlare di lealtà, Valikurac. Ma Samohrab non prenderà le armi contro di te.

- Lo considero un impegno.

Senza dire altro Valikurac si scaglia su Ruznimed, forse sperando di prenderlo di sorpresa. È furente, ma i suoi movimenti sono controllati: anche se non ha mai affrontato il suo avversario, sa che per lui costituisce una minaccia mortale.

Ruznimed stava in guardia e para il colpo. Non attacca, limitandosi per un buon momento a difendersi. Samohrab ha l’impressione che i colpi di Valikurac non abbiano la stessa forza di quando ha combattuto contro di lui, ma non capisce come sia possibile.

Il combattimento procede a lungo. Alla luce delle torce Samohrab può vedere che i corpi si coprono di una patina di sudore. Valikurac è chiaramente in difficoltà: tutti i suoi attacchi vengono respinti. A un certo punto si trova contro la parete. Si getta a terra, raccoglie una manciata di sabbia e ghiaia e la lancia sul viso di Ruznimed, mentre rotola via. Ruznimed, accecato, balza indietro.

Valikurac si rialza, sicuro della vittoria: il suo avversario non riesce a vedere e prima che sia riuscito a pulirsi gli occhi, sarà un uomo morto.

Samohrab è rimasto paralizzato, ma poi agisce rapidamente: l’impegno preso gli impedisce di attaccare Valikurac, anche se questi non è stato leale. Allora stacca la torcia dalla parete e la getta nell’acqua. La sala sprofonda nel buio. Solo un debole chiarore rimane un attimo dove la torcia si sta spegnendo.

- Merda!

Valikurac non sa più dove si trova Ruznimed. Questi ha visto la luce sparire e ha capito. Cerca di pulirsi gli occhi.

- Samohrab, maledetto! Ora ti ammazzo.

Valikurac balza nella direzione in cui Samohrab si trova: ha visto dov’era quando ha buttato la torcia e non può essere lontano. Samohrab ha sguainato la spada, ma non vede nulla.

Ruznimed invece ha recuperato la vista. Valikurac sta avvicinandosi a Samohrab. Ruznimed si getta tra di loro e grida:

- Sono qui.

Valikurac alza la spada, ma prima che possa calarla, la lama di Ruznimed affonda nel suo corpo, fino a uscire dalla schiena, Valikurac barcolla. La sua arma cade a terra.

- No! No! No! Maledetto bastardo… maledetto…

Ruznimed solleva la spada e la cala deciso sul collo del moribondo, recidendogli la testa.

- L’hai ucciso?

- Sì, Samohrab. Abbiamo compiuto la missione. Ora possiamo fare un po’ di luce.

La torcia è inutilizzabile, ma Ruznimed accende una candela, che illumina lo spazio in cui si trovano.

Samohrab guarda il cadavere di Valikurac. Scuote la testa. Ruznimed gli dice:

- Non possiamo rimanere qui a lungo, ma prima di andarcene dobbiamo fare alcune cose. Ti ho parlato delle pietre della possanza. Ora te le farò vedere.

Appoggia la lama alla base del collo del cadavere e la fa penetrare due dita. Poi la punta scorre, aprendo la carne dal collo all’ombelico. Ne escono tre pietre che, nonostante siano sporche di sangue, mandano bagliori alla debole luce della candela.

Con la punta della spada Ruznimed indica la pietra che stava più in alto:

- La pietra verde della vita, che rende il corpo invulnerabile a ogni ferita.

- Ma… tu l’hai ucciso.

- Questa lama è stata forgiata nelle officine di Noz, te l’ho detto. Non c’è sortilegio che valga contro un’arma come questa. Valikurac pensava di essere invulnerabile, ma nessun incantesimo protegge contro qualsiasi arma. Perfino Coloro Che Ritornano sono soggetti a morire, anche se poi ritornano in vita.

Samohrab annuisce.

- E le altre pietre?

- Questa rossa, posta sotto l’ombelico, è la pietra della forza. Se hai combattuto contro di lui, sai che aveva una forza prodigiosa. Era senz’altro un uomo molto robusto, ma questa pietra potenziava il suo vigore: il mio talismano ha annullato il suo effetto; se così non fosse stato, Valikurac avrebbe potuto battermi. La pietra bianca, posta alla base dello sterno, è la pietra della conoscenza. Non è una delle più potenti, ma permette di riconoscere le armi fatate, i talismani e i veleni e di leggere nella natura degli altri.

- È incredibile. Quanti poteri riuniti in lui. Per questo pensava di poter ottenere una delle Pietre Arcane. Non era più un uomo come gli altri. La sua natura si era profondamente trasformata.

- Sì. E credo che proprio questo lo abbia portato a diventare temerario e a lanciarsi in un’impresa folle. Ogni pietra che acquistava lo rendeva più sicuro di poter ottenere tutto ciò che voleva.

- Mi aveva detto che qualcuno voleva impadronirsi di una delle Pietre e forse di più d’una. Parlava di sé. Non avevo sospettato. Queste tre pietre…

Samohrab non completa la frase.

- Ce ne sono ancora altre.

- Altre? Dove?

Ruznimed non risponde: si limita ad appoggiare la punta della spada alla base del membro e a premere. Dal taglio esce un’altra pietra, di un colore blu scuro, con riflessi più chiari.

- La pietra della prestanza.

- È quella che lo rendeva così virile?

- Questa pietra fa crescere le dimensioni del sesso. Non aumenta la potenza sessuale, che è invece nelle due pietre gemelle.

E mentre lo dice, incide i due testicoli, da cui escono due sfere che sembrano d’oro.

- Ecco, queste sono le pietre del piacere. Danno vigore sessuale, rendono capaci di soddisfare qualsiasi uomo o donna o altro essere e accendono il desiderio. Ne basta una, di solito, ma chi ne ha due esalta la propria virilità.

Ruznimed ride e dice:

- Persino un drago godrebbe, anche se dubito che un drago si lasci possedere da un uomo.

- Mi sembra incredibile.

- Anche con una sola di queste pietre ogni rapporto, perfino il più doloroso, genera un piacere intenso.

- Per quello…

Samohrab si ferma. Stava per dire che per quello Valikurac gli si è offerto e ha goduto, ma preferisce non parlarne.

Ruznimed però ha capito.

- Per quello poteva offrirsi e godere. Persino se un Solitario lo avesse stuprato, nonostante il dolore, avrebbe goduto, mentre moriva.

Dopo un momento di pausa, Ruznimed dice:

- C’è ancora una pietra.

- Come lo sai? Come facevi a sapere che aveva tutte queste pietre dentro il suo corpo?

- Il talismano che porto al collo mi segnala la loro presenza.

Ruznimed raccoglie le sei pietre con la mano sinistra, poi con il piede rovescia il cadavere sulla pancia e gli allarga le gambe. La punta della spada incide la carne tra i testicoli e l’apertura. La settima pietra che ne esce è una sfera d’argento.

- Questa è la pietra dell’inganno. Rende molto difficile diffidare di chi la porta, anche quando ordisce inganni. È il motivo per cui è riuscito a ingannarti. La pietra stessa gli ha suggerito come doveva comportarsi.

Samohrab appare perplesso:

- Credo che a questo abbia contribuito il mio essere una testa di cazzo.

Ruznimed ride.

- Valikurac ha commesso diversi errori e anche il suo giudizio su di te era sbagliato.

Ruznimed raccoglie l’ultima pietra, poi le lava tutte nella pozza. Ora splendono al lume della candela e Samohrab ha difficoltà a distogliere lo sguardo.

- Le pietre esercitano il loro potere su di te, ma non possono piegarti, perché tu sei un uomo giusto.

- È vero che mi sento attratto da loro. Queste pietre hanno ancora il loro potere? Se qualcuno ora le prendesse, potrebbe usarne la forza?

- No, queste pietre sono state usate da un uomo. Io le ho conquistate uccidendo Valikurac e solo io posso usarle o donarle. Se qualcun altro le prendesse a forza o con l’inganno, non farebbero effetto. Neanche se mi uccidesse per prenderle, perché non sono dentro di me ora. Ma se me le mettessi e tu mi uccidessi, potresti inserirle nel tuo corpo ed esse avrebbero effetto su di te.

Samohrab scuote la testa. Poi ride e dice:

- Allora aspetterò che tu te le sia messe per ucciderti.

Anche Ruznimed ride e poi dice:

- Quali di queste pietre ti piacerebbe avere?

- Che strana domanda! Quella della conoscenza, credo, perché non so nulla di queste terre dove mi trovo e sarei curioso di saperne di più.

- E poi?

- Sono tutte interessanti, a parte quella dell’inganno e quella… come l’hai chiamata? Della prestanza? Non è che m’interessi averlo più lungo. Delle altre, non so. Quella che dà forza, no, non mi sembrerebbe leale. Valikurac mi vinse grazie alla pietra, ma questo è scorretto. L’invulnerabilità… anche questo non mi sembra leale: quando affronti un avversario senza rischiare, che razza di combattimento è? Forse una delle pietre gemelle non mi spiacerebbe.

Ride ancora, un po’ imbarazzato. Ruznimed annuisce. Poi dice:

- Spogliati e stenditi.

Samohrab guarda Ruznimed. È rimasto spiazzato.

- Perché?

- Perché hai contribuito a stornare una grave minaccia e hai diritto a una ricompensa. Riceverai alcune di queste pietre.

- Non intendi mettertele tu?

- No, Samohrab. Non tutte, certo. Non sono così folle. Per quanto il mio spirito sia forte e non incline all’ambizione o al male, so che tutte insieme cambierebbero la mia natura. Forse mi convincerei di poter raddrizzare tutto ciò che va storto al mondo. Non so…

Ruznimed ride e aggiunge:

- Spogliati.

Samohrab si toglie tutto ciò che indossa. Ruznimed fa altrettanto e prende un pugnale.

- Stenditi.

Ruznimed avvicina la punta della lama alla pelle di Samohrab, subito sotto lo sterno e incide. È solo una piccola trafittura, ma quando Ruznimed infila la pietra, per un momento il dolore cresce, per poi attenuarsi e scomparire.

- La pietra bianca della conoscenza ti aiuterà a muoverti in queste terre o dovunque tu decida di vivere la tua vita.

La seconda incisione è alla base del collo.

- La pietra verde della vita ti proteggerà. Sai che non servirà contro tutte le armi, ma ridurrà i rischi che tu venga ucciso a tradimento. Non la desideravi, ma proprio per questo puoi averla, perché non approfitterai del suo potere.

La punta del coltello incide uno dei testicoli. Samohrab sussulta.

- Una delle due pietre d’oro. Ora rimani fermo per un po’. Il tuo corpo deve adattarsi.

Anche Ruznimed si spoglia.

- Te le metti da solo?

- Le ho conquistate e solo io posso mettermele. E solo io potevo metterle a te. La pietra rossa della forza mi aiuterà a combattere le potenze del male, quella d’oro mi permetterà di dare e ricevere più piacere, anche se non so quante occasioni avrò di usarla: magari qualcuno si interesserà a me, ora che ho la pietra.

Ruznimed ride, ma c’è una nota di amarezza nella sua risata. Prosegue:

- Non intendo usare la pietra della prestanza, non m’interessa. La terrò e forse un giorno potrò scambiarla. O magari donarla.

- E la pietra dell’inganno?

- Ora lo vedrai.

Ruznimed prende la pietra e la pone su un sasso piatto. Poi prende un altro sasso e la colpisce, senza particolare forza. Quando solleva il sasso che ha usato per schiacciarla, la pietra è ridotta a minuscoli granelli, una segatura argentea.

- L’hai distrutta! È così facile distruggerle?

Ruznimed ride. Prende la pietra della prestanza e la posa sullo stesso sasso.

- Prova a schiacciarla.

- Ma hai detto che pensi di poterla scambiare o donare.

- Prova, ti dico.

Samohrab prende il sasso che Ruznimed ha usato per schiacciare la pietra dell’inganno. Esita un attimo, ma a un cenno d’incoraggiamento di Ruznimed solleva il sasso e l’abbatte sulla pietra. Quando lo toglie, la pietra è intatta.

Ruznimed ride di nuovo:

- Tutto lì, quello che sai fare? Riprova!

Samohrab ha intuito che non riuscirà mai a distruggere la pietra. Prova nuovamente, esercitando più forza, ma senza nessun risultato. Guarda Ruznimed e gli dice:

- Solo tu puoi distruggerla, vero?

- Esatto. Solo il proprietario può farlo.

Poi Ruznimed prosegue:

- Ora, anche se vorresti riposarti e ne avresti diritto, dobbiamo andarcene. Presto qui verranno i truplar.

- Sarebbero?

- Esseri che si nutrono di cadaveri. Ma che non disdegnano anche un bel figlio di Eva come pasto.

- Un figlio di Lilith no?

Ruznimed ride.

- Sempre seconda scelta.

- Secondo me non me la conti giusta. Comunque non ha importanza e preferisco non verificare. Torniamo per la via da cui siamo arrivati?

- Sì, è la più sicura.

 

La salita è lunga e faticosa, ma infine giungono nella sala superiore. La luce è fioca: ormai è sera. Mangiano e poi si stendono.

- Grazie, Samohrab. Spegnendo la torcia hai reso possibile il successo della nostra missione e mi hai salvato la vita.

- Tu me l’hai salvata almeno tre volte da quando ci siamo incontrati.

Lentamente la sala sprofonda nel buio.

Ruznimed chiede:

- Che cosa pensi di fare, ora?

- Una domanda che non mi sono ancora posto. Ero sicuro di essere ucciso per aver resistito a Lazan, poi mi sono trovato coinvolto in questa missione, che poteva concludersi con la morte.

- E non è detto che non finisca così, perché un pericolo mortale ci attende lungo la via del ritorno.

- Sì, me l’hai detto. Sinceramente, penserò al futuro più avanti.

- Hai molte strade aperte.

- E tu?

- Proverò a fermarmi alla fortezza, se mi prendono. Vedremo.

- Sarebbero idioti a non prenderti.

Samohrab si chiede se non fermarsi anche lui alla fortezza. Nella sua terra non può certo tornare, i suoi amici sono morti o dispersi. Ormai è un guerriero libero e deve cercare qualcuno al cui servizio mettersi. Ruznimed gli sta simpatico e rimarrebbe volentieri per lui.

Si stendono, perché ormai è buio, ma continuano a parlare.

Su richiesta di Ruznimed, Samohrab racconta dell’usurpazione e della morte di coloro che si opponevano.

Vorrebbe sapere qualche cosa di più di Ruznimed e dice:

- Mi hai detto che preferisci non parlare dei motivi per cui hai lasciato il villaggio in cui vivevi.

- Se vuoi, ora posso raccontarteli. Non sei più un estraneo.

- Mi farebbe piacere.

- La mia famiglia fu sterminata dai guerrieri di Brujekral, quando io ero un bambino e uno di loro mi prese con sé perché non aveva figli. Il mio padre adottivo era molto forte e m’insegnò presto l’uso delle armi. Divenni bravo e vinsi il torneo che si teneva tra i giovani quando venivano ammessi a pieno titolo tra gli adulti. Un grande onore che per me fu una disgrazia, anche se forse fu meglio così.

Dopo un attimo di pausa, Ruznimed riprende il racconto:

- Il figlio del capotribù, per vendicarsi di essere stato sconfitto da me, mi rivelò la verità: non ero figlio dell’uomo che consideravo mio padre, i miei genitori erano stati uccisi proprio da lui e uno dei crani conficcati su pali davanti alla sua casa era quello del mio vero padre.

Samohrab rabbrividisce. Spesso i bimbi più piccoli di una tribù sterminata sono presi dai vincitori e allevati come schiavi, per essere in seguito destinati al piacere dei loro padroni, se di bell’aspetto, o ai lavori di fatica. Più di rado sono presi dalle famiglie senza figli, ma non succede quasi mai che un uomo adotti il figlio di colui che ha ucciso: è un atto che di solito viene disapprovato. 

- Dev’essere stato terribile.

C’è un momento di silenzio, poi Ruznimed risponde:

- Lo fu. Mi crollò il mondo addosso.

Nuovamente una pausa, poi il racconto prosegue:

- Mi rivolsi all’uomo che ritenevo fosse mio padre. È un uomo sincero e mi confermò che era vero. Non mi aveva mai detto nulla, perché mi considerava suo figlio, ma non intendeva mentirmi. Io avevo due possibilità: sfidarlo a duello, vendicando mio padre, o rimanere, continuando a essere suo figlio.

Samohrab avverte che a Ruznimed costa fatica continuare. Vorrebbe dirgli che non deve proseguire, ma si rende conto che sarebbe assurdo.

- Non volevo uccidere l’uomo che mi aveva allevato e insegnato a usare le armi, anche se era l’assassino dei miei genitori: gli volevo bene, era il mio modello, per me era stato un padre e un buon padre. Ma non potevo nemmeno rimanere con lui, ora che sapevo la verità. Pensai di sfidarlo e farmi uccidere da lui, ma lo avrei fatto soffrire e non sarebbe stato giusto: mi voleva bene. Scelsi di andarmene.

- Ma non tornasti dalla tua gente.

- No, avevo rinunciato a vendicare mio padre e non potevo tornare tra loro, non me la sentivo. Così sono diventato un cane randagio.

Nel buio la mano di Samohrab cerca quella di Ruznimed e la stringe, poi si ritira.

- Credo che tu abbia sofferto molto, senza aver fatto nulla per meritarlo. Mi spiace, davvero.

- Grazie, Samohrab. Sono contento di averti raccontato la mia storia. Ora però dormiamo. Ci aspetta il viaggio di ritorno e non sarà una passeggiata.

Samohrab scherza:

- Quello di andata, invece…

- A quello di andata siamo sopravvissuti. Adesso dobbiamo cercare di fare lo stesso, ma non sarà facile. Buonanotte.

- Buonanotte a te.

Samohrab non si addormenta subito. Nel buio i suoi pensieri tornano a Ruznimed e al suo racconto. Si è affezionato al suo compagno d’avventura, anche se lo conosce da poco. Vorrebbe rimanere con lui e si chiede che cosa prova per quest’uomo che ora riposa al suo fianco.

 

La luce che filtra dall’apertura in alto illumina appena l’interno: dev’essere ancora presto. Samohrab si è svegliato e ora guarda il corpo steso vicino. Ruznimed dorme, disteso su un fianco. Gli dà la schiena. La folta capigliatura ricciuta sembra quasi continuare nella peluria scura che copre la schiena e soprattutto il culo.

In Samohrab il desiderio si desta: il cazzo gli si sta tendendo. Si vergogna della propria reazione, ma Ruznimed dorme ed è girato dall’altra parte: anche se si svegliasse, non potrebbe vederlo.

Ruznimed gli piace: questa è la verità. Gli piace molto, sotto ogni aspetto. Anche questo corpo, che inizialmente gli era sembrato brutto, quasi repellente, ora lo attrae.

Ruznimed si muove, girandosi. Ora è disteso sulla schiena e Samohrab vede che anche lui ha il cazzo duro. Un cazzo grosso, molto voluminoso, anche se non particolarmente lungo. Samohrab avverte violento il desiderio. Vorrebbe tendere la mano, accarezzare questo corpo, stringere questo cazzo. Vorrebbe…

Non può farlo. Si conoscono appena. Come reagirebbe Ruznimed? Quando gli ha raccontato di sé, gli ha detto che gli sarebbe piaciuto avere un compagno. Anche lui è attratto dagli uomini. E allora?

Ruznimed emette una specie di grugnito. Si sta svegliando. Samohrab si alza e si mette sotto l’acqua della cascata, dando la schiena all’amico. Spera che il suo cazzo abbia il buon senso di abbassare un po’ la testa, ma non è un gran problema: anche Ruznimed ce l’ha duro.

- Tutto bene, Samohrab?

Samohrab volta la testa. Ruznimed si è messo a sedere e ora lo sta fissando. Ha le gambe piegate davanti, che nascondono il ventre e il cazzo.

- Sì, ho dormito benissimo. E tu?

- Anch’io. È la nostra ultima notte tranquilla. Da stasera dovremo fare i turni di guardia. Il talismano non potrà proteggerci.

- Perché?

- Ha esaurito la sua funzione: Valikurac è morto. Ci permetterà ancora di uscire da questi locali sotterranei, ma poi sarà solo un ornamento.

- In qualche modo riusciremo a cavarcela e a lasciare queste terre.

Ruznimed annuisce.

- Ci proveremo. Mal che vada saremo un buon pasto per qualche kuz-pine o per un truplar.

- Io, tu no: sei solo una seconda scelta.

Ruznimed ride. Samohrab pensa che è bello vedere Ruznimed ridere.

- È vero, ma non puoi sempre avere il meglio.

Il cazzo ha abbassato la testa, per cui Samohrab si volta e si toglie dal getto.

Ruznimed lo guarda.

- Sei bellissimo, Samohrab.

Samohrab non sa come replicare. Non può dire a Ruznimed che è bellissimo, perché non è vero e l’amico potrebbe sentirsi deriso. Potrebbe dirgli semplicemente che gli piace e forse… Ma ormai è tardi. Non ricevendo risposta, Ruznimed si è alzato, senza nascondere il cazzo, sempre duro, e si è messo sotto la doccia. Non guarda più Samohrab.

Rimangono in silenzio mentre mangiano. Ruznimed, che ha fatto un inventario di quanto hanno con sé, osserva:

- Le provviste sono poche, ma se non incontriamo ostacoli, dovrebbero bastarci. Altrimenti cacceremo qualche animale o raccoglieremo frutti selvatici, ma molto di quello che vive e cresce in queste terre non è commestibile per noi.

Infine si dispongono a partire. Al momento di lasciare la sala, Ruznimed dice:

- Mi spiacerà separarmi da te.

Samohrab pensa la stessa cosa: nei confronti di quest’uomo di cui inizialmente diffidava prova qualche cosa che va oltre la semplice attrazione fisica. Forse dovrebbe dirlo, ma non è abituato a esprimere sentimenti. Si dice che c’è ancora tempo per parlarne: prima che giunga il momento di prendere strade diverse, potrà proporgli di fermarsi entrambi alla fortezza di Dubokvoda o di procedere insieme per un po’. Adesso devono pensare al ritorno.

Si rende conto di non aver di nuovo risposto a Ruznimed. Se il suo amico sta cercando di dirgli qualche cosa, lui sta dando l’impressione di non volerlo sentire, di non essere interessato: esattamente il contrario di quello che prova. Ma ormai è tardi. Ne parleranno dopo.

 

Il corridoio è lunghissimo, ma Samohrab lo ha già percorso e sa che cosa l’aspetta. La temperatura è piacevole e possono procedere senza fatica.

Quando infine raggiungono la porta attraverso cui sono entrati, Ruznimed dice:

- Ora usciremo. Dovremo fare attenzione, perché un pericolo ci sovrasta.

- Sai qualche cosa di più preciso? È qualcuno che vuole vendicare Valikurac?

- Non so nulla di preciso, solo che si tratta di un pericolo mortale. Non credo che sia qualcuno intenzionato a vendicare Valikurac. Lui agiva da solo: sapeva che per la sua impresa non avrebbe potuto contare su nessuno. Si è sicuramente servito di uomini e altri esseri che hanno accettato di assecondare i suoi piani per desiderio di guadagno o di potere, ma che non hanno motivo per vendicare la sua morte.

La porta si apre: Ruznimed deve aver azionato il meccanismo. Un’ondata di calore li investe.

- Merda!

- In qualche ora saremo fuori da questo pentolone infernale. Se nessuno ci ferma.

Si avviano. Il terreno sale e il calore è opprimente. Procedono in silenzio, guardandosi intorno, pronti a sguainare la spada.

Dopo un tratto di strada il sentiero appare interrotto da un cespuglio spinoso pieno di fiori rossi, che sotto i loro occhi sbocciano, sono raggiunti da grossi insetti neri e poi si trasformano in frutti, mentre nuovi fiori si aprono.

- Sono i Fiori della Morte, vero?

Samohrab si stupisce della domanda che ha formulato. Non aveva mai visto questi fiori, né sentito parlare di loro, ma ne conosce il nome.

- Sì, si chiamano così.

- Come faccio a saperlo? E so anche che i frutti sono velenosissimi.

- Porti in te la pietra della conoscenza. Non sei più ignorante come una capra, com’eri prima.

Ruznimed l’ha detto ridendo.

- Quello che non so è come abbiano fatto a spuntare… Quando siamo passati, due giorni fa, non c’erano.

- Qui abbiamo ucciso il kuz-pine. Il suo sangue velenoso feconda i semi. Se incidi uno di questi frutti con la punta del pugnale, lo renderai velenoso e ucciderai chiunque tu ferisca, anche leggermente.

- Dobbiamo aggirarli, vero?

- Sì, anche le spine sono velenose.

Procedono con cautela, guardandosi attorno. Vedono arrivare un gigante, un Solitario e si nascondono nel fitto degli alberi. L’essere passa accanto senza vederli, perché la sua attenzione è attirata dai Fiori della Morte, che scavalca, badando bene a non calpestarne nessuno.

Quando è passato, Samohrab chiede:

- Le spine sono velenose anche per un gigante, vero?

- Sì, ma non mortali, a meno che non ci si rotoli dentro. Però sono molto fastidiose: può gonfiargli un piede e prima che il dolore e il gonfiore passino, ci vuole almeno un mese.

- E tu come sai tutte queste cose? Hai una pietra della conoscenza di cui non mi hai mai detto niente?

- Conosco bene queste terre.

Man mano che salgono, l’aria si rinfresca e camminare diventa meno faticoso. Sostano un momento per mangiare un boccone, poi proseguono. Quando si fermano per la notte, a breve distanza dal sentiero, non accendono un fuoco. Dopo una cena frugale, Ruznimed si stende: Samohrab farà il primo turno di guardia. Si concentra sui rumori intorno a lui. Ogni tanto si sente il verso di un uccello notturno o il fruscio di qualche piccolo essere che si muove non lontano.

A un certo punto Samohrab si accorge che qualcuno sta avanzando lungo il sentiero. Si tende e sguaina la spada. Non può vedere di chi si tratta. Non si sente nessun odore e questo esclude un triglave. L’essere si sta avvicinando. Ora sta passando vicino a dove si trovano, ma prosegue per la sua strada, allontanandosi. Probabilmente non ha avvertito la loro presenza. Meglio così.

Samohrab si volta verso Ruznimed e sussulta: ci sono due occhi verdi, luminosi, che lo stanno guardando. Fa un passo avanti, tenendo l’arma in mano, per proteggere l’amico addormentato. I due occhi si allontanano, poi scompaiono.

La luna è sorta oltre la montagna e ora s’incomincia a vedere qualche cosa. Samohrab deve chiamare Ruznimed quando la luna sarà in alto. Non manca più molto.

Ruznimed però si sveglia.

- Tutto a posto?

- Sì, tutto a posto. È passato qualcuno lungo il sentiero, ma non si è fermato.

- Stenditi pure.

- Non è ancora l’ora.

- Non manca molto ed è inutile che io mi rimetta a dormire.

Samohrab cede e prima di abbandonarsi al sonno guarda la sagoma scura di Ruznimed, appena visibile alla luce lunare. Sorride.

 

Il secondo giorno avvistano in lontananza molti uccelli in movimento alla base di una montagna.

- È lì che avete abbattuto il gigante?

- Sì, credo di sì.

- Sono passati alcuni giorni, ma prima di spolpare un gigante ci vuole parecchio tempo. Sarà meglio evitare di avvicinarci troppo: non vorrei trovare qualcuno cui piace di più la carne fresca…

- Magari qualcuno che preferisce quella dei figli di Lilith.

- Difficile. I figli di Eva sono più gustosi…

Giunti a una certa distanza, possono vedere il grande banchetto che si svolge ai piedi del monte. Ci sono quattro grossi triglave, il cui lezzo ammorba l’aria. Tre stanno nutrendosi del corpo e ne staccano pezzi che portano alle bocche, mentre il quarto rimane di guardia e cerca di colpire con una grande mazza gli uccelli che calano per afferrare brandelli di carne. Le creature alate, di specie molto diverse per aspetto e dimensioni, si muovono rapidamente per sfuggire al bastone. Un animale dal lungo collo non è altrettanto veloce e la mazza si abbatte sul suo capo, frantumandolo.

Diversi esseri si tengono a una certa distanza, aspettando il momento in cui potranno partecipare anche loro. Tra gli animali più piccoli, alcuni raccolgono i pezzi che i triglave fanno cadere spolpando le ossa del gigante: guizzano veloci tra le loro gambe, badando a non farsi schiacciare.

- Sono passati diversi giorni… ormai dovrebbe essere marcito… ma la carne dei giganti si decompone più lentamente.

Samohrab si rende conto che, com’è avvenuto per i Fiori della Morte, sa cose che prima non sospettava.

- Sì, ma noi dobbiamo fare molta attenzione, perché tra chi non può partecipare al banchetto e anche tra chi vi prende parte, molti non disdegnerebbero un po’ di carne umana.

- Di prima o di seconda scelta?

- Di entrambe.

La vegetazione ai piedi della montagna è scarsa e non è facile rimanere nascosti. Cercano di tenersi molto distanti, ma due animali dal collo molto lungo, con braccia corte e grosse zampe, avvertono la loro presenza e si muovono in fretta nella loro direzione. I loro corpi sono coperti di squame dorate e luccicano alla luce del sole.

- I truplar. Se sono solo in due, non è un problema.

I due guerrieri sguainano le spade e aspettano gli attaccanti. Questi però devono aver già avuto modo di incontrare uomini armati e preferiscono fermarsi a una certa distanza.

Ruznimed e Samohrab si allontanano, controllando che gli animali non li seguano. I due truplar rimangono fermi.

Per Samohrab la strada è del tutto nuova: con Valikurac non hanno percorso questo tratto, scendendo invece dalla cima, dopo aver seguito un percorso in parte interno alla montagna. Il sentiero sale dolcemente su una parete spoglia. Non ci sono precipizi, ma in molti tratti non c’è nessuna possibilità di procedere senza farsi vedere.

- Se qualcuno ci aspetta, ci vede arrivare con largo anticipo.

- Sì, certo. È per questo che fingeremo di fermarci e invece, con il buio, proseguiremo. Ti guiderò nell’oscurità. Riposeremo in posti più sicuri.

Verso sera si fermano tra alcune rocce. Mangiano un po’ delle loro provviste e poi Samohrab si stende, come se volesse mettersi a dormire, mentre Ruznimed rimane di guardia. Quando la notte cala, i due guerrieri riprendono il loro cammino. Procedono molto a lungo e infine Ruznimed guida il compagno a una piccola grotta che sorge a una certa distanza dal sentiero.

- Faccio io il primo turno: vedo nel buio e posso individuare prima i pericoli. Quando viene l’alba, toccherà a te.

Ruznimed sveglia Samohrab quando il cielo si sta rischiarando. Si stende a dormire.

Samohrab rimane nascosto, ma controlla il sentiero e l’area intorno. Non vede niente d’interessante.

Partono nelle ore centrali e nuovamente si fermano solo dopo mezzanotte.

- Manca ancora molto, Ruznimed?

- Ancora un giorno di marcia per raggiungere il punto dove le montagne degradano verso la pianura e il bosco. Altri due giorni per il guado e la fortezza, perché raggiungeremo il fiume molto più a nord.

- Le provviste ci basteranno, allora, senza che dobbiamo cacciare.

- Potrebbero avanzare, anche.

Samohrab non capisce:

- Perché dici questo?

- I pericoli maggiori sono ora. Non possiamo non prendere il sentiero, a meno di non tornare indietro e percorrere un’altra pista, non meno pericolosa.

- Va bene. Domani vedremo a che cosa andiamo incontro.

Quando ripartono, è ormai tarda mattinata. A una svolta del sentiero, possono vedere in lontananza le colline e poi la pianura. Il sentiero ormai procede in quota, senza più salire, e in alcuni tratti si abbassa.

Ruznimed avanza con grande cautela, cercando di rimanere il più possibile al coperto e controllando sempre le pareti intorno. La giornata però trascorre senza inconvenienti: avvistano in lontananza un gigante, che non si accorge di loro.

- In questa regione si trovano giganti e a volte nani, che però difficilmente si lasciano vedere. Gli altri esseri frequentano malvolentieri queste terre vicine agli insediamenti degli Aldebri e dei Figli di Lilith e adesso anche dei figli di Eva, alla fortezza.

- Meglio così, meno rischi per noi. Siamo quasi arrivati.

- Ma non siamo fuori pericolo, tutt’altro. Se qualcuno ci aspetta, lo farà nell’area che attraverseremo domani: ai margini di queste terre selvagge, dove è minore il rischio di fare brutti incontri.

- Ma perché dovrebbero aspettarci?

- Non so nulla di sicuro, solo che vogliono impadronirsi delle pietre della possanza. Forse sanno che le ha Valikurac, forse sanno soltanto che chi ha quelle pietre passerà di qui.

- Quindi non sanno che le abbiamo noi.

- Credo che tra di loro ci sia qualcuno in grado di sentire la presenza delle pietre. E in questo caso, noi siamo i bersagli. E anche se non fosse così, se sono briganti, cercheranno comunque di ammazzarci, per prenderci le armi e per fotterci.

Samohrab annuisce. Sa benissimo che i briganti spesso stuprano coloro che catturano e non di rado fottono i cadaveri di quelli che hanno appena ucciso.

- Va bene. La missione l’abbiamo portata a termine. Se devo morire, meglio ucciso dai briganti che impalato da Lazan.

- Contento tu…

Fanno una sosta a sera, ma con il buio ripartono e solo molto dopo mezzanotte si fermano realmente.

 

Il giorno dopo procedono lungo il sentiero. Non incontrano ostacoli e quando a notte fonda si fermano, sono ai piedi delle montagne, non lontani dalla pianura e dai boschi.

- Non abbiamo incontrato nessuno.

- No, ma c’è ancora domani. Ed escludo che il veggente si sia sbagliato.

L’indomani partono, come al solito piuttosto tardi. Ruznimed appare molto teso.

- Non possono essere lontano. Tra due o tre ore di marcia ci sono diversi sentieri e non possono sapere su quale devono aspettarci. Noi dovremmo piegare verso sud, se vogliamo raggiungere la fortezza.

Non è passato molto tempo quando, a una svolta, vedono sei uomini fermi in mezzo al sentiero.

- Gli Uborato. Così sono quei pezzi di merda, banditi. Attento, Samohrab. Quello che devi temere non è uno di quei sei, ma il settimo, Ubosnaz, che si è nascosto da qualche parte e cercherà di colpirci a tradimento. Lui può ucciderti, anche se hai la pietra della vita. Non lasciare che qualcuno di loro ti attiri, arretrando, in qualche anfratto dove è nascosto quel bastardo. Di sicuro vogliono le pietre e uno di loro, Uboprvi, ha dei poteri: sa che le abbiamo.

Samohrab annuisce. Vorrebbe chiedere chi sono gli Uborato, ma non è il momento.

Ruznimed ha messo la mano sull’elsa della spada e procede, fino a che si trova a pochi passi dagli uomini che sbarrano il sentiero.

Samohrab l’ha seguito e ora osserva gli Uborato. Sono tutti alti e forti, di sicuro avversari temibili. Due di loro sono nettamente più anziani: potrebbero essere i padri dei quattro maschi più giovani. Si assomigliano alquanto: forse sono fratelli.

- Che cosa volete?

Uno dei due uomini anziani risponde:

- Quello che portate in voi. 

- Dovete conquistarlo, Uboprvi.

- Siete in due e noi in sei, Ruznimed.

- In sette, Uboprvi. Vi conosco.

L’uomo che ha parlato si tende: non si aspettava che Ruznimed sospettasse la presenza del settimo.

- Che hai fatto della pietra dell’inganno? Sento che non l’hai con te.

- L’ho distrutta, Uboprvi.

L’uomo scuote la testa.

- Idiota!

Interviene l’altro uomo più anziano:

- Ascoltami, Ruznimed. Non avete nessuna possibilità contro di noi. Arrendetevi. Ti metterai nel corpo la pietra della prestanza.

- Così potrete impadronirvi anche di quella, Ubomudar?

Ruznimed ride e aggiunge:

- Perché dovremmo arrenderci senza combattere?

- Perché ci sono molti modi di morire e alcuni sono più spiacevoli di altri.

Ruznimed sguaina la spada.

- Vediamo chi morirà oggi.

Poi sussurra a Samohrab, che è al suo fianco:

- Ricordati quello che ti ho detto.

I sei uomini avanzano e circondano i due guerrieri, che ora sono rivolti in direzioni opposte, in modo da proteggersi a vicenda le spalle.

Ad attaccare per primo è Ubomudar. Avanza contro Ruznimed e mentre cerca di colpirlo con la spada, mentre uno degli altri attacca il guerriero di lato.

- Vigliacchi!

Ruznimed colpisce violentemente le due spade: la sua forza, aumentata dal potere della pietra che porta in sé, fa cadere la spada al guerriero più giovane.

Intanto anche un altro dei giovani ha attaccato Ruznimed, mentre Uboprvi e gli altri due incalzano Samohrab. Se l’amico non l’avesse avvertito, Samohrab non noterebbe che stanno premendo tutti da una parte, invece di attaccarlo da tre lati, come sarebbe più sensato: vogliono spingerlo verso alcune rocce, tra le quali si nasconde di certo il settimo guerriero. Samohrab non si muove. Viene colpito al braccio, ma la lama non incide la carne. Samohrab allora attacca e riesce a colpire uno dei suoi avversari: calandogli la spada sul collo, gli recide la testa, che rotola a terra.

- La pagherai, maledetto.

Anche Ruznimed ha ucciso uno dei suoi avversari e ora incalza Ubomudar. Riesce a ferirlo al braccio e poi gli infila la lama nel ventre. Il bandito crolla in ginocchio, le mani sulla ferita da cui il sangue scorre abbondante.

Gli avversari sono rimasti in tre, ma da dietro le rocce compare Ubosnaz, che si scaglia su Samohrab. Ruznimed però si mette in mezzo. Il combattimento è accanito. Samohrab viene attaccato dagli altri, ma nuovamente quando uno di loro riesce a colpirlo al petto, la spada non taglia la carne. In un nuovo attacco Uboprvi viene colpito al cuore e poco dopo anche un altro dei giovani crolla sotto i colpi di Samohrab.

Ruznimed ha infine la meglio sul suo avversario, cui taglia un braccio, poi gli infila la spada nel petto. Ubosnaz crolla a terra. L’ultimo dei giovani si volta per fuggire, ma Samohrab lo abbatte.

Ruznimed raggiunge Ubomudar, che è ancora in ginocchio, e lo decapita.

Samohrab si dirige verso di lui, senza badare a Ubosnaz, che crede morto. Mentre gli passa vicino, questi riesce ad alzare la spada. Ruznimed se n’è accorto. Grida:

- Attento!

In un balzo si mette tra Ubosnaz e Samohrab e trafigge il moribondo con la lama, ma ne riceve una piccola ferita al polpaccio.

Samohrab lo guarda, stupito:

- Perché ti sei messo in mezzo? Mi avrebbe preso solo di striscio. Non aveva più forza.

Ruznimed sorride, un sorriso mesto. Scuote la testa. Samohrab si accorge che barcolla.

- Che ti succede? Stai male?

Non capisce: la ferita non è grave, è solo un graffio.

Ruznimed annuisce. C’è un certo sforzo nella voce:

- La spada è avvelenata. Se ferisce, dà sempre la morte.

- Ruznimed! No!

Samohrab sente un dolore violento, che gli toglie il respiro, gli scava dentro.

Ruznimed sta scivolando a terra. Samohrab lo afferra e lo aiuta a stendersi.

- No, non è possibile! No! Ruznimed!

Ruznimed sorride ancora.

- Meglio così. Avrò la pace. Avrei sofferto… troppo… vedendoti… andare via.

Samohrab gli stringe la mano, angosciato.

- Non me ne sarei andato, no! Ruznimed, io ti amo.

Il sorriso di Ruznimed si allarga:

- Grazie… per questa bugia.

- Non è una bugia, Ruznimed!

Ma gli occhi di Ruznimed sono spenti. Il guerriero reclina la testa di lato e rimane immobile.

Samohrab gli posa una mano sul petto. Sta piangendo. Rimane a lungo così, sentendo il calore svanire dal corpo del compagno.

Infine rialza la testa. Non sa quanto tempo è passato. Deve seppellire il corpo di Ruznimed, dell’unico uomo che abbia mai amato. Non può lasciare che venga divorato dagli animali. Si alza e si guarda intorno alla ricerca di un posto adatto. Non ha una vanga, per cui dovrà scavare la fossa con la spada. Poco più in basso c’è uno spiazzo, dove l’erba è alta: se non ci sono massi sotto lo strato superficiale di terreno, potrà seppellire Ruznimed là.

Samohrab scende e incomincia a scavare, mentre le lacrime gli rigano nuovamente il viso. S’interrompe quasi subito, perché d’improvviso una grande ombra si proietta sul suolo. Samohrab alza gli occhi. È un’aquila enorme che cala sul luogo dove giacciono i corpi. Prima che il guerriero possa capire e reagire, l’aquila afferra il cadavere di Ruznimed e lo solleva. Samohrab corre velocemente verso l’animale, per ucciderlo: non vuole che il corpo sia divorato, vuole dargli sepoltura. Ma l’aquila è troppo rapida e già è in alto, fuori portata, il cadavere tra gli artigli.

L’uccello si allontana, volando sopra il bosco più in basso. Samohrab lo vede calare. Non si è allontanato molto, forse riuscirà a raggiungerlo. Non farà in tempo a impedirgli di divorare il corpo, ma almeno vendicherà l’oltraggio subito da Ruznimed.

 

Samohrab procede attraverso il bosco, che non è molto fitto. Cerca di mantenere la direzione, ma non è facile orientarsi tra gli alti alberi.

Giunge infine in una radura. In piedi c’è un uomo, alto e forte. Ai suoi piedi Ruznimed, nudo, l’uccello duro. Samohrab ha l’impressione che il torace gli si alzi e gli si abbassi nella respirazione. È possibile…?

- Ti aspettavo, Samohrab.

- Chi sei?

- Puoi chiamarmi Aquila. Sono uno di Coloro Che Ritornano.

Samohrab ha sentito parlare di queste creature.

- Un immortale…

- No, siamo mortali anche noi, ma ritorniamo in vita. E abbiamo il potere di riportare in vita chi è morto da poco.

Samohrab guarda Ruznimed. Respira, sì, è vero, respira.

- L’hai salvato! Grazie!

- Non potevamo intervenire nella missione che avete compiuto: dovevate condurla a termine da soli. Ma ora che avete sventato il pericolo che minacciava tutti noi, possiamo aiutarvi. Io ora vado. Tornerò quando il sole sarà basso in cielo, per prendervi e portarvi al sicuro, lontano da queste terre.

Appena ha finito di parlare, l’uomo si trasforma: le braccia diventano ali, le gambe zampe e in breve di fronte a sé Samohrab ha l’aquila che ha visto prima. In un attimo il grande uccello si alza in volo.

Samohrab grida:

- Grazie!

Poi raggiunge Ruznimed e s’inginocchia al suo fianco. Ha nuovamente le lacrime agli occhi: da quanto anni non piangeva?

Ruznimed dorme. Il torace si solleva e si abbassa. Samohrab contempla il corpo dell’uomo che ama: il viso, il torace, il ventre, dove i peli diventano una vera foresta, su cui batte il grosso cazzo, teso. Chissà che cosa sogna Ruznimed. È vivo! È vivo.

Ruznimed apre gli occhi. Guarda Samohrab. Si mette a sedere di scatto.

- Ma… com’è possibile? Sono vivo…

Samohrab annuisce, cercando di fermare le lacrime che sente sotto le ciglia.

- Ti ha riportato in vita l’Aquila, uno di Coloro Che Ritornano.

- Fantastico! Adesso capisco perché il culo mi fa un male terribile e il cazzo è duro come una pietra.

Samohrab lo guarda, confuso. Ruznimed spiega:

- Per riportare in vita qualcuno, Coloro Che Ritornano devono mettere nel suo corpo il loro seme e lo fanno… inculando. Sono molto dotati e ti assicuro che mi sembra di aver avuto un palo in culo. Il loro seme rende la vita, ma accende il desiderio, per questo ora sono così. 

Samohrab annuisce. Gli sembra incredibile, ma ormai ha visto di tutto e non si stupisce. Quello che conta è che Ruznimed è vivo.

- Mi spiace per il tuo male al culo, ma non mi sembra un prezzo troppo alto da pagare per essere di nuovo vivo. Quanto al cazzo… bisognerà fargli abbassare la testa, no?

Ruznimed guarda Samohrab. Non dice nulla. C’è una domanda nei suoi occhi. Samohrab ha capito e ghigna.

- Tornando al discorso di prima, non era una bugia. Mi sono innamorato di te, ma non sapevo come dirtelo. Sono un guerriero e non sono bravo con le parole.

- Non ci posso credere.

- Senti, testa di cazzo, è la seconda volta che mi dai del bugiardo. Se lo fai ancora, ti sfido a duello.

- Davvero mi desideri?

Samohrab gli prende la testa tra le mani e lo bacia. Un bacio lungo, appassionato, cui Ruznimed sembra prima cedere con riluttanza, ma cui infine risponde. Le sue braccia stringono Samohrab e i due guerrieri scivolano a terra.

Quando le loro bocche si separano, Samohrab sorride e dice:

- Finalmente!

- Non mi sembra possibile.

- Basta, adesso!

Samohrab si stacca, si solleva e si spoglia rapidamente. Poi si mette a quattro zampe e voltando il capo verso il compagno, dice:

- Bene, tu sei già pronto da un pezzo, adesso lo sono anch’io.

- Sei sicuro…

Samohrab lo interrompe:

- Ancora una parola e ti piglio a calci.

Ruznimed apre la bocca, ma un’occhiataccia di Samohrab lo blocca. Ride. S’inginocchia dietro di lui, gli morde il culo.

- Che fai? Vuoi mangiarmi?

- Magari, un po’ di fame ce l’ho…

Le mani di Ruznimed corrono lungo il corpo del compagno, in carezze leggere, a tratti afferrano con forza, per poi tornare a sfiorare. Il desiderio incalza. Ruznimed s’inumidisce bene la cappella, poi bagna l’apertura e infine si stende su Samohrab. Avvicina il cazzo e lentamente lo fa avanzare. Samohrab prova dolore, ma anche un piacere intensissimo, molto più forte della sofferenza.

Ruznimed sente che il corpo di Samohrab vibra, teso allo spasimo. Il desiderio cresce e il cazzo avanza nel corpo che lo accoglie con sussulti e gemiti strozzati.

Ruznimed si ritrae e poi avanza di nuovo, in un movimento lento e continuo, che strappa a Samohrab altri gemiti di piacere. Dalle sue viscere sale un dolore violento, la sofferenza della carne forzata. Ma la sofferenza accresce il piacere che sale impetuoso e si diffonde in tutto il corpo, riempiendo il cazzo teso e il culo dilaniato.

A lungo Ruznimed avanza e arretra. Sente di non avere mai goduto come ora e Samohrab dice la stessa cosa con i suoi gemiti, sempre più forti. La violenza del piacere sale ancora e li travolge: Samohrab urla, un grido che prorompe dalle sue viscere, gli riempie i polmoni e la gola e si proietta fuori, incontenibile, come incontenibile è il seme che sgorga dal suo cazzo e si sparge al suolo. Un urlo selvaggio, di piacere. E al grido di Samohrab fa eco un suono sordo, quasi un grugnito, di Ruznimed, che gli riempie il culo del suo seme. 

Rimangono a lungo abbracciati e poi è il turno di Ruznimed di offrirsi. A lungo si amano, scambiando poche parole. Per parlare di ciò che non è il loro legame c’è tempo, ora è il momento di amarsi.

Infine si staccano e si rivestono: non manca più molto. Più in alto, sul fianco della montagna gli avvoltoi calano numerosi: ci sono sette cadaveri da spolpare.

Quando il sole è ormai basso, vedono in cielo la grande aquila. Disegna un cerchio intorno alla radura e cala. Non prende forma umana, ma la sua voce è quella di un uomo.

- Salite su di me e tenetevi bene. Vi porterò alla fortezza di Dubokvoda, così non dovrete più attraversare queste terre selvagge, rischiando la vita. Là potrete acquistare dei cavalli e quello che vi serve, se volete proseguire il viaggio, o fermarvi.

I due guerrieri salgono sul dorso dell’aquila. Samohrab le mette le mani intorno al collo.

- Va bene così?

- Sì, il volo sarà veloce, se vogliamo essere alla fortezza prima di notte, e dovete fare attenzione a non cadere.

Ruznimed si stende su Samohrab e gli passa le braccia intorno al corpo.

Samohrab ride. È bello sentire su di sé il peso del corpo di Ruznimed e le sue braccia che stringono. Contro il culo sente il grosso cazzo dell’amico che già acquista consistenza.

- Ne approfitti, eh?

- Perché no?

L’aquila sbatte le ali, si solleva da terra e prende rapidamente quota. Sale roteando in giri che diventano più ampi, man mano che la valle si allarga. Ora ha raggiunto le cime e la temperatura è sempre più bassa. Samohrab, stretto tra il corpo dell’aquila e quello dell’amico, avverte il freddo soprattutto alle braccia e sul viso. Ruznimed ha la schiena gelata.

L’aquila sale ancora un po’, fino a trovarsi più in alto delle vette, e poi punta verso sud-est. Il battito delle grandi ali è rapido e i due guerrieri vedono passare velocemente sotto di sé le propaggini orientali della catena. Al fondo delle valli scorgono a volte la massa verde di un bosco, ormai immerso nell’ombra, o un torrente. Presto le montagne diventano meno elevate e l’aquila si abbassa, fino a che si scorge la pianura coperta dalla grande foresta. Con un’altra serie di giri, l’uccello perde quota. Ora possono vedere la fortezza di Dubokvoda, che si erge maestosa vicino al fiume.

Samohrab è contento che il volo stia giungendo al termine: è stanco e infreddolito.

Infine l’aquila si posa in una radura del bosco, non lontano dalla roccaforte.

Samohrab e Ruznimed scendono.

L’aquila si rivolge a loro:

- Vi conviene raggiungere la fortezza prima che chiudano le porte e non fermarvi a dormire qui: anche se ormai queste terre sono meno pericolose di un tempo, il rischio di fare cattivi incontri rimane alto.

Ruznimed dice:

- Grazie per avermi salvato e per averci portato fin qui.

 

I due guerrieri si dirigono rapidamente verso la fortezza. La porta del recinto esterno è sorvegliata, come sempre, da quattro sentinelle. L’ufficiale che comanda il drappello si rivolge ai due nuovi arrivati.

- Ditemi i vostri nomi.

- Samohrab.

- Ruznimed.

L’ufficiale sorride.

- Vedendo l’aquila posarsi nel bosco ho pensato che poteste essere voi. Il comandante vi aspetta.

I due guerrieri si guardano stupiti: non pensavano di essere attesi. L’ufficiale li conduce attraverso lo spazio esterno, dove si trovano gli edifici per ospitare le carovane di passaggio, la locanda, alcuni negozi e botteghe artigiane, fino al recinto più interno. Alla porta si rivolge a un altro ufficiale:

- I due guerrieri che il comandante attende, Zlatorat.

- Perfetto, Boratni.

Poi l’uomo si rivolge a loro:

- Vi accompagno dal comandante.

Attraversano il cortile interno e passano in un locale che serve come ufficio. Il comandante non c’è, per cui l’ufficiale manda un soldato a chiamarlo.

Poco dopo vedono arrivare un uomo che deve aver superato i quarant’anni, calvo e con il volto sfregiato da una cicatrice che va dallo zigomo destro al mento.

- Io sono il comandante, Dvoboposte.

Intanto arriva un uomo che ha forse pochi anni in meno di Dvoboposte, con un viso dai tratti regolari, barba e capelli neri.

Il comandante lo fa accomodare di fianco a lui e lo presenta:

 - Questo è Muskinoc, il guaritore.

Samohrab si chiede perché un guaritore debba assistere al colloquio, ma si dice che lo scoprirà.

- Chi di voi è Ruznimed e chi Samohrab?

I due guerrieri dicono i propri nomi.

- Attendevo la vostra visita. So che avete compiuto una missione di grande importanza.

- Noi invece non pensavamo di essere attesi. Come avete saputo della missione?

- Muskinoc ha visioni del futuro e sapeva che sareste arrivati qua.

Un guaritore che è anche veggente. Ma in queste terre oltre i confini occidentali non c’è da stupirsi di nulla.

- Prima di tutto voglio farvi i complimenti. So che avete rischiato la vita e che siete riusciti a portare a termine il compito che vi è stato assegnato, nonostante tutte le difficoltà.

- Diciamo che il grosso l’ha fatto Ruznimed. Io gli ho dato una mano.

- Poi ci racconterete, se avete voglia. Io sono molto curioso. Anche Muskinoc, ne sono sicuro, ma non lo dice e poi un po’ ha già visto.

- Volentieri.

- Io ho fatto preparare una camera per voi, ma se preferite fermarvi alla locanda nella cinta esterna, naturalmente siete liberi di scegliere. Questa sera però siete invitati a cena.

Samohrab e Ruznimed si guardano un momento. L’idea di avere una camera per loro è ottima: se c’è tanta gente alla locanda, possono dover dividere la stanza con altri.

- Grazie, accettiamo ben volentieri l’invito a cena e l’ospitalità per la notte.

Una campanella avvisa che è l’ora di cena.

Durante il pasto i due guerrieri raccontano la loro missione.

Dvoboposte fa loro i complimenti, poi dice:

- Mi piacerebbe avervi qui alla fortezza, come guerrieri liberi o come ufficiali. Samohrab guarda Ruznimed, che si rivolge al comandante:

- Comandante, io sono un figlio di Lilith.

Dvoboposte sorride:

- Lo so. Anche Muskinoc lo è, almeno in parte. Che cosa sia esattamente, non lo sa neanche lui. Qualche fottuto incrocio di stirpi.

Muskinoc ride.

- Credo di sì, ma almeno per metà sono un figlio di Lilith. Ruznimed, qui non ci sono pregiudizi nei confronti dei figli di Lilith.

Dvoboposte prosegue:

- Un po’ perché abbiamo a che fare con tante stirpi diverse e di certo non sono i figli di Lilith a darci problemi. E un po’ perché Muskinoc è un guaritore e tutti gli vogliono bene. Non occorre che decidiate ora: pensateci, parlatene tra di voi. Ma c‘è ancora una cosa che devo dirvi. Muskinoc

Dvoboposte s’interrompe e si rivolge a Muskinoc:

- Diglielo tu.

- Un pericolo incombe su Dubokvoda e su tutte le terre occidentali. Non ora, succederà tra un po’ di tempo, credo qualche anno. Voi due potete contribuire a sventare questa minaccia. Ma anche in questa impresa rischiereste la vita ed è giusto che lo sappiate.

Samohrab direbbe subito di sì: gli piace la fortezza; il comandante e Muskinoc gli sono simpatici. È abbastanza sicuro che anche Ruznimed la pensi come lui, ma vuole prima parlargli.

- Ne parliamo tra di noi questa sera.

- Benissimo.

Quando sono da soli in camera, Samohrab dice:

- A me piacerebbe fermarmi, ma se non vuoi, non ha importanza. Ciò che conta più di tutto è rimanere con te.

- Anche per me rimanere insieme è la cosa più importante. Mi fermerei volentieri qui, sai che era la mia intenzione, ma dipende da te.

- Direi allora che è un’ottima sistemazione per tutti e due.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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