Missione a Occidente Bran si sveglia. È assonnato e non del tutto lucido,
come succede regolarmente dopo una notte di luna piena. Si volterebbe
dall’altra parte per riaddormentarsi, anche se la luce del sole entra dalla
finestra e ormai dev’essere mezzogiorno, ma ha bisogno di pisciare: ha bevuto
troppo. Si alza, mugugnando, ed esce dalla capanna che si è costruito nel
bosco con grandi tronchi d’albero. Si accosta a un grande pino e incomincia a
svuotare la vescica, mentre il suo sguardo vaga tra i larici. In mattinata
dev’essere piovuto, ma ora il sole splende e tra gli aghi le gocce d’acqua
scintillano nella luce di questa giornata di tarda primavera. Rabbrividisce, perché è nudo e l’aria è ancora
piuttosto fresca. Non si è rivestito, visto che conta di ritornare subito a
letto. Si gratta i coglioni e guarda il getto di piscio che scende forte,
bagnando la corteccia dell’albero, e che ora, per il movimento della mano,
oscilla a destra e a sinistra. Di solito pisciare il mattino gli trasmette un
senso di benessere: sentire la pressione al ventre ridursi fino a svanire è
piacevole. Ma oggi Bran prova fastidio. Si dice che è la stanchezza della
notte precedente, ma non è solo quello, c’è qualche cos’altro. E man mano che
la mente si risveglia dal torpore del sonno, Bran si rende conto di avvertire
una tensione, che conosce bene. - Oh, merda! Bran si afferra il cazzo e lo scuote, facendo scendere
le ultime gocce. Ripete: - Merda! Non ha voglia di mettersi in cammino ora, vorrebbe
avere il tempo di smaltire i postumi della nottata, ma sa che deve andare.
Rientra nella capanna. Fa rapidamente colazione (o pranzo, vista l’ora),
brontolando raccoglie le poche cose che porta con sé in viaggio ed esce.
Chiude la porta, chiedendosi quando potrà tornare. Potrebbe essere una
faccenda che si risolve in fretta, ma Bran ha dei forti dubbi. Potrebbe anche
non ritornare mai. Il pensiero lo fa sorridere, un sorriso amaro. Bran raggiunge il cavallo, che riposa sotto la
tettoia. Non è il destriero di un guerriero, agile e scattante: è un animale
forte e robusto, abituato a reggere il peso, non certo indifferente, del suo
padrone. Vedendo Bran avvicinarsi con la sella, l’animale si scuote: ha
capito che stanno per partire. Bran gli accarezza la testa. - Sì, sì. È ora di andare. Bran lo sella, poi lega alla sella il suo modesto
bagaglio e sale. Prende il sentiero che scende fino al fondovalle. Non
sa da che parte dovrà andare. Dovrebbe mettersi in ascolto per scoprirlo, ma
è irritato: il dover partire proprio questa mattina gli dà fastidio. Ha
ancora la testa un po’ annebbiata dal poco sonno e dalla nottata, il culo gli
fa male – il che non è certo il massimo dovendo passare la giornata a cavallo
– e c’è dentro di lui quel groviglio di sensazioni contrastanti che gli
lasciano sempre le notti di luna piena. Vorrebbe stendersi nudo sull’erba e
dormicchiare al sole, mentre gli insetti gli ronzano intorno. Magari farsi
una sega mentre mastica un filo d’erba e ripensa alla notte. Ma non c’è tempo
per tutto questo. La mezz’ora che impiega a scendere gli permette di
recuperare la lucidità. Arrivato alla pista che corre sul fondo della valle,
chiude gli occhi e si mette in ascolto. Verso occidente. Deve andare verso occidente.
Figuriamoci se non era verso occidente! La giornata è incominciata male e
prosegue peggio. - Merda! Bran mette il cavallo al trotto. Se deve raggiungere i
confini occidentali, la strada è lunga ed è bene non perdere tempo. Potrebbe
arrivare prima in altri modi, ma è bene che si muova a cavallo: può sempre
servirgli, se non altro per non dare nell’occhio. Se poi sarà necessario
andare più in fretta, lascerà l’animale in qualche locanda, per riprenderlo
al ritorno. Ci vogliono quattro giorni per arrivare ai confini
occidentali, procedendo di buon passo e fermandosi solo il tempo necessario
per far riposare il cavallo. E non è detto che debba fermarsi al confine.
Probabilmente dovrà proseguire. - Merda! Muzhrab guarda la città che si erge in cima allo
spuntone roccioso. È la prima volta che vede Samar, ma ha spesso sentito
parlare di questo avamposto, edificato in una terra selvaggia e sempre
minacciato da uomini ed esseri malefici. Vista dalla riva del Fiume Purpureo, che forma
un’ampia curva ai piedi dello sperone, la città è davvero imponente: le alte
mura paiono continuare le pareti scoscese e per un esercito nemico è
impossibile raggiungere gli spalti senza far ricorso a cavalcature alate.
Lungo le mura si levano le maestose torri: quella che sorge più in alto è il
cuore della fortezza, dove vive il governatore. Samar non fa parte di uno dei
sette regni, ma tutti i re d’Occidente vi mandano un contingente di uomini,
che assicurano la difesa della città e la vigilanza sul territorio
circostante. A capo di questi uomini vi è il governatore. Muzhrab intende cercare in città un posto per la
notte: sono cinque giorni che cavalca, dormendo all’aperto. Non gli spiace
pernottare nei boschi e non ha paura dei banditi e delle creature che vi si
celano: si è abituato a non abbandonarsi completamente al sonno, rimanendo in
parte vigile, in modo da poter sventare le minacce che pesano su chi dorme
all’aperto, soprattutto in queste regioni di confine. Adesso però ha voglia
di dormire una notte tranquillo e soprattutto vorrebbe farsi un bel bagno
caldo. Sprona il cavallo e passa sul ponte che supera il
fiume. Lancia un’occhiata all’acqua, limpida e azzurrina. Sa che il fiume si
chiama Purpureo perché attraversa la Foresta Purpurea e in autunno le sue
acque hanno sfumature violacee. Ma ora siamo a primavera. Dall’altra parta del ponte si apre l’unica porta
aperta nella cerchia di mura. I soldati di guardia lo fermano: Samar è un
avamposto e chi entra è controllato. - Chi sei? - Sono Muzhrab di Gornigrad. So che il governatore
cerca uomini per una missione e sono venuto a presentarmi. - Allora devi parlare con l’ufficiale. Chiamano l’uomo, un guerriero che deve avere una
quarantina d’anni, alto e forte. È completamente calvo, ha il volto sfregiato
da una cicatrice che va dallo zigomo destro al mento e gli manca il lobo di
un orecchio. Muzhrab si dice che dev’essere un avversario formidabile. L’uomo lo squadra e gli dice. - Vieni dentro. Muzhrab lega le briglie del cavallo a un anello di
ferro e segue l’ufficiale, che lo fa sedere su uno sgabello in una stanzetta. - Ti chiami Muzhrab, mi hanno detto. - Sì. - Quindi sei un guerriero, ma un guerriero libero. “Hrab” è uno dei suffissi che vengono usati per i nomi
nelle stirpi di guerrieri. - Sì. - E sei venuto a Samar per il bando del governatore. - Sì. - Perché hai deciso di proporti per la missione? - Sono un guerriero libero e mi metto al servizio di
chi cerca guerrieri. - È una missione molto pericolosa, oltre i confini. - Sono abituato ad affrontare pericoli. Le domande dell’ufficiale sono molto generiche.
Muzhrab ha l’impressione che l’uomo stia cercando di farsi un’idea di lui,
badando più a come si pone che alle risposte che dà alle domande. - Da dove vieni? - La mia città natale è Gornigrad, ma ora vengo da
Redan. - Non vivi a Gornigrad? - No. L’ufficiale tace. Attende una spiegazione. Muzhrab
riprende: - Sono un guerriero libero, te l’ho detto. Vado dove
cercano guerrieri. - Perché non sei al servizio del re della tua terra?
Perché sei un guerriero libero? Muzhrab è irritato. Non ha voglia di parlare di
faccende personali. - Ho avuto da ridire con mio fratello e ho preferito
allontanarmi. L’ufficiale annuisce. - Va bene. Sai che la convocazione è domani mattina. - Sì, per quello sono arrivato oggi. - Intendi fermarti in città a dormire, suppongo. - Sì. - C’è parecchia gente oggi in città. Soprattutto
guerrieri come te, che hanno risposto all’appello del governatore. Non so se
troverai posto. Ci sono solo quattro locande. Ti consiglio quella
dell’Unicorno, che è la migliore e la più grande, ma potrebbe essere piena. È
a quattro passi. La trovi salendo per la strada principale, su un angolo. L’ufficiale lo congeda. Uscendo Muzhrab vede che ci
sono altri due guerrieri in attesa. Devono essere arrivati in molti a Samar.
Muzhrab slega il cavallo, ma non vi sale: la locanda è poco distante. Tenendo
l’animale per le briglie, Muzhrab raggiunge l’ingresso. C’è un garzone sulla porta. Dall’interno proviene un
vocio continuo: ci devono essere parecchi uomini. - Sto cercando un posto per la notte. Il ragazzo scuote la testa. - Mi spiace, qui tutte le camere sono strapiene, ma se
vuoi fermarti per bere qualche cosa o per mangiare… Muzhrab preferisce trovare un posto per dormire, prima
che arrivi altra gente e diventi ancora più difficile. - Più tardi, magari. Sai dove posso trovare da
dormire? - Prova le altre due locande: quella della Luna Piena
e quella dell’Aquila. Sono nelle vie laterali, ma se sali lungo questa strada
e agli incroci guardi sulla destra, vedrai le insegne. Sono tutte e due poco
oltre la prima piazza, sulla stessa strada. - Grazie. Muzhrab riprende a salire: la strada principale si
arrampica lungo il fianco della montagna, incrociando diverse vie più
strette. Guardando all’angolo di una strada, Muzhrab vede le insegne delle
due locande che gli hanno indicato. Raggiunge la prima, quella dell’Aquila,
ma la situazione è la stessa: nessun posto. Dallo stanzone dove molti guerrieri stanno mangiando
un uomo, chiaramente un po’ alticcio, gli grida: - Arrivi tardi, amico! La prossima volta svegliati
prima. Poi scoppia in una risata che lo squassa tutto. Muzhrab ha portato la mano alla spada, ma si rende
conto che non è il caso di sfidare questo ubriacone. Tra i guerrieri liberi
ci sono diversi balordi, che pensano più a bere e ad attaccar briga che a
combattere. La locanda della Luna Piena è anch’essa al completo.
Il garzone, a cui Muzhrab ha chiesto se hanno un posto per dormire, gli
risponde: - Siamo pieni come la nostra luna! E scoppia a ridere. Muzhrab non nasconde il suo malumore. L’ufficiale ha
parlato di quattro locande. Ce ne dev’essere ancora una. - C’è ancora una locanda, oltre a quella dell’Unicorno
e a quella dell’Aquila, no? Dove si trova? Il garzone ride di nuovo. - Quella dell’Orso? Bel posto! - Che cos’ha che non va? Il garzone alza le spalle. Non risponde alla domanda,
ma fornisce le indicazioni per raggiungerla: - Sali ancora per la via principale fino alla prossima
piazza, poi prendi la viuzza dietro la fontana e scendi fino in fondo. È
addossata alle mura. Muzhrab si dice che scoprirà com’è questo posto
andandoci. Ringrazia il ragazzo e si allontana. Gli sembra di sentire su di
sé lo sguardo di qualcuno e si volta, ma il ragazzo è rientrato nella
locanda. Poco oltre c’è un uomo che si è fermato sotto un arco. È alto e
molto massiccio, con capelli neri come la fitta barba. Per un attimo i loro
sguardi si incrociano, ma subito lo sconosciuto guarda altrove, oltre
Muzhrab, come se cercasse qualche cosa o qualcuno alle sue spalle. Muzhrab si rigira e si dirige verso la piazza. Bran lo guarda allontanarsi. È lui, ne è sicuro:
quando lo ha visto, ha avvertito la tensione. Dall’aspetto sembra un
guerriero. Sarà venuto per rispondere all’appello del governatore. Si è
rivolto alla locanda, ma il garzone deve avergli detto che era piena. Andrà
all’altra, quella dell’Orso. Bran conosce bene Samar: ha avuto modo di
venirci centinaia di volte, da quando venne edificata, tre secoli fa. La locanda
dell’Orso esiste solo da una cinquantina d’anni, ma Bran l’ha frequentata.
Oggi si è fermato alla Luna Piena, perché la città era la sua meta, ma
avrebbe preferito dormire all’aperto, come fa sempre, perché non ama le
locande e la ressa e non gli piace dividere la camera con altri. È un uomo
solitario. Qualcuno che l’ha conosciuto dice che ha un brutto carattere. Chi
lo conosce meglio dice che preferisce stare per conto proprio. Quasi nessuno
sa i motivi per cui frequenta poco gli altri. Bran segue l’uomo che ha svoltato per riprendere la
strada principale. Senza sospettare di essere seguito, Muzhrab raggiunge
la piazza e poi scende per la via che gli hanno indicato, fino ad arrivare
alle mura. C’è una vecchia insegna che indica la locanda dell’Orso. Sulla porta non c’è nessuno. Muzhrab lega le redini
del cavallo all’anello vicino all’ingresso ed entra. L’oste arriva poco dopo. Un uomo piuttosto grosso, un
po’ stempiato, con capelli rossi e occhi verdi. La camicia aperta sul petto
lascia vedere una fitta peluria rossiccia e sotto le ascelle ci sono due
chiazze umide. Anche sulla fronte ci sono goccioline. L’uomo ha un odore di
sudore piuttosto forte, ma non sgradevole. Muzhrab sa benissimo di non avere
un odore migliore, dopo diversi giorni di viaggio e notti trascorse dormendo
all’aperto nei propri vestiti. L’uomo fissa Muzhrab e gli sorride. - Cerchi un posto per dormire, guerriero? - Sì. Ne hai uno? - Ho un posto in una camera. Ci sono già due
cavalieri, ma il letto è grande. Muzhrab è abituato a dividere il letto con altri: è la
sistemazione comune in tutte le locande, a parte quelle più costose, che non
ha modo di frequentare. - Per me va bene. Concordano il prezzo, poi l’oste dice: - Se vuoi mangiare, stiamo preparando e tra poco sarà
pronto. Chiamo il garzone che si occupi del cavallo. - Sì, mangio volentieri un boccone. E poi vorrei fare
un bagno. È possibile? - Certo. Ma ne parliamo dopo pranzo. Un garzone prende il cavallo e lo conduce all’interno,
attraverso un portone che probabilmente immette in un cortile. Muzhrab entra
nella locanda e raggiunge la sala, un locale ampio, ma basso e poco luminoso.
Diverse persone sono sedute a tavola. Dall’aspetto si direbbero quasi tutti
guerrieri. L’oste gli dice ancora: - Il cesso è nel cortile, come pure la fontana. Muzhrab passa nel cortile e dopo essersi lavato le
mani e la faccia rientra nella sala e si siede a un tavolo dove altri quattro
uomini stanno conversando. Uno di loro si rivolge a lui e, dopo essersi
presentato, gli chiede chi è e da dove viene. La conversazione si allarga
anche agli altri. Come Muzhrab ha immaginato, sono tutti venuti per il bando
del governatore e sperano di essere presi. L’oste arriva poco dopo con un pentolone, da cui versa
nei piatti una minestra densa e fumante, a cui accompagna un’abbondante dose
di pane nero. L’odore è quanto mai stuzzicante, soprattutto per Muzhrab, che
in questi giorni si è nutrito di gallette e carne secca. Il gusto è
altrettanto buono e tutti i guerrieri mangiano avidamente. Quando ha finito,
Muzhrab si guarda intorno. Lo stanzone è poco luminoso perché le finestre che
danno sul cortile sono piccole e le alte mura della città impediscono alla
luce del sole di arrivare. E forse a rendere lo stanzone piuttosto buio
contribuisce anche la sporcizia dei vetri. Tutto sommato è meglio che ci sia
poca luce: almeno non si vede che anche i tavoli sono piuttosto sporchi.
Muzhrab non ci bada: la minestra lo ha messo di buon umore. Il pasto non è finito: l’oste porta una forma di
formaggio, che taglia, facendo fette generose per chi lo desidera. Muzhrab è alquanto soddisfatto. Molti chiedono ancora
sidro e l’oste ne porta, ma Muzhrab è abituato a bere poco. Esce nel cortile
e guarda la scuderia che si trova sul lato opposto, contro le alte mura. Dopo un po’ l’oste lo raggiunge. - Ti faccio vedere la camera. Salgono per una stretta scala di legno, che porta al
secondo piano. La camera non è molto vasta ed è occupata quasi per intero da
un grande letto, su cui dorme un guerriero nudo, che dà loro la schiena.
L’uomo non si accorge del loro ingresso e continua a russare tranquillamente.
L’oste indugia un momento a guardarlo, poi dice, piano: - Come ti ho detto, siete in tre. Il letto è
sufficiente. Sì, non è molto grande, ma in tre ci si sta. - Adesso è possibile fare il bagno? - Certamente. C’è uno stanzino con la tinozza. Ti
faccio portare l’acqua. Ti vengo a bussare quando è pronto. O preferisci
aspettare in cortile? - Aspetto qui. - Ti vengo a chiamare quando è pronto. Muzhrab posa la sua sacca in un angolo, si toglie la
spada e gli stivali, poi si spoglia, rimanendo solo con le mutande. Guarda
l’uomo che dorme, che è sempre nella stessa posizione. Ha un corpo forte, con
il culo e le gambe coperte da una fitta peluria nera, che si dirada sulla
schiena. Lo sguardo di Muzhrab indugia sul culo. Pensa che non scopa da
settimane. Non gli spiacerebbe gustare questo culo. Ma l’uomo è certamente un
guerriero e difficilmente accetterebbe di farsi possedere, così come non lo
tollererebbe Muzhrab. Si stende sul letto. Sente una piacevole sonnolenza.
Può dormire un po’, l’oste lo chiamerà. A destarlo è in effetti l’oste, che lo chiama piano,
scuotendolo per il braccio, per non svegliare l’uomo che ancora dorme accanto
a lui. - Il bagno è pronto. Muzhrab segue il locandiere fino allo stanzino. La tinozza è piena e accanto ci sono due secchi, uno
di acqua calda e uno di acqua fredda. - Tra un momento ti porto un telo per asciugarti. - Va bene, grazie. Muzhrab si toglie le mutande. L’oste dice: - Vuoi che le faccia lavare? Le stendiamo vicino al
fuoco, per domani mattina saranno asciutte. Perché no? - D’accordo. L’oste sorride. Muzhrab vede che lo sta fissando. Lo sguardo dell’uomo scorre lungo il corpo del
guerriero. Ne osserva la spalle ampie, il torace, con i segni delle ferite:
una cicatrice sotto la spalla destra, un’altra sul lato sinistro, una al
ventre. È un guerriero che ha combattuto, questo, non certo uno di quelli che
si vantano di essere valorosi, ma non hanno mai affrontato un avversario. Anche se cerca di non darlo a vedere, ora l’oste fissa
il cazzo del guerriero. Muzhrab risponde al sorriso dell’oste con un mezzo
sorriso. Ha una buona dotazione e se l’oste vorrà assaggiare, non ha
obiezioni: non gli spiacerebbe svuotare i coglioni. Muzhrab si volta ed entra nella vasca. Sente lo
sguardo dell’oste su di sé, ma non se ne occupa. L’oste esce. Muzhrab chiude gli occhi e si abbandona al piacere di
un bel bagno caldo. Dopo diversi giorni di viaggio, è davvero bello indugiare
nella tinozza. Dopo essersi goduto il tepore dell’acqua, Muzhrab si
lava. Poco dopo arriva il locandiere, con un ampio telo. - Ti do una mano ad asciugarti, guerriero? Muzhrab sorride. Ha le idee abbastanza chiare su come
andrà a finire la manovra del locandiere. - Va bene. Muzhrab si alza ed esce dalla tinozza. Rivoli d’acqua
scendono sul pavimento, formando piccole pozze. L’oste passa dietro di lui e
gli avvolge il corpo nel telo, strofinando energicamente. Il locandiere gli asciuga la schiena, poi, rimanendo
dietro di lui, gli asciuga il petto e il ventre. Muzhrab lo lascia fare,
senza dire nulla. Imbaldanzito dall’arrendevolezza del guerriero, il
locandiere passa il telo sul cazzo e poi sui coglioni. - Bisogna asciugare bene, anche lì. Lo strofinio energico produce l’effetto desiderato. Il
cazzo di Muzhrab si gonfia di sangue e si irrigidisce. Il locandiere stringe
il guerriero tra le braccia, mentre continua ad accarezzare con la stoffa.
Poi lascia cadere il telo e passa davanti a Muzhrab. Senza badare alle pozze
d’acqua, si inginocchia sul pavimento, mette le mani sul culo del guerriero e
ne prende in bocca il cazzo, succhiandolo delicatamente. Ci sa fare e Muzhrab
sente brividi di piacere corrergli lungo la schiena. Dopo aver succhiato la
cappella, la lascia e la contempla. Passa la lingua sui coglioni, infila la
testa tra le gambe del guerriero per leccare l’area dietro lo scroto, poi
accarezza il cazzo e prende di nuovo la cappella in bocca, succhiando
energicamente. Le sue mani intanto poggiano sul culo di Muzhrab e lo stringono
con forza. Muzhrab pensa che il locandiere è davvero bravo. L’uomo lascia la sua preda, alza lo sguardo e chiede: - Me lo metteresti in culo? Perché no? Muzhrab annuisce. - Va bene. Il locandiere sorride. Si alza e si spoglia in fretta.
È molto peloso, come Muzhrab aveva intuito guardandogli il petto scoperto, e
ha una grossa pancia sporgente. Dopo essersi spogliato succhia ancora un
momento la cappella, poi si mette a quattro zampe. Muzhrab guarda il grosso culo che gli si offre,
coperto da una fitta peluria rossiccia. Appoggia le mani sulle natiche,
divaricandole, in modo da scoprire l’apertura. Tenendo il culo bene aperto,
avvicina la cappella, ma quando sente la pressione, il locandiere dice: - Sputa sul buco. Ce l’hai grosso. Muzhrab sputa sull’apertura, sparge un po’ la saliva,
poi affonda la cappella nel culo del locandiere, che sussulta. Si ferma un
momento, per dargli il tempo di abituarsi, poi incomincia a muovere il culo
avanti e indietro, affondando il cazzo ben dentro e poi ritraendolo. Procede
lentamente: è parecchio che non scopa e non vuole venire subito, vuole
gustare questo bel culo caldo che gli viene offerto. Le sue dita affondano
nella carne, giocano con il pelame abbondante. È piacevole, davvero
piacevole. La tensione cresce. Muzhrab rallenta il movimento, ma ormai il
desiderio è troppo forte e ora esplode. Dal cazzo il seme sgorga abbondante,
riversandosi nelle viscere del locandiere, che emette un gemito. Muzhrab
chiude gli occhi e si abbandona sul corpo. Poi la sua mano afferra il cazzo
del locandiere e lo stuzzica, fino a che l’uomo non emette un grido strozzato
e il seme schizza. Muzhrab sorride e si alza. Raccoglie il telo e si
pulisce. Il locandiere si è alzato. - Grazie, guerriero. - Grazie a te. Il mio nome è Muzhrab. - Io mi chiamo Redwin. - Ora torno in camera, Redwin. Posso andare in giro
nudo nel corridoio? Redwin ride. - Certo. Qui ci sono solo uomini, in questa locanda
non accetto donne. Oggi sono tutti guerrieri. Muzhrab torna in camera. Non incontra nessuno nel corridoio,
ma l’uomo che dormiva si è svegliato. Lo guarda, un po’ stupito, poi chiede: - Sei il nuovo ospite della stanza? Quello è il tuo
bagaglio, vero? - Sì, esatto. Quando sono arrivato dormivi. - E adesso hai fatto un bagno, suppongo. O di solito
te ne vai in giro nudo? L’uomo ghigna. - In effetti ho fatto un bagno. - E magari hai pure fottuto l’oste. Quello è una
troia. Muzhrab non risponde subito. Non ha voglia di mentire,
ma non vuole nemmeno sputtanare Redwin. L’uomo intuisce e ride: - Non ti preoccupare. Lui è una troia, ma io sono un
porco e ci ho scopato anch’io. Ride di nuovo. Muzhrab annuisce. Sorride, senza commentare, poi dice: - Adesso però ho voglia di fare un giro in città. È la
prima volta che vengo a Samar. - Allora fai bene ad andartene a spasso. Io mi rimetto
a dormire. Ho viaggiato tutta la notte, senza chiudere occhio. - Mi dicono che da queste parti è alquanto pericoloso
muoversi la notte. - Lo è. Ma anche fermarsi a dormire all’aperto lo è.
Buon giro. Muzhrab si riveste e lascia la stanza. Scende la scala
e raggiunge la porta. Quando esce dalla locanda, non si accorge che un uomo
lo sta osservando, dietro i vetri della finestra di una bettola lì vicino. Bran aspetta che Muzhrab abbia svoltato l’angolo, poi
raggiunge la locanda e chiede di Redwin, che arriva subito. - Bran! Sei a Samar! Sono contento di vederti. Ma temo
di non avere un letto per te: ho dato l’ultimo posto un’ora fa a un
guerriero. - Sì, oggi Samar è piena di guerrieri. Il guerriero
che dici è quello che è appena uscito? - Sì, lui. Si chiama Muzhrab. - Lo conosci? - No, è la prima volta che viene qui, ma… - Ma…? Redwin ride e aggiunge: - …scopa bene. Bran scuote la testa. - Sempre il solito. Il lupo perde il pelo, ma non il
vizio. - Già. Io di peli ne ho persi un po’ sulla testa, ma
ne ho d’avanzo da tutte le altre parti. - E di vizi non ne hai perso nessuno. - Esatto. Però, a proposito di peli… Ti conosco da
quando ero ragazzo, sono passati almeno vent’anni, ma sei sempre uguale. Devi
avere oltre sessant’anni, ma non te ne darei più di quaranta o
quarantacinque. I capelli sono tutti neri e c’è qualche pelo bianco solo
nella barba, ma pochi. Bran annuisce. È uno dei motivi per cui evita di
tornare nei posti dov’è stato venti o trent’anni prima, se lo conoscono. - La vita all’aria aperta fa bene… Ora però devo
andare. - Ma come… sei qui e non rinnoviamo la conoscenza?!
Non puoi farmi questo! Bran sorride. - Mi hai appena detto che questo Muzhrab scopa bene. - Mai come te, Bran. Dai, non farti pregare. Bran annuisce. Non ama farsi pregare. Non è avaro di
sé. E Redwin gli sta simpatico: è buono e sempre disponibile a dare una mano,
oltre che ad offrire la bocca e il culo. Salgono nella camera di Redwin. Il locandiere incomincia a spogliare Bran. - Sono contento che tu sia qui, Bran. Avrò male al
culo per una settimana, lo so, ma nessuno sa scopare come te. Bran scuote la testa. Non replica al complimento: non
saprebbe che dire. Ha l’impressione che Redwin pensi davvero quello che dice.
Bran si lascia spogliare, assecondando i movimenti di
Redwin, poi a sua volta gli toglie gli indumenti. Ora sono tutti e due nudi,
uno davanti all’altro: due grossi orsi, più muscoloso e scuro di pelo Bran,
più rotondo e rosso Redwin. Redwin scivola in ginocchio. Gli piace succhiare un
bel cazzo e quello di Bran è senz’altro il migliore che gli sia mai capitato
di provare. Gli piacciono anche i coglioni, grossi, duri, coperti pure quelli
di una pelliccia scura. L’oste ci giocherella con le mani, li stringe un po’.
Redwin si stacca un attimo, alza lo sguardo sul viso di Bran e gli dice: - Certe volte penso che in realtà tu sia un orso, un
orso con la faccia umana. Bran sorride. Nelle parole di Redwin c’è più verità di
quanto lui possa pensare, ma non è il caso che glielo dica. Accarezza i
capelli di Redwin, poi si china in avanti e, mentre il locandiere gli lecca i
coglioni e il cazzo, gli accarezza la schiena, scendendo fino al culo. - Allarga un po’ le gambe, Bran. Bran obbedisce. Redwin si mette sotto e passa la
lingua sul solco delle natiche di Bran, poi dietro i coglioni e infine
ritorna ai suoi giocattoli preferiti. Il cazzo di Bran si è teso e ora
incombe, duro e grande, un po’ minaccioso. Redwin lo guarda ammaliato, passa
la lingua sulla cappella, su cui ormai brilla una goccia, e poi la avvolge
con le labbra, mentre le sue dita ancora stuzzicano i coglioni. Rimarrebbe
così per ore, perché non c’è nulla di più bello al mondo. Dopo aver giocato ancora un po’, Redwin si alza.
Avvicina il viso a quello di Bran e si baciano. Poi il locandiere appoggia il
torace sul tavolo e divarica bene le gambe. Bran si mette dietro di lui. Si
inginocchia, gli divarica le natiche con le mani e passa la lingua sul solco,
più volte. Poi si alza e avvicina la cappella all’apertura. Spinge in avanti
il culo, in modo che il cazzo forzi il buco. Redwin chiude gli occhi. Quando
Bran entra dentro di lui, gli fa sempre male, ma è una sensazione bellissima.
Bran aspetta un buon momento, lascia che l’apertura si abitui a questa mazza
che la sta dilatando, poi lentamente affonda il cazzo nel culo del
locandiere, che mugola. Bran spinge fino in fondo, poi si ferma. Le sue mani
accarezzano la schiena di Redwin, salgono alle spalle, scivolano tra i
capelli, poi scendono, passano davanti sul ventre, afferrano il cazzo, lo
stuzzicano un po’ e giocano con i coglioni, mentre Redwin geme. Lentamente Bran prende a muoversi, ritraendo il cazzo
e poi spingendolo in avanti. Redwin geme, senza ritegno, mentre ondate di
piacere lo squassano. C’è dolore, forte, ma rimane sullo sfondo, soffocato
dalle sensazioni fortissime che gli trasmette questo cazzo superlativo che
affonda dentro di lui, arretra fin quasi ad uscire, poi avanza di nuovo ed
esce, per rituffarsi dentro. Il piacere è tanto forte da essere
intollerabile. Redwin grida, mentre il suo seme si sparge. Bran accelera le spinte e il suo seme si riversa nel
culo di Redwin. Poi si appoggia su di lui e gli accarezza i capelli. Quando Bran si stacca per rivestirsi, Redwin si
drizza. - Cazzo, Bran. Nessuno scopa come te. Ho un male al
culo bestiale, ma è una meraviglia. - Mi spiace per il male al culo, ma non ci posso fare
niente. - Va bene così. Bran bacia Redwin, spingendogli la lingua in bocca,
poi si stacca. - Io devo andare. - Se riesci a ripassare, prima di partire… - Ma hai appena detto che hai un male bestiale al
culo! - Raddoppio il male volentieri. Bran ride e scuote la testa, poi se ne va. Redwin scende le scale, piano, perché in effetti il
male al culo è forte, ma è soddisfatto come di rado in vita sua. La prima
scopata della giornata, con Muzhrab, è stata ottima, ma questa seconda…
davvero, nessuno al mondo scopa come Bran. Redwin scende nella sala. Un guerriero gli grida: - Oste fottuto, dove t’eri cacciato? Ho la gola secca. - Adesso arrivo. - E muoviti, stronzo. Voglio bere. Redwin guarda l’uomo. Si chiede se sia il caso di
dargli ancora da bere. Non vuole provocarlo, per cui si limita a riempirgli
il bicchiere di sidro poco più che a metà. L’uomo guarda il bicchiere, poi
scatta in piedi, afferra Redwin per il colletto della camicia e dice: - Pezzo di merda, riempilo tutto, il bicchiere. Redwin cerca di liberarsi. - Te ne do ancora un po’, ma mi sa che hai bevuto già
un po’ troppo. Quello che succede poi è del tutto inatteso e troppo
rapido perché qualcuno riesca a intervenire. L’uomo estrae un coltello e lo
pianta nel fegato di Redwin. Altri tre guerrieri saltano addosso all’ubriaco,
che si agita come un forsennato, e dopo una rapida colluttazione lo bloccano.
Intanto Redwin ha sgranato gli occhi e si è accasciato al suolo, guardando
incredulo il coltello piantato fino all’impugnatura nel suo corpo. Sa che è
finita. Dalla ferita esce un mare di sangue, che forma un’ampia pozza a
terra. Il dolore è violento. Redwin mormora: - Perché? È assurdo morire così, per un guerriero che ha bevuto
troppo. L’ubriaco continua a sbraitare, furioso, e cerca di
divincolarsi, finché uno dei guerrieri si stufa e gli molla tre pugni al
ventre. L’uomo strabuzza gli occhi e si affloscia, ansimante. Intanto il
garzone corre a chiamare un medico e un guerriero cerca le guardie. Uno degli uomini presenti nella sala si china su
Redwin ed estrae il coltello dal corpo. Altro sangue sgorga abbondante,
allargando la pozza sul pavimento. L’uomo alza lo sguardo su un altro, che si è chinato
ad osservare. - È fottuto. Gli mostra il grosso squarcio e poi il coltello, con
la lama insanguinata fino all’impugnatura. Redwin guarda angosciato l’uomo con il coltello. Il
dolore sta scemando: sta certamente morendo. Non ha senso, non ha senso
morire così. Due guardie sono arrivate e trascinano via
l’assassino. Arriva anche il medico. Fa sollevare Redwin da quattro guerrieri
e lo fa mettere su un tavolo, per poterlo esaminare. Il locandiere è stupito
di essere ancora cosciente e lucido, nonostante tutto il sangue che ha perso.
Il dolore sta lentamente passando, forse perché sta per perdere i sensi. Il medico lo fa spogliare e chiede acqua per lavare la
ferita e capire la situazione. - La ferita non sembra molto profonda. L’uomo che ha estratto il coltello scoppia a ridere.
Prende l’arma e dice: - L’aveva infilato dentro tutto, sporgeva solo il
manico. Vedi che è tutto insanguinato? Il dottore guarda dubbioso. - Non è possibile, la ferita non è così larga. Il garzone ha portato l’acqua. Il medico lava la
ferita. - Vedi? È appena un taglio superficiale. Ha già smesso
di sanguinare. - Ma… che cazzo… non è possibile. Gerehrab, hai visto
anche tu, no? - Sì, certo, era dentro fino all’impugnatura. - Cazzo, dottore, guarda quanto sangue c’è per terra.
Ti sembra una ferita superficiale? Redwin segue tutta la discussione, frastornato. Il
dolore è quasi scomparso. È perfettamente lucido e non si sente debole. Il dottore scuote la testa. - Tutto questo sangue non può essere uscito da questa
ferita minuscola: si vede appena. E lui non è mica pallido. Se avesse perso
tutto questo sangue, sarebbe bianco come un cencio. Gli uomini si guardano, stupefatti. La ferita è
davvero minuscola, si direbbe un graffio. - Riesci ad alzarti, Redwin? Redwin annuisce. Con cautela si mette a sedere sul
tavolo. Guarda la ferita. Davvero si vede a malapena. Guarda il sangue per
terra. Eppure è il suo sangue, quello. Scende dal tavolo, badando a non mettere i piedi nella
pozza di sangue. - Non so che cosa sia successo, forse quel coltello è
magico… non so. Un’altra idea si è affacciata nella sua testa, ma
preferisce non esprimerla. Vuole riflettere con calma. Il dottore guarda ancora la ferita. - Si è praticamente chiusa da sé. Strano. Quando sono
arrivato era più larga. Non capisco… forse hai ragione, Redwin, è un coltello
magico. O sei tu che sei fatato. Magari sei uno di Coloro Che Ritornano. Il dottore ride, una risata un po’ nervosa. Sanno
tutti che esistono esseri che hanno strani poteri, creature che ritornano
dalla morte, ma nessuno ha mai pensato che il locandiere dell’Orso fosse tra
quelli. Ora lo guardano tutti perplessi, un po’ inquieti. Poi uno dei
guerrieri che hanno bloccato l’aggressore dice, ridendo: - Ti accoltelliamo di nuovo. Vediamo che cosa succede. Redwin scuote la testa: - Se vuoi fare una prova, fatti accoltellare tu. Una
volta mi basta. L’uomo ride e dice: - Non ci tengo, grazie. Mi sa che non sono fatato, io.
Va bene così. Un altro osserva: - Non è ora che tu ti metta a preparare la cena?
Abbiamo fame. Redwin guarda l’avventore. Lo hanno appena
accoltellato e questo tizio gli chiede di pensare alla cena! Vero è che la
ferita è chiusa e non sente nessun dolore, nemmeno debolezza. Sospira e
annuisce, mentre si rassetta. - Prima però è bene che dica al ragazzo di pulire. Che
macello! E poi mi occupo della cena per tutti. Mentre il garzone pulisce, Redwin passa in cucina e
incomincia a preparare. Senza più nessun estraneo intorno, pensa alla prima
volta che ha scopato con Bran, oltre vent’anni fa. Era stata un’esperienza
incredibile: non pensava che scopare potesse dare tanto piacere. Quando, dopo
la scopata, era sceso ad aiutare i suoi in cucina, non riusciva a
concentrarsi, aveva la testa altrove, pensava in continuazione a Bran e al
rapporto che avevano avuto. Troppo poco attento a quello che stava facendo,
aveva finito per tagliarsi malamente il pollice. Anche allora aveva perso
parecchio sangue e suo padre temeva che potesse perdere il dito. Lo avevano
subito bendato, ma il dolore era passato in fretta e la sera, controllando la
ferita, Redwin aveva notato che non c’era più nessuna traccia, come se non si
fosse mai tagliato. I suoi genitori non riuscivano a spiegarsi la faccenda.
Redwin aveva le cicatrici di alcune piccole ferite che si era fatto da
ragazzo e anche in seguito, se gli era capitato di ferirsi, c’erano voluti
diversi giorni perché si rimarginassero, come è normale per tutti. Ma quella
ferita era scomparsa rapidamente, senza lasciare nessun segno, come oggi. E
anche quella volta aveva scopato con Bran. Ha conosciuto Bran oltre vent’anni fa. Ed era identico
ad adesso. Ora sembrano coetanei, ma allora tra loro c’erano almeno vent’anni
di differenza. O forse… forse ce n’erano molti di più, allora e adesso. Redwin scuote la testa. Meno male che ha scopato con
Bran oggi. Altrimenti probabilmente a quest’ora sarebbe un cadavere. Muzhrab è rientrato. Nella locanda non si parla
d’altro: l’oste è stato ferito, una coltellata sicuramente mortale, ma la
ferita si è rimarginata in fretta e lui sembra stare benissimo. Muzhrab è
perplesso. Gli sembra una faccenda poco probabile, anche se sa che esistono
amuleti e talismani in grado di proteggere dai colpi e di guarire le ferite.
E creature incantate, che possono ritornare in vita dopo essere state uccise:
li chiamano Coloro Che Ritornano. Redwin gli è sembrato un uomo qualunque, ma
non si può mai sapere. Molte persone dotate di poteri magici non hanno nulla
che le distingua dalle altre. Anche Bran ha saputo dell’accaduto: se ne parla
parecchio in tutta la città. La storia è stata ripetuta mille volte e i fatti
sono stati ingigantiti. C’è anche chi dice che Redwin è stato accoltellato
venti volte e che l’aggressore gli ha tagliato la testa, ma poi la testa è
tornata al suo posto, si è riattaccata e il locandiere si è alzato e stava
benissimo. Bran non si è stupito. È contento di aver scopato con
Redwin oggi e di averlo così salvato. L’indomani Muzhrab si dirige alla fortezza. Sono in
tanti i guerrieri che hanno risposto all’appello. Sono tutti guerrieri
liberi, che non sono al servizio di nessuno dei re della regione. Muzhrab si
guarda intorno. Conosce alcuni di questi uomini, ma non è amico di nessuno.
Sa che molti di loro sono tipi poco raccomandabili: c’è chi ha scelto la vita
del guerriero libero invece di mettersi al servizio del proprio re per amore
dell’avventura, ma molti sono stati allontanati dalle truppe regie per
insubordinazione o perché poco affidabili, qualcun altro è scappato dopo aver
commesso un crimine. Alcuni sono davvero più banditi che guerrieri. La gente
diffida di questi uomini spesso violenti e brutali, come quello che ha
accoltellato Redwin. Tra di loro molti sono coraggiosi, ma pochi leali. Tutti si chiedono per quale missione sono stati
convocati. Probabilmente un’impresa molto rischiosa, una di quelle in cui è
difficile avere successo, ma è facile morire. Il governatore preferisce non
mettere a repentaglio la vita dei suoi soldati, che sono necessari per
difendere la città e i confini, e ha deciso di rivolgersi ai guerrieri
liberi. Se molti di loro moriranno, non sarà una perdita per nessuno. Per
qualcuno sarà solo un po’ di feccia in meno. Alcuni giorni fa Muzhrab ha
parlato con un guerriero che non intendeva recarsi alla convocazione, perché
sospettava che fosse solo una manovra per sbarazzarsi di un po’ di guerrieri
liberi. A Muzhrab ha detto: “Ci considerano merda e vogliono gettarci nelle
fogne.” Muzhrab ha deciso di venire a Samar. Deve guadagnarsi
da vivere, come tutti i guerrieri liberi che non sono di famiglia ricca. La
sua famiglia in realtà è ricca, ma suo fratello ha fatto in modo di
escluderlo dall’eredità. Muzhrab possiede solo un cavallo, la spada e le
poche cose che porta con sé. Dall’ingresso della fortezza Muzhrab passa in un primo
cortile e poi, attraverso un passaggio coperto, in un secondo. Qui Muzhrab
vede due botti piene di ciottoli bianchi e neri. Le guarda stupito,
chiedendosi a che cosa possano servire. Vicino al muro del torrione vi sono
numerose tavole con panche e sgabelli: probabilmente il governatore offrirà
da mangiare e da bere a coloro che accetteranno la proposta o forse a tutti. Il cortile si riempie. Ora ci sono un centinaio di
uomini, che attendono. Il governatore si affaccia dal balcone. - Guerrieri liberi dei sette regni, vi do il benvenuto
a Samar. Dopo alcune parole di ringraziamento, il governatore
prosegue con il suo discorso: - Ho chiamato i guerrieri, perché abbiamo bisogno di
uomini coraggiosi. Vogliamo costruire una fortezza lungo la pista che conduce
alle Terre Alte: molte carovane sono state attaccate da bande di briganti e
pensiamo che sia bene stanziare una guarnigione al guado di Dubokvoda, per
controllare tutta l’area. Ma edificare un forte richiede un lungo periodo di
tempo e servono guerrieri senza paura, che proteggano i muratori al lavoro. L’idea del governatore non stupisce nessuno. Samar è
un avamposto e a occidente non esistono altre terre abitate da umani, anche
se diversi mercanti si spingono molto oltre i confini: ci sono traffici
commerciali importanti, perché dalle miniere dei nani nelle Terre Alte
arrivano oro e pietre preziose, dalla foresta di Prasuma legni pregiati e
dalle città degli Aldebri lungo il fiume manufatti d’oro e d’argento, molto
richiesti nelle corti. Anche il sale viene dalle montagne e gli insediamenti
dei figli di Lilith a nord del guado forniscono diversi prodotti agricoli e
d’allevamento. Tutto questo commercio è fonte di ricchezza e va tutelato. Muzhrab valuta la proposta, mentre il governatore
prosegue il suo discorso. Accettare significa rimanere alle dipendenze del
governatore per tutto il periodo che richiederà la costruzione della
fortezza: una proposta interessante per chi non ha altri mezzi di
sussistenza, perché garantisce una paga per parecchio tempo. Questo servizio
prolungato probabilmente sarà meno gradito agli spiriti liberi, ma chi deve
guadagnarsi da vivere ha poca libertà di scelta. Il lavoro presenta grandi rischi: le terre oltre il
confine sono popolate da diverse stirpi, alcune fortemente ostili agli umani,
e vi trovano rifugio molti banditi, umani e non. Molti non gradiranno la
costruzione di un avamposto degli umani in un territorio dove i Figli di Eva
non hanno mai avuto insediamenti stabili. Anche la presenza di un alto numero
di guerrieri creerà non pochi problemi: molti di loro sono rissosi e
insofferenti a ogni disciplina. Non è detto che le minacce esterne siano
sufficienti a renderli più disciplinati. I pericoli non spaventano Muzhrab; lo frena piuttosto
l’idea di trovarsi fianco a fianco per un lungo periodo con uomini che non
sempre hanno la capacità di controllarsi e di cui ha poca stima. Il governatore parla della rigida disciplina che sarà
imposta nel cantiere e del potere assoluto del suo rappresentante,
Dvoboposte, un ufficiale. Muzhrab si chiede se si tratta di quello che ha
visto alla porta: gli è sembrato un uomo molto deciso e capace, anche se gli
ha parlato solo pochi minuti. E il fatto che i guerrieri venuti per ascoltare
l’offerta del governatore dovessero passare da lui, potrebbe confermare il
sospetto di Muzhrab: ha parlato con tutti e si è fatto un’idea di loro,
magari ha anche deciso chi non prendere. Il governatore sta finendo: - Coloro che intendono rimanere al mio servizio per il
tempo necessario alla costruzione della fortezza, prenderanno un ciottolo
bianco dalle botti all’ingresso, gli altri un ciottolo nero. Uscirete uno per
volta e consegnerete il ciottolo che avete preso a Dvoboposte, che vi
attende. Egli consegnerà a tutti voi una moneta d’argento e selezionerà coloro
che hanno accettato, dando tutte le istruzioni. È sensato che tutti passino dall’ufficiale, che con
ogni probabilità farà una selezione degli uomini o almeno dei compiti che
assegnerà loro. Invece a Muzhrab l’idea dei ciottoli sembra una complicazione
inutile: basterebbe che chi vuole prestare servizio si rivolgesse
direttamente all’ufficiale. Infine la conclusione del discorso: - Ma prima che decidiate, invito tutti, coloro che
passeranno al mio servizio e coloro che se ne andranno, al banchetto in
vostro onore. Dalle porte al fondo del cortile escono diversi
uomini, con piatti e boccali. C’è un vociare confuso e molti si dirigono
immediatamente ai tavoli. Qualcuno invece passa prima dalle botti, per essere
sicuro di prendere un ciottolo bianco: potrebbe essere in numero limitato. Muzhrab si avvicina senza fretta ai tavoli. Guarda
quelli che saranno i suoi compagni per diversi mesi, se accetterà l’incarico.
Intorno alle mense si intrecciano dialoghi. C’è chi
sottovaluta i pericoli, chi invece li esagera, forse perché si diverte a
spaventare gli altri. - Se ci beccano i giganti di Orijaski… Sapete che cosa
fanno ai prigionieri, no? L’uomo ride, poi addenta una coscia di pollo. - Che cosa fanno? Un altro interviene: ha già sentito la storia e non ha
voglia di risentirla. Non sa se è vera, ma gli fa accapponare la pelle. - Non gli dare retta. L’uomo ride di nuovo, mentre pezzettini di carne gli
escono dalla bocca. - Te lo dico io che cosa fanno: inculano i
prigionieri. Hai presente i giganti di Orijaski? Sono alti tre volte un uomo
e hanno un cazzo… è lungo più di un braccio e quando è duro… come larghezza è
come un tronco d’albero, una quercia. Sai come deve essere prendersi in culo
un tronco di quercia? Qualcuno ride, qualcuno invece sembra incerto. - Non ci sono giganti in quell’area, stanno più a
nord. - Stanno più a nord e si spostano. Non ci mettono
molto a spostarsi. E se non gli piace l’idea che qualcuno costruisca la
fortezza… verranno a trovarci. - Se verranno a trovarci, sappiamo come accoglierli.
Io ho ucciso un gigante, nelle Terre Alte. - Tu? Non raccontare storie… - Non è una storia… L’ho fatto davvero. Accompagnavo
un gruppo di mercanti… Muzhrab non partecipa alla conversazione, non ascolta
neppure le storie che vengono narrate. Mangia volentieri e beve, senza
esagerare, anche se il sidro viene servito in abbondanza. Poi si alza. Alcuni
se ne sono già andati, ma molti sono ancora intorno alla tavola, a mangiare,
bere e vantarsi. Qualcuno è chiaramente ubriaco. Forse è anche questa una
prova: chi uscirà barcollando, con ogni probabilità non sarà preso. Raggiunge le botti. Prende un ciottolo bianco. Due
soldati all’ingresso del corridoio gli dicono di attendere un momento, poi,
al suono di una campanella, gli fanno cenno di entrare. Percorre la prima parte del corridoio, svolta e si
ferma davanti all’ufficiale. È lo stesso che era alla porta, come aveva
sospettato. Starà volentieri ai suoi ordini. D’istinto ha fiducia in lui. Muzhrab prende dalla tasca il ciottolo e glielo porge.
Mentre sta per darglielo, si rende conto che non è bianco, ma rosso: non è
più un ciottolo, sembra un rubino, che diffonde tutt’intorno un’intensa luce
rossastra, quasi fosse un lume. Stupefatto piega il braccio e lo guarda,
senza capire, le dita ancora contratte intorno alla pietra. La luce è
diventata tanto forte che attraverso la pelle può vedere il profilo scuro
delle ossa delle dita. Dvoboposte non sembra stupito. Annuisce. - Così sei tu. Poi aggiunge, indicandogli una porta alle sue spalle: - Passa di lì e sali al primo piano. Ti spiegheranno. Tira con energia una cordicella, che probabilmente
aziona una campana al piano superiore: se ne sente lontano il suono. Muzhrab apre la bocca per chiedere, ma l’uomo ha detto
quanto doveva dire. Non sarà lui a spiegargli. Si rimette la pietra in tasca
e passa per la porta. L’uomo fa suonare la campanella esterna, per far
passare il guerriero successivo. Al primo piano c’è un’altra porta. La spinge ed entra
in una saletta, dove un uomo e una donna sono in piedi ed evidentemente lo
attendono. È la donna ad attirare l’attenzione di Muzhrab. Non saprebbe dire
l’età: il viso non ha tratti giovanili, ma non ci sono rughe. La pelle ha una
sfumatura azzurrina e gli occhi sono di un blu intenso. Anche i capelli e le
ciglia sono blu. Potrebbe appartenere a uno degli altri otto popoli che hanno
caratteristiche simili agli umani e che si trovano in molte parti del mondo,
ad esempio al Popolo degli Abissi, i Figli di Sarasvati, creature di cui
Muzhrab ha sentito parlare, ma che non ha mai visto: il mare è molto lontano
dalle Terre Occidentali. Muzhrab dà appena un’occhiata all’uomo, che è un po’
indietro rispetto alla donna. È molto basso, tanto che potrebbe essere
l’incrocio tra un umano e un nano. Non sono frequenti casi di mescolanza tra
diverse popolazioni, ma talvolta si verificano. Forse anche la donna è un
incrocio. Dicono che coloro che nascono dalla mescolanza di popoli diversi
hanno spesso poteri e conoscenze superiori.
È la donna a rivolgersi a lui. Non sorride. Lo guarda
fisso, seria. - Il tuo nome, guerriero. Il tono, per quanto cortese, è quello di chi è
abituato a comandare e a essere ubbidito. - Muzhrab, di Gornigrad. - Fammi vedere la pietra. Muzhrab mette la mano in tasca ed estrae la pietra, la
cui luce sembra illuminare tutta la stanza. La donna la guarda, intenta. - Siediti, Muzhrab, e mettila via. Ti spiegherò. Muzhrab si siede, imitato dalla donna. Anche l’uomo si
siede, di lato, un po’ indietro. - Come ha detto il governatore, gli uomini qui hanno
l’intenzione di costruire una fortezza al guado di Dubokvoda. Un’idea
accarezzata da tempo, che hanno deciso di realizzare ora, approfittando di un
periodo di pace. Circa una settimana fa, la situazione è mutata di colpo. Ora
non è il momento di inviare al guado degli uomini che rischiano di essere
sterminati, ma la convocazione dei guerrieri liberi non è stata revocata,
perché era l’unico modo per riunirne tanti e trovare colui che cerchiamo, un
figlio di Adamo, della stirpe dei guerrieri. La donna non l’ha detto, ma a Muzhrab è evidente che
l’uomo di cui parla è lui stesso. - Questo guerriero libero è l’unico che potrebbe
compiere un’impresa, da cui dipende la pace di queste terre e la vita di
moltissimi esseri, di stirpi diverse. Noi non sapevamo chi fosse e non
avevamo nessun indizio. Non potevamo andare in giro a cercare tra tutti i
guerrieri quello nel cui destino era scritta questa possibilità, perché
sarebbe stato lungo e difficile, mentre noi abbiamo poco tempo a
disposizione. E comunque se lo avessimo cercato, forze oscure avrebbero
tentato di ostacolarci. La convocazione dei guerrieri ci ha permesso di
riunirne molti e siamo riusciti a trovare chi cercavamo: tu, come hai capito. Muzhrab annuisce. La trasformazione del ciottolo non
lascia spazio a dubbi. - Dimmi quale missione mi volete affidare. - Prima devo dirti una cosa. Negli Antichi Libri è
scritto che chi compirà questa impresa andrà incontro al dolore e alla morte.
Tu sai che è difficile comprendere l’esatto significato delle profezie: non
posso dirti se la morte è il tuo destino o se riuscirai a scampare. Ma non
voglio nasconderti niente: accettare la missione può significare la morte. - Sono un guerriero e la morte è sempre al mio fianco. La donna lo guarda negli occhi e Muzhrab ha
l’impressione che il suo sguardo gli entri dentro, indaghi dentro di lui,
valuti la sua forza, le sue debolezze, i suoi sogni, la sua amarezza. Gli
sembra di essere nudo davanti a lei. La donna annuisce, poi parla. - Una grave minaccia incombe sulle terre
dell’Occidente, come le chiamate voi umani. Il pericolo di una guerra che
provocherà morti e devastazioni. Muzhrab registra che la donna ha parlato di “voi
umani”: evidentemente non appartiene alla stirpe dei Figli di Eva. - L’erede al trono del regno degli Aldebri è scomparso
mentre cacciava nella Foresta Purpurea. Gli uomini della scorta sono stati
uccisi e il principe rapito. Le armi usate e diversi altri indizi fanno
pensare che i rapitori siano umani, ma sono stati aiutati da altri esseri,
forse dei Figli di Lilith: difficilmente gli umani da soli avrebbero potuto
impadronirsi di lui. Muzhrab sa che gli Aldebri hanno poteri particolari,
che non conosce: forse ad essi si riferisce la donna quando dice che gli
umani senza un aiuto non avrebbero potuto catturare il principe. Se dovrà
avere a che fare con gli Aldebri, dovrà saperne di più. Anche del Popolo
della Notte, come vengono comunemente chiamati i Figli di Lilith, sa molto
poco. Non ha mai combattuto contro forze oscure, non è mai entrato in
contatto con altre stirpi. Chiederà spiegazioni, ma solo dopo aver sentito
tutto quanto la donna ha da dire. - Gli Aldebri hanno cercato il principe, che è
sicuramente ancora vivo: la sua forza vitale è intatta. Sappiamo che si trova
nella Foresta Purpurea, ma non possiamo sapere dove, perché forze oscure
tengono lontani gli Aldebri, che a loro volta non permettono a nessun umano
di avvicinarsi. Minacciano di attaccare Samar e poi i regni, se il principe
non sarà liberato. Abbiamo consultato gli Antichi Libri e abbiamo visto che
quanto è successo era previsto e che se il principe non verrà liberato, ci
sarà un lungo periodo di guerre e devastazioni. Siamo riusciti a convincere
gli Aldebri a darci una luna di tempo. E ci siamo messi alla ricerca del
guerriero che secondo i libri può liberare il principe e salvare la pace.
Questo è il compito che dovrai svolgere, prima della prossima luna piena. Ti
è chiaro? - Sì, mi è tutto chiaro. Ti chiederò alcuni dettagli,
perché non conosco né gli Aldebri, né i Figli di Lilith, ma prima dimmi
quello che hai in mente. - Non c’è molto da aggiungere, prima di vedere in
concreto come ti puoi muovere. Un’unica cosa importante: so che c’è un’altra
Forza coinvolta e riceverai un aiuto. Chi ti aiuterà affronterà la morte, ma
anche in questo caso non so se è solo un rischio o se davvero la sua vita si
spegnerà. E non posso dirti da chi riceverai aiuto. So che è qui, a Samar, lo
sento, ma non sono in grado di dirti chi è, che aspetto ha, a che stirpe
appartiene. È una forza antica, che sfugge alle mie conoscenze. Ma questa
forza sa. Muzhrab annuisce. Un alleato che non conosce e che non
saprebbe come trovare. - Va bene. - Adesso veniamo a come muoverti. Non puoi partire con
gli altri guerrieri, perché di sicuro le Forze Oscure terranno sotto
controllo tutti coloro che partiranno per costruire la fortezza. E non è
neanche bene che tu vada da solo, perché anche questo desterebbe sospetti.
Metterai in giro la voce che cerchi un ingaggio e qualcuno ti assolderà per
avere protezione durante la traversata fino al guado: quando incominceranno i
lavori, molti mercanti si dirigeranno verso Dubokvoda, per fornire ai
guerrieri e ai muratori ciò che richiedono. Al guado ti congederanno, perché
la presenza di molti guerrieri adesso rende l’area sicura: nessuno sa della
minaccia degli Aldebri. Se il principe non verrà liberato, alla prossima luna
piena tutti gli uomini torneranno a Samar, ma questo non eviterà la guerra. Muzhrab annuisce. Grandi assembramenti di uomini
attirano sempre artigiani e mercanti di tutti i tipi. Ci sarà certamente un
rigido controllo, ma è interesse che ci siano fabbri e falegnami, taverne e
postriboli. La donna prosegue: - Dopo aver accompagnato chi ti avrà assoldato,
ritornerai verso Samar, ma lascerai la pista alle rovine della Torre del
Corvo e ti dirigerai verso Sud. Gli Aldebri ti permetteranno di passare.
Quando sarai nella parte della Foresta Purpurea dove il principe si trova
prigioniero, dovrai cercarlo e liberarlo. - Credo di aver compreso. Io però non conosco gli
Aldebri e poco so del Popolo della Notte. Posso avere informazioni su di
loro? Come riconoscerò il principe, se lo trovo? - Gli Aldebri sono i Figli di Ma. Sono una delle nove
stirpi, per cui hanno forma simile a quella di voi umani. Sentono le presenze
ostili e si allontanano rapidamente: sono molto più veloci di voi. I membri
della famiglia reale hanno una corona di luce intorno alla testa, che si
spegne solo con la loro morte. La pietra che porti con te, Dobarvrac ti dirà
tra poco come, ti permetterà di sentire a distanza la loro presenza, come
loro sentono quella degli umani, e questo potrà aiutarti a trovare il
principe. Dobarvrac dev’essere l’uomo piccolo di statura, che
finora non ha aperto bocca. La donna conclude: - C’è altro che vuoi sapere? Le cose che Muzhrab vorrebbe sapere sono tante, ma
dovrà scoprirle da solo. - No, per il momento no. - Allora ti lascio. Dobarvrac ti dirà le ultime cose.
Buona fortuna, guerriero. - Grazie. La donna si volta, senza un apparente movimento dei
piedi, come se fosse su un piedestallo che gira su se stesso. Poi si dirige a
una porta all’estremità della stanza opposta a quella da cui è entrato
Muzhrab. Pare che muovendosi scivoli sul pavimento, senza muovere le gambe. Quando è uscita, l’uomo parla. Ha una voce molto
profonda. - Guerriero, la pietra che ti è stata data ti servirà
per compiere la tua missione. Come ti è stato detto, potrai avvertire la
presenza degli Aldebri. - Perciò dovrò portarla sempre con me. Dobarvrac sorride. - Non con te. Dentro di te. - Che cosa intendi? - Quella pietra ha un valore inestimabile e qualcuno
potrebbe cercare di rubartela. Guai se finisse nelle mani sbagliate. Non puoi
tenerla in una sacca, in tasca o alla cintura. - E allora? Dovrei ingoiarla? Dobarvrac scuote la testa. - No, guerriero. Non andrebbe bene. Potresti… No, te
la metterò nel petto. - Nel petto? Che cosa intendi? - Inciderò il tuo petto e vi inserirò la pietra. Chiuderò
la ferita, così nessuno potrà vederla e nessuno sospetterà l’esistenza di
questo rubino. Muzhrab è perplesso. Dobarvrac riprende: - Non sarà molto doloroso, ma è necessario. Se quella
pietra finisse in mani sbagliate… sarebbe terribile. Così riduciamo i rischi. - Va bene… ma… avere la pietra nel petto… che
cambiamenti porterà? - Nessuno rispetto a portartela appresso.
Semplicemente non potrà esserti sottratta. - Va bene. - Allora scopri il petto e stenditi a terra. Muzhrab esegue. Gli sembra che tutto sia assurdo.
Prende la pietra e la porge all’uomo, che però scuote la testa. - Nessun altro la può toccare, Muzhrab. Tienila in
mano. L’uomo ha preso una sacca e ne estrae una piccola lama
e un flacone. Appoggia la punta della lama sul petto di Muzhrab, subito sotto
lo sterno, e incide. Il dolore non è molto forte. Dobarvrac prende la mano di
Muzhrab e la guida fino alla ferita. - Premi. Il guerriero esegue e la pietra si inserisce nella
ferita. L’uomo versa un po’ del liquido della boccetta sul taglio, poi
asciuga con uno straccio. - Ora puoi alzarti. Muzhrab si alza. Si guarda il petto cercando la
ferita, ma non ce n’è nessuna traccia. Come è successo con l’oste. - Buona fortuna, guerriero. Ricordati: prima del
prossimo plenilunio devi portare a termine la tua missione. Muzhrab annuisce. - Ora attendi un momento. Devo farti parlare con
Dvoboposte. L’uomo tira una corda. - Io esco. Aspetta il suo arrivo. Dopo un momento nella stanza entra l’ufficiale. - Muzhrab, se riuscirai a compiere la missione o se
rinuncerai per un qualsiasi motivo, fa’ il possibile per venire al guado ad
avvisarmi. È necessario perché io sappia se devo prepararmi alla guerra,
rientrare a Samar o invece proseguire in pace i lavori. - Lo farò. - Adesso ti faccio uscire, ma non dal corridoio:
qualcuno potrebbe chiedersi perché esci dopo altri che sono entrati dopo di
te. Dvoboposte lo accompagna lungo un corridoio e poi gli
indica una scala che scende. - La porta che troverai al fondo si apre su un piccolo
cortile. Sul lato opposto un’altra porta ti farà passare nel cortile
principale. Muzhrab segue il percorso indicato e poi esce dalla
fortezza. Alcuni guerrieri stanno parlando vicino alla porta. Uno di loro,
che lo conosce, lo chiama. - Muzhrab, sei anche tu dei nostri, no? Muzhrab lo guarda. Non ama fingere, ma è necessario. - No. - Non ti piaceva l’idea? - In realtà avevo preso il ciottolo bianco, ma
l’ufficiale mi ha rifiutato. Muzhrab preferisce non dire di aver preso un ciottolo
nero, perché qualcuno potrebbe averlo visto mentre sceglieva e per non
destare sospetti deve fornire una spiegazione plausibile. L’uomo appare stupito. - È successo a diversi, ma… L’uomo si morde un labbro e non completa la frase.
Chiede, invece: - Perché ti ha rifiutato? - Non lo so. Mi ha detto che non mi avrebbe preso. - Non capisco. Quelli a cui è successo, quelli che
conosco, almeno… insomma, diversi non li avrei presi neanch’io, se devo
essere sincero. Ma tu… sei uno su cui si può contare. È davvero strano. Mi
spiace. Muzhrab alza le spalle. - Non so che dirti. Devo trovare qualcuno che mi
ingaggia. Ho appena di che pagare la locanda. E la moneta che ci ha dato il
governatore non basta certo a cambiare la situazione. Contavo su questo
incarico. - Qui a Samar trovi. I mercanti che si addentrano
nelle terre oltre il confine cercano spesso guerrieri per proteggerli. E
adesso che molti di noi sono stati ingaggiati, troverai senz’altro. - Lo spero anch’io. Buona fortuna, amici. Mi spiace
non essere dei vostri. - È davvero un peccato. Non so proprio perché non ti
abbiano preso. Tornato alla locanda, Muzhrab informa Redwin che cerca
un ingaggio: se qualcuno ha bisogno di un guerriero, è facile che il
locandiere venga a saperlo. Più tardi passa anche nelle altre locande a
chiedere. Nei giorni seguenti le locande si svuotano: i
guerrieri partono, in tre scaglioni che si dirigono verso il guado. Devono
attraversare terre selvagge, ma sono gruppi numerosi e ben armati. I primi
gruppi di mercanti che intendono raggiungere Dubokvoda si uniscono a loro: in
questi accampamenti si fanno sempre buoni affari. E naturalmente ci sono
cuochi, servitori, lavandai, prostituti di ambo i sessi e tante altre
persone. Coloro che devono attraversare la foresta per i loro
affari si accodano a questi grandi gruppi, che garantiscono protezione. Per
il momento nessuno sembra aver bisogno di un guerriero libero. Muzhrab è preoccupato: tra poco sarà la notte nera,
della luna nuova e rimarranno solo due settimane. A tratti si chiede se non
mettersi in cammino da solo, ma gli è stato detto di non farlo. Muzhrab non ha impegni. Ogni giorno fa un giro a
cavallo fuori dalla città. Samar è situata su uno sperone roccioso al limite
dell’altopiano, che scende a strapiombo fino alla pianura sottostante.
Muzhrab si spinge volentieri fino al baratro, in cui il fiume che scorre ai
piedi della città precipita, formando una cascata altissima: la chiamano il
Grande Salto. C’è un fragore di tuono e in basso, molto lontano, si sollevano
grandi nuvole di vapore. Il fiume forma un lago ai piedi dell’altopiano e poi
scorre verso ovest, con un’ampia curva, fino a raggiungere la Grande
Corrente, il principale fiume delle terre occidentali, quello che è possibile
attraversare solo su imbarcazioni o al guado di Dubokvoda. Lungo il fiume, a
sud del guado, ci sono le città degli Aldebri, dove nessun uomo è mai
entrato: i mercanti devono fermarsi alla fortezza al confine settentrionale
delle loro terre. La pianura è coperta da una fitta foresta, molto
ampia: ci vogliono quattro giorni per attraversarla, seguendo la via più
breve. La chiamano la Foresta Purpurea, perché vi sono molti alberi grimiz,
le cui foglie sono di un verde screziato di rosso e in autunno diventano
color porpora. La Foresta Purpurea non è densa come il Bosco Oscuro o la
Foresta di Prasuma, posti entrambi più a sud, ed è attraversata da una pista
che permette il passaggio di carri. Dicono che sia popolata da molte creature
strane, alcune delle quali possono essere pericolose. Ma questo vale anche
per il bosco che copre l’altopiano: siamo lontani dalle terre densamente
abitate dagli uomini, dove di rado si spingono le creature dei boschi
occidentali. Oltre la pianura si vedono in lontananza le montagne.
A nord abitano i giganti di Orijaski, di cui si narrano storie terribili. Un
po’ ovunque i nani, che trascorrono gran parte del tempo nelle miniere
sotterranee. Muzhrab non conosce queste terre e le loro creature. Girando per la città, Muzhrab vede ogni tanto l’uomo
che il primo giorno sembrava fissarlo, ma che ora lo ignora completamente
quando si incrociano. Sarà anche lui un guerriero? Muzhrab non l’ha visto nel
cortile della fortezza, ma erano in tanti, potrebbe essergli sfuggito. Forse
è al servizio del governatore, anche se lo si vede sempre girare da solo,
come se non avesse niente da fare. In ogni caso non è partito per il guado.
Muzhrab si rende conto che quest’uomo molto massiccio lo incuriosisce, ma lo
sconosciuto non sembra prestargli la minima attenzione. Muzhrab rimane nella locanda dell’Orso. Due giorni dopo
la riunione nella fortezza, l’ultimo dei due guerrieri che condividevano con
lui il letto parte e Muzhrab rimane da solo nella camera. Non gli dispiace,
per niente. Il pomeriggio seguente, Redwin entra mentre Muzhrab è
disteso: nella stanza non ci sono sedie e si può rimanere solo in piedi o sul
letto. Muzhrab non ha voglia di passare tutta la giornata nella sala al piano
terra, davanti a un boccale, o andando in giro, per cui sia il mattino, sia
il pomeriggio, trascorre qualche ora in camera. Pensa alla missione che gli è
stata affidata, alla morte che forse lo attende, all’antica profezia che lo
riguarda. Redwin non ha bussato. Guarda il guerriero disteso a
torso nudo sul letto e chiede: - Hai bisogno di niente, guerriero? Il sorriso del locandiere è abbastanza eloquente.
Muzhrab sorride anche lui, ironico. - Ma, non saprei, di che cosa potrei aver bisogno? - Che so, di un lenzuolo pulito, di una bocca calda,
di uno spuntino pomeridiano, di un culo accogliente… dimmi tu. Muzhrab scuote la testa. La tranquilla sfacciataggine
di Redwin lo fa sorridere. Il locandiere gli piace parecchio: vive la sua
vita senza preoccuparsi di quello che gli altri possono pensare. Muzhrab si
dice che presto partirà per un’avventura da cui probabilmente non farà
ritorno. Può ancora godere. Potrebbe essere l’ultima volta. - Direi che in effetti alcune di queste cose
potrebbero servire. Come hai detto… un culo caldo? - Era la bocca, ma anche il culo è caldo. - Verifichiamo. Muzhrab rimane disteso. Redwin chiude la porta e si spoglia
rapidamente. Muzhrab lo guarda. Con tutto quel pelo rosso sembra quasi un
animale, un orso. Redwin sale sul letto, mettendosi in ginocchio e gli cala i
pantaloni. Il cazzo è ancora a riposo, ma il locandiere allarga un po’ le
gambe del guerriero, si infila in mezzo e si china in avanti. - Aspetta, è meglio che prima pisci. - Certo! Pronto. La bocca di Redwin avvolge il cazzo di Muzhrab, che lo
guarda perplesso. Non ha mai pisciato in bocca a un uomo. Il locandiere fa un
cenno di incoraggiamento. Muzhrab ride e incomincia a pisciare. Redwin beve e
dall’espressione del suo viso sembra che gli piaccia molto. Muzhrab scuote la testa. - Sei proprio… Preferisce non completare la frase: non vuole
offendere quest’uomo che gli regala piacere e che gli sta simpatico. Ma
Redwin lascia andare il cazzo e dice: - Una troia, lo so. E sono sempre felice di trovare un
buon porco. Muzhrab ride di nuovo. Redwin incomincia a passare la lingua sul cazzo e poi
sui coglioni, mentre le sue mani accarezzano il corpo del guerriero. Ci sa
davvero fare e il cazzo di Muzhrab acquista rapidamente volume e consistenza,
drizzandosi. Quando l’arma è bella tesa, Redwin si volta, dando la schiena al
guerriero. Si bagna due dita con un po’ di saliva e si inumidisce l’apertura
tra le natiche, poi afferra con la mano il cazzo di Muzhrab e lentamente si
impala. La sensazione di questo culo caldo che accoglie il suo cazzo è
maledettamente piacevole e a Muzhrab sfugge un gemito. Anche per il
locandiere dev’essere alquanto piacevole, perché mugola, mentre lentamente si
alza e si abbassa. Muzhrab guarda il suo cazzo scomparire completamente,
inghiottito dal culo, e poi emergere di nuovo. Non ha mai scopato così. Come per molti guerrieri, il
sesso ha sempre avuto poca importanza nella sua vita. Qualche rapporto
occasionale con un uomo o, più di rado, una donna che gli si offriva, qualche
rara visita a un bordello, ogni tanto una sega, quando qualche cosa destava
il desiderio e non era possibile soddisfarlo in altro modo, talvolta un sogno
in cui veniva. Il pensiero di questi sogni è sempre stato un po’
disturbante per Muzhrab, perché compare regolarmente un uomo massiccio, che
lo prende. Muzhrab non si è mai offerto a nessuno: come molti lo considera
indegno di un guerriero, anche se alcuni dei suoi compagni non si pongono
questi problemi. L’idea di venire mentre in sogno qualcuno lo fotte gli dà
fastidio. E adesso che queste visioni notturne gli tornano in mente, si
chiede se l’uomo del sogno non sia quello che ha incontrato più volte qui a
Samar. È una domanda senza senso: non ha mai visto in viso l’uomo del sogno,
perché adesso immagina che sia quello che incontra? Assurdo! Scaccia l’idea e si concentra sul culo che inghiotte
il suo cazzo e poi lo risputa fuori. Sono belle le sensazioni che gli trasmette
questo culo accogliente, è bello guardarne il movimento, l’apparire e lo
scomparire del cazzo teso. Il movimento accresce la tensione, che infine esplode.
Il seme si sparge abbondante nel culo del locandiere, che geme più forte,
mentre con la mano si accarezza il cazzo, fino a venire. - Grazie, Redwin. - Grazie a te, Muzhrab. Posso tornare a trovarti? - Certamente. Quando vuoi. Una delle volte successive, Muzhrab si fa raccontare
l’episodio dell’accoltellamento. Redwin gli dice che non sa spiegarselo. Gli
fa vedere le cicatrici di alcune piccole ferite che si è fatto in passato e
gli mostra il punto in cui è stato colpito, dove non è rimasta nessuna
traccia. Non fa cenno a Bran, anche se è convinto che la spiegazione sia da
ricercare in lui. Bran è impaziente. Sa, con assoluta certezza, che
Muzhrab è l’uomo per cui ha lasciato la sua casa. Ogni volta che lo incrocia
sente qualche cosa scattare dentro di sé, ma finge indifferenza ed evita di
incrociare il suo sguardo. In qualsiasi momento della giornata, potrebbe dire
a che distanza si trova, solo in base al grado di tensione che avverte. E
dopo la convocazione alla fortezza, ha avvertito un cambiamento. Il guerriero
è entrato in contatto con qualche forza che lo ha mutato. Bran non può lasciare Samar finché Muzhrab non se ne
andrà, ma stare in città gli pesa. Non ha niente da fare, non ha amici e gli
sembra di sprecare il suo tempo. Per fortuna il mattino Muzhrab fa un giro a
cavallo, per cui anche Bran può lasciare la città dove si sente allo stretto,
e cavalcare per la foresta, evitando di avvicinarsi al guerriero, perché non
si accorga di lui, e di allontanarsi troppo. Il poter sentire a che distanza
si trova senza bisogno di vederlo è un grande vantaggio: Muzhrab non si
accorge che durante i suoi giri a cavallo Bran non è mai lontano. Bran non sa che cosa dovrà fare, ma a questo è
abituato: fa parte del suo ruolo, che ha accettato con tutti i vantaggi e gli
svantaggi che comporta. Gli uni e gli altri non sono trascurabili. In questo
periodo Bran pensa spesso che gli aspetti negativi siano più forti di quelli
positivi, ma si rende conto che è il risultato delle sue ultime esperienze.
La sofferenza che porta dentro lo ha reso più scontroso e pessimista. È una settimana che Muzhrab è a Samar quando un
pomeriggio, al suo rientro nella locanda, Redwin gli dice: - È passato il capo di un gruppo di mercanti che va
oltre il confine. Cercano un guerriero che li accompagni fino al guado.
Qualcuno gli ha detto che ne potevano trovare uno qui. - Bene. Ti ha detto dove lo posso incontrare? - Ripassa lui. Gli ho detto di venire questa sera,
dopo cena. Però, Muzhrab, posso dirti che quel tipo non mi piace? - Perché? - Non so, non so che dirti. Mi sembra un individuo
losco… è solo un’impressione, però non mi va proprio. Muzhrab alza le spalle. L’importante è partire con un
gruppo, senza dare nell’occhio. Se vanno fino al guado, è esattamente quello
di cui ha bisogno, poi tornerà indietro e lungo la strada del ritorno lascerà
la pista e cercherà di compiere la sua missione. - Ho bisogno di trovare un ingaggio, Redwin. Se devo
accompagnarli fino al guado, non è un lungo viaggio. Pazienza se sono tipi
loschi: è questione di alcuni giorni. L’uomo arriva la sera. Redwin lo vede dalla finestra e
dice a Muzhrab: - Eccolo. Quando l’uomo entra, Muzhrab lo guarda. Ha un viso
largo, tondeggiante, con rughe profonde, ma non sembra anziano. Dev’essere
sui quaranta, no, forse cinquanta. A una mano gli mancano tutte le dita,
tranne il pollice. In effetti non ha una faccia che ispiri fiducia. Redwin gli indica Muzhrab. L’uomo lo fissa con
attenzione, poi si avvicina. - Così tu sei Muzhrab. Mi ha detto l’oste che cerchi
un ingaggio. - Sì, ho bisogno di lavorare. - Io sono Lazantrago e sono a capo di un piccolo
gruppo di mercanti. Noi dobbiamo andare oltre il confine, fino al guado, dove
stanno costruendo la fortezza, e abbiamo bisogno di un guerriero che ci
scorti. - Posso farlo. Quanto offrite? - Tre monete d’argento. Per una settimana nella
foresta. - Una settimana? Non ho mai percorso la pista che
attraversa la foresta, ma mi dicono che quattro giorni sono sufficienti. Muzhrab non è entusiasta della proposta: perdendo
un’altra settimana, il tempo per ritrovare il principe si restringe sempre di
più. Ma che senso avrebbe rifiutare e rischiare di dover aspettare ancora più
giorni? - Noi avremo bisogno di fermarci alcune volte. Il tuo
incarico durerà sette giorni, fino a che raggiungeremo il guado di Dubokvoda.
Noi contiamo di fermarci per un po’ là: dove ci sono tanti uomini, ci sono
buoni affari. Muzhrab vorrebbe chiedere di quali affari si occupano
questi mercanti, ma la sua curiosità potrebbe risultare sgradita. Gli
interessa partire e questo è il modo migliore, senza dare nell’occhio. - Tre monete d’argento… non è una grande offerta, per
sette giorni. Andrebbero bene se non dovessimo fermarci. Muzhrab non è certo interessato al denaro, ma deve
contrattare un po’ perché nessuno sospetti. - Senti, se vuoi te ne posso dare quattro, ma non una
di più. Se non ti va bene, cerco qualcun altro. Muzhrab storce la bocca, come se la proposta non gli
andasse a genio. - E va bene, pazienza. - Partiamo domani mattina all’alba. Ci troviamo alla
porta. - D’accordo. L’indomani mattina Muzhrab raccoglie le sue cose, sale
a cavallo e raggiunge la porta, prima che venga aperta. Il mercante è già
pronto. Lo accompagnano una dozzina di uomini. Muzhrab li guarda rapidamente.
Pendagli da forca, pensa, come il loro capo. I mercanti non sembrano
trasportare molte merci. Ci sono due carri, uno vuoto e uno pieno di pali ed
assi di legno. È alquanto strano, perché di certo nessuno compra legno ai
margini delle grandi foreste che si estendono a occidente. La piccola carovana lascia Samar non appena vengono
aperte le porte della città e si dirige verso occidente. La pista che scende dall’altopiano fino alla pianura
sottostante si snoda a zig zag lungo il fianco della montagna. È piuttosto
ampia e con un buon fondo pietroso. Qualcuno dice che fu costruita dai
giganti di Orijaski, costretti da una potente maga: molti lo ritengono
impossibile, perché quei colossi sono feroci e indomabili, ma esistono poteri
in grado di spegnere ogni resistenza e piegare ogni volontà. La discesa richiede due ore. Al termine la pista
sfiora l’estremità settentrionale del lago formato dal Fiume Purpureo ai
piedi del Grande Salto e si inoltra nella Foresta Purpurea, che attraversa
fino al guado di Dubokvoda. Procedono spediti tutto il primo giorno: la pista
è ampia e facilmente percorribile anche con i carri. Muzhrab intende svolgere il suo compito con cura,
perché è un uomo leale. Cavalca in testa alla comitiva, accanto a Lazantrago,
che stabilisce la velocità e decide le soste. Il bosco è abbastanza fitto, ma
non si avverte nessuna presenza minacciosa. Ci sono certamente molti animali:
si sentono gli uccelli cantare e a tratti si intravede un capriolo fuggire
via o si vede volare una gazza o un passero. A tratti Muzhrab ha
l’impressione di vedere qualche strana creatura, che però si sottrae subito
alla vista. Si fermano la sera. Come hanno stabilito, Muzhrab si
mette a dormire in disparte e viene svegliato verso mezzanotte. Il cuoco gli
ha messo da parte la cena e qualche cosa per uno spuntino prima dell’alba,
che sarà la sua colazione. Muzhrab consuma la cena e rimane di guardia fino
alle prime luci del giorno, quando sveglia uno degli uomini e riposa ancora
un’oretta. La notte la foresta sembra animarsi di strane
presenze. Più volte Muzhrab ha l’impressione che qualcuno li sta spiando. Ma
la luna è quasi invisibile e alla luce delle stelle è difficile vedere ciò
che si muove tra gli alberi. Probabilmente ci sono i Lesij, creature dei
boschi che assumono spesso la forma di un uomo tagliato a metà in verticale,
con un braccio e una gamba, ma tutta la testa. Vigilano sempre sul bosco e
spaventano i taglialegna, ma difficilmente qualcuno degli umani scende a
procurarsi legna qui: ci sono le foreste sull’altopiano, intorno a Samar, e i
legni più pregiati arrivano dalla Foresta di Prasuma, più a sud. Anche il secondo giorno avanzano senza fare nessuna
sosta lunga. La sera sono ormai a metà strada e Muzhrab si chiede perché lo
hanno assoldato per sette giorni, quando, proseguendo allo stesso ritmo di
marcia, ne impiegheranno i quattro abituali. La risposta gli viene data da
Lazantrago, mentre sono seduti intorno al fuoco, in una radura non lontano
dalla pista. - Noi ci fermiamo qui per due o tre giorni. Muzhrab non capisce perché intendano fermarsi. Fissa
Lazantrago, senza formulare la domanda. Sa che il mercante non è tenuto a
dargli spiegazioni: è il capo e Muzhrab è al suo servizio. Una risposta alla
domanda inespressa arriva, ma è molto generica: - Abbiamo da fare. Durante il giorno tu rimarrai qui
con Objekuhar, a sorvegliare l’accampamento. Objekuhar fa da cuoco, con risultati alquanto
mediocri, ma nessuno se ne preoccupa: sono uomini abituati a mangiare male e
probabilmente anche a saltare i pasti. - Va bene. È ancora notte fonda quando Objekuhar prepara la colazione
e gli uomini partono. Aggirarsi nel bosco la notte è un’imprudenza, ma
evidentemente per ottenere ciò che vogliono devono muoversi nell’oscurità più
profonda. Muzhrab si è alzato con gli altri: deve sorvegliare
l’accampamento. Objekuhar lava sommariamente le scodelle. - Spero che facciano buona caccia. Muzhrab non vuole mostrarsi curioso, ma il cuoco
sembra aver voglia di parlare. - A caccia in una notte di luna nuova? Non riesci
neanche a vedere dove metti i piedi. - Le notti di luna nuova sono perfette, se sai come
fare. E Lazantrago lo sa, te l’assicuro. - Se lo dici tu che lo conosci, ti credo. - Torneranno con un po’ di prede. - Ottimo, potremo mangiare qualche cosa di fresco. Muzhrab sospetta che gli uomini non siano andati a
caccia di selvaggina da mangiare, ma si finge ingenuo, per vedere se riesce a
sapere qualche cosa di più. La risata di Objekuhar gli conferma che la caccia
ha altri obiettivi. - Non mangeremo certo quello che catturano. Lazantrago
ti pela vivo, se glielo proponi. Le prede le porteremo al guado. Qualcuna la
venderemo là, qualcuna la utilizzeremo in altro modo, per racimolare un po’
di soldi. Muzhrab annuisce. Spera di ottenere ancora alcune
informazioni, ma il cuoco non pare intenzionato a dire altro. Non è un problema:
quando i cacciatori torneranno con le prede, Muzhrab scoprirà di che cosa si
tratta. Objekuhar finisce di sistemare, poi si rimette a
dormire. Muzhrab vigila sull’accampamento, muovendosi ai margini della
radura. Tutto è tranquillo e sembrano esserci meno presenze del solito. Infine il cielo si schiarisce a oriente e il sole
sorge. Il cuoco continua a dormire. Si sveglia solo tardi. Guarda Muzhrab e
sorride - Finalmente una giornata tranquilla. - Non è che il viaggio sia molto faticoso. - Non ti pesa vegliare la notte? - No, non è un problema. Sono abituato. E non mi
sembra che qui ci siano grandi pericoli, anche se tutti dicono che la foresta
è abitata da tante strane creature. Objekuhar ride. - Su questo non c’è dubbio. Almeno: lo spero. Muzhrab non capisce, ma il cuoco non sembra
intenzionato a spiegare. Cambia argomento. - So che eri alla Locanda dell’Orso. - Sì, è l’unica dove ho trovato posto quando sono
arrivato a Samar. C’era la convocazione dei guerrieri liberi. - Ma tu non sei partito con loro. - Non mi hanno preso. Il cuoco annuisce, poi dice: - Alla locanda hai fatto conoscenza con il locandiere,
vero? Muzhrab comincia ad avere un’idea di dove vuole andare
a parare Objekuhar. - Certo. Ci sono rimasto una settimana. - Lo conosco anch’io. Gli piace prenderselo in culo. Muzhrab è un po’ irritato. - E allora? - Lo hai inculato, vero? La risposta è secca: - Non sono affari tuoi. Il cuoco ride. - Chiedevo per regolarmi. - Per regolarti? - Sì, hai un bel cazzo, l’ho visto ieri mentre
pisciavi. E mi sono detto che magari oggi potevo gustarlo. Objekuhar ride di nuovo e aggiunge: - Perciò sono affari miei, no? Muzhrab scuote la testa. Guarda il cuoco: un viso
segnato da due cicatrici, una barba nera fitta e labbra spesse; un corpo
piuttosto grosso, alquanto peloso, pancia sporgente. Un tipo di maschio che
non gli spiacerebbe, anche se certo nessuno lo definirebbe bello. Non gli
piace come persona, ma non è così importante: si tratta solo di una scopata. - Allora, hai deciso se ti degni di mettermelo in
culo? O devi ancora esaminarmi mezz’ora? Muzhrab scuote la testa, sorridendo. Si rende conto
che il suo modo di guardare il cuoco è stato poco cortese. Avrebbe fatto
meglio a evitarlo, anche se Objekuhar non è certo il tipo da prendersela per
questo. - Per me va bene. Mettiamoci solo in un posto un po’
riparato. Non vorrei che tornassero gli altri o che passasse qualcuno. Un
posto dove possa tenere d’occhio l’accampamento, ma dove non ci possano
vedere. La radura dove si sono fermati è a poca distanza dalla
pista che attraversa la foresta Il cuoco scuote la testa. - Torneranno nel pomeriggio. Ma anche se tornassero
prima, a nessuno gliene frega un cazzo, se stiamo scopando. Tutti noi ci
facciamo i cazzi nostri. Si mettono sul carro vuoto. Le sponde li nascondono e
gli spazi tra un’asse e l’altra permettono di dare un’occhiata
all’accampamento. Il cuoco sale sul carro, si abbassa i pantaloni e si
mette a quattro zampe. Muzhrab dà ancora un’occhiata intorno, poi sale anche
lui. Guarda il culo di Objekuhar, coperto da una fitta peluria nera. Si
sparge un po’ di saliva sulla mano e inumidisce l’apertura. Passando il dito
si rende conto che non avrà difficoltà ad entrare: il cuoco deve essere
abituato ad usare l’ingresso posteriore. Muzhrab si cala i pantaloni, estrae il cazzo e preme
la cappella contro l’apertura. Scivola dentro senza difficoltà e incomincia
la sua cavalcata. Objekuhar emette alcuni versi, gemiti che si trasformano in
grugniti, prima soffocati, poi forti. Muzhrab guarda attraverso le fessure
che non ci sia nessuno. Va avanti a lungo a fottere questo culo caldo, mentre
il cuoco grugnisce sempre più forte. Objekuhar emette un grido e il seme sgorga abbondante.
Allora Muzhrab accelera il ritmo e viene. Si ritrae, si pulisce alla bell’e
meglio e si rassetta. - Cazzo, guerriero! Sei un gran toro da monta. Lo
facciamo ancora, tanto andranno a caccia anche domani e magari pure
dopodomani. Muzhrab annuisce. Non è che la scopata sia stata
eccezionale, ma non gli dispiace ripetere l’esperienza. Il cuoco prepara qualche cosa per sé e per Muzhrab,
con più cura del solito: il risultato è discreto, evidentemente quello che
gli manca di solito è la voglia, non le capacità. Poi prepara il solito
pastone per gli altri. - Quando torneranno saranno affamati. Sono partiti nella notte: se rientreranno nel
pomeriggio saranno davvero passate molte ore e senz’altro avranno parecchia
fame, anche se magari si sono portati dietro due gallette o un po’ di carne
secca. Gli uomini arrivano nel primo pomeriggio. Portano con
sé diverse creature del bosco: alcuni animali, ma soprattutto esseri
incantati, legati con corde rossastre che Muzhrab non ha visto nei giorni
precedenti: dovevano tenerle in un sacco. C’è un lesij: Muzhrab non ne ha mai
visto uno e osserva stupito questa buffa creatura, alta come un nano, con un
solo braccio, una gamba e una testa rotonda in cui spiccano due grandi occhi
rotondi, spaventati, e grandi orecchie circolari. I Lesij possono cambiare
forma. Come possono tenerlo prigioniero? La risposta è probabilmente nella
corda rossa con cui lo hanno sospeso all’asta che uno degli uomini tiene
sulla spalla: dev’essere un legaccio incantato. Ci sono due krilovil,
creature femminili alte come ragazzine di dodici anni, ma con il corpo
perfettamente formato: qualcuno potrebbe scambiarle per piccole donne, se non
fosse per le ali trasparenti e le orecchie appuntite. Il loro sguardo può
addormentare chi le fissa, per cui sono state bendate. C’è un giovane fauno,
con i piedi caprini e due piccole corna. Ci sono altre quattro strane
creature, che paiono incroci tra umani e animali, e alcuni animali, di specie
che Muzhrab non conosce. Lazantrago è soddisfatto. Ridendo, dice a Muzhrab: - Dalle krilovil ricaveremo una bella somma a
Dubokvoda. Sono molto richieste. E magari questa notte ne catturiamo
qualcun’altra. Le krilovil saranno certo vendute a uno dei bordelli
per i guerrieri al guado. Lazantrago prosegue: - E il fauno? Hai visto che culo che ha? Per quello ci
pagano ancora di più delle krilovil. Muzhrab è disgustato. Se non avesse una missione da
compiere, lascerebbe questi cacciatori al loro schifoso mestiere e se ne
andrebbe. Lazantrago prosegue: - Gli altri valgono di meno, ma faremo pagare i
guerrieri per vederli. E la carne degli svinja è buona. Se ne cattureremo
alcuni altri, domani, otterremo una bella somma. Magari uno ce lo mangiamo
noi, per festeggiare, ma solo se anche la prossima caccia va bene. Gli uomini scaricano dal carro pali e assi e
incominciano a costruire gabbie. Il lavoro procede rapidamente: rientra
evidentemente nelle loro attività abituali. Probabilmente vivono proprio di
queste cacce. Intorno a ogni gabbia è fissata una corda rossa: la
magia che impedirà ai prigionieri di assumere altre forme e scappare. Gli uomini si mettono a mangiare. Dopo pranzo diversi
si stendono per dormire: si sono alzati nel cuore della notte e dovranno fare
lo stesso anche oggi. Lazantrago dice: - Muzhrab, se vuoi puoi metterti a dormire anche tu.
Adesso siamo tutti qui e ripartiremo per la caccia solo nella notte. Dormire adesso non ha molto senso, se dovrà di nuovo
mettersi a dormire tra poche ore per poi rimanere di guardia nella notte. E
in ogni caso Muzhrab non ha voglia di rimanere all’accampamento. - Non ho sonno. Magari mi faccio un giro. Lazantrago annuisce. - Come vuoi. Bada solo a non perderti: abbiamo bisogno
di qualcuno che sorvegli l’accampamento mentre noi siamo a caccia. Muzhrab annuisce e si allontana, senza replicare.
Cammina un tratto lungo la pista, nella direzione che seguiranno quando
riprenderanno il cammino, poi la lascia e segue una traccia nel bosco che
sembra tornare indietro. Sa che è facile perdersi, per cui si dice che
procederà solo fino a che il sentiero sarà ben visibile. Mentre cammina pensa alle creature nelle gabbie. È
infastidito. Non ha collaborato alla caccia, non ha svolto nessun ruolo in
questo, ma l’idea delle krilovil e del fauno catturati per essere venduti a
un bordello gli fa schifo. E lo infastidisce anche il pensiero degli altri,
che saranno esibiti come in uno zoo, fino a che moriranno. Se non avesse una
missione, forse nella notte libererebbe almeno le krilovil e il giovane
fauno, ma gli è stato assegnato un compito troppo importante. Nei primi due giorni Bran si è sempre tenuto a una
certa distanza dalla carovana. Oggi ha sentito che Muzhrab non stava
procedendo lungo la strada e che si era fermato. Adesso sta di nuovo
muovendosi, ma la distanza non varia in modo regolare: forse il guerriero sta
andando a caccia o esplora il territorio o magari sta semplicemente facendo
un giro. Ma c’è qualche cosa che disturba Bran. Sente che un pericolo si
avvicina. Probabilmente dovrà entrare in azione presto. Muzhrab ritorna verso l’accampamento. È immerso nei
suoi pensieri, ma quando si avvicina alla radura, lo colpisce il silenzio che
regna: dormiranno tutti? Rallenta il passo e si guarda intorno. Non sembra
esserci nessuno. Tra gli alberi intravede i cavalli con i loro carichi, ma
non si sentono voci. Sguaina la spada e si muove con cautela. Quando è più
vicino vede la testa di Lazantrago a terra, tra due alberi. Il mercante è
stato decapitato. Un corpo senza vita è poco più in là. La carovana è stata
attaccata. Muzhrab avanza fino alla radura. A terra ci sono i
corpi senza vita dei mercanti: li hanno massacrati tutti. Un uomo, armato di
spada, è in piedi, all’estremità opposta della radura. Ha il viso coperto e
sembra attenderlo. Muzhrab avanza verso di lui, la spada in mano. Quando è giunto vicino allo sconosciuto, si ferma.
Vuole chiedere all’uomo chi è e perché la carovana è stata attaccata, ma
prima che possa aprire bocca, una freccia lo colpisce alla spalla sinistra.
Muzhrab stringe i denti e con la mano afferra l’asta e la spezza. Poi avanza
verso il guerriero che lo aspetta. Non è tempo di parole, questo. Bisogna
combattere contro questo avversario sleale. Combattere e morire, perché anche
se lo uccidesse, altre frecce arriverebbero. - Vigliacco! L’uomo non risponde. Indietreggia, ma quando Muzhrab
si avventa su di lui, reagisce, parando abilmente i colpi: è un avversario
forte. Più volte Muzhrab cerca di ferirlo, ma ogni volta l’uomo arretra o si
abbassa, scansando i colpi che Muzhrab vibra con grande forza, malgrado la
ferita alla spalla. A sua volta il guerriero avanza ed è Muzhrab a sottrarsi,
guizzando all’indietro o di lato o parando gli attacchi con la spada. In uno
di questi assalti che vanno a vuoto, il guerriero riesce a colpirlo con il
gomito, costringendolo a scartare, ma Muzhrab reagisce e quasi lo raggiunge
con un calcio. L’avversario arretra e in quel momento una seconda freccia
raggiunge Muzhrab, colpendolo alla coscia destra. Approfittando del momento
in cui Muzhrab si ferma, il viso contratto in uno spasimo di dolore, il
guerriero lo colpisce con il braccio. Muzhrab è costretto ad arretrare e cade
in ginocchio. Spezza il fusto anche della seconda freccia e si alza,
appoggiandosi alla spada. - Non hai onore, sei solo un infame. Sa che è finita: si regge a fatica. Con uno sforzo di
volontà si alza e solleva la spada, abbattendola sul suo avversario, che si
sottrae con un balzo all’indietro. Muzhrab attacca ancora, ma il colpo va a
vuoto e mentre abbassa la spada, il guerriero muove rapidamente la propria,
ruotando su se stesso: la punta colpisce Muzhrab al ventre, sulla destra,
descrive un arco nella carne e riesce a sinistra. Muzhrab barcolla. Il
guerriero passa dietro di lui e lo colpisce dietro il ginocchio destro.
Muzhrab crolla nuovamente in ginocchio, mentre dalla sua bocca il sangue
sgorga. Solo appoggiandosi alla spada riesce a non cadere a terra, ma il
mondo ondeggia paurosamente. Ha fallito, prima ancora di incominciare. Il
mondo svanisce e Muzhrab cade al suolo e rimane disteso. Il guerriero si avvicina al corpo. Immerge la spada
nel cuore, ma non c’è nessuna reazione. Il gruppo si allontana, lasciando i cadaveri al suolo. * Bran si muove in fretta.
La tensione dentro di lui è esplosa di colpo: un pericolo mortale sovrasta il
guerriero. Quando ormai sa di essere vicino, Bran ferma il cavallo e si
avvicina con cautela. Vede l’accampamento distrutto e i cadaveri dei
mercanti. Il corpo di Muzhrab giace a un estremo della radura. Bran si china
su di lui, gli prende una mano. Il guerriero è oltre la prima soglia, ma è
ancora molto lontano dalla seconda. Bene. Bran si guarda intorno. Non gli è
difficile individuare il cavallo e la sacca di Muzhrab: il suo è il destriero
di un guerriero, non quello di un mercante. Prende il corpo e lo sistema
sulla sella, poi si mette la sacca a spalla. Si guarda ancora intorno e vede
le gabbie. Digrigna i denti e le raggiunge. Taglia le corde rosse e le apre,
una dopo l’altra. Il lesij scappa
velocissimo, trasformandosi in una lepre. Le due krilovil, a cui ha tolto
anche la benda, sono diffidenti. Fissano Bran, probabilmente pensando che si
addormenterà, ma Bran ricambia lo sguardo e sorride. Allora anche loro
sorridono e volano via. Il fauno lo osserva curioso un momento, prima di
correre via. Altri esseri lo guardano e si allontanano. Alcuni degli animali
rimangono dentro, timorosi della presenza sconosciuta, ma quando Bran se ne
va, fuggono via. Nella radura rimangono solo i corpi dei cacciatori e i loro
cavalli. Bran guida il cavallo per
le briglie fino a dove ha lasciato il proprio. Sale e rapidamente si
allontana. Raggiunge una grotta non distante: conosce bene la Grande Foresta
Occidentale, dalla Foresta Purpurea al Bosco Oscuro. Posa a terra il corpo di
Muzhrab e controlla nuovamente la situazione. Ha il tempo per fare ciò che
deve. Spoglia rapidamente
Muzhrab. Estrae le due frecce piantate nel corpo, senza preoccuparsi che le
punte lacerino ulteriormente la carne: non cambia nulla. Poi stende il
guerriero sulla pancia e gli allarga le natiche. Ha un bel culo, Muzhrab,
davvero un bel culo. Gli piacerebbe che fosse il guerriero a offrirsi, ma non
è nelle condizioni di farlo. E quando avrà oltrepassato nuovamente la prima
soglia, difficilmente sarà disponibile a darsi. Con ogni probabilità lo
odierà per quello che ora sta per fargli, ma non c’è altro modo di salvarlo. Il cazzo di Bran si sta
rapidamente tendendo. Bran sputa tre volte sull’apertura e sparge la saliva
con un dito. Nonostante il rilassamento dei muscoli nella morte, sente che la
carne è soda e cede a fatica. È sicuro di essere il primo a gustare questo culo.
Da una parte gli fa piacere, dall’altra è un casino, perché gli farà un male
bestiale: la dotazione di Bran è fuori misura e se chi ci è abituato apprezza
moltissimo, per chi non ha mai provato non è certo consigliabile. Ma non c’è
altra soluzione. Lentamente Bran spinge il
suo cazzo voluminoso ben dentro nel culo di Muzhrab, che è ancora caldo. Bran
si muove piano, cercando di ridurre al minimo il dolore che il guerriero
proverà quando si sveglierà, dopo aver riattraversato la soglia. Spinge in
avanti, ma mai a fondo, e si ritrae, prima a un ritmo lento, poi più rapido,
per accelerare i tempi. Infine il piacere lo travolge e viene. Il suo seme si
sparge abbondante nel culo di Muzhrab. Bran si abbandona su di
lui un momento, poi, a malincuore, si alza. Gli sarebbe piaciuto rimanere
dentro di lui, sentirlo tornare alla vita, ma questo avrebbe potuto farlo con
qualcuno con cui già avesse scopato, non con questo sconosciuto che con ogni
probabilità sarà furioso scoprendo di essere stato inculato. Bran si rimette i
pantaloni, poi prepara un fuoco. Il guerriero sarà molto affamato, come
sempre capita a chi ritorna. A svegliarlo è l’odore di
cibo. Muzhrab apre gli occhi. Sopra di lui la volta di una caverna. Muzhrab
la fissa, senza capire, poi, di colpo, i ricordi ritornano. Muzhrab si alza a
sedere di scatto. Avverte una fitta al culo. Si guarda intorno. È in una
caverna, non molto grande. La luce che proviene dall’ingresso permette di
vedere i contorni della cose. Non lontano un uomo a torso nudo sta cuocendo
qualche cosa su un fuoco. Carne, a giudicare dall’odore. Non è possibile. È morto.
Lo hanno ucciso. Muzhrab si porta la mano alla ferita al ventre, ma non c’è
nessuna ferita. Guarda la spalla, dove la freccia l’ha colpito: anche lì nessuna
traccia. Non ha sognato, non è possibile. I suoi occhi scendono alla coscia.
Si accorge di essere nudo e di aver il cazzo in tiro. Solo vedendolo avverte
la violenta tensione, che sceglie di ignorare. Neppure la coscia mostra segni
di ferite. - Il pranzo è quasi
pronto, Muzhrab. Muzhrab guarda l’uomo che
ha parlato. Gli dà ancora la schiena, assorto nella sua attività, ma
evidentemente si è accorto che lui si è svegliato. Muzhrab ne guarda il dorso
robusto, piuttosto villoso. L’uomo ha capelli neri, come la folta barba. Non è possibile. Lo hanno
ammazzato. Muzhrab si alza. Di nuovo
una fitta al culo, più forte. Si guarda ancora intorno. I suoi abiti sono in
un angolo, insieme alla sua spada. Muzhrab si dirige verso i vestiti. Si
china. Vede il taglio orizzontale nella tunica, all’altezza del ventre, e il
buco sulla spalla, dove è arrivata la freccia. C’è parecchio sangue. No, non
ha sognato: è tutto vero. È stato ucciso, ma ora è vivo. La voce dell’uomo lo
riscuote: - Prima di rimetterteli,
sarà meglio sistemarli, ma non ho avuto tempo. Magari hai qualche cosa di
ricambio nella sacca. Muzhrab guarda l’uomo, che
continua a dargli la schiena. Si va a sedere vicino a lui. Ora può vederlo. È
quello che ha incontrato qualche volta a Samar. Deve avere pochi anni in più
di lui, è molto robusto, con un ventre prominente, ed una fitta peluria scura
gli ricopre il torace e le braccia. Nel gran barbone nero c’è qualche filo
bianco. L’uomo si volta verso di lui e gli sorride. - Io sono Bran. - Io sono Muzhrab, ma questo
lo sai. Sei in grado di spiegarmi com’è che sono qui e soprattutto com’è che
sono vivo, vero? - Sì, certo. Ma prima
avrai voglia di mangiare. Hai una fame da lupo. È vero, ma come fa Bran a
saperlo? Bran sorride. Deve aver
capito che cosa ha pensato Muzhrab, perché risponde: - È sempre così, quando si
ripassa per la prima soglia. - Non ti capisco. - Ti spiego poi, adesso è
ora di pranzo. Bran toglie dal fuoco il
recipiente e ne versa il contenuto in una scodella, che gli porge. - Tu non mangi? - Non ora. Questo è per
te. Nella tazza c’è un brodo
denso con diversi pezzi di carne. Muzhrab sorseggia il brodo, poco per volta
per non scottarsi, poi, quando ha finito, prende con le dita i pezzi di carne
e li mastica in silenzio. Bran non parla e Muzhrab rispetta il suo silenzio.
Gli chiederà dopo. Adesso in effetti è ben contento di mangiare. Dopo aver masticato
l’ultimo pezzo di carne, Muzhrab posa la scodella. - Adesso vuoi spiegarmi? Bran annuisce. - Certo. Ma non ti
aspettare che possa rispondere a tutte le tue domande. - Più di tutto vorrei
sapere: com’è che sono vivo? Mi hanno colpito più volte: due frecce e due
ferite con la spada. - Tre: per essere sicuro
che fossi morto, ti hanno trapassato il cuore. Ma se non te ne sei accorto, probabilmente
eri già morto. - Va bene, tre. Ma non
vedo tracce di ferite, non ho nessun dolore, a parte… Muzhrab si ferma un
attimo, poi riprende: - …a parte al culo. Bran sorride. - Le due cose sono
collegate. Ma forse è meglio che ti racconti tutto dall’inizio. Muzhrab annuisce. - Due settimane fa, più o
meno, ho sentito che dovevo partire. E, per evitare una domanda che già
vorresti fare, posso solo dirti che sento quando devo partire per una
missione. Nessuno mi manda a chiamare, nessuno mi dice che cosa devo fare,
dove devo andare. Io sento dove devo dirigermi e so che man mano i diversi
elementi si chiariranno. Muzhrab si chiede se la
spiegazione di Bran darà una risposta ai suoi dubbi o invece gliene farà
venire altri. - Mi sono diretto verso
Ovest e sono arrivato a Samar. Lì ti ho visto e ho sentito che eri tu. Non
sapevo chi eri, ma non è stato difficile scoprire il tuo nome. Ho atteso che
tu partissi e mi sono messo in movimento anch’io. Vi ho seguito, rimanendo a
una certa distanza. Non avvertivo nessuna particolare tensione. Poi, di
colpo, è scattato qualche cosa. Dovevo fare in fretta, molto in fretta. Ho
raggiunto un accampamento, dove qualcuno aveva fatto strage. C’erano parecchi
morti, almeno una dozzina, ma non mi interessava. Ho visto il tuo cadavere.
Ho verificato. Avevi oltrepassato la prima soglia, ma non la seconda. Ero in
tempo. Ti ho caricato sul tuo cavallo, era facile distinguerlo dagli altri, e
ti ho portato qui. Muzhrab annuisce. Vorrebbe
chiedere mille cose, ma non vuole interrompere il racconto. Bran prosegue. - Arrivati qui, ti ho
tolto gli abiti e ti ho fatto riattraversare la prima soglia. Poi ho
preparato da mangiare, perché so che chi ritorna ha sempre molta fame. Muzhrab non nasconde la
sua perplessità. Come temeva, la spiegazione di Bran non spiega molto. - Come hai fatto a farmi
tornare in vita, perché questo significa ripassare la prima soglia, vero? Bran annuisce e ghigna. - C’è un unico modo. E
adesso ti incazzerai. - E sarebbe? - Hai un gran male al
culo, no? Anche se nessuno ti ha infilato una spada in culo. - Non capisco. - Potevo farti rivivere
solo con il mio sborro. Ho inculato il tuo cadavere e il seme ti ha ridato la
vita, sanando le tue ferite e provocandoti questa erezione che hai da due
ore. Direi che prima o poi dovrai deciderti a occupartene. Muzhrab guarda Bran e
scuote la testa. Non è possibile. Non può essere. - Cazzo, vuoi dire che… - È l’unico modo. Muzhrab guarda Bran,
allibito. Quest’uomo la ha inculato mentre lui era incosciente. No, mentre
era morto. Lo ha fatto per salvarlo. È tutto talmente irreale che fa fatica a
crederci, anche se sa di non sognare. - Cazzo! No… io… no, non
è… oh, cazzo! Bran gli lascia un po’ di
tempo: deve abituarsi all’idea. Chi non ha mai riattraversato la prima
soglia, si trova spaesato quando gli succede e di certo il metodo usato per
riportarlo in vita non è quello che uno si aspetta a sentire le storie che
circolano: l’immersione del corpo in una fonte incantata, la formula magica,
le gocce di sangue sulle labbra, i tre segni della vita incisi sulla pelle.
Ma questo è il potere di Bran, che non è un mago o un saggio. Muzhrab guarda Bran e gli
chiede, a bruciapelo: - Tu chi sei? Perché sei
qui? Perché mi hai salvato? Che cosa… - Quante domande! Senti,
Muzhrab, io e te dobbiamo parlare, senza dubbio, e non sarà una cosa breve.
Prima però ti consiglio di… alleggerire un po’ la tensione. Non puoi rimanere
con il cazzo duro tutto il tempo. Muzhrab scuote la testa.
La faccenda gli sembra secondaria, anche se in effetti prova un certo
fastidio. - Che cosa dovrei fare,
secondo te? Bran ghigna. - Di solito quando a uno
viene duro e non si decide ad ammosciarsi, cosa che se non ti dai da fare non
succederà, te lo garantisco, non è che ci siano molti modi per fargli abbassare
la cresta. Muzhrab abbassa lo sguardo
e mormora, scuotendo la testa: - Scopare o farsi un sega…
Poi alza la testa, guarda
Bran e dice, quasi ringhiando: - Potrei mettertelo in
culo, magari, così facciamo pari… Bran lo fissa. Poi
sorride: - Muzhrab, se ti fa
piacere, per me va bene. A me i maschi piacciono, molto, e scopo volentieri
con un altro maschio. Tu non te l’eri mai preso in culo. Io sì, più volte. Se
farlo, oltre a ridurre la tensione, ti fa stare meglio perché ti sembrerà di
rendermi la pariglia, va benissimo. Di fronte alla
disponibilità di Bran, Muzhrab sente la sua rabbia svanire. Esita. Gli
restituirebbe volentieri il favore, se così si può chiamare, ma Bran l’ha
fatto per riportarlo in vita. - Bran, mi hai salvato
dalla morte. Non nego che… ma… non voglio neanche… Bran scuote la testa. Si
alza e si cala i pantaloni. Muzhrab gli guarda il cazzo. È a riposo, ma è
inquietante. - Adesso capisco perché il
culo mi fa un male cane. - Mi spiace, Muzhrab. So
che non l’avevi mai fatto, ma non c’è altro modo. Il seme deve entrare dentro
di te per agire. Avrei preferito non farti male. Poi Bran aggiunge: - Adesso dimmi come vuoi
che mi metta. Non te l’eri mai preso in culo, ma hai scopato con uomini altre
volte. Che cosa ti piace? - Non sei tenuto a farlo.
Posso arrangiarmi da solo. Bran ride: - Se ti faccio schifo, va
bene, altrimenti è meglio se scopiamo. Le nostre vite sono legate, chissà,
forse anche le nostre morti, perché… ne parleremo dopo. Una bella scopata a
me farà piacere e tu non ce l’avrai più tanto con me. - Non ce l’ho con te… non…
e va bene, mettiti a quattro zampe. Ti va? - Certo! Bran si mette come gli ha
chiesto Muzhrab, che si alza e si mette dietro di lui. Bran ha un culo molto
peloso, ma tutto il corpo è coperto da una folta pelliccia scura. Bran, il
cuoco, Redwin: in questo periodo Muzhrab ha a che fare sempre con orsi. Ma
gli orsi gli piacciono, parecchio. E questo è un orso con i fiocchi. Muzhrab accarezza il culo
di Bran. È una sensazione piacevole sentire il vello fitto che lo copre. Poi
si sputa sulla mano e sparge un po’ di saliva prima sulla cappella, poi
sull’apertura, che non sembra voler cedere. Eppure Bran gli ha detto che se
l’è già preso in culo. Muzhrab avvicina la
cappella al buco e lentamente spinge dentro. Sente la resistenza della carne
e il suo calore. L’ha fatto tante volte, con uomini diversi: per un guerriero
libero sono molte di più le occasioni di scopare con un uomo che con una
donna e Muzhrab sa benissimo che preferisce i maschi. Ma questa volta la
sensazione è molto più forte, come se questo culo che possiede non fosse uno
dei tanti. Il piacere che prova è intenso. Si stende su Bran. Gli piace
sentire il calore di questo corpo, gli piace accarezzarlo, tormentargli i
capezzoli, stringergli i coglioni, sfiorare il cazzo, duro, grosso. Muzhrab
si chiede come ha fatto a reggere questo palo che ora la sua destra sfiora e
poi afferra decisa. Muove avanti e indietro il culo, mentre le sue mani, che
sembrano muoversi indipendentemente dalla sua volontà, accarezzano,
stringono, pizzicano, si infilano nella bocca di Bran, scivolano tra i
capelli, scendono sul petto, stringono il grande cazzo vigoroso, afferrano i
coglioni in una morsa. Bran emette una specie di ringhio, pare davvero un
orso. Muzhrab va avanti a fottere questo culo che gli trasmette sensazioni
intensissime, fino a che il piacere non può più essere contenuto e Muzhrab
sente il fiotto prorompere. Spinge freneticamente e la sua mano si muove
rapida intorno al cazzo di Bran, che bramisce mentre il seme sgorga. Muzhrab
si abbandona, stordito, su questo corpo. Quando la sua mente riesce
nuovamente a formulare un pensiero, si dice che è stata una scopata
superlativa, forse la migliore della sua vita. Rimarrebbe volentieri disteso
su questo splendido animale, ma si ritrae e si siede contro la parete della
grotta, senza forze. - Ora va meglio, Muzhrab? Il guerriero annuisce.
Sorride e gli dice: - È stato fantastico.
Grazie. Tutto bene per te? - Ottimo. Hai un bel
cazzo, Muzhrab, e sai usarlo. - Un bel cazzo? Tu hai un
palo. Mi chiedo come ho fatto a reggerlo. Bran scuote la testa. Non
è il caso di continuare sul tema. Ci sono cose più importanti di cui parlare.
Si siede davanti al guerriero. - Bene. Adesso che sei un
po’ più tranquillo, chiacchieriamo un po’. Abbiamo tante cose da dirci. Muzhrab annuisce. - Sì, penso anch’io. Ho
ascoltato la tua spiegazione prima, ma in pratica non ci ho capito un cazzo.
E secondo me non è perché ce l’avevo duro ed ero distratto, è proprio che non
spiegava un cazzo. Ridono tutti e due. - Non posso darti torto.
Allora, ti faccio un po’ di domande, poi me ne fai tu e vediamo se ci
chiariamo le idee tutti e due. Perché anch’io ne ho bisogno. - Allora siamo a posto! Bran scuote la testa.
Muzhrab è allegro. Ha fatto bene ad offrirglisi: dopo la scopata si è
rasserenato. - Incomincio io. Tu sei
andato a Samar per rispondere all’appello del governatore. O avevi già in
testa altri piani? - No, volevo sentire la
sua proposta e valutare se accettarla. - Ma hai deciso di non
accettarla. Perché? - No, ho deciso di
accettarla, ma… Muzhrab esita un attimo.
Bran lo ha salvato. Ma può fidarsi di lui? Non ne sa nulla. - Ma? Muzhrab rimane ancora un
attimo in silenzio, poi chiede: - Chi sei, Bran? Perché
sei qui? Perché mi hai salvato? Bran annuisce. - Ho capito. Non sai se
puoi raccontarmi qualche cosa che è segreto. È così? Muzhrab annuisce. - Allora cercherò di
rispondere alle tue domande. Bran fa una pausa, poi
riprende: - Credo che tu abbia sentito
parlare di Coloro Che Ritornano. - Esseri immortali, che… - Col cazzo! L’esclamazione di Bran
disorienta il guerriero. Bran riprende: - Scusa, Muzhrab, ma ne ho
i coglioni pieni di quelli che dicono che noi siamo immortali. Moriamo, come
gli altri. Sono morto decine di volte e ti assicuro che certi modi di morire
sono atroci, ti passa la voglia di tornare in vita sapendo che potresti
passarci di nuovo: tre giorni ad agonizzare con un palo appuntito in culo,
sotto il sole cocente, insetti che ti mangiano vivo… merda! Vorresti solo
finire. Noi moriamo, ma ritorniamo in vita. E possiamo riportare in vita
qualcuno che è morto da non molto tempo, che non ha ancora superato la
seconda soglia. Possiamo fare anche alcune altre cose. E abbiamo dei compiti.
Non so perché e come siamo stati concepiti. So che ci vengono assegnati dei
compiti: dobbiamo aiutare qualcuno, a portare a termine una missione, a
vincere una guerra, a salvare una città. Io sento il richiamo e parto. Questa
volta il mio ruolo è quello di aiutare te. E direi che di aiuto avevi
bisogno. Muzhrab annuisce. Di certo
non potrebbe negarlo: era stato ammazzato. Bran continua: - Non entro in dettagli,
perché adesso non serve che ti dica tante cose. La tua missione è a rischio,
perché non credo che l’attacco alla vostra carovana sia stato casuale. Tu che
cosa ne sai? - Niente. Loro sono andati
a caccia. - Sì, ho visto. Fottuti
bastardi. Sono contento che li abbiano ammazzati. Muzhrab sorride e
riprende: - Io mi sono fatto un giro
e al ritorno li ho trovati tutti morti. C’era un uomo armato, un guerriero,
direi, perché era abile a maneggiare la spada. Con il volto mascherato. Io…
ho avuto l’impressione che mi aspettasse. - Certamente. - Perché dici questo? - Per quale motivo
dovrebbero aver assalito la carovana e ucciso tutti? Non erano banditi,
perché non hanno preso niente, neanche i cavalli. Se fossero stati
interessati a eliminare quei mercanti, se così li possiamo chiamare, perché
ti avrebbero aspettato? - Qualcuno… erano andati a
caccia nella notte. Qualche creatura dei boschi, per vendicarsi… no, era un
uomo quello che ho affrontato, ma ci sono esseri che possono assumere la
forma di un uomo, no? Bran scuote la testa. - L’attacco non aveva
niente a che fare con la caccia. Non hanno liberato le creature catturate.
Tutte le gabbie erano occupate. Le ho liberate io. Muzhrab sorride. Gli fa
piacere sapere che Bran abbia pensato a liberare gli esseri prigionieri. Bran
prosegue: - Quindi loro aspettavano
te, perché volevano uccidere te. Degli altri probabilmente non gli importava
nulla. E questo significa che vogliono impedirti di portare a termine la tua
missione. E che sanno che tu hai un compito. - Se davvero volevano
uccidere me, sì, evidentemente è così. Sono partito con quel gruppo proprio
perché nessuno avesse sospetti, vedendomi viaggiare solo. Ma non è servito a
niente. Come hanno fatto a sapere? - Qualcuno può aver
tradito. È la spiegazione più probabile, non l’unica. Bisogna capire quali
sono le forze in gioco. - Che cosa intendi? - Muzhrab, qual è la tua
missione? Chi te l’ha affidata? Capisco che tu voglia mantenere il segreto,
ma perché possa aiutarti, devo conoscere anch’io di che cosa si tratta. Muzhrab esita un attimo.
Bran gli ha salvato la vita. Non fidarsi di lui non avrebbe senso. Dev’essere
lui la forza che ha il compito di aiutarlo, come gli hanno predetto. Lo ha
già aiutato. - Un principe degli
Aldebri, l’erede al trono, è stato rapito qui, nella Foresta Purpurea… siamo
ancora nella Foresta Purpurea? - Sì, questa cavità
naturale non è molto lontano dal punto dove ti ho trovato, nel cuore della
foreste e alcune miglia a sud della grande pista. - Gli Aldebri minacciano
una guerra. Sospettano che i responsabili del rapimento siano uomini e gente
del Popolo della Notte. Io non conosco gli Aldebri e neanche il Popolo della
Notte, i Figli di Lilith. Dicono che siano crudeli… - Cazzate. Muzhrab guarda Bran, un
po’ sorpreso. Questi sorride e riprende: - I Figli di Lilith non
sono né meglio né peggio dei Figli di Eva o di quelli di Ma o di tutti gli
altri popoli. Ce ne sono di feroci, altri che si fanno i cazzi propri, altri
che sono disposti a dare una mano a chi ne ha bisogno. Può darsi che alcuni
di loro abbiano dato una mano a banditi, o viceversa. Ma non sono tutti così.
So che circolano tante voci su di loro, perché i Figli di Eva hanno paura
della notte, ma sono dicerie che non hanno fondamento. - Scusa, Bran, di tutte
queste cose non so niente. È la prima volta che mi spingo così a Occidente e
nella mia terra tutti hanno paura dei Figli di Lilith. Bran annuisce. - Va’ avanti. - Allora, gli Aldebri non
possono liberare il principe: sanno che si trova nella foresta, in una zona a
Nord della Torre del Corvo… Tu sai dov’è questa torre? - Sì, certo, conosco bene
la foresta. - Gli Aldebri non possono
avvicinarsi, qualche forza oscura glielo impedisce. E loro impediscono agli
uomini di entrare nell’area, perché diffidano di loro. Il mio compito è
salvare il principe, per scongiurare il rischio di una guerra. Se il principe
non viene liberato, attaccheranno. Bran annuisce. - Sì, senza dubbio. Gli
Aldebri sono molto orgogliosi, non accettano l’idea che qualcuno possa
mancargli di rispetto. Fossero un po’ meno presuntuosi e più disponibili a
collaborare… ma ognuna delle stirpi della Terra ha i suoi limiti. Voi figli
di Eva non siete certo meglio. E neanche noi, che ritorniamo. - Non sembri molto
ottimista. Bran risponde brusco: - Perché, tu lo sei? Non
mi contare storie. Muzhrab scuote la testa,
mentre un velo di tristezza scende su di lui. - No, neppure io lo sono. - Scusa, Muzhrab. Ho un
pessimo carattere. Una volta non ero così, ma… lasciamo perdere, non è il
momento. Rispondi piuttosto a una domanda: come conti di riuscire ad arrivare
al principe, visto che gli Aldebri non fanno passare gli uomini? - Io posso passare. In un gesto istintivo
Muzhrab si porta una mano al petto. Bran lo guarda, poi dice: - Hanno modificato la tua
natura. L’avevo notato. È avvenuto il giorno della convocazione al castello.
Va bene. Quindi dobbiamo metterci alla ricerca del principe. Se gli Aldebri
hanno individuato la zona, non dovrebbe essere così difficile. Battendo la
foresta palmo a palmo, prima o poi ce la facciamo: ne sentiremo la presenza,
anche se qualcuno magari cercherà di impedircelo. - Non abbiamo molto tempo.
Dobbiamo riuscirci entro il plenilunio. - Oh, cazzo! Il plenilunio
è tra due settimane. Per carità, magari lo troviamo domani mattina, però…
Perché entro il plenilunio? - È il termine stabilito
dagli Aldebri. - E va bene, questa notte
partiremo per la caccia. - Di notte? La Luna sarà
appena spuntata, non si vede niente e il bosco… Bran lo interrompe: - Meglio muoversi la
notte. Non so se quei bastardi che ti hanno ucciso fossero umani, ma in ogni caso
i Figli di Eva difficilmente si aggirano per la foresta con il buio. Ci
possono essere i Figli di Lilith e altre creature, ma so come tenerli a bada. Muzhrab è perplesso, ma
Bran certamente conosce molto meglio queste terre. - Va bene. - E poi non abbiamo tempo
da perdere: ne abbiamo poco per ritrovare il principe e non ci conviene
lasciarne molto ai tuoi assassini. Potrebbero scoprire che sei ancora vivo.
Non ti chiedo se vuoi riposare un po’ prima che ci mettiamo in marcia, perché
non hai sonno. - Ma come fai a sapere
tutte queste cose? Bran ride. - La morte è molto
riposante. Chi ripassa la prima soglia non è mai stanco. Al massimo, se l’ha
fatto nel modo in cui l’hai fatto tu, ha bisogno d’altro. Muzhrab scuote la testa.
Bran gli sta simpatico, gli piacciono la sua ironia, il suo modo spiccio e
rude di rapportarsi, la sua franchezza.
Questo è positivo, visto che devono collaborare. Bran aggiunge: - Magari occupiamoci dei
tuoi vestiti. Potresti anche andare in giro nudo, ma non si sa mai. Muzhrab annuisce. Si alza
e, ignorando il male al culo, raggiunge i suoi abiti. I pantaloni sono
macchiati di sangue, ma sono ancora utilizzabili. La tunica può essere
buttata: un grosso taglio all’altezza del cuore, uno ancora peggiore
all’altezza dell’ombelico, il buco della freccia e un sacco di sangue.
Lavandola, potrebbe ancora servire come straccio, niente di più. - Ne hai un’altra? Se no
vai in giro a torso nudo. Tanto non fa freddo qui sotto. Al massimo te ne
potrei dare una io, se ne avessi bisogno, ma per te sarebbe troppo larga e
saresti impacciato nei movimenti se dovessi combattere. È facile che ci
troviamo a dover affrontare un nemico, magari senza preavviso, e dobbiamo
essere pronti in qualsiasi momento. - No, non ne posseggo una
di ricambio. Sono alquanto mal messo. Muzhrab pensa alla sua
vita di guerriero libero, una scelta obbligata dopo che le manovre di suo
fratello lo hanno privato di ciò che gli spettava di diritto. Scuote la
testa. C’è molta amarezza, ora, in lui. La voce di Bran lo
riscuote: - Se compirai questa
missione, riceverai una ricompensa. Se non la compirai e morirai, non avrai
bisogno di un’altra tunica. Non te la prendere. - Non me la prendo certo
per la tunica, Bran. Altro… la mia famiglia… Muzhrab si ferma. Che
senso ha raccontare a questo sconosciuto la sua storia? Ma Bran osserva: - Raccontami, se hai
voglia. Abbiamo ancora una mezz’ora prima che sia buio e tutto è pronto. Muzhrab lo guarda. Sente
che Bran è in grado di capire. Lo conosce forse da un’ora, ma è sicuro che
sia così. Annuisce, ma per un momento tace. Poi le parole escono. - Ho un fratello, maggiore
di me. È avido e mi odia, credo perché sono sempre stato più forte di lui nei
tornei e in battaglia, quando abbiamo dovuto combattere. È riuscito a
togliermi l’affetto di mio padre, calunniandomi, e lo ha convinto a
diseredarmi. Mi sono ritrovato senza niente: solo il cavallo, che mi ero
guadagnato in battaglia, e le armi, che spettano a ogni guerriero. Avrei
potuto sfidarlo, ma non volevo farlo, per rispetto a mio padre. Avrei potuto
mettermi al servizio del re, come hanno sempre fatto gli uomini della mia
famiglia, ma mio fratello è molto legato ad alcuni ufficiali dell’esercito e
loro mi avrebbero reso la vita impossibile. Così da tre anni vivo mettendomi
al servizio di chi cerca guerrieri liberi. Muzhrab fa una pausa, poi
aggiunge: - Evito solo di arruolarmi
quando mi troverei a combattere dalla parte sbagliata. Muzhrab guarda Bran. Si
rende conto che da quando ha lasciato la sua città è la prima volta che gli
capita di raccontare a qualcuno i motivi per cui se n’è andato da Gornigrad.
Ma le circostanze del loro incontro sono state eccezionali. Bran ha ascoltato
attentamente. - Mi spiace. Ma se tu sei
il guerriero che deve svolgere questa missione, forse era scritto nel tuo
destino che fossi costretto a lasciare la tua casa e la tua città. - Può essere. Ne avrei
fatto volentieri a meno. Bran annuisce. Lo sguardo
perso nel vuoto, un’espressione cupa in viso, dice: - Sì. Ciò che è scritto nel
nostro destino ha un prezzo da pagare. E talvolta è molto alto. Bran si riscuote e
aggiunge: - Ora di andare. È
sufficientemente buio. Silenzio, se non è strettamente necessario. Salgono a cavallo e si
avviano. Il buio diventa sempre più fitto e la luce delle stelle non permette
di scorgere il terreno che i cavalli calpestano, ma Bran si muove con
sicurezza. Probabilmente segue antiche tracce, perché i cavalli avanzano
senza fatica. Dopo diverse ore di marcia, Muzhrab avverte una certa tensione,
come se i muscoli gli si irrigidissero. Poco dopo Bran si ferma e Muzhrab gli
si affianca. Bran parla molto piano. - Gli Aldebri sono qui
vicino. Siamo a poche miglia a sud della Torre del Corvo. Credo che siamo al
margine della zona che gli Aldebri sorvegliano, quella dove si trova il loro
principe. Tu dovresti avvertire qualche cosa. - Sì, in effetti, ma non
sapevo interpretarlo. Una tensione, come se… non saprei dirti, come se i
muscoli… non so spiegarlo. E non sapevo che cosa fosse. - Certo, se è la prima
volta che lo provi. Quando saremo vicino al principe, sarà molto più forte e
probabilmente anche diverso. Bran prosegue: - Procediamo. Entriamo
nell’area dove si trova il principe. Fino all’alba ci muoveremo a cavallo, poi vedremo. Se avverti un aumento
della tensione, dimmelo. L’avvertirò anch’io, ma io sento molti esseri
diversi e potrei non rendermi conto di una variazione. Bran aggiunge: - È un po’ come essere in
mezzo al mercato: puoi avere un ottimo udito, ma magari non senti la voce del
venditore di coltelli perché la venditrice di verdure urla più forte e due
comari stanno litigando proprio di fianco a te. Qui adesso è pieno di
krilovil, ad esempio, e più in là c’è un blud e diversi lesij, gli aldebri
sono più lontani e li avverto appena. Procedono nel buio.
Muzhrab sente la tensione svanire. Dopo un po’ si avvicina a Bran. Sussurra: - Non li sento più. - Certo, siamo nell’area
in cui non riescono a entrare. Io sento diverse creature, ma nulla di
significativo qui vicino. Più lontano, forse… spero di no. - Che cosa? - Te lo dirò se è come mi
sembra. Procedono ancora, fino a
che il buio diventa meno fitto. - Tra poco ci fermiamo,
Muzhrab. Meglio nascondere i cavalli e proseguire a piedi per un po’. Scendono da cavallo. - Perché non continuiamo a
cavallo, Bran? - Perché qui vicino c’è un
posto sicuro dove possiamo lasciarli. Più in là non ce ne sono. E quando sarà
giorno, a cavallo possiamo solo seguire le antiche tracce e siamo troppo
visibili. Meglio muoverci fuori dai sentieri. - Ma come fai a seguire i
sentieri nel buio? - Conosco queste terre. Ci
ho vissuto. Ho lottato, amato, ucciso in queste terre. La voce di Bran è cupa e
Muzhrab preferisce non chiedere altro. Bran aggiunge: - Silenzio assoluto, fino
a che non ti dirò che puoi parlare. Tenendo in mano le briglie
dei cavalli procedono tra i cespugli e gli alberi, fino a raggiungere un
muro, appena visibile nell’oscurità che ancora regna. Muzhrab pensa a un
edificio, ma avvicinandosi si rende conto che è proprio solo un resto di
muro, lungo poche braccia, davanti al quale ci sono alberi e cespugli e
dietro una radura. Ma Bran si dirige verso la parte centrale, dove c’è una
vecchia porta. Muzhrab non capisce. Aprendo la porta, si passerebbe
dall’altra parte, ma per arrivarci basta aggirare il pezzo di muro: questione
di un attimo. Bran poggia le mani sulla
porta. Il cielo si sta schiarendo e Muzhrab ha l’impressione che Bran abbia
gli occhi chiusi e stia mormorando qualche cosa. La porta si apre. Bran
avanza. Il cavallo china la testa per passare. Muzhrab lo segue. Si trova in
uno spazio buio, chiuso: non si vede più il cielo, non ci sono alberi.
Vorrebbe chiedere, ma sa che deve tacere. Bran ritorna indietro e
tende due mani verso la soglia. La porta si richiude e il buio diventa
assoluto. Una debole luce però sembra accendersi. Non è una luce, è una
luminosità diffusa, intorno a loro. - Questo sarà il nostro
quartier generale. Lasceremo qui i cavalli di giorno. Muzhrab apre la bocca, ma
non dice nulla. Non è sicuro di poter parlare. - Che c’è, Muzhrab? - Posso parlare? Bran sorride. - Certo, qui puoi anche
metterti a cantare, se vuoi. Questo spazio non esiste. - Ecco, appunto. Arrivando
ho visto che oltre il muro non c’era nulla. Ma questa sala, per quanto posso
vedere, è ampia. Come è possibile? Bran alza le spalle. - Non lo so, Muzhrab. So
che è così, ma non so come mai. Sono uno di Coloro Che Ritornano, non sono un
saggio, un vedente, un profeta, un divinatore o tutto quel che cazzo vuoi.
Non sono un cavaliere elegante, un nobile guerriero con le sue armi
luccicanti, un principe di sangue. Sono una bestia, grezza. Muzhrab ha di nuovo
impressione che ci sia molta amarezza nelle parole di Bran. Non ne capisce il
motivo. Cerca di deviare il discorso. - Neanch’io sono proprio
un raffinato damerino. Credo che andremo d’accordo. Bran sorride. - Hai ragione, scusa se ti
ho risposto in modo brusco. Non sono di buon umore. Non avevo voglia di
tornare nelle Terre d’Occidente. Ho troppi brutti ricordi. Adesso però
possiamo riposare un’oretta e poi faremo un giro esplorativo nel bosco. Si stendono sul pavimento.
Prima di chiudere gli occhi, Muzhrab si guarda ancora intorno. La luce, di
cui è impossibile vedere la fonte, permette di scorgere tutto il locale, che
appare spoglio, ma ampio. C’è posto per i cavalli e per loro. Tutto sembra
irreale. In fondo lo è. Muzhrab volta la testa verso il suo grosso compagno.
Bran, uno di Coloro Che Ritornano. Gli è simpatico, parecchio. Il primo che
glielo ha messo in culo, riportandolo tra i vivi, come nei sogni in cui, ora
Muzhrab ne è certo, era Bran a prenderlo e a farlo godere. È davvero tutto
irreale, come questa sala in cui si trovano e che non esiste. Quando si sveglia, Muzhrab
vede che Bran è già in piedi. - Potevi chiamarmi, Bran. - Voi umani avete bisogno di
sonno. - E voi no? - Anch’io ne ho bisogno,
ma posso stare sveglio molto a lungo e poi dormire per diversi giorni di
seguito. Comunque adesso mangiamo un boccone e poi andiamo. Dopo che hanno mangiato,
Bran dice: - Adesso muoviamoci. Per il
primo tratto, non aprire bocca. Ti dirò io quando puoi parlare. - Posso chiederti perché? - La voce ti rende più
individuabile anche a distanza. E non voglio che nessuno colleghi una
presenza umana a questo posto. Potremmo trovare qualcuno ad aspettarci,
quando torniamo. E non sarebbe per darci il benvenuto. - Va bene. Ma… senti… che
facciamo dei cavalli? Li lasciamo qui dentro? Dovrebbero mangiare. - Brucheranno l’erba della
radura. Ce n’è più che abbastanza. - Allora li facciamo
uscire? Bran scuote la testa. - Muzhrab, questa sala non
esiste. I cavalli sono nella radura e possono brucare, ma i muri della sala
impediscono loro di allontanarsi e soprattutto impediscono a chiunque di
avvertire la loro presenza e, finché siamo qui dentro, anche la nostra. Ti è
chiaro? Muzhrab ghigna: - Ti sembra di aver dato
una spiegazione chiara? Bran ride e scuote la
testa. - Se ne usciamo vivi ti
faccio parlare con qualche saggio, che sappia spiegarti. Adesso però andiamo. Appoggia le mani sulla
porta, che si riapre. Escono. Il sole è alto in cielo: dev’essere mezzogiorno
o forse anche più tardi. Dovevano riposare un’oretta, ma Bran lo ha lasciato
dormire a lungo. Muzhrab osserva il muro alla luce del giorno. A un’estremità
sporge la testa a guardare dall’altra parte: non c’è proprio niente, è solo
un muro. La camera dov’erano e dove ora sono ancora i destrieri non esiste,
c’è solo una radura, in cui, stando a quanto dice Bran, adesso brucano i
cavalli, che però non si possono vedere. Impossibile capire, ma è così. Camminano verso sud per un
buon momento. Il bosco a tratti è molto fitto e i rami degli alberi formano
sopra le loro teste una trama continua, che lascia appena filtrare i raggi
del sole. In altri punti invece il bosco è più rado e ci sono piccole radure. Bran evita sempre gli
spazi aperti e quando ne raggiunge uno, passa all’esterno, tra i cespugli e
gli alberi. Solo dopo un lungo tratto si volta verso Muzhrab e gli dice: - Ora possiamo parlare.
Piano, ovviamente. Tu senti qualche cosa? Un cambiamento di tensione? Muzhrab scuote la testa. - No, devo dire di no. È
più o meno come ieri sera. - Sì, concordo. Vuol dire
che la direzione non è quella giusta. Proviamo verso ovest. Cambiano direzione. Si
stanno dirigendo verso le montagne e l’altopiano su cui sorge Samar, ma la
foresta è troppo fitta per poter vedere in lontananza. Procedono un buon
tratto e Muzhrab si chiede se questa ricerca ha senso, ma proprio mentre lo
pensa, si rende conto che la tensione che avverte sta crescendo. - Bran! - Dimmi. - In questa direzione va
aumentando. Bran chiude gli occhi un
momento, poi li riapre. - Cazzo! Hai ragione. Ero
troppo concentrato su un’altra presenza. Muzhrab è molto stupito
che Bran si distragga dal loro obiettivo proprio ora, ma il seguito del
discorso gli spiega: - Siamo nella merda,
Muzhrab. Farò in tempo ad avvisarti quando la minaccia sarà più vicina, ma se
troveremo il principe, dovrò certamente affrontare un nemico. In questo caso,
scappa con il principe, se l’avremo trovato, il più lontano possibile, senza occuparti
di me. - Bran, io… - Io niente. Dobbiamo
liberare il principe: questo è quello che conta. Hai capito, Muzhrab? Muzhrab si morde il labbro
inferiore. Abbandonare Bran in pericolo gli peserebbe moltissimo, ma si rende
conto che salvare il principe è prioritario. - Va bene, se avremo
trovato il principe, ci allontaneremo il più in fretta possibile. - Anche se non l’avremo
trovato, te ne devi andare. - No, Bran. Se il nemico è
più forte di te, so che da solo non posso riuscire a liberare il principe, per
cui è inutile che scappi. - Cazzo, Muzhrab! - Andiamo, siamo nella
direzione giusta. Bran scuote la testa. Sa
che non riuscirà a convincere Muzhrab. Si concentra sulle due presenze che
avverte: quella del principe e quella del nemico mortale. Camminano a lungo. Sanno
di muoversi nella direzione giusta, perché la tensione aumenta
progressivamente e ora assume la forma di un formicolio alle braccia e alle
gambe. È una sensazione fastidiosa. Giungono a una zona di
piccoli laghi. Bran evita accuratamente di costeggiarli, per non rischiare
che qualcuno li veda dalla sponda. Quando sono vicini ai laghi, possono
scorgere le montagne, che non sono lontane. Il sole si sta abbassando e tra
poco scomparirà oltre la cresta. Le deviazioni a cui li
costringono i laghi rallentano la marcia. Intanto il cielo si sta scurendo e
nel bosco è sempre più difficile muoversi, ma Bran procede. Ben presto scende la
notte. Bran si muove con sicurezza e la tensione diventa sempre più forte. A
tratti a Muzhrab viene da grattarsi, ma poi si trattiene: è un formicolio
sotto la pelle, non un prurito superficiale. Infine Bran si ferma. - Riposiamo qui. È
l’ultimo posto in cui possiamo farlo, credo. Qui, dammi la mano. Muzhrab obbedisce e Bran
lo guida a scendere in un avvallamento. - Attento alla testa, ora. Il buio è completo. Con la
mano libera Muzhrab può sentire una parete rocciosa sopra di sé. Stanno
entrando in una caverna? Forse è solo una piccola cavità, perché la parete si
abbassa ancora e adesso devono chinarsi. - Muzhrab, dormiremo qui.
Per riposare e perché pensino che ce ne siamo andati. Ma devi dormire tra le
mie braccia, che faranno da scudo. Così nessuno potrà avvertire la tua
presenza. Bran si è steso e Muzhrab
si allunga su di lui. Bran lo avvolge con le sue braccia. È piacevole
sentirle contro il petto nudo, una gran bella sensazione. - Ecco, così va bene.
Scusami, ma in questo modo non sentiranno più la tua presenza e penseranno
che ti sei allontanato. - Non possono sentire la
tua presenza? - Loro no. Può sentirla
solo qualcuno, qualcuno che dovrò affrontare, ma non qui. Questo è un luogo
protetto. - Mi hai già detto che
dovrai affrontare qualcuno. E che se avremo liberato il principe, dovrò
portarlo in salvo. - Almeno cercare di farlo.
Sperando che il combattimento duri abbastanza a lungo da darvi il tempo di
fuggire. - È una grave minaccia. - L’unica mortale per me. - Ma non è possibile! Tu
sei uno di Coloro Che Ritornano, non siete soggetti alla morte, ritornate in
vita. - Non siamo immortali, te
l’ho già detto, Muzhrab. Anche noi possiamo essere uccisi, definitivamente,
intendo, da un altro di noi. - Questa minaccia è uno di
voi, quindi? - Sì. Muzhrab si sente
angosciato. La sensazione di benessere profondo che provava tra le braccia di
Bran si sta dissolvendo. Pensa a quanto gli ha detto la donna a Samar: una
minaccia mortale pesa anche su colui che lo aiuterà. - È già successo che… Muzhrab non completa la
domanda. Si rende conto che, anche se si conoscono da pochissimo, è
affezionato a Bran. In quest’uomo burbero ritrova la sua stessa amarezza e
oltre la scorza ruvida coglie una sensibilità che la vita ha spesso ferito. Bran ha capito quale
domanda Muzhrab intendeva porre e risponde: - Eravamo in dodici. Siamo
rimasti in otto. Muzhrab - Vuoi dire… - Nessun altro può ucciderci
definitivamente. Ma uno di noi può uccidere per sempre un altro. - Pensavo… non dovreste
essere tutti dalla stessa parte? - Sì, quando siamo stati
generati, lo eravamo. Ma i secoli passano e tutti cambiamo. Il Leone passò
dalla parte del Male e fu lui a uccidere il Lupo, che a lungo era stato il
mio compagno, e il Cinghiale, che era stato il mio migliore amico. Io uccisi
lui. E il Toro ha ucciso l’Ariete. Da tempo è una forza malefica. - Usi nomi di animali…
perché? - Perché tutti noi abbiamo
una seconda natura, di animale. Io sono l’Orso. Sono davvero un orso, quanto
sono un uomo. O forse di più, anche se normalmente ho l’aspetto di un essere
umano. Muzhrab ascolta. Senza
quasi rendersene conto, accarezza le braccia di Bran. - Sì, in effetti sei un
orso. Un bell’orso grosso e potente. Sono contento di averti incontrato,
Bran. Un braccio di Bran si
muove e una mano accarezza leggera il volto di Muzhrab. Queste grandi mani
sanno essere incredibilmente delicate. - Anch’io sono contento di
averti incontrato. E vorrei riuscire a salvarti, a ogni costo. Non voglio di
nuovo… Bran si interrompe.
Muzhrab continua ad accarezzare il braccio, giocando con la peluria spessa
che lo ricopre. Chiede: - Hai parlato del Male.
Esiste davvero il Male? Intendo dire… ho visto infinite volte ferocia e
crudeltà, uomini disposti a ogni nefandezza per ottenere ciò che
desideravano, ma quello di cui tu parli mi sembra essere il Male assoluto. - Muzhrab, te l’ho già
detto, non sono un saggio, non sono in grado di rispondere. C’è davvero chi
vuole il Male, forze che amano distruggere ciò che vive e che non agiscono
solo per sete di potere o di ricchezza. Forze sempre pronte a mettersi al
servizio dell’avidità o del desiderio di potere di altri per portare avanti i
loro progetti. - Bran… Muzhrab non continua. Non
sa che cosa voleva dire. Sa che sta bene tra le braccia di Bran. Intuisce di
provare qualche cosa che va oltre l’affetto per un compagno di avventura,
qualche cosa che non ha mai provato. È assurdo. Conosce Bran da troppo poco
tempo. Ma che cosa c’è di sensato in questa storia? Nel ciottolo divenuto
rubino, che ora porta nel petto? In questo uomo che torna dalla morte? Nel
proprio essere morto e ritornato in vita? E Muzhrab si chiede se nel
loro incontro non ci sia un segno del destino. Bran è l’uomo che compariva
nei suoi sogni, su questo Muzhrab non ha dubbi. - Bran, sto bene con te. Ancora una carezza
leggera. - Anch’io sto bene con te. - Ora di andare, Muzhrab. Le parole di Bran sono
state appena un sussurro, ma Muzhrab si desta. Alla luce dell’alba guarda il
posto in cui si trovano: una piccola cavità rocciosa, situata al di sotto del
livello del terreno. Hanno con sé poco cibo,
che si dividono. Poi lasciano il loro rifugio e si muovono. Muzhrab avverte
la tensione crescere e il formicolio si estende anche al petto e al ventre.
Bran procede a un’andatura molto rapida, tanto che il guerriero quasi fatica
a stargli dietro. La tensione diventa ancora
più forte. - Dev’essere molto vicino,
Bran. Bran annuisce. Lo sente
anche lui. Raggiungono una radura. Fanno il giro tutt’intorno, cercando di
rimanere all’ombra degli alberi. Provano a proseguire in direzioni diverse,
ma da qualsiasi parte si muovano, la tensione sembra calare. - È nella radura. Muzhrab guarda Bran senza
capire. - Non c’è niente, nella
radura. - No, dev’essere sotto,
una camera sotterranea. Dobbiamo trovare l’ingresso. In fretta. Sento che il
Toro ci ha individuato. Non ci metterà molto ad arrivare. Girano nuovamente intorno
alla radura, ma non vedono nessuna porta. - Non potrebbe essere
invisibile, Bran? - No, non a me. E comunque
tu dovresti sentirlo. Non guardarti intorno, ma concentrati. Io devo badare
al Toro. Non riesco a concentrarmi come dovrei. Muzhrab chiude gli occhi.
Per un momento non avverte nulla di particolare, poi si rende conto che la
sensazione che prova è più forte dal lato destro. Si volta in quella
direzione e fa alcuni passi. Si ferma di nuovo. Chiude gli occhi e si
concentra. Ora è leggermente più forte sul lato sinistro. Si sposta un po’ in
quella direzione. La sensazione cresce. Il formicolio che percorre il suo
corpo ora è tanto forte che quasi lo spinge verso un grande albero. Bran ha capito. Osserva
con attenzione la corteccia, poi poggia le mani in un punto, come ha fatto
con la porta nel muro. Davanti agli occhi increduli di Muzhrab il tronco
sembra aprirsi e appare una scala. Bran si infila nell’apertura, la spada in
mano, e Muzhrab sguaina la propria e lo segue. La scala è composta da una
ventina di gradini e porta a una grande sala. Quattro guerrieri si sono
appena alzati dal tavolo a cui sedevano, giocando a dadi. Vedendo arrivare
Bran e Muzhrab, afferrano le armi e si scagliano su di loro, per impedirgli
di scendere gli ultimi gradini, ma Bran salta, con un’agilità che nessuno si
aspetterebbe da un uomo della sua stazza, oltre i guerrieri. Questi,
disorientati, si voltano ad affrontare l’avversario che di colpo si trova
alle loro spalle. Non sono abbastanza rapidi per Bran, che ne uccide due
prima che abbiano il tempo di difendersi, mentre Muzhrab uccide un terzo
uomo, affondandogli la spada nel petto. Il quarto guerriero si guarda
intorno, terrorizzato: ha un avversario dietro e uno davanti e nessuna via di
fuga. È Muzhrab ad affrontarlo e a ucciderlo, senza difficoltà. Si guardano intorno. Nella
sala non c’è nessun altro, ma sulla parete opposta alla scala c’è un uscio.
Tenendo le spade insanguinate in mano, raggiungono la porta e l’aprono. C’è
una stanza, con un grande letto su cui dorme un giovane. In testa ha una
corona, la cui lucentezza quasi abbaglia Muzhrab, e il corpo nudo è avvolto
da un leggerissimo velo scuro, che più che nascondere mette in risalto le
forme eleganti. Il principe dorme: lo scontro che si è svolto nella sala
accanto non sembra averlo destato dal sonno. Bran tende un braccio e
dice: - Svegliati, principe. L’uomo addormentato si
desta e si mette a sedere. - Chi siete? - Siamo venuti a
liberarti. Vieni con noi. Ti riporteremo nella città dove regna tuo padre. Il principe annuisce.
Muzhrab è perplesso: il prigioniero non mostra nessuna gioia per essere stato
liberato. Sembra più che altro confuso. Che sia sotto l’effetto di qualche
incantesimo? Che non si fidi di loro? - Presto, principe. Un
pericolo mortale incombe su tutti noi. Il principe si alza, quasi
riluttante. - Io vado avanti.
Principe, stai dietro di me. Muzhrab, seguirai. Ricordati quanto ti ho detto. Muzhrab annuisce, ma Bran
si è già voltato e si muove rapidamente. Passano nella sala dove giacciono i
corpi dei quattro guerrieri, poi risalgono la scala. Muzhrab si accorge che
Bran rallenta il passo, si volta un attimo verso di lui e dice: - Io cercherò di fermarlo,
voi fuggite. Scuote la testa, come se
non fosse convinto di ciò che ha appena detto. Emergono dall’albero. Al
centro della radura c’è un uomo molto alto, come Bran, ma meno massiccio, con
spalle e braccia robuste e una grande ascia in mano. - Ti aspettavo, Orso. Ora
è il tuo turno. - Lo vedremo, Toro. Bran sussurra: - Via, presto! Poi avanza al centro della
radura, la spada in mano. L’idea di abbandonare Bran
è dolorosissima, ma Muzhrab sa che deve farlo. - Presto, principe,
dobbiamo andarcene. Il principe lo guarda e
sorride, senza muoversi. Appare intontito. - Presto! Il principe scuote la
testa. Quando Muzhrab cerca di afferrargli la mano, la ritira, un lampo di
diffidenza nei suoi occhi. Non è possibile allontanarlo. Muzhrab guarda la
radura, dove il duello ha avuto inizio. I due uomini che si
affrontano sono vigorosi e la rapidità con cui si muovono è stupefacente,
considerando la loro stazza. Il Toro vibra colpi violenti con la sua ascia,
ma Bran li scansa muovendosi rapidamente o bloccando il manico con la sua
spada. Muzhrab si chiede se la spada non sia fatata, perché a volte l’urto è
tanto forte che qualunque lama si spezzerebbe. Il Toro ora manovra
l’ascia in orizzontale, costringendo Bran ad arretrare, per sfuggire alla
lama che lo ucciderebbe. Bran salta di lato e riesce a colpire il Toro a un
braccio. Questi lancia un muggito di dolore, mentre Muzhrab esulta: la ferita
è profonda e certo indebolirà il guerriero nemico. Ma il Toro non sembra
risentirne e vibra un colpo violentissimo con l’ascia, che costringe Bran a
lasciare la sua spada. L’arma vola via, finendo quasi ai piedi di Muzhrab.
Prima che questi abbia potuto fare qualche cosa, Bran è saltato addosso al
Toro e ora rotolano entrambi per terra, lottando per il controllo dell’ascia.
Il Toro è sopra Bran e lo
schiaccia a terra, ma l’ascia gli è scivolata dalle mani e Bran riesce ad
afferrarla. Nella posizione in cui si trova non può usarla, ma la getta
lontano. E allora il guerriero che
sta schiacciando Bran al suolo si trasforma, rivelando la sua seconda natura:
il viso diventa quello di un toro, con lunghe corna appuntite; le braccia e
le gambe diventano zampe e il petto e il ventre si trasformano nel corpo
massiccio di un toro. Ma le sue dimensioni non sono quelle di un normale
bovino. È un animale immenso, alto il doppio di un uomo, che ora sovrasta
Bran. Muzhrab rabbrividisce. Ma vede che anche Bran si
trasforma, diventando un orso gigantesco. I due avversari si
fronteggiano. I denti e gli artigli di Bran contro le corna e gli zoccoli del
Toro. Bran salta sul dorso del Toro, ma questi lo evita, guizzando di lato.
Bran cade a terra e mentre si rialza, il Toro muove la testa rapidamente e
infila un corno nel petto di Bran, con tanta forza che lo attraversa ed esce
dall’altra parte. Muzhrab ha capito che è
finita. Un dolore immenso lo schianta. Mormora: - Bran! Il Toro alza la testa,
sollevando Bran infilzato sul corno, con un roco muggito di vittoria. Il
sangue sgorga abbondante, accecando per un momento il Toro. Bran abbassa la
testa e affonda i denti nella carotide del Toro. Altro sangue sgorga, ancora
più copioso. Il muggito di vittoria diventa un grido di dolore. Il Toro cerca
di liberarsi di Bran muovendo di scatto la testa. Il corno esce dal corpo
dell’Orso, ma i denti non mollano la presa. Il Toro si abbatte. A fatica Bran
alza un braccio e la sua zampa dilania i grandi coglioni e il cazzo del toro,
staccandoli completamente. Il Toro solleva ancora la testa con un ultimo
sforzo, poi la lascia ricadere. Bran si stacca e rimane steso accanto al
corpo del suo avversario. Muzhrab si lancia su di
lui. Bran sta riacquistando forma umana, ma il petto è aperto, uno squarcio
terribile. Bran scuote la testa, appena, gli occhi velati dalla morte. Muzhrab sente una
sofferenza atroce scavare dentro di lui: hanno vinto, ma a che prezzo! Bran
sta morendo, Bran lo guarda, poi nei
suoi occhi quasi spenti appare un lampo di spavento. - Attento… Muzhrab Muzhrab volta la testa, in
tempo per vedere che il principe gli cala la spada sul collo. Sente il dolore
feroce. Non capisce, ma è contento di morire con Bran, sul suo corpo. Il principe lascia cadere
la spada che ha raccolto. Guarda i tre corpi senza vita e sorride. Poi si
allontana, lentamente, verso una forza che lo chiama a sé. Non ritorna nella
camera sotterranea, ma si dirige verso Nord. Non sa dove sta andando, ma è la
forza che lo attrae a indicargli la strada. * Sagmuski chiede: - Si muove? - Sì, ora è ritornato
completamente sotto il nostro controllo, il tuo potere ha annullato la sua
volontà. La forza che si opponeva è stata distrutta e non può più
contrastarti. - E il Toro? - Anche lui è stato
distrutto: sono morti entrambi. Sagmuski riflette un
attimo, poi dice: - Il guerriero è morto,
vero? - Sì, il principe lo ha
ucciso. - Questo significa che
nessuno può liberare il principe. Vragore annuisce. - Certo, mio signore. Solo
il guerriero poteva riuscirci, con l’aiuto della forza che è stata
annientata. Così è scritto negli Antichi Libri. Sagmuski sorride. La
guerra scoppierà: gli Aldebri attaccheranno gli uomini, portando stragi e
devastazioni. E quando tutto si sarà concluso e Samar sarà stata distrutta,
non gli sarà difficile affermare il dominio su queste montagne e sul
territorio circostante. Forse riuscirà a sottomettere anche gli Aldebri,
indeboliti da una guerra che sarà lunga e sanguinosa. - Bene, Vragore. Adesso
dobbiamo portare il principe qui. Vragore guarda il suo signore,
stupito: - Signore, sapete bene ciò
che è scritto negli Antichi Libri. La presenza del principe qui… Sagmuski lo interrompe,
infastidito: - Sì, sì, lo so, me lo hai
detto molte volte. Il suo potere di seduzione… rivalità… contrasti e altre
cazzate… tutto scritto negli Antichi Libri. Ma ormai le forze che si
opponevano a me sono state annientate. Il Toro ha svolto il suo compito e non
ha senso lasciare il principe nella foresta. Lo voglio qui al palazzo. - Negli Antichi Libri… - Basta, Vragore. Nel
Libro degli Amori è detto che nessuno può dare più piacere del giovane
principe degli Aldebri… - Ma è scritto anche che
può portare alla distruzione… - Basta! Ora Sagmuski è furibondo. - Le decisioni qui le
prendo io. Tu sei al mio servizio, Vragore. Ricordatelo bene. C’è una chiara minaccia
nella voce del Signore delle Alture. Vragore china la testa. Le sue
conoscenze sono immense, ma il suo potere gli viene dal Signore: può vedere
attraverso gli occhi del principe degli Aldebri, perché la mente del giovane
è sotto il controllo del Signore, ma non potrebbe controllarla, né opporsi a
Sagmuski. E il Signore può distruggerlo, nonostante tutte le sue conoscenze. - Sì, mio signore. Sagmuski guarda Vragore.
L’irritazione sta svanendo. - Manda Andeo a prenderlo. Vragore apre la bocca, ma
l’occhiata del Signore gli toglie la parola. Inutile cercare di farlo
ragionare. Vragore si inchina ed
esce. Raggiunge la terrazza. Ormai è notte. Mentalmente chiama Andeo. Poco dopo c’è un frullare
di ali e un giovane con grandi ali nere scende sulla terrazza. Si inginocchia
davanti a Vragore, le ali ripiegate dietro, e attende l’ordine. Andeo è un
krilorao: il suo popolo vive libero sui monti, ma il potere di Sagmuski lo ha
reso schiavo. Andeo ha perso la sua volontà, come l’ha persa il principe
degli Aldebri. Grande è il potere del Signore delle Alture. - Andeo, devi volare alla
Foresta Purpurea, fino al lago di Sumojeze. Là vicino troverai Dragulj, il
principe degli Aldebri. Lo prenderai e lo porterai qui. - Sarà fatto, mio signore. - Quando sarai a
destinazione, ti guiderò a trovare il principe. Andeo si alza in volo,
agitando le grandi ali potenti. In un’ora arriverà al lago. Un uomo a cavallo
impiegherebbe diversi giorni. Ma tutti i krilorai sono forti e il loro volo è
potente. Vragore scende le scale e
si dirige alla sua stanza. Sagmuski ha rapito il principe degli Aldebri per
scatenare la guerra e ormai è riuscito nel suo intento: la guerra scoppierà,
perché l’unico che poteva liberare il principe è morto. Ora il Signore delle
Alture vuole possedere il giovane principe, la cui bellezza è abbagliante. Ma
il suo arrivo provocherà rovina e morte. Vragore sa di non poter
fare nulla. Sagmuski non accetta che qualcuno si opponga ai suoi desideri.
Gli altri sono per lui solo strumenti per raggiungere i suoi scopi e appagare
i suoi desideri, che non vuole e non sa tenere a freno. Ma potere e piacere
non sempre possono andare insieme. Il principe è il mezzo per provocare lo
scoppio di una guerra e permettere a Sagmuski di estendere il suo potere. Ma
portandolo qui, alla fortezza, per soddisfare la propria lussuria, il Signore
delle Alture mette a rischio i suoi sogni di potenza e la sua stessa vita.
Vragore spera di non essere coinvolto: quando cadono i potenti, nel loro
crollo travolgono anche quelli che stanno sotto di loro. Andeo vola rapido. Non si
chiede perché lui, nato da una stirpe libera, ora è al servizio di un
Signore. Obbedisce perché ogni volontà di resistere è stata annullata. Il castello del Signore
delle Alture si erge a strapiombo sopra il precipizio e domina tutta la
foresta, illuminata dalla tenue luce di uno spicchio di luna. Non ci sono ostacoli: le
montagne sono alle sue spalle e davanti a lui c’è solo la pianura boscosa,
fino alla Grande Corrente che la vista acuta di Andeo può scorgere in
lontananza, una striscia d’argento. Il giovane vola in linea
retta, come una freccia scagliata dall’arco, verso il lago. Quando arriva a
destinazione descrive un cerchio sopra lo specchio d’acqua, su cui si
riflette la luce lunare. Sente il Sapiente, Vragore, guidarlo fino ad alcuni
alberi, dove vede un giovane uomo, in piedi. Scende davanti a lui. Il
principe è bellissimo: un corpo elegante che un tenue velo copre senza
celare, la corona luminosa che brilla nella notte. Andeo ha l’impressione che
gli manchi il fiato. Il desiderio si accende, violento. Controllandosi a
fatica, Andeo dice: - Devo portarti con me,
principe. Dragulj annuisce: più
ancora di Andeo, non ha una volontà propria. Andeo passa dietro al
principe e lo solleva senza sforzo. I krilorai sono molto forti e possono
portare grandi pesi: un maschio adulto come Andeo può sollevare un toro senza
fatica. Andeo stringe il principe
tra le braccia e si dirige verso il castello. Ma ora che sente il corpo di
Dragulj contro il suo, il desiderio lo inebria. Il cazzo gli si tende. Andeo
accelera il volo, dirigendosi verso le montagne, ma non direttamente al
castello del Signore delle Alture: la sua meta è uno spunzone roccioso
sull’orlo del baratro, alcune leghe più a occidente. Quando infine raggiunge le
montagne discende sulla roccia. Tiene il principe tra le braccia e lo bacia
sulla nuca. Dragulj non reagisce. Andeo lo accarezza, stringendolo a sé,
mentre il suo cazzo si sfrega contro il culo del principe. Il krilorao gioca
con i capezzoli del principe, stuzzicandoli, con il suo cazzo, che si tende,
con i coglioni. Ora entrambi sono preda di un desiderio violento. Andeo guida
il principe a mettersi a quattro zampe. Poi si stende su di lui e lentamente
spinge il cazzo contro l’apertura segreta. Per la prima volta il principe
viene penetrato. Sente il dolore della carne forzata e il piacere di questa
massa calda che entra dentro di lui. Si abbandona completamente a queste
sensazioni, alle mani di Andeo che percorrono il suo corpo, giocano tra i
suoi capelli, stringono i capezzoli, stuzzicano il cazzo ormai teso. Il
piacere cresce, mentre il dolore recede, fin quasi a scomparire. Andeo spinge
con vigore: è un maschio forte e il piacere lo guida. A lungo cavalca Andeo e
infine per entrambi il piacere non può più essere contenuto ed esplode. Il
seme di Andeo si sparge nelle viscere di Dragulj e quello del principe viene
proiettato sulla roccia. Ora si accarezzano, si baciano, si stringono.
Nessuno dei due è sazio. Vragore dorme nella sua
camera. Lo sveglia un servitore, che lo chiama. - Sapiente, il Signore ti
desidera. Vragore indossa l’ampio
mantello nero sul corpo nudo e si dirige alla torre superiore, dove vive
Sagmuski. Il Signore è seduto sul trono ed è chiaramente irritato. - Vragore, perché Andeo
non è ancora qui? Ha avuto tutto il tempo per andare e tornare. L’hai guidato
a trovare il principe? - Sì, mio signore. L’ho seguito
e posso garantirti che l’ha raccolto. Credevo che ormai fosse arrivato. - No, non si è visto.
Controlla dov’è. Vragore chiude gli occhi e
si concentra. L’immagine appare nitida. - Non è lontano, è sullo
sperone del Salto del Drago. - Al Salto del Drago? E
perché mai non è qui? Vragore sorride, il
sorriso stanco di chi vede confermate le sue paure e sa che ormai non c’è più
nulla da fare: - Ha ceduto al desiderio.
Sta possedendo il principe. - Cosa?! Sagmuski è balzato in
piedi, il viso stravolto dalla rabbia. - Ha osato… l’infame ha osato… Quasi non riesce a parlare
per l’indignazione. Infine recupera il controllo e ordina: - Fallo rientrare subito.
Pagherà con la vita. Vragore pensa che tutto
quanto è scritto negli Antichi Libri: l’arrivo del principe segna la rovina.
Ma Sagmuski è ferito nell’orgoglio e nel desiderio ed è impossibile farlo
ragionare. I potenti non amano ascoltare avvertimenti e non tollerano che
qualcuno ostacoli i loro desideri. - Subito, mio signore. Vragore si concentra e
invia la forza del suo signore. Andeo e Dragulj si riscuotono. Interrompono
le loro effusioni e, senza dire una parola, Andeo solleva Dragulj e lo porta
alla fortezza. Andeo sa di andare incontro alla morte. Vorrebbe cambiare
direzione, ma non può: la volontà del Signore delle Alture lo guida. Andeo scende sulla
terrazza del palazzo, dove il Signore lo attente. Accanto a lui il Sapiente. Sagmuski freme per
l’indignazione e la vista del principe, della sua perfetta bellezza, accende
ancora di più la sua rabbia: questo schiavo ha osato possedere colui che era
destinato a lui, solo a lui. Pagherà, nel più terribile dei modi. Sagmuski tende una mano al
principe, che docile si avvicina a lui. Poi il Signore dà la spada del
comando a Vragore, si volta verso il krilorao e gli dice: - Sarai impalato e
castrato, Andeo. Occupatene tu, Vragore. Andeo guarda il Signore,
un lampo di terrore negli occhi. Non c’è morte più orrenda, tanto più per uno
come lui: l’agonia sarà interminabile. Il Signore si è allontanato.
Due servitori sono apparsi, pronti a eseguire gli ordini. Andeo si inginocchia
davanti al Sapiente. - Se ho meritato la morte,
dammi una morte meno orribile. Colpiscimi con quella spada. Vragore scuote la testa. - Vuoi che finisca io al
posto tuo sul palo, Andeo? Il Sapiente fa un cenno
con il capo. I due servitori afferrano Andeo. Vragore pensa che al giovane
basterebbe librarsi in volo per sfuggire, ma la potenza del Signore delle
Alture glielo impedisce. Vragore ritorna nella sua
camera: non ha voglia di assistere all’impalamento. Sa che Andeo agonizzerà
per diversi giorni, perché i krilorai non muoiono facilmente. Ma il Signore
delle Alture è spietato: sulla terrazza inferiore ci sono sempre cinque pali
aguzzi e di rado sono tutti liberi. Nella sua camera Sagmuski
guarda il principe. Sorride. Avere nelle sue mani questo giovane è quanto di
meglio possa desiderare, per il suo piacere e per la sua ambizione. Gli
brucia che Andeo abbia colto prima di lui il frutto segreto, ma l’infame
pagherà. Di certo già ora i suoi servitori stanno infilando il palo nel corpo
del condannato. - Spogliami, Dragulj. Il principe obbedisce:
altro non potrebbe fare, perché la sua volontà è totalmente soggiogata. Le
sue mani sfilano la tunica, poi tolgono le scarpe e calano i pantaloni. Quando Dragulj ha tolto
tutti gli indumenti, Sagmuski dice. - Ora inginocchiati
davanti a me e succhiami il cazzo. Gli piace pensare che ora
questo principe, di una stirpe che si considera superiore a tutte le altre e
le disprezza, si umilierà davanti a lui. Dragulj esegue l’ordine.
In ginocchio davanti a Sagmuski, avvolge la cappella con le labbra e
incomincia a succhiare. Non è abile come altri, ma al Signore fa piacere
sapere di essere il primo a cui il principe rende questo servizio. Non sarà
il primo a gustare il suo culo, ma l’urlo di Andeo, che risuona ora, proprio
mentre il principe gli succhia il cazzo, lo fa sorridere. Quell’infame ha
incominciato a pagare. Quando il cazzo è teso e
batte contro il ventre, grande e potente, Sagmuski ordina: - Mettiti a quattro zampe. Dragulj esegue Sagmuski entra con forza,
strappando al giovane un gemito. Poco gli importa di fare male. Anche se sa
che la volontà di Dragulj è stata cancellata, riversa su di lui la propria
irritazione per non essere il primo a gustare questo bel culo accogliente. Sagmuski fotte a lungo.
Quando il suo sborro si riversa nelle viscere del principe, esce. Si fa
ancora pulire il cazzo. Poi dice: - Adesso bevi il mio
piscio. Il principe si rimette in
ginocchio e apre la bocca. Accoglie il getto e beve. Sagmuski ride del suo
trionfo. Il principe degli Aldebri, la stirpe più orgogliosa della Terra,
beve il suo piscio. Sagmuski non è sazio. Ha
bevuto il moci, che esalta il desiderio e la potenza dei maschi. Scoperà
tutta la notte. (prosecuzione e conclusione del racconto) |