Missione a Occidente

 

 

Bran si sveglia. È assonnato e non del tutto lucido, come succede regolarmente dopo una notte di luna piena. Si volterebbe dall’altra parte per riaddormentarsi, anche se la luce del sole entra dalla finestra e ormai dev’essere mezzogiorno, ma ha bisogno di pisciare: ha bevuto troppo. Si alza, mugugnando, ed esce dalla capanna che si è costruito nel bosco con grandi tronchi d’albero. Si accosta a un grande pino e incomincia a svuotare la vescica, mentre il suo sguardo vaga tra i larici. In mattinata dev’essere piovuto, ma ora il sole splende e tra gli aghi le gocce d’acqua scintillano nella luce di questa giornata di tarda primavera.

Rabbrividisce, perché è nudo e l’aria è ancora piuttosto fresca. Non si è rivestito, visto che conta di ritornare subito a letto. Si gratta i coglioni e guarda il getto di piscio che scende forte, bagnando la corteccia dell’albero, e che ora, per il movimento della mano, oscilla a destra e a sinistra. Di solito pisciare il mattino gli trasmette un senso di benessere: sentire la pressione al ventre ridursi fino a svanire è piacevole. Ma oggi Bran prova fastidio. Si dice che è la stanchezza della notte precedente, ma non è solo quello, c’è qualche cos’altro. E man mano che la mente si risveglia dal torpore del sonno, Bran si rende conto di avvertire una tensione, che conosce bene.

- Oh, merda!

Bran si afferra il cazzo e lo scuote, facendo scendere le ultime gocce. Ripete:

- Merda!

Non ha voglia di mettersi in cammino ora, vorrebbe avere il tempo di smaltire i postumi della nottata, ma sa che deve andare. Rientra nella capanna. Fa rapidamente colazione (o pranzo, vista l’ora), brontolando raccoglie le poche cose che porta con sé in viaggio ed esce. Chiude la porta, chiedendosi quando potrà tornare. Potrebbe essere una faccenda che si risolve in fretta, ma Bran ha dei forti dubbi. Potrebbe anche non ritornare mai. Il pensiero lo fa sorridere, un sorriso amaro.

Bran raggiunge il cavallo, che riposa sotto la tettoia. Non è il destriero di un guerriero, agile e scattante: è un animale forte e robusto, abituato a reggere il peso, non certo indifferente, del suo padrone. Vedendo Bran avvicinarsi con la sella, l’animale si scuote: ha capito che stanno per partire. Bran gli accarezza la testa.

- Sì, sì. È ora di andare.

Bran lo sella, poi lega alla sella il suo modesto bagaglio e sale.

Prende il sentiero che scende fino al fondovalle. Non sa da che parte dovrà andare. Dovrebbe mettersi in ascolto per scoprirlo, ma è irritato: il dover partire proprio questa mattina gli dà fastidio. Ha ancora la testa un po’ annebbiata dal poco sonno e dalla nottata, il culo gli fa male – il che non è certo il massimo dovendo passare la giornata a cavallo – e c’è dentro di lui quel groviglio di sensazioni contrastanti che gli lasciano sempre le notti di luna piena. Vorrebbe stendersi nudo sull’erba e dormicchiare al sole, mentre gli insetti gli ronzano intorno. Magari farsi una sega mentre mastica un filo d’erba e ripensa alla notte. Ma non c’è tempo per tutto questo.

La mezz’ora che impiega a scendere gli permette di recuperare la lucidità. Arrivato alla pista che corre sul fondo della valle, chiude gli occhi e si mette in ascolto.

Verso occidente. Deve andare verso occidente. Figuriamoci se non era verso occidente! La giornata è incominciata male e prosegue peggio.

- Merda!

Bran mette il cavallo al trotto. Se deve raggiungere i confini occidentali, la strada è lunga ed è bene non perdere tempo. Potrebbe arrivare prima in altri modi, ma è bene che si muova a cavallo: può sempre servirgli, se non altro per non dare nell’occhio. Se poi sarà necessario andare più in fretta, lascerà l’animale in qualche locanda, per riprenderlo al ritorno.

Ci vogliono quattro giorni per arrivare ai confini occidentali, procedendo di buon passo e fermandosi solo il tempo necessario per far riposare il cavallo. E non è detto che debba fermarsi al confine. Probabilmente dovrà proseguire.

- Merda!

 

Muzhrab guarda la città che si erge in cima allo spuntone roccioso. È la prima volta che vede Samar, ma ha spesso sentito parlare di questo avamposto, edificato in una terra selvaggia e sempre minacciato da uomini ed esseri malefici.

Vista dalla riva del Fiume Purpureo, che forma un’ampia curva ai piedi dello sperone, la città è davvero imponente: le alte mura paiono continuare le pareti scoscese e per un esercito nemico è impossibile raggiungere gli spalti senza far ricorso a cavalcature alate. Lungo le mura si levano le maestose torri: quella che sorge più in alto è il cuore della fortezza, dove vive il governatore. Samar non fa parte di uno dei sette regni, ma tutti i re d’Occidente vi mandano un contingente di uomini, che assicurano la difesa della città e la vigilanza sul territorio circostante. A capo di questi uomini vi è il governatore.

Muzhrab intende cercare in città un posto per la notte: sono cinque giorni che cavalca, dormendo all’aperto. Non gli spiace pernottare nei boschi e non ha paura dei banditi e delle creature che vi si celano: si è abituato a non abbandonarsi completamente al sonno, rimanendo in parte vigile, in modo da poter sventare le minacce che pesano su chi dorme all’aperto, soprattutto in queste regioni di confine. Adesso però ha voglia di dormire una notte tranquillo e soprattutto vorrebbe farsi un bel bagno caldo.

Sprona il cavallo e passa sul ponte che supera il fiume. Lancia un’occhiata all’acqua, limpida e azzurrina. Sa che il fiume si chiama Purpureo perché attraversa la Foresta Purpurea e in autunno le sue acque hanno sfumature violacee. Ma ora siamo a primavera.

Dall’altra parta del ponte si apre l’unica porta aperta nella cerchia di mura. I soldati di guardia lo fermano: Samar è un avamposto e chi entra è controllato.

- Chi sei?

- Sono Muzhrab di Gornigrad. So che il governatore cerca uomini per una missione e sono venuto a presentarmi.

- Allora devi parlare con l’ufficiale.

Chiamano l’uomo, un guerriero che deve avere una quarantina d’anni, alto e forte. È completamente calvo, ha il volto sfregiato da una cicatrice che va dallo zigomo destro al mento e gli manca il lobo di un orecchio. Muzhrab si dice che dev’essere un avversario formidabile.

L’uomo lo squadra e gli dice.

- Vieni dentro.

Muzhrab lega le briglie del cavallo a un anello di ferro e segue l’ufficiale, che lo fa sedere su uno sgabello in una stanzetta.

- Ti chiami Muzhrab, mi hanno detto.

- Sì.

- Quindi sei un guerriero, ma un guerriero libero.

“Hrab” è uno dei suffissi che vengono usati per i nomi nelle stirpi di guerrieri.

- Sì.

- E sei venuto a Samar per il bando del governatore.

- Sì.

- Perché hai deciso di proporti per la missione?

- Sono un guerriero libero e mi metto al servizio di chi cerca guerrieri.

- È una missione molto pericolosa, oltre i confini.

- Sono abituato ad affrontare pericoli.

Le domande dell’ufficiale sono molto generiche. Muzhrab ha l’impressione che l’uomo stia cercando di farsi un’idea di lui, badando più a come si pone che alle risposte che dà alle domande.

- Da dove vieni?

- La mia città natale è Gornigrad, ma ora vengo da Redan.

- Non vivi a Gornigrad?

- No.

L’ufficiale tace. Attende una spiegazione. Muzhrab riprende:

- Sono un guerriero libero, te l’ho detto. Vado dove cercano guerrieri.

- Perché non sei al servizio del re della tua terra? Perché sei un guerriero libero?

Muzhrab è irritato. Non ha voglia di parlare di faccende personali.

- Ho avuto da ridire con mio fratello e ho preferito allontanarmi.

L’ufficiale annuisce.

- Va bene. Sai che la convocazione è domani mattina.

- Sì, per quello sono arrivato oggi.

- Intendi fermarti in città a dormire, suppongo.

- Sì.

- C’è parecchia gente oggi in città. Soprattutto guerrieri come te, che hanno risposto all’appello del governatore. Non so se troverai posto. Ci sono solo quattro locande. Ti consiglio quella dell’Unicorno, che è la migliore e la più grande, ma potrebbe essere piena. È a quattro passi. La trovi salendo per la strada principale, su un angolo.

L’ufficiale lo congeda. Uscendo Muzhrab vede che ci sono altri due guerrieri in attesa. Devono essere arrivati in molti a Samar. Muzhrab slega il cavallo, ma non vi sale: la locanda è poco distante. Tenendo l’animale per le briglie, Muzhrab raggiunge l’ingresso.

C’è un garzone sulla porta. Dall’interno proviene un vocio continuo: ci devono essere parecchi uomini.

- Sto cercando un posto per la notte.

Il ragazzo scuote la testa.

- Mi spiace, qui tutte le camere sono strapiene, ma se vuoi fermarti per bere qualche cosa o per mangiare…

Muzhrab preferisce trovare un posto per dormire, prima che arrivi altra gente e diventi ancora più difficile.

- Più tardi, magari. Sai dove posso trovare da dormire?

- Prova le altre due locande: quella della Luna Piena e quella dell’Aquila. Sono nelle vie laterali, ma se sali lungo questa strada e agli incroci guardi sulla destra, vedrai le insegne. Sono tutte e due poco oltre la prima piazza, sulla stessa strada.

- Grazie.

Muzhrab riprende a salire: la strada principale si arrampica lungo il fianco della montagna, incrociando diverse vie più strette. Guardando all’angolo di una strada, Muzhrab vede le insegne delle due locande che gli hanno indicato. Raggiunge la prima, quella dell’Aquila, ma la situazione è la stessa: nessun posto.

Dallo stanzone dove molti guerrieri stanno mangiando un uomo, chiaramente un po’ alticcio, gli grida:

- Arrivi tardi, amico! La prossima volta svegliati prima.

Poi scoppia in una risata che lo squassa tutto.

Muzhrab ha portato la mano alla spada, ma si rende conto che non è il caso di sfidare questo ubriacone. Tra i guerrieri liberi ci sono diversi balordi, che pensano più a bere e ad attaccar briga che a combattere.

La locanda della Luna Piena è anch’essa al completo. Il garzone, a cui Muzhrab ha chiesto se hanno un posto per dormire, gli risponde:

- Siamo pieni come la nostra luna!

E scoppia a ridere.

Muzhrab non nasconde il suo malumore. L’ufficiale ha parlato di quattro locande. Ce ne dev’essere ancora una.

- C’è ancora una locanda, oltre a quella dell’Unicorno e a quella dell’Aquila, no? Dove si trova?

Il garzone ride di nuovo.

- Quella dell’Orso? Bel posto!

- Che cos’ha che non va?

Il garzone alza le spalle. Non risponde alla domanda, ma fornisce le indicazioni per raggiungerla:

- Sali ancora per la via principale fino alla prossima piazza, poi prendi la viuzza dietro la fontana e scendi fino in fondo. È addossata alle mura.

Muzhrab si dice che scoprirà com’è questo posto andandoci. Ringrazia il ragazzo e si allontana. Gli sembra di sentire su di sé lo sguardo di qualcuno e si volta, ma il ragazzo è rientrato nella locanda. Poco oltre c’è un uomo che si è fermato sotto un arco. È alto e molto massiccio, con capelli neri come la fitta barba. Per un attimo i loro sguardi si incrociano, ma subito lo sconosciuto guarda altrove, oltre Muzhrab, come se cercasse qualche cosa o qualcuno alle sue spalle.

Muzhrab si rigira e si dirige verso la piazza.

 

Bran lo guarda allontanarsi. È lui, ne è sicuro: quando lo ha visto, ha avvertito la tensione. Dall’aspetto sembra un guerriero. Sarà venuto per rispondere all’appello del governatore. Si è rivolto alla locanda, ma il garzone deve avergli detto che era piena. Andrà all’altra, quella dell’Orso. Bran conosce bene Samar: ha avuto modo di venirci centinaia di volte, da quando venne edificata, tre secoli fa. La locanda dell’Orso esiste solo da una cinquantina d’anni, ma Bran l’ha frequentata. Oggi si è fermato alla Luna Piena, perché la città era la sua meta, ma avrebbe preferito dormire all’aperto, come fa sempre, perché non ama le locande e la ressa e non gli piace dividere la camera con altri. È un uomo solitario. Qualcuno che l’ha conosciuto dice che ha un brutto carattere. Chi lo conosce meglio dice che preferisce stare per conto proprio. Quasi nessuno sa i motivi per cui frequenta poco gli altri.

Bran segue l’uomo che ha svoltato per riprendere la strada principale.

 

Senza sospettare di essere seguito, Muzhrab raggiunge la piazza e poi scende per la via che gli hanno indicato, fino ad arrivare alle mura. C’è una vecchia insegna che indica la locanda dell’Orso.

Sulla porta non c’è nessuno. Muzhrab lega le redini del cavallo all’anello vicino all’ingresso ed entra.

L’oste arriva poco dopo. Un uomo piuttosto grosso, un po’ stempiato, con capelli rossi e occhi verdi. La camicia aperta sul petto lascia vedere una fitta peluria rossiccia e sotto le ascelle ci sono due chiazze umide. Anche sulla fronte ci sono goccioline. L’uomo ha un odore di sudore piuttosto forte, ma non sgradevole. Muzhrab sa benissimo di non avere un odore migliore, dopo diversi giorni di viaggio e notti trascorse dormendo all’aperto nei propri vestiti.

L’uomo fissa Muzhrab e gli sorride.

- Cerchi un posto per dormire, guerriero?

- Sì. Ne hai uno?

- Ho un posto in una camera. Ci sono già due cavalieri, ma il letto è grande.

Muzhrab è abituato a dividere il letto con altri: è la sistemazione comune in tutte le locande, a parte quelle più costose, che non ha modo di frequentare.

- Per me va bene.

Concordano il prezzo, poi l’oste dice:

- Se vuoi mangiare, stiamo preparando e tra poco sarà pronto. Chiamo il garzone che si occupi del cavallo.

- Sì, mangio volentieri un boccone. E poi vorrei fare un bagno. È possibile?

- Certo. Ma ne parliamo dopo pranzo.

Un garzone prende il cavallo e lo conduce all’interno, attraverso un portone che probabilmente immette in un cortile. Muzhrab entra nella locanda e raggiunge la sala, un locale ampio, ma basso e poco luminoso. Diverse persone sono sedute a tavola. Dall’aspetto si direbbero quasi tutti guerrieri.

L’oste gli dice ancora:

- Il cesso è nel cortile, come pure la fontana.

Muzhrab passa nel cortile e dopo essersi lavato le mani e la faccia rientra nella sala e si siede a un tavolo dove altri quattro uomini stanno conversando. Uno di loro si rivolge a lui e, dopo essersi presentato, gli chiede chi è e da dove viene. La conversazione si allarga anche agli altri. Come Muzhrab ha immaginato, sono tutti venuti per il bando del governatore e sperano di essere presi.

L’oste arriva poco dopo con un pentolone, da cui versa nei piatti una minestra densa e fumante, a cui accompagna un’abbondante dose di pane nero. L’odore è quanto mai stuzzicante, soprattutto per Muzhrab, che in questi giorni si è nutrito di gallette e carne secca. Il gusto è altrettanto buono e tutti i guerrieri mangiano avidamente. Quando ha finito, Muzhrab si guarda intorno. Lo stanzone è poco luminoso perché le finestre che danno sul cortile sono piccole e le alte mura della città impediscono alla luce del sole di arrivare. E forse a rendere lo stanzone piuttosto buio contribuisce anche la sporcizia dei vetri. Tutto sommato è meglio che ci sia poca luce: almeno non si vede che anche i tavoli sono piuttosto sporchi. Muzhrab non ci bada: la minestra lo ha messo di buon umore.

Il pasto non è finito: l’oste porta una forma di formaggio, che taglia, facendo fette generose per chi lo desidera.

Muzhrab è alquanto soddisfatto. Molti chiedono ancora sidro e l’oste ne porta, ma Muzhrab è abituato a bere poco. Esce nel cortile e guarda la scuderia che si trova sul lato opposto, contro le alte mura.

Dopo un po’ l’oste lo raggiunge.

- Ti faccio vedere la camera.

Salgono per una stretta scala di legno, che porta al secondo piano. La camera non è molto vasta ed è occupata quasi per intero da un grande letto, su cui dorme un guerriero nudo, che dà loro la schiena. L’uomo non si accorge del loro ingresso e continua a russare tranquillamente. L’oste indugia un momento a guardarlo, poi dice, piano:

- Come ti ho detto, siete in tre. Il letto è sufficiente.

Sì, non è molto grande, ma in tre ci si sta.

- Adesso è possibile fare il bagno?

- Certamente. C’è uno stanzino con la tinozza. Ti faccio portare l’acqua. Ti vengo a bussare quando è pronto. O preferisci aspettare in cortile?

- Aspetto qui.

- Ti vengo a chiamare quando è pronto.

Muzhrab posa la sua sacca in un angolo, si toglie la spada e gli stivali, poi si spoglia, rimanendo solo con le mutande. Guarda l’uomo che dorme, che è sempre nella stessa posizione. Ha un corpo forte, con il culo e le gambe coperte da una fitta peluria nera, che si dirada sulla schiena. Lo sguardo di Muzhrab indugia sul culo. Pensa che non scopa da settimane. Non gli spiacerebbe gustare questo culo. Ma l’uomo è certamente un guerriero e difficilmente accetterebbe di farsi possedere, così come non lo tollererebbe Muzhrab.

Si stende sul letto. Sente una piacevole sonnolenza. Può dormire un po’, l’oste lo chiamerà.

A destarlo è in effetti l’oste, che lo chiama piano, scuotendolo per il braccio, per non svegliare l’uomo che ancora dorme accanto a lui.

- Il bagno è pronto.

Muzhrab segue il locandiere fino allo stanzino.

La tinozza è piena e accanto ci sono due secchi, uno di acqua calda e uno di acqua fredda.

- Tra un momento ti porto un telo per asciugarti.

- Va bene, grazie.

Muzhrab si toglie le mutande.

L’oste dice:

- Vuoi che le faccia lavare? Le stendiamo vicino al fuoco, per domani mattina saranno asciutte.

Perché no?

- D’accordo.

L’oste sorride. Muzhrab vede che lo sta fissando.

Lo sguardo dell’uomo scorre lungo il corpo del guerriero. Ne osserva la spalle ampie, il torace, con i segni delle ferite: una cicatrice sotto la spalla destra, un’altra sul lato sinistro, una al ventre. È un guerriero che ha combattuto, questo, non certo uno di quelli che si vantano di essere valorosi, ma non hanno mai affrontato un avversario.

Anche se cerca di non darlo a vedere, ora l’oste fissa il cazzo del guerriero. 

Muzhrab risponde al sorriso dell’oste con un mezzo sorriso. Ha una buona dotazione e se l’oste vorrà assaggiare, non ha obiezioni: non gli spiacerebbe svuotare i coglioni.

Muzhrab si volta ed entra nella vasca. Sente lo sguardo dell’oste su di sé, ma non se ne occupa. L’oste esce.

Muzhrab chiude gli occhi e si abbandona al piacere di un bel bagno caldo. Dopo diversi giorni di viaggio, è davvero bello indugiare nella tinozza.

Dopo essersi goduto il tepore dell’acqua, Muzhrab si lava. Poco dopo arriva il locandiere, con un ampio telo.

- Ti do una mano ad asciugarti, guerriero?

Muzhrab sorride. Ha le idee abbastanza chiare su come andrà a finire la manovra del locandiere.

- Va bene.

Muzhrab si alza ed esce dalla tinozza. Rivoli d’acqua scendono sul pavimento, formando piccole pozze. L’oste passa dietro di lui e gli avvolge il corpo nel telo, strofinando energicamente.

Il locandiere gli asciuga la schiena, poi, rimanendo dietro di lui, gli asciuga il petto e il ventre. Muzhrab lo lascia fare, senza dire nulla. Imbaldanzito dall’arrendevolezza del guerriero, il locandiere passa il telo sul cazzo e poi sui coglioni.

- Bisogna asciugare bene, anche lì.

Lo strofinio energico produce l’effetto desiderato. Il cazzo di Muzhrab si gonfia di sangue e si irrigidisce. Il locandiere stringe il guerriero tra le braccia, mentre continua ad accarezzare con la stoffa. Poi lascia cadere il telo e passa davanti a Muzhrab. Senza badare alle pozze d’acqua, si inginocchia sul pavimento, mette le mani sul culo del guerriero e ne prende in bocca il cazzo, succhiandolo delicatamente. Ci sa fare e Muzhrab sente brividi di piacere corrergli lungo la schiena. Dopo aver succhiato la cappella, la lascia e la contempla. Passa la lingua sui coglioni, infila la testa tra le gambe del guerriero per leccare l’area dietro lo scroto, poi accarezza il cazzo e prende di nuovo la cappella in bocca, succhiando energicamente. Le sue mani intanto poggiano sul culo di Muzhrab e lo stringono con forza.

Muzhrab pensa che il locandiere è davvero bravo.

L’uomo lascia la sua preda, alza lo sguardo e chiede:

- Me lo metteresti in culo?

Perché no? Muzhrab annuisce.

- Va bene.

Il locandiere sorride. Si alza e si spoglia in fretta. È molto peloso, come Muzhrab aveva intuito guardandogli il petto scoperto, e ha una grossa pancia sporgente. Dopo essersi spogliato succhia ancora un momento la cappella, poi si mette a quattro zampe.

Muzhrab guarda il grosso culo che gli si offre, coperto da una fitta peluria rossiccia. Appoggia le mani sulle natiche, divaricandole, in modo da scoprire l’apertura. Tenendo il culo bene aperto, avvicina la cappella, ma quando sente la pressione, il locandiere dice:

- Sputa sul buco. Ce l’hai grosso.

Muzhrab sputa sull’apertura, sparge un po’ la saliva, poi affonda la cappella nel culo del locandiere, che sussulta. Si ferma un momento, per dargli il tempo di abituarsi, poi incomincia a muovere il culo avanti e indietro, affondando il cazzo ben dentro e poi ritraendolo. Procede lentamente: è parecchio che non scopa e non vuole venire subito, vuole gustare questo bel culo caldo che gli viene offerto. Le sue dita affondano nella carne, giocano con il pelame abbondante. È piacevole, davvero piacevole. La tensione cresce. Muzhrab rallenta il movimento, ma ormai il desiderio è troppo forte e ora esplode. Dal cazzo il seme sgorga abbondante, riversandosi nelle viscere del locandiere, che emette un gemito. Muzhrab chiude gli occhi e si abbandona sul corpo. Poi la sua mano afferra il cazzo del locandiere e lo stuzzica, fino a che l’uomo non emette un grido strozzato e il seme schizza.

Muzhrab sorride e si alza. Raccoglie il telo e si pulisce. Il locandiere si è alzato.

- Grazie, guerriero.

- Grazie a te. Il mio nome è Muzhrab.

- Io mi chiamo Redwin.

- Ora torno in camera, Redwin. Posso andare in giro nudo nel corridoio?

Redwin ride.

- Certo. Qui ci sono solo uomini, in questa locanda non accetto donne. Oggi sono tutti guerrieri.

Muzhrab torna in camera. Non incontra nessuno nel corridoio, ma l’uomo che dormiva si è svegliato. Lo guarda, un po’ stupito, poi chiede:

- Sei il nuovo ospite della stanza? Quello è il tuo bagaglio, vero?

- Sì, esatto. Quando sono arrivato dormivi.

- E adesso hai fatto un bagno, suppongo. O di solito te ne vai in giro nudo?

L’uomo ghigna.

- In effetti ho fatto un bagno.

- E magari hai pure fottuto l’oste. Quello è una troia.

Muzhrab non risponde subito. Non ha voglia di mentire, ma non vuole nemmeno sputtanare Redwin. L’uomo intuisce e ride:

- Non ti preoccupare. Lui è una troia, ma io sono un porco e ci ho scopato anch’io.

Ride di nuovo.

Muzhrab annuisce. Sorride, senza commentare, poi dice:

- Adesso però ho voglia di fare un giro in città. È la prima volta che vengo a Samar.

- Allora fai bene ad andartene a spasso. Io mi rimetto a dormire. Ho viaggiato tutta la notte, senza chiudere occhio.

- Mi dicono che da queste parti è alquanto pericoloso muoversi la notte.

- Lo è. Ma anche fermarsi a dormire all’aperto lo è. Buon giro.

Muzhrab si riveste e lascia la stanza. Scende la scala e raggiunge la porta. Quando esce dalla locanda, non si accorge che un uomo lo sta osservando, dietro i vetri della finestra di una bettola lì vicino.

 

Bran aspetta che Muzhrab abbia svoltato l’angolo, poi raggiunge la locanda e chiede di Redwin, che arriva subito.

- Bran! Sei a Samar! Sono contento di vederti. Ma temo di non avere un letto per te: ho dato l’ultimo posto un’ora fa a un guerriero.

- Sì, oggi Samar è piena di guerrieri. Il guerriero che dici è quello che è appena uscito?

- Sì, lui. Si chiama Muzhrab.

- Lo conosci?

- No, è la prima volta che viene qui, ma…

- Ma…?

Redwin ride e aggiunge:

- …scopa bene.

Bran scuote la testa.

- Sempre il solito. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

- Già. Io di peli ne ho persi un po’ sulla testa, ma ne ho d’avanzo da tutte le altre parti.

- E di vizi non ne hai perso nessuno.

- Esatto. Però, a proposito di peli… Ti conosco da quando ero ragazzo, sono passati almeno vent’anni, ma sei sempre uguale. Devi avere oltre sessant’anni, ma non te ne darei più di quaranta o quarantacinque. I capelli sono tutti neri e c’è qualche pelo bianco solo nella barba, ma pochi.

Bran annuisce. È uno dei motivi per cui evita di tornare nei posti dov’è stato venti o trent’anni prima, se lo conoscono.

- La vita all’aria aperta fa bene… Ora però devo andare.

- Ma come… sei qui e non rinnoviamo la conoscenza?! Non puoi farmi questo!

Bran sorride.

- Mi hai appena detto che questo Muzhrab scopa bene.

- Mai come te, Bran. Dai, non farti pregare.

Bran annuisce. Non ama farsi pregare. Non è avaro di sé. E Redwin gli sta simpatico: è buono e sempre disponibile a dare una mano, oltre che ad offrire la bocca e il culo.

Salgono nella camera di Redwin.

Il locandiere incomincia a spogliare Bran.

- Sono contento che tu sia qui, Bran. Avrò male al culo per una settimana, lo so, ma nessuno sa scopare come te.

Bran scuote la testa. Non replica al complimento: non saprebbe che dire. Ha l’impressione che Redwin pensi davvero quello che dice.

Bran si lascia spogliare, assecondando i movimenti di Redwin, poi a sua volta gli toglie gli indumenti. Ora sono tutti e due nudi, uno davanti all’altro: due grossi orsi, più muscoloso e scuro di pelo Bran, più rotondo e rosso Redwin.

Redwin scivola in ginocchio. Gli piace succhiare un bel cazzo e quello di Bran è senz’altro il migliore che gli sia mai capitato di provare. Gli piacciono anche i coglioni, grossi, duri, coperti pure quelli di una pelliccia scura. L’oste ci giocherella con le mani, li stringe un po’. Redwin si stacca un attimo, alza lo sguardo sul viso di Bran e gli dice:

- Certe volte penso che in realtà tu sia un orso, un orso con la faccia umana.

Bran sorride. Nelle parole di Redwin c’è più verità di quanto lui possa pensare, ma non è il caso che glielo dica. Accarezza i capelli di Redwin, poi si china in avanti e, mentre il locandiere gli lecca i coglioni e il cazzo, gli accarezza la schiena, scendendo fino al culo.

- Allarga un po’ le gambe, Bran.

Bran obbedisce. Redwin si mette sotto e passa la lingua sul solco delle natiche di Bran, poi dietro i coglioni e infine ritorna ai suoi giocattoli preferiti. Il cazzo di Bran si è teso e ora incombe, duro e grande, un po’ minaccioso. Redwin lo guarda ammaliato, passa la lingua sulla cappella, su cui ormai brilla una goccia, e poi la avvolge con le labbra, mentre le sue dita ancora stuzzicano i coglioni. Rimarrebbe così per ore, perché non c’è nulla di più bello al mondo.

Dopo aver giocato ancora un po’, Redwin si alza. Avvicina il viso a quello di Bran e si baciano. Poi il locandiere appoggia il torace sul tavolo e divarica bene le gambe. Bran si mette dietro di lui. Si inginocchia, gli divarica le natiche con le mani e passa la lingua sul solco, più volte. Poi si alza e avvicina la cappella all’apertura. Spinge in avanti il culo, in modo che il cazzo forzi il buco. Redwin chiude gli occhi. Quando Bran entra dentro di lui, gli fa sempre male, ma è una sensazione bellissima. Bran aspetta un buon momento, lascia che l’apertura si abitui a questa mazza che la sta dilatando, poi lentamente affonda il cazzo nel culo del locandiere, che mugola. Bran spinge fino in fondo, poi si ferma. Le sue mani accarezzano la schiena di Redwin, salgono alle spalle, scivolano tra i capelli, poi scendono, passano davanti sul ventre, afferrano il cazzo, lo stuzzicano un po’ e giocano con i coglioni, mentre Redwin geme.

Lentamente Bran prende a muoversi, ritraendo il cazzo e poi spingendolo in avanti. Redwin geme, senza ritegno, mentre ondate di piacere lo squassano. C’è dolore, forte, ma rimane sullo sfondo, soffocato dalle sensazioni fortissime che gli trasmette questo cazzo superlativo che affonda dentro di lui, arretra fin quasi ad uscire, poi avanza di nuovo ed esce, per rituffarsi dentro. Il piacere è tanto forte da essere intollerabile. Redwin grida, mentre il suo seme si sparge.

Bran accelera le spinte e il suo seme si riversa nel culo di Redwin. Poi si appoggia su di lui e gli accarezza i capelli.

Quando Bran si stacca per rivestirsi, Redwin si drizza.

- Cazzo, Bran. Nessuno scopa come te. Ho un male al culo bestiale, ma è una meraviglia.

- Mi spiace per il male al culo, ma non ci posso fare niente.

- Va bene così.

Bran bacia Redwin, spingendogli la lingua in bocca, poi si stacca.

- Io devo andare.

- Se riesci a ripassare, prima di partire…

- Ma hai appena detto che hai un male bestiale al culo!

- Raddoppio il male volentieri.

Bran ride e scuote la testa, poi se ne va.

 

Redwin scende le scale, piano, perché in effetti il male al culo è forte, ma è soddisfatto come di rado in vita sua. La prima scopata della giornata, con Muzhrab, è stata ottima, ma questa seconda… davvero, nessuno al mondo scopa come Bran.

Redwin scende nella sala. Un guerriero gli grida:

- Oste fottuto, dove t’eri cacciato? Ho la gola secca.

- Adesso arrivo.

- E muoviti, stronzo. Voglio bere.

Redwin guarda l’uomo. Si chiede se sia il caso di dargli ancora da bere. Non vuole provocarlo, per cui si limita a riempirgli il bicchiere di sidro poco più che a metà. L’uomo guarda il bicchiere, poi scatta in piedi, afferra Redwin per il colletto della camicia e dice:

- Pezzo di merda, riempilo tutto, il bicchiere.

Redwin cerca di liberarsi.

- Te ne do ancora un po’, ma mi sa che hai bevuto già un po’ troppo.

Quello che succede poi è del tutto inatteso e troppo rapido perché qualcuno riesca a intervenire. L’uomo estrae un coltello e lo pianta nel fegato di Redwin. Altri tre guerrieri saltano addosso all’ubriaco, che si agita come un forsennato, e dopo una rapida colluttazione lo bloccano. Intanto Redwin ha sgranato gli occhi e si è accasciato al suolo, guardando incredulo il coltello piantato fino all’impugnatura nel suo corpo. Sa che è finita. Dalla ferita esce un mare di sangue, che forma un’ampia pozza a terra. Il dolore è violento. Redwin mormora:

- Perché?

È assurdo morire così, per un guerriero che ha bevuto troppo.

L’ubriaco continua a sbraitare, furioso, e cerca di divincolarsi, finché uno dei guerrieri si stufa e gli molla tre pugni al ventre. L’uomo strabuzza gli occhi e si affloscia, ansimante. Intanto il garzone corre a chiamare un medico e un guerriero cerca le guardie.

Uno degli uomini presenti nella sala si china su Redwin ed estrae il coltello dal corpo. Altro sangue sgorga abbondante, allargando la pozza sul pavimento.

L’uomo alza lo sguardo su un altro, che si è chinato ad osservare.

- È fottuto.

Gli mostra il grosso squarcio e poi il coltello, con la lama insanguinata fino all’impugnatura.

Redwin guarda angosciato l’uomo con il coltello. Il dolore sta scemando: sta certamente morendo. Non ha senso, non ha senso morire così.

Due guardie sono arrivate e trascinano via l’assassino. Arriva anche il medico. Fa sollevare Redwin da quattro guerrieri e lo fa mettere su un tavolo, per poterlo esaminare. Il locandiere è stupito di essere ancora cosciente e lucido, nonostante tutto il sangue che ha perso. Il dolore sta lentamente passando, forse perché sta per perdere i sensi.

Il medico lo fa spogliare e chiede acqua per lavare la ferita e capire la situazione.

- La ferita non sembra molto profonda.

L’uomo che ha estratto il coltello scoppia a ridere. Prende l’arma e dice:

- L’aveva infilato dentro tutto, sporgeva solo il manico. Vedi che è tutto insanguinato?

Il dottore guarda dubbioso.

- Non è possibile, la ferita non è così larga.

Il garzone ha portato l’acqua. Il medico lava la ferita.

- Vedi? È appena un taglio superficiale. Ha già smesso di sanguinare.

- Ma… che cazzo… non è possibile. Gerehrab, hai visto anche tu, no?

- Sì, certo, era dentro fino all’impugnatura.

- Cazzo, dottore, guarda quanto sangue c’è per terra. Ti sembra una ferita superficiale?

Redwin segue tutta la discussione, frastornato. Il dolore è quasi scomparso. È perfettamente lucido e non si sente debole.

Il dottore scuote la testa.

- Tutto questo sangue non può essere uscito da questa ferita minuscola: si vede appena. E lui non è mica pallido. Se avesse perso tutto questo sangue, sarebbe bianco come un cencio.

Gli uomini si guardano, stupefatti. La ferita è davvero minuscola, si direbbe un graffio.

- Riesci ad alzarti, Redwin?

Redwin annuisce. Con cautela si mette a sedere sul tavolo. Guarda la ferita. Davvero si vede a malapena. Guarda il sangue per terra. Eppure è il suo sangue, quello.

Scende dal tavolo, badando a non mettere i piedi nella pozza di sangue.

- Non so che cosa sia successo, forse quel coltello è magico… non so.

Un’altra idea si è affacciata nella sua testa, ma preferisce non esprimerla. Vuole riflettere con calma.

Il dottore guarda ancora la ferita.

- Si è praticamente chiusa da sé. Strano. Quando sono arrivato era più larga. Non capisco… forse hai ragione, Redwin, è un coltello magico. O sei tu che sei fatato. Magari sei uno di Coloro Che Ritornano.

Il dottore ride, una risata un po’ nervosa. Sanno tutti che esistono esseri che hanno strani poteri, creature che ritornano dalla morte, ma nessuno ha mai pensato che il locandiere dell’Orso fosse tra quelli. Ora lo guardano tutti perplessi, un po’ inquieti. Poi uno dei guerrieri che hanno bloccato l’aggressore dice, ridendo:

- Ti accoltelliamo di nuovo. Vediamo che cosa succede.

Redwin scuote la testa:

- Se vuoi fare una prova, fatti accoltellare tu. Una volta mi basta.

L’uomo ride e dice:

- Non ci tengo, grazie. Mi sa che non sono fatato, io. Va bene così.

Un altro osserva:

- Non è ora che tu ti metta a preparare la cena? Abbiamo fame.

Redwin guarda l’avventore. Lo hanno appena accoltellato e questo tizio gli chiede di pensare alla cena! Vero è che la ferita è chiusa e non sente nessun dolore, nemmeno debolezza. Sospira e annuisce, mentre si rassetta.

- Prima però è bene che dica al ragazzo di pulire. Che macello! E poi mi occupo della cena per tutti.

Mentre il garzone pulisce, Redwin passa in cucina e incomincia a preparare. Senza più nessun estraneo intorno, pensa alla prima volta che ha scopato con Bran, oltre vent’anni fa. Era stata un’esperienza incredibile: non pensava che scopare potesse dare tanto piacere. Quando, dopo la scopata, era sceso ad aiutare i suoi in cucina, non riusciva a concentrarsi, aveva la testa altrove, pensava in continuazione a Bran e al rapporto che avevano avuto. Troppo poco attento a quello che stava facendo, aveva finito per tagliarsi malamente il pollice. Anche allora aveva perso parecchio sangue e suo padre temeva che potesse perdere il dito. Lo avevano subito bendato, ma il dolore era passato in fretta e la sera, controllando la ferita, Redwin aveva notato che non c’era più nessuna traccia, come se non si fosse mai tagliato. I suoi genitori non riuscivano a spiegarsi la faccenda. Redwin aveva le cicatrici di alcune piccole ferite che si era fatto da ragazzo e anche in seguito, se gli era capitato di ferirsi, c’erano voluti diversi giorni perché si rimarginassero, come è normale per tutti. Ma quella ferita era scomparsa rapidamente, senza lasciare nessun segno, come oggi. E anche quella volta aveva scopato con Bran.

Ha conosciuto Bran oltre vent’anni fa. Ed era identico ad adesso. Ora sembrano coetanei, ma allora tra loro c’erano almeno vent’anni di differenza. O forse… forse ce n’erano molti di più, allora e adesso.

Redwin scuote la testa. Meno male che ha scopato con Bran oggi. Altrimenti probabilmente a quest’ora sarebbe un cadavere.

 

Muzhrab è rientrato. Nella locanda non si parla d’altro: l’oste è stato ferito, una coltellata sicuramente mortale, ma la ferita si è rimarginata in fretta e lui sembra stare benissimo. Muzhrab è perplesso. Gli sembra una faccenda poco probabile, anche se sa che esistono amuleti e talismani in grado di proteggere dai colpi e di guarire le ferite. E creature incantate, che possono ritornare in vita dopo essere state uccise: li chiamano Coloro Che Ritornano. Redwin gli è sembrato un uomo qualunque, ma non si può mai sapere. Molte persone dotate di poteri magici non hanno nulla che le distingua dalle altre.

Anche Bran ha saputo dell’accaduto: se ne parla parecchio in tutta la città. La storia è stata ripetuta mille volte e i fatti sono stati ingigantiti. C’è anche chi dice che Redwin è stato accoltellato venti volte e che l’aggressore gli ha tagliato la testa, ma poi la testa è tornata al suo posto, si è riattaccata e il locandiere si è alzato e stava benissimo.

Bran non si è stupito. È contento di aver scopato con Redwin oggi e di averlo così salvato.

 

 

L’indomani Muzhrab si dirige alla fortezza. Sono in tanti i guerrieri che hanno risposto all’appello. Sono tutti guerrieri liberi, che non sono al servizio di nessuno dei re della regione. Muzhrab si guarda intorno. Conosce alcuni di questi uomini, ma non è amico di nessuno. Sa che molti di loro sono tipi poco raccomandabili: c’è chi ha scelto la vita del guerriero libero invece di mettersi al servizio del proprio re per amore dell’avventura, ma molti sono stati allontanati dalle truppe regie per insubordinazione o perché poco affidabili, qualcun altro è scappato dopo aver commesso un crimine. Alcuni sono davvero più banditi che guerrieri. La gente diffida di questi uomini spesso violenti e brutali, come quello che ha accoltellato Redwin. Tra di loro molti sono coraggiosi, ma pochi leali.

Tutti si chiedono per quale missione sono stati convocati. Probabilmente un’impresa molto rischiosa, una di quelle in cui è difficile avere successo, ma è facile morire. Il governatore preferisce non mettere a repentaglio la vita dei suoi soldati, che sono necessari per difendere la città e i confini, e ha deciso di rivolgersi ai guerrieri liberi. Se molti di loro moriranno, non sarà una perdita per nessuno. Per qualcuno sarà solo un po’ di feccia in meno. Alcuni giorni fa Muzhrab ha parlato con un guerriero che non intendeva recarsi alla convocazione, perché sospettava che fosse solo una manovra per sbarazzarsi di un po’ di guerrieri liberi. A Muzhrab ha detto: “Ci considerano merda e vogliono gettarci nelle fogne.”

Muzhrab ha deciso di venire a Samar. Deve guadagnarsi da vivere, come tutti i guerrieri liberi che non sono di famiglia ricca. La sua famiglia in realtà è ricca, ma suo fratello ha fatto in modo di escluderlo dall’eredità. Muzhrab possiede solo un cavallo, la spada e le poche cose che porta con sé.

Dall’ingresso della fortezza Muzhrab passa in un primo cortile e poi, attraverso un passaggio coperto, in un secondo. Qui Muzhrab vede due botti piene di ciottoli bianchi e neri. Le guarda stupito, chiedendosi a che cosa possano servire. Vicino al muro del torrione vi sono numerose tavole con panche e sgabelli: probabilmente il governatore offrirà da mangiare e da bere a coloro che accetteranno la proposta o forse a tutti.

Il cortile si riempie. Ora ci sono un centinaio di uomini, che attendono. Il governatore si affaccia dal balcone.

- Guerrieri liberi dei sette regni, vi do il benvenuto a Samar.

Dopo alcune parole di ringraziamento, il governatore prosegue con il suo discorso:

- Ho chiamato i guerrieri, perché abbiamo bisogno di uomini coraggiosi. Vogliamo costruire una fortezza lungo la pista che conduce alle Terre Alte: molte carovane sono state attaccate da bande di briganti e pensiamo che sia bene stanziare una guarnigione al guado di Dubokvoda, per controllare tutta l’area. Ma edificare un forte richiede un lungo periodo di tempo e servono guerrieri senza paura, che proteggano i muratori al lavoro.

L’idea del governatore non stupisce nessuno. Samar è un avamposto e a occidente non esistono altre terre abitate da umani, anche se diversi mercanti si spingono molto oltre i confini: ci sono traffici commerciali importanti, perché dalle miniere dei nani nelle Terre Alte arrivano oro e pietre preziose, dalla foresta di Prasuma legni pregiati e dalle città degli Aldebri lungo il fiume manufatti d’oro e d’argento, molto richiesti nelle corti. Anche il sale viene dalle montagne e gli insediamenti dei figli di Lilith a nord del guado forniscono diversi prodotti agricoli e d’allevamento. Tutto questo commercio è fonte di ricchezza e va tutelato.

Muzhrab valuta la proposta, mentre il governatore prosegue il suo discorso. 

Accettare significa rimanere alle dipendenze del governatore per tutto il periodo che richiederà la costruzione della fortezza: una proposta interessante per chi non ha altri mezzi di sussistenza, perché garantisce una paga per parecchio tempo. Questo servizio prolungato probabilmente sarà meno gradito agli spiriti liberi, ma chi deve guadagnarsi da vivere ha poca libertà di scelta.

Il lavoro presenta grandi rischi: le terre oltre il confine sono popolate da diverse stirpi, alcune fortemente ostili agli umani, e vi trovano rifugio molti banditi, umani e non. Molti non gradiranno la costruzione di un avamposto degli umani in un territorio dove i Figli di Eva non hanno mai avuto insediamenti stabili. Anche la presenza di un alto numero di guerrieri creerà non pochi problemi: molti di loro sono rissosi e insofferenti a ogni disciplina. Non è detto che le minacce esterne siano sufficienti a renderli più disciplinati.

I pericoli non spaventano Muzhrab; lo frena piuttosto l’idea di trovarsi fianco a fianco per un lungo periodo con uomini che non sempre hanno la capacità di controllarsi e di cui ha poca stima.

Il governatore parla della rigida disciplina che sarà imposta nel cantiere e del potere assoluto del suo rappresentante, Dvoboposte, un ufficiale. Muzhrab si chiede se si tratta di quello che ha visto alla porta: gli è sembrato un uomo molto deciso e capace, anche se gli ha parlato solo pochi minuti. E il fatto che i guerrieri venuti per ascoltare l’offerta del governatore dovessero passare da lui, potrebbe confermare il sospetto di Muzhrab: ha parlato con tutti e si è fatto un’idea di loro, magari ha anche deciso chi non prendere.

Il governatore sta finendo:

- Coloro che intendono rimanere al mio servizio per il tempo necessario alla costruzione della fortezza, prenderanno un ciottolo bianco dalle botti all’ingresso, gli altri un ciottolo nero. Uscirete uno per volta e consegnerete il ciottolo che avete preso a Dvoboposte, che vi attende. Egli consegnerà a tutti voi una moneta d’argento e selezionerà coloro che hanno accettato, dando tutte le istruzioni.

È sensato che tutti passino dall’ufficiale, che con ogni probabilità farà una selezione degli uomini o almeno dei compiti che assegnerà loro. Invece a Muzhrab l’idea dei ciottoli sembra una complicazione inutile: basterebbe che chi vuole prestare servizio si rivolgesse direttamente all’ufficiale.

Infine la conclusione del discorso:

- Ma prima che decidiate, invito tutti, coloro che passeranno al mio servizio e coloro che se ne andranno, al banchetto in vostro onore.

Dalle porte al fondo del cortile escono diversi uomini, con piatti e boccali. C’è un vociare confuso e molti si dirigono immediatamente ai tavoli.

Qualcuno invece passa prima dalle botti, per essere sicuro di prendere un ciottolo bianco: potrebbe essere in numero limitato.

Muzhrab si avvicina senza fretta ai tavoli. Guarda quelli che saranno i suoi compagni per diversi mesi, se accetterà l’incarico.

Intorno alle mense si intrecciano dialoghi. C’è chi sottovaluta i pericoli, chi invece li esagera, forse perché si diverte a spaventare gli altri.

- Se ci beccano i giganti di Orijaski… Sapete che cosa fanno ai prigionieri, no?

L’uomo ride, poi addenta una coscia di pollo.

- Che cosa fanno?

Un altro interviene: ha già sentito la storia e non ha voglia di risentirla. Non sa se è vera, ma gli fa accapponare la pelle.

- Non gli dare retta.

L’uomo ride di nuovo, mentre pezzettini di carne gli escono dalla bocca.

- Te lo dico io che cosa fanno: inculano i prigionieri. Hai presente i giganti di Orijaski? Sono alti tre volte un uomo e hanno un cazzo… è lungo più di un braccio e quando è duro… come larghezza è come un tronco d’albero, una quercia. Sai come deve essere prendersi in culo un tronco di quercia?

Qualcuno ride, qualcuno invece sembra incerto.

- Non ci sono giganti in quell’area, stanno più a nord.

- Stanno più a nord e si spostano. Non ci mettono molto a spostarsi. E se non gli piace l’idea che qualcuno costruisca la fortezza… verranno a trovarci.

- Se verranno a trovarci, sappiamo come accoglierli. Io ho ucciso un gigante, nelle Terre Alte.

- Tu? Non raccontare storie…

- Non è una storia… L’ho fatto davvero. Accompagnavo un gruppo di mercanti…

Muzhrab non partecipa alla conversazione, non ascolta neppure le storie che vengono narrate. Mangia volentieri e beve, senza esagerare, anche se il sidro viene servito in abbondanza. Poi si alza. Alcuni se ne sono già andati, ma molti sono ancora intorno alla tavola, a mangiare, bere e vantarsi. Qualcuno è chiaramente ubriaco. Forse è anche questa una prova: chi uscirà barcollando, con ogni probabilità non sarà preso.

Raggiunge le botti. Prende un ciottolo bianco. Due soldati all’ingresso del corridoio gli dicono di attendere un momento, poi, al suono di una campanella, gli fanno cenno di entrare.

Percorre la prima parte del corridoio, svolta e si ferma davanti all’ufficiale. È lo stesso che era alla porta, come aveva sospettato. Starà volentieri ai suoi ordini. D’istinto ha fiducia in lui.

Muzhrab prende dalla tasca il ciottolo e glielo porge. Mentre sta per darglielo, si rende conto che non è bianco, ma rosso: non è più un ciottolo, sembra un rubino, che diffonde tutt’intorno un’intensa luce rossastra, quasi fosse un lume. Stupefatto piega il braccio e lo guarda, senza capire, le dita ancora contratte intorno alla pietra. La luce è diventata tanto forte che attraverso la pelle può vedere il profilo scuro delle ossa delle dita.

Dvoboposte non sembra stupito. Annuisce.

- Così sei tu.

Poi aggiunge, indicandogli una porta alle sue spalle:

- Passa di lì e sali al primo piano. Ti spiegheranno.

Tira con energia una cordicella, che probabilmente aziona una campana al piano superiore: se ne sente lontano il suono.

Muzhrab apre la bocca per chiedere, ma l’uomo ha detto quanto doveva dire. Non sarà lui a spiegargli. Si rimette la pietra in tasca e passa per la porta. L’uomo fa suonare la campanella esterna, per far passare il guerriero successivo.

Al primo piano c’è un’altra porta. La spinge ed entra in una saletta, dove un uomo e una donna sono in piedi ed evidentemente lo attendono. È la donna ad attirare l’attenzione di Muzhrab. Non saprebbe dire l’età: il viso non ha tratti giovanili, ma non ci sono rughe. La pelle ha una sfumatura azzurrina e gli occhi sono di un blu intenso. Anche i capelli e le ciglia sono blu. Potrebbe appartenere a uno degli altri otto popoli che hanno caratteristiche simili agli umani e che si trovano in molte parti del mondo, ad esempio al Popolo degli Abissi, i Figli di Sarasvati, creature di cui Muzhrab ha sentito parlare, ma che non ha mai visto: il mare è molto lontano dalle Terre Occidentali.

Muzhrab dà appena un’occhiata all’uomo, che è un po’ indietro rispetto alla donna. È molto basso, tanto che potrebbe essere l’incrocio tra un umano e un nano. Non sono frequenti casi di mescolanza tra diverse popolazioni, ma talvolta si verificano. Forse anche la donna è un incrocio. Dicono che coloro che nascono dalla mescolanza di popoli diversi hanno spesso poteri e conoscenze superiori. 

È la donna a rivolgersi a lui. Non sorride. Lo guarda fisso, seria.

- Il tuo nome, guerriero.

Il tono, per quanto cortese, è quello di chi è abituato a comandare e a essere ubbidito.

- Muzhrab, di Gornigrad.

- Fammi vedere la pietra.

Muzhrab mette la mano in tasca ed estrae la pietra, la cui luce sembra illuminare tutta la stanza. La donna la guarda, intenta.

- Siediti, Muzhrab, e mettila via. Ti spiegherò.

Muzhrab si siede, imitato dalla donna. Anche l’uomo si siede, di lato, un po’ indietro.

- Come ha detto il governatore, gli uomini qui hanno l’intenzione di costruire una fortezza al guado di Dubokvoda. Un’idea accarezzata da tempo, che hanno deciso di realizzare ora, approfittando di un periodo di pace. Circa una settimana fa, la situazione è mutata di colpo. Ora non è il momento di inviare al guado degli uomini che rischiano di essere sterminati, ma la convocazione dei guerrieri liberi non è stata revocata, perché era l’unico modo per riunirne tanti e trovare colui che cerchiamo, un figlio di Adamo, della stirpe dei guerrieri.

La donna non l’ha detto, ma a Muzhrab è evidente che l’uomo di cui parla è lui stesso.

- Questo guerriero libero è l’unico che potrebbe compiere un’impresa, da cui dipende la pace di queste terre e la vita di moltissimi esseri, di stirpi diverse. Noi non sapevamo chi fosse e non avevamo nessun indizio. Non potevamo andare in giro a cercare tra tutti i guerrieri quello nel cui destino era scritta questa possibilità, perché sarebbe stato lungo e difficile, mentre noi abbiamo poco tempo a disposizione. E comunque se lo avessimo cercato, forze oscure avrebbero tentato di ostacolarci. La convocazione dei guerrieri ci ha permesso di riunirne molti e siamo riusciti a trovare chi cercavamo: tu, come hai capito.

Muzhrab annuisce. La trasformazione del ciottolo non lascia spazio a dubbi.

- Dimmi quale missione mi volete affidare.

- Prima devo dirti una cosa. Negli Antichi Libri è scritto che chi compirà questa impresa andrà incontro al dolore e alla morte. Tu sai che è difficile comprendere l’esatto significato delle profezie: non posso dirti se la morte è il tuo destino o se riuscirai a scampare. Ma non voglio nasconderti niente: accettare la missione può significare la morte.

- Sono un guerriero e la morte è sempre al mio fianco.

La donna lo guarda negli occhi e Muzhrab ha l’impressione che il suo sguardo gli entri dentro, indaghi dentro di lui, valuti la sua forza, le sue debolezze, i suoi sogni, la sua amarezza. Gli sembra di essere nudo davanti a lei.

La donna annuisce, poi parla.

- Una grave minaccia incombe sulle terre dell’Occidente, come le chiamate voi umani. Il pericolo di una guerra che provocherà morti e devastazioni.

Muzhrab registra che la donna ha parlato di “voi umani”: evidentemente non appartiene alla stirpe dei Figli di Eva.

- L’erede al trono del regno degli Aldebri è scomparso mentre cacciava nella Foresta Purpurea. Gli uomini della scorta sono stati uccisi e il principe rapito. Le armi usate e diversi altri indizi fanno pensare che i rapitori siano umani, ma sono stati aiutati da altri esseri, forse dei Figli di Lilith: difficilmente gli umani da soli avrebbero potuto impadronirsi di lui.

Muzhrab sa che gli Aldebri hanno poteri particolari, che non conosce: forse ad essi si riferisce la donna quando dice che gli umani senza un aiuto non avrebbero potuto catturare il principe. Se dovrà avere a che fare con gli Aldebri, dovrà saperne di più. Anche del Popolo della Notte, come vengono comunemente chiamati i Figli di Lilith, sa molto poco. Non ha mai combattuto contro forze oscure, non è mai entrato in contatto con altre stirpi. Chiederà spiegazioni, ma solo dopo aver sentito tutto quanto la donna ha da dire.

- Gli Aldebri hanno cercato il principe, che è sicuramente ancora vivo: la sua forza vitale è intatta. Sappiamo che si trova nella Foresta Purpurea, ma non possiamo sapere dove, perché forze oscure tengono lontani gli Aldebri, che a loro volta non permettono a nessun umano di avvicinarsi. Minacciano di attaccare Samar e poi i regni, se il principe non sarà liberato. Abbiamo consultato gli Antichi Libri e abbiamo visto che quanto è successo era previsto e che se il principe non verrà liberato, ci sarà un lungo periodo di guerre e devastazioni. Siamo riusciti a convincere gli Aldebri a darci una luna di tempo. E ci siamo messi alla ricerca del guerriero che secondo i libri può liberare il principe e salvare la pace. Questo è il compito che dovrai svolgere, prima della prossima luna piena. Ti è chiaro?

- Sì, mi è tutto chiaro. Ti chiederò alcuni dettagli, perché non conosco né gli Aldebri, né i Figli di Lilith, ma prima dimmi quello che hai in mente.

- Non c’è molto da aggiungere, prima di vedere in concreto come ti puoi muovere. Un’unica cosa importante: so che c’è un’altra Forza coinvolta e riceverai un aiuto. Chi ti aiuterà affronterà la morte, ma anche in questo caso non so se è solo un rischio o se davvero la sua vita si spegnerà. E non posso dirti da chi riceverai aiuto. So che è qui, a Samar, lo sento, ma non sono in grado di dirti chi è, che aspetto ha, a che stirpe appartiene. È una forza antica, che sfugge alle mie conoscenze. Ma questa forza sa. 

Muzhrab annuisce. Un alleato che non conosce e che non saprebbe come trovare.

- Va bene.

- Adesso veniamo a come muoverti. Non puoi partire con gli altri guerrieri, perché di sicuro le Forze Oscure terranno sotto controllo tutti coloro che partiranno per costruire la fortezza. E non è neanche bene che tu vada da solo, perché anche questo desterebbe sospetti. Metterai in giro la voce che cerchi un ingaggio e qualcuno ti assolderà per avere protezione durante la traversata fino al guado: quando incominceranno i lavori, molti mercanti si dirigeranno verso Dubokvoda, per fornire ai guerrieri e ai muratori ciò che richiedono. Al guado ti congederanno, perché la presenza di molti guerrieri adesso rende l’area sicura: nessuno sa della minaccia degli Aldebri. Se il principe non verrà liberato, alla prossima luna piena tutti gli uomini torneranno a Samar, ma questo non eviterà la guerra.

Muzhrab annuisce. Grandi assembramenti di uomini attirano sempre artigiani e mercanti di tutti i tipi. Ci sarà certamente un rigido controllo, ma è interesse che ci siano fabbri e falegnami, taverne e postriboli.

La donna prosegue:

- Dopo aver accompagnato chi ti avrà assoldato, ritornerai verso Samar, ma lascerai la pista alle rovine della Torre del Corvo e ti dirigerai verso Sud. Gli Aldebri ti permetteranno di passare. Quando sarai nella parte della Foresta Purpurea dove il principe si trova prigioniero, dovrai cercarlo e liberarlo.

- Credo di aver compreso. Io però non conosco gli Aldebri e poco so del Popolo della Notte. Posso avere informazioni su di loro? Come riconoscerò il principe, se lo trovo?

- Gli Aldebri sono i Figli di Ma. Sono una delle nove stirpi, per cui hanno forma simile a quella di voi umani. Sentono le presenze ostili e si allontanano rapidamente: sono molto più veloci di voi. I membri della famiglia reale hanno una corona di luce intorno alla testa, che si spegne solo con la loro morte. La pietra che porti con te, Dobarvrac ti dirà tra poco come, ti permetterà di sentire a distanza la loro presenza, come loro sentono quella degli umani, e questo potrà aiutarti a trovare il principe.

Dobarvrac dev’essere l’uomo piccolo di statura, che finora non ha aperto bocca.

La donna conclude:

- C’è altro che vuoi sapere?

Le cose che Muzhrab vorrebbe sapere sono tante, ma dovrà scoprirle da solo.

- No, per il momento no.

- Allora ti lascio. Dobarvrac ti dirà le ultime cose. Buona fortuna, guerriero.

- Grazie.

La donna si volta, senza un apparente movimento dei piedi, come se fosse su un piedestallo che gira su se stesso. Poi si dirige a una porta all’estremità della stanza opposta a quella da cui è entrato Muzhrab. Pare che muovendosi scivoli sul pavimento, senza muovere le gambe.

Quando è uscita, l’uomo parla. Ha una voce molto profonda.

- Guerriero, la pietra che ti è stata data ti servirà per compiere la tua missione. Come ti è stato detto, potrai avvertire la presenza degli Aldebri.

- Perciò dovrò portarla sempre con me.

Dobarvrac sorride.

- Non con te. Dentro di te.

- Che cosa intendi?

- Quella pietra ha un valore inestimabile e qualcuno potrebbe cercare di rubartela. Guai se finisse nelle mani sbagliate. Non puoi tenerla in una sacca, in tasca o alla cintura.

- E allora? Dovrei ingoiarla?

Dobarvrac scuote la testa.

- No, guerriero. Non andrebbe bene. Potresti… No, te la metterò nel petto.

- Nel petto? Che cosa intendi?

- Inciderò il tuo petto e vi inserirò la pietra. Chiuderò la ferita, così nessuno potrà vederla e nessuno sospetterà l’esistenza di questo rubino.

Muzhrab è perplesso. Dobarvrac riprende:

- Non sarà molto doloroso, ma è necessario. Se quella pietra finisse in mani sbagliate… sarebbe terribile. Così riduciamo i rischi.

- Va bene… ma… avere la pietra nel petto… che cambiamenti porterà?

- Nessuno rispetto a portartela appresso. Semplicemente non potrà esserti sottratta.

- Va bene.

- Allora scopri il petto e stenditi a terra.

Muzhrab esegue. Gli sembra che tutto sia assurdo. Prende la pietra e la porge all’uomo, che però scuote la testa.

- Nessun altro la può toccare, Muzhrab. Tienila in mano.

L’uomo ha preso una sacca e ne estrae una piccola lama e un flacone. Appoggia la punta della lama sul petto di Muzhrab, subito sotto lo sterno, e incide. Il dolore non è molto forte. Dobarvrac prende la mano di Muzhrab e la guida fino alla ferita.

- Premi.

Il guerriero esegue e la pietra si inserisce nella ferita. L’uomo versa un po’ del liquido della boccetta sul taglio, poi asciuga con uno straccio.

- Ora puoi alzarti.

Muzhrab si alza. Si guarda il petto cercando la ferita, ma non ce n’è nessuna traccia. Come è successo con l’oste.

- Buona fortuna, guerriero. Ricordati: prima del prossimo plenilunio devi portare a termine la tua missione.

Muzhrab annuisce.

- Ora attendi un momento. Devo farti parlare con Dvoboposte.

L’uomo tira una corda.

- Io esco. Aspetta il suo arrivo.

Dopo un momento nella stanza entra l’ufficiale.

- Muzhrab, se riuscirai a compiere la missione o se rinuncerai per un qualsiasi motivo, fa’ il possibile per venire al guado ad avvisarmi. È necessario perché io sappia se devo prepararmi alla guerra, rientrare a Samar o invece proseguire in pace i lavori.

- Lo farò.

- Adesso ti faccio uscire, ma non dal corridoio: qualcuno potrebbe chiedersi perché esci dopo altri che sono entrati dopo di te.

Dvoboposte lo accompagna lungo un corridoio e poi gli indica una scala che scende.

- La porta che troverai al fondo si apre su un piccolo cortile. Sul lato opposto un’altra porta ti farà passare nel cortile principale.

Muzhrab segue il percorso indicato e poi esce dalla fortezza. Alcuni guerrieri stanno parlando vicino alla porta. Uno di loro, che lo conosce, lo chiama.

- Muzhrab, sei anche tu dei nostri, no?

Muzhrab lo guarda. Non ama fingere, ma è necessario.

- No.

- Non ti piaceva l’idea?

- In realtà avevo preso il ciottolo bianco, ma l’ufficiale mi ha rifiutato.

Muzhrab preferisce non dire di aver preso un ciottolo nero, perché qualcuno potrebbe averlo visto mentre sceglieva e per non destare sospetti deve fornire una spiegazione plausibile.

L’uomo appare stupito.

- È successo a diversi, ma…

L’uomo si morde un labbro e non completa la frase. Chiede, invece:

- Perché ti ha rifiutato?

- Non lo so. Mi ha detto che non mi avrebbe preso.

- Non capisco. Quelli a cui è successo, quelli che conosco, almeno… insomma, diversi non li avrei presi neanch’io, se devo essere sincero. Ma tu… sei uno su cui si può contare. È davvero strano. Mi spiace.

Muzhrab alza le spalle.

- Non so che dirti. Devo trovare qualcuno che mi ingaggia. Ho appena di che pagare la locanda. E la moneta che ci ha dato il governatore non basta certo a cambiare la situazione. Contavo su questo incarico.

- Qui a Samar trovi. I mercanti che si addentrano nelle terre oltre il confine cercano spesso guerrieri per proteggerli. E adesso che molti di noi sono stati ingaggiati, troverai senz’altro.

- Lo spero anch’io. Buona fortuna, amici. Mi spiace non essere dei vostri.

- È davvero un peccato. Non so proprio perché non ti abbiano preso.

 

Tornato alla locanda, Muzhrab informa Redwin che cerca un ingaggio: se qualcuno ha bisogno di un guerriero, è facile che il locandiere venga a saperlo. Più tardi passa anche nelle altre locande a chiedere.

Nei giorni seguenti le locande si svuotano: i guerrieri partono, in tre scaglioni che si dirigono verso il guado. Devono attraversare terre selvagge, ma sono gruppi numerosi e ben armati. I primi gruppi di mercanti che intendono raggiungere Dubokvoda si uniscono a loro: in questi accampamenti si fanno sempre buoni affari. E naturalmente ci sono cuochi, servitori, lavandai, prostituti di ambo i sessi e tante altre persone.

Coloro che devono attraversare la foresta per i loro affari si accodano a questi grandi gruppi, che garantiscono protezione. Per il momento nessuno sembra aver bisogno di un guerriero libero.

Muzhrab è preoccupato: tra poco sarà la notte nera, della luna nuova e rimarranno solo due settimane. A tratti si chiede se non mettersi in cammino da solo, ma gli è stato detto di non farlo.

Muzhrab non ha impegni. Ogni giorno fa un giro a cavallo fuori dalla città. Samar è situata su uno sperone roccioso al limite dell’altopiano, che scende a strapiombo fino alla pianura sottostante. Muzhrab si spinge volentieri fino al baratro, in cui il fiume che scorre ai piedi della città precipita, formando una cascata altissima: la chiamano il Grande Salto. C’è un fragore di tuono e in basso, molto lontano, si sollevano grandi nuvole di vapore. Il fiume forma un lago ai piedi dell’altopiano e poi scorre verso ovest, con un’ampia curva, fino a raggiungere la Grande Corrente, il principale fiume delle terre occidentali, quello che è possibile attraversare solo su imbarcazioni o al guado di Dubokvoda. Lungo il fiume, a sud del guado, ci sono le città degli Aldebri, dove nessun uomo è mai entrato: i mercanti devono fermarsi alla fortezza al confine settentrionale delle loro terre.

La pianura è coperta da una fitta foresta, molto ampia: ci vogliono quattro giorni per attraversarla, seguendo la via più breve. La chiamano la Foresta Purpurea, perché vi sono molti alberi grimiz, le cui foglie sono di un verde screziato di rosso e in autunno diventano color porpora. La Foresta Purpurea non è densa come il Bosco Oscuro o la Foresta di Prasuma, posti entrambi più a sud, ed è attraversata da una pista che permette il passaggio di carri. Dicono che sia popolata da molte creature strane, alcune delle quali possono essere pericolose. Ma questo vale anche per il bosco che copre l’altopiano: siamo lontani dalle terre densamente abitate dagli uomini, dove di rado si spingono le creature dei boschi occidentali.

Oltre la pianura si vedono in lontananza le montagne. A nord abitano i giganti di Orijaski, di cui si narrano storie terribili. Un po’ ovunque i nani, che trascorrono gran parte del tempo nelle miniere sotterranee. Muzhrab non conosce queste terre e le loro creature.

 

Girando per la città, Muzhrab vede ogni tanto l’uomo che il primo giorno sembrava fissarlo, ma che ora lo ignora completamente quando si incrociano. Sarà anche lui un guerriero? Muzhrab non l’ha visto nel cortile della fortezza, ma erano in tanti, potrebbe essergli sfuggito. Forse è al servizio del governatore, anche se lo si vede sempre girare da solo, come se non avesse niente da fare. In ogni caso non è partito per il guado. Muzhrab si rende conto che quest’uomo molto massiccio lo incuriosisce, ma lo sconosciuto non sembra prestargli la minima attenzione.

Muzhrab rimane nella locanda dell’Orso. Due giorni dopo la riunione nella fortezza, l’ultimo dei due guerrieri che condividevano con lui il letto parte e Muzhrab rimane da solo nella camera. Non gli dispiace, per niente.

Il pomeriggio seguente, Redwin entra mentre Muzhrab è disteso: nella stanza non ci sono sedie e si può rimanere solo in piedi o sul letto. Muzhrab non ha voglia di passare tutta la giornata nella sala al piano terra, davanti a un boccale, o andando in giro, per cui sia il mattino, sia il pomeriggio, trascorre qualche ora in camera. Pensa alla missione che gli è stata affidata, alla morte che forse lo attende, all’antica profezia che lo riguarda.

Redwin non ha bussato. Guarda il guerriero disteso a torso nudo sul letto e chiede:

- Hai bisogno di niente, guerriero?

Il sorriso del locandiere è abbastanza eloquente. Muzhrab sorride anche lui, ironico.

- Ma, non saprei, di che cosa potrei aver bisogno?

- Che so, di un lenzuolo pulito, di una bocca calda, di uno spuntino pomeridiano, di un culo accogliente… dimmi tu.

Muzhrab scuote la testa. La tranquilla sfacciataggine di Redwin lo fa sorridere. Il locandiere gli piace parecchio: vive la sua vita senza preoccuparsi di quello che gli altri possono pensare. Muzhrab si dice che presto partirà per un’avventura da cui probabilmente non farà ritorno. Può ancora godere. Potrebbe essere l’ultima volta.

- Direi che in effetti alcune di queste cose potrebbero servire. Come hai detto… un culo caldo?

- Era la bocca, ma anche il culo è caldo.

- Verifichiamo.

Muzhrab rimane disteso. Redwin chiude la porta e si spoglia rapidamente. Muzhrab lo guarda. Con tutto quel pelo rosso sembra quasi un animale, un orso. Redwin sale sul letto, mettendosi in ginocchio e gli cala i pantaloni. Il cazzo è ancora a riposo, ma il locandiere allarga un po’ le gambe del guerriero, si infila in mezzo e si china in avanti.

- Aspetta, è meglio che prima pisci.

- Certo! Pronto.

La bocca di Redwin avvolge il cazzo di Muzhrab, che lo guarda perplesso. Non ha mai pisciato in bocca a un uomo. Il locandiere fa un cenno di incoraggiamento. Muzhrab ride e incomincia a pisciare. Redwin beve e dall’espressione del suo viso sembra che gli piaccia molto.

Muzhrab scuote la testa.

- Sei proprio…

Preferisce non completare la frase: non vuole offendere quest’uomo che gli regala piacere e che gli sta simpatico. Ma Redwin lascia andare il cazzo e dice:

- Una troia, lo so. E sono sempre felice di trovare un buon porco.

Muzhrab ride di nuovo.

Redwin incomincia a passare la lingua sul cazzo e poi sui coglioni, mentre le sue mani accarezzano il corpo del guerriero. Ci sa davvero fare e il cazzo di Muzhrab acquista rapidamente volume e consistenza, drizzandosi. Quando l’arma è bella tesa, Redwin si volta, dando la schiena al guerriero. Si bagna due dita con un po’ di saliva e si inumidisce l’apertura tra le natiche, poi afferra con la mano il cazzo di Muzhrab e lentamente si impala. La sensazione di questo culo caldo che accoglie il suo cazzo è maledettamente piacevole e a Muzhrab sfugge un gemito. Anche per il locandiere dev’essere alquanto piacevole, perché mugola, mentre lentamente si alza e si abbassa. Muzhrab guarda il suo cazzo scomparire completamente, inghiottito dal culo, e poi emergere di nuovo.

Non ha mai scopato così. Come per molti guerrieri, il sesso ha sempre avuto poca importanza nella sua vita. Qualche rapporto occasionale con un uomo o, più di rado, una donna che gli si offriva, qualche rara visita a un bordello, ogni tanto una sega, quando qualche cosa destava il desiderio e non era possibile soddisfarlo in altro modo, talvolta un sogno in cui veniva.

Il pensiero di questi sogni è sempre stato un po’ disturbante per Muzhrab, perché compare regolarmente un uomo massiccio, che lo prende. Muzhrab non si è mai offerto a nessuno: come molti lo considera indegno di un guerriero, anche se alcuni dei suoi compagni non si pongono questi problemi. L’idea di venire mentre in sogno qualcuno lo fotte gli dà fastidio. E adesso che queste visioni notturne gli tornano in mente, si chiede se l’uomo del sogno non sia quello che ha incontrato più volte qui a Samar. È una domanda senza senso: non ha mai visto in viso l’uomo del sogno, perché adesso immagina che sia quello che incontra? Assurdo!

Scaccia l’idea e si concentra sul culo che inghiotte il suo cazzo e poi lo risputa fuori. Sono belle le sensazioni che gli trasmette questo culo accogliente, è bello guardarne il movimento, l’apparire e lo scomparire del cazzo teso.

Il movimento accresce la tensione, che infine esplode. Il seme si sparge abbondante nel culo del locandiere, che geme più forte, mentre con la mano si accarezza il cazzo, fino a venire.

- Grazie, Redwin.

- Grazie a te, Muzhrab. Posso tornare a trovarti?

- Certamente. Quando vuoi.

Una delle volte successive, Muzhrab si fa raccontare l’episodio dell’accoltellamento. Redwin gli dice che non sa spiegarselo. Gli fa vedere le cicatrici di alcune piccole ferite che si è fatto in passato e gli mostra il punto in cui è stato colpito, dove non è rimasta nessuna traccia. Non fa cenno a Bran, anche se è convinto che la spiegazione sia da ricercare in lui.

 

Bran è impaziente. Sa, con assoluta certezza, che Muzhrab è l’uomo per cui ha lasciato la sua casa. Ogni volta che lo incrocia sente qualche cosa scattare dentro di sé, ma finge indifferenza ed evita di incrociare il suo sguardo. In qualsiasi momento della giornata, potrebbe dire a che distanza si trova, solo in base al grado di tensione che avverte. E dopo la convocazione alla fortezza, ha avvertito un cambiamento. Il guerriero è entrato in contatto con qualche forza che lo ha mutato.

Bran non può lasciare Samar finché Muzhrab non se ne andrà, ma stare in città gli pesa. Non ha niente da fare, non ha amici e gli sembra di sprecare il suo tempo. Per fortuna il mattino Muzhrab fa un giro a cavallo, per cui anche Bran può lasciare la città dove si sente allo stretto, e cavalcare per la foresta, evitando di avvicinarsi al guerriero, perché non si accorga di lui, e di allontanarsi troppo. Il poter sentire a che distanza si trova senza bisogno di vederlo è un grande vantaggio: Muzhrab non si accorge che durante i suoi giri a cavallo Bran non è mai lontano.

Bran non sa che cosa dovrà fare, ma a questo è abituato: fa parte del suo ruolo, che ha accettato con tutti i vantaggi e gli svantaggi che comporta. Gli uni e gli altri non sono trascurabili. In questo periodo Bran pensa spesso che gli aspetti negativi siano più forti di quelli positivi, ma si rende conto che è il risultato delle sue ultime esperienze. La sofferenza che porta dentro lo ha reso più scontroso e pessimista.

 

È una settimana che Muzhrab è a Samar quando un pomeriggio, al suo rientro nella locanda, Redwin gli dice:

- È passato il capo di un gruppo di mercanti che va oltre il confine. Cercano un guerriero che li accompagni fino al guado. Qualcuno gli ha detto che ne potevano trovare uno qui.

- Bene. Ti ha detto dove lo posso incontrare?

- Ripassa lui. Gli ho detto di venire questa sera, dopo cena. Però, Muzhrab, posso dirti che quel tipo non mi piace?

- Perché?

- Non so, non so che dirti. Mi sembra un individuo losco… è solo un’impressione, però non mi va proprio.

Muzhrab alza le spalle. L’importante è partire con un gruppo, senza dare nell’occhio. Se vanno fino al guado, è esattamente quello di cui ha bisogno, poi tornerà indietro e lungo la strada del ritorno lascerà la pista e cercherà di compiere la sua missione.

- Ho bisogno di trovare un ingaggio, Redwin. Se devo accompagnarli fino al guado, non è un lungo viaggio. Pazienza se sono tipi loschi: è questione di alcuni giorni.

 

L’uomo arriva la sera. Redwin lo vede dalla finestra e dice a Muzhrab:

- Eccolo.

Quando l’uomo entra, Muzhrab lo guarda. Ha un viso largo, tondeggiante, con rughe profonde, ma non sembra anziano. Dev’essere sui quaranta, no, forse cinquanta. A una mano gli mancano tutte le dita, tranne il pollice. In effetti non ha una faccia che ispiri fiducia.

Redwin gli indica Muzhrab. L’uomo lo fissa con attenzione, poi si avvicina.

- Così tu sei Muzhrab. Mi ha detto l’oste che cerchi un ingaggio.

- Sì, ho bisogno di lavorare.

- Io sono Lazantrago e sono a capo di un piccolo gruppo di mercanti. Noi dobbiamo andare oltre il confine, fino al guado, dove stanno costruendo la fortezza, e abbiamo bisogno di un guerriero che ci scorti.

- Posso farlo. Quanto offrite?

- Tre monete d’argento. Per una settimana nella foresta.

- Una settimana? Non ho mai percorso la pista che attraversa la foresta, ma mi dicono che quattro giorni sono sufficienti.

Muzhrab non è entusiasta della proposta: perdendo un’altra settimana, il tempo per ritrovare il principe si restringe sempre di più. Ma che senso avrebbe rifiutare e rischiare di dover aspettare ancora più giorni?

- Noi avremo bisogno di fermarci alcune volte. Il tuo incarico durerà sette giorni, fino a che raggiungeremo il guado di Dubokvoda. Noi contiamo di fermarci per un po’ là: dove ci sono tanti uomini, ci sono buoni affari.

Muzhrab vorrebbe chiedere di quali affari si occupano questi mercanti, ma la sua curiosità potrebbe risultare sgradita. Gli interessa partire e questo è il modo migliore, senza dare nell’occhio.

- Tre monete d’argento… non è una grande offerta, per sette giorni. Andrebbero bene se non dovessimo fermarci.

Muzhrab non è certo interessato al denaro, ma deve contrattare un po’ perché nessuno sospetti.

- Senti, se vuoi te ne posso dare quattro, ma non una di più. Se non ti va bene, cerco qualcun altro.

Muzhrab storce la bocca, come se la proposta non gli andasse a genio.

- E va bene, pazienza.

- Partiamo domani mattina all’alba. Ci troviamo alla porta.

- D’accordo.

 

L’indomani mattina Muzhrab raccoglie le sue cose, sale a cavallo e raggiunge la porta, prima che venga aperta. Il mercante è già pronto. Lo accompagnano una dozzina di uomini. Muzhrab li guarda rapidamente. Pendagli da forca, pensa, come il loro capo. I mercanti non sembrano trasportare molte merci. Ci sono due carri, uno vuoto e uno pieno di pali ed assi di legno. È alquanto strano, perché di certo nessuno compra legno ai margini delle grandi foreste che si estendono a occidente.

La piccola carovana lascia Samar non appena vengono aperte le porte della città e si dirige verso occidente.

La pista che scende dall’altopiano fino alla pianura sottostante si snoda a zig zag lungo il fianco della montagna. È piuttosto ampia e con un buon fondo pietroso. Qualcuno dice che fu costruita dai giganti di Orijaski, costretti da una potente maga: molti lo ritengono impossibile, perché quei colossi sono feroci e indomabili, ma esistono poteri in grado di spegnere ogni resistenza e piegare ogni volontà.

La discesa richiede due ore. Al termine la pista sfiora l’estremità settentrionale del lago formato dal Fiume Purpureo ai piedi del Grande Salto e si inoltra nella Foresta Purpurea, che attraversa fino al guado di Dubokvoda. Procedono spediti tutto il primo giorno: la pista è ampia e facilmente percorribile anche con i carri.

Muzhrab intende svolgere il suo compito con cura, perché è un uomo leale. Cavalca in testa alla comitiva, accanto a Lazantrago, che stabilisce la velocità e decide le soste. Il bosco è abbastanza fitto, ma non si avverte nessuna presenza minacciosa. Ci sono certamente molti animali: si sentono gli uccelli cantare e a tratti si intravede un capriolo fuggire via o si vede volare una gazza o un passero. A tratti Muzhrab ha l’impressione di vedere qualche strana creatura, che però si sottrae subito alla vista.

Si fermano la sera. Come hanno stabilito, Muzhrab si mette a dormire in disparte e viene svegliato verso mezzanotte. Il cuoco gli ha messo da parte la cena e qualche cosa per uno spuntino prima dell’alba, che sarà la sua colazione. Muzhrab consuma la cena e rimane di guardia fino alle prime luci del giorno, quando sveglia uno degli uomini e riposa ancora un’oretta.

La notte la foresta sembra animarsi di strane presenze. Più volte Muzhrab ha l’impressione che qualcuno li sta spiando. Ma la luna è quasi invisibile e alla luce delle stelle è difficile vedere ciò che si muove tra gli alberi. Probabilmente ci sono i Lesij, creature dei boschi che assumono spesso la forma di un uomo tagliato a metà in verticale, con un braccio e una gamba, ma tutta la testa. Vigilano sempre sul bosco e spaventano i taglialegna, ma difficilmente qualcuno degli umani scende a procurarsi legna qui: ci sono le foreste sull’altopiano, intorno a Samar, e i legni più pregiati arrivano dalla Foresta di Prasuma, più a sud.

 

Anche il secondo giorno avanzano senza fare nessuna sosta lunga. La sera sono ormai a metà strada e Muzhrab si chiede perché lo hanno assoldato per sette giorni, quando, proseguendo allo stesso ritmo di marcia, ne impiegheranno i quattro abituali. La risposta gli viene data da Lazantrago, mentre sono seduti intorno al fuoco, in una radura non lontano dalla pista.

- Noi ci fermiamo qui per due o tre giorni.

Muzhrab non capisce perché intendano fermarsi. Fissa Lazantrago, senza formulare la domanda. Sa che il mercante non è tenuto a dargli spiegazioni: è il capo e Muzhrab è al suo servizio. Una risposta alla domanda inespressa arriva, ma è molto generica:

- Abbiamo da fare. Durante il giorno tu rimarrai qui con Objekuhar, a sorvegliare l’accampamento.

Objekuhar fa da cuoco, con risultati alquanto mediocri, ma nessuno se ne preoccupa: sono uomini abituati a mangiare male e probabilmente anche a saltare i pasti.

- Va bene.

È ancora notte fonda quando Objekuhar prepara la colazione e gli uomini partono. Aggirarsi nel bosco la notte è un’imprudenza, ma evidentemente per ottenere ciò che vogliono devono muoversi nell’oscurità più profonda.

Muzhrab si è alzato con gli altri: deve sorvegliare l’accampamento.

Objekuhar lava sommariamente le scodelle.

- Spero che facciano buona caccia.

Muzhrab non vuole mostrarsi curioso, ma il cuoco sembra aver voglia di parlare.

- A caccia in una notte di luna nuova? Non riesci neanche a vedere dove metti i piedi.

- Le notti di luna nuova sono perfette, se sai come fare. E Lazantrago lo sa, te l’assicuro.

- Se lo dici tu che lo conosci, ti credo.

- Torneranno con un po’ di prede.

- Ottimo, potremo mangiare qualche cosa di fresco.

Muzhrab sospetta che gli uomini non siano andati a caccia di selvaggina da mangiare, ma si finge ingenuo, per vedere se riesce a sapere qualche cosa di più. La risata di Objekuhar gli conferma che la caccia ha altri obiettivi.

- Non mangeremo certo quello che catturano. Lazantrago ti pela vivo, se glielo proponi. Le prede le porteremo al guado. Qualcuna la venderemo là, qualcuna la utilizzeremo in altro modo, per racimolare un po’ di soldi.

Muzhrab annuisce. Spera di ottenere ancora alcune informazioni, ma il cuoco non pare intenzionato a dire altro. Non è un problema: quando i cacciatori torneranno con le prede, Muzhrab scoprirà di che cosa si tratta.

Objekuhar finisce di sistemare, poi si rimette a dormire. Muzhrab vigila sull’accampamento, muovendosi ai margini della radura. Tutto è tranquillo e sembrano esserci meno presenze del solito.

Infine il cielo si schiarisce a oriente e il sole sorge. Il cuoco continua a dormire. Si sveglia solo tardi. Guarda Muzhrab e sorride

- Finalmente una giornata tranquilla.

- Non è che il viaggio sia molto faticoso.

- Non ti pesa vegliare la notte?

- No, non è un problema. Sono abituato. E non mi sembra che qui ci siano grandi pericoli, anche se tutti dicono che la foresta è abitata da tante strane creature.

Objekuhar ride.

- Su questo non c’è dubbio. Almeno: lo spero.

Muzhrab non capisce, ma il cuoco non sembra intenzionato a spiegare. Cambia argomento.

- So che eri alla Locanda dell’Orso.

- Sì, è l’unica dove ho trovato posto quando sono arrivato a Samar. C’era la convocazione dei guerrieri liberi.

- Ma tu non sei partito con loro.

- Non mi hanno preso.

Il cuoco annuisce, poi dice:

- Alla locanda hai fatto conoscenza con il locandiere, vero?

Muzhrab comincia ad avere un’idea di dove vuole andare a parare Objekuhar.

- Certo. Ci sono rimasto una settimana.

- Lo conosco anch’io. Gli piace prenderselo in culo.

Muzhrab è un po’ irritato.

- E allora?

- Lo hai inculato, vero?

La risposta è secca:

- Non sono affari tuoi.

Il cuoco ride.

- Chiedevo per regolarmi.

- Per regolarti?

- Sì, hai un bel cazzo, l’ho visto ieri mentre pisciavi. E mi sono detto che magari oggi potevo gustarlo.

Objekuhar ride di nuovo e aggiunge:

- Perciò sono affari miei, no?

Muzhrab scuote la testa. Guarda il cuoco: un viso segnato da due cicatrici, una barba nera fitta e labbra spesse; un corpo piuttosto grosso, alquanto peloso, pancia sporgente. Un tipo di maschio che non gli spiacerebbe, anche se certo nessuno lo definirebbe bello. Non gli piace come persona, ma non è così importante: si tratta solo di una scopata.

- Allora, hai deciso se ti degni di mettermelo in culo? O devi ancora esaminarmi mezz’ora?

Muzhrab scuote la testa, sorridendo. Si rende conto che il suo modo di guardare il cuoco è stato poco cortese. Avrebbe fatto meglio a evitarlo, anche se Objekuhar non è certo il tipo da prendersela per questo.

- Per me va bene. Mettiamoci solo in un posto un po’ riparato. Non vorrei che tornassero gli altri o che passasse qualcuno. Un posto dove possa tenere d’occhio l’accampamento, ma dove non ci possano vedere.

La radura dove si sono fermati è a poca distanza dalla pista che attraversa la foresta

Il cuoco scuote la testa.

- Torneranno nel pomeriggio. Ma anche se tornassero prima, a nessuno gliene frega un cazzo, se stiamo scopando. Tutti noi ci facciamo i cazzi nostri.

Si mettono sul carro vuoto. Le sponde li nascondono e gli spazi tra un’asse e l’altra permettono di dare un’occhiata all’accampamento.

Il cuoco sale sul carro, si abbassa i pantaloni e si mette a quattro zampe. Muzhrab dà ancora un’occhiata intorno, poi sale anche lui. Guarda il culo di Objekuhar, coperto da una fitta peluria nera. Si sparge un po’ di saliva sulla mano e inumidisce l’apertura. Passando il dito si rende conto che non avrà difficoltà ad entrare: il cuoco deve essere abituato ad usare l’ingresso posteriore.

Muzhrab si cala i pantaloni, estrae il cazzo e preme la cappella contro l’apertura. Scivola dentro senza difficoltà e incomincia la sua cavalcata. Objekuhar emette alcuni versi, gemiti che si trasformano in grugniti, prima soffocati, poi forti. Muzhrab guarda attraverso le fessure che non ci sia nessuno. Va avanti a lungo a fottere questo culo caldo, mentre il cuoco grugnisce sempre più forte.

Objekuhar emette un grido e il seme sgorga abbondante. Allora Muzhrab accelera il ritmo e viene. Si ritrae, si pulisce alla bell’e meglio e si rassetta.

- Cazzo, guerriero! Sei un gran toro da monta. Lo facciamo ancora, tanto andranno a caccia anche domani e magari pure dopodomani.

Muzhrab annuisce. Non è che la scopata sia stata eccezionale, ma non gli dispiace ripetere l’esperienza.

Il cuoco prepara qualche cosa per sé e per Muzhrab, con più cura del solito: il risultato è discreto, evidentemente quello che gli manca di solito è la voglia, non le capacità. Poi prepara il solito pastone per gli altri.

- Quando torneranno saranno affamati.

Sono partiti nella notte: se rientreranno nel pomeriggio saranno davvero passate molte ore e senz’altro avranno parecchia fame, anche se magari si sono portati dietro due gallette o un po’ di carne secca.

 

 

Gli uomini arrivano nel primo pomeriggio. Portano con sé diverse creature del bosco: alcuni animali, ma soprattutto esseri incantati, legati con corde rossastre che Muzhrab non ha visto nei giorni precedenti: dovevano tenerle in un sacco. C’è un lesij: Muzhrab non ne ha mai visto uno e osserva stupito questa buffa creatura, alta come un nano, con un solo braccio, una gamba e una testa rotonda in cui spiccano due grandi occhi rotondi, spaventati, e grandi orecchie circolari. I Lesij possono cambiare forma. Come possono tenerlo prigioniero? La risposta è probabilmente nella corda rossa con cui lo hanno sospeso all’asta che uno degli uomini tiene sulla spalla: dev’essere un legaccio incantato. Ci sono due krilovil, creature femminili alte come ragazzine di dodici anni, ma con il corpo perfettamente formato: qualcuno potrebbe scambiarle per piccole donne, se non fosse per le ali trasparenti e le orecchie appuntite. Il loro sguardo può addormentare chi le fissa, per cui sono state bendate. C’è un giovane fauno, con i piedi caprini e due piccole corna. Ci sono altre quattro strane creature, che paiono incroci tra umani e animali, e alcuni animali, di specie che Muzhrab non conosce.

Lazantrago è soddisfatto. Ridendo, dice a Muzhrab:

- Dalle krilovil ricaveremo una bella somma a Dubokvoda. Sono molto richieste. E magari questa notte ne catturiamo qualcun’altra.

Le krilovil saranno certo vendute a uno dei bordelli per i guerrieri al guado. Lazantrago prosegue:

- E il fauno? Hai visto che culo che ha? Per quello ci pagano ancora di più delle krilovil.

Muzhrab è disgustato. Se non avesse una missione da compiere, lascerebbe questi cacciatori al loro schifoso mestiere e se ne andrebbe.

Lazantrago prosegue:

- Gli altri valgono di meno, ma faremo pagare i guerrieri per vederli. E la carne degli svinja è buona. Se ne cattureremo alcuni altri, domani, otterremo una bella somma. Magari uno ce lo mangiamo noi, per festeggiare, ma solo se anche la prossima caccia va bene.

Gli uomini scaricano dal carro pali e assi e incominciano a costruire gabbie. Il lavoro procede rapidamente: rientra evidentemente nelle loro attività abituali. Probabilmente vivono proprio di queste cacce.

Intorno a ogni gabbia è fissata una corda rossa: la magia che impedirà ai prigionieri di assumere altre forme e scappare.

Gli uomini si mettono a mangiare. Dopo pranzo diversi si stendono per dormire: si sono alzati nel cuore della notte e dovranno fare lo stesso anche oggi.

Lazantrago dice:

- Muzhrab, se vuoi puoi metterti a dormire anche tu. Adesso siamo tutti qui e ripartiremo per la caccia solo nella notte.

Dormire adesso non ha molto senso, se dovrà di nuovo mettersi a dormire tra poche ore per poi rimanere di guardia nella notte. E in ogni caso Muzhrab non ha voglia di rimanere all’accampamento.

- Non ho sonno. Magari mi faccio un giro.

Lazantrago annuisce.

- Come vuoi. Bada solo a non perderti: abbiamo bisogno di qualcuno che sorvegli l’accampamento mentre noi siamo a caccia.

Muzhrab annuisce e si allontana, senza replicare. Cammina un tratto lungo la pista, nella direzione che seguiranno quando riprenderanno il cammino, poi la lascia e segue una traccia nel bosco che sembra tornare indietro. Sa che è facile perdersi, per cui si dice che procederà solo fino a che il sentiero sarà ben visibile.

Mentre cammina pensa alle creature nelle gabbie. È infastidito. Non ha collaborato alla caccia, non ha svolto nessun ruolo in questo, ma l’idea delle krilovil e del fauno catturati per essere venduti a un bordello gli fa schifo. E lo infastidisce anche il pensiero degli altri, che saranno esibiti come in uno zoo, fino a che moriranno. Se non avesse una missione, forse nella notte libererebbe almeno le krilovil e il giovane fauno, ma gli è stato assegnato un compito troppo importante. 

 

Nei primi due giorni Bran si è sempre tenuto a una certa distanza dalla carovana. Oggi ha sentito che Muzhrab non stava procedendo lungo la strada e che si era fermato. Adesso sta di nuovo muovendosi, ma la distanza non varia in modo regolare: forse il guerriero sta andando a caccia o esplora il territorio o magari sta semplicemente facendo un giro. Ma c’è qualche cosa che disturba Bran. Sente che un pericolo si avvicina. Probabilmente dovrà entrare in azione presto. 

 

Muzhrab ritorna verso l’accampamento. È immerso nei suoi pensieri, ma quando si avvicina alla radura, lo colpisce il silenzio che regna: dormiranno tutti? Rallenta il passo e si guarda intorno. Non sembra esserci nessuno. Tra gli alberi intravede i cavalli con i loro carichi, ma non si sentono voci. Sguaina la spada e si muove con cautela. Quando è più vicino vede la testa di Lazantrago a terra, tra due alberi. Il mercante è stato decapitato. Un corpo senza vita è poco più in là. La carovana è stata attaccata.

Muzhrab avanza fino alla radura. A terra ci sono i corpi senza vita dei mercanti: li hanno massacrati tutti. Un uomo, armato di spada, è in piedi, all’estremità opposta della radura. Ha il viso coperto e sembra attenderlo. Muzhrab avanza verso di lui, la spada in mano.

Quando è giunto vicino allo sconosciuto, si ferma. Vuole chiedere all’uomo chi è e perché la carovana è stata attaccata, ma prima che possa aprire bocca, una freccia lo colpisce alla spalla sinistra. Muzhrab stringe i denti e con la mano afferra l’asta e la spezza. Poi avanza verso il guerriero che lo aspetta. Non è tempo di parole, questo. Bisogna combattere contro questo avversario sleale. Combattere e morire, perché anche se lo uccidesse, altre frecce arriverebbero.

- Vigliacco!

L’uomo non risponde. Indietreggia, ma quando Muzhrab si avventa su di lui, reagisce, parando abilmente i colpi: è un avversario forte. Più volte Muzhrab cerca di ferirlo, ma ogni volta l’uomo arretra o si abbassa, scansando i colpi che Muzhrab vibra con grande forza, malgrado la ferita alla spalla. A sua volta il guerriero avanza ed è Muzhrab a sottrarsi, guizzando all’indietro o di lato o parando gli attacchi con la spada. In uno di questi assalti che vanno a vuoto, il guerriero riesce a colpirlo con il gomito, costringendolo a scartare, ma Muzhrab reagisce e quasi lo raggiunge con un calcio. L’avversario arretra e in quel momento una seconda freccia raggiunge Muzhrab, colpendolo alla coscia destra. Approfittando del momento in cui Muzhrab si ferma, il viso contratto in uno spasimo di dolore, il guerriero lo colpisce con il braccio. Muzhrab è costretto ad arretrare e cade in ginocchio. Spezza il fusto anche della seconda freccia e si alza, appoggiandosi alla spada.

- Non hai onore, sei solo un infame.

Sa che è finita: si regge a fatica. Con uno sforzo di volontà si alza e solleva la spada, abbattendola sul suo avversario, che si sottrae con un balzo all’indietro. Muzhrab attacca ancora, ma il colpo va a vuoto e mentre abbassa la spada, il guerriero muove rapidamente la propria, ruotando su se stesso: la punta colpisce Muzhrab al ventre, sulla destra, descrive un arco nella carne e riesce a sinistra. Muzhrab barcolla. Il guerriero passa dietro di lui e lo colpisce dietro il ginocchio destro. Muzhrab crolla nuovamente in ginocchio, mentre dalla sua bocca il sangue sgorga. Solo appoggiandosi alla spada riesce a non cadere a terra, ma il mondo ondeggia paurosamente. Ha fallito, prima ancora di incominciare. Il mondo svanisce e Muzhrab cade al suolo e rimane disteso.

Il guerriero si avvicina al corpo. Immerge la spada nel cuore, ma non c’è nessuna reazione.

Il gruppo si allontana, lasciando i cadaveri al suolo.

 

*

 

Bran si muove in fretta. La tensione dentro di lui è esplosa di colpo: un pericolo mortale sovrasta il guerriero. Quando ormai sa di essere vicino, Bran ferma il cavallo e si avvicina con cautela. Vede l’accampamento distrutto e i cadaveri dei mercanti. Il corpo di Muzhrab giace a un estremo della radura. Bran si china su di lui, gli prende una mano. Il guerriero è oltre la prima soglia, ma è ancora molto lontano dalla seconda. Bene. Bran si guarda intorno. Non gli è difficile individuare il cavallo e la sacca di Muzhrab: il suo è il destriero di un guerriero, non quello di un mercante. Prende il corpo e lo sistema sulla sella, poi si mette la sacca a spalla. Si guarda ancora intorno e vede le gabbie. Digrigna i denti e le raggiunge. Taglia le corde rosse e le apre, una dopo l’altra.

Il lesij scappa velocissimo, trasformandosi in una lepre. Le due krilovil, a cui ha tolto anche la benda, sono diffidenti. Fissano Bran, probabilmente pensando che si addormenterà, ma Bran ricambia lo sguardo e sorride. Allora anche loro sorridono e volano via. Il fauno lo osserva curioso un momento, prima di correre via. Altri esseri lo guardano e si allontanano. Alcuni degli animali rimangono dentro, timorosi della presenza sconosciuta, ma quando Bran se ne va, fuggono via. Nella radura rimangono solo i corpi dei cacciatori e i loro cavalli.

 

Bran guida il cavallo per le briglie fino a dove ha lasciato il proprio. Sale e rapidamente si allontana. Raggiunge una grotta non distante: conosce bene la Grande Foresta Occidentale, dalla Foresta Purpurea al Bosco Oscuro.

Posa a terra il corpo di Muzhrab e controlla nuovamente la situazione. Ha il tempo per fare ciò che deve.

Spoglia rapidamente Muzhrab. Estrae le due frecce piantate nel corpo, senza preoccuparsi che le punte lacerino ulteriormente la carne: non cambia nulla. Poi stende il guerriero sulla pancia e gli allarga le natiche. Ha un bel culo, Muzhrab, davvero un bel culo. Gli piacerebbe che fosse il guerriero a offrirsi, ma non è nelle condizioni di farlo. E quando avrà oltrepassato nuovamente la prima soglia, difficilmente sarà disponibile a darsi. Con ogni probabilità lo odierà per quello che ora sta per fargli, ma non c’è altro modo di salvarlo.

Il cazzo di Bran si sta rapidamente tendendo. Bran sputa tre volte sull’apertura e sparge la saliva con un dito. Nonostante il rilassamento dei muscoli nella morte, sente che la carne è soda e cede a fatica. È sicuro di essere il primo a gustare questo culo. Da una parte gli fa piacere, dall’altra è un casino, perché gli farà un male bestiale: la dotazione di Bran è fuori misura e se chi ci è abituato apprezza moltissimo, per chi non ha mai provato non è certo consigliabile. Ma non c’è altra soluzione.

Lentamente Bran spinge il suo cazzo voluminoso ben dentro nel culo di Muzhrab, che è ancora caldo. Bran si muove piano, cercando di ridurre al minimo il dolore che il guerriero proverà quando si sveglierà, dopo aver riattraversato la soglia. Spinge in avanti, ma mai a fondo, e si ritrae, prima a un ritmo lento, poi più rapido, per accelerare i tempi. Infine il piacere lo travolge e viene. Il suo seme si sparge abbondante nel culo di Muzhrab.

Bran si abbandona su di lui un momento, poi, a malincuore, si alza. Gli sarebbe piaciuto rimanere dentro di lui, sentirlo tornare alla vita, ma questo avrebbe potuto farlo con qualcuno con cui già avesse scopato, non con questo sconosciuto che con ogni probabilità sarà furioso scoprendo di essere stato inculato.

Bran si rimette i pantaloni, poi prepara un fuoco. Il guerriero sarà molto affamato, come sempre capita a chi ritorna.

 

A svegliarlo è l’odore di cibo. Muzhrab apre gli occhi. Sopra di lui la volta di una caverna. Muzhrab la fissa, senza capire, poi, di colpo, i ricordi ritornano. Muzhrab si alza a sedere di scatto. Avverte una fitta al culo. Si guarda intorno. È in una caverna, non molto grande. La luce che proviene dall’ingresso permette di vedere i contorni della cose. Non lontano un uomo a torso nudo sta cuocendo qualche cosa su un fuoco. Carne, a giudicare dall’odore.

Non è possibile. È morto. Lo hanno ucciso. Muzhrab si porta la mano alla ferita al ventre, ma non c’è nessuna ferita. Guarda la spalla, dove la freccia l’ha colpito: anche lì nessuna traccia. Non ha sognato, non è possibile. I suoi occhi scendono alla coscia. Si accorge di essere nudo e di aver il cazzo in tiro. Solo vedendolo avverte la violenta tensione, che sceglie di ignorare. Neppure la coscia mostra segni di ferite.

- Il pranzo è quasi pronto, Muzhrab.

Muzhrab guarda l’uomo che ha parlato. Gli dà ancora la schiena, assorto nella sua attività, ma evidentemente si è accorto che lui si è svegliato.

Muzhrab ne guarda il dorso robusto, piuttosto villoso. L’uomo ha capelli neri, come la folta barba.

Non è possibile. Lo hanno ammazzato.

Muzhrab si alza. Di nuovo una fitta al culo, più forte. Si guarda ancora intorno. I suoi abiti sono in un angolo, insieme alla sua spada. Muzhrab si dirige verso i vestiti. Si china. Vede il taglio orizzontale nella tunica, all’altezza del ventre, e il buco sulla spalla, dove è arrivata la freccia. C’è parecchio sangue. No, non ha sognato: è tutto vero. È stato ucciso, ma ora è vivo.

La voce dell’uomo lo riscuote:

- Prima di rimetterteli, sarà meglio sistemarli, ma non ho avuto tempo. Magari hai qualche cosa di ricambio nella sacca.

Muzhrab guarda l’uomo, che continua a dargli la schiena. Si va a sedere vicino a lui. Ora può vederlo. È quello che ha incontrato qualche volta a Samar. Deve avere pochi anni in più di lui, è molto robusto, con un ventre prominente, ed una fitta peluria scura gli ricopre il torace e le braccia. Nel gran barbone nero c’è qualche filo bianco. L’uomo si volta verso di lui e gli sorride.

- Io sono Bran.

- Io sono Muzhrab, ma questo lo sai. Sei in grado di spiegarmi com’è che sono qui e soprattutto com’è che sono vivo, vero?

- Sì, certo. Ma prima avrai voglia di mangiare. Hai una fame da lupo.

È vero, ma come fa Bran a saperlo?

Bran sorride. Deve aver capito che cosa ha pensato Muzhrab, perché risponde:

- È sempre così, quando si ripassa per la prima soglia.

- Non ti capisco.

- Ti spiego poi, adesso è ora di pranzo.

Bran toglie dal fuoco il recipiente e ne versa il contenuto in una scodella, che gli porge. 

- Tu non mangi?

- Non ora. Questo è per te.

Nella tazza c’è un brodo denso con diversi pezzi di carne. Muzhrab sorseggia il brodo, poco per volta per non scottarsi, poi, quando ha finito, prende con le dita i pezzi di carne e li mastica in silenzio. Bran non parla e Muzhrab rispetta il suo silenzio. Gli chiederà dopo. Adesso in effetti è ben contento di mangiare.

Dopo aver masticato l’ultimo pezzo di carne, Muzhrab posa la scodella.

- Adesso vuoi spiegarmi?

Bran annuisce.

- Certo. Ma non ti aspettare che possa rispondere a tutte le tue domande.

- Più di tutto vorrei sapere: com’è che sono vivo? Mi hanno colpito più volte: due frecce e due ferite con la spada.

- Tre: per essere sicuro che fossi morto, ti hanno trapassato il cuore. Ma se non te ne sei accorto, probabilmente eri già morto.

- Va bene, tre. Ma non vedo tracce di ferite, non ho nessun dolore, a parte…

Muzhrab si ferma un attimo, poi riprende:

- …a parte al culo.

Bran sorride.

- Le due cose sono collegate. Ma forse è meglio che ti racconti tutto dall’inizio.

Muzhrab annuisce.

- Due settimane fa, più o meno, ho sentito che dovevo partire. E, per evitare una domanda che già vorresti fare, posso solo dirti che sento quando devo partire per una missione. Nessuno mi manda a chiamare, nessuno mi dice che cosa devo fare, dove devo andare. Io sento dove devo dirigermi e so che man mano i diversi elementi si chiariranno.

Muzhrab si chiede se la spiegazione di Bran darà una risposta ai suoi dubbi o invece gliene farà venire altri.

- Mi sono diretto verso Ovest e sono arrivato a Samar. Lì ti ho visto e ho sentito che eri tu. Non sapevo chi eri, ma non è stato difficile scoprire il tuo nome. Ho atteso che tu partissi e mi sono messo in movimento anch’io. Vi ho seguito, rimanendo a una certa distanza. Non avvertivo nessuna particolare tensione. Poi, di colpo, è scattato qualche cosa. Dovevo fare in fretta, molto in fretta. Ho raggiunto un accampamento, dove qualcuno aveva fatto strage. C’erano parecchi morti, almeno una dozzina, ma non mi interessava. Ho visto il tuo cadavere. Ho verificato. Avevi oltrepassato la prima soglia, ma non la seconda. Ero in tempo. Ti ho caricato sul tuo cavallo, era facile distinguerlo dagli altri, e ti ho portato qui.

Muzhrab annuisce. Vorrebbe chiedere mille cose, ma non vuole interrompere il racconto. Bran prosegue.

- Arrivati qui, ti ho tolto gli abiti e ti ho fatto riattraversare la prima soglia. Poi ho preparato da mangiare, perché so che chi ritorna ha sempre molta fame.

Muzhrab non nasconde la sua perplessità. Come temeva, la spiegazione di Bran non spiega molto.

- Come hai fatto a farmi tornare in vita, perché questo significa ripassare la prima soglia, vero?

Bran annuisce e ghigna.

- C’è un unico modo. E adesso ti incazzerai.

- E sarebbe?

- Hai un gran male al culo, no? Anche se nessuno ti ha infilato una spada in culo.

- Non capisco.

- Potevo farti rivivere solo con il mio sborro. Ho inculato il tuo cadavere e il seme ti ha ridato la vita, sanando le tue ferite e provocandoti questa erezione che hai da due ore. Direi che prima o poi dovrai deciderti a occupartene.

Muzhrab guarda Bran e scuote la testa. Non è possibile. Non può essere.

- Cazzo, vuoi dire che…

- È l’unico modo.

Muzhrab guarda Bran, allibito. Quest’uomo la ha inculato mentre lui era incosciente. No, mentre era morto. Lo ha fatto per salvarlo. È tutto talmente irreale che fa fatica a crederci, anche se sa di non sognare.

- Cazzo! No… io… no, non è… oh, cazzo!

Bran gli lascia un po’ di tempo: deve abituarsi all’idea. Chi non ha mai riattraversato la prima soglia, si trova spaesato quando gli succede e di certo il metodo usato per riportarlo in vita non è quello che uno si aspetta a sentire le storie che circolano: l’immersione del corpo in una fonte incantata, la formula magica, le gocce di sangue sulle labbra, i tre segni della vita incisi sulla pelle. Ma questo è il potere di Bran, che non è un mago o un saggio.

Muzhrab guarda Bran e gli chiede, a bruciapelo:

- Tu chi sei? Perché sei qui? Perché mi hai salvato? Che cosa…

- Quante domande! Senti, Muzhrab, io e te dobbiamo parlare, senza dubbio, e non sarà una cosa breve. Prima però ti consiglio di… alleggerire un po’ la tensione. Non puoi rimanere con il cazzo duro tutto il tempo.

Muzhrab scuote la testa. La faccenda gli sembra secondaria, anche se in effetti prova un certo fastidio.

- Che cosa dovrei fare, secondo te?

Bran ghigna.

- Di solito quando a uno viene duro e non si decide ad ammosciarsi, cosa che se non ti dai da fare non succederà, te lo garantisco, non è che ci siano molti modi per fargli abbassare la cresta.

Muzhrab abbassa lo sguardo e mormora, scuotendo la testa:

- Scopare o farsi un sega…

Poi alza la testa, guarda Bran e dice, quasi ringhiando:

- Potrei mettertelo in culo, magari, così facciamo pari…

Bran lo fissa. Poi sorride:

- Muzhrab, se ti fa piacere, per me va bene. A me i maschi piacciono, molto, e scopo volentieri con un altro maschio. Tu non te l’eri mai preso in culo. Io sì, più volte. Se farlo, oltre a ridurre la tensione, ti fa stare meglio perché ti sembrerà di rendermi la pariglia, va benissimo.

Di fronte alla disponibilità di Bran, Muzhrab sente la sua rabbia svanire. Esita. Gli restituirebbe volentieri il favore, se così si può chiamare, ma Bran l’ha fatto per riportarlo in vita.

- Bran, mi hai salvato dalla morte. Non nego che… ma… non voglio neanche…

Bran scuote la testa. Si alza e si cala i pantaloni. Muzhrab gli guarda il cazzo. È a riposo, ma è inquietante.

- Adesso capisco perché il culo mi fa un male cane.

- Mi spiace, Muzhrab. So che non l’avevi mai fatto, ma non c’è altro modo. Il seme deve entrare dentro di te per agire. Avrei preferito non farti male.

Poi Bran aggiunge:

- Adesso dimmi come vuoi che mi metta. Non te l’eri mai preso in culo, ma hai scopato con uomini altre volte. Che cosa ti piace?

- Non sei tenuto a farlo. Posso arrangiarmi da solo.

Bran ride:

- Se ti faccio schifo, va bene, altrimenti è meglio se scopiamo. Le nostre vite sono legate, chissà, forse anche le nostre morti, perché… ne parleremo dopo. Una bella scopata a me farà piacere e tu non ce l’avrai più tanto con me.

- Non ce l’ho con te… non… e va bene, mettiti a quattro zampe. Ti va?

- Certo!

Bran si mette come gli ha chiesto Muzhrab, che si alza e si mette dietro di lui. Bran ha un culo molto peloso, ma tutto il corpo è coperto da una folta pelliccia scura. Bran, il cuoco, Redwin: in questo periodo Muzhrab ha a che fare sempre con orsi. Ma gli orsi gli piacciono, parecchio. E questo è un orso con i fiocchi.

Muzhrab accarezza il culo di Bran. È una sensazione piacevole sentire il vello fitto che lo copre. Poi si sputa sulla mano e sparge un po’ di saliva prima sulla cappella, poi sull’apertura, che non sembra voler cedere. Eppure Bran gli ha detto che se l’è già preso in culo.

Muzhrab avvicina la cappella al buco e lentamente spinge dentro. Sente la resistenza della carne e il suo calore. L’ha fatto tante volte, con uomini diversi: per un guerriero libero sono molte di più le occasioni di scopare con un uomo che con una donna e Muzhrab sa benissimo che preferisce i maschi. Ma questa volta la sensazione è molto più forte, come se questo culo che possiede non fosse uno dei tanti. Il piacere che prova è intenso. Si stende su Bran. Gli piace sentire il calore di questo corpo, gli piace accarezzarlo, tormentargli i capezzoli, stringergli i coglioni, sfiorare il cazzo, duro, grosso. Muzhrab si chiede come ha fatto a reggere questo palo che ora la sua destra sfiora e poi afferra decisa. Muove avanti e indietro il culo, mentre le sue mani, che sembrano muoversi indipendentemente dalla sua volontà, accarezzano, stringono, pizzicano, si infilano nella bocca di Bran, scivolano tra i capelli, scendono sul petto, stringono il grande cazzo vigoroso, afferrano i coglioni in una morsa. Bran emette una specie di ringhio, pare davvero un orso. Muzhrab va avanti a fottere questo culo che gli trasmette sensazioni intensissime, fino a che il piacere non può più essere contenuto e Muzhrab sente il fiotto prorompere. Spinge freneticamente e la sua mano si muove rapida intorno al cazzo di Bran, che bramisce mentre il seme sgorga. Muzhrab si abbandona, stordito, su questo corpo.

Quando la sua mente riesce nuovamente a formulare un pensiero, si dice che è stata una scopata superlativa, forse la migliore della sua vita.

Rimarrebbe volentieri disteso su questo splendido animale, ma si ritrae e si siede contro la parete della grotta, senza forze.

- Ora va meglio, Muzhrab?

Il guerriero annuisce. Sorride e gli dice:

- È stato fantastico. Grazie. Tutto bene per te?

- Ottimo. Hai un bel cazzo, Muzhrab, e sai usarlo.

- Un bel cazzo? Tu hai un palo. Mi chiedo come ho fatto a reggerlo.

Bran scuote la testa. Non è il caso di continuare sul tema. Ci sono cose più importanti di cui parlare. Si siede davanti al guerriero.

- Bene. Adesso che sei un po’ più tranquillo, chiacchieriamo un po’. Abbiamo tante cose da dirci.

Muzhrab annuisce.

- Sì, penso anch’io. Ho ascoltato la tua spiegazione prima, ma in pratica non ci ho capito un cazzo. E secondo me non è perché ce l’avevo duro ed ero distratto, è proprio che non spiegava un cazzo.

Ridono tutti e due.

- Non posso darti torto. Allora, ti faccio un po’ di domande, poi me ne fai tu e vediamo se ci chiariamo le idee tutti e due. Perché anch’io ne ho bisogno.

- Allora siamo a posto!

Bran scuote la testa. Muzhrab è allegro. Ha fatto bene ad offrirglisi: dopo la scopata si è rasserenato.

- Incomincio io. Tu sei andato a Samar per rispondere all’appello del governatore. O avevi già in testa altri piani?

- No, volevo sentire la sua proposta e valutare se accettarla.

- Ma hai deciso di non accettarla. Perché?

- No, ho deciso di accettarla, ma…

Muzhrab esita un attimo. Bran lo ha salvato. Ma può fidarsi di lui? Non ne sa nulla.

- Ma?

Muzhrab rimane ancora un attimo in silenzio, poi chiede:

- Chi sei, Bran? Perché sei qui? Perché mi hai salvato?

Bran annuisce.

- Ho capito. Non sai se puoi raccontarmi qualche cosa che è segreto. È così?

Muzhrab annuisce.

- Allora cercherò di rispondere alle tue domande.

Bran fa una pausa, poi riprende:

- Credo che tu abbia sentito parlare di Coloro Che Ritornano.

- Esseri immortali, che…

- Col cazzo!

L’esclamazione di Bran disorienta il guerriero. Bran riprende:

- Scusa, Muzhrab, ma ne ho i coglioni pieni di quelli che dicono che noi siamo immortali. Moriamo, come gli altri. Sono morto decine di volte e ti assicuro che certi modi di morire sono atroci, ti passa la voglia di tornare in vita sapendo che potresti passarci di nuovo: tre giorni ad agonizzare con un palo appuntito in culo, sotto il sole cocente, insetti che ti mangiano vivo… merda! Vorresti solo finire. Noi moriamo, ma ritorniamo in vita. E possiamo riportare in vita qualcuno che è morto da non molto tempo, che non ha ancora superato la seconda soglia. Possiamo fare anche alcune altre cose. E abbiamo dei compiti. Non so perché e come siamo stati concepiti. So che ci vengono assegnati dei compiti: dobbiamo aiutare qualcuno, a portare a termine una missione, a vincere una guerra, a salvare una città. Io sento il richiamo e parto. Questa volta il mio ruolo è quello di aiutare te. E direi che di aiuto avevi bisogno.

Muzhrab annuisce. Di certo non potrebbe negarlo: era stato ammazzato. Bran continua:

- Non entro in dettagli, perché adesso non serve che ti dica tante cose. La tua missione è a rischio, perché non credo che l’attacco alla vostra carovana sia stato casuale. Tu che cosa ne sai?

- Niente. Loro sono andati a caccia.

- Sì, ho visto. Fottuti bastardi. Sono contento che li abbiano ammazzati.

Muzhrab sorride e riprende:

- Io mi sono fatto un giro e al ritorno li ho trovati tutti morti. C’era un uomo armato, un guerriero, direi, perché era abile a maneggiare la spada. Con il volto mascherato. Io… ho avuto l’impressione che mi aspettasse.

- Certamente.

- Perché dici questo?

- Per quale motivo dovrebbero aver assalito la carovana e ucciso tutti? Non erano banditi, perché non hanno preso niente, neanche i cavalli. Se fossero stati interessati a eliminare quei mercanti, se così li possiamo chiamare, perché ti avrebbero aspettato?

- Qualcuno… erano andati a caccia nella notte. Qualche creatura dei boschi, per vendicarsi… no, era un uomo quello che ho affrontato, ma ci sono esseri che possono assumere la forma di un uomo, no?

Bran scuote la testa.

- L’attacco non aveva niente a che fare con la caccia. Non hanno liberato le creature catturate. Tutte le gabbie erano occupate. Le ho liberate io.

Muzhrab sorride. Gli fa piacere sapere che Bran abbia pensato a liberare gli esseri prigionieri. Bran prosegue:

- Quindi loro aspettavano te, perché volevano uccidere te. Degli altri probabilmente non gli importava nulla. E questo significa che vogliono impedirti di portare a termine la tua missione. E che sanno che tu hai un compito.

- Se davvero volevano uccidere me, sì, evidentemente è così. Sono partito con quel gruppo proprio perché nessuno avesse sospetti, vedendomi viaggiare solo. Ma non è servito a niente. Come hanno fatto a sapere?

- Qualcuno può aver tradito. È la spiegazione più probabile, non l’unica. Bisogna capire quali sono le forze in gioco.

- Che cosa intendi?

- Muzhrab, qual è la tua missione? Chi te l’ha affidata? Capisco che tu voglia mantenere il segreto, ma perché possa aiutarti, devo conoscere anch’io di che cosa si tratta.

Muzhrab esita un attimo. Bran gli ha salvato la vita. Non fidarsi di lui non avrebbe senso. Dev’essere lui la forza che ha il compito di aiutarlo, come gli hanno predetto. Lo ha già aiutato.

- Un principe degli Aldebri, l’erede al trono, è stato rapito qui, nella Foresta Purpurea… siamo ancora nella Foresta Purpurea?

- Sì, questa cavità naturale non è molto lontano dal punto dove ti ho trovato, nel cuore della foreste e alcune miglia a sud della grande pista.

- Gli Aldebri minacciano una guerra. Sospettano che i responsabili del rapimento siano uomini e gente del Popolo della Notte. Io non conosco gli Aldebri e neanche il Popolo della Notte, i Figli di Lilith. Dicono che siano crudeli…

- Cazzate.

Muzhrab guarda Bran, un po’ sorpreso. Questi sorride e riprende:

- I Figli di Lilith non sono né meglio né peggio dei Figli di Eva o di quelli di Ma o di tutti gli altri popoli. Ce ne sono di feroci, altri che si fanno i cazzi propri, altri che sono disposti a dare una mano a chi ne ha bisogno. Può darsi che alcuni di loro abbiano dato una mano a banditi, o viceversa. Ma non sono tutti così. So che circolano tante voci su di loro, perché i Figli di Eva hanno paura della notte, ma sono dicerie che non hanno fondamento.

- Scusa, Bran, di tutte queste cose non so niente. È la prima volta che mi spingo così a Occidente e nella mia terra tutti hanno paura dei Figli di Lilith.

Bran annuisce.

- Va’ avanti.

- Allora, gli Aldebri non possono liberare il principe: sanno che si trova nella foresta, in una zona a Nord della Torre del Corvo… Tu sai dov’è questa torre?

- Sì, certo, conosco bene la foresta.

- Gli Aldebri non possono avvicinarsi, qualche forza oscura glielo impedisce. E loro impediscono agli uomini di entrare nell’area, perché diffidano di loro. Il mio compito è salvare il principe, per scongiurare il rischio di una guerra. Se il principe non viene liberato, attaccheranno.

Bran annuisce.

- Sì, senza dubbio. Gli Aldebri sono molto orgogliosi, non accettano l’idea che qualcuno possa mancargli di rispetto. Fossero un po’ meno presuntuosi e più disponibili a collaborare… ma ognuna delle stirpi della Terra ha i suoi limiti. Voi figli di Eva non siete certo meglio. E neanche noi, che ritorniamo.

- Non sembri molto ottimista.

Bran risponde brusco:

- Perché, tu lo sei? Non mi contare storie.

Muzhrab scuote la testa, mentre un velo di tristezza scende su di lui.

- No, neppure io lo sono.

- Scusa, Muzhrab. Ho un pessimo carattere. Una volta non ero così, ma… lasciamo perdere, non è il momento. Rispondi piuttosto a una domanda: come conti di riuscire ad arrivare al principe, visto che gli Aldebri non fanno passare gli uomini?

- Io posso passare.

In un gesto istintivo Muzhrab si porta una mano al petto.

Bran lo guarda, poi dice:

- Hanno modificato la tua natura. L’avevo notato. È avvenuto il giorno della convocazione al castello. Va bene. Quindi dobbiamo metterci alla ricerca del principe. Se gli Aldebri hanno individuato la zona, non dovrebbe essere così difficile. Battendo la foresta palmo a palmo, prima o poi ce la facciamo: ne sentiremo la presenza, anche se qualcuno magari cercherà di impedircelo.

- Non abbiamo molto tempo. Dobbiamo riuscirci entro il plenilunio.

- Oh, cazzo! Il plenilunio è tra due settimane. Per carità, magari lo troviamo domani mattina, però… Perché entro il plenilunio?

- È il termine stabilito dagli Aldebri.

- E va bene, questa notte partiremo per la caccia.

- Di notte? La Luna sarà appena spuntata, non si vede niente e il bosco…

Bran lo interrompe:

- Meglio muoversi la notte. Non so se quei bastardi che ti hanno ucciso fossero umani, ma in ogni caso i Figli di Eva difficilmente si aggirano per la foresta con il buio. Ci possono essere i Figli di Lilith e altre creature, ma so come tenerli a bada.

Muzhrab è perplesso, ma Bran certamente conosce molto meglio queste terre.

- Va bene.

- E poi non abbiamo tempo da perdere: ne abbiamo poco per ritrovare il principe e non ci conviene lasciarne molto ai tuoi assassini. Potrebbero scoprire che sei ancora vivo. Non ti chiedo se vuoi riposare un po’ prima che ci mettiamo in marcia, perché non hai sonno.

- Ma come fai a sapere tutte queste cose?

Bran ride.

- La morte è molto riposante. Chi ripassa la prima soglia non è mai stanco. Al massimo, se l’ha fatto nel modo in cui l’hai fatto tu, ha bisogno d’altro.

Muzhrab scuote la testa. Bran gli sta simpatico, gli piacciono la sua ironia, il suo modo spiccio e rude di rapportarsi, la sua franchezza.  Questo è positivo, visto che devono collaborare.

Bran aggiunge:

- Magari occupiamoci dei tuoi vestiti. Potresti anche andare in giro nudo, ma non si sa mai.

Muzhrab annuisce. Si alza e, ignorando il male al culo, raggiunge i suoi abiti. I pantaloni sono macchiati di sangue, ma sono ancora utilizzabili. La tunica può essere buttata: un grosso taglio all’altezza del cuore, uno ancora peggiore all’altezza dell’ombelico, il buco della freccia e un sacco di sangue. Lavandola, potrebbe ancora servire come straccio, niente di più.

- Ne hai un’altra? Se no vai in giro a torso nudo. Tanto non fa freddo qui sotto. Al massimo te ne potrei dare una io, se ne avessi bisogno, ma per te sarebbe troppo larga e saresti impacciato nei movimenti se dovessi combattere. È facile che ci troviamo a dover affrontare un nemico, magari senza preavviso, e dobbiamo essere pronti in qualsiasi momento.

- No, non ne posseggo una di ricambio. Sono alquanto mal messo.

Muzhrab pensa alla sua vita di guerriero libero, una scelta obbligata dopo che le manovre di suo fratello lo hanno privato di ciò che gli spettava di diritto. Scuote la testa. C’è molta amarezza, ora, in lui.

La voce di Bran lo riscuote:

- Se compirai questa missione, riceverai una ricompensa. Se non la compirai e morirai, non avrai bisogno di un’altra tunica. Non te la prendere.

- Non me la prendo certo per la tunica, Bran. Altro… la mia famiglia…

Muzhrab si ferma. Che senso ha raccontare a questo sconosciuto la sua storia? Ma Bran osserva:

- Raccontami, se hai voglia. Abbiamo ancora una mezz’ora prima che sia buio e tutto è pronto.

Muzhrab lo guarda. Sente che Bran è in grado di capire. Lo conosce forse da un’ora, ma è sicuro che sia così. Annuisce, ma per un momento tace. Poi le parole escono.

- Ho un fratello, maggiore di me. È avido e mi odia, credo perché sono sempre stato più forte di lui nei tornei e in battaglia, quando abbiamo dovuto combattere. È riuscito a togliermi l’affetto di mio padre, calunniandomi, e lo ha convinto a diseredarmi. Mi sono ritrovato senza niente: solo il cavallo, che mi ero guadagnato in battaglia, e le armi, che spettano a ogni guerriero. Avrei potuto sfidarlo, ma non volevo farlo, per rispetto a mio padre. Avrei potuto mettermi al servizio del re, come hanno sempre fatto gli uomini della mia famiglia, ma mio fratello è molto legato ad alcuni ufficiali dell’esercito e loro mi avrebbero reso la vita impossibile. Così da tre anni vivo mettendomi al servizio di chi cerca guerrieri liberi.

Muzhrab fa una pausa, poi aggiunge:

- Evito solo di arruolarmi quando mi troverei a combattere dalla parte sbagliata.

Muzhrab guarda Bran. Si rende conto che da quando ha lasciato la sua città è la prima volta che gli capita di raccontare a qualcuno i motivi per cui se n’è andato da Gornigrad. Ma le circostanze del loro incontro sono state eccezionali.

Bran ha ascoltato attentamente.

- Mi spiace. Ma se tu sei il guerriero che deve svolgere questa missione, forse era scritto nel tuo destino che fossi costretto a lasciare la tua casa e la tua città. 

- Può essere. Ne avrei fatto volentieri a meno.

Bran annuisce. Lo sguardo perso nel vuoto, un’espressione cupa in viso, dice:

- Sì. Ciò che è scritto nel nostro destino ha un prezzo da pagare. E talvolta è molto alto.

Bran si riscuote e aggiunge:

- Ora di andare. È sufficientemente buio. Silenzio, se non è strettamente necessario.

Salgono a cavallo e si avviano. Il buio diventa sempre più fitto e la luce delle stelle non permette di scorgere il terreno che i cavalli calpestano, ma Bran si muove con sicurezza. Probabilmente segue antiche tracce, perché i cavalli avanzano senza fatica. Dopo diverse ore di marcia, Muzhrab avverte una certa tensione, come se i muscoli gli si irrigidissero. Poco dopo Bran si ferma e Muzhrab gli si affianca. Bran parla molto piano.

- Gli Aldebri sono qui vicino. Siamo a poche miglia a sud della Torre del Corvo. Credo che siamo al margine della zona che gli Aldebri sorvegliano, quella dove si trova il loro principe. Tu dovresti avvertire qualche cosa.

- Sì, in effetti, ma non sapevo interpretarlo. Una tensione, come se… non saprei dirti, come se i muscoli… non so spiegarlo. E non sapevo che cosa fosse.

- Certo, se è la prima volta che lo provi. Quando saremo vicino al principe, sarà molto più forte e probabilmente anche diverso.

Bran prosegue:

- Procediamo. Entriamo nell’area dove si trova il principe. Fino all’alba ci muoveremo a  cavallo, poi vedremo. Se avverti un aumento della tensione, dimmelo. L’avvertirò anch’io, ma io sento molti esseri diversi e potrei non rendermi conto di una variazione.

Bran aggiunge:

- È un po’ come essere in mezzo al mercato: puoi avere un ottimo udito, ma magari non senti la voce del venditore di coltelli perché la venditrice di verdure urla più forte e due comari stanno litigando proprio di fianco a te. Qui adesso è pieno di krilovil, ad esempio, e più in là c’è un blud e diversi lesij, gli aldebri sono più lontani e li avverto appena.

Procedono nel buio. Muzhrab sente la tensione svanire. Dopo un po’ si avvicina a Bran. Sussurra:

- Non li sento più.

- Certo, siamo nell’area in cui non riescono a entrare. Io sento diverse creature, ma nulla di significativo qui vicino. Più lontano, forse… spero di no.

- Che cosa?

- Te lo dirò se è come mi sembra.

Procedono ancora, fino a che il buio diventa meno fitto.

- Tra poco ci fermiamo, Muzhrab. Meglio nascondere i cavalli e proseguire a piedi per un po’.

Scendono da cavallo.

- Perché non continuiamo a cavallo, Bran?

- Perché qui vicino c’è un posto sicuro dove possiamo lasciarli. Più in là non ce ne sono. E quando sarà giorno, a cavallo possiamo solo seguire le antiche tracce e siamo troppo visibili. Meglio muoverci fuori dai sentieri.

- Ma come fai a seguire i sentieri nel buio?

- Conosco queste terre. Ci ho vissuto. Ho lottato, amato, ucciso in queste terre.

La voce di Bran è cupa e Muzhrab preferisce non chiedere altro. Bran aggiunge:

- Silenzio assoluto, fino a che non ti dirò che puoi parlare.

Tenendo in mano le briglie dei cavalli procedono tra i cespugli e gli alberi, fino a raggiungere un muro, appena visibile nell’oscurità che ancora regna. Muzhrab pensa a un edificio, ma avvicinandosi si rende conto che è proprio solo un resto di muro, lungo poche braccia, davanti al quale ci sono alberi e cespugli e dietro una radura. Ma Bran si dirige verso la parte centrale, dove c’è una vecchia porta. Muzhrab non capisce. Aprendo la porta, si passerebbe dall’altra parte, ma per arrivarci basta aggirare il pezzo di muro: questione di un attimo.

Bran poggia le mani sulla porta. Il cielo si sta schiarendo e Muzhrab ha l’impressione che Bran abbia gli occhi chiusi e stia mormorando qualche cosa. La porta si apre. Bran avanza. Il cavallo china la testa per passare. Muzhrab lo segue. Si trova in uno spazio buio, chiuso: non si vede più il cielo, non ci sono alberi. Vorrebbe chiedere, ma sa che deve tacere.

Bran ritorna indietro e tende due mani verso la soglia. La porta si richiude e il buio diventa assoluto. Una debole luce però sembra accendersi. Non è una luce, è una luminosità diffusa, intorno a loro.

- Questo sarà il nostro quartier generale. Lasceremo qui i cavalli di giorno.

Muzhrab apre la bocca, ma non dice nulla. Non è sicuro di poter parlare.

- Che c’è, Muzhrab?

- Posso parlare?

Bran sorride.

- Certo, qui puoi anche metterti a cantare, se vuoi. Questo spazio non esiste.

- Ecco, appunto. Arrivando ho visto che oltre il muro non c’era nulla. Ma questa sala, per quanto posso vedere, è ampia. Come è possibile?

Bran alza le spalle.

- Non lo so, Muzhrab. So che è così, ma non so come mai. Sono uno di Coloro Che Ritornano, non sono un saggio, un vedente, un profeta, un divinatore o tutto quel che cazzo vuoi. Non sono un cavaliere elegante, un nobile guerriero con le sue armi luccicanti, un principe di sangue. Sono una bestia, grezza.

Muzhrab ha di nuovo impressione che ci sia molta amarezza nelle parole di Bran. Non ne capisce il motivo. Cerca di deviare il discorso.

- Neanch’io sono proprio un raffinato damerino. Credo che andremo d’accordo.

Bran sorride.

- Hai ragione, scusa se ti ho risposto in modo brusco. Non sono di buon umore. Non avevo voglia di tornare nelle Terre d’Occidente. Ho troppi brutti ricordi. Adesso però possiamo riposare un’oretta e poi faremo un giro esplorativo nel bosco.

Si stendono sul pavimento. Prima di chiudere gli occhi, Muzhrab si guarda ancora intorno. La luce, di cui è impossibile vedere la fonte, permette di scorgere tutto il locale, che appare spoglio, ma ampio. C’è posto per i cavalli e per loro. Tutto sembra irreale. In fondo lo è. Muzhrab volta la testa verso il suo grosso compagno. Bran, uno di Coloro Che Ritornano. Gli è simpatico, parecchio. Il primo che glielo ha messo in culo, riportandolo tra i vivi, come nei sogni in cui, ora Muzhrab ne è certo, era Bran a prenderlo e a farlo godere. È davvero tutto irreale, come questa sala in cui si trovano e che non esiste.

 

 

Quando si sveglia, Muzhrab vede che Bran è già in piedi.

- Potevi chiamarmi, Bran.

- Voi umani avete bisogno di sonno.

- E voi no?

- Anch’io ne ho bisogno, ma posso stare sveglio molto a lungo e poi dormire per diversi giorni di seguito. Comunque adesso mangiamo un boccone e poi andiamo.

Dopo che hanno mangiato, Bran dice:

- Adesso muoviamoci. Per il primo tratto, non aprire bocca. Ti dirò io quando puoi parlare.

- Posso chiederti perché?

- La voce ti rende più individuabile anche a distanza. E non voglio che nessuno colleghi una presenza umana a questo posto. Potremmo trovare qualcuno ad aspettarci, quando torniamo. E non sarebbe per darci il benvenuto.

- Va bene. Ma… senti… che facciamo dei cavalli? Li lasciamo qui dentro? Dovrebbero mangiare.

- Brucheranno l’erba della radura. Ce n’è più che abbastanza.

- Allora li facciamo uscire?

Bran scuote la testa.

- Muzhrab, questa sala non esiste. I cavalli sono nella radura e possono brucare, ma i muri della sala impediscono loro di allontanarsi e soprattutto impediscono a chiunque di avvertire la loro presenza e, finché siamo qui dentro, anche la nostra. Ti è chiaro?

Muzhrab ghigna:

- Ti sembra di aver dato una spiegazione chiara?

Bran ride e scuote la testa.

- Se ne usciamo vivi ti faccio parlare con qualche saggio, che sappia spiegarti. Adesso però andiamo.

Appoggia le mani sulla porta, che si riapre. Escono. Il sole è alto in cielo: dev’essere mezzogiorno o forse anche più tardi. Dovevano riposare un’oretta, ma Bran lo ha lasciato dormire a lungo. Muzhrab osserva il muro alla luce del giorno. A un’estremità sporge la testa a guardare dall’altra parte: non c’è proprio niente, è solo un muro. La camera dov’erano e dove ora sono ancora i destrieri non esiste, c’è solo una radura, in cui, stando a quanto dice Bran, adesso brucano i cavalli, che però non si possono vedere. Impossibile capire, ma è così.

Camminano verso sud per un buon momento. Il bosco a tratti è molto fitto e i rami degli alberi formano sopra le loro teste una trama continua, che lascia appena filtrare i raggi del sole. In altri punti invece il bosco è più rado e ci sono piccole radure.

Bran evita sempre gli spazi aperti e quando ne raggiunge uno, passa all’esterno, tra i cespugli e gli alberi. Solo dopo un lungo tratto si volta verso Muzhrab e gli dice:

- Ora possiamo parlare. Piano, ovviamente. Tu senti qualche cosa? Un cambiamento di tensione?

Muzhrab scuote la testa.

- No, devo dire di no. È più o meno come ieri sera.

- Sì, concordo. Vuol dire che la direzione non è quella giusta. Proviamo verso ovest.

Cambiano direzione. Si stanno dirigendo verso le montagne e l’altopiano su cui sorge Samar, ma la foresta è troppo fitta per poter vedere in lontananza. Procedono un buon tratto e Muzhrab si chiede se questa ricerca ha senso, ma proprio mentre lo pensa, si rende conto che la tensione che avverte sta crescendo.

- Bran!

- Dimmi.

- In questa direzione va aumentando.

Bran chiude gli occhi un momento, poi li riapre.

- Cazzo! Hai ragione. Ero troppo concentrato su un’altra presenza.

Muzhrab è molto stupito che Bran si distragga dal loro obiettivo proprio ora, ma il seguito del discorso gli spiega:

- Siamo nella merda, Muzhrab. Farò in tempo ad avvisarti quando la minaccia sarà più vicina, ma se troveremo il principe, dovrò certamente affrontare un nemico. In questo caso, scappa con il principe, se l’avremo trovato, il più lontano possibile, senza occuparti di me.

- Bran, io…

- Io niente. Dobbiamo liberare il principe: questo è quello che conta. Hai capito, Muzhrab?

Muzhrab si morde il labbro inferiore. Abbandonare Bran in pericolo gli peserebbe moltissimo, ma si rende conto che salvare il principe è prioritario.

- Va bene, se avremo trovato il principe, ci allontaneremo il più in fretta possibile.

- Anche se non l’avremo trovato, te ne devi andare.

- No, Bran. Se il nemico è più forte di te, so che da solo non posso riuscire a liberare il principe, per cui è inutile che scappi.

- Cazzo, Muzhrab!

- Andiamo, siamo nella direzione giusta.

Bran scuote la testa. Sa che non riuscirà a convincere Muzhrab. Si concentra sulle due presenze che avverte: quella del principe e quella del nemico mortale.

Camminano a lungo. Sanno di muoversi nella direzione giusta, perché la tensione aumenta progressivamente e ora assume la forma di un formicolio alle braccia e alle gambe. È una sensazione fastidiosa.

Giungono a una zona di piccoli laghi. Bran evita accuratamente di costeggiarli, per non rischiare che qualcuno li veda dalla sponda. Quando sono vicini ai laghi, possono scorgere le montagne, che non sono lontane. Il sole si sta abbassando e tra poco scomparirà oltre la cresta.

Le deviazioni a cui li costringono i laghi rallentano la marcia. Intanto il cielo si sta scurendo e nel bosco è sempre più difficile muoversi, ma Bran procede.

Ben presto scende la notte. Bran si muove con sicurezza e la tensione diventa sempre più forte. A tratti a Muzhrab viene da grattarsi, ma poi si trattiene: è un formicolio sotto la pelle, non un prurito superficiale.

Infine Bran si ferma.

- Riposiamo qui. È l’ultimo posto in cui possiamo farlo, credo. Qui, dammi la mano.

Muzhrab obbedisce e Bran lo guida a scendere in un avvallamento.

- Attento alla testa, ora.

Il buio è completo. Con la mano libera Muzhrab può sentire una parete rocciosa sopra di sé. Stanno entrando in una caverna? Forse è solo una piccola cavità, perché la parete si abbassa ancora e adesso devono chinarsi.

- Muzhrab, dormiremo qui. Per riposare e perché pensino che ce ne siamo andati. Ma devi dormire tra le mie braccia, che faranno da scudo. Così nessuno potrà avvertire la tua presenza.

Bran si è steso e Muzhrab si allunga su di lui. Bran lo avvolge con le sue braccia. È piacevole sentirle contro il petto nudo, una gran bella sensazione.

- Ecco, così va bene. Scusami, ma in questo modo non sentiranno più la tua presenza e penseranno che ti sei allontanato.

- Non possono sentire la tua presenza?

- Loro no. Può sentirla solo qualcuno, qualcuno che dovrò affrontare, ma non qui. Questo è un luogo protetto.

- Mi hai già detto che dovrai affrontare qualcuno. E che se avremo liberato il principe, dovrò portarlo in salvo.

- Almeno cercare di farlo. Sperando che il combattimento duri abbastanza a lungo da darvi il tempo di fuggire.

- È una grave minaccia.

- L’unica mortale per me.

- Ma non è possibile! Tu sei uno di Coloro Che Ritornano, non siete soggetti alla morte, ritornate in vita.

- Non siamo immortali, te l’ho già detto, Muzhrab. Anche noi possiamo essere uccisi, definitivamente, intendo, da un altro di noi.

- Questa minaccia è uno di voi, quindi?

- Sì.

Muzhrab si sente angosciato. La sensazione di benessere profondo che provava tra le braccia di Bran si sta dissolvendo. Pensa a quanto gli ha detto la donna a Samar: una minaccia mortale pesa anche su colui che lo aiuterà.

- È già successo che…

Muzhrab non completa la domanda. Si rende conto che, anche se si conoscono da pochissimo, è affezionato a Bran. In quest’uomo burbero ritrova la sua stessa amarezza e oltre la scorza ruvida coglie una sensibilità che la vita ha spesso ferito.

Bran ha capito quale domanda Muzhrab intendeva porre e risponde:

- Eravamo in dodici. Siamo rimasti in otto.

Muzhrab

- Vuoi dire…

- Nessun altro può ucciderci definitivamente. Ma uno di noi può uccidere per sempre un altro.

- Pensavo… non dovreste essere tutti dalla stessa parte?

- Sì, quando siamo stati generati, lo eravamo. Ma i secoli passano e tutti cambiamo. Il Leone passò dalla parte del Male e fu lui a uccidere il Lupo, che a lungo era stato il mio compagno, e il Cinghiale, che era stato il mio migliore amico. Io uccisi lui. E il Toro ha ucciso l’Ariete. Da tempo è una forza malefica.

- Usi nomi di animali… perché?

- Perché tutti noi abbiamo una seconda natura, di animale. Io sono l’Orso. Sono davvero un orso, quanto sono un uomo. O forse di più, anche se normalmente ho l’aspetto di un essere umano.

Muzhrab ascolta. Senza quasi rendersene conto, accarezza le braccia di Bran.

- Sì, in effetti sei un orso. Un bell’orso grosso e potente. Sono contento di averti incontrato, Bran.

Un braccio di Bran si muove e una mano accarezza leggera il volto di Muzhrab. Queste grandi mani sanno essere incredibilmente delicate.

- Anch’io sono contento di averti incontrato. E vorrei riuscire a salvarti, a ogni costo. Non voglio di nuovo…

Bran si interrompe. Muzhrab continua ad accarezzare il braccio, giocando con la peluria spessa che lo ricopre. Chiede:

- Hai parlato del Male. Esiste davvero il Male? Intendo dire… ho visto infinite volte ferocia e crudeltà, uomini disposti a ogni nefandezza per ottenere ciò che desideravano, ma quello di cui tu parli mi sembra essere il Male assoluto.

- Muzhrab, te l’ho già detto, non sono un saggio, non sono in grado di rispondere. C’è davvero chi vuole il Male, forze che amano distruggere ciò che vive e che non agiscono solo per sete di potere o di ricchezza. Forze sempre pronte a mettersi al servizio dell’avidità o del desiderio di potere di altri per portare avanti i loro progetti.

- Bran…

Muzhrab non continua. Non sa che cosa voleva dire. Sa che sta bene tra le braccia di Bran. Intuisce di provare qualche cosa che va oltre l’affetto per un compagno di avventura, qualche cosa che non ha mai provato. È assurdo. Conosce Bran da troppo poco tempo. Ma che cosa c’è di sensato in questa storia? Nel ciottolo divenuto rubino, che ora porta nel petto? In questo uomo che torna dalla morte? Nel proprio essere morto e ritornato in vita?

E Muzhrab si chiede se nel loro incontro non ci sia un segno del destino. Bran è l’uomo che compariva nei suoi sogni, su questo Muzhrab non ha dubbi.

- Bran, sto bene con te.

Ancora una carezza leggera.

- Anch’io sto bene con te.

 

- Ora di andare, Muzhrab.

Le parole di Bran sono state appena un sussurro, ma Muzhrab si desta. Alla luce dell’alba guarda il posto in cui si trovano: una piccola cavità rocciosa, situata al di sotto del livello del terreno.

Hanno con sé poco cibo, che si dividono. Poi lasciano il loro rifugio e si muovono. Muzhrab avverte la tensione crescere e il formicolio si estende anche al petto e al ventre. Bran procede a un’andatura molto rapida, tanto che il guerriero quasi fatica a stargli dietro.

La tensione diventa ancora più forte.

- Dev’essere molto vicino, Bran.

Bran annuisce. Lo sente anche lui. Raggiungono una radura. Fanno il giro tutt’intorno, cercando di rimanere all’ombra degli alberi. Provano a proseguire in direzioni diverse, ma da qualsiasi parte si muovano, la tensione sembra calare.

- È nella radura.

Muzhrab guarda Bran senza capire.

- Non c’è niente, nella radura.

- No, dev’essere sotto, una camera sotterranea. Dobbiamo trovare l’ingresso. In fretta. Sento che il Toro ci ha individuato. Non ci metterà molto ad arrivare.

Girano nuovamente intorno alla radura, ma non vedono nessuna porta.

- Non potrebbe essere invisibile, Bran?

- No, non a me. E comunque tu dovresti sentirlo. Non guardarti intorno, ma concentrati. Io devo badare al Toro. Non riesco a concentrarmi come dovrei.

Muzhrab chiude gli occhi. Per un momento non avverte nulla di particolare, poi si rende conto che la sensazione che prova è più forte dal lato destro. Si volta in quella direzione e fa alcuni passi. Si ferma di nuovo. Chiude gli occhi e si concentra. Ora è leggermente più forte sul lato sinistro. Si sposta un po’ in quella direzione. La sensazione cresce. Il formicolio che percorre il suo corpo ora è tanto forte che quasi lo spinge verso un grande albero.

Bran ha capito. Osserva con attenzione la corteccia, poi poggia le mani in un punto, come ha fatto con la porta nel muro. Davanti agli occhi increduli di Muzhrab il tronco sembra aprirsi e appare una scala. Bran si infila nell’apertura, la spada in mano, e Muzhrab sguaina la propria e lo segue.

La scala è composta da una ventina di gradini e porta a una grande sala. Quattro guerrieri si sono appena alzati dal tavolo a cui sedevano, giocando a dadi. Vedendo arrivare Bran e Muzhrab, afferrano le armi e si scagliano su di loro, per impedirgli di scendere gli ultimi gradini, ma Bran salta, con un’agilità che nessuno si aspetterebbe da un uomo della sua stazza, oltre i guerrieri. Questi, disorientati, si voltano ad affrontare l’avversario che di colpo si trova alle loro spalle. Non sono abbastanza rapidi per Bran, che ne uccide due prima che abbiano il tempo di difendersi, mentre Muzhrab uccide un terzo uomo, affondandogli la spada nel petto. Il quarto guerriero si guarda intorno, terrorizzato: ha un avversario dietro e uno davanti e nessuna via di fuga. È Muzhrab ad affrontarlo e a ucciderlo, senza difficoltà.

Si guardano intorno. Nella sala non c’è nessun altro, ma sulla parete opposta alla scala c’è un uscio. Tenendo le spade insanguinate in mano, raggiungono la porta e l’aprono. C’è una stanza, con un grande letto su cui dorme un giovane. In testa ha una corona, la cui lucentezza quasi abbaglia Muzhrab, e il corpo nudo è avvolto da un leggerissimo velo scuro, che più che nascondere mette in risalto le forme eleganti. Il principe dorme: lo scontro che si è svolto nella sala accanto non sembra averlo destato dal sonno.

Bran tende un braccio e dice:

- Svegliati, principe.

L’uomo addormentato si desta e si mette a sedere.

- Chi siete?

- Siamo venuti a liberarti. Vieni con noi. Ti riporteremo nella città dove regna tuo padre.

Il principe annuisce. Muzhrab è perplesso: il prigioniero non mostra nessuna gioia per essere stato liberato. Sembra più che altro confuso. Che sia sotto l’effetto di qualche incantesimo? Che non si fidi di loro?

- Presto, principe. Un pericolo mortale incombe su tutti noi.

Il principe si alza, quasi riluttante.

- Io vado avanti. Principe, stai dietro di me. Muzhrab, seguirai. Ricordati quanto ti ho detto.

Muzhrab annuisce, ma Bran si è già voltato e si muove rapidamente. Passano nella sala dove giacciono i corpi dei quattro guerrieri, poi risalgono la scala. Muzhrab si accorge che Bran rallenta il passo, si volta un attimo verso di lui e dice:

- Io cercherò di fermarlo, voi fuggite.

Scuote la testa, come se non fosse convinto di ciò che ha appena detto.

Emergono dall’albero. Al centro della radura c’è un uomo molto alto, come Bran, ma meno massiccio, con spalle e braccia robuste e una grande ascia in mano.

- Ti aspettavo, Orso. Ora è il tuo turno.

- Lo vedremo, Toro.

Bran sussurra:

- Via, presto!

Poi avanza al centro della radura, la spada in mano.

L’idea di abbandonare Bran è dolorosissima, ma Muzhrab sa che deve farlo.

- Presto, principe, dobbiamo andarcene.

Il principe lo guarda e sorride, senza muoversi. Appare intontito.

- Presto!

Il principe scuote la testa. Quando Muzhrab cerca di afferrargli la mano, la ritira, un lampo di diffidenza nei suoi occhi. Non è possibile allontanarlo. Muzhrab guarda la radura, dove il duello ha avuto inizio.

I due uomini che si affrontano sono vigorosi e la rapidità con cui si muovono è stupefacente, considerando la loro stazza. Il Toro vibra colpi violenti con la sua ascia, ma Bran li scansa muovendosi rapidamente o bloccando il manico con la sua spada. Muzhrab si chiede se la spada non sia fatata, perché a volte l’urto è tanto forte che qualunque lama si spezzerebbe.

Il Toro ora manovra l’ascia in orizzontale, costringendo Bran ad arretrare, per sfuggire alla lama che lo ucciderebbe. Bran salta di lato e riesce a colpire il Toro a un braccio. Questi lancia un muggito di dolore, mentre Muzhrab esulta: la ferita è profonda e certo indebolirà il guerriero nemico. Ma il Toro non sembra risentirne e vibra un colpo violentissimo con l’ascia, che costringe Bran a lasciare la sua spada. L’arma vola via, finendo quasi ai piedi di Muzhrab. Prima che questi abbia potuto fare qualche cosa, Bran è saltato addosso al Toro e ora rotolano entrambi per terra, lottando per il controllo dell’ascia.

Il Toro è sopra Bran e lo schiaccia a terra, ma l’ascia gli è scivolata dalle mani e Bran riesce ad afferrarla. Nella posizione in cui si trova non può usarla, ma la getta lontano.

E allora il guerriero che sta schiacciando Bran al suolo si trasforma, rivelando la sua seconda natura: il viso diventa quello di un toro, con lunghe corna appuntite; le braccia e le gambe diventano zampe e il petto e il ventre si trasformano nel corpo massiccio di un toro. Ma le sue dimensioni non sono quelle di un normale bovino. È un animale immenso, alto il doppio di un uomo, che ora sovrasta Bran. Muzhrab rabbrividisce.

Ma vede che anche Bran si trasforma, diventando un orso gigantesco.

I due avversari si fronteggiano. I denti e gli artigli di Bran contro le corna e gli zoccoli del Toro. Bran salta sul dorso del Toro, ma questi lo evita, guizzando di lato. Bran cade a terra e mentre si rialza, il Toro muove la testa rapidamente e infila un corno nel petto di Bran, con tanta forza che lo attraversa ed esce dall’altra parte.

Muzhrab ha capito che è finita. Un dolore immenso lo schianta. Mormora:

- Bran!

Il Toro alza la testa, sollevando Bran infilzato sul corno, con un roco muggito di vittoria. Il sangue sgorga abbondante, accecando per un momento il Toro. Bran abbassa la testa e affonda i denti nella carotide del Toro. Altro sangue sgorga, ancora più copioso. Il muggito di vittoria diventa un grido di dolore. Il Toro cerca di liberarsi di Bran muovendo di scatto la testa. Il corno esce dal corpo dell’Orso, ma i denti non mollano la presa. Il Toro si abbatte. A fatica Bran alza un braccio e la sua zampa dilania i grandi coglioni e il cazzo del toro, staccandoli completamente. Il Toro solleva ancora la testa con un ultimo sforzo, poi la lascia ricadere. Bran si stacca e rimane steso accanto al corpo del suo avversario.

Muzhrab si lancia su di lui. Bran sta riacquistando forma umana, ma il petto è aperto, uno squarcio terribile. Bran scuote la testa, appena, gli occhi velati dalla morte.

Muzhrab sente una sofferenza atroce scavare dentro di lui: hanno vinto, ma a che prezzo! Bran sta morendo,

Bran lo guarda, poi nei suoi occhi quasi spenti appare un lampo di spavento.

- Attento… Muzhrab

Muzhrab volta la testa, in tempo per vedere che il principe gli cala la spada sul collo. Sente il dolore feroce. Non capisce, ma è contento di morire con Bran, sul suo corpo.

 

Il principe lascia cadere la spada che ha raccolto. Guarda i tre corpi senza vita e sorride. Poi si allontana, lentamente, verso una forza che lo chiama a sé. Non ritorna nella camera sotterranea, ma si dirige verso Nord. Non sa dove sta andando, ma è la forza che lo attrae a indicargli la strada.

 

*

 

Sagmuski chiede:

- Si muove?

- Sì, ora è ritornato completamente sotto il nostro controllo, il tuo potere ha annullato la sua volontà. La forza che si opponeva è stata distrutta e non può più contrastarti.

- E il Toro?

- Anche lui è stato distrutto: sono morti entrambi.

Sagmuski riflette un attimo, poi dice:

- Il guerriero è morto, vero?

- Sì, il principe lo ha ucciso.

- Questo significa che nessuno può liberare il principe.

Vragore annuisce.

- Certo, mio signore. Solo il guerriero poteva riuscirci, con l’aiuto della forza che è stata annientata. Così è scritto negli Antichi Libri.

Sagmuski sorride. La guerra scoppierà: gli Aldebri attaccheranno gli uomini, portando stragi e devastazioni. E quando tutto si sarà concluso e Samar sarà stata distrutta, non gli sarà difficile affermare il dominio su queste montagne e sul territorio circostante. Forse riuscirà a sottomettere anche gli Aldebri, indeboliti da una guerra che sarà lunga e sanguinosa.

- Bene, Vragore. Adesso dobbiamo portare il principe qui.

Vragore guarda il suo signore, stupito:

- Signore, sapete bene ciò che è scritto negli Antichi Libri. La presenza del principe qui…

Sagmuski lo interrompe, infastidito:

- Sì, sì, lo so, me lo hai detto molte volte. Il suo potere di seduzione… rivalità… contrasti e altre cazzate… tutto scritto negli Antichi Libri. Ma ormai le forze che si opponevano a me sono state annientate. Il Toro ha svolto il suo compito e non ha senso lasciare il principe nella foresta. Lo voglio qui al palazzo.

- Negli Antichi Libri…

- Basta, Vragore. Nel Libro degli Amori è detto che nessuno può dare più piacere del giovane principe degli Aldebri…

- Ma è scritto anche che può portare alla distruzione…

- Basta!

Ora Sagmuski è furibondo.

- Le decisioni qui le prendo io. Tu sei al mio servizio, Vragore. Ricordatelo bene.

C’è una chiara minaccia nella voce del Signore delle Alture. Vragore china la testa. Le sue conoscenze sono immense, ma il suo potere gli viene dal Signore: può vedere attraverso gli occhi del principe degli Aldebri, perché la mente del giovane è sotto il controllo del Signore, ma non potrebbe controllarla, né opporsi a Sagmuski. E il Signore può distruggerlo, nonostante tutte le sue conoscenze.

- Sì, mio signore.

Sagmuski guarda Vragore. L’irritazione sta svanendo.

- Manda Andeo a prenderlo.

Vragore apre la bocca, ma l’occhiata del Signore gli toglie la parola. Inutile cercare di farlo ragionare.

Vragore si inchina ed esce. Raggiunge la terrazza. Ormai è notte. Mentalmente chiama Andeo.

Poco dopo c’è un frullare di ali e un giovane con grandi ali nere scende sulla terrazza. Si inginocchia davanti a Vragore, le ali ripiegate dietro, e attende l’ordine. Andeo è un krilorao: il suo popolo vive libero sui monti, ma il potere di Sagmuski lo ha reso schiavo. Andeo ha perso la sua volontà, come l’ha persa il principe degli Aldebri. Grande è il potere del Signore delle Alture.

- Andeo, devi volare alla Foresta Purpurea, fino al lago di Sumojeze. Là vicino troverai Dragulj, il principe degli Aldebri. Lo prenderai e lo porterai qui.

- Sarà fatto, mio signore.

- Quando sarai a destinazione, ti guiderò a trovare il principe.

Andeo si alza in volo, agitando le grandi ali potenti. In un’ora arriverà al lago. Un uomo a cavallo impiegherebbe diversi giorni. Ma tutti i krilorai sono forti e il loro volo è potente.

Vragore scende le scale e si dirige alla sua stanza. Sagmuski ha rapito il principe degli Aldebri per scatenare la guerra e ormai è riuscito nel suo intento: la guerra scoppierà, perché l’unico che poteva liberare il principe è morto. Ora il Signore delle Alture vuole possedere il giovane principe, la cui bellezza è abbagliante. Ma il suo arrivo provocherà rovina e morte.

Vragore sa di non poter fare nulla. Sagmuski non accetta che qualcuno si opponga ai suoi desideri. Gli altri sono per lui solo strumenti per raggiungere i suoi scopi e appagare i suoi desideri, che non vuole e non sa tenere a freno. Ma potere e piacere non sempre possono andare insieme. Il principe è il mezzo per provocare lo scoppio di una guerra e permettere a Sagmuski di estendere il suo potere. Ma portandolo qui, alla fortezza, per soddisfare la propria lussuria, il Signore delle Alture mette a rischio i suoi sogni di potenza e la sua stessa vita. Vragore spera di non essere coinvolto: quando cadono i potenti, nel loro crollo travolgono anche quelli che stanno sotto di loro.

 

Andeo vola rapido. Non si chiede perché lui, nato da una stirpe libera, ora è al servizio di un Signore. Obbedisce perché ogni volontà di resistere è stata annullata.

Il castello del Signore delle Alture si erge a strapiombo sopra il precipizio e domina tutta la foresta, illuminata dalla tenue luce di uno spicchio di luna.

Non ci sono ostacoli: le montagne sono alle sue spalle e davanti a lui c’è solo la pianura boscosa, fino alla Grande Corrente che la vista acuta di Andeo può scorgere in lontananza, una striscia d’argento.

Il giovane vola in linea retta, come una freccia scagliata dall’arco, verso il lago. Quando arriva a destinazione descrive un cerchio sopra lo specchio d’acqua, su cui si riflette la luce lunare. Sente il Sapiente, Vragore, guidarlo fino ad alcuni alberi, dove vede un giovane uomo, in piedi. Scende davanti a lui. Il principe è bellissimo: un corpo elegante che un tenue velo copre senza celare, la corona luminosa che brilla nella notte. Andeo ha l’impressione che gli manchi il fiato. Il desiderio si accende, violento. Controllandosi a fatica, Andeo dice:

- Devo portarti con me, principe.

Dragulj annuisce: più ancora di Andeo, non ha una volontà propria.

Andeo passa dietro al principe e lo solleva senza sforzo. I krilorai sono molto forti e possono portare grandi pesi: un maschio adulto come Andeo può sollevare un toro senza fatica.

Andeo stringe il principe tra le braccia e si dirige verso il castello. Ma ora che sente il corpo di Dragulj contro il suo, il desiderio lo inebria. Il cazzo gli si tende. Andeo accelera il volo, dirigendosi verso le montagne, ma non direttamente al castello del Signore delle Alture: la sua meta è uno spunzone roccioso sull’orlo del baratro, alcune leghe più a occidente.

Quando infine raggiunge le montagne discende sulla roccia. Tiene il principe tra le braccia e lo bacia sulla nuca. Dragulj non reagisce. Andeo lo accarezza, stringendolo a sé, mentre il suo cazzo si sfrega contro il culo del principe. Il krilorao gioca con i capezzoli del principe, stuzzicandoli, con il suo cazzo, che si tende, con i coglioni. Ora entrambi sono preda di un desiderio violento. Andeo guida il principe a mettersi a quattro zampe. Poi si stende su di lui e lentamente spinge il cazzo contro l’apertura segreta. Per la prima volta il principe viene penetrato. Sente il dolore della carne forzata e il piacere di questa massa calda che entra dentro di lui. Si abbandona completamente a queste sensazioni, alle mani di Andeo che percorrono il suo corpo, giocano tra i suoi capelli, stringono i capezzoli, stuzzicano il cazzo ormai teso. Il piacere cresce, mentre il dolore recede, fin quasi a scomparire. Andeo spinge con vigore: è un maschio forte e il piacere lo guida.

A lungo cavalca Andeo e infine per entrambi il piacere non può più essere contenuto ed esplode. Il seme di Andeo si sparge nelle viscere di Dragulj e quello del principe viene proiettato sulla roccia. Ora si accarezzano, si baciano, si stringono. Nessuno dei due è sazio.

 

Vragore dorme nella sua camera. Lo sveglia un servitore, che lo chiama.

- Sapiente, il Signore ti desidera.

Vragore indossa l’ampio mantello nero sul corpo nudo e si dirige alla torre superiore, dove vive Sagmuski. Il Signore è seduto sul trono ed è chiaramente irritato.

- Vragore, perché Andeo non è ancora qui? Ha avuto tutto il tempo per andare e tornare. L’hai guidato a trovare il principe?

- Sì, mio signore. L’ho seguito e posso garantirti che l’ha raccolto. Credevo che ormai fosse arrivato.

- No, non si è visto. Controlla dov’è.

Vragore chiude gli occhi e si concentra. L’immagine appare nitida.

- Non è lontano, è sullo sperone del Salto del Drago.

- Al Salto del Drago? E perché mai non è qui?

Vragore sorride, il sorriso stanco di chi vede confermate le sue paure e sa che ormai non c’è più nulla da fare:

- Ha ceduto al desiderio. Sta possedendo il principe.

- Cosa?!

Sagmuski è balzato in piedi, il viso stravolto dalla rabbia.

 - Ha osato… l’infame ha osato…

Quasi non riesce a parlare per l’indignazione. Infine recupera il controllo e ordina:

- Fallo rientrare subito. Pagherà con la vita.

Vragore pensa che tutto quanto è scritto negli Antichi Libri: l’arrivo del principe segna la rovina. Ma Sagmuski è ferito nell’orgoglio e nel desiderio ed è impossibile farlo ragionare. I potenti non amano ascoltare avvertimenti e non tollerano che qualcuno ostacoli i loro desideri.

- Subito, mio signore.

Vragore si concentra e invia la forza del suo signore. Andeo e Dragulj si riscuotono. Interrompono le loro effusioni e, senza dire una parola, Andeo solleva Dragulj e lo porta alla fortezza. Andeo sa di andare incontro alla morte. Vorrebbe cambiare direzione, ma non può: la volontà del Signore delle Alture lo guida.

Andeo scende sulla terrazza del palazzo, dove il Signore lo attente. Accanto a lui il Sapiente.

Sagmuski freme per l’indignazione e la vista del principe, della sua perfetta bellezza, accende ancora di più la sua rabbia: questo schiavo ha osato possedere colui che era destinato a lui, solo a lui. Pagherà, nel più terribile dei modi.

Sagmuski tende una mano al principe, che docile si avvicina a lui. Poi il Signore dà la spada del comando a Vragore, si volta verso il krilorao e gli dice:

- Sarai impalato e castrato, Andeo. Occupatene tu, Vragore.

Andeo guarda il Signore, un lampo di terrore negli occhi. Non c’è morte più orrenda, tanto più per uno come lui: l’agonia sarà interminabile.

Il Signore si è allontanato. Due servitori sono apparsi, pronti a eseguire gli ordini.

Andeo si inginocchia davanti al Sapiente.

- Se ho meritato la morte, dammi una morte meno orribile. Colpiscimi con quella spada.

Vragore scuote la testa.

- Vuoi che finisca io al posto tuo sul palo, Andeo?

Il Sapiente fa un cenno con il capo. I due servitori afferrano Andeo. Vragore pensa che al giovane basterebbe librarsi in volo per sfuggire, ma la potenza del Signore delle Alture glielo impedisce.

Vragore ritorna nella sua camera: non ha voglia di assistere all’impalamento. Sa che Andeo agonizzerà per diversi giorni, perché i krilorai non muoiono facilmente. Ma il Signore delle Alture è spietato: sulla terrazza inferiore ci sono sempre cinque pali aguzzi e di rado sono tutti liberi.

 

Nella sua camera Sagmuski guarda il principe. Sorride. Avere nelle sue mani questo giovane è quanto di meglio possa desiderare, per il suo piacere e per la sua ambizione. Gli brucia che Andeo abbia colto prima di lui il frutto segreto, ma l’infame pagherà. Di certo già ora i suoi servitori stanno infilando il palo nel corpo del condannato.

- Spogliami, Dragulj.

Il principe obbedisce: altro non potrebbe fare, perché la sua volontà è totalmente soggiogata. Le sue mani sfilano la tunica, poi tolgono le scarpe e calano i pantaloni.

Quando Dragulj ha tolto tutti gli indumenti, Sagmuski dice.

- Ora inginocchiati davanti a me e succhiami il cazzo.

Gli piace pensare che ora questo principe, di una stirpe che si considera superiore a tutte le altre e le disprezza, si umilierà davanti a lui.

Dragulj esegue l’ordine. In ginocchio davanti a Sagmuski, avvolge la cappella con le labbra e incomincia a succhiare. Non è abile come altri, ma al Signore fa piacere sapere di essere il primo a cui il principe rende questo servizio. Non sarà il primo a gustare il suo culo, ma l’urlo di Andeo, che risuona ora, proprio mentre il principe gli succhia il cazzo, lo fa sorridere. Quell’infame ha incominciato a pagare.

Quando il cazzo è teso e batte contro il ventre, grande e potente, Sagmuski ordina:

- Mettiti a quattro zampe.

Dragulj esegue

Sagmuski entra con forza, strappando al giovane un gemito. Poco gli importa di fare male. Anche se sa che la volontà di Dragulj è stata cancellata, riversa su di lui la propria irritazione per non essere il primo a gustare questo bel culo accogliente.

Sagmuski fotte a lungo. Quando il suo sborro si riversa nelle viscere del principe, esce. Si fa ancora pulire il cazzo. Poi dice:

- Adesso bevi il mio piscio.

Il principe si rimette in ginocchio e apre la bocca. Accoglie il getto e beve.

Sagmuski ride del suo trionfo. Il principe degli Aldebri, la stirpe più orgogliosa della Terra, beve il suo piscio.

Sagmuski non è sazio. Ha bevuto il moci, che esalta il desiderio e la potenza dei maschi. Scoperà tutta la notte.

 

(prosecuzione e conclusione del racconto)

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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