Missione a Occidente

(seconda parte)

 

 

Muzhrab apre gli occhi. Per un attimo non capisce dove si trova, poi, di colpo, tutto gli ritorna alla memoria. Si alza a sedere di scatto e vede, nella stanza dove hanno lasciato i cavalli, Bran che cuoce qualche cosa su due spiedi posti sopra il fuoco.

La sua voce è un urlo:

- Bran! Non sei morto.

Bran volta la testa verso di lui e sorride.

- No, direi di no.

Muzhrab si alza, si avvicina, senza badare alla fitta al culo. Posa una mano sulla schiena di Bran, quasi volesse sincerarsi che sia reale e non un’illusione.

- Sei vivo! Vivo! Che bello!

Si rende conto di avere le lacrime agli occhi. Non ricorda di aver mai pianto, se non quando era bambino.

Bran si è voltato verso di lui. I loro visi sono vicini. Muzhrab posa le mani sulle guance di Bran e si scambiano un bacio, delicato, poi un secondo, ardente.

- Bran, Bran.

È Bran a staccarsi.

- Non ora, Muzhrab, tra poco. L’ordine lo conosci già: prima si mangia, poi le spiegazioni, poi… alleggeriamo la tensione.

Bran sorride, ma Muzhrab non può attendere.

- Ma, mi avevi detto… Il Toro ti ha ucciso, nessuno può sopravvivere a una ferita del genere. E lui...

Bran prende uno spiedino dal fuoco e glielo porge.

- Prima mangia, tutto. Poi ti spiego.

Muzhrab sorride tra le lacrime.

- La solita spiegazione del cazzo, che non spiega niente?

Bran ride, prende il secondo spiedino e incomincia a mangiare:

- Per te magari la curiosità sarà più forte della fame, ma io ho assoluto bisogno di mangiare. Questa volta sono tornato anch’io dalla morte.

Muzhrab sorride. Non è curiosità la sua. In un certo qual modo ha bisogno di rassicurazione. Ha visto Bran morire ed è stato il più grande dolore della sua vita.

L’appetito è forte, il male al culo anche e il cazzo è teso allo spasimo. Tutto questo lo tranquillizza, gli dice che non è un sogno: è vivo e Bran è davanti a lui.

Ride, felice e dice:

- Non so che carni hai utilizzato, ma una parte è molto buona, l’altra non è il massimo.

- Ti fa tutto bene. Mangia tutto, poi ti spiego.

Muzhrab obbedisce: ormai gli è chiaro che Bran sa quello che bisogna fare e che deve seguire le sue istruzioni.

Dopo aver finito di mangiare, si puliscono le mani con uno straccio ricavato dalla tunica di Muzhrab.

Infine il guerriero può chiedere:

- Mi avevi raccontato una storia, Bran? O altrimenti, qual è la spiegazione?

- Nessuna storia.

- Ma tu sei qui, vivo.

- Quello che ti ho raccontato è vero, Muzhrab, e io sono morto, come tante altre volte, e poi sono tornato in vita. Il Toro non mi ha ucciso definitivamente, come io ho invece fatto con lui.

- Perché?

- Perché non è riuscito a fare ciò che io ho fatto a lui.

- Cioè?

- Staccargli i coglioni, Muzhrab. Castrandolo gli ho impedito di ritornare in vita.

- È questo! Quindi basta che qualcuno ti castri…

Bran scuote la testa e lo interrompe.

- No, Muzhrab. Deve farlo uno di noi. Sono stato castrato alcune volte, tra le tante esperienze poco piacevoli mi è capitato pure quello: in un caso ho pure visto un cane mangiare i miei coglioni. Non è il massimo, come esperienza, te lo assicuro. Ma essere castrato da qualcuno che non sia uno di noi non mi impedisce di tornare in vita. Il Toro non ha più avuto la forza di farlo, dopo avermi colpito a morte. Io ci sono riuscito. La carcassa del Toro è nella radura e se ne cibano diversi animali. Quando sono ritornato in vita era passato poco tempo, io non ci metto mai molto. Ho raccolto il tuo corpo e le armi e sono corso qui.

Di colpo Muzhrab ripensa al principe.

- Il principe! Mi ha colpito. Perché?

- Una bella domanda. Senza dubbio il principe era sotto l’influsso di qualche forza oscura. Io sono riuscito a limitarne l’influenza, ma la presenza del Toro mi ha costretto a concentrarmi sulla minaccia più grave. La forza oscura ha preso il sopravvento e quando lui ha pensato che io fossi morto, ti ha ucciso.

- E dov’è, ora?

- Non lo so. Non nella camera sotto la radura, ho controllato. Ma lo troveremo. Senza il Toro, non sarà difficile portare a termine la nostra impresa. Almeno lo spero.

Muzhrab annuisce.

- Adesso, Muzhrab, alleggeriamo la tensione, ma in modo diverso.

- Che cosa intendi?

- Non te l’eri mai preso in culo prima che quel bastardo dell’Orso lo facesse e suppongo che tu non abbia mai neanche succhiato un cazzo.

Muzhrab sorride.

- No, in effetti. Però bada a come parli dell’Orso: se gli dai un’altra volta del bastardo, ti spacco la faccia.

- Non ti capisco proprio, dopo quello che ti ha fatto… Comunque torniamo a noi. Non hai mai succhiato un cazzo, come pensavo, ma è quello che devi fare ora. Se vuoi ti spiego subito il perché, ma dato che ormai il cazzo ti fa male, direi che conviene darci da fare.

Bran ha ragione: il cazzo gli fa davvero male.

- Bran, di te mi fido completamente e tutto sommato…

Muzhrab ridacchia e conclude:

- …con te non mi spiace provare qualche cosa di nuovo.

Vorrebbe aggiungere che con Bran sarebbe disposto a sperimentare qualsiasi cosa, ma d’improvviso prova vergogna.

Bran lo guida a stendersi su un fianco e si stende accanto a lui, ma in direzione opposta, in modo da avere il cazzo di Muzhrab davanti alla bocca.

- Ora datti da fare, come io mi darò da fare con te. Però quando verrò, non sottrarti. Devi bere, Muzhrab, fino all’ultima goccia.

- Va bene. Ma non so se riuscirò a tenerlo in bocca. Non tutto, non ci starebbe mai. Anche solo la cappella.

Bran ride:

- Ce la puoi fare. Impegnati, pigrone.

E dopo aver detto queste parole, Bran passa la lingua sul cazzo di Muzhrab, poi con le labbra avvolge la cappella e incomincia a succhiare. La sensazione è tanto forte che Muzhrab chiude gli occhi. È la seconda volta che scopa con Bran e, come la prima, ciò che prova è diverso e più forte di tutto ciò che ha provato nella sua vita.

Muzhrab respira a fondo, apre gli occhi e prova a usare la lingua. Poi avvolge la cappella, ma questo lo costringe a spalancare troppo la bocca e dopo un po’ diventa fastidioso, per cui lavora la cappella un po’ per volta, leccando e succhiando senza cercare di inghiottirla interamente.

Non ha mai succhiato il cazzo di un uomo e ora che lo sta facendo, si chiede perché non l’ha fatto prima. Forse perché non ha mai incontrato prima un uomo come Bran. Forse perché non ha mai provato per nessuno ciò che prova per Bran. I pensieri vanno e vengono nella sua testa, confusi, poi si diradano e scompaiono: rimane solo il godimento, intensissimo. Le labbra e la lingua di Bran lavorano sul suo cazzo, facendo vibrare tutto il suo corpo di piacere, e il boccone di carne che sta leccando e succhiando è il piatto più gustoso che abbia mai avuto davanti.

Bran smette un attimo e dice:

- Sto per venire, Muzhrab. Bevi, tutto.

Muzhrab annuisce. Apre bene la bocca e inghiotte la cappella, per non perdere nemmeno una goccia. Sente il fiotto scendergli in gola, abbondante. E quando ha finito di bere, il piacere esplode dentro di lui, mentre dal suo cazzo il seme sgorga e Bran lo inghiotte.

Muzhrab è esausto. Chiude gli occhi e si stende sulla schiena. Non è mai stato così bene. Non ha mai goduto tanto.

Bran si china su di lui. Le sue labbra gli sfiorano il viso. È solo un attimo, ma è bellissimo.

Dopo un buon momento, Muzhrab apre gli occhi e dice:

- Non dovremmo partire alla ricerca del principe?

- Non adesso. Dobbiamo aspettare qualche ora. E prima dobbiamo fare un’altra cosa.

- Che cosa?

- Riposati un po’.

- Non ho sonno.

- Sonno no, ma… credo che tu ti senta stanco.

- Sì, è vero.

- Allora riposa. Poi ne parliamo.

- Bran…

- Dimmi.

- Hai voglia di darmi la mano?

Bran si stende accanto a Muzhrab e gli stringe la mano. È bello stare così.

I pensieri di Muzhrab vagano, fino a che la voce di Bran lo riscuote.

- Muzhrab, ascoltami. So che il culo ti fa male, ma è necessario che io te lo metta di nuovo in culo.

Muzhrab si solleva su un gomito e lo guarda perplesso. Bran spiega:

- È davvero importante, Muzhrab, non lo dico solo perché ho voglia di gustare il tuo culo, anche se è vero che lo faccio molto volentieri.

- Bran, di te mi fido. Non so come farò a reggere, ma se è necessario, si fa.

- Farà male parecchio, ma poi passerà. Te lo garantisco.

- Va bene.

Muzhrab si volta sulla pancia e allarga le gambe. Il culo gli fa davvero molto male. L’idea che Bran lo infilzerà di nuovo con quel palo che porta tra le gambe lo sgomenta, ma nonostante questo ha voglia di provare: finora Bran lo ha preso solo mentre era morto.

Bran si sputa sulla mano e sparge la saliva sulla cappella. Sputa una seconda volta e inumidisce bene l’apertura. Poi si stende su di lui. Lo bacia sulla nuca. Muzhrab sente lo sperone premere contro il buco del culo. Fa male, parecchio, ma il suo cazzo reagisce e si tende. Nonostante il dolore, c’è anche piacere. Bran avanza, lentamente. Il dolore cresce. Muzhrab si dice che non riuscirà a reggere, ma tace. Se va fatto, va fatto. E la sofferenza si mescola a qualche cos’altro, che è godimento. Bran non spinge a fondo e si muove lentamente, introducendo appena la cappella nel culo di Muzhrab e poi ritraendola quasi completamente. Va avanti a lungo e piacere e dolore si mescolano, fino a diventare intollerabili. E nel momento in cui Muzhrab ha la sensazione di non riuscire più a reggere, sente il liquido inondargli le viscere e il piacere esplode: viene, con un grido.

Bran esce da lui. Si sdraia, la schiena un po’ sollevata contro la parete, e lo guida a stendersi su di lui. Lo tiene tra le braccia e lo accarezza.

Il dolore è violento. Muzhrab ha la sensazione che gli abbiano affondato una spada in culo. Ma le carezze di Bran rendono tollerabile anche il dolore.

- Mi spiace, so che ti ho fatto un male bestiale. Due volte a breve distanza è troppo per chiunque. Ma era necessario.

- Perché, Bran?

Mentre il dolore al culo lentamente si riduce, Bran parla:

- Ascolta, Muzhrab. Ora hai il mio sborro dentro di te, in culo e nello stomaco. Si sta diffondendo in tutto il tuo corpo. Te ne accorgerai quando da entrambe le parti avrà raggiunto la pietra che porti in te. Questo significa due cose, ugualmente importanti. In primo luogo, se qualcuno ti ucciderà, rimarrai molto a lungo tra le due soglie, per cui dovrei riuscire a riportarti al di qua della prima soglia. Anche se dovesse passare un mese.

- E se distruggessero il mio corpo, che so, bruciandolo?

- So come fare anche in questi casi. Per impedirmelo dovrebbero uccidermi, ma tra Coloro Che Ritornano non è rimasto nessuno legato al Male. Potrebbero bloccarmi in qualche modo, ma non è facile: siamo una forza antica, spesso anche chi ha grandi poteri non sa come neutralizzarci.

- Sì, anche la donna che mi ha parlato di questa impresa ha detto qualche cosa del genere, che tu sfuggivi alle sue conoscenze.

Bran annuisce e riprende

- Il secondo vantaggio è che qualunque ferita non ti toglierà le forze e guarirà molto in fretta. Se riescono a decapitarti o infilarti una spada nel cuore, muori, altrimenti sei in grado di continuare a combattere anche se ti hanno tagliato un braccio, che si riattaccherà o sarà rigenerato in breve tempo.

- Allora credo che valesse il male al culo. Però… non lo facciamo più, due volte di seguito: è davvero troppo.

Muzhrab ride e anche Bran ride, accarezzandolo.

- Quando il processo che sta avvenendo in te sarà stato completato, non ti farà più male.

- Questo mi sembra davvero un’ottima cosa.

Bran non dice più nulla rimangono in silenzio. Muzhrab avverte che il dolore sta svanendo e che qualche cosa sta cambiando in lui. Non saprebbe dire che cosa. È un flusso di energia che invade tutto il suo corpo. Il cazzo gli si tende nuovamente, anche se è venuto due volte.

Bran parla:

- Ecco, adesso il processo è completato. Non hai più male, vero?

- No.

- Bene, tra una mezz’ora potremo andare.

- Dove?

- Dobbiamo ritrovare il principe. Ed eliminare l’incantatore.

- Hai un’idea di chi sia?

- No. Ci sono infinite possibilità: può essere uno dei demoni che stanno oltre le montagne, un figlio di Lilith o di Eva con grandi poteri, qualche incrocio di stirpi diverse o che cazzo ne so. Ma lo scopriremo, trovando il principe.

- Mi sembri molto più ottimista di prima sulla nostra missione.

- Sì, ora che non c’è più il Toro, abbiamo maggiori possibilità di successo. Adesso la situazione è mutata: morto il Toro, nessuno può individuarmi e le trasformazioni avvenute in te, renderanno difficile sentire la tua presenza.

- In che senso?

- Ci sono esseri che possono sentire la presenza di un particolare uomo. Ma tu sei mutato e non sarà facile per loro riconoscerti.

- Ottimo. Adesso, però…

Muzhrab sorride e si interrompe. Bran chiede:

- Sì?

- Vuoi mica lasciarmi così, con il cazzo duro? Potrei non essere concentrato.

- Ti do una mano? E va bene.

Bran afferra il cazzo di Muzhrab e incomincia a muovere la mano verso l’alto e verso il basso, in modo un po’ rude. Al guerriero non spiace questa brutalità. Mentre la destra procede, la sinistra accarezza il petto di Muzhrab, poi scende ai coglioni e ci giocherella un po’.

Il tutto fa un certo effetto anche su Bran e Muzhrab può sentire un cazzo sempre più duro e più grosso premere contro il proprio culo.

- Bran…

- Dimmi.

- Se vuoi… se vuoi, puoi mettermelo in culo. Non mi fa più male.

In realtà Muzhrab si rende conto di desiderarlo, anche se l’idea lo spaventa.

Bran gli accarezza il viso e dice.

- No, ora non è possibile.

- Non abbiamo tempo?

- Non è una questione di tempo. Ti spiegherò poi, se portiamo a termine la missione.

- Va bene.

Le spiegazioni possono attendere.

La destra di Bran continua a lavorare e infine Muzhrab sente che il piacere sta per esplodere nuovamente. Il fiotto prorompe, impetuoso, raggiungendo il petto e la barba di Muzhrab. Alcune gocce ricadono sulle labbra. Il piacere è violento. Il guerriero chiude gli occhi.

Dopo un momento li riapre e chiede:

- Bran perché scopare con te è… diverso da tutto quello che ho provato? Non ho mai goduto tanto. A parte il fatto che sono venuto tre volte in forse un’ora.

- Il tuo corpo ha subito molti cambiamenti. E poi…

Bran ride e completa:

- Io sono bravo a scopare.

Muzhrab scuote la testa. Si alza, anche se rimarrebbe volentieri disteso sulla morbida pelliccia calda che lo sosteneva, e si pulisce.

Si rivestono e si preparano per uscire.

- Prendiamo i cavalli. Non sappiamo fino dove dovremo arrivare.

Escono. Fuori è notte, Muzhrab non saprebbe dire l’ora, ma un’occhiata al cielo in un punto in cui gli alberi sono meno fitti gli dice che mezzanotte è passata. C’è un piccolo spicchio di luna. Non hanno molti giorni, per ritrovare il principe. Quando la luna sarà piena, sarà troppo tardi.

Si allontanano dalla stanza che non esiste. Poi si mettono in ascolto. A entrambi arriva un’eco lontana. Non saprebbero dire da che direzione proviene, ma dopo qualche tentativo la individuano: verso Nord.

Bran sembra perplesso.

- Nord? Cazzo!

- Qual è il problema, Bran?

- Verso Nord si ritorna alla pista. Gli aldebri hanno isolato la zona in cui si trova il principe. Non può essere andato oltre la pista.

- Non potrebbe essere stato reso invisibile?

- No, non puoi rendere un aldebro invisibile agli altri. Questo vuole dire che con ogni probabilità è in quest’area, in una dimora sotterranea.

- Una dimora sotterranea? Come quella sotto la radura?

- Quella era solo una prigione, diciamo. Chi ha catturato il principe preferiva non tenerlo nella sua residenza, finché non fosse fallito il tentativo di liberarlo.

- E adesso invece…

- Adesso invece potrebbe tenerlo con sé, se è convinto che io e te siamo morti, come senza dubbio il principe gli ha detto.

Bran riflette un momento.

- In quest’area, tra questo punto e la pista, verso Nord… ci sono sicuramente due o tre Dimore.

- Che cosa intendi?

- Abitazioni dei figli di Lilith: alcuni di loro vivono sotto terra, altri in abitazioni simile a quelle dei figli di Eva. Tu dicevi che a rapire il principe possono essere stati loro insieme agli umani.

- Quindi dobbiamo cercare una dimora sotterranea.

- Probabilmente, a meno che… staremo a vedere. Adesso dobbiamo muoverci.

Cavalcano ancora un po’, fino a che Bran dice:

- Sento la presenza degli aldebri. Sono qui vicino. Non può essere passato di qui.

- Eppure io sento che è ancora più a nord.

- Un passaggio sotterraneo? Oppure…

- Oppure?

- Mi è venuta un’altra idea. Ma devo verificare.

Bran china la testa e si concentra, poi scarta verso sinistra e raggiunge una piccola radura. Dice, a voce alta:

- Figlio di Ma, so che sei qui vicino.

Dopo un attimo una voce risponde. Muzhrab ha l’impressione che sia una voce femminile.

- Chi sei? Che cosa vuoi da me?

- Tu sai chi è con me.

C’è un momento di silenzio, poi di nuovo si sente la voce:

- Sì, lo so.

- Il principe è andato verso nord. Come ha potuto superare la vostra cerchia senza che ve ne accorgeste?

- Crediamo che sia stato portato via da un krilorao.

Bran soffoca il “Merda!” che gli è venuto alle labbra: gli Aldebri sono molto raffinati e non apprezzano gli umani grossolani. Bran non va molto d’accordo con loro.

- Un krilorao? Non un siskro?

Bran non riesce a immaginare un krilorao che si metta al servizio del Male. Tra i Siskri invece è frequente.

- No, un krilorao.

- Che è volato verso nord.

- Sì, forse…

- Forse?

- Forse verso la fortezza del Signore delle Alture.

Questa volta Bran non riesce proprio a trattenersi:

- Merda!

La voce tace. È Bran a riprendere:

- Raggiungeremo la fortezza.

Dopo un momento la voce dice:

- Buona fortuna. Non avete molto tempo.

Bran mormora, piano:

- Merda!

Poi sprona il cavallo. Muzhrab lo segue. Poco dopo Bran si ferma. Muzhrab gli chiede:

- Qual è la situazione, Bran?

- Il principe deve essere stato rapito dal Signore delle Alture: è lui la forza che controlla la sua mente.

- Chi è?

- Un figlio di Lilith, che ha grandi poteri. Ma non così grandi che non possiamo affrontarlo.

- Questa è una buona notizia.

- Col cazzo, Muzhrab. La fortezza è a diversi giorni da qui, almeno quattro o cinque.

- Diversi giorni? Dobbiamo riuscire a liberare il principe e a riportarlo da suo padre prima della luna piena.

- Già! Siamo nella merda. Adesso mettiamoci al galoppo. Cerchiamo di arrivare alla pista il più in fretta possibile.

Muzhrab è perplesso: se devono percorrere una lunga strada, è assurdo affaticare i cavalli, che non possono certo reggere al galoppo per quattro giorni. Ma Bran sa quello che fa, per cui il guerriero preferisce non dire nulla.

Arrivati alla pista, si fermano. Bran scenda de cavallo e Muzhrab lo imita.

- A cavallo non arriveremo mai. Ti lascerei qui e andrei da solo, ma se è scritto che solo tu puoi liberarlo, non posso farlo io senza di te.

Muzhrab lo guarda dubbioso. Non capisce come Bran potrebbe andare più in fretta dei cavalli. Chiede:

- Perché, tu potresti andare più veloce di un cavallo?

- Sì, come Orso. Ci metterei di meno. Ed è quello che faremo.

- Non capisco, allora…

- Dobbiamo riuscire a liberare il principe e a riportarlo dagli aldebri prima del plenilunio, no? Altrimenti la guerra sarà già scoppiata. Avremmo anche il tempo di andare e tornare, ma basta che qualche cosa vada storto, anche una cosa minima, e sarà troppo tardi. La guerra scoppierà.

- E allora…

- Allora ti porterò a spalle.

Muzhrab guarda Bran senza capire. È più alto di lui ed è forte, ma che possa correre più di un cavallo… non è possibile. Bran ha capito benissimo la perplessità di Muzhrab, ma non se ne preoccupa: l’amico scoprirà in fretta come stanno le cose.

- Prendi la sacca, così abbiamo un po’ di cibo. Adesso io mi trasformerò. Tu salirai sulle mie spalle e mi dirigerò verso la fortezza. Dovrai tenerti forte, perché correrò. Non devi cadere: se non riesci più a reggere, avvisami. Porterai anche il mio pugnale e la mia spada.

Muzhrab annuisce. Bran sa quello che fa.

Bran si toglie la tunica e i pantaloni. Ora è nudo davanti a Muzhrab. Benché abbia mille altri pensieri per la testa, Muzhrab si dice che avrebbe voglia di scopare con lui. Bran infila tunica e pantaloni nella sacca e gliela porge. Muzhrab la prende e se la lega sulle spalle in modo che non cada. Fissa bene anche la spada e il pugnale di Bran: se deve tenersi forte, non può avere nulla in mano.

- E i cavalli?

- Il mio so come richiamarlo. Spero che il tuo gli vada dietro. Non abbiamo altra scelta.

Muzhrab annuisce. Il cavallo e la spada sono tutto quello che possiede. Gli spiace molto perdere il cavallo, ma se porterà a termine la missione, riceverà di certo una ricompensa. Se non ci riuscirà, la perdita del cavallo sarà il meno. Probabilmente non avrà più bisogno di un cavallo, né di altro, a parte una fossa per il corpo, sempre che non venga divorato dagli animali o bruciato o... le possibilità sono tante, inutile passarle in rassegna.

- Sono pronto.

Bran tace. Muzhrab lo vede appena: la luce della luna non è abbastanza forte. Gli sembra che divenga più scuro e che cresca. Sì, si sta trasformando in orso, l’orso che ha combattuto contro il toro, molto più alto di un orso normale. Fa impressione vederlo così. Ora lo sovrasta, enorme e possente.

Bran si china su di lui.

- Sali sulla mia schiena, mettimi le mani intorno al collo e attaccati ai peli. Non devi cadere.

Muzhrab sale. Sente l’odore di selvatico, forte. E il fitto vello di Bran è diventato una vera pelliccia, folta, in cui Muzhrab può affondare le mani. Stringe con forza, per tenersi ben saldo.

Bran si mette a correre. È velocissimo, nonostante corra nel bosco, tra mille ostacoli. Muzhrab si accorge che non è facile mantenere la presa. Si tiene attaccato con tutte le sue forze. Nel buio intorno a lui il paesaggio muta in continuazione e gli sembra che soffi un forte vento, ma Muzhrab sa che non c’è un refolo d’aria: è la velocità della corsa a dare questa impressione. A tratti Bran corre a quattro zampe, quando il terreno lo permette: allora la velocità diventa vertiginosa e Muzhrab deve chiudere gli occhi, perché l’aria gli dà fastidio e il movimento gli provoca conati di vomito. In altri momenti Bran si muove a due zampe, ma anche così è molto più veloce di un cavallo al galoppo.

Il cielo incomincia a schiarirsi a oriente. Muzhrab ha le braccia indolenzite e si rende conto che non è più in grado di reggere a lungo. All’alba arrivano sulle sponde di uno dei tanti laghi della regione e la vista può spaziare fino alle montagne, che ora sono molto più vicine di quanto immaginasse. Devono aver percorso un tratto lunghissimo.

Bran si ferma e si china.

- Scendi Muzhrab.

Muzhrab scivola a terra, contento di poter riposare le braccia. Mentre si massaggia mani e polsi, davanti ai suoi occhi, Bran si trasforma, riprendendo il suo aspetto umano. Ora che è abbastanza chiaro, può vederlo bene. Molti non lo considererebbero una bella vista, ma per Muzhrab lo è. Lo sguardo indugia un momento sul grosso cazzo, sui bei coglioni pelosi.

- Pensi sempre a scopare!

La voce di Bran lo fa sussultare.

Bran ride. Poi dice:

- Vieni.

Bran non si è rivestito. Mentre si muove dietro di lui, Muzhrab ne osserva il grosso culo peloso. Il cazzo gli si tende. Sa che Bran ne riderebbe, ma un po’ si vergogna.

Raggiungono alcune grandi pietre, che formano un corridoio coperto. Si infilano in esso e di lì passano in una cameretta laterale. Muzhrab non chiede come mai Bran conosce l’esistenza di questo spazio: ormai ha capito che in queste terre Bran è vissuto a lungo.

- Adesso dormiamo. Mi spiace lasciarti a digiuno…

- A digiuno? Non ho fame.

- Mi riferivo a un’altra fame.

- Non scherzare, Bran, dai. Scopo volentieri con te, ma non sono così affamato. Questa notte sono venuto tre volte. Non è che mi capiti spesso. Non mi era mai capitato, a dire il vero.

- Sì, ma lo faresti volentieri una quarta.

Muzhrab scuote la testa.

- Non lo nego, ma posso resistere.

Bran sorride:

- Scoperei volentieri anch’io, ma correre così esaurisce le mie forze e ho assoluto bisogno di dormire. Hai voglia di dormire tra le mie braccia? Qui non è necessario, ma mi farebbe piacere.

- Non ho mai trovato un letto più comodo. Molto volentieri.

Muzhrab si toglie i pantaloni. Bran si stende contro la parete e Muzhrab si appoggia a lui. È bello sentire le sue braccia intorno al petto, il calore del suo corpo sotto di sé.

- Adesso dormiamo. Più tardi vediamo il da farsi.

 

*

 

È giunto il mattino. Sagmuski è sazio. Non ha mai goduto tanto nella sua vita: nessun corpo gli ha regalato il piacere intenso di questo. E quel coglione di Vragore non voleva che il principe venisse portato alla fortezza! Le antiche profezie… cazzate, il guerriero è morto, come pure la forza che riusciva a contrastare la sua. Nessuno può più ostacolare i suoi progetti.

Adesso il Signore è stanco e vuole dormire. Chiama un servitore:

- Portate il principe nella stanza rossa.

La stanza rossa è al piano inferiore, di fianco alla camera di Vragore.

- Dirai al Sapiente di vegliare su di lui.

Dragulj non cercherà certo di fuggire: la sua volontà è stata annullata, ma proprio per questo il giovane potrebbe concedersi perfino a un servitore, come si è concesso ad Andeo. E la sua bellezza incantata sicuramente desta il desiderio di tutti coloro che lo vedono. Vragore controllerà che nessuno si avvicini al principe.

 

Il servitore accompagna il principe nella stanza che gli è stata destinata ed entra in quella del Sapiente. Vragore sta dormendo, un sonno pesante, disturbato da incubi: la sensazione di catastrofe incombente con cui è andato a dormire ha provocato sogni di morte. Dalla soglia il servitore guarda il corpo nudo. Forte, villoso, virile, sembra più il corpo di un guerriero che quello di un sapiente.

- Sapiente!

Vragore si desta, gli incubi si dissolvono al risveglio, lasciandogli addosso un senso di pesantezza. Sa che se il servitore lo ha destato, è per ordine del Signore o per qualche problema urgente.

- Che cosa vuoi?

Il servitore gli dice:

- Il Signore ha detto che devi vegliare sul principe.

Vragore annuisce. Si alza, senza badare al servitore che lo guarda, e indossa il solito mantello nero che avvolge il corpo nudo. Il servitore si volta e si allontana. Vragore entra nella camera del principe. Prova un senso di oppressione. Sa che le antiche profezie non mentono: l’impalamento di Andeo ne è la prima conferma. La fine del Signore delle Alture sarà anche la fine del Sapiente al suo servizio. Tutti gli altri servitori sono figli di Eva o di Lilith la cui mente è dominata dal Signore, schiavi che non sono coscienti di esserlo. Vragore ha liberamente scelto il Signore delle Alture come padrone, convinto di poter partecipare della sua potenza. Gli Antichi Libri dicono che la guerra porterà distruzioni immense e che il Signore delle Alture potrà estendere il suo potere su tutte le terre circostanti. Colui che avrebbe potuto evitare la guerra è morto, la forza che riusciva a contrastare il potere del Signore è stata annientata: il trionfo è vicino. Ma il desiderio del Signore rischia di portarlo alla rovina. Portare il principe nella fortezza è stato un passo falso.

Il principe dorme, coperto dal leggero velo nero che nulla nasconde, ma esalta la bellezza di questo corpo perfetto. Vragore fa due passi verso il letto. Si rende conto che dovrebbe voltarsi e mettersi sulla soglia: questa carne abbandonata al sonno è una tentazione troppo forte. Vragore si volta verso la porta. Vorrebbe allontanarsi, ma vuole ancora guardare una volta il principe. Si gira nuovamente. Il principe dorme, il petto si solleva e si abbassa ad ogni respiro.

Vragore avanza fino a raggiungere il letto. Gli basterebbe allungare una mano per toccare questo corpo abbandonato al sonno. Gli sembra che il braccio si muova non per un ordine che parte dal suo cervello, ma per una volontà propria. Appoggia la mano sul petto, poi la fa scorrere, lentamente, sfiorando il ventre, fino al cazzo.

Il principe apre gli occhi e guarda Vragore.

Il Sapiente intuisce di essere perduto. Prima o poi il Signore delle Alture verrà a saperlo. Ma gli sembra che non abbia importanza. L’unica cosa che conta ora è questo corpo che sta per possedere, questo viso che gli sorride. Vragore lascia cadere a terra il suo mantello e rimane nudo, il cazzo già teso.

- Voltati, Dragulj.

Il principe obbedisce.

- Allarga le gambe.

Nuovamente l’ordine viene eseguito.

Vragore si mette in ginocchio tra le cosce del principe. Si sputa sulla mano inumidendo la cappella, poi l’avvicina al buco. Forza l’apertura e spinge il cazzo all’interno, fino in fondo. La sensazione è fortissima. Sta fottendo il principe degli Aldebri, come prima di lui hanno fatto solo Andeo e il Signore. Andeo sta agonizzando. Vragore sa che la sua sorte non sarà migliore: la morte lo prenderà e non risparmierà nessuno. Ma ora non conta, ora l’unica cosa che importa è questo corpo caldo, questo culo che accoglie il suo cazzo, queste natiche che le sue mani stringono spasmodicamente.

Vragore spinge con forza, lasciandosi trascinare dal desiderio, finché il piacere esplode e viene. Si lascia andare sul corpo di Dragulj, ebbro di godimento. Lentamente il respiro ritorna normale. Il desiderio si riaccende. Con la mano accarezza la testa del principe. Sussurra:

- E adesso me lo succhi.

Mentre lo dice, Vragore avverte qualche cosa che non saprebbe definire. Volta la testa verso l’ingresso.

Sulla porta c’è Sagmuski.

Vragore annuisce. Guarda il corpo del principe. La sua presenza al castello avrebbe segnato la fine. Le profezie erano chiare. Così è stato.

Sagmuski ha già chiamato quattro servitori. Vragore sa che è inutile implorare pietà.

Gli legano le mani dietro la schiena e lo trascinano ai pali. Andeo è infilzato su quello più vicino al precipizio. È ancora vivo: ci vorranno giorni prima che la morte gli permetta di sfuggire alla sofferenza. Vragore pensa che almeno la sua fine sarà più rapida: gli umani non sopravvivono tanto a lungo sul palo.

Vragore volta la testa verso il Signore. Dice, con una voce in cui non c’è traccia di emozione:

- La mia fine sarà anche la tua.

- Taci, o ti farò tagliare la lingua.

Vragore non dice più nulla. Lo forzano a stendersi, il busto su una specie di sella. Gli bloccano il capo con un forcone. Due servitori gli legano le caviglie con corde e tirandole lo costringono a divaricare al massimo le gambe. Tutti sanno perfettamente come fare: hanno ampia esperienza.

Il boia è già arrivato. Mette un sostegno, poi con il suo aiutante toglie uno dei pali e lo poggia sul sostegno, in modo che la punta sia in direzione del buco del culo di Vragore. Prende un coltello e gli si avvicina. Infila il coltello nel buco e lo muove verso l’alto, in modo da tagliare la carne e allargare l’apertura, strappando un urlo al suppliziato.

Poi si mette in posizione, spinge il palo fino a che la punta non appoggia sul buco e con un martello di legno incomincia a vibrare colpi all’estremità opposta del palo. Vragore urla mentre il palo penetra nella carne, poi le urla si spengono in un singhiozzo continuo.

Quando il palo è all’altezza del petto, il boia e il suo aiutante lo sollevano e lo sistemano nel buco da cui l’hanno tolto. Il corpo di Vragore sussulta, quando il palo viene messo in verticale.

Sagmuski sputa a terra.

- Castralo, Uboica.

Poi si allontana, mentre il boia esegue il suo ordine. Sente l’urlo di Vragore e scoppia a ridere. Sa di aver perso un alleato potente. Ma ormai i suoi piani si stanno realizzando. Troverà altri alleati: chi vince non fatica a trovare qualcuno che si schieri dalla sua parte. Tutti salgono volentieri sul carro del vincitore.

 

*

 

Muzhrab è sveglio da tempo, ma non si muove per non disturbare il sonno del suo compagno. E poi sta così bene contro questo corpo forte, tra queste braccia vigorose. Vorrebbe rimanere con lui. Se riusciranno a portare a termine l’impresa che devono compiere, che cosa sarà di loro? Si separeranno, ognuno per la sua strada? Il pensiero è molto doloroso. E se… se… se vivessero insieme? Muzhrab non è mai vissuto davvero insieme a un uomo, non ne ha mai provato il desiderio. Ma ora lo vorrebbe, vorrebbe potersi svegliare il mattino tra le braccia di Bran, scopare con lui.

No, non è possibile, la sua fantasia vola troppo. Bran è uno di Coloro Che Ritornano e Muzhrab è solo un figlio di Eva, soggetto alla vecchiaia e alla morte.

Muzhrab accarezza le braccia di Bran, sfiorandole appena. Un senso di tristezza lo invade.

È tutto nuovo per lui. Ha provato spesso rabbia e dolore nella vita: i rapporti con il fratello lo hanno amareggiato e più volte il pensiero della sua condizione ha provocato reazioni irose. Ma non ha mai provato questa tristezza che ora lo invade, un rimpianto per ciò che non potrà essere.

Ha desiderato altri corpi, più volte, ma non ha mai desiderato di avere accanto a sé qualcuno con cui condividere i propri giorni. Ciò che prova per Bran non è solo il desiderio fisico, violento, che gli accende il corpo e gli tende il cazzo. È qualche cosa a cui Muzhrab non osa dare un nome, anche se è un nome che conosce benissimo, forse proprio per quello.

Ha scopato con diversi uomini. Ne ha posseduti, tanti: è un bell’uomo, forte, valoroso, a cui altri si danno volentieri. Ma nessuno gli ha mai trasmesso le sensazioni che gli trasmette Bran, a nessuno ha mai desiderato di darsi.

Il benessere che provava è svanito. Muzhrab si rende conto di soffrire. È assurdo. Non deve pensare a un futuro lontano: potrebbe non avere nessun futuro, perché la missione comporta rischi mortali.

È quasi il tramonto quando Bran si sveglia: ha dormito molto a lungo.

- Sei sveglio, Muzhrab?

- Sì.

- Allora alzati. Se rimani su di me, mi sa che perdo il controllo.

Bran ride. Muzhrab vorrebbe rispondergli che per lui va bene se perde il controllo, ma sa che devono pensare ad altro. Si alza, a malincuore, ignorando il proprio cazzo mezzo duro e quello di Bran, rigido e teso.

- Ora non abbiamo tempo, ma spero proprio che riusciremo a recuperare.

Bran gli strizza l’occhio, poi coglie qualche cosa dello stato d’animo del guerriero e gli chiede:

- Qualche cosa non va, Muzhrab?

Muzhrab scuote le spalle.

- Niente, mentre aspettavo che tu ti svegliassi mi sono posto domande inutili, ho pensato al passato, al futuro… potevo farne a meno. Cazzate.

Bran lo guarda fisso.

- Muzhrab, non so quali problemi ti poni. Ora dobbiamo portare a termine questa missione. Se ci riusciamo, avremo tempo e modo di parlare, ma di una cosa puoi essere sicuro: il tuo futuro sarà completamente diverso dalla vita che hai vissuto fino a ora.

Muzhrab fissa Bran senza rispondere. L’Orso ha ragione. Ci sarà tempo e modo di parlare, di soffrire. Adesso bisogna che si concentrino su come portare a termine il loro compito.

- Questa notte arriveremo ai piedi delle montagne. Ti porterò io, come la notte scorsa. Poi saliremo, a piedi, come due guerrieri che vogliono andare alla fortezza. Con un’andatura normale ci vogliono due ore per arrivare alla base del castello, ma di sicuro le sentinelle ci avvisteranno prima.

Bran continua a parlare, esponendo il suo piano. Muzhrab ascolta, attento. Pone qualche domanda, a cui Bran dà una risposta.

Bran conclude:

- Questo è tutto. Se il nostro piano funzionerà, riusciremo a liberare il principe e in qualche modo lo porteremo nelle terre degli Aldebri, quella non è certo la parte difficile. Altrimenti… staremo a vedere. Il Signore delle Alture ha sicuramente corde magiche che gli permetteranno di legarmi, ma non può tenermi prigioniero tanto a lungo. E se ti uccide, conto di riportarti in vita.

C’è un momento in cui Muzhrab vorrebbe rispondere che può anche non riportarlo in vita, ma sarebbe davvero una risposta stupida. Si limita ad annuire. Deve fugare questa tristezza assurda e concentrarsi sull’impresa.

Mangiano un boccone, poi escono all’aperto. Bran si trasforma e Muzhrab si sistema la sacca come la volta scorsa. Poi Bran si china e Muzhrab gli sale sopra.

Il viaggio è di nuovo molto veloce. Vi sono vaste aree scoperte, in cui Bran procede rapidissimo, cercando di rimanere vicino ai grandi alberi, dove l’oscurità è più fitta. Muzhrab pensa che la sua vista incuterebbe il terrore in qualsiasi umano. Non sa se anche i figli di Lilith siano soggetti a emozioni simili, ma di certo questo enorme orso che corre a gran velocità nella foresta è una visione da incubo.

Ai piedi delle montagna, Bran si ferma. Riprende la sua forma umana e si infila la tunica e i pantaloni, si cinge la spada e il pugnale e sorride a Muzhrab. I suoi denti sfavillano alla luce argentea della luna, che è appena sorta.

- Pronto?

- Sono pronto. Tu non sei stanco? Non hai bisogno di riposare?

- No. Non ho corso molto. Ho il tempo di recuperare mentre saliamo.

Muzhrab guarda la montagna che incombe su di loro. Il castello si staglia in alto, come fosse la cima aguzza di uno dei tanti monti, una sagoma scura appena distinguibile alla luce lunare.

Bran fa un passo avanti, gli prende il viso tra le mani e lo bacia.

- Non so perché sei triste, ma scaccia quei pensieri. Se portiamo a termine la missione, mi racconterai. Ma adesso concentrati su quello che dobbiamo fare.

- Sì, Bran, lo so. Ti garantisco che adesso i miei pensieri vanno solo alla prova che ci aspetta.

 

 

Si avviano lungo la via che sale alla fortezza, scavata sul fianco della montagna. Il passaggio è tanto stretto che in nessun punto è possibile procedere affiancati. La parete precipita quasi verticale oltre il sentiero e man mano che salgono l’abisso che si apre ai loro piedi appare più inquietante.

Si muovono silenziosi, come chi non vuole essere individuato. La luna illumina la parete debolmente. In diversi punti la sua luce non arriva proprio e devono muoversi con molta cautela, per non inciampare in qualche sasso, rischiando di precipitare. Man mano che procedono e la luna si alza in cielo, diventano più numerosi e lunghi i tratti in cui il sentiero è abbastanza illuminato e questo li rende più visibili. Avvicinandosi alla fortezza, il rischio diventa maggiore. Sanno entrambi che prima di arrivare alla porta del castello saranno individuati, ma non esiste un’altra strada per salire dalla pianura.

Camminano a lungo, senza scambiare una parola. Bran va avanti e Muzhrab lo segue. Sono quasi due ore che procedono. La fortezza non deve essere lontana, ma ora non possono più vederla, perché camminano sotto uno spuntone roccioso. Il sentiero in alcuni tratti è più largo. È proprio in uno di questi punti che una rete viene calata su di loro. Prima che riescano a reagire, si ritrovano bloccati.

Bran cerca di lacerarla, afferrandola con le mani e tirando, ma nonostante la sua forza le maglie resistono. La rete gli impedisce di prendere la spada, ma riesce a estrarre il pugnale e cerca di tagliarla. Benché sembri essere di corda, la rete non cede. Bran mormora:

- Una rete magica. Merda!

La rete si stringe intorno a loro, fino a che non riescono più a muoversi. Allora cinque uomini si avvicinano. Uno porta una torcia. Sono tutti a torso nudo e indossano solo pantaloni scuri. Infilano due stanghe nelle maglie della rete e le sollevano, mettendosele sulle spalle: Bran e Muzhrab si ritrovano sospesi, prigionieri della rete. L’uomo con la torcia preme contro una roccia e nella parete si apre un passaggio. Il gruppo si mette in marcia: due uomini davanti e due dietro portano il carico attraverso un corridoio. Il quinto uomo cammina davanti con la torcia. Bran e Muzhrab possono vedere una galleria a volta, che termina con una scala.

- Merda!

Gli uomini salgono la scala. I loro corpi si coprono di sudore: Bran è alquanto pesante e portarlo in salita è faticoso. Muzhrab guarda gli uomini. Sono davvero figli di Eva? O sono figli di Lilith? Tra le due stirpi non vi sono differenze esteriori.

Al termine della scala giungono in una stanza. Ad attenderli è un uomo, che infila una corda nella rete e la manovra, con movimenti abili e veloci, passandola prima intorno ai polsi dei prigionieri e poi girandola intorno ai loro corpi. In breve tempo Bran e Muzhrab si trovano con le mani saldamente legate dietro la schiena e le braccia forzate ad aderire al corpo. Quando non sono più in grado di nuocere, la rete viene sciolta.

Gli uomini prendono le armi dei prigionieri, senza dire nulla: non pongono domande e non sembrano avere nessuna curiosità. Anche Bran e Muzhrab tacciono, in attesa di conoscere la loro sorte: sanno benissimo che sarebbe inutile fingersi vittime innocenti, perché non potrebbero sostenere di aver preso il sentiero per un errore o per caso.

- Seguitemi.

L’uomo che li ha legati si dirige verso una porta. Bran e Muzhrab non hanno molta scelta. Due uomini li scortao, puntandogli alla schiena le loro stesse armi.

Oltre la porta c’è un’altra scala, che conduce a una terrazza. Alla luce della torcia possono vedere i pali. Su due di quei pali vi sono dei corpi, due maschi che sono stati castrati. Uno dei due uomini impalati è un giovane con grandi ali nere. Un krilorao, quindi. Muzhrab si chiede che cosa faccia qui: è stato catturato e ucciso? Perché è giunto alla fortezza? I krilorai sono creature libere, che non conoscono l’avidità degli umani. È la forza del Signore delle Alture ad averlo soggiogato? Ma perché allora il Signore lo ha fatto uccidere?

Il krilorao muove debolmente le ali: è ancora vivo. Muzhrab rabbrividisce. Sa che Bran potrà riportarlo in vita, se anche lui dovesse essere condannato a morire impalato, ma l’agonia sul palo è quanto di più atroce possa immaginare. Muzhrab guarda l’altro corpo. Anche l’uomo è ancora vivo. Il torace si solleva e si abbassa in una respirazione difficoltosa e la testa si muove: l’arrivo degli uomini e la luce della torcia hanno ridestato i due moribondi dal loro torpore.

Uno degli uomini lo spinge, impaziente. Muzhrab non si è reso conto di essersi fermato.

Dalla terrazza salgono ancora, fino a un’alta torre. Qui attendono un momento sulla soglia, mentre l’uomo con la torcia entra.

Poco dopo l’uomo ritorna e fa un cenno agli altri.

Entrano nella torre e da un locale d’ingresso passano in un’ampia sala dove il Signore delle Alture siede su un trono. È un bell’uomo, forte, il petto muscoloso nudo, i pantaloni che gli fasciano i fianchi. Li guarda, torvo. Poi sorride, un sorriso di scherno.

Al suo fianco, in piedi, c’è il principe degli Aldebri, avvolto nel suo velo nero. Porta sul capo la corona, ma la luce è offuscata.

Nessuno parla, ma Muzhrab sente una crescente pressione nella testa, come un cerchio di ferro che stringe sempre di più. Sa di che cosa si tratta: il Signore delle Alture sta cercando di prendere possesso della sua mente. Bran lo contrasta, ma la pressione dell’Orso è meno forte e diminuisce, fino a scomparire completamente.

Quando è sicuro di avere il controllo della mente del guerriero, il Signore sorride, un sorriso di trionfo. Chiede:

- Chi siete?

Muzhrab risponde:

- Io sono Muzhrab di Gornigrad, un guerriero. Lui è Bran, un uomo che ha molti poteri.

Il Signore ride.

- Non direi che i suoi poteri siano molti. La sua forza è troppo inferiore alla mia. Anche se non posso dominare la sua mente, posso impedirgli di controllare la tua.

Bran digrigna i denti.

Il Signore chiede ancora:

- Che cosa siete venuti a fare qui?

- A ucciderti e a liberare il principe.

- Che cosa vi ha spinti a farlo?

- Il Re degli Aldebri ci darà una ricompensa generosa.

Il Signore ride più forte, una risata che sembra risuonare nella grande sala.

- Il principe sta molto bene qui con me, vero, principe?

Dragulj annuisce. Sagmuski si apre i pantaloni.

- Vieni qui, principe degli Aldebri, e fai vedere ai tuoi salvatori come stai bene con me.

Dragulj si avvicina, si inginocchia davanti al trono e prende in bocca il cazzo del Signore delle Alture. Incomincia a succhiarlo, poi, quando si è irrigidito e messo in verticale, lo lascia e lo accarezza con la lingua, dalla base alla cappella. Muzhrab non può fare a meno di notare che Sagmuski è alquanto dotato, anche se certamente non come Bran.

- Anche i coglioni, Dragulj.

Il principe passa la lingua sui coglioni. Sagmuski guarda sorridendo i suoi due prigionieri.

- Vedete che è contento di stare qui.

Ride, mentre Dragulj riprende in bocca il cazzo e succhia con vigore. Sul viso del Signore si può vedere la tensione crescente. Quando Sagmuski viene, Dragulj inghiotte tutto il seme.

Il Signore fa un gesto e Dragulj si alza e si allontana dal trono.

Sagmuski si rivolge a Muzhrab.

- Ora, guerriero, ti libererò e ti renderò la spada.

Muzhrab guarda perplesso il Signore.

A un cenno di Sagmuski, uno degli uomini taglia le corde che legano Muzhrab e gli porge la spada. Il guerriero la prende.

Il Signore congeda i suoi uomini con un gesto della mano. Muzhrab sente la pressione della volontà del Signore sulla sua mente.

- Ora, guerriero, tu ucciderai il tuo compagno e mi porterai la sua testa.

Muzhrab si volta verso Bran. Avanza a passi lenti nella sua direzione. Dal suo viso è scomparsa ogni espressione.

Bran grida:

- Non lo fare, Muzhrab, non lo fare! Ucciderà anche te. Non…

Non riesce a completare la frase. Il guerriero gli infila la spada nel ventre. La spada attraversa il corpo ed esce dalla schiena. Quando Muzhrab la ritira, Bran cade in ginocchio, il sangue che sgorga dalla ferita.

- No… no… perché?

Muzhrab solleva la spada con le due mani e la cala sul collo di Bran. La testa viene staccata di netto e rotola a terra. Un attimo dopo anche il corpo cade, mentre il sangue zampilla dal collo reciso.

Muzhrab prende la testa per i capelli e a passi lenti si dirige verso il trono dove Sagmuski sta seduto. Il Signore sorride.

- Bel lavoro, schiavo.

Poi aggiunge:

- Adesso, prima di essere impalato, berrai il mio piscio.

Muzhrab annuisce e dice:

- Come comandi, Signore delle Alture.

E mentre pronuncia queste parole, Muzhrab si avvicina al trono, sempre tenendo la testa con la mano. Quando è davanti al Signore, con un movimento deciso gli infila la spada nel petto, con tanta forza che l’arma affonda fino all’elsa e la lama attraversa il corpo da parte a parte e si infila nella spalliera del trono. La punta esce dalla parte posteriore dello schienale. Gli occhi del Signore si dilatano e la bocca si apre, in un’espressione di dolore e stupore. Poi lo sguardo si perde e il Signore reclina la testa, rimanendo inchiodato al suo trono.

Muzhrab si volta e pone la testa di Bran sopra il collo del compagno, nella posizione giusta. Sa che è inutile, perché in ogni caso Bran ritornerà in vita tutto intero, ma gli sembra di doverlo fare. Poi recide le corde che legano l’Orso.

Tutto è andato esattamente come avevano concordato: il Signore delle Alture ha creduto di dominare la mente di Muzhrab, ignorando che questo non era possibile e che Bran fingeva soltanto di cercare di contrastarlo.

 

Il principe degli Aldebri guarda Bran, confuso. Sembra risvegliarsi da un sogno.

- Che cosa… io.. dove…

Muzhrab lo guarda. È bello il principe, di una bellezza perfetta. Ma il suo cuore e il suo corpo desiderano altro, si accendono solo per il corpo che ora giace a terra, la testa staccata.

Muzhrab si guarda intorno. Deve procurarsi del cibo, per Bran, quando ritornerà in vita, e ha bisogno di un’arma, perché la sua spada deve rimanere conficcata nel corpo di Sagmuski: così gli ha detto Bran.

Coloro che vivono nella fortezza sono tutti figli di Eva o di Lilith la cui volontà è stata annullata dal Signore delle Alture. Adesso che Sagmuski è morto, essi recupereranno la loro libertà, ma non è detto che qualcuno non cerchi di impadronirsi del principe o del tesoro del Signore: avidità e lussuria guidano le azioni di molti figli di Eva e di Lilith.

Nella stanza ci sono due porte. Muzhrab ne apre una, ma il locale oltre la porta è immerso nel buio. Muzhrab prende una torcia e ritorna sulla soglia: c’è un’ampia sala con un tavolo, alcune sedie e altri mobili, ma non sembra esserci nulla di ciò che cerca. La seconda porta conduce invece in uno stanza più piccola, dove alle pareti sono appese alcune armi. Muzhrab prende una spada e un pugnale, poi torna nella stanza e si rivolge a Dragulj.

- Principe, siamo venuti qui per liberarti e per riportarti nelle tue terre. Adesso bisogna che tenga sotto controllo la situazione. Ho anche bisogno di cibo. Sai dove posso trovarlo?

Il principe è confuso. Vorrebbe chiedere mille cose. Ma per chiedere c’è tempo. Quest’uomo lo ha salvato e deve fare tutto il possibile per aiutarlo. Risponde alla domanda:

- Il cibo viene dai piani inferiori. Altro non so.

Muzhrab annuisce. Ha ucciso il Signore, ma non sa che cosa accadrà ora. È impaziente che Bran ritorni in vita. Se qualcuno approfittasse di questo momento per attaccarlo e magari ucciderlo, in modo da rapire il principe? Muzhrab sa che Bran lo farebbe ritornare in vita e sottrarre il principe a degli umani o dei figli di Lilith senza particolari poteri non sarebbe difficile, ma preferirebbe non perdere altro tempo.

- Aspettami qui. Nessuno deve vederti.

È meglio che il principe rimanga nella stanza: egli accende il desiderio nei figli di Eva come nei figli di Lilith.

- Anzi, senti: sarebbe meglio che ti mettessi in quella stanza – Muzhrab indica il primo locale che ha controllato – perché non so che cosa succederà adesso.

- Va bene.

Il principe arriva fino alla porta, ma vedendo che il locale non è illuminato, torna indietro a prendere una torcia. Poi entra.

Muzhrab decide di andare a cercare il cibo. Prende anche lui una delle torce che ardono nella stanza e, la spada in mano, esce dalla stanza. Mentre scende la scala, vede un gruppo di uomini che stanno salendo. Si ferma.

L’uomo che guida il gruppo lo guarda ed esclama:

- Tu, vivo, qui?!

Muzhrab non capisce. Non ha mai visto quest’uomo, non sa chi sia.

L’uomo prosegue:

- Che ne è del Signore? Sentiamo che non controlla più le nostre menti.

- Non controllerà più la mente di nessuno. È morto.

- L’hai ucciso tu?

- Sì.

- Non ritornerà dalla morte, come hai fatto tu?

Come fa quest’uomo a saperlo? Muzhrab non chiede. Si limita a rispondere:

- Certamente no.

- Grazie, guerriero. Io sono Cestojunak e, come i miei compagni, appartengo alla stirpe dei figli di Lilith. Tu non mi riconosci, perché il mio viso era coperto. Ci affrontammo, nella Foresta Purpurea. Uno degli arcieri ti colpì due volte, permettendomi di ucciderti. Mi dicesti che ero un infame. La mia azione fu infame, lo so, ma la mia mente era schiava del Signore: non potevo fare altrimenti. Ti chiedo perdono per quello che feci.

Ora tutto è chiaro. Muzhrab sorride. Sente di potersi fidare di questo guerriero che lo ha ucciso.

- Non devi chiedermi perdono. Il responsabile è il Signore delle Alture, che ha pagato con la vita. Ora però, Cestojunak, ti chiedo di aiutarmi.

- Sono a tua disposizione, guerriero, di qualunque cosa tu abbia bisogno.

- Il mio nome è Muzhrab. Ho bisogno di avere del cibo, per il mio compagno.

Uno degli uomini che accompagnano Cestojunak dice:

- Vado a prenderlo io. Lavoravo in cucina e so dov’è la dispensa.

L’uomo si allontana. Muzhrab chiede ancora:

- Quanti uomini ci sono al castello?

- Una ventina. Figli di Eva, in maggioranza, ma anche figli di Lilith, come noi. Tutti schiavi del Signore. Qualcuno sta già organizzandosi per fuggire. Qualcuno aspetta di vedere che cosa succederà, timoroso. Noi abbiamo deciso di venire a vedere come mai non eravamo più schiavi.

Muzhrab decide di spiegare:

- Siamo venuti a liberare il principe che il Signore teneva prigioniero. Ci siamo lasciati catturare, per poter arrivare a colpire Sagmuski. Lui non poteva controllare le nostre menti, ma gli abbiamo lasciato credere di poterlo fare, così ha ordinato di liberarmi e di darmi una spada, perché colpissi il mio amico. L’ho fatto, così poi ho potuto uccidere lui mentre non stava in guardia.

- Allora il tuo amico è morto.

- Tornerà in vita.

- Se non ti avessi ucciso con le mie mani, dubiterei di quello che mi racconti, ma ti ho infilato una spada nel cuore e ora sei davanti a me.

L’uomo che è andato a prendere il cibo sta tornando. Prima che arrivi ai gradini dove Muzhrab e Cestojunak stanno parlando, la porta in cima alla scala si apre. Appare Bran, una spada in mano, un pugnale alla cintola. Scende rapido le scale.

Muzhrab gli dice:

- Sono figli di Lilith, schiavi del Signore liberati. E hanno portato cibo per te.

- Ottima idea. Stavo per morderti. Ho una fame da lupo… no: da orso.

Bran prende il cibo che l’uomo gli porge, un grande prosciutto. Si rivolge a Cestojunak, in cui ha individuato il capo, e gli dice:

- Mi scuso se appaio poco cortese e mangio prima di avervi salutato.

Bran affonda i denti nel prosciutto. Ne stacca un grosso morso e lo mastica. Poi, con la bocca ancora mezzo piena, chiede:

- Qual è la situazione alla fortezza?

Cestojunak gli ripete ciò che ha detto a Muzhrab.

Bran annuisce, mentre continua a mangiare. Poi dice:

- Credo che sia bene radunare coloro che sono al castello e distribuire loro del cibo. Ci sono cavalli, suppongo.

- Sì, certo.

- Daremo anche quelli e una parte del tesoro, che senza dubbio il Signore possedeva, come compenso per la schiavitù che hanno patito.

- Voi avete ucciso il Signore, il tesoro è vostro. Ne disporrete come vorrete.

Bran annuisce.

- Una cosa ti chiedo, visto che sei a capo di questi figli di Lilith: controlla insieme a Muzhrab che nessuno salga nella torre. Non è per il tesoro, di cui poco ci importa, ma per il principe degli Aldebri, che il Signore teneva prigioniero. La sua bellezza può scatenare rivalità e violenze.

- Nessuno passerà di qui, te lo garantisco.

- Bene. Io devo occuparmi di altro.

Muzhrab vorrebbe chiedere, ma non è il momento. Bran ha detto che deve rimanere a controllare e così farà.

Bran scende fino alla terrazza dove Andeo e Vragore agonizzano sui pali. Si ferma davanti ad Andeo e dice:

- Ora metterò fine alle tue sofferenze e ti riporterò in vita. Ma tu ci aiuterai.

Andeo guarda Bran. Non capisce. Nel dolore in cui sprofonda le parole di Bran non hanno senso. Ritornare in vita? Assurdo. Ormai può solo morire, ma la morte è una liberazione.

Lo sconosciuto sembra attendere una risposta. Andeo annuisce.

Bran infila il pugnale nel petto di Andeo, che ha una smorfia di dolore e reclina il capo. Bran sente una voce al suo fianco:

- Ucci…di anche… me.

Bran si volta verso Vragore.

- Non te lo meriti, perché ti sei volontariamente messo al servizio del Male, hai contribuito a rendere schiavi uomini della tua razza e figli di Lilith e volevi scatenare una guerra.

- Ti… prego…

Bran scuote la testa e infila nel cuore di Vragore lo stesso pugnale con cui ha ucciso Andeo. Poi toglie gli elementi che bloccano il palo su cui è infilato il corpo di Andeo, lo depone a terra e sfila il giovane. Lo prende tra le braccia e risale fino alla base della torre.

Ora ci sono alcuni uomini accanto ai figli di Lilith. Bran passa tra di loro e sale.

- Tornerò tra non molto. Voi radunate tutti gli altri. Muzhrab, prendi un po’ di cibo.

Bran entra nella sala, lancia un’occhiata al cadavere del Signore e sorride. Poi passa nella stanza dove vi sono le armi e stende Andeo a terra, a pancia in giù. Le ali ricadono inerti ai due lati del corpo.

Rivolto a Muzhrab dice:

- Lascia il cibo e torna con gli altri.

Muzhrab esegue.

Bran guarda il krilorao. Dal suo culo cola ancora sangue. Bran corruga la fronte. Ha provato che cosa significa essere impalato e sa che è atroce. Gli spiace che questo essere abbia sofferto in un modo così orribile, quasi certamente senza avere nessuna colpa, perché i krilorai sono leali.

Adesso deve farlo tornare in vita. La vista del culo è sufficiente ad accendere il suo desiderio, per cui in breve è pronto a svolgere il suo compito. Avvicina il cazzo al buco e spinge dentro. Si muove rapido, perché non ha tempo da perdere. Evita di spingere a fondo, perché il giovane non senta un dolore troppo forte al risveglio, ma procede a un ritmo molto rapido. Il piacere esplode e Bran versa il suo seme. Poi si ritrae.

Esce e raggiunge gli altri. Figli di Eva e figli di Lilith sono stati tutti radunati. Parlano tra di loro, pongono domande, discutono, ma quando appare Bran, tacciono. Sanno che è uno dei loro liberatori e che ha grandi poteri: la sua mente non poteva essere soggiogata dalla volontà del Signore ed è ritornato in vita dopo essere morto.

Bran si rivolge a tutti:

- Il Signore delle Alture è stato ucciso e voi tornate liberi. Distribuiremo cibo, armi, cavalli e oro perché possiate tornare alle vostre case.

Tra gli uomini alcuni si darebbero volentieri al saccheggio, ma la presenza dei guerrieri e soprattutto di questi due uomini che sono riusciti a uccidere il Signore scoraggia anche i più ribelli: chi ha vinto colui che controllava le loro menti, di certo è in grado di distruggere qualunque uomo si opponga al suo volere. Molto meglio accontentarsi di meno che rischiare.

La divisione del cibo, delle armi e dei cavalli viene fatta nel cortile inferiore, sotto il controllo di Cestojunak e Muzhrab.

Bran entra per primo nel locale dove sono custodite le armi. Le guarda e prende un coltello, che si mette alla cintola, e una spada, che porge a Muzhrab.

- Questa ti spetta, Muzhrab. Ora, Cestojunak, distribuisci le altre armi.

Mentre avviene la distribuzione, Bran dice a Muzhrab:

- Conserva la spada con cura e non darla ad altri per nessun motivo.

Muzhrab vorrebbe chiedere perché, ma non è il momento. Sembra che non sia mai il momento per avere spiegazioni da Bran.

Dopo le armi vengono ripartiti il cibo e i cavalli.

Bran risale alla torre e torna poco dopo. Ha un sacco pieno di monete d’oro, che fa dividere tra tutti. La distribuzione è accolta da esclamazioni di gioia: molti non hanno mai visto tanto oro in tutta la loro vita.

Figli di Eva e figli di Lilith partono. Tutti sembrano soddisfatti di quanto hanno ricevuto e di aver recuperato la libertà.

Su richiesta di Bran, rimangono i figli di Lilith al comando di Cestojunak.

- Amico, oltre all’oro, che abbiamo distribuito, ci sono alcuni gioielli. Una parte andrà a Muzhrab, che ha ucciso il Signore, ma vorrei che anche tu e i tuoi uomini prendeste qualche cosa: senza di voi la distribuzione non sarebbe stata così tranquilla e ordinata.

Cestojunak annuisce.

- Ti ringrazio e accetto questa offerta, perché dovrebbe esserci un gioiello a cui tengo, che il Signore mi prese.

Bran si rivolge a Muzhrab.

- Vieni anche tu.

Gli altri uomini rimangono sulla scala: precauzione inutile, probabilmente, perché tutti se ne sono andati, ma c’è sempre il rischio che qualcuno decida di tornare indietro, nella speranza di conquistare quel che resta del tesoro.

Al piano superiore della torre c’è la stanza da letto del Signore e una grande cassa, che è stata forzata. All’interno c’è uno scrigno. Bran lo prende e lo apre. Ci sono bracciali, anelli, collane, spille. Molti sono gioielli di grande valore, ma Cestojunak fruga senza badare a diamanti e rubini. Cerca qualche cosa di preciso e lo trova: un nastro di cuoio con sette pendagli, costituiti da lapislazzuli. Rispetto agli altri gioielli, è davvero un ornamento di poco conto.

- Questo lo portavo al collo quando fui catturato. Il valore di queste pietre non è grande, ma per me valgono moltissimo: da molte generazioni vengono trasmesse di padre in figlio nella mia famiglia.

Cestojunak sfila dal collare due pietre e le porge una a Bran e una a Muzhrab.

- Perdonate lo scarso valore di questo dono, ma è un pegno di amicizia. Vi chiedo di accettarlo.

Muzhrab non si stupisce del gesto di Cestojunak: scambiarsi un pegno d’amicizia è normale e i ciondoli della collana che si tramanda in eredità all’interno della famiglia sono il dono di maggior valore.

Bran annuisce.

- Non ha uno scarso valore, Cestojunak. Vale più del resto. E poiché ci hai dato due pietre, due te ne diamo anche noi. Non possiamo darti qualche cosa che valga altrettanto, perché Muzhrab non ha avuto nulla dell’eredità della sua famiglia e io non ho famiglia. Nessuno dei due possiede gioielli. Ma qui troveremo qualche cosa che ti ricordi di noi.

Mentre parla Bran cerca nel piccolo scrigno. Trova due ciondoli: un rubino e un diamante.

- Mettili nel tuo collare, in sostituzione delle pietre che ci hai donato.

Cestojunak prende volentieri le pietre, non per il loro valore, ma perché vengono da coloro che lo hanno liberato dal dominio del Signore. Infila i due ciondoli nel nastro.

Bran esamina poi i gioielli.

- Quanti guerrieri hai? Sei, no?

- Quattro sono guerrieri, due sono servitori.

- Tutti sono stati prigionieri. È giusto che tutti abbiano qualche cosa.

Bran prende bracciali e collari, due gioielli per ognuno degli uomini di Cestojunak. Poi gli dà altri monili.

- Questi sono per te.

- Mi hai già dato i due pendagli.

- Quelli sono un segno di amicizia. Vorrai mica venderli?

Bran ride e aggiunge:

- Questi ti serviranno per toglierti qualche capriccio, fare un bel regalo alla tua sposa, insomma, per quello che vuoi.

- Rimane ben poco per voi.

- Io non tengo oro o gioielli e Muzhrab ha più di quanto gli serve per vivere cinquant’anni senza lavorare.

A Cestojunak sembra quasi di sottrarre dell’oro ai suoi salvatori, ma non vuole opporsi a Bran.

- Non avete bisogno di niente? Di essere scortati da qualche parte? Anche se mi sa che se viaggiassimo insieme, di fatto sareste voi a scortare noi.

Muzhrab sorride, Bran ride.

- No. Andate. Dobbiamo pensare alle ultime cose.

Cestojunak abbraccia i suoi nuovi amici e se ne va con i suoi uomini. Bran svuota lo scrigno, mettendo il contenuto in una piccola sacca, che prende con sé.

- Questa roba è per te, ma adesso la tengo io.

Bran e Muzhrab scendono nella sala del trono.

- Tu occupati del principe. È sconvolto. Credo che il Signore gli abbia fatto… cose poco piacevoli e comunque molto umilianti per uno come lui: quello che abbiamo visto è stato solo un piccolo esempio. Io penso al krilorao.

- Va bene.

- Dagli questo monile. Gli Aldebri sono tutti vanitosi e questo lo consolerà un po’. So che i suoi potranno cancellare i ricordi dolorosi.

Bran tira fuori dalla tasca un collare di pietre preziose.

- Questo non era nello scrigno.

- Lo era, ma l’ho tolto. Ho tolto anche altre cose. Poi ti spiego.

- Bran, sai una cosa?

- Che cosa?

- Credo che tu debba spiegarmi un sacco di cose. Continui a dirmi che poi me lo spieghi. Secondo me lo fai apposta, perché con le spiegazioni sei un disastro e speri che alla fine io mi sia dimenticato tutto quello che volevo farmi spiegare.

Bran ride.

- Prometto che quando avremo concluso ti spiegherò davvero tutto. Quello che sono in grado di spiegare, almeno.

- Mi sa che non sarà molto.

Bran scuote la testa, poi gli passa una mano dietro la nuca, lo attira a sé e lo bacia sulla bocca.

 

Muzhrab passa nella sala dove il principe è accasciato su una sedia. Questi alza il viso e lo guarda.

- Non essere abbattuto, principe. Sei libero e presto tornerai tra la tua gente.

Dragulj ha un leggero sorriso. Muzhrab aggiunge:

- Di tutto questo periodo rimarrà solo un vago ricordo.

Dragulj annuisce. Sa anche lui che è così, che suo padre potrà cancellare i ricordi dolorosi, ma adesso il pensiero delle umiliazioni subite gli pesa.

Muzhrab tira fuori dalla tasca il collare. La guarda: smeraldi, diamanti e rubini si alternano, montati su lamine quadrate d’oro. È davvero un oggetto degno di un re.

Vede che Dragulj osserva il gioiello, affascinato.

- Questo è per te. Lo ha scelto Bran.

Dragulj tende la mano a prendere il gioiello che Muzhrab gli porge. Gli Aldebri hanno orafi valenti e i gioielli che producono sono ricercati dagli uomini, dai figli di Lilith e da tutte le stirpi che popolano la terra. Ma questo gioiello non ha niente da invidiare alle creazioni più perfette della sua stirpe.

Dragulj lo guarda a lungo, poi chiede:

- Chi è Bran?

- Il mio compagno.

- Ma… è morto… due volte… anche tu eri morto, ti ho ucciso io, perché me l’ha ordinato il Signore. Siete entrambi tornati in vita.

- Sì. Il nostro compito era quello di salvarti e l’abbiamo svolto. Adesso dobbiamo solo riuscire a riportarti rapidamente nelle tue terre.

- Grazie. Mio padre saprà ricompensarvi.

Muzhrab annuisce. Probabilmente sarà così. I gioielli del Signore della Alture, una ricompensa da parte del Re degli Aldebri, probabilmente anche dal governatore di Samar. Diventerà ricco. Eppure la prospettiva di non dover più combattere per altri, di poter decidere liberamente della sua vita, non suscita in lui grandi emozioni. Forse perché in questo momento quando pensa al futuro, le sue domande ruotano tutte intorno a Bran.

 

Bran ha raggiunto Andeo. Il giovane krilorao si è svegliato e sta mangiando la focaccia che Bran gli ha lasciato. Quando Bran entra, si alza. Bran lo guarda. È davvero bello, Andeo, il corpo snello ed elegante, un viso fiero e nello stesso tempo dolce. Bran finge di ignorare il cazzo teso allo spasimo.

Andeo chiede:

- Chi sei, straniero? Agonizzavo su un palo e ora sono qui, vivo. Del dolore atroce che provavo è rimasta solo una debole traccia.

Bran sa che non deve essere tanto debole, ma a uno a cui è stato infilato un palo aguzzo in culo, in effetti il dolore provocato dal cazzo di Bran deve sembrare uno scherzo.

- Il mio nome è Bran e non ha importanza chi sono. Abbiamo ucciso il Signore delle Alture e liberato tutti i prigionieri. Ti ho ucciso e riportato in vita. Ora però ho bisogno del tuo aiuto.

- Dimmi che cosa devo fare.

- Il guerriero che ha ucciso il Signore, il principe e io dobbiamo raggiungere la fortezza degli Aldebri sulla Grande Corrente. Vorremmo che ci portaste, tu e i tuoi fratelli.

Andeo sorride.

- Tra poche ore sarete là. Lascia ch’io vada a chiamare mio padre e mio fratello e vi porteremo in volo.

- Perfetto, era quello che desideravo da te. Ma…

Bran sorride e si interrompe.

- Dimmi.

- Prima di partire allenta un po’ la tensione, lì in basso. È un effetto di ciò che ho fatto per riportarti in vita e non passerà se non ti dai da fare.

Andeo china il capo, imbarazzato. Poi lo rialza e ride. Ha una bella risata, allegra.

- Credo che tu abbia ragione. Però tu…

Bran ha capito. Sorride e dice:

- Esco, esco. Non ti sto a guardare. Ti aspetto di là.

 

Qualche minuto dopo Andeo esce dalla stanza. È leggermente imbarazzato, ma il cazzo è a riposo, solo un po’ più grosso del normale. Muzhrab e Dragulj sono anche loro nella sala, dove il Signore è inchiodato al suo trono. Andeo lo fissa un buon momento, silenzioso. Poi si volge verso Bran e Muzhrab e dice:

- Vi sia reso onore. Avete liberato queste terre da un incubo.

Bran dice agli altri:

- Andeo vola a chiamare i suoi. Saranno loro a portarci alla fortezza dove ti renderemo a tuo padre, Dragulj.

Andeo si rivolge a tutti loro:

- Saremo qui presto. Grazie per quanto avete fatto.

Poi esce dalla stanza, passa sulla terrazza e spicca il volo. Si dirige verso le grandi montagne alle spalle della fortezza. Vola felice di aver ritrovato la libertà e ancora incredulo di essere ritornato in vita.

Quando è uscito, Dragulj chiede:

- Tornerà? Potrebbe lasciarci qui.

- Tornerà certamente. I krilorai sono leali. Non esistono creature migliori: non cercano il potere, la ricchezza, gli onori. Non hanno un re e vivono liberi. Comunque, principe, anche se non dovesse tornare per qualche motivo indipendente dalla sua volontà, riusciremo a raggiungere le vostre terre senza problemi. Preferisco che ci portino i krilorai, perché arriveremo molto in fretta. E credo che tu abbia piacere di essere di nuovo tra i tuoi e di dimenticare ciò che è successo qui.

Le parole di Bran hanno irritato il principe, perché, come tutti gli Aldebri, ritiene la propria stirpe superiore alle altre, ma la conclusione del discorso lo placa: desidera tornare al più presto tra la sua gente e dimenticare ciò che è successo. In effetti è il motivo principale per cui Bran ha chiesto l’aiuto di Andeo. In un modo o nell’altro riuscirebbero ad arrivare prima del plenilunio, mancano ancora otto giorni, ma è meglio se riusciranno a fare in fretta.

 

Escono sulla terrazza superiore. Muzhrab osserva il corpo di Vragore poco sotto.

- Nella fortezza rimarranno solo i due cadaveri.

Bran annuisce.

- Sì, oltre a noi tre non ci sono altre presenze. Faccio un ultimo giro.

- Prenditi una torcia.

Bran alza le spalle.

- Non occorre.

Dopo un po’ Bran ritorna con un po’ di cibo: tre focacce, un po’ di sidro, del formaggio.

- Nella dispensa è rimasto questo. Inutile sprecarlo.

Mangiano tranquilli, guardando le stelle e la luna.

Poi Bran sale ancora una volta nella torre e torna poco dopo con una torcia.

Muzhrab lo guarda perplesso, poi sogghigna e dice:

- Mi spiegherai dopo, vero?

Anche Bran ghigna e gli risponde:

- No, questo lo capirai da solo. Per quanto tu sia limitato, ci puoi arrivare, se ti sforzi.

Non è passata neppure un’ora quando Bran e Muzhrab scorgono tre figure in volo che si stagliano contro la luce lunare.

- Eccoli.

In breve i tre krilorai scendono sulla terrazza: sono Andeo e due altri maschi. Uno ha pochi anni in più di Andeo ed è evidentemente il fratello; l’altro invece, senza dubbio il padre, è un uomo massiccio, che dà un’impressione di grande forza e sembra avere l’età di Bran o poco più. Come tutti i krilorai sono nudi, perché la loro stirpe non porta abiti.

Il padre si rivolge a Bran:

- Bran, hai salvato mio figlio dalla morte e lo hai liberato da colui che lo teneva prigioniero. Io sono Creneo e posso dirti che io e la mia famiglia siamo al tuo servizio, ora e sempre.

- Grazie. Ti chiedo solo di portarci questa notte alla fortezza posta al confine settentrionale del territorio degli Aldebri, perché dobbiamo riportare questo giovane, che era prigioniero del Signore delle Alture, da suo padre.

Creneo risponde:

- Ben volentieri. Lieto di aiutarvi a restituire un altro figlio a un padre che lo attende angosciato. Siete pronti?

Bran si volge ai suoi compagni:

- Possiamo andare?

Muzhrab annuisce. Dragulj risponde:

- Sì, sì.

Il principe è chiaramente impaziente.

Andeo si carica sulle spalle il principe e il fratello fa lo stesso con Muzhrab.

Creneo si inginocchia e dice a Bran:

- Salimi sulle spalle, tra le ali.

Bran prende la torcia e la getta oltre la porta della torre, poi sale su Creneo. Questi gli dice:

- Passa le tue braccia intorno al mio petto per tenerti.

Quando Bran ha fatto, i tre krilorai si levano in volo.

C’è un rumore forte e voltando la testa tutti vedono che la torre sta ardendo.

- Ben fatto, Bran.

Dopo un momento Bran ride e dice:

- Ti sei preso un bel carico, Creneo. Non sono certo leggero.

Creneo non ride:

- Sì, ho preso un bel carico, che sono orgoglioso di portare. Un essere buono, generoso e giusto.

- Ti ringrazio per le tue parole, ma non mi conosci.

- I Krilorai sanno leggere dentro gli uomini e anche dentro coloro che non sono uomini, o almeno: non soltanto uomini. Come te. Non conosco i tuoi pensieri, ma conosco il tuo animo.

- Non sapevo che aveste questo dono, ma non mi stupisce: siete la migliore tra le stirpi che popolano la Terra.

- Non so se siamo i migliori, ma siamo diversi dagli altri, questo è vero. Ogni stirpe lo è.

 

Per Muzhrab il volo è un’esperienza del tutto nuova. Guarda sbalordito il paesaggio, l’immensa distesa oscura della foresta, i laghi che la luce lunare rende d’argento, il profilo delle montagne, più scuro del cielo. Lontano una striscia argentata è la Grande Corrente. E in alto, là dove la luce lunare arriva meno forte, una miriade di stelle, che gli sembra di non aver mai visto così da vicino.

- Grazie. Non conosco il tuo nome.

- Il mio nome è Preveo. Grazie a te, Muzhrab. Ciò che avete fatto è stata una grande impresa. Avete eliminato una minaccia terribile e restituito la libertà a tanti che sarebbero rimasti prigionieri fino alla morte. E avete ridato vita ad Andeo.

- Andeo è stato riportato in vita da Bran. Io non ho questo potere.

- Insieme avete compiuto l’impresa. Te ne sono grato. Per noi nulla è più importante dell’affetto che ci unisce gli uni agli altri e adesso esiste un legame che ci vincola a te e a Bran. Potrete sempre contare su di noi, se ne avrete bisogno.

 

Dragulj è appoggiato sul corpo di Andeo: questa volta viene trasportato sulle spalle e non tra le braccia.

- Dragulj, ti ho già portato in volo una volta, obbedendo al Signore. Allora eravamo entrambi sottomessi alla sua volontà.

Dragulj tace. Andeo prosegue:

- Il desiderio mi guidò. Tu sembravi accettare le mie carezze e, pensando che non ti fosse sgradito, ti presi.

- Non avevo una mia volontà. Come tu dici, eravamo sottomessi al Signore. Lasciai che tu mi prendessi.

- Non ti avrei mai forzato. Se ora che la tua mente è libera dal potere del Signore delle Alture, il ricordo di ciò che abbiamo fatto ti pesa, mi spiace.

Dragulj ricorda di aver goduto insieme ad Andeo. Gli pesa, ma rispetto a ciò che ha subito dal Signore, non ha davvero importanza.

- Ora mi pesa, ma allora provai piacere anch’io. Dimentichiamo ciò che è stato. Abbiamo fatto entrambi un sogno, Andeo. Ora ci siamo risvegliati.

- È così.

 

Bran si rende conto che il cazzo gli si sta irrigidendo. Gli dà fastidio, ma non può farci niente: è disteso sul corpo nudo di un bel maschio e questo suscita il suo desiderio. Creneo se n’è di sicuro accorto, anche se Bran indossa i pantaloni: il cazzo gli preme contro il culo. Bran preferisce non fare finta di niente: non è nella sua natura.

- Scusa, Creneo. Sarò anche buono e tutte le altre belle cose che mi hai detto, ma il desiderio preme e non ho modo di nasconderlo. Non te ne avere a male.

Creneo ride.

- Hai un forte sperone, Bran. Se vuoi usarlo per ancorarti meglio e non rischiare di perdere la presa, puoi farlo.

Bran rimane interdetto. Ha capito benissimo il senso della frase ironica di Creneo.

- Creneo, abbiamo salvato tuo figlio, ma non ci devi niente. Non penserei certo…

Creneo lo interrompe.

- Lo so, Bran: non richiedi certo ricompense, tu, neanche quando il favore che hai fatto è immenso. Non lo dico perché voglio ricompensarti. E per provartelo, posso dirti che se una delle tue mani scende un po’ più sotto, può trovare un aggancio sicuro.

Creneo ride e aggiunge:

- Siamo una stirpe libera e come i figli di Eva e come Coloro Che Ritornano abbiamo desideri, che non nascondiamo. Il tuo desiderio e il mio coincidono.

Bran esita ancora:

- Creneo, tu sei alquanto dotato, ma io temo…

- Di esserlo molto di più. Me ne rendo conto. Non ti preoccupare.

Bran si sposta un po’. Creneo vola in orizzontale, per cui anche senza tenersi Bran non rischierebbe di scivolare, ma la manovra è delicata. Bran si abbassa un po’ i pantaloni e si inumidisce il cazzo, per non fare male. Desidera questo corpo che gli si offre ma non gli era mai capitato di scopare in volo. Infine riesce a infilare il cazzo tra le natiche, trova l’apertura e lentamente la cappella affonda nella carne.

- Ti faccio male, Creneo?

- È molto bello.

Quando infine ha affondato del tutto il cazzo nel culo, Bran sposta una mano fino a toccare il cazzo di Creneo. Lo sente duro come una roccia, caldo, grosso. Lentamente lavora con la mano e intanto muove un po’ il culo.

È una sensazione nuova, volare nella notte e intanto scopare. Sentire il calore del corpo di Creneo, affondare il cazzo in questo culo accogliente, giocare con i coglioni di Creneo, accarezzargli il cazzo, stringerlo con forza. Vedere il mondo intorno correre veloce e sentire l’aria spostata dal movimento delle grande ali, come un vento che soffia. Infine venire, scagliando il seme nelle viscere che lo accolgono. E sentire il cazzo che si stringe in mano vibrare di un identico piacere e lanciare il seme in cielo, una traccia argentata che brilla per un attimo alla luce lunare.

- Grazie, Creneo.

- Grazie a te, Bran. È stato molto bello. Ti ho sentito vicino.

 

I krilorai si abbassano in volo. Muzhrab può vedere lungo il fiume delle aree luminose: una luce soffusa, argentea.

- Che cosa sono quelle luci, Preveo?

- Sono gli Aldebri. Lì ci sono le loro città ed essi hanno tutti una luce. Quando non sono nella loro terra, solo gli altri aldebri possono vedere il bagliore dei loro corpi, ma nel loro territorio non hanno motivo per nascondersi. Noi dall’alto possiamo vedere il chiarore che emana dai loro corpi, perché le loro abitazioni sono fatte di materiali che lasciano passare la luce.

 

 

Il cielo incomincia appena a schiarirsi a oriente quando i tre krilorai depositano a terra il loro carico, di fronte alla fortezza posta ai confini settentrionali del territorio degli Aldebri.

- Grazie per averci portati qui.

Creneo ride:

- Bran, di fronte a  quanto avete fatto voi per noi, è davvero poca cosa.

Poi Creneo si toglie il monile che porta al collo e ne stacca due ciondoli. Non riflettono la luce della luna, per cui non devono essere cristalli.

- Questo è un pegno della nostra amicizia. Quando uno di voi avrà bisogno di noi o dei nostri discendenti, queste pietre saranno la testimonianza del legame che ci unisce.

- Grazie, Creneo.

Bran tira fuori dalla piccola sacca che porta alla cintola sei ciondoli, che scintillano alla luce lunare. Muzhrab si dice che deve averli presi dal tesoro del Signore: l’Orso pensa davvero a tutto.

- Permettetemi di ricambiare questo dono con uno che vale assai di meno, perché non è stato trasmesso all’interno della famiglia mia o di quella di Muzhrab. Nessuno di noi due possiede un monile familiare, per diverse ragioni. Ma vorremmo che due di questi ciondoli sostituissero quelli che ci hai donato, Creneo, e gli altri fossero per i tuoi figli un pegno della nostra amicizia.

- Grazie, fratello. Posso chiamarti così?

- Sì.

Creneo e Bran si abbracciano. Poi tutti si salutano e i tre krilorai prendono il volo e presto scompaiono nel blu del cielo che lentamente sta acquistando una tonalità meno scura.

Bran chiude gli occhi e si concentra un momento. Poi li riapre.

Muzhrab gli chiede:

- Che cosa hai fatto? Puoi dirmelo o me lo spieghi dopo?

Nella frase c’è una chiara presa per il culo, che Bran coglie benissimo.

- No, questo posso dirtelo subito. Ho chiamato il mio cavallo. E spero anche il tuo, se ha avuto l’intelligenza di rimanere vicino al mio. Non so, se è come il padrone...

Ghigna, senza concludere la frase. Poi conclude:

- Non sono molto lontani. Credo che in serata potranno essere qui.

Poi Bran si rivolge a Dragulj, che è rimasto silenzioso, a capo chino.

- Principe, la fortezza è chiusa e il ponte levatoio è sollevato. Ci sarà pure un modo per farci aprire, anche se non è ancora l’alba.

- Sì, attendete.

Dragulj alza il capo. La luce della corona diviene più intensa, tanto da illuminare perfettamente i loro corpi.

Dagli spalti una sentinella grida:

- Chi è là?

La voce del principe risuona forte

- Sono Dragulj il Luminoso, Principe delle Città del Fiume, discendente di Svjetlo il Grande, portatore dei tre diademi, figlio del Signore della Grande Corrente.

Bran scuote la testa, gli occhi rivolti al cielo, con una smorfia eloquente. A Muzhrab viene da ridere, ma si controlla.

- Principe! Vi apriamo subito.

Il ponte levatoio viene abbassato. Quattro soldati e un ufficiale escono. Davanti al principe si inginocchiano e poi si prosternano fino a toccare il suolo con la fronte.

- Principe, che gioia rivedervi!

Dragulj annuisce. L’omaggio che gli viene prestato è del tutto naturale per lui. Muzhrab legge in viso a Bran il suo stesso scetticismo.

- Chiamate una portantina e conducetemi in città.

Questa volta Muzhrab non riesce a trattenere la risata: l’idea che il principe non possa entrare a piedi, ma debba farsi trasportare, prima dell’alba, in una città probabilmente deserta, gli appare assurda. Si copre la bocca con la mano per nascondere la risata e finge di sbadigliare. Nessuno sembra accorgersi di nulla: i soldati sono prostrati a terra, solo l’ufficiale è in ginocchio, ma il suo sguardo è fisso sul principe.

L’ufficiale manda due soldati in città, che partono di corsa. Gli altri due soldati rimangono distesi, fronte a terra, e l’ufficiale in ginocchio. A Muzhrab l’intera scena appare assurda. Capisce la scarsa stima che Bran ha degli Aldebri.

Poco dopo i due soldati tornano con altri due e la portantina. Il principe sale, senza dire nulla.

Il corteo si avvia. Muzhrab sussurra, piano:

- Per noi niente portantina.

Bran gli dà una gomitata, sogghignando. Muzhrab si rende conto che Bran è molto allegro. Quando si sono conosciuti c’erano momenti in cui era molto cupo. Ma Muzhrab sa che può dire lo stesso di sé. “Quando si sono conosciuti”: sono passati pochi giorni. Eppure… eppure adesso non sa immaginarsi un futuro senza Bran. Che cosa sarà di loro? Il pensiero spegne la sua allegria. L’idea di separarsi da quest’uomo-orso di cui una settimana fa quasi ignorava l’esistenza (anche se l’aveva incrociato a Samar) ora l’angoscia.

 

La fortezza è in realtà una piccola città: poiché gli Aldebri non permettono a nessuno di entrare nel loro territorio, gli scambi commerciali avvengono all’interno o all’esterno di questa cerchia di mura posta al confine. Al suo interno ci sono magazzini e locande, oltre agli alloggiamenti per le truppe e al palazzo usato dal re quando si reca alla fortezza. Ci sono anche diverse botteghe, per le merci più preziose. Invece per i beni di minor valore vengono allestiti dei banchi all’esterno delle mura.

 

Giungono al palazzo reale. Mentre scende dalla portantina, Dragulj guarda Bran e Muzhrab e dice:

- Date una camera ai miei salvatori.

Mentre quattro servitori accompagnano Dragulj, due altri fanno strada a Bran e Muzhrab. Li portano al primo piano e assegnano loro una stanza con due grandi letti, poi se ne vanno.

Quando sono usciti, Muzhrab scuote la testa.

- Non ci ha più neanche ringraziati. Come se non esistessimo più.

- È giovane e superbo e davanti a noi si vergogna, perché sa che ci deve tutto e soprattutto lo abbiamo visto agire come schiavo di piacere per il Signore delle Alture. Ma suo padre non è sciocco. Gli Aldebri non lo sono, in generale, anche se di solito sono presuntuosi.

- Va bene. La missione è compiuta. Adesso però mi si chiudono gli occhi dal sonno.

- Anche a me. Ho consumato troppa energia questa notte. Rimandiamo quanto avremmo tutti e due voglia di fare. O sono solo io a essere affamato?

Muzhrab scuote la testa.

- Di certo no. Mi stai tenendo a stecchetto in un modo inaccettabile.

- Vedremo di recuperare: te lo prometto. Anche se poi ti farà di nuovo male il culo.

- Ma non avevi detto che dopo la trasformazione…?

- Certo, ma se fotto il tuo culo una dozzina di volte, poi ti fa comunque male.

Muzhrab ride.

Bran si stende sul letto. Osserva:

- È un letto molto largo. Tu vuoi proprio dormire da solo? Se arrivasse qualche mostro…

- No, di certo non dormo da solo. Ho paura. Ho bisogno di qualcuno che mi protegga.

- Sei saggio, figlio di Eva. Vieni tra le mie braccia.

Muzhrab si stende accanto a Bran, che lo avvolge. La stanchezza è tanta, ma prima di dormire si chiede nuovamente che ne sarà di loro. Per quanto tempo ancora lo stringeranno queste braccia? Si lasceranno tra pochi giorni? Sente una sofferenza acuta dentro di sé. Bran lo accarezza e il tocco lieve delle sue mani lenisce il dolore. Lentamente si abbandona al sonno.

 

A svegliarli è qualcuno che bussa alla porta. Si sciolgono dall’abbraccio e Muzhrab si sposta sull’altro letto.

- Avanti.

Entra un servitore, che dice:

- È giunto il re e ora vuole vedervi.

- Ci vestiamo e arriviamo.

- Vi aspetto fuori.

Il servitore esce. Bran dice:

- Non vedo l’ora di lasciare questo fottuto posto. Merda! Non li sopporto proprio. Manco ci lasciano dormire! Abbiamo salvato il principe e dobbiamo alzarci, perché il re vuole vederci…

Muzhrab non dice niente. Avrebbe dormito anche lui ancora un po’, ma non è un problema.

Quando sono pronti escono. Il servitore li accompagna fino a una sala al piano terreno dove il re è seduto su un trono.

Quando li vede, dice:

- Figli di Eva, siete giunti questa notte con mio figlio. Egli dorme ancora e io non ho voluto svegliarlo, ma prima di coricarsi ha indicato in voi i suoi salvatori. Se così è, conoscerete la riconoscenza degli Aldebri.

A Bran verrebbe da dire che il re avrebbe potuto svegliare il figlio, invece dei due sconosciuti che glielo hanno salvato, ma non è il caso. Risponde al sovrano, spiegando brevemente quanto era scritto negli Antichi Libri: un guerriero avrebbe potuto liberare il principe ed evitare lo scoppio di una guerra devastante per tutti, che avrebbe portato l’intera regione sotto una forza malvagia. Poi prosegue:

- Il guerriero è quello che tu vedi, Muzhrab, e io ho ricevuto l’incarico di aiutarlo. Insieme abbiamo liberato una prima volta tuo figlio, quando era prigioniero nella Foresta Purpurea, ma la sua mente era sotto il controllo del Signore delle Alture ed egli ha colpito Muzhrab ed è fuggito. Il Signore lo ha fatto portare nella sua fortezza e noi l’abbiamo raggiunta. Muzhrab ha ucciso il Signore e liberato tuo figlio. I krilorai ci hanno portato qui. E questo è l’essenziale.

Il re ha ascoltato con attenzione.

- Mi hanno detto che questa mattina si vedeva un denso fumo salire dai monti, là dove si trova la fortezza.

- Sì, l’abbiamo incendiata prima di partire, perché le forze malefiche non potessero servirsene.

- Il corpo del Signore delle Alture?

- Ho fatto quanto dovevo, prima che bruciasse.

Muzhrab registra mentalmente che alla lista di ciò che Bran deve spiegargli va aggiunto che cosa ha fatto al corpo del Signore delle Alture. Non riuscirà a ricordarsi di tutto.

Il re annuisce.

- Avete compiuto una grande impresa e saprò dimostrarvi la nostra riconoscenza. Attendo che mio figlio si svegli, per saperne di più. Adesso vi prego di accomodarvi a tavola: ho fatto preparare un pasto per voi.

- Questa è un’ottima idea.

Il pasto è abbondante: è davvero un banchetto. I cibi sono ottimi: si vede che il cuoco è abituato a cucinare per il re e per la sua corte. Né Bran, né Muzhrab sono buongustai: entrambi sono abituati a mangiare ciò che trovano, senza badare molto alla qualità. Ma sono in grado di apprezzare una cucina eccellente, in particolare dopo un periodo in cui sono vissuti cibandosi soprattutto di gallette e carne secca. Perciò mangiano con gusto.

Intanto il principe si è svegliato. Il re parla a lungo con lui, poi ritorna nella sala del banchetto, dove Muzhrab e Bran hanno finito il pasto e stanno chiacchierando. Si alzano all’ingresso del re.

- La vostra impresa vi ha meritato la riconoscenza di tutti gli Aldebri. Saprò dimostrarvela, potete esserne sicuri. Posso chiedervi quali sono i vostri progetti?

Muzhrab nota che il tono del re è molto cambiato. Adesso che ha parlato con il figlio, non c’è nessuna traccia di alterigia nella sua voce.

Bran risponde per tutti e due:

- Vogliamo raggiungere l’accampamento dei figli di Eva al guado di Dubokvoda, a portare la notizia che la minaccia di guerra è stata sventata. Perché ora ci sarà pace, vero, Re?

- Sì, Bran. Avevamo dato l’assenso per la costruzione della fortezza al guado perché garantiva la sicurezza degli scambi. Era anche nel nostro interesse. Il rapimento di mio figlio ha cambiato la situazione, ma non c’era nessuna colpa dei figli di Eva. Non ci sarà guerra, anzi: vi dobbiamo la nostra riconoscenza. Ti darò un pegno di pace che potrai consegnare al comandante dell’accampamento al guado. Gli Aldebri non ostacoleranno i lavori.

- Bene, allora possiamo partire per Dubokvoda. Aspettiamo solo i nostri cavalli, che non sono lontano da qui. In serata arriveranno.

- Vi fermerete a dormire questa notte: sarebbe una vergogna per me che facessi partire con il buio, come malfattori, coloro che hanno salvato mio figlio e annientato il Signore delle Alture.

- Accettiamo volentieri la tua ospitalità, sovrano.

- Io torno da mio figlio. Siete liberi di muovervi come volete.

- Credo che faremo volentieri un giro per la fortezza e per il mercato, ma prima tornerei a riposare un po’ in camera. Che ne dici, Muzhrab?

Muzhrab non sa bene che cosa abbia in testa Bran, ma l’idea di starsene un po’ in camera con lui (sotto di lui, dentro di lui, sopra di lui) gli piace.

- Sì, un po’ di riposo ci vuole.

- Di qualunque cosa abbiate bisogno, rivolgetevi ai servitori: sono a vostra completa disposizione. Ho detto ai servitori di prepararvi un altro appartamento, dove potete anche bagnarvi.

- Grazie.

I servitori li accompagnano nel nuovo appartamento. È costituito da due camere da letto, molto ampie, un salotto e un vasto bagno, con una grande vasca che è quasi una piscina, al livello del pavimento.

- Che ne dici, Bran, ci avrà dato una camera con bagno perché non abbiamo un gran bell’odore addosso?

- Potrebbe essere. E in questo non saprei dargli torto. Puzzi come un pesce marcio.

- E tu come un gatto morto da una settimana.

Ridono, poi si spogliano. Bran si toglie in fretta gli abiti e guarda Muzhrab, che si è calato i pantaloni, ma ora lo fissa immobile, come paralizzato. La violenza del desiderio lo ha preso alla sprovvista, il cazzo gli si è drizzato e la gola è secca. Gli sembra di non riuscire più a muoversi.

Bran sorride. Gli si avvicina, lo bacia, poi lo stringe tra le braccia, lo bacia di nuovo, lo aiuta a togliersi le ultime cose, lo bacia ancora una volta, lo solleva e lo getta nella vasca.

- E lavati, maiale!

Muzhrab lo afferra per un piede e lo sbilancia. Bran barcolla e, per non cadere all’indietro, si getta nella vasca, addosso a Muzhrab, facendolo finire sott’acqua. Riemergono tutti e due, ridendo. Bran ha afferrato Muzhrab da dietro. Muzhrab sente la pressione del cazzo di Bran contro il proprio culo e il fiato gli manca. Si appoggia al bordo della vasca a allarga le gambe. Sente la pressione della cappella contro l’apertura, poi l’ingresso, che porta un po’ di dolore, ma soprattutto un piacere violento. Bran lo fotte lentamente e il piacere cresce. Rimane un po’ di dolore, ma è solo sullo sfondo. Le mani di Bran percorrono il suo corpo, scompigliano i capelli, accarezzano le guance, martoriano i capezzoli, pizzicano il culo, stringono il cazzo, stuzzicano i coglioni e infine Muzhrab viene, mentre sente dentro di sé il seme di Bran riempirgli le viscere.

Muzhrab chiude gli occhi. Appoggia la testa sulle braccia. Gli sembra di essere incapace di reggersi in piedi. Le mani di Bran lo accarezzano leggere.

- Bran…

- Dimmi, Muzhrab.

- Non è possibile. Non ho mai provato niente del genere.

Una mano di Bran gli accarezza il capo, le sue labbra gli si posano sul collo.

- Sei cambiato, Muzhrab. Non sei più quello che eri.

Rimangono un momento abbracciati, poi si lavano. Dopo un po’ Bran emerge. Muzhrab guarda il grosso orso peloso, il ventre prominente, le braccia e le gambe forti. Il desiderio si accende nuovamente. Muzhrab esce dall’acqua, il cazzo già teso. Bran sorride e si mette a quattro zampe. Muzhrab si stende su di lui, lo accarezza, poi, senza tante cerimonie, lo infilza. Bran grugnisce.

Muzhrab cavalca a lungo, mentre le sue mani si perdono tra i peli che coprono il corpo di Bran, stringono il cazzo, giocherellano con i coglioni, afferrano il culo. E infine nuovamente il piacere esplode in entrambi.

Giocano ancora nell’acqua, poi Bran chiede:

- Vuoi dormire o facciamo un giro?

- Andiamo in giro per la città. Sono curioso di vederla di giorno.

Si rivestono ed escono dalla camera. I servitori si inchinano al loro passaggio: sono ospiti di riguardo, ormai.

Lasciano il palazzo e percorrono le vie. La fortezza ha una pianta circolare, con tre vie concentriche e altre trasversali che le collegano. Al centro c’è una piazza con portici, su cui si affacciano botteghe di prodotti di lusso. Altre botteghe si trovano nelle vie,  accanto ai magazzini. Nella cerchia più esterna, addossata alle mura, ci sono gli alloggiamenti del soldati e il palazzo reale.

Dopo aver fatto un giro all’interno, i due si dirigono all’unica porta della città. Nel grande spiazzo è stato allestito un mercato, dove vengono scambiate merci di minor valore.

Verso sera Bran dice:

- I cavalli sono qui vicino. È ora che vada a prenderli.

Riescono dalla porta e si dirigono verso il bosco. I due cavalli arrivano al galoppo. Bran e Muzhrab li prendono per le redini e li accarezzano, poi rientrano in città. A palazzo i cavalli vengono sistemati nelle scuderie.

Un aldebro gli si avvicina.

- Sono Duga, il comandante della fortezza.  Il re è rientrato nella capitale con il figlio: il giovane principe ha bisogno di riposo. Il re mi ha incaricato di salutarvi e di darvi alcune cose: un piccolo ringraziamento per la vostra impresa. E di garantirvi che gli Aldebri non dimenticheranno mai ciò che avete fatto.

Duga li accompagna in una stanza, dove c’è una cassetta sul tavolo e una sacca di velluto.

Apre la sacca e tira fuori un ciondolo con un diamante, appeso a una catena d’oro.

- Questo è per il comandante dell’accampamento al guado di Dubokvoda. È un pegno di pace. Nessuno degli Aldebri farà mai nulla contro il comandante e gli uomini al suo servizio.

Muzhrab prende la piccola sacca con il gioiello.

- E questa cassetta contiene alcuni gioielli per voi, un piccolo segno della riconoscenza del re.

Duga indica la cassetta e porge una chiave d’oro, che Bran prende.

- Adesso vi farò accompagnare nelle vostre camere. Ditemi voi quando volete mangiare.

Stabilita un’ora, Bran e Muzhrab rientrano in camera. Sono entrambi curiosi di vedere il contenuto della cassetta.

Bran infila la chiave nella serratura e la apre. Solleva il coperchio. Dentro ci sono gioielli luminosi. Bran li estrae uno per volta e li mette sul tavolo. Muzhrab li guarda, affascinato. Non gli interessano i gioielli, ma la bellezza di questi monili lo lascia senza parole. Infine, quando sono tutti sul tavolo, riesce a dire:

- È un vero tesoro.

Bran annuisce.

- Con questa roba puoi comprarti un castello e viverci con una ventina di servitori.

Muzhrab sorride e scuote la testa. Non gli interessa un castello.

- Sono anche tuoi, Bran.

Bran scuote la testa.

- No, non tengo gioielli.

Poi dice, con una voce roca:

- Spogliati Muzhrab.

Muzhrab lo guarda, perplesso. Si spoglia completamente. Bran prende un monile, formato da venti piastre d’oro su cui sono stati montati altrettanti smeraldi, ognuno circondato da un anello di diamanti, e glielo mette al collo. Gli infila in testa una corona d’oro, incrostata di altri diamanti e rubini, con smeraldi e zaffiri. Ai polsi gli mette quattro bracciali, due d’oro con figure animali e due di diamanti. Poi si inginocchia davanti a lui e gli mette due cavigliere, una di zaffiri e diamanti, l’altra di smeraldi e rubini. Altri due monili per le braccia, subito sotto le spalle.

Bran tace e Muzhrab non dice nulla: non osa spezzare questo incantesimo.

Bran ha preso gli anelli. Sono dieci, uno per ogni dito, ognuno tanto perfetto nella lavorazione quanto prezioso nei materiali. C’è ancora una cintura con un pendaglio.

Bran guarda Muzhrab e sorride.

Lo solleva tra le braccia e lo stende sul letto. Gli solleva le gambe, se le mette sulle spalle e dice:

- Posso fottere questo principe che ha addosso di che comprare una città intera?

Muzhrab ride e dice:

- Il principe te lo permette.

Bran sorride e il suo sperone si infila tra le cosce di Muzhrab, forza l’apertura e penetra ben dentro. Muzhrab sussulta, chiude gli occhi, poi li riapre e sorride a Bran.

- Mi hai detto che non mi avrebbe fatto più male.

- Non è proprio così. Un po’ può farti ancora male, ma niente di particolare.

- Sì, è così. Il piacere è molto più forte.

Muzhrab guarda Bran, È bello poter guardare questo maschio vigoroso che lo fotte, vedere il suo sorriso, la sua folta barba, i suoi occhi maliziosi, il torace muscoloso, coperto da una fitta pelliccia.

- Sei bellissimo, Bran.

Bran ride. È bella anche la sua risata.

- Sono vissuto molto a lungo, Muzhrab, ma non ho mai sentito nessuno dire una simile cazzata.

- Sei bellissimo, Bran.

Bran china la testa e lo bacia sulle labbra, poi prosegue la sua cavalcata. Quando infine viene, si china ancora a baciare Muzhrab, poi esce da lui e gli si siede sul ventre. Il cazzo duro del guerriero gli preme tra le cosce. Bran sorride, solleva un po’ il culo, afferra il cazzo di Muzhrab, lo mette in verticale e lentamente si abbassa. Sente il cazzo penetrargli in culo ed emette un grugnito. Poi, mantenendo un ritmo molto lento, si alza e si abbassa più volte.

Muzhrab sente il piacere crescere sempre più e infine esplodere. Bran si stacca e si stende di fianco a lui.

Muzhrab lascia che il battito del suo cuore si calmi, poi chiede:

- Bran, come è possibile?

- Che cosa?

- Ho sempre voglia di scopare.

- Sei cambiato, Muzhrab. Non sei più come gli altri figli di Eva.

- Effetto del tuo seme?

- Sì, del mio sborro, ma non solo. Ne parleremo poi.

- Altra cosa da spiegare? Anzi, visto che ci siamo, potresti incominciare.

Bran sghignazza.

- Ora di mangiare, tesoro. Posso chiamarti tesoro, vero? Con quello che hai addosso vali davvero un tesoro. Le spiegazioni le rimandiamo a domani.

Muzhrab ride. Si chiede se avrà mai le spiegazioni che desidera.

 

Il mattino seguente si congedano. Caricano il loro ridotto bagaglio e si avviano. Bran osserva:

- Invece di tutto quest’oro e pietre preziose, avrebbe potuto regalarti una tunica. Anche se devo dire che a torso nudo sei proprio una bella vista.

Muzhrab ride e scuote la testa.

Cavalcano lungo il fiume. La riva sul lato opposto è rocciosa: le montagne arrivano fino all’acqua, che qui scorre impetuosa, perché il letto del fiume è più stretto. Sulla riva che percorrono c’è invece un’ampia fascia di terreno sgombro, perché tra il guado e la fortezza degli Aldebri il fiume ha spesso grandi piene, che distruggono i giovani alberi e impediscono alla foresta di estendersi fino alla riva.

Possono cavalcare affiancati e Muzhrab ha tutte le intenzioni di farsi spiegare un po’ di cose. Prima però osserva:

- Abbiamo con noi un tesoro. Siamo una preda alquanto ambita.

- Siamo una di quelle prede che non conviene cacciare, Muzhrab. Non lo consiglio a nessuno.

- Non posso darti torto. Per quanto riguarda te, almeno. Comunque, dimmi: ci sono grossi pericoli?

- Ci sono banditi, figli di Eva, soprattutto, e di Lilith, ma di solito si tengono alla larga dai guerrieri, che difficilmente portano con sé grandi ricchezze. Preferiscono attaccare le carovane di mercanti. Ma in questo tratto, tra la fortezza degli Aldebri e adesso l’accampamento degli uomini al guado, non credo che ci sia niente da temere, di giorno.

- E la notte?

- La notte sì, ma questa sera saremo al guado. Poi, per la pista che attraversa la foresta, vedremo. Ma ci sono un sacco di posti in cui dormire in santa pace.

- Stanze che non esistono e cose del genere?

- Esatto. Vedo che incominci a capire che il mondo è un po’ più complesso di quello che credevi.

- Sì, direi che in quest’ultimo periodo ho avuto modo di capirlo.

- Bene, si vede che non sei proprio scemo come mi eri apparso in un primo momento.

- Stronzo!

Bran ride e mette il cavallo al trotto. Muzhrab lo segue. Dopo un po’ riportano i cavalli al passo.

- Bran, è l’ora delle spiegazioni.

Bran inarca le sopracciglia, come se fosse perplesso.

- Spiegazioni? Quali spiegazioni?

- Non sperare che me ne sia dimenticato. Mi sono ripassato l’elenco di tutto ciò che devi spiegarmi.

- Ti hanno mai detto che sei un bel curioso?

- No, non me l’ha mai detto nessuno.

Bran scuote la testa e osserva, serafico.

- C’è sempre una prima volta.

- Bene, adesso incomincio. Partiamo dall’ultima notte, no, la penultima. La fortezza del Signore delle Alture. Quando sei andato a “fare un giro”, oltre a prendere del cibo in dispensa, hai messo del combustibile per farla bruciare, vero?

- Sì, esatto. Ho distribuito paglia e legna, perché lanciando la torcia prendesse tutto fuoco. Doveva essere distrutta.

- Perché?

- Quando il Male domina a lungo un luogo, è ben difficile, se non impossibile eliminarne ogni traccia. Ci sono luoghi dove il Male rimane, anche se l’essere che lo serviva è stato ucciso. La morte del Signore delle Alture non era sufficiente a cancellare il male da quel luogo, altri avrebbero potuto stabilirvisi e la loro malvagità ne sarebbe uscita rafforzata.

Muzhrab medita un momento, poi ghigna e dice:

- Vedo che se ti ci metti di impegno, riesci anche a spiegare in modo comprensibile.

- Eh, sì, per far capire a uno come te bisogna proprio mettersi d’impegno.

Muzhrab incassa il colpo, ma restituisce:

- Non so perché oggi tu sia così stronzo, ma lo sei davvero.

Ridono tutti e due.

- Vediamo il resto. Tu hai preso una spada per me e un pugnale per te nel deposito delle armi. Perché queste due armi?

- Perché quella non è una spada qualunque. È una spada fedele.

- Che cosa significa?

- Che nessuno altro se ne potrà mai servire contro di te. Tu hai ucciso il suo ultimo proprietario, che sicuramente non ne conosceva neppure il potere, altrimenti l’avrebbe tenuta nella torre dove viveva: il Signore delle Alture controllava le menti, ma non aveva grandi conoscenze. Per quelle si serviva di Vragore.

- Chi è Vragore?

- L’uomo impalato. Era un mago e un sapiente. Anche uno stronzo, lui sì, davvero, ma questo non è fondamentale. Era lui che controllava a distanza il principe, servendosi della forza del Signore.

Muzhrab medita un attimo, poi chiede:

- Allora, se qualcuno mi prende la spada, non potrà utilizzarla contro di me?

- No, gli sfuggirà di mano, non ti colpirà. Quella spada non potrà mai farti del male. E se qualcuno cercherà di rubarla, in qualche modo ti avviserà.

- Sembra quasi che sia un essere vivente.

- Non dire cazzate, Muzhrab. Non sei così stupido da pensarlo. Almeno, lo spero.

Muzhrab ride e dice:

- La posso usare contro di te, la spada?

Bran ride.

- Sì, certamente. Puoi usare qualsiasi arma contro di me.

- E il pugnale? Perché l’hai preso? È anche quello incantato?

- Certo. Una lama fabbricata nelle officine di Noz e dotata di grandi poteri: le ferite inflitte con quel pugnale non possono essere sanate, neanche con arti magiche. Mi serviva per il Signore delle Alture.

- Ma era già morto.

- Sì, ma dovevo castrarlo, per spegnere completamente la sua potenza. Lo stesso motivo per cui bisognava distruggere la fortezza. E posso dirti che ho fatto entrambe le cose con grande soddisfazione.

- Allora… allora è a quello che alludeva il re, quando ti ha chiesto se avevi fatto il necessario!

Bran lo guarda come se fosse sbalordito.

- Allora… allora un cervello ce l’hai, Muzhrab! Però.

- Stronzo. L’ho già detto, ma credo che sia utile ripeterlo.

Bran ride di nuovo. Muzhrab prosegue:

- Per quello sei tornato nella torre, non solo per prendere la torcia?

- Sì.

- Incomincio a capire.

Bran annuisce, come se stesse riflettendo.

- Sei alquanto lento, ma impegnandoti ce la puoi fare.

- Adesso…

Bran lo interrompe:

- Ma quanto ancora intendi andare avanti? Ti ho spiegato tutto.

- Scherzi? Voglio sapere dei gioielli che hai tolto dallo scrigno, prima di mostrarlo a Cestojunak.

- Ci sono gioielli che hanno poteri magici. Due te li donerò, prima che ci separiamo. E altri due avrebbero potuto suscitare, per il loro potere, il desiderio di Cestojunak. Lui avrebbe resistito, ma è un uomo leale e si sarebbe vergognato, senza capire che il desiderio nasceva dal gioiello stesso e non da lui. Non volevo metterlo a disagio.

Muzhrab annuisce. Ha fatto fatica a seguire il discorso. Le parole di Bran, “prima che ci separiamo” sono state una coltellata. La gioia della giornata si è spenta. Dentro sente solo un’angoscia devastante. Non chiede più niente, non gli importa più di sapere. Tace.

Cavalcano un buon momento in silenzio, poi Bran chiede, con una voce diversa, in cui non c’è più traccia di ironia:

- Che cosa c’è, Muzhrab? Che cosa ho detto che ti fa star male?

Muzhrab scuote la testa.

- Niente, niente. Sono io che sono stupido.

- Se pensi di cavartela così, sì, concordo con te: sei proprio stupido. Ma tu non sei stupido. È la frase che ho detto, l’allusione alla separazione, che ti fa soffrire, vero?

Muzhrab vorrebbe negare, vorrebbe essere lontano. La missione è riuscita, possiede un tesoro, la sua vita è completamente cambiata e non gli importa niente.

- Scusa, Bran. Hai ragione… non pensavo…

Bran guarda davanti, lontano.

- Sai che cosa significa ritornare dalla morte, Muzhrab? Ritornare sempre, cioè vivere per centinaia, forse migliaia di anni?

- Come potrei saperlo?

- Certo. Non puoi saperlo. Te lo spiego, o almeno ci provo. Significa che se ti fai degli amici, che siano figli di Eva o di Lilith, krilorai o aldebri o quel che cazzo vuoi, li perderai, perché loro invecchieranno e moriranno e tu magari morirai molte più volte, ma tornerai in vita. Significa che se scegli di dividere la vita con un mortale, lo vedrai invecchiare e morire. E se ti fai una famiglia, posto che ti interessi, vedrai i tuoi figli, se ne avrai, invecchiare e morire.

- Non ci sono femmine, tra Coloro Che Ritornano?

- Sì, ma non tra noi dodici. Non abbiamo rapporti con loro. Hanno altri compiti. Non dobbiamo avere una discendenza, non possono esserci dinastie di immortali che si moltiplicano come conigli. E forse per questo nessuno di noi è interessato alle femmine.

- È una vita molto solitaria.

Bran china il capo, poi lo rialza. Non guarda verso Muzhrab.

- Non lo era. Il Cinghiale era mio amico. Stavo con il Lupo. Stavo bene. Quando hai un amico e qualcuno che ami, stai bene. Non hai bisogno di altro. Poi…

Bran scuote la testa e si interrompe.

- Raccontami, Bran, mi farebbe piacere saperlo. Se a te non pesa raccontarmelo.

Bran guarda lontano, poi riprende:

- Il Lupo e in Cinghiale si misero insieme e io me ne andai lontano, perché mi sentivo tradito, perché soffrivo. Quando il Leone passò dalla parte del Male, attaccò il Lupo e il Cinghiale. Loro mi chiesero aiuto e io corsi, il più in fretta possibile, senza esitare, ma quando arrivai era troppo tardi. Uccisi il Leone, ma la mia solitudine divenne ancora più totale, anche se già da tempo mi ero allontanato da loro.

- Mi spiace, Bran. Realmente.

Bran si volta verso di lui e lo fissa. Come davanti alla donna che gli ha affidato la missione, a Samar, ha l’impressione che lo sguardo di Bran gli entri dentro. Poi Bran distoglie lo sguardo. Cavalcano in silenzio.

Ora stanno attraversando una zona in cui si alternano ciottoli e sabbia. Qua e là alcuni tronchi divelti testimoniano la furia del fiume. Le cime delle montagne oltre il fiume sono coperte da nuvole, che ora oscurano il cielo. La bella giornata di sole è solo un ricordo. Muzhrab si chiede se anche il suo rapporto con Bran sarà presto solo un ricordo. Il pensiero è troppo doloroso.

Procedono senza più parlare, come se la giornata cupa li opprimesse.

Il terreno risale un po’ e la massa di sabbia, ciottoli e detriti depositati dal fiume lascia il posto a un prato fiorito.

Bran ferma il cavallo e dice:

- Fermiamoci qui, Muzhrab. È un buon posto. Mangiamo un boccone.

Mentre lo dice, scende a terra.

Muzhrab non ha fame, ma anche lui smonta.

Bran prende dalla sacca un po’ di cibo e si siedono. Muzhrab guarda lontano, verso le montagne oltre il fiume, che si perdono nelle nuvole.

- Muzhrab…

Muzhrab volta la testa e fissa Bran. Sta male, un dolore sordo scava dentro di lui.

- Cosa c’è?

- Potrei farti io la stessa domanda, ma conosco la risposta. Muzhrab, non avrei dovuto parlare di separarci, pensavo di discutere del futuro più avanti, dopo aver raggiunto il guado. Ma avevo bisogno di sapere che cosa provi e adesso lo so.

Muzhrab aggrotta la fronte.

- Bran, sono mortale. Soggetto a invecchiare e a morire. Vorrei poter essere immortale e vivere al tuo fianco.

- Lo vorresti veramente? Le due cose, intendo? Perché non potrei accettare di vederti invecchiare e morire mentre io non cambio e rimango vivo. Preferisco perderti ora, piuttosto che dopo anni vissuti insieme.

Muzhrab lo guarda perplesso.

- Lo vorrei, certo. Saremmo in due. Ma sono mortale.

Bran sorride.

- A questo si può rimediare.

- Che intendi dire?

- Un uomo mortale può prendere il posto di uno di noi che è morto. Non è mai successo, ma può succedere. Ci vogliono molte condizioni che non si sono mai create.

- E sarebbero?

- L’uomo deve essere stato ucciso dopo la morte di uno di noi. Deve essere riportato in vita da colui che ha ucciso l’altro. Deve riceverne il seme tre volte prima che finisca il giorno o la notte.

Muzhrab segue il discorso e a ogni condizione riflette se ciò che è avvenuto la soddisfa. Gli viene un dubbio:

- Per quello non hai voluto scopare la terza volta, dopo che mi avevi riportato in vita?

Bran finge stupore.

- Però! Devo dire che non sei proprio stupido come pensavo. In effetti non volevo renderti immortale a tua insaputa.

Muzhrab ride. Il peso che sentiva sul petto si sta dissolvendo.

- Forse no. Quindi basterebbe che tu mi fottessi tre volte in un giorno, perché io diventassi immortale? Non ci credo.

- Non diventeresti immortale, testa di cazzo, te l’ho già detto. Anzi, questo devi averlo ben chiaro: ti capiterebbe di morire, molte volte, e alcune di queste morti ti farebbero rimpiangere di tornare in vita, all’idea che potresti passarci di nuovo. Lo capisci?

- Sì, lo capisco. Accetterei il rischio.

- Non ci pensi neanche un momento su?

- Bran, cazzo! Io sarò limitato, ma tu? Non ti rendi conto che quello che voglio è stare con te?

Bran si sporge verso di lui, gli prende il viso tra le mani e lo bacia. Poi si stacca e dice:

- Comunque, a conferma che sei una testa di cazzo, non hai capito. Dev’essere lo stesso giorno o notte in cui sei stato ammazzato, dopo che il mio seme ti ha riportato in vita.

- Va bene, si può fare. Mi ammazzi e poi mi fotti tre volte. Basta quello?

- No, non basta. Chi entra tra Coloro Che Ritornano lo fa prendendo il posto di colui che è stato ucciso. Per poterlo fare deve aver mangiato i suoi coglioni.

Muzhrab rimane un attimo senza parole. I coglioni del toro saranno stati divorati dagli animali selvatici, a quest’ora. A meno che… Il pensiero gli attraversa la mente come un lampo.

- Ma allora… cazzo! Vuoi dire… Quella carne che non sapeva di niente…

- Esatto.

- Ma avevi già deciso…

- No, non avevo deciso niente. Non decido io. Decidi tu, Muzhrab. Ma farteli mangiare lasciava aperta la possibilità e ti dava forza. Quando hai ucciso il Signore delle Alture, la spada ha trapassato il suo corpo, carne e ossa, e poi il legno di quercia del trono, uscendo dietro. Non ti sei chiesto da dove ti venisse tutta quella forza? Lo schienale del trono era spesso un palmo e la spada l’ha attraversato tutto.

Muzhrab scuote la testa.

- Pensavo… la pietra, il tuo seme, tu mi avevi in qualche modo trasformato.

- Anche, ma non era solo quello.

Muzhrab annuisce. Ha bisogno di un po’ di tempo per capire. Bran se ne rende conto e non dice nulla. Muzhrab infine dice:

- Allora…

Bran lo interrompe subito:

- Allora adesso hai tempo per pensarci. Io posso renderti immortale, usiamo questo termine anche se non funziona, visto che è quello che ti viene. Ti ho già spiegato che cosa significa. Aggiungi che se diventi uno di noi, avrai dei compiti da svolgere. Io vorrei vivere con te, ma solo se sei immortale. Te l’ho già detto: non accetterei di vederti invecchiare e morire. Ma puoi diventare immortale anche se preferisci non vivere con me.  

Muzhrab scuote la testa.

- Adesso sei tu che sei stupido. Vorrei essere immortale solo per vivere con te.

Bran gli passa una mano dietro la nuca, lo attira a sé e lo bacia. Poi lo lascia.

- E adesso mangiamo. Spero ti sia ritornato l’appetito, insieme al buon umore.

Muzhrab annuisce.

- Adesso hai tempo per pensarci. Non ne parleremo più fino a quando non lasceremo l’accampamento al guado. D’accordo?

- D’accordo, Bran.

Il cielo è tutto coperto, da nuvoloni sempre più scuri, e potrebbe mettersi a piovere da un momento all’altro, ma a Muzhrab sembra che il sole sia tornato a splendere. Penserà con calma a tutto quello che gli ha detto Bran, ma l’unica cosa che conta è che anche lui vuole che vivano insieme. Muzhrab sa di aver già deciso, ma non importa parlarne ora.

 

Dopo aver mangiato riprendono il viaggio verso nord. Il temporale si scatena alle loro spalle, ma dove si trovano scende appena un po’ di pioggia. A un certo punto Bran si ferma.

- Che c’è?

- Seguimi, Muzhrab.

Bran dirige il cavallo nella foresta. Si ferma in un punto dove gli alberi sono molto fitti. Smonta e Muzhrab lo imita.

Bran spiega:

- Ho avvertito la presenza di un gigante. Meglio non farsi vedere. Non ho voglia di perdere tempo e magari vedere ammazzati i cavalli.

Muzhrab annuisce. È curioso di vedere un gigante: non gli è mai capitata l’occasione.

Bran sta scrutando il fianco della montagna sull’altra riva.

- Eccolo.

Con il dito gli indica il gigante, che sta scendendo verso il fiume. Il corpo è simile a quello di un uomo, a parte le braccia molto lunghe e la statura, che è più del doppio di quella umana. Ma la testa, completamente coperta da lunghi peli, ha due corna.

- È uno dei giganti di Orijaski?

Bran scuote la testa.

- No, i giganti di Orijaski non hanno corna. È un Solitario. Chissà da dove viene. Aspettiamo che si allontani.

Il gigante arriva in riva al fiume, guarda la corrente ed entra in acqua.

- Merda!

In un gesto istintivo Bran porta la mano alla spada.

Il gigante però scuote la testa, si volta e ritorna indietro. Risale lungo uno dei sentieri e scompare.

- Ha cambiato idea. Meglio così.

- Ce ne sono molti da queste parti?

- No. E molto di rado attraversano il fiume. Non sono a loro agio nella foresta. Preferiscono i monti.

Bran risale a cavallo.

- Bene. Possiamo ripartire.

Muzhrab pensa al futuro che lo attende, al fianco di Bran. Gli viene da chiedere:

- Dove vivi, Bran?

- Sulle colline vicino a Selegran. In una casetta formata da un’unica stanza. Abbastanza grossa per ospitare uno grosso come me.

- Ci sta anche uno più magro?

- Se non vuole abitare in un castello, sì. È una sistemazione molto semplice.

- Mai amato i posti lussuosi. Mi ci sento a disagio. Non che abbia avuto molte occasioni di frequentarne. Non mi invitano mai alle feste da ballo a palazzo, non capisco perché.

- Perché hanno paura che tu faccia strage di cuori, senza dubbio. Ma se ti fai costruire un castello, potrai dare tu feste da ballo.

- Se balli tu, va bene.

Bran scuote la testa. Poi dice:

- La mia è davvero una casa molto piccola e semplice. Io preferisco vivere un po’ isolato e non dare nell’occhio. Sai com’è, non possiamo avere vicini di casa per un lungo periodo: dopo un po’ incominciano a chiedersi perché sei ancora come quando loro erano bambini, perché loro invecchiano e tu no. E cambiare casa ogni vent’anni è una bella rottura di coglioni.

C’è un momento di pausa, poi Bran aggiunge:

- Comunque dove vivo non è così importante. Sono disponibile a cambiare posto, se è quello che vuoi. Io non ho bisogno di molto, ma non voglio importi niente. Non voglio certo impedirti di godere delle ricchezze che ti sei guadagnato.

- Ne parleremo. Per il momento credo che la tua casetta nei boschi mi andrà benissimo. E comunque quelle ricchezze ce le siamo guadagnati tutti e due, anche se tu sembri non volerle.

 

Nel tardo pomeriggio arrivano al guado di Dubokvoda, posto in un punto in cui il fiume è particolarmente largo e perciò poco profondo. Al centro ci sono alcune isolette, che nei periodi di piena vengono sommerse. Sul lato orientale si erge una collinetta che scende a strapiombo sulle acque e declina invece dolcemente sul lato opposto: la posizione ideale per una fortezza. Gli uomini hanno costruito il loro accampamento sulla collinetta, ma non nella parte più alta, dove sorgeranno le fortificazioni. Dal basso sono visibili moltissime tende, difese sul lato accessibile da una palizzata di legno. Non vi sono abitazioni stabili e i lavori per la costruzione della fortezza sono appena incominciati. Dal basso si vedono solo alcuni cumuli di terra: probabilmente stanno tracciando le fondamenta.

Ai piedi della collinetta è stata eretta una forca, da cui pendono tre corpi. Quando arrivano davanti agli impiccati, Bran e Muzhrab li osservano. Sono tre uomini piuttosto corpulenti, che devono essere stati impiccati da poco. Ci sono ancora alcuni uomini vicino, che commentano l’esecuzione.

Bran dice:

- Tre banditi, direi. Non mi sembrano guerrieri. Potrebbero essere i fratelli Zaorato, che spesso attaccavano le carovane in quest’area. Credo che fossero quattro. Se Dvoboposte è riuscito a impiccarne tre, ha fatto un ottimo lavoro.

Muzhrab annuisce. A Samar ha sentito anche lui parlare di questi banditi. Osserva i corpi appesi. Hanno tutti e tre i pantaloni bagnati e uno deve avere il cazzo teso, perché c’è un rigonfio all’altezza del ventre.

- Sei mai stato impiccato, Bran?

- Sì, diverse volte. Non è un modo piacevole di morire, te lo assicuro. Ma non saprei dire se esistono modi gradevoli di crepare. Per noi che abbiamo una capacità di resistenza molto maggiore degli umani è un’agonia lunga. Ti viene duro, magari, come a quello lì sulla destra, ma non è una grande consolazione se hai un incendio nei polmoni e un male bestiale al collo e magari ti stai pure cagando addosso.

- Mi sembra che tu sia morto in molti modi.

- Già. Per quello non ti sopporto quando ti riferisci a noi come “immortali”.

Muzhrab annuisce. Poi salgono fino all’accampamento. La palizzata di legno ha due porte, sorvegliate da soldati, ma non c’è nessun controllo particolare. Chiedono di Dvoboposte. Gli dicono che è al cantiere e gli indicano la direzione da prendere.

Giunto al cantiere, Muzhrab parla con un ufficiale.

- Mi chiamo Muzhrab. Devo parlare con il comandante.

- È occupato con i capomastri, in questo momento. Non può ricevervi ora.

- Non è un problema, però è importante che tu lo avvisi subito. Digli solo che Muzhrab deve parlargli. Poi lo aspetteremo tutto il tempo necessario.

L’ufficiale è perplesso, ma fa un cenno di assenso e raggiunge la grande tenda. Ne riesce immediatamente.

- Il comandante ha detto che verrà subito. Vi accompagno alla sua tenda.

La tenda del comandante è piccola. C’è un letto da campo, un tavolo e alcune sedie, più una cassa per gli abiti. Non è la tenda di un nobile, che ama le comodità: è la tenda di un guerriero. 

Dvoboposte arriva poco dopo. Lancia una rapida occhiata a Bran, mentre dice:

- Muzhrab! Sono contento di vederti qui, vivo. Dimmi.

Muzhrab gli legge in viso la tensione: sa che dall’esito della missione dipende la vita degli uomini che si trovano al guado. 

- Abbiamo liberato il principe e l’abbiamo riportato da suo padre.

Dvoboposte sorride.

- Bravo, guerriero. Così la guerra è scongiurata.

Muzhrab annuisce e tira fuori la pietra che gli ha dato il re degli Aldebri, dicendo:

- Questa pietra è un pegno di pace da parte degli Aldebri. Il re te la dona.

- Non so quali difficoltà hai affrontato, guerriero, ma hai davvero compiuto una grande impresa.

- Le difficoltà sono state molte e di certo non avrei portato a termine la missione che mi è stata affidata, se non fosse stato per Bran.

Muzhrab indica l’amico e prosegue:

- Mi ha salvato la vita almeno due volte e solo grazie alle sue conoscenze e al suo aiuto ho potuto liberare il principe e riportarlo da suo padre.

- Grazie anche a te, Bran. Non ti conosco, ma ti sono grato per quello che hai fatto.

Poi Dvoboposte si rivolge a entrambi.

- Non credo che vorrete proseguire il viaggio questa sera, ormai tra poco sarà notte. Avrei piacere che mangiaste con me e mi raccontaste la vostra impresa, se avete voglia.

Muzhrab guarda Bran, che annuisce:

- Certo.

Dvoboposte sorride, poi dice:

- A Samar riceverete una ricompensa, ma se avete bisogno di qualche cosa, sono a vostra disposizione.

Muzhrab replica:

- Non abbiamo bisogno di nulla, già il re degli Aldebri è stato generoso con noi.

Ma Bran interviene:

- Una ricompensa che potresti dargli è una tunica, Dvoboposte. Muzhrab ha perso il suo bagaglio e la sua tunica è stata lacerata in un combattimento. Vuoi mica che continui ad andare in giro a torso nudo?

Dvoboposte sorride. Muzhrab scuote la testa e si rivolge a Bran:

- Posso comprarmi una tunica qui. Di sicuro ci sarà qualche mercante che ne vende, senza che…

Dvoboposte lo interrompe:

- Una tunica è davvero un dono misero per chi ha compiuto questa impresa. Ma sarei ancora più misero io, se te lo negassi.

- Ci sono ancora due cose che ti chiediamo, se è possibile.

- Dimmi, Bran.

- Possiamo avere anche noi una tenda per dormire? Come hai detto, ormai è tardi per mettersi in viaggio e dobbiamo fermarci qui questa notte, anche perché il comandante ci ha invitato a cena... Magari potremmo anche fermarci domani, per riposarci un po’. Sono state giornate… piuttosto intense. Possiamo dormire all’aperto o insieme ad altri, ma non ci spiacerebbe starcene tranquilli a riposare in pace.

- Certamente. Do subito l’ordine di montare una tenda. Ne abbiamo alcune di riserva.

- Perfetto.

- E la seconda cosa?

- Abbiamo con noi una cassetta, dono del re degli Aldebri. Vorremmo lasciarla in un posto sicuro e riprenderla solo al momento di partire.

- Provvederò anche a questo. Non chiedete davvero molto.

 

Quando sono infine nella loro tenda, Bran dice:

- Muzhrab, ho chiesto la tenda perché vorrei scopare in santa pace, senza avere rompicoglioni intorno. E l’ho chiesta per due giorni, perché davvero non mi spiacerebbe domani starmene tranquillo. Ma se tu preferisci che partiamo… o se vuoi partire da solo… non voglio scegliere anche per te.

- A me va benissimo fermarmi un giorno. Come hai detto al comandante, l’ultima settimana è stata piuttosto intensa. Quanto al partire da solo… sai che sei proprio una testa di cazzo, vero?

Bran annuisce.

- Non so se è vero, ma me l’hanno detto in molti.

- È vero, è vero. Puoi crederci.

- Se lo dici tu…

Si lavano, poi Muzhrab si mette la nuova tunica che Dvoboposte gli ha fatto portare e raggiungono la tenda del comandante per la cena.

Dvoboposte li accoglie sorridendo.

- La sistemazione non è lussuosa. Normalmente mangio con i soldati, ma questa sera mangeremo qui.

Si siedono intorno al tavolo e un soldato porta il cibo. La cena con Dvoboposte non è certo un lauto banchetto: l’ufficiale è un uomo frugale e non ha un cuoco al suo servizio. Ma per una volta che il comandante mangia per conto proprio e con due ospiti, il cuoco ha dato il massimo, per cui il cibo è buono e abbondante. Mangiare qualche cosa di caldo e cucinato con cura non dispiace ai due ospiti: hanno già mangiato bene e in abbondanza dagli Aldebri, ma farlo un’altra volta non guasta, dopo un periodo a gallette e carne secca.

Dvoboposte vorrebbe sapere come hanno portato a termine l’impresa, per cui gli chiede di raccontare. Muzhrab si chiede che cosa può dire, ma Bran lo precede.

- Comandante, Muzhrab mi ha raccontato che tu hai visto la pietra in cui si è trasformato il ciottolo bianco.

- Sì, certo. Samar è ai confini occidentali e ho avuto modo di vedere molte cose che non mi sarei mai aspettato, ma devo dire che mi ha comunque stupito.

- Allora devo dirti che la nostra storia ti stupirà molto di più, se vuoi sentirla. So che non ne parlerai a nessuno.

- No. Su questo puoi stare tranquillo. Ma sono curioso di sentire le vostre avventure, questo sì.

Muzhrab e Bran raccontano a grandi linee i fatti. Non dicono mai esplicitamente di essere morti e poi ritornati in vita, ma riferiscono di essere stati colpiti. Dvoboposte ascolta attento, senza tradire emozioni.

Alla fine del racconto, il comandante si rivolge a Bran e gli domanda:

- Bran, permettimi di chiederti: tu sei uno di Coloro Che Ritornano, vero? Perché solo così mi posso spiegare certi elementi del vostro racconto.

- Sì, Dvoboposte. Non è una cosa che dico, di solito, ma so che di te mi posso fidare. Siamo stati uccisi tutti e due, due volte.

- L’avevo pensato.

Bran sorride, si volta verso Muzhrab e sorridendo aggiunge:

- La seconda mi ha ucciso questo fetente, per far credere al Signore delle Alture che controllava la sua mente. Ma sono tornato in vita e ho fatto tornare in vita anche il krilorao che ci ha poi portato, con il padre e il fratello, fino alla fortezza degli Aldebri.

- Sarei ben contento che tu restassi qui, Bran. E anche tu Muzhrab: sarebbe una bella cosa avervi vicini. Ma avete compiuto la vostra missione e tornerete alle vostre case.

- Sì, Dvoboposte. Ma chissà, magari passeremo di nuovo da queste parti…

Parlano dei lavori che sono appena iniziati e dell’accampamento che è nato. Chiedono anche dei tre impiccati.

- Ci hanno segnalato la presenza dei fratelli Zaorato non molto lontano. Quei fottuti banditi hanno attaccato un sacco di carovane in questi anni. Ho organizzato rapidamente una spedizione. Ci siamo mossi ieri notte e siamo piombati sul loro accampamento. Abbiamo ucciso sul posto tutti gli uomini, a parte i tre fratelli. Ho deciso di portarli qui, così li abbiamo impiccati oggi pomeriggio e li lasceremo lì appesi per un bel po’, come monito per tutti i briganti della regione. I tempi sono cambiati e devono capirlo.

- Credo che lo capiranno, la spiegazione è chiara.

Muzhrab concorda:

- Sì, direi molto convincente.

Al momento di lasciarsi, Dvoboposte li invita a cena per la sera seguente.

Nella tenda Bran e Muzhrab si dedicano a lungo alla loro attività preferita, prima di mettersi a dormire.

Il mattino dopo Bran si sveglia tardissimo. Muzhrab non si stupisce: ricorda quanto l’amico gli ha detto sulla sua capacità di recuperare il sonno. È bellissimo stare tra le braccia di Bran, sentire il calore del suo corpo.

Quando infine anche Bran si sveglia, scopano, poi, dopo aver mangiato, scendono al fiume a bagnarsi. Raggiungono una delle tante isolette vicino al guado, dove ci sono anche altri guerrieri. Quando il fiume non è in piena, è possibile arrivare alle prime isole camminando: l’acqua arriva appena alle ginocchia.

Lì si spogliano ed entrano in acqua. Sguazzano nel fiume, spruzzandosi a vicenda, felici di stare insieme liberamente. Poi fanno una lunga nuotata. Muzhrab è un buon nuotatore: è abituato a bagnarsi in fiumi e laghi. Ma Bran è molto più potente, per cui lo distanzia facilmente. Poi però lo aspetta e quando l’amico lo raggiunge gli infila la testa sott’acqua. Giocano ancora, poi tornano al punto di partenza, nuotando affiancati.

Quando escono, uno dei guerrieri guarda Bran e dice:

- Cazzo, amico! Quando hanno distribuito l’attrezzatura, tu hai preso doppia razione, mi sa. Anche di peli.

Bran ride.

- Può essere.

Il guerriero guarda Muzhrab.

- Anche tu, però… Siete fratelli? Non vi somigliate, cazzo a parte.

- No, non siamo fratelli. Siamo amici.

Il guerriero deve avere intuito il tipo di amicizia, perché ammicca.

- Non so se vorrei essere troppo amico di uno di voi due. Mi sa che mi farebbe sempre male il culo.

Ridono tutti e tre.

Muzhrab e Bran raggiungono un posto tranquillo, dove si stendono al sole. Muzhrab osserva.

- Mi fa un po’ ridere chiedertelo, ma ho anch’io l’impressione che…

- Che?

- …che il cazzo sia diventato più grosso.

- Non è un’impressione. È una conseguenza di quello che hai mangiato.

- I coglioni del Toro?

- Sì, esatto. In parte anche del mio sborro.

- Allora se continui a fottermi, mi verrà ancora più lungo?

Bran scuote la testa.

- No, ci sarà ancora un’ultima trasformazione se diventerai uno di noi, poi basta.

- Meglio così. Il troppo stroppia.

Bran sorride. Si mette su un fianco e con le dita di una mano percorre il suo corpo, il naso, la bocca, la barba, il collo, il petto, il ventre, il cazzo.

Poi lo bacia. A Muzhrab il cazzo si tende.

- Cazzo, Muzhrab! Pensi solo a scopare!

- Senti chi parla!

Qualcuno potrebbe vederli: i cespugli non offrono una protezione sufficiente dagli sguardi indiscreti. Ma il desiderio preme e a loro poco importa essere visti. Bran si stende sulla pancia e allarga le gambe. Muzhrab gli accarezza la schiena e poi si mette su di lui e lo infilza. Dopo un po’ si scambiano le parti.

Quando hanno concluso i loro giochi, si accorgono che tre guerrieri sono seduti tra gli arbusti e li osservano.

Uno dei tre è quello che si era rivolto a Bran prima. È lui a dire:

- Vedervi scopare è uno spettacolo. Molto meglio che andare al bordello.

- Se ti accontenti di guardare…

- In questo caso preferisco guardare. Te l’ho già detto: mi sa che a provare mi verrebbe un male al culo micidiale.

- Adesso ci pagate per lo spettacolo? Se siamo meglio del bordello…

Ridono tutti di nuovo.

La sera cenano di nuovo con Dvoboposte e questa volta gli raccontano in modo più completo diversi episodi della loro impresa, poi il comandante gli descrive come procede la costruzione della fortezza. Infine prendono congedo.

Dvoboposte li saluta dicendo:

- E se vi capitasse di passare di qui, venite a trovarmi. Mi farà sempre piacere.

 

 

Il mattino dopo ritirano la cassetta e prendono la pista che attraversa la Foresta Purpurea. Bran fa strada. Seguono la pista per un lungo tratto, procedendo affiancati, poi Bran dice:

- Lascerei la pista, per evitare brutti incontri. Sarebbero brutti più per chi ci incontra, ma tutto sommato non mi spiacerebbe un viaggio di ritorno tranquillo.

Procedendo fuori dalla pista, hanno poche occasioni di parlare, perché devono stare uno dietro l’altro. Solo quando si fermano a mangiare scambiano due parole. Al termine del pasto Muzhrab chiede:

- Quando lo facciamo, Bran?

- Sei sicuro? Non vuoi pensarci ancora?

- No, Bran.

- Va bene. Questa sera.

Risalgono a cavallo.

Quando il sole tramonta, Bran si dirige verso una grande roccia che sorge al centro di una radura. Procede diritto e Muzhrab si chiede se intende schiantare il cavallo contro il masso. L’animale non dà nessun segno di timore e si infila nella roccia. Muzhrab scuote la testa. Non si abituerà mai a tutto questo. Mai forse è eccessivo: in fondo se davvero diventerà uno di Coloro Che Ritornano, avrà il tempo per avvezzarsi.

Anche il suo destriero entra senza esitare e Muzhrab si ritrova in una stanza, non molto diversa da quella in cui si erano fermati oltre il pezzo di muro.

- Siamo di nuovo in un luogo che non esiste, vero, Bran?

- No. Questa stanza esiste. È la roccia che non esiste.

Muzhrab scuote la testa.

- No, fammi capire. La roccia…

- La roccia che abbiamo attraversato non esiste, questa stanza sì. La stanza oltre il muro non esisteva, ma il muro sì. A volte ciò che è reale nasconde ciò che non esiste, a volte ciò che non esiste nasconde ciò che è reale. È così difficile da capire?

- Ci rinuncio. Secondo me lo fai apposta.

Bran scuote la testa.

- Sei proprio limitato.

Dopo aver sistemato i cavalli, Muzhrab chiede:

- Allora procediamo?

Bran annuisce.

- Come vuoi morire, Muzhrab?

Muzhrab scuote la testa.

- È una domanda insolita. Non me l’aveva mai posta nessuno. Non me l’ero mai posta neanch’io.

- C’è gente che ha poca fantasia.

Muzhrab ignora la punzecchiatura.

- Tu cosa suggerisci?

- Mi viene da dire qualche cosa di rapido, di solito uno non ha voglia di soffrire a lungo, ma non per tutti è così. C’è chi invece preferisce sentire la propria morte.

- Conosci qualcuno che ha di questi gusti?

- Sì, mi è capitato. Diverse volte. Sai com’è, in ottocento o novecento anni, hai modo di conoscere tanta gente.

- In effetti, lo credo anch’io. Comunque non ci tengo, a sentire la mia morte, come dici tu. Credo, da quel che mi dici, che avrò ampiamente modo di sperimentare modi di morire poco piacevoli, per cui non mi sembra il caso di incominciare subito. Però una cosa te la chiederei.

- Dimmi.

- Puoi farlo mentre mi fotti?

- Certo. Bella idea. Così non perdo tempo e ti riporto in fretta in vita. Spogliati e stenditi a pancia in giù.

Muzhrab esegue, mentre anche Bran si spoglia.

Muzhrab lo guarda. Sorride.

- Sei bellissimo, Bran.

- Idiota!

Muzhrab scuote la testa e si stende come Bran gli ha detto.

Bran si stende su di lui, lo accarezza e lo bacia, poi lentamente lo infilza con il suo sperone. Quando il cazzo è ben dentro e i coglioni battono contro il culo, Bran mette un braccio intorno al collo di Muzhrab. Incomincia a fottere, mentre il braccio piegato intorno al collo preme sulle arterie che portano il sangue alla testa. Muzhrab si rende conto di stare perdendo i sensi, ma non è doloroso, perché il respiro non è bloccato. Bran continua a stringere, anche quando avverte che il corpo è ormai inerte. Aumenta invece la stretta. Sa che ormai Muzhrab non riprenderà più i sensi, ma ad ogni buon conto quando toglie le braccia preme una mano sulla nuca e con uno strattone tira indietro la testa. Il rumore dell’osso che si rompe gli dice che ha completato la sua opera.

Bran riprende a fottere, finché viene.

 

Muzhrab si risveglia. Questa volta Bran non sta cucinando, ma è seduto di fianco a lui e gli sorride.

- Com’è andata?

- Hai un modo molto gentile di ammazzare. Non mi posso lamentare.

- Allora mangia un po’, così poi possiamo passare alle cose serie.

- Mangiare è una cosa seria.

- Scopare lo è di più.

Nuovamente Muzhrab beve il seme di Bran, due volte. Poi Bran lo fotte in culo.

E quando il seme dell’Orso si spande dentro di lui, Muzhrab si rende conto che tutto il suo corpo è percorso da un’energia nuova. Il respiro diventa più rapido e il cuore batte molto più in fretta. Poi, lentamente, tutto ritorna normale, Muzhrab dice:

- E con questo sono immortale?

- Se usi ‘sto termine del cazzo ancora una volta, ti ammazzo e ti strappo i coglioni, così la facciamo finita.

- Come sei suscettibile! Va bene: adesso sono uno di Coloro Che Ritornano.

- Sì, sei il Toro.

- Il Toro… posso assumere l’aspetto di un toro? Come il Toro che tu hai ucciso?

- Sei un toro e puoi assumerne l’aspetto, ma sarai diverso dal Toro che io ho ucciso, come lui era diverso da te nel suo aspetto umano.

- Come faccio a diventare un toro?

- Tra poco sarà la notte della luna piena. Allora potrai trasformarti per la prima volta.

Muzhrab annuisce. Bran si alza e va alla sua sacca. Prende due bracciali, molto simili: sono entrambi di cuoio e hanno inserite otto piastre, che in uno paiono d’oro, nell’altro d’argento.

- Questi li ho presi dal tesoro del Signore delle Alture: sono quelli che ti dicevo, che era meglio che Cestojunak non vedesse, perché li avrebbe desiderati.

Muzhrab li guarda. Sembrano del tutto insignificanti. Se le piastre sono d’oro e d’argento, hanno un certo valore, ma rispetto a tutto quello che c’era nello scrigno, devono valere molto poco.

- Perché dici che li avrebbe desiderati? A me non sembrano niente di particolare. Non suscitano in me nessun desiderio.

- Perché tu ora sei uno di Coloro Che Ritornano e non sei soggetto all’avidità dei mortali e dei figli di Lilith e di tutte le stirpi. Adesso scegli uno dei due.

- L’altro lo terrai tu?

Muzhrab ricorda che Bran aveva detto di averli presi per darglieli.

- Sì, Muzhrab. Se tu te ne fossi andato senza diventare uno di noi, te li avrei dati entrambi, ma adesso averli tutti e due non cambierebbe rispetto ad averne uno. E può essere utile che uno l’abbia io. Scegli.

Muzhrab sceglie quello che gli sembra di minor valore, perché le piastre sono d’argento. Bran sorride e glielo mette al polso. Poi chiede a Muzhrab di mettergli l’altro.

- Adesso me lo spieghi, vero?

Bran sbuffa.

- Ma è mai possibile che tu voglia sempre spiegazioni? Sei insopportabile!

Poi ride e continua:

- Entrambi i bracciali offrono una protezione contro le armi magiche: quelle che provocano ferite che non si rimarginano, ad esempio.

- Come il pugnale con cui hai castrato il Signore delle Alture?

- Esatto. La ferita non si rimarginerebbe e per tornare sano dovresti morire. E anche in quel caso, qualche traccia della ferita potrebbe rimanere: dipende dalla potenza dell’arma. Ma questi bracciali annullano la magia dell’arma.

- Ottimo.

- E infine…

- E infine?

- E infine ci permettono di sapere dove si trova l’altro e se è vivo, anche a grande distanza. Io l’ho messo a te, tu l’hai messo a me: questo crea tra i bracciali un legame.

- Perché me li avresti dati tutti e due se ci fossimo separati? Che senso avrebbe avuto?

- Per chiunque non sia uno di Coloro Che Ritornano i due bracciali insieme garantiscono una doppia protezione. Per noi ne basta uno, perché se moriamo possiamo tornare in vita, anche se l’arma che ci ha colpito è magica.

- E dire che non sembrano così preziosi.

- Perché sei ignorante come una capra, Muzhrab. Le otto piastrine del tuo bracciale sono di nevizlato, una lega di oro e platino ad altissima concentrazione. Ognuna vale come un collana di rubini e diamanti. Se fondi una di quelle piastre, una sola, ricavi un sacco d’oro e uno di platino.

- Cazzo! E quelle del tuo bracciale?

- Zutzlato. Vale di meno, ma da ognuna puoi ricavare due sacchi d’oro.

Muzhrab scuote la testa.

- Se qualcuno mi avesse detto queste cose quando ero a Samar, avrei scommesso che mi stava prendendo per il culo. Ma dopo quest’ultima settimana, ti credo sulla parola, senza bisogno di fondere niente.

 

Nei giorni seguenti procedono lungo la pista, lasciandola solo in alcune occasioni. Bran insegna a Muzhrab a distinguere le diverse presenze che ora avverte e gli dà qualche informazione sugli esseri che popolano il bosco.

Progressivamente Muzhrab impara a cogliere i segnali, anche tenui, che vengono emessi. Non è facile orientarsi: è come scoprire di avere un nuovo senso e trovarsi di colpo immerso in un mondo di forme e colori che non si sanno interpretare. Bran lo punzecchia spesso, ma è un maestro attento e premuroso.

Infine escono dalla foresta e prendono la strada che porta all’altopiano. Man mano che procedono, possono vedere sempre meglio la distesa della foresta sotto di loro.

Muzhrab chiede:

- Conti di fermarti a Samar?

- Certo. Dobbiamo andare dal governatore.

- Dove ci fermiamo a dormire?

Bran alza le spalle.

- Una qualsiasi delle locande. Magari il governatore ci invita, ma non ci tengo a fermarmi a palazzo. Preferisco una locanda.

- Bran, voglio chiederti una cosa.

- Dimmi, tanto ho capito che sei un fottuto curioso.

- Tu conosci Redwin, vero?

- L’oste della locanda dell’Orso? Certo.

- Avevi scopato con lui quando ti sei fermato a Samar?

- Sì. Perché me lo chiedi?

- Perché è stato accoltellato, ma la ferita si è rimarginata. Allora non sapevo che cosa pensare, ma adesso penso che sia stato tu.

- Noto con piacere che davvero non sei completamente stupido. È una consolazione, pensando che magari dovrò sopportarti per centinaia di anni.

- Quanto sei stronzo! Non so se ti sopporterò io!

Muzhrab ridacchia, poi riflette un momento e chiede:

- Che cosa succederebbe se lo fottessi io?

- Adesso sarebbe la stessa cosa. Qualunque ferita inferta dopo la scopata guarirebbe. Questo per una settimana, più o meno. Ma se gli tagli la testa o gli spacchi il cuore, non c’è niente da fare.

- Non intendo fargli male. Mi sta simpatico.

- Vuoi che ci fermiamo da lui? Di sicuro vorrà scopare con me. E anche con te, mi sa, l’ha già fatto, vero?

- Adesso il curioso sei tu. Comunque la risposta è sì.

- Va bene, allora combineremo qualche cosa in tre.

Muzhrab annuisce. Non ha mai scopato in tre. Non è che gli interessi molto: in questo momento tiene solo a scopare con Bran. Ma l’idea di provare non gli dispiace.

 

Arrivano infine sul bordo dell’altopiano. Venendo dalla strada scavata sul fianco della montagna, Samar appare solo nell’ultimo tratto, quando ormai si è quasi arrivati.

- Non ero sicuro di riuscire a tornarci. E di certo non pensavo di tornarci portando con me un tesoro.

- Alludi a me, quando parli di tesoro, vero, Muzhrab?

Muzhrab si volta verso Bran. Inarca le sopracciglia e lo guarda, alquanto dubbioso. Poi scoppia a ridere. Infine scuote la testa e, improvvisamente serio, dice:

- Sì, il vero tesoro sei tu.

E di colpo si vergogna di quanto ha detto e sprona il cavallo. Bran lo insegue, ma il suo destriero non è altrettanto veloce, per cui quando Muzhrab raggiunge la porta della città, Bran è alquanto indietro. Muzhrab si ferma ad aspettarlo. Smontano da cavallo e passano sotto l’arco della porta. Nessuno dei due fa riferimento a quanto Muzhrab ha detto.

Il soldato di guardia chiede i loro nomi. Sentita la risposta, dice loro di attendere e va a chiamare l’ufficiale.

Questi esce subito.

- Così voi siete Muzhrab e Bran. Sono lieto di vedervi: vi aspettavamo. Pensavamo che sareste arrivati oggi. Vi accompagno dal governatore.

Muzhrab si stupisce, ma riflettendo non gli è difficile capire: Dvoboposte ha di certo mandato un messaggero, per avvisare il governatore dello scampato pericolo e annunciare il loro arrivo. Per attraversare la foresta hanno impiegato i quattro giorni abituali; il messaggero, partito un giorno prima di loro, dev’essere giunto ieri.

I due amici seguono l’ufficiale lungo la strada che si inerpica per la città, fino alla fortezza.

Il governatore li riceve subito. Vuole farsi raccontare lo svolgimento della missione, per cui i due eroi ricevono un invito a cena. Il governatore aggiunge:

- E se dopo la cena volete fermarvi a palazzo, sarò ben lieto di ospitarvi.

È Bran a rispondere:

- Grazie, ma abbiamo un amico in città e staremo da lui. Portiamo i cavalli e lasciamo i bagagli, poi verremo per il pasto.

 

Bran e Muzhrab scendono alla locanda dell’Orso. Non hanno molto tempo, perché ormai è quasi ora di cena.

Redwin li accoglie con gioia:

- Bran! Muzhrab! Che piacere vedervi!

- Hai una camera per noi, Redwin? E intendo solo per noi due.

Redwin sorride, un lampo malizioso negli occhi.

- Certo che ne ho una. Non c’è troppa gente in questi giorni.

Redwin li accompagna nella stanza, che è simile a quella dove Muzhrab ha soggiornato la prima volta: piccola, ma con un grande letto.

- Vi va bene?

- Va benissimo, direi, no, Bran?

- Sì, certo.

Redwin sorride.

- Tra mezz’ora la cena è pronta. Se poi stasera vi va, vi passerei a trovare volentieri.

- Una buona idea, Redwin, così possiamo fare quattro chiacchiere. Ma per la cena, no. Siamo dal governatore.

- Dal governatore! Gente importante… è un onore per me avervi nella locanda.

- Puoi dirlo!

 

A cena Bran e Muzhrab raccontano. Il governatore sa già che molti elementi del loro racconto sono straordinari: Dvoboposte glielo ha accennato per scritto. D’altronde il governatore ha di certo parlato con i due personaggi che hanno affidato la missione a Muzhrab e in questa terra di frontiera gli eventi sorprendenti sono frequenti.

Al termine della cena i due si congedano. Il governatore li informa che hanno diritto a una ricompensa per la missione compiuta.

Muzhrab guarda Bran e dice:

- Abbiamo ricevuto una ricompensa dal re degli Aldebri. A me basta. Rinuncio alla mia parte.

Bran concorda:

- Anch’io.

Il governatore è stupito, ma conoscendo la ricchezza degli Aldebri, non dice nulla.

- È molto generoso da parte vostra. Rimarremo in debito con voi. Se un giorno avrete bisogno di qualche cosa, potete contare su di me.

 

Bran e Muzhrab scendono alla locanda. Redwin ha finito di rassettare e serve i clienti che bevono qualche cosa. Quando li vede arrivare, si toglie il grembiule e lascia che sia il garzone a occuparsi degli altri.

- Vi accompagno in camera, per vedere se manca qualche cosa.

Redwin ammicca. Bran e Muzhrab sorridono.

Appena arrivati, Redwin controlla.

- Direi che è tutto a posto. Avete bisogno d’altro?

Bran ghigna e dice:

- E se ti dicessimo di no, che siamo a posto così?

Redwin risponde, con un’espressione di finta sofferenza:

- Credo che passerei la serata a piangere.

- Secondo me passeresti la serata a farti le seghe, magari mentre ci spii dal buco della serratura o da qualche foro nella parete.

Redwin ride:

- Anche questa è una bella idea.

Anche Bran ride e conclude:

- Ma noi siamo buoni e preferiamo che ti ricordi di noi per il male al culo, piuttosto che per il male al gomito.

Dopo di che, senza perdere tempo in altri discorsi, si spogliano tutti e tre.

- Quale cazzo vuoi gustare con la bocca e quale con il culo, Redwin?

- Devo scegliere? Non posso fare l’uno e l’altro?

- Poi non ti lamentare per il male al culo!

- Sai che non mi lamento, Bran.

E così Bran si stende supino sul letto, allargando le gambe e Redwin si mette prono e prende in bocca il cazzo dell’uomo-orso. Muzhrab, li guarda un momento, poi si mette dietro Redwin, inumidisce bene la cappella, sparge un po’ di saliva anche sull’apertura e poi spinge in avanti il cazzo, facendolo affondare lentamente nel culo dell’oste. Per quanto l’ingresso sia avvenuto piano, Redwin sussulta e una smorfia di dolore appare sulla sua faccia, ma lascia presto il posto a un’espressione beata: il cazzo di Bran in bocca, quello di Muzhrab in culo, che cosa si può desiderare di più dalla vita?

Bran sorride, le braccia incrociate dietro la testa. Gli piace guardare Muzhrab che fotte: è un bello spettacolo. Gli piace guardare Muzhrab. Non sa perché si è innamorato di questo guerriero: forse perché nella sua amarezza ha ritrovato la propria, forse perché sa essere ironico, forse perché ha un bel corpo, forse perché nel suo destino era scritto così. L’ultima spiegazione dev’essere senz’altro vera: è avvenuto tutto troppo in fretta, Ma anche le altre sono vere.

Il lavoro procede a lungo, finché Bran viene con una specie di grugnito e Muzhrab con un suono che potrebbe assomigliare a un mugghiare sordo. I due semi si spargono dentro Redwin, che a sua volta viene, scosso da un piacere violentissimo. Beve ogni goccia, poi chiude gli occhi e si abbandona, la testa sul ventre di Bran, di fianco al cazzo ancora teso.

Dopo un po’, Redwin dice:

- Pensavo di fare un bis, ma è stato troppo. Però mi promettete che lo facciamo prima che partiate?

- Per me va bene. Per te, Muzhrab?

- Nessun problema.

Redwin si riveste e se ne va, sorridente. Il male al culo è forte, ma non si è mai sentito così bene.

Bran sorride e dice:

- Questa notte possono accoltellarlo dieci volte: se non gli spaccano proprio il cuore, non morirà.

Muzhrab sorride, senza commentare. Le parole di Bran gli hanno fatto pensare al futuro.

- Quando pensi di partire, Bran?

- Se a te va bene, dopodomani. Domani ci sarà la luna piena e la trasformazione si completerà. Meglio non essere in viaggio con la cassetta e tutto. Senza bagaglio e senza cavalli siamo più liberi.

- Non capisco, che cosa intendi?

- Domani sera usciamo e trascorreremo la notte fuori. O pensi di trasformarti in toro qui dentro? O per le strade della città?

- No, direi di no. Dev’essere domani notte, sì?

- Sì. Il primo plenilunio dopo la trasformazione.

- E se per qualche motivo non fosse possibile?

- Se non posso trasformarmi, io patisco molto e divento nervosissimo, ma non so come sarebbe per te: è una situazione del tutto nuova, sei il primo a entrare tra Coloro Che Ritornano. Perciò domani usciremo nel tardo pomeriggio. Le notti di plenilunio sono notti selvagge, per tutti noi. Di solito il giorno dopo dormo fino al pomeriggio.

- Selvagge? Che cosa si fa?

- Si corre, si balla, si scopa, si beve… un po’ di tutto. Ecco, questo non te l’ho detto: a un certo punto verranno anche gli altri.

- Dove stanno?

- In posti molto lontani, ma nelle notti di plenilunio ci muoviamo tutti a una grande velocità. E poiché tu sei nuovo, il raduno sarà qui, sull’altopiano. E ci saranno tutti, in tuo onore.

 

Il giorno successivo trascorre tranquillo.

Verso sera escono dalla città, a piedi. Uno dei soldati di guardia li avvisa:

- Chiuderemo la porta tra non molto.

È Bran a rispondergli:

- Torneremo solo domani. Abbiamo da fare nella foresta.

Il soldato li guarda sorpreso e osserva:

- È la notte della luna piena. Non è consigliabile aggirarsi per il bosco.

- Fidati.

Muzhrab non sa che cosa faranno. Anche lui deve fidarsi. Intanto il soldato scuote la testa e dice:

- Spero che sappiate quello che fate.

 

Si allontanano a piedi. Il sole si è abbassato all’orizzonte e sull’altopiano i suoi raggi non arrivano più, ma le montagne sono ancora illuminate. Bran lascia la strada che conduce a Samar e si infila nella foresta. Procede a passo sicuro: è chiaro che sa dove va.

- Stiamo andando in un posto preciso, vero, Bran?

- Sì, al Cerchio.

- Il Cerchio?

- Uno spiazzo dove non crescono alberi. Lì vicino c’è una stanza che non esiste, dove ci possiamo mettere a dormire domani mattina.

Bran si dirige verso sud-est, allontanandosi da Samar e salendo un po’ sul fianco della montagna. Il bosco ormai è immerso nell’oscurità, ma in alto il cielo non è ancora completamente scuro.

- Lasciamo qui gli abiti.

- Quando ci si trasforma bisogna non avere niente addosso? Quando hai lottato contro il toro non ti sei spogliato.

- Non ho fatto in tempo. Gli abiti in qualche modo scompaiono, per riapparire quando si riprende forma umana, ma non sempre le cose funzionano bene, a volte si stracciano, per cui è meglio toglierseli.

Si tolgono gli abiti. Muzhrab guarda Bran. Il desiderio lo assale, violento. Il cazzo gli si tende. Ma Bran dice:

- Non ora.

Mette gli abiti nella cavità di un tronco d’albero.

- Dormiremo qui domani.

- Domani?

- Domani. Questa notte non si dorme.

Procedono ancora un po’. Bran va avanti e Muzhrab gli guarda la schiena e il grosso culo. Cerca di controllarsi, perché il desiderio di saltargli addosso e fotterlo è fortissimo. Il cazzo è teso e duro.

- Bran…

Bran si volta.

- Che c’è, Muzhrab?

Muzhrab si indica con la mano il grosso cazzo teso.

- Non ce la faccio più.

- Non ancora, non è ancora notte. Comunque vedi che anch’io sono ben messo.

In effetti il cazzo di Bran è teso in avanti. Non ancora completamente rigido, ma sicuramente già a buon punto.

Bran aggiunge:

- Vai avanti tu. Ormai dovresti sentire dove andare.

Muzhrab passa avanti. Si muove sicuro, senza sapere dove va, ma senza incertezze sulla direzione.

A un tratto arrivano a un vasto spazio perfettamente circolare, circondato dagli alberi. Muzhrab avverte qualche cosa, come una forza che lo spinge verso la radura.

Procede e arriva in mezzo. Bran è rimasto ai margini. Muzhrab allarga le braccia e le gambe e alza il viso al cielo, ormai buio. Emette un grido, fortissimo.

Bran avanza verso di lui.

- Hai chiamato gli altri. Al sorgere della luna saranno qui.

Muzhrab annuisce. Non sa perché ha gridato, ma doveva farlo. Ora il suo corpo è percorso da un tremito, che diventa più forte. Sente male alle articolazioni, ai muscoli, in tutto il corpo. Cerca Bran con gli occhi e vede che il suo amico si sta trasformando nell’Orso. Solo allora capisce che anche il suo corpo si sta trasformando. Non è più un uomo, è un toro, il Toro. Lancia un forte muggito e si mette a correre, velocissimo. Bran corre vicino a lui. Entrambi emettono versi, che risuonano nella foresta. Non ci sono altri suoni: le creature della notte tacciono.

Corrono rapidi e Muzhrab si rende conto che ora si trovano sul lato opposto della montagna. A un certo punto Bran salta su di lui e Muzhrab corre ancora più forte, portando il compagno sulle spalle.

La luna appare oltre le cime dei monti. Muzhrab si ferma. Bran scende. Guardano la luna, poi riprendono a correre. Poco dopo sono alla radura.

Una grande forma scura sta scendendo dal cielo: un’aquila immensa. E un leopardo gigantesco sbuca nella radura. E poi arrivano altri animali, che corrono o volano in cerchio, sempre più veloci, riempiendo l’aria dei loro versi.

La corsa rallenta. Si fermano. Gli animali cambiano. Muzhrab si rende conto che sta ritornando umano. Anche gli altri sono uomini, tutti alti, alcuni più snelli, altri più massicci.

Si dispongono in cerchio intorno a lui. Bran si mette insieme agli altri e solo colui che era un’aquila rimane all’interno del cerchio e gli dice:

- Benvenuto tra di noi, Muzhrab-Toro. Ora siamo i tuoi fratelli e potrai sempre contare su tutti noi.

Muzhrab non sa bene che cosa dire.

- Grazie. Voi potrete contare sempre su di me.

- In tuo onore beviamo questo sidro-moci.

Nella mano dell’Aquila appare una coppa. Muzhrab non sa da dove provenga: gli sembra che sia comparsa dal nulla.

L’Aquila la porta alla bocca e beve a lungo. Muzhrab pensa che deve averla vuotata, perché ormai la tiene capovolta. L’Aquila passa la coppa al Leopardo, che la solleva e rovescia il sidro nella bocca: alla luce lunare si vede il liquido argenteo scorrere abbondante prima di esaurirsi. Uno dopo l’altro bevono tutti, svuotando ogni volta la coppa che torna a riempirsi. Quando Muzhrab la prende tra le mani, vede che è piena fino all’orlo. Non si stupisce: da tempo ha smesso di stupirsi. Il mondo semplice e definito in cui è sempre vissuto non esiste più. In realtà non è mai esistito, ma non poteva saperlo.

Dopo che anche Muzhrab ha bevuto, l’Aquila riprende la coppa e si inserisce nel cerchio. Bran tende una mano a Muzhrab, che si mette al suo fianco.

La coppa viene passata di nuovo e intanto gli uomini intonano un canto. Muzhrab non conosce questo canto e non ne capisce le parole, che non appartengono alla lingua comune. Eppure si rende conto che sta cantando insieme agli altri, senza incertezze. Si interrompe solo per bere. Quante volte ha bevuto? Dieci, venti? Quanto sidro ha in corpo?

Ora gli uomini si mettono le braccia gli uni sulle spalle degli altri e danzano insieme, a una velocità sempre maggiore. Poi convergono verso il centro e di nuovo si allontanano, tre volte. Infine il cerchio si scioglie e Muzhrab si ritrova tra le braccia di Bran, ma qualcuno gli sta stringendo i fianchi e gli passa la lingua lungo il solco, qualcun altro lo bacia sulla nuca. Bran lo lascia e Muzhrab sente altre mani prenderlo, stringerlo, accarezzarlo. Non sa quali corpi sta stringendo, quali mani lo abbracciano, lo percorrono, a chi appartiene il cazzo che ora si infila tra i suoi fianchi, a chi la bocca che glielo sta succhiando, a chi le labbra che lo stanno baciando. È un viluppo di corpi, un intreccio in cui non conta più nulla, se non il desiderio che cresce, mentre tutto il resto scompare.

Uno dopo l’altro prendono tutti Muzhrab e tutti si offrono a lui. La sua bocca accoglie il seme di tutti gli altri e il suo cazzo è la sorgente a cui tutti si abbeverano, il suo culo riceve i cazzi di tutti e i fianchi di tutti gli si offrono. E intorno a lui è tutto un gioco di corpi.

La luce lunare cala: la luna sta tramontando. Muzhrab sente una stanchezza infinita, mista a tristezza. Bran ha capito e lo stringe tra le braccia. Lo solleva e lo porta fino all’albero, dentro cui entra. Si stende. Per l’ultima volta nella notte Muzhrab sente un cazzo possente entrargli in culo e le parole di Bran:

- Dormi, amore mio, dormi.

 

Muzhrab si sveglia. Il sole penetra attraverso la cavità dell’albero. Muzhrab pensa che è bello svegliarsi tra le braccia di Bran, su questo caldo corpo villoso. Ma ha bisogno di pisciare. Si muove.

Bran si sveglia.

- Tutto a posto?

- Sì, tutto a posto. A parte il male al culo.

- Quello ce l’ho anch’io. Inevitabile.

- Adesso però devi lasciarmi andare. Ho bisogno di pisciare.

- Va bene. Anch’io.

Bran apre le braccia. Muzhrab si alza.

Escono tutti e due. Il sole è alto in cielo. Dev’essere passato mezzogiorno.

Pisciano tranquilli, guardandosi e sorridendosi.

- È così tutte le notti di plenilunio?

- No, questa era una festa per il tuo arrivo. Ma ci incontriamo sempre, almeno un gruppo di noi.

- È stato… non saprei come definirlo.

Bran ha finito di pisciare. Si scuote un po’ il cazzo per far cadere le ultime gocce. Poi sorride a Muzhrab, che anche lui ha concluso, e dice:

- Era il primo giorno dopo lo scorso plenilunio, quando ho ricevuto la chiamata. Ero incazzato all’idea di dover partire, assonnato e con il culo dolorante. Ed ero ancora più incazzato quando ho scoperto che dovevo andare a occidente. Non avrei mai pensato che sarei stato felice di esserci andato.

- Anch’io non ero venuto di buonumore a Samar. Se avessi saputo…

Bran, che sospetta le intenzioni di Muzhrab, lo guarda torvo e dice:

- Se avessi saputo?

- Non sarei venuto.

- Stronzo!

Ridono tutti e due. Si rivestono e si dirigono verso la città.

Alla porta di Samar ritrovano il soldato che era di guardia quando sono usciti. Li riconosce e dice:

- Sono contento di vedervi. Temevo che vi fosse successo qualche cosa. Alcuni mercanti che sono arrivati in mattinata raccontano di aver visto cose terribili nella foresta, questa notte. Un toro gigantesco, un orso mostruoso. Erano terrorizzati.

- Noi non abbiamo visto niente di strano. Quelli avranno bevuto un po’ troppo ieri sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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