Lampo Roberto è seduto al banco. Sorseggia la birra gelata e si guarda intorno. I suoi occhi incrociano lo sguardo di Paolo e i due si fanno un cenno di saluto. Paolo si avvicina. Roberto
lo guarda. Paolo è piuttosto alto e ben piantato, meno grosso di lui. A
Roberto piace parecchio, ma purtroppo i loro gusti sono simili, non
complementari. - Ciao, Roberto, come va? - La facciamo andare. E
tu, Paolo? Paolo ghigna e alza le
spalle, come a significare che non vale la pena di parlarne, poi dice: - Diciamo che va bene. C’è un attimo di pausa,
poi Paolo riprende: - Senti, sei anche tu alla
festa a Rivoli, questa sera? Roberto non ne sa nulla. In
questi giorni ha avuto parecchio lavoro da fare: il suo nuovo capo è un vero
rompicoglioni, per di più c’è stata la faccenda dell’assassinio del corista
al Regio, quella non ci voleva proprio. Questa settimana è spesso tornato a
casa tanto stanco da desiderare solo di stendersi, per cui è rimasto un po’
tagliato fuori dal giro. - Che festa? - L’ha organizzata
Birillo. Paolo lo dice come se
fosse una garanzia e in effetti lo è. Quello che chiamano Birillo è un
riccastro a cui piace organizzare orge. Possiede o affitta una cascina a
Rivoli e ogni tanto la usa per feste gay. Roberto ha partecipato alcune volte
e si è sempre divertito. Lui è piuttosto esibizionista, per cui gli piace
l’idea di spogliarsi e scopare di fronte ad altri, il solo pensiero lo eccita
e in effetti l’uccello ha alzato la testa, come a dire: - C’è posto anche per
me? Il posto ovviamente c’è,
anche se lui ne occupa piuttosto, essendo Roberto ben dotato. - Non ne sapevo nulla. - Dai, vieni anche tu, ci
divertiamo. Roberto già propende per
il sì, è venerdì sera, domani dorme, alla faccia di quello stronzo del suo
capo. Mentre ci pensa, butta lì: - Non mi ha invitato… Questo non significa
molto. Le feste di Birillo non sono a inviti, quelli del giro possono venirci
benissimo. Non si richiede molto, a parte un uccello, una bocca ed un culo
pronti all’uso. Ma in fondo uno può anche andarci per fare il guardone, se ci
tiene: nessuno viene obbligato a dare un contributo personale. - E che cazzo! Figurati se
Birillo non è contento che vieni anche tu! Sì, a Birillo Roberto
piace, è un amante degli orsi e Roberto è un bell’orso, grosso e peloso al
punto giusto (oddio, come sempre è questione di punti di vista: qualcuno
potrebbe non essere d’accordo, dire che è troppo grosso e troppo peloso; per
qualcun altro invece non è abbastanza, ma il mondo è bello perché vario, no?)
e il culo di Roberto ha sperimentato più di una volta il cazzo del padrone di
casa: Birillo è molto versatile. - Dove ci si trova? Alla
Cascina Piccola? La cascina non è
propriamente piccola, ma la chiamano così perché faceva parte di una
proprietà molto vasta, in cui c’era una Cascina Granda. È lì che Birillo
organizza le sue feste, Roberto lo sa benissimo e la domanda è superflua, ma
gli serve per pensarci ancora su un momento. Paolo annuisce. Poi
aggiunge: - Vuoi venire con me? Roberto esita un attimo.
Sarebbe comodo, tanto più che lui è venuto a piedi, perché non abita molto
lontano: andando con Paolo potrebbe anche alzare un po’ il gomito, se ne ha
voglia, senza il rischio di venir fermato. E poi Roberto è sostanzialmente un
pigro, per cui gli piace l’idea di farsi scarrozzare: “Adagio veneziano”, lo
ha chiamato una volta Paolo, perché Roberto è originario di Venezia ed è a
Torino solo da due anni. Il soprannome era davvero azzeccato, ma non ha avuto
fortuna, fa riferimento a un vecchio film che nessuno più ricorda. Sì, non prendere l’auto
sarebbe comodo, ma se dovesse andare via prima, se ci fosse qualche problema,
è meglio che abbia la sua carretta. Gli è capitato qualche volta, non da
Birillo. Deve fare una certa attenzione, non può permettersi che la persona
sbagliata lo riconosca. Certo, non viola la legge, ma sarebbe ricattabile e
questo non va bene. Non ha voglia di ritrovarsi senza lavoro a quarantadue
anni. - No, meglio se prendo la
mia carretta. Sempre che non mi lasci per strada. Così se decido di andare
via prima, non ci sono problemi… - Conti di fare un’altra
apparizione delle tue, Lampo? È una battuta, che prende
spunto dal ciondolo d’acciaio che Roberto indossa sempre: un lampo. Una volta
è successo quello che Roberto temeva: alla festa c’era una persona da cui non
voleva farsi vedere. Roberto è entrato e uscito, in un lampo, e Paolo, che lo
aveva visto arrivare, lo ha preso in giro per un po’ e gli ha affibbiato quel
nomignolo, che però nessuno usa. Paolo ama inventare soprannomi. Qualcuno
funziona, come Birillo, e viene adottato da tutti: un tatuaggio sulla spalla
di Gianmarco (il suo vero nome) ha suggerito il nomignolo, che ha avuto
un’immediata diffusione perché la testa pelata ed il corpo tarchiato in
effetti danno l’idea del birillo del bowling. Altri cadono nel dimenticatoio
molto in fretta; su Roberto i nomignoli sembrano scivolare via. Paolo è
troppo intelligente per insistere. - Magari… chi può sapere,
se l’ambiente non mi va a genio faccio un mordi e fuggi. - Va bene, allora, ognuna
con la sua auto. Il femminile dà fastidio a
Roberto. Paolo, come altri, parla spesso di sé come se fosse una donna, ma a
Roberto non viene proprio. Lui ama prenderselo in culo, è decisamente
passivo, ma questo non significa che si senta donna. Roberto non dice nulla e
chiacchierano ancora un po’, prima di lasciarsi. Paolo prende un secondo
cocktail, ma Roberto si ferma alla prima birra: non può correre il rischio di
farsi beccare ubriaco, anche se i controlli, lo sa bene, sono rarissimi. Si salutano. - Allora ci vediamo là,
Lampo. - Va bene, Paolo. Non te
li fare tutti prima che arrivi io. - Stai tranquilla, cara,
te ne lascio qualcuno. Elephant Man, ad esempio. Roberto scuote la testa e
ridacchia. Elephant Man è il soprannome di un tipo molto dotato, ma anche
puzzolente come un caprone. Qualcuno apprezza entrambe le caratteristiche, a
Roberto la seconda impedisce di gustare la prima. A casa Roberto si chiede
se farsi una seconda doccia. Ma sì, tanto ha tempo, non si può certo arrivare
ad una festa del genere alle dieci. Rimane un bel po’ sotto l’acqua fresca,
poi si asciuga, si riveste e scende in strada. Da casa sua alla Cascina
Piccola ci vuole una buona mezz’ora. Quando arriva, ci sono già molte auto
parcheggiate e parecchi uomini sull’aia. Da dentro arriva una musica sparata
a tutto volume. Bene, ha azzeccato l’ora. La cascina è una lunga
costruzione a due piani, risistemata qualche anno fa. Roberto sa che ci sono
vari letti e tappeti sparsi per le stanze: tanti posti in cui chi vuole
consumare può appartarsi. Non che gli ospiti sentano molto l’esigenza di un
ambiente più intimo: anche quelli che non sono esibizionisti spudorati, come
Roberto, non hanno molte inibizioni. D’altronde, se uno sceglie di
partecipare a un’orgia, beh, sa che cosa si aspetta. Man mano che la festa
procede, i partecipanti si divideranno tra le diverse stanze, in gruppi più o
meno numerosi, e qualcuno farà il giro delle camere per vedere che cosa sta
avvenendo di interessante: le porte rimangono aperte, a meno che qualcuno
veramente non desideri un tête à tête. Il codice non scritto dice che se una
porta è chiusa, non si entra in quella stanza. Un’unica camera rimane di
solito non accessibile: quella di Birillo, che si sceglie un ospite alla
volta (ma di certo non uno solo per tutta la serata) ed è anche capace di
chiudere la porta a chiave. Ma lui è il padrone di casa. Il cielo è ormai buio come
la pece, ma dalla cascina arriva abbastanza luce da permettere a Roberto di
controllare i visi degli ospiti. Diverse facce note, del giro, nessuno che
desti preoccupazioni. Un giorno o l’altro gli capiterà di trovarsi davanti la
persona sbagliata ed allora saranno cazzi acidi, ma a queste serate Roberto
non si sente di rinunciare. Qualcuno lo riconosce e
gli viene incontro: è Giovanni, che gli presenta un suo conoscente,
Ezechiele, Eze per gli amici. Il nome è insolito, ma a colpire Roberto è
l’aspetto dell’uomo: alto, forte, molto virile, braccia pelose, come il
torace (per quello che lascia vedere la camicia aperta), un pacco alquanto
promettente. Chiacchierano un momento. A Roberto piace la voce profonda di
Eze, la sua sicurezza. Roberto direbbe quasi che Eze sia interessato a lui e
questo non può che fargli piacere. - Ma tu non sei neanche
entrato a prenderti da bere. Ti porto qualche cosa. Che vuoi? - Solo una birra, grazie. Eze si dirige verso la
porta della cascina e Roberto ne guarda le spalle larghe, il fisico atletico.
Cazzo, se gli piace! Giovanni gli dice: - Hai fatto colpo,
Roberto! Che culo! Poi ghigna ed aggiunge: - Ma mi sa che domani
mattina avrai male al culo. Quello è uno stallone di prim’ordine. C’è una chiara nota di
invidia nella voce di Giovanni. Gli scoccia un po’ che Eze abbia puntato
Roberto. Roberto ride: - Non correre, Giovanni,
abbiamo solo chiacchierato un momento. - Sì, sì, quanto basta
perché io mi senta già di troppo. E con un sospiro di
rassegnazione Giovanni se ne va: non vuole certo rimanere a stecchetto. Eze ritorna con un
bicchiere di birra per Roberto e uno per sé. Sembra non accorgersi nemmeno
della scomparsa di Giovanni. Riprendono a parlare. Roberto si sente a suo
agio. Intorno a loro tutti
chiacchierano e bevono, qualcuno si fa pure una canna, l’odore arriva fino a
loro. Ma Roberto beve pochissimo e non fuma. Non se lo può permettere.
Intanto la tensione nell’aria aumenta. Molti si tolgono la camicia e si
mettono a ballare a torso nudo, poi alcuni si spogliano completamente e
l’atmosfera si carica di elettricità, come prima di un temporale. Molti si
dirigono verso le stanze della cascina, a gruppi o a coppie. I corpi si
allacciano, i baci diventano appassionati. La festa sta mantenendo le sue
promesse, ma Eze non sembra avere fretta di passare al dunque e Roberto si
adegua. Eze gli chiede diverse cose: non è comune in queste situazioni, dove
ognuno preferisce che gli altri non sappiano troppo di lui e porre molte
domande è considerato indiscreto. Roberto mente sul lavoro, come fa sempre:
dice che è impiegato in una compagnia di assicurazioni. Eze non insiste.
Parlano delle loro famiglie. Roberto scopre che la madre di Eze era una dei
tanti sfollati della grande alluvione del Polesine. Il paese dei nonni di
Roberto non è molto lontano dal Polesine e Roberto ci ha trascorso diverse
estati. Intorno a loro non è
rimasto quasi nessuno. Per un attimo Roberto si chiede se davvero Eze non
voglia soltanto chiacchierare un po’. Roberto è venuto per un altro scopo, ma
va bene anche così, è a suo agio con Eze. E poi la conversazione vira, si
parla di sesso, di quello che piace. Eze si scopre senza incertezze: è
attivo, un po’ sadico, per non dire parecchio - ma lo dice sorridendo -, gli
piace dominare, vuole che un maschio si abbandoni del tutto nelle sue mani.
L’unica garanzia che dà è quella del sesso sicuro. Roberto sorride, senza
parlare. Eze sembra l’uomo dei suoi sogni. - Che ne dici? Di solito Roberto ci
penserebbe due volte prima di mettersi nelle mani di un perfetto sconosciuto,
che per di più dichiara apertamente di essere piuttosto sadico: i sogni
possono diventare incubi, Roberto è masochista, non suicida. Ma la loro lunga
conversazione ha sciolto il ghiaccio, Roberto si sente a suo agio, non è
diffidente. E poi ci saranno almeno trenta o quaranta persone alla cascina.
Annuisce ed aggiunge: - Per me va bene. Poi ride e aggiunge: - Ma non esagerare. - Non ti preoccupare. Non
lascio segni, so dove fermarmi. Ti ho detto che sono medico. Si dirigono verso la
cascina. Eze fa strada. Sale al primo piano, tira fuori una chiave ed apre la
porta della camera a fianco di quella di Birillo. - Cazzo, hai la chiave?! Eze sorride: - Sì, mi piace avere uno
spazio attrezzato e comodo e Gianmarco mi ha dato la chiave. Quindi Gianmarco e Birillo
si conoscono bene. - Siete molto amici? - Abbastanza. Ora sono tutti e due
dentro la camera: una stanza non molto grande, con un letto, un cassettone ed
un armadio. Eze chiude la porta, ma non a chiave. Accende una lampada con un
grande paralume. La luce è debole e rischiara solo la parte inferiore della
stanza. Poi si avvicina a Roberto, lo stringe e lo bacia sulla bocca. Gli
infila la lingua tra le labbra, mentre le sue mani gli accarezzano la schiena
e poi scendono a stringere il culo. Roberto lo abbraccia forte
e rimangono un buon momento così, baciandosi ed accarezzandosi. Eze si stacca e incomincia
a spogliarlo. Gli toglie la giacca, poi, con molta lentezza, prende a
sbottonargli la camicia. Quando l’ha aperta tutta davanti, mettendo in mostra
il torace di Roberto, piuttosto peloso, gli sbottona anche i polsini e gli fa
scivolare la camicia dalle spalle. Lo guarda, sorridendo. A Roberto piace
farsi guardare. - Ti piaccio? Roberto ha bisogno di
sentirselo dire. Eze sorride ed annuisce. Poi gli apre la fibbia
della cintura e la cerniera lampo. Le sue mani si posano sui fianchi di
Roberto e calano i pantaloni a terra. Roberto non porta mai biancheria
intima. La mano di Eze afferra, un po’ bruscamente, i coglioni di Roberto e
li strizza. Roberto sussulta: non si aspettava la mossa. Storce la bocca e
guarda Eze, che sorride. Nessuno dei due dice niente. Poi Eze gli pizzica
forte il culo con l’altra mano. Il messaggio è chiaro: Eze non scherzava
quando ha detto che è sadico. Ora Roberto è nudo, gli è
rimasto solo il ciondolo che sempre indossa, il lampo in acciaio. Le mani di Eze proseguono
la loro opera: passano a strizzargli i capezzoli, afferrano il culo,
scivolano sul solco, stringono i coglioni, afferrano ciuffi di peli e li
tirano con forza. Ogni volta è una piccola fitta o un brivido di piacere, più
spesso le due sensazioni insieme. Roberto sente che il cazzo
gli si tende. Gli piace essere maltrattato, anche pesantemente, da un uomo
forte e deciso ed Eze è esattamente il suo tipo di maschio. La lunga conversazione
con lui gli rende più facile mettersi nelle sue mani: ha fiducia in lui. Eze apre un cassetto e ne
estrae una frusta. La mostra a Roberto, sorridendo, e gli dice: - Stenditi sul letto a
pancia in giù. Il vecchio letto è ampio,
del tipo che una volta era un letto a due piazze (e che oggi sarebbe un letto
ad una piazza e mezzo), con testiere in ferro battuto. Roberto si stende come
gli ha ordinato Eze. Allarga le braccia ed afferra la testiera. Allarga un
po’ le gambe. Eze passa dietro di lui. Roberto si tende, nell’attesa del
colpo. Ma ciò che sente è un violento morso a una natica, poi all’altra.
Sussulta e solo dopo il secondo morso, il colpo arriva, forte, deciso, sulla
coscia destra. È il primo, gli altri seguono, irregolari: ora violenti, tanto
da far sussultare Roberto; ora leggeri, quasi una carezza; ora in rapida
successione, così che il dolore di ogni colpo si distingue appena da quello
del colpo precedente; ora spaziati, dando a Roberto il tempo di gustare
l’attesa, di fare l’inventario dei punti dolenti su cui la frusta si è
abbattuta ed ha lasciato il segno; ora colpiscono nello stesso punto, su una
delle due natiche; ora cambiano ogni volta e passano da una natica all’altra,
alla schiena, alle cosce, alle gambe. Eze si sposta da una parte
all’altra del letto e girando la testa Roberto può vederlo. È a torso nudo.
Ha un torace possente, muscoloso. Probabilmente va in palestra. Come Roberto,
è alquanto villoso. Roberto si dice che gli piace un casino. Sono tanti i colpi, più di
quelli che Roberto è abituato a reggere. Ma non dice nulla, non chiede ad Eze
di fermarsi. Il cazzo è più rigido delle sbarre di ferro che le sue mani
stringono. Adesso Eze posa la frusta
sul cassettone e ne prende una corda. Roberto si rende conto che la serata
(la notte? Che ore sono? Forse l’una, forse dopo) non è ancora conclusa. Eze
gli lega le mani alla testata del letto, divaricandogli le braccia. Gli
avvicina un guanto alla bocca. Roberto non capisce, ma Eze gli sussurra: - Tienilo tra i denti, per
il dolore. Per un attimo, Roberto
prova paura. Hanno appena incominciato, quindi? Il dolore deve ancora venire?
Ciò che ha provato è solo l’anticamera? E mentre lo pensa si rende conto che
è davvero così, che ha sempre desiderato andare oltre, che questa sera andrà
finalmente oltre. Stringe il guanto tra i denti. È pronto. Qualche cosa preme contro
il suo culo. Qualche cosa che forza l’apertura e che con fatica gli entra
dentro, dilatando le viscere. Morde il guanto con forza, perché l’ingresso è
doloroso. Eppure anche quel dolore è piacere. Roberto non può vedere che
cos’è che ha dentro, sa che non è il cazzo di Eze, che è di fianco a lui.
L’oggetto, un dildo, probabilmente, penetra a fondo. Il dolore cresce. Eze si sta togliendo i
pantaloni. Ora è nudo, di fianco a Roberto, che ha voltato la testa verso di
lui, per guardarlo. Ha il cazzo teso, che si libra in verticale, battendo sul
ventre. È ben dotato, Giovanni aveva ragione. Eze gli fa vedere la
bacchetta di legno che ha in mano. Roberto non può vedergli bene il viso, che
è in ombra. Gli sembra che non sorrida. E di nuovo ha un momento di paura. Ora Eze gli passa una
corda intorno ad una caviglia e la lega a uno dei pomelli della testiera. Fa
poi lo stesso con l’altra caviglia. Ora Roberto è disteso a
braccia e gambe divaricate, completamente nelle mani del suo aguzzino e
l’idea aumenta la tensione che avverte nel ventre, il desiderio che brucia
dentro di lui. Gli sembra che il cazzo debba esplodere. L’oggetto che Roberto ha
in culo viene spinto in avanti, probabilmente Eze preme la bacchetta in modo
da farlo penetrare ulteriormente. La pressione è alquanto dolorosa, ma prima
che Roberto abbia fatto in tempo ad abituarsi, arriva il colpo, sulla natica
destra. Poi su quella sinistra. Le braccia, le gambe, le cosce. Come prima,
ogni colpo è diverso dal precedente e ogni volta il dolore si rinnova e
cresce. A tratti la punta della bacchetta viene utilizzata per premere contro
un’ascella, i coglioni, la vita, il collo. E poi i colpi, che sembrano
diventare ogni volta più forti. Roberto morde il guanto e mugola, vorrebbe
gridare il dolore, che diviene tanto forte da diventare intollerabile.
Vorrebbe gridare il piacere, che sta crescendo, insostenibile. E piacere e
dolore sono ormai una cosa sola che esplode nel suo corpo a un ennesimo
colpo. Dai coglioni sale inarrestabile il fiotto, attraversa il cazzo e
sembra quasi bruciarlo, per deflagrare. Roberto urla, anche se il guanto che
stringe tra i denti trasforma il grido in un gemito strozzato. Il piacere che
lo invade è il più forte che ha mai provato, per un momento la vista si
annebbia. Roberto chiude gli occhi, travolto da questo godimento che invade
ogni fibra del suo corpo. Ed allora Eze lascia
cadere la bacchetta, estrae ciò che aveva messo in culo a Roberto, si stende
su di lui e lo penetra, con una spinta decisa. L’ingresso fa male, rinnova il
dolore provocato dall’oggetto che Eze gli aveva infilato dentro. Ma Roberto
lo accoglie con piacere. Vuole sentire dentro di sé il cazzo di Eze. Vuole
essere posseduto da lui. Eze è davvero uno stallone
di prim’ordine e la cavalcata è lunga. Le mani di Eze percorrono il corpo
martoriato di Roberto, rinnovano il dolore dei colpi, fanno male. E Roberto
non si è mai sentito così bene, come sotto questo padrone che lo possiede e
lo tortura. Il dolore nel culo cresce
e diventa tanto violento che Roberto deve di nuovo stringere i denti. Ma non
vorrebbe che Eze smettesse. Non vorrebbe che smettesse mai. Roberto volta la testa
verso il muro e vede le loro ombre proiettate dalla lampada. Due grandi ombre
nere, una che si muove sicura e l’altra che giace immobile. È grande e forte
l’ombra che lo sovrasta e, nel pozzo di dolore in cui è sprofondato, Roberto
si sente appagato come non lo è stato mai, in tutta la sua vita. Infine Eze viene e si solleva.
Roberto sente il sollievo, ma prova anche un senso di perdita. La staffilata
che gli arriva sul culo quasi lo fa urlare: non se l’aspettava. Eze si china su di lui e
gli sussurra. - Sono quasi le tre. Tra
non molto devo andare. Il tempo è passato in
fretta, davvero. Roberto non se n’è reso conto. Ma di certo in questa serata
non ha guardato spesso l’orologio. Non l’ha guardato mai, non avrebbe nemmeno
potuto. Ora lancia un’occhiata a quello di Eze, che può vedere benissimo,
perché il braccio è proprio a fianco della sua testa ed il quadrante è
luminoso: 2.58. Eze riprende: - Ma prima voglio che tu
ti abbandoni completamente. Roberto ridacchia. Legato
com’è, non può certo muoversi: è completamente nelle mani di Eze. Lascia
cadere il guanto dalla bocca e dice: - Più di così? - Sì, voglio che tu dorma
qualche minuto, mentre io ti farò ancora qualche cosa… Per un attimo Roberto ha
paura, vorrebbe dire di no. Ma Eze è stato molto attento. E poi, che
possibilità di scelta ha davvero Roberto? - Sei pronto? Eze non gli ha chiesto se
lo vuole o no, Eze non aspetta nemmeno una risposta. Preme contro il viso di
Roberto un fazzoletto imbevuto di cloroformio e Roberto si rende conto di
sprofondare. Un attimo di panico, ma solo un attimo, perché il nulla lo avvolge. Roberto si risveglia. Eze
gli sta facendo annusare qualche cosa di acre. - Sveglia, dormiglione.
Sono quasi dieci minuti che dormi! L’orologio al polso di Eze
segna le 3.05. Ha dormito pochissimo, ma gli sembra di essere rimasto ore ed ore
immerso nel sonno. Man mano che riemerge, avverte una sensazione al culo.
Dolorosa e piacevole allo stesso tempo. Qualche cosa che lo riempie
completamente, un po’ troppo, perché fa male. - Che cazzo mi hai messo
dentro? - Un bel dildo. Non mi
dire che non ti piace. Eze ride. Roberto ghigna.
Non è male, in effetti, ma preferiva il cazzo di Eze. - Adesso te lo tolgo. Con delicatezza, Eze sfila
il voluminoso dildo e lo mostra a Roberto. Misura extra-large, ma il cazzo di
Eze aveva ben preparato il terreno. Ora Eze libera Roberto,
che si massaggia i polsi, indolenziti. È stato bellissimo, tutta la serata.
Gli sembra che gli abbiano passato cartavetro sulla schiena, sulle braccia e
sulle gambe, ma non si è mai sentito così bene. - Io devo andare. Domani
lavoro. Vieni via anche tu? Roberto annuisce. Si infila la camicia, i
pantaloni e le scarpe. Istintivamente controlla che ci siano portafogli e
telefonino. Ovviamente c’è tutto: Eze non è un ladro. Escono e scendono le
scale. Il culo gli fa parecchio male, la camicia gratta contro la schiena
irritata, i pantaloni contro le gambe. A Roberto non spiace l’idea di portare
nella carne questo dolore, peraltro perfettamente tollerabile, a ricordargli
la serata. Ora sono nel cortile.
Lontano si vede un lampo. C’è un temporale, verso Torino. - Senti, Roberto, hai
voglia di darmi il tuo numero di telefono? La domanda è diretta e lo
spiazza completamente. Roberto non dà mai il proprio numero, è troppo
rischioso. Ma Eze gli piace. Esita solo un attimo. Eze ha già tirato fuori il
suo cellulare e Roberto gli detta il numero. Quando ha finito, Eze si
mette il cellulare in tasca. Roberto chiede: - Tu mi dai il tuo? - No, naturalmente. Non
confondere i ruoli. Sei tu che aspetti la mia telefonata. La frase è detta con
dolcezza edil bacio che Eze gli dà è ancora più dolce. Roberto si dice che
Eze è uno stronzo, ma non lo pensa davvero. Roberto annuisce,
sorridendo. - Se mi ricordo ancora di
te, quando ti fai vivo… Eze scuote la testa,
ghignando. - In questo caso, dovrò
rinfrescarti la memoria… Roberto aggiunge: - Io rimango ancora un
momento, voglio snebbiarmi il cervello, prima di mettermi a guidare. Eze annuisce, lo bacia di
nuovo, lo saluta e si dirige all’auto. Roberto lo guarda. Cazzo, se gli
piace! Si siede su un muretto.
C’è un tizio che gli sta girando intorno, ma Roberto lo ignora: la serata è
stata più che soddisfacente, non intende certo cercare altro, non potrebbe.
Il suo corpo è sazio, come non lo è mai stato prima. Realizza che ha bisogno
di pisciare. È meglio che provveda prima di mettersi in auto. Potrebbe farlo
lì, non ha molta voglia di tornare dentro, ma magari il tizio lo prenderebbe
come un invito. Rientra nella cascina. Non sa dove ci sia un bagno al piano
terra, ma sopra ce n’è uno, di fronte alla camera di Birillo. Entra e sale al piano
superiore. Nel corridoio non c’è nessuno, tutti sono nelle camere, occupati a
scopare o ormai addormentati, ubriachi o fatti. Entra in bagno, piscia, tira
l’acqua. Guarda l’ora. Le tre e venti. Ci sono due interruttori. Ne preme
uno, poi l’altro e la luce si spegne. Ride. Perché mai ha spento la luce, che
magari qualcuno, ubriaco o fatto, non riesce a trovare l’interruttore e
combina pure qualche guaio? Nel corridoio è buio:
ecco, l’altro interruttore era quello del corridoio! E adesso? Buio in bagno,
buio nel corridoio e lui non trova più l’interruttore. Si dà della testa di
cazzo e ride. Si sente bene, allegro. È stato bello, con Eze. Ed è contento
che gli abbia chiesto il numero di telefono. Si appoggia alla porta, al
buio. Lascia che i suoi occhi si abituino all’oscurità e pensa alla serata,
alla lunga conversazione con Eze, ai loro giochi incandescenti in camera.
Cazzo! Una serata così vale tutti i patemi d’animo che Roberto si fa ogni
volta che partecipa a un’orgia. Rimane a lungo così, si chiede se Eze gli
telefonerà. Gli viene da ridere: si direbbe che si sia innamorato, così, di
uno che conosce da qualche ora… Si riscuote. Adesso è ora
che vada. Trova l’interruttore e accende la luce, che l’acceca. Si muove, ma
mette il piede su una borsa che qualcuno ha lasciato lì, davanti alla porta
della camera di Birillo. Roberto perde l’equilibrio e cade malamente contro
la porta, che si apre. Roberto finisce a terra, bestemmiando. Si rialza,
scusandosi, ma nessuno risponde e per un attimo Roberto pensa che la stanza
sia vuota. Ma qualcuno c’è, dalla porta aperta entra abbastanza luce per
vedere Birillo, steso sul letto, le gambe piegate, i polsi legati alle
caviglie, il cazzo teso allo spasimo. Odore di sborro nell’aria. Niente di
strano, Birillo ama il bondage. Ma c’è qualche cosa che non funziona. Roberto
non saprebbe dire che cosa. Non c’è nessun altro nella
stanza. Con cautela Roberto si avvicina al letto. Birillo è perfettamente
immobile. Prima di toccargli il polso, Roberto ha già capito. Birillo ha
fatto il suo ultimo gioco erotico e ora potrà giocare con Satana. E infatti
non c’è nessun battito al polso. Birillo non è ancora freddo, non è molto che
è morto, forse un’ora, anche meno. Per il culo di Satana!,
come dice il capo di Roberto, questo è un bel casino. Come è morto Birillo?
Infarto? Difficile. E allora? Roberto lo sa benissimo: è stato assassinato.
In che modo, non è in grado di dirlo, non c’è sangue. No, non è vero, c’è, è
colato dalla bocca, dal lato della faccia che ora è in ombra. Anche dal culo.
Parecchio. Non l’aveva notato perché dal punto in cui si era fermato non si
vedeva. Birillo è stato ucciso.
Non è il primo: l’anno scorso a Torino un uomo è stato trovato legato in quel
modo, in un lago di sangue; il tizio aveva una raccolta di spade giapponesi e
l’assassino gli aveva infilato una spada in culo, una katana. Roberto
non ha visto il cadavere, non si è occupato del caso, ma giurerebbe che la
posizione era esattamente la stessa. L’assassino potrebbe essere lo stesso. Merda! Merda! Merda! Roberto è nella merda.
Guarda ancora la stanza. Prende nota di quello che vede, una bottiglia vuota
sul cassettone, le corde che legano saldamente Birillo, il corpo in quella
posizione che ora appare grottesca. I giochi del sesso appaiono tutti
grotteschi quando la morte li irrigidisce fissando per sempre la posizione di
un momento. Nella toppa c’è la chiave,
dalla parte interna. Roberto esce dalla camera e chiude la porta, utilizzando
un fazzoletto per non lasciare impronte. Si dice che dovrà buttare via le
scarpe, perché sicuramente sono rimaste tracce sul pavimento. Scende,
raggiunge l’auto e mette in moto. Non ha incontrato nessuno che lo fermasse o
lo salutasse. Ormai la festa è spenta, ma ci sono ancora parecchie auto. Roberto si allontana,
cercando di ragionare in fretta sul da farsi. Sa dove si trova una cabina,
una delle ultime rimaste, nel centro di Rivoli. Ferma l’auto in una via
laterale, spegne le luci. Respira a fondo, controlla che non ci sia nessuno,
scende e raggiunge la cabina. Telefona. Avvisa la polizia, indica la località
e come arrivarci. Poi riaggancia, torna all’auto e rimette in moto senza
accendere le luci: non vuole che qualcuno, che lo ha visto telefonare, prenda
magari il numero di targa. C’è sempre uno che soffre di insonnia e non ha di
meglio da fare che spiare ciò che accade in strada, magari da quella casa
sull’angolo, da cui si vede sia la via, sia la cabina. Dopo aver svoltato,
Roberto accende le luci e si dirige verso Torino. In quel momento un lampo
illumina la via deserta e la pioggia incomincia a scendere, violenta.
Temporale di fine estate. Arrivato a casa, Roberto
si spoglia, si fa una doccia, la prima del giorno che tra non molto
incomincerà, e si stende a letto. Non per dormire. Non dormirà, nonostante la
stanchezza. Si stende per pensare, per
gridare dentro di rabbia. Perché ha tradito tutti
quelli come lui, che sono andati a divertirsi una notte ed adesso rischiano
di finire sul giornale o in televisione. Tra di loro non c’è l’assassino, che
di sicuro se n’è andato prima di Roberto. Ed allora perché l’ha fatto? Perché era quello che
doveva fare. È stato commesso un omicidio. E Roberto è un poliziotto. Ha sempre pensato che
prima o poi avrebbe avuto guai grossi con la sua doppia vita, ma si illudeva
che il pericolo fosse l’incontro con qualcuno in grado di ricattarlo, un
collega (ma il rischio non sarebbe molto forte, perché entrambi sarebbero
ugualmente ricattabili) o un delinquente, uno di quelli che gli capita di
arrestare o di interrogare. Ha sempre fatto attenzione
a non bere troppo, a non fumare spinelli, a non fare nulla di illegale. E a
non essere rintracciabile. Ma ora è stato commesso un
delitto. E di fronte ad un delitto, bisogna indagare. Per quello ha chiuso la
stanza, perché nessuno trovasse il cadavere, lanciando un allarme che avrebbe
spinto tutti a fuggire. Le persone fermate potranno fornire qualche indizio
sugli altri partecipanti. Anche su di lui, Roberto lo sa benissimo. Merda!
Certo, lui ha un alibi perfetto, lui ed Eze sono rimasti tutto il tempo
insieme, ma il problema non è quello, il problema è che se scoprono che
partecipa a orge gay, è sputtanato. Risaliranno a lui? Eze ha il suo numero,
ma se n’è andato prima di lui. Paolo non l’ha nemmeno visto. Giovanni? No,
non è in grado di rintracciarlo. Ma metteranno sotto torchio tutti quelli che
hanno trovato alla cascina e ricostruiranno anche il suo identikit. Per qualche tempo non
metterà più piede nei locali che frequenta abitualmente. Difficile che quando
lui entra qualcuno chiami la polizia, per dire che partecipava alla festa, ma
magari ci sarà qualche poliziotto in borghese con un identikit dei
partecipanti. Potrebbe esserci davvero: è il secondo morto ammazzato e già
con il primo stampa e televisione hanno fatto la loro parte. Questo tipo di
omicidi incuriosisce sempre i benpensanti, felici di bersi i dettagli
sull’orrenda morte di un gay. Ora che l’assassino ha raddoppiato, i
giornalisti triplicheranno, per non rimanere indietro. Tanto più che Birillo
era molto ricco, un industriale, dicevano. Merda! Roberto si chiede persino
se radersi la barba e i capelli a zero, per cambiare faccia. Potrebbe essere
un’idea, ma c’è il rischio che qualcuno si chieda il perché di questo
improvviso mutamento. Intanto deve vedere che cosa viene fuori. Domani
mattina, no, questa mattina, ormai sono le cinque, non ci sarà niente sui
giornali. L’unica è il radiogiornale. Ma è meglio che cerchi di
dormire. Avrà bisogno di tutte le sue forze. E di essere lucido. Era stata una bellissima
serata. E il pensiero di Eze ritorna come una fitta. Dopo quanto è successo,
Eze si rifarà mai vivo? No, sicuramente no. Ognuno dei partecipanti, se non è
stato beccato, si terrà fuori dal giro il più a lungo possibile, per non
correre rischi, come Roberto ha pensato di fare. Eze non gli telefonerà.
Merda! Come è possibile che il pensiero lo faccia stare tanto male? A lungo
la sua mente oscilla tra l’immagine del cadavere di Birillo e quella del
corpo di Eze e Roberto si sente avvolgere da una tristezza cupa, che gli
toglie il fiato. È già giorno quando
Roberto si addormenta. Si sveglia nel primo
pomeriggio. Guarda l’orologio. Fa in tempo a sentire il giornale radio
regionale delle due. Accende la radio sul terzo
canale e si fa una rapida doccia. Asciugandosi, guarda i segni sulle gambe e
sulle braccia. Non sono molti, non sono molto visibili, scompariranno presto.
Poi torna in camera e si guarda nello specchio dell’armadio. Sulla schiena e
sul culo i segni si vedono, sono parecchi. È tutto quello che gli rimane di
Eze. Roberto siede sul letto. Il giornale radio incomincia. La notizia viene
data, ovviamente. Misterioso omicidio durante una festa gay in una cascina
vicino a Rivoli. Forse opera di un serial killer: potrebbe essere lo stesso
che quindici mesi fa ha ucciso un altro omosessuale con una spada. La polizia
ha fermato i partecipanti e li sta interrogando. Ritrovata quella che si
suppone essere l’arma del delitto, una pistola, lasciata sotto il letto.
Sotto il letto! La firma dell’assassino: anche l’arma con cui era stata
uccisa la prima vittima era stata lasciata sotto il letto. Quindi a Birillo
hanno sparato in culo, come alla prima vittima avevano infilato la spada in
culo. E lui, che era nella
stanza accanto, non ha sentito niente. L’assassino ha usato un silenziatore,
evidentemente. Cazzo! Sera. Roberto si sta
preparando per uscire. Aveva combinato di vedere alcuni amici e di andare a
mangiare una pizza insieme. Non ne ha molta voglia, la sua testa è affollata
di altri pensieri, ma stare a casa sarebbe ancora peggio. La mente torna
ossessivamente a Birillo e a Eze, all’omicidio ed all’uomo che vorrebbe
rivedere e che sa di aver perso. Ha passato il pomeriggio su Internet, alla
ricerca di notizie sull’omicidio, ma non ne ha ricavato molto. Domani i
quotidiani diranno di più. Il telefono squilla mentre
è in camera e si sta mettendo i pantaloni. Roberto pensa a qualche problema
con gli amici, qualcuno che non può venire, ma è un numero che non conosce.
Chi cazzo è? Risponde. - Ciao, Roberto, sono Eze. Per un momento la gola gli
si chiude. Non riesce a rispondere. Non ce la fa. Un senso di sollievo
enorme. Eze prosegue. - Hai saputo? Riesce a far uscire la
voce: - Sì. - Senti, Roberto, possiamo
vederci? Ho bisogno di parlarti. Roberto ha ritrovato un
po’ di calma. - Sì, per me va bene. Ma
non questa sera. Sono impegnato. - Anch’io. Domani mattina?
Ci vediamo in un bar, magari? - Sì, ma non… Vorrebbe dire: ma non uno
del giro, ma Eze non l’ha mai visto in quei locali e poi il mattino non sono
aperti. - Ti va bene da Norman,
piazza Solferino? Il caffè è elegante e
costoso, evidentemente Eze non ha problemi di soldi, ma lui è medico. - Va bene. - Alle 11? O è troppo
presto per te? C’è una punta di ironia
nella voce di Eze. - No, va benissimo. - A domani allora. - A domani. - Roberto… C’è una breve pausa. A
Roberto sembra che anche il suo cuore si prenda una breve pausa. - Avevo comunque voglia di
rivederti. - Anch’io Eze riattacca. Roberto si siede sul
letto. Poi si stende. Si abbassa gli slip. Si accarezza il cazzo. Eze. Eze.
Eze. Domani rivedrà Eze. L’indomani Roberto compra
anche la Stampa, oltre alla Repubblica, che prende
abitualmente, e divora tutti gli articoli. C’è parecchio spazio dedicato
all’omicidio di Rivoli, con tanto di foto di Birillo, da vivo. Nome e cognome
e dettagli. Davvero un pezzo grosso, proprietario di un caseificio, uno dei
più importanti della regione. La cascina di Rivoli era solo una delle sue
tante proprietà, sparse per il Piemonte e per mezza Europa. Di lui si parlerà
parecchio. Sulla festa, sui
partecipanti e sull’omicidio le informazioni non sono molte più di quelle che
Roberto già possiede. Quando è arrivata la polizia, c’erano ancora quindici
uomini nella cascina. Impegnati in che cosa, non è detto esplicitamente, ma
si evince che per i poliziotti deve essere stato uno spettacolo interessante
ed istruttivo. Sequestrate alcune droghe. Alle undici Roberto arriva
davanti al caffè dove ha l’appuntamento. C’è molta gente seduta ai tavolini,
sotto i portici, ma Eze non c’è. Roberto lancia un’occhiata dentro, Eze non è
neppure lì. Guarda lungo la via e lo vede arrivare. Eze gli sorride e quando
sono vicini, gli porge la mano. Roberto la stringe ed Eze mette la sinistra
sopra le loro mani, in un gesto d’affetto. Poi si guarda intorno e fa
una smorfia insoddisfatta. - Troppa gente. Abbiamo
bisogno di parlare in pace. Quel tavolo là, direi. Un tavolo un po’
appartato, dovrebbe andare bene. Si siedono vicini, le
spalle alla strada, in modo da vedere se qualcuno passa a fianco del loro
tavolo. Incomincia Eze: - Ho sentito due colleghi
che parlavano di un delitto, una cascina vicino a Rivoli, una festa gay. Mi è
mancato il fiato. Si passa una mano sulla
fronte, poi fissa Roberto. - Tu quando l’hai saputo? Roberto mente. Quanto è
successo quella notte, dopo la partenza di Eze, non lo racconterà a nessuno,
a meno che non venga scoperto: allora parlerà alla polizia. - Ieri, dal giornale
radio. Eze scuote la testa. - Chi può essere stato,
Roberto? Hai un’idea? Forse conosci meglio di me il giro di gente che
partecipava alle feste di Gianmarco. Roberto alza le spalle. - No, figurati. Sai
benissimo come ci si conosce in questi giri. Più o meno il nome. Al massimo
una mail. Non ho nessuna idea. Tra l’altro non ho visto nessuno: siamo
rimasti insieme tutto il tempo. Ed a queste parole gli
sfugge un sorriso e vede che Eze risponde sorridendo anche lui. Poi però il
suo viso ritorna cupo. - Roberto, è un casino. Mi
sento responsabile. - Ma che cazzo dici, Eze? - Roberto, quello che ti
dico tientelo per te. Non dovrei parlarne, ma ho bisogno di dirlo a qualcuno. Roberto annuisce. Le
parole di Eze lo hanno incuriosito. In quel momento arriva il cameriere ed
ordinano. Eze prende solo un aperitivo, Roberto una colazione completa. Quando il cameriere se ne
va, Eze guarda i portici verso piazza Castello. Poi fissa Roberto negli
occhi. - Roberto, Gianmarco… Fa una smorfia, poi
riprende: - … Gianmarco voleva farsi
ammazzare. Voleva crepare. In quel modo. Roberto fissa Eze a bocca
aperta: questa non se l’aspettava proprio. Eze prosegue. - Quando successe
quell’altro omicidio, quello del tizio ammazzato con la spada, Gianmarco ne
fu molto colpito. Continuava a parlarne. L’idea di morire con una spada
infilzata in culo lo affascinava. Una volta glielo dissi, cazzo! Gli dissi
proprio che secondo me l’idea lo attraeva. Lui ci pensò un momento e poi
disse che avevo ragione, che davvero la cosa gli piaceva un casino. Una
spada. O una pistola. Roberto è rimasto senza
parole. Ma Eze prosegue. - Ne abbiamo parlato
diverse volte, da allora. Stava diventando un chiodo fisso. Voleva… Eze si ferma, guarda
Roberto, si morde il labbro superiore. Poi riprende e conclude: - … voleva che lo facessi
io. Roberto non riesce a
parlare. Troppe cose gli frullano in testa. Guarda Eze, il viso forte, dai
lineamenti marcati, la mascella squadrata. Eze sarebbe capace di farlo. E poi
pensa a Birillo. Lo rivede legato sul letto. E si immagina legato sul letto a
quel modo, mentre Eze gli infila la canna di una pistola in culo. Di colpo si rende conto che gli sta
diventando duro. È assurdo, assolutamente
assurdo. Ma è così. “Al cazzo non puoi far intendere ragione. Se si dice
testa di cazzo, è per qualche motivo, no?” Queste parole sono di Fabio, un
collega di Roberto. Etero (nessuno è perfetto), ma saggio. - Io gli dissi di no. Ma
Gianmarco me ne parlò diverse volte. Stava diventando un’ossessione. E so di
averla scatenata io. Roberto lo fissa. - Ti senti in colpa? Eze ricambia lo sguardo e
sembra che lo sfidi. Poi alza le spalle. - Non so. Da una parte mi
dico che se lui voleva morire così… cazzi suoi, no? Libero di fare le sue
scelte. Dall’altra parte mi chiedo… insomma, Roberto, lo sai benissimo anche
tu, quando sei legato ed imbavagliato, puoi anche cambiare idea, ma non puoi
far cambiare idea all’altro. Sei senza difese, nelle mani del tuo assassino. E di nuovo Roberto sente
la tensione crescere. Ora ce l’ha duro. E questo è davvero follia. In questo
momento dovrebbe pensare a tutt’altro: a un omicidio che forse non è un
semplice omicidio, se quello che dice Eze è vero; ai rischi che corre, perché
può trovarsi sputtanato e magari pure costretto a lasciare il lavoro da un
momento all’altro. Ma le parole di Eze suscitano altri pensieri, vanno molto
più a fondo di quanto Eze possa sospettare. Eze lo sta guardando e
Roberto abbassa gli occhi, quasi temendo che possa leggergli in testa. L’arrivo del cameriere
interrompe il loro silenzio. Eze guarda il vassoio
circolare con tutta la colazione di Roberto e modula un fischio leggero tra
le labbra. - Intendi mangiarti tutta
questa roba? Cazzo! Roberto si massaggia la
pancia e dice: - Ho bisogno di mantenerla
in forma, altrimenti deperisce. Devo aver cura di lei… Poi fissa Eze negli occhi: - Mi piace mettere su
peso, Eze. Mi fa sentire forte. Una smorfia di dubbio
appare sulla faccia di Eze. Non è molto convinto. Roberto mangia. Eze
sorseggia il suo aperitivo. Per un momento non si dicono altro. Ma nella
testa di Roberto continuano a correre pensieri di ogni tipo. E Roberto è ben
contento di avere la bocca piena ed una buona scusa per non parlare. Eze guarda Roberto e gli
sorride, poi gli chiede: - Hai letto i giornali? Roberto annuisce. - Certo, volevo saperne di
più. - Mi scoccerebbe se
arrivassero a me. Sarebbero grane. Spero che non arrivino a te. Anche Roberto lo spera,
ovviamente: per lui sarebbero grane ancora più grosse. - In ogni caso non gli
dire nulla, delle cose che ti ho raccontato, intendo. Roberto non risponde.
Sarebbe suo dovere raccontarlo, è un elemento importante per le indagini. Ma
se arriveranno fino a lui, saranno cazzi amari. Parlano ancora un momento,
poi Eze guarda l’orologio e dice che deve andare. Prima di alzarsi aggiunge: - Roberto, ti do la mia
mail, così puoi rintracciarmi… Eze sorride e aggiunge: - … se mi va di leggere
quello che scrivi. - Stronzo! Roberto ride. È contento
di avere un recapito per raggiungere Eze. È contento di non perderlo. - Se vengo a sapere
qualche cosa, te lo dico. Tu fa’ lo stesso. Roberto annuisce. Non
scopriranno niente, naturalmente, non possono fare indagini senza destare
sospetti. Può essere una scusa in più per vedersi. - Roberto, se ti va, mi
farò vivo presto. Roberto sorride. Se gli
va? Certo che gli va! - Aspetto la tua telefonata.
Non mi fare aspettare troppo… Il martedì i giornali
riportano una notizia trapelata dalla questura: sul computer di Birillo c’è
una lettera in cui dice che gli piacerebbe farsi uccidere nel modo in cui poi
è stato trovato morto. Pare che la polizia stia controllando gli indirizzi
mail, l’assassino potrebbe essere il destinatario di quella mail. Roberto pensa
all’indirizzo che gli ha dato Eze e si chiede se non possa essere uno di
quelli che i suoi colleghi hanno trovato sul computer di Birillo. Assurdo. Se
Eze fosse l’assassino, dovrebbe essere proprio stupido per passargli la
stessa mail che usava per parlare con Birillo della sua morte. Posto che
davvero ne abbiano mai parlato via mail. È più probabile che sia un’ipotesi
dei giornalisti, capaci di inventarsi qualsiasi storia, quelli. Roberto non
sopporta il suo nuovo capo, ma in una cosa va d’accordo con lui: non apprezza
i giornalisti. Ma la domanda più
importante è un’altra: Eze potrebbe essere l’assassino? Sono stati insieme
tutta la sera, ma Eze l’ha addormentato. E l’ora Roberto l’ha letta
sull’orologio di Eze. Può averla cambiata, per fargli credere di aver dormito
una manciata di minuti e non il tempo necessario per legare Birillo ed
ucciderlo. E se Eze fosse davvero l’assassino? I quotidiani riportano
qualche altro dettaglio. Sei colpi sparati in culo a Birillo. Che è venuto
poco prima di morire. Prima dei colpi? Quando l’assassino gli ha sparato la
prima volta? Si può venire quando il dolore dell’agonia ti dilania le
viscere? Quando l’ha visto sul letto, Birillo aveva il cazzo duro. Anche
Roberto ha il cazzo duro, mentre pensa a queste cose. E si chiede se non sta
perdendo la ragione. È masochista, d’accordo,
lo sa e gli piace. A volte ha fantasie di morte, questo è comune. Con
qualcuno di cui si fida davvero ha anche provato qualche pratica pericolosa,
ma non mortale. Ora però si rende conto che è proprio l’idea della morte ad
eccitarlo. Il pensiero di Birillo legato sul letto, la canna di una pistola
che gli entra in culo, ritorna ossessivo. E la tensione sale. Birillo aveva dei
tatuaggi. Birillo aveva anche un marchio, impresso a fuoco, sulla natica
destra. Una cosa insolita. Forse non significativa. Ma non è comune farsi
marchiare a fuoco. Eze telefona quattro
giorni dopo. Combinano di trovarsi a casa di Roberto. Parlano un po’
dell’omicidio, su cui non sono emersi nuovi elementi rilevanti. E poi
incominciano i loro giochi. Roberto è incerto, il pensiero che Eze possa
avere ucciso Birillo lo disturba, ma nello stesso tempo lo eccita. Esita ad
abbandonarsi completamente nelle mani di Eze, eppure lo desidera. Eze non gli lascia molta
scelta: è un padrone assoluto, che non accetta limiti e richiede
sottomissione incondizionata. Roberto cede e lascia che Eze faccia di lui ciò
che vuole. Eze si muove con sicurezza e Roberto sa che non commetterà errori,
che Eze lo condurrà esattamente dove vuole: non rischia di morire perché Eze
stringerà troppo, per errore, la corda che ha messo intorno al suo collo. Ma
Roberto sa che Eze potrebbe stringerla deliberatamente. E questo pensiero non
lo spaventa, non riduce la sua eccitazione, ma sembra accrescerla, come se la
paura fosse una leva perché il piacere arrivi ancora più in alto. Eze stringe
e a Roberto il fiato manca. E ogni volta che il respiro viene a mancare, il
cazzo gli si tende ancora di più. E infine, dopo i colpi che lasceranno
lividi, dopo la sensazione di morire, dopo la sottomissione completa, Roberto
viene in un parossismo di puro piacere. Quando Eze se ne va,
Roberto si trova ad interrogarsi su ciò che realmente vuole, su ciò che vuole
Eze, su ciò che prova per Eze, un uomo di cui una settimana fa non conosceva
neppure l’esistenza. Si vedono regolarmente,
una volta la settimana. E i loro giochi diventano sempre più duri. Eze gli
chiede se può bruciarlo con il sigaro e Roberto accetta. Gli dice che gli
tagliuzzerà la pelle e Roberto non si sottrae. Gli dice che gli bloccherà più
a lungo il respiro e neppure davanti a questo Roberto si tira indietro. Dove li porta la discesa
che stanno percorrendo? Dov’è il fondo? C’è davvero un fondo o è un
precipizio in cui Roberto sarà inghiottito? Roberto vede cadere una
dopo l’altra le barriere che ha sempre messo. Ogni limite viene superato. Si
è sempre rifiutato di farsi colpire a sangue, di subire sevizie che gli
lasciassero cicatrici permanenti sul corpo, di subire sofferenze troppo
forti. Ma con Eze sta imparando che non esistono sofferenze troppo forti. Con
sgomento sta scoprendo che forse non esistono sofferenze abbastanza forti. Roberto ha paura, non di
Eze, ma di ciò che potrebbe lasciar fare a Eze. Di giorno in giorno
continuano a scendere, in un abisso che diventa sempre più scuro. E Roberto
fissa affascinato il buio che lo avvolge, mentre si dirige verso il punto più
tenebroso. Sono passati nove mesi. Le
indagini sull’omicidio di Birillo sono a un punto morto. Roberto ci pensa,
spesso. Pensa a Birillo legato sul letto. Pensa alla pistola in culo e ai
colpi. E ogni volta il suo cazzo si irrigidisce ed il desiderio sale
impetuoso. Roberto ha un padrone
assoluto, come non gli era mai capitato. Roberto indaga i limiti della
sofferenza e scopre che essi si spostano in continuazione e che ciò che
faceva fatica a sopportare ora non è più sufficiente. Ha bisogno di un dolore
più forte, di una sottomissione più completa. Ogni volta che si
incontrano, Eze lo lega, impedendogli ogni movimento. E poi gli impone
svariate forme di tortura, spingendosi sempre più avanti. Una settimana
spesso non è sufficiente a Roberto per riprendersi completamente e il suo
corpo si sta ricoprendo di tagli, bruciature, abrasioni, lividi, cicatrici. Anche oggi Roberto è
legato, questa volta ad una sedia, nudo, il ciondolo con il lampo al collo è
tutto ciò che indossa: lo porta sempre ed a volte Eze lo ha usato per
stringergli il collo in una morsa, fino a lasciargli il segno sulla pelle.
Eze sta immergendo un sacco di pelle in un secchio d’acqua. Lascia che
s’imbeva bene, poi lo mette sul viso di Roberto, che immediatamente ha
difficoltà a respirare. La sensazione di soffocamento è terribile, Roberto
non riesce più ad immettere ossigeno. Il sacco gli blocca completamente la
vista, rendendo le sensazioni più acute. Eze apre un po’ il sacco, ma poi lo
richiude. Esegue altre cinque volte l’operazione e ogni volta la sensazione è
più intensa e dolorosa. Roberto ha la gola che gli
brucia. Poi Eze toglie il sacco e
scioglie le corde che legano Roberto alla sedia, ma non quelle che gli
bloccano i piedi e le mani. Prende Roberto per il collo e lo solleva,
facendolo sdraiare per terra, la faccia davanti al secchio. Roberto guarda
Eze, senza capire. Eze lo fissa e piscia nel
secchio. Quando ha concluso, prende
tre cuscini e li mette sotto il torace di Roberto. Poi gli solleva la testa,
avvicina il secchio e gli immerge il capo nell’acqua. Roberto non può
respirare. I secondi passano, interminabili. Eze gli molla la testa.
Roberto la solleva e respira affannosamente. La mano di Eze ritorna tra i
suoi capelli e per la seconda volta spinge la testa nell’acqua. Questa volta
tiene la testa più a lungo e Roberto cerca di liberarsi, ma non gli è
possibile. Dopo avergli permesso di
sollevare nuovamente la testa, Eze gli scioglie la corda che gli lega i
piedi, gli allarga le gambe e si stende su di lui. Quando gli immerge
nuovamente la testa, lo penetra con un colpo secco. Roberto ha un guizzo, un
po’ di acqua gli entra in bocca, tossisce, sputa, ma Eze gli tiene la testa
sotto. Incomincia la cavalcata,
lenta. Eze è davvero uno stallone formidabile, come aveva detto Giovanni,
tanto tempo fa, quando Roberto non aveva ancora incominciato la sua discesa
agli inferi. E mentre spinge, Eze continua a immergere nel secchio la testa
di Roberto, per periodi che paiono sempre più lunghi. Roberto ha la
sensazione che morirà così e che gli va bene, morire con il cazzo di Eze in
culo, mentre la mano di Eze gli spinge la testa sotto. Poi l’altra mano di Eze
incomincia a giocare con il suo cazzo, già teso. Lo afferra, lo stringe, lo
maltratta. E in Roberto l’eccitazione cresce ancora. Ogni volta che Eze gli
immerge il capo, la sensazione diventa più intensa, fino a esplodere. Solo
quando Roberto viene, Eze smette di immergergli la testa nel secchio. Rimane
dentro di lui e sposta il secchio. Spinge vigorosamente, fino a che viene
anche lui. Poi gli afferra con forza i capelli bagnati, facendogli male, e
gli sussurra all’orecchio: - Ti marchierò, Roberto.
La prossima volta porterò un piccolo marchio e te lo metterò sul culo, come
si fa a un animale. Perché tu sei mio, fino alla morte. Fino alla morte. Le parole
sembrano rimbombare nella testa di Roberto. Fino alla morte. Per la prima
volta Roberto ha la sensazione di poter scorgere in modo preciso ciò che c’è
in fondo alla discesa. Ha sempre saputo che era là, ma solo ora lo vede. Quando Eze se ne va,
Roberto si fa una doccia, si asciuga, prende una birra gelata e si stende sul
letto. Guarda il soffitto della camera. Mille pensieri gli corrono in testa.
Sa che sta per arrivare al fondo. E c’è un elemento che glielo potrà
confermare. Roberto ha parecchi amici nella
polizia e non fa fatica ad arrivare dove vuole. La scusa è quella di aver
visto un uomo con un marchio a fuoco sulla natica destra: vuole controllare
se il marchio di Birillo era lo stesso. Roberto ottiene di poter
vedere, in via informale, le foto del corpo di Birillo. Mentre il suo collega
gliele fa scorrere, Roberto ha un’erezione violentissima. Gli sembra che il
cazzo stia per scoppiare. Per fortuna Roberto è alquanto corpulento ed i
pantaloni dissimulano la sua eccitazione. Sì, la marchiatura sul
corpo di Birillo c’è, in effetti, ben visibile in alcune delle fotografie.
Proprio sulla natica destra. Due cerchi sovrapposti. Roberto guarda la foto e
con la mano sfiora il marchio. Il collega gli chiede: - È questo il marchio che
hai visto? Roberto non ha visto
nessun marchio. Lo avrà sul corpo, tra pochi giorni, ma per il momento non lo
conosce. Mente: - No, non è quello. L’agente sembra
riflettere, poi dice: - L’uomo che hai visto in
palestra aveva un marchio diverso, ma questo non vuol dire molto: non sono
certo in tanti a farsi marchiare. Può valer la pena di indagare. Roberto ha raccontato di
aver notato l’uomo in una palestra. In realtà non va in palestra, ma non ci
vuole molto a inventare. - Non so, non c’è nessun
motivo per pensare che sia stato l’assassino a farlo. E in ogni caso il
marchio è diverso. - Forse è meglio che lo
interroghiamo. Magari può dirci chi fa questi marchi e possiamo risalire a
chi ha fatto il marchio a Taddei. Taddei è Birillo. Roberto
non si aspettava l’interesse del collega. Meglio aggirare l’ostacolo. - Non credo. Ma vedrò di
parlare io con quell’uomo, se chiacchiero con lui negli spogliatoi o magari
nel bagno turco, non avrà motivo per sospettare. È più facile che mi racconti
la verità. Se salta fuori qualche cosa di interessante, mi faccio vivo. Roberto attende che Eze
arrivi. Sa, non ha dubbi. In fondo l’ha capito molto in fretta. Ma aspetta
l’ultima conferma, quella che apre la strada al passo finale. Eze arriva e lo bacia,
come fa sempre. Poi lo spoglia e quando Roberto è nudo davanti a lui, estrae
dalla borsa il marchio. Roberto guarda i due piccoli cerchi che si
incrociano. Per un attimo il mondo si ferma, poi Roberto annuisce. Eze va in cucina e accende
uno dei fornelli. Mette il marchio sulla fiamma. Poi torna in camera e si
spoglia. Roberto lo guarda, guarda il grande cazzo duro, guarda le mani
forti, guarda gli occhi in cui gli pare di riuscire a leggere. Si avvicina a
Eze, lo bacia e poi gli dice: - Legami come Birillo. Finalmente è riuscito a
dirlo: da tempo lo desiderava. Eze lo fissa negli occhi, a fondo. Annuisce, senza dire
nulla. Le mani di Eze si muovono
con gesti lenti e sicuri, quasi a dare a Roberto il tempo per pensare, per
cambiare idea, prima che sia troppo tardi. Eze piega la gamba destra
di Roberto e lega saldamente la caviglia al polso destro. Poi le sue dita
accarezzano i coglioni di Roberto, con delicatezza. Una seconda corda passa
sotto il ginocchio, poi sotto il gomito ed infine intorno alla coscia, unendo
la gamba al braccio. Poi Eze stringe i coglioni di Roberto, facendolo gemere.
Stuzzica un po’ il buco del culo. Il cazzo di Roberto si sta tendendo
rapidamente. Eze compie le stesse
operazioni con il braccio e la gamba sinistri. Ora Roberto è legato, del
tutto indifeso di fronte ad Eze. Il cazzo è duro come la pietra ed Eze lo
accarezza con un dito. Nessuno dei due ha detto
una parola. Roberto non ha chiesto come fa Eze a conoscere esattamente la
posizione in cui Birillo era stato legato: i giornali ne hanno parlato, ma
non c’era nessuna foto. Eze non ha finto di non saperlo. Eze prende la corda,
infila una pallina tra le labbra a Roberto e lega la corda intorno alla
testa, facendola passare sulla bocca, in modo da bloccare la pallina,
all’interno della bocca. Poi Eze si siede accanto a
Roberto e lo accarezza. - Sei pronto, Roberto? Roberto muove la testa,
per manifestare il suo assenso. Eze si alza, gli stuzzica
un po’ i coglioni, li stringe con forza, con molta forza. Roberto geme, ma il
suono viene soffocato dal bavaglio. Eze sorride e stringe ancora. Roberto
chiude gli occhi, il dolore è violento. Ma il suo cazzo è una sbarra di
ferro. Eze molla la presa. Esce e
poco dopo ritorna con il marchio. Lentamente lo avvicina
alla natica destra di Roberto. Roberto sente la tensione
salire. Il desiderio si tende ancora. Eze gli stringe i coglioni
con forza e preme il marchio contro la natica di Roberto. Si sente lo
sfrigolio e l’odore intenso della carne bruciata. Ma dai coglioni di Roberto
il piacere esplode in una scarica che gli attraversa il cazzo e si riversa
sul ventre, interminabile. Eze lo guarda e sorride.
Esce di nuovo dalla camera e ritorna senza il marchio. Si mette in ginocchio
davanti a Roberto e la sua mano lo accarezza, a lungo. Infine parla: - Credo che l’orgasmo che
accompagna la morte possa essere il più intenso della vita e la conclusione
perfetta di un amore. E per chi ama la sofferenza, più dolorosa è la morte,
più violento è l’orgasmo. Le parole scendono dentro
Roberto. Non sono inattese. Fanno luce su ciò che c’è in fondo alla discesa.
Ora che è assolutamente indifeso, c’è una parte di lui che si ribella, che
vuole vivere. Ma una parte vorrebbe che Eze andasse avanti, fino in fondo,
ora. - Hai mai sentito parlare
di clistere alcolico, Roberto? In Roberto affiora qualche
vago ricordo di notizie lette. Si tende. La mano di Eze gli accarezza ancora
il cazzo ed i coglioni. Poi un dito stuzzica il buco del culo. - Inserendo un liquido
alcolico nel retto, l’alcol viene assorbito ed entra subito in circolo. Se un
liquore ad alta gradazione alcolica, come la vodka, viene versato
rapidamente, la persona entra quasi subito in coma etilico e la morte è
abbastanza rapida. Se viene versato più lentamente, tutto è più lungo. Se
versi alcol denaturato, bruci i tessuti ed è l’inferno. Roberto ha un guizzo,
anche se ha accettato quello che succederà. Una mano di Eze è
sufficiente a bloccarlo. - Roberto, lo hai sempre
voluto anche tu. Tu vuoi appartenere completamente ad un maschio. Ed io sono
quel maschio, Roberto. Tu lo sai. Eze sposta il corpo di
Roberto, in modo che il culo si trovi sul bordo del letto. Lo penetra senza
nessuna delicatezza, ben sapendo che per Roberto il dolore è la strada
maestra che porta al piacere. E mentre lo prende, con forza, gli sussurra: - Allora, Roberto, che ne
dici? Sentire l’alcol in culo, che brucia, il dolore che viene prima della
morte… Roberto chiude gli occhi,
ma annuisce. Eze viene dentro di lui.
Poi si alza, si china su di lui, gli bacia il cazzo, il ventre, il torace, il
viso. Infine scioglie le corde.
Roberto lo guarda, confuso. Sollevato. Deluso. Eze si riveste, senza dire
una parola. Roberto rimane nudo a guardarlo. Quando è pronto per uscire, Eze
gli dice: - Una bottiglia di alcol
denaturato, per l’inferno. Due di vodka Smirnoff, per cancellare l’inferno e
chiudere. Sabato prossimo, alle tre di notte. Una mail per dirmi che nei
prossimi giorni sei occupato e dirmi che ti farai vivo quando hai un po’ di
tempo: sarà il segnale che non hai cambiato idea. Se non la ricevo non verrò.
Ed ora dammi una chiave di casa. Roberto si alza. Guarda
Eze negli occhi. Va a prendere la chiave di riserva. Gliela porge. Eze annuisce. Prende la
chiave. Lo bacia sulla bocca. Si volta ed esce. Roberto guarda la porta
chiusa. Eze può entrare in qualsiasi momento, potrebbe sorprenderlo nel sonno
questa notte stessa. Ma Roberto sa che tutto si svolgerà come Eze gli ha
detto. Roberto si stende sul
letto. Chiude gli occhi. Può fermarsi, gli basterebbe non scrivere ad Eze la
mail. Ma Roberto sa che la scriverà. Roberto rivede le fotografie del
cadavere di Birillo, ritorna con la mente a quella sera in cui ne ha visto il
corpo. È venuto da poco, ma il desiderio preme di nuovo. Roberto non si
tocca. Non verrà più, fino all’ultimo orgasmo. Scopriranno Eze? No, probabilmente no. Eze è venuto da lui sempre la notte. Qualcuno può averlo visto, ma è difficile che possano identificarlo. L’indirizzo di posta elettronica? Ovviamente controlleranno tutti gli indirizzi sul suo computer e tutta la posta degli ultimi mesi. Saranno in grado di risalire alla vera identità di Eze? Dovrebbero, ma Eze ha di certo preso le sue precauzioni. Roberto non sa quali possano essere, non è esperto di informatica, ma Eze non è stupido, di certo sa come fare. Anche il traffico telefonico sarà passato al setaccio, ma Eze deve aver usato telefoni pubblici. |
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