III

 

     

     

  18

 

È una settimana che Enea Burzio è morto, sono due giorni che la testa è stata ritrovata e l’indagine non ha fatto molti progressi. Ferraris nutre forti sospetti sulla moglie. È l’unica che aveva dei buoni motivi per eliminarlo: i rapporti con il marito non erano buoni, lui parlava di divorzio e lei non avrebbe più potuto vivere nel lusso come aveva sempre fatto. Di certo non l’ha ammazzato lei personalmente, perché è stata a casa tutto il pomeriggio: ci sono un sacco di testimoni, visto che la villa ha più domestici di un grande albergo. Ma si può sempre affidare la faccenda a qualcun altro, quando si ha il denaro necessario. E alla signora Burzio i soldi di certo non mancavano. I soldi del marito, per ammazzare il marito… Ovviamente il tutto rimane a livello di ipotesi, perché non c’è nessuna prova e neppure un indizio.

La scientifica ha fatto il suo lavoro. Burzio è morto soffocato, mercoledì. La testa è stata tagliata con una sega elettrica il giorno stesso e messa in frigorifero, poi è stata portata alla stazione, il giovedì o al più tardi il venerdì, quando è stata spedita la lettera.

La faccenda della sega elettrica è interessante, perché non è un macchinario che tutti hanno a disposizione, ma non è neanche così raro da poter convocare in commissariato tutti coloro che ne posseggono una e metterli sotto torchio.

Altro di significativo non è emerso.

 

Ferraris non ne può più. L’inchiesta lo ha assorbito completamente e da giovedì scorso non ha nemmeno scopato, il che per lui è insolito. È mercoledì, per cui la sua astinenza dura da sei giorni: un periodo decisamente eccessivo. Decide di andare in sauna, prima di perdere il controllo e assalire uno sconosciuto per strada.

L’ispettore frequenta una sauna dalle parti di largo Orbassano. Non è un posto esclusivo, come quelli in cui era solito andare Burzio, ma a Ferraris basta che sia pulito e offra una certa varietà.

Ferraris suona il campanello e la porta si apre. Entra, paga la sua quota, riceve la chiave dell’armadietto per i vestiti e si spoglia. Si stringe un asciugamano intorno alla vita e ci infila dentro un preservativo, tanto per mandare subito un messaggio chiaro: SSS, solo sesso sicuro. Poi scende nei sotterranei, dove si trovano i diversi locali: una sala comune, in cui vengono proiettati film (di alto interesse culturale, ovviamente); le docce, le saune e un bagno turco; diverse salette che servono per il consumo.  

C’è abbastanza gente, con una buona varietà di tipi: è uno dei motivi per cui l’ispettore apprezza il posto. Ferraris dà un’occhiata a un tizio che sembra uno dei bronzi di Riace: colorito verdastro, macchie di vario tipo sulla pelle, un occhio mancante, schiena rigida da colpo della strega. C’è davvero di tutto.

C’è anche un uomo sui cinquanta, con i capelli e la barba grigia, un bel sorriso. A Ferraris sta immediatamente simpatico e magari ci farebbe anche un pensiero, ma il tipo sta fissando un ragazzo sui venti-venticinque, capelli neri, faccia da teppistello strafottente. Uno di quelli che Ferraris prenderebbe volentieri a schiaffi, ogni volta che li vede, anche se non sa che cosa hanno appena combinato: adattando un vecchio proverbio arabo (nell’originale leggermente misogino), dagli una sberla, anche se non sai che cosa ha fatto. Lui lo sa.

Il ragazzo dà un’occhiata a Ferraris e l’occhiata si prolunga. L’ispettore si dice che non è male, non è per niente male, un bel corpo snello e tutto sommato la faccia da schiaffi non gli dispiace. Ha i boxer (cosa che Ferraris detesta, lui è un tradizionalista), ma tanto quando si arriva al dunque i boxer si tolgono. 

Ferraris non dice nulla, non si avvicina. Ricambia lo sguardo. Non ha nessuna intenzione di corrergli dietro: se quello vuole avvicinarsi, lui è pronto. Per essere più precisi, quasi pronto: il sangue sta affluendo all’uccello e l’asciugamano incomincia a tendersi. Il ragazzo abbassa lo sguardo sull’asciugamano e sorride. Si avvicina e si mette esattamente di fronte a Ferraris.

Ferraris gli passa una mano sul culo, afferra una natica con le dita, sorride e trascina la sua preda in uno stanzino. Lascia la porta socchiusa. Se qualcuno vuole vedere, faccia pure. Magari il tipo con la barba grigia. Se poi vuole anche lui la sua parte, può accomodarsi: dopo sei giorni di astinenza, Ferraris potrebbe scopare un intero plotone (e, nel caso, improbabile, in cui venissero a mancare le forze a metà della bisogna, farsi scopare dall’altra metà: come si diceva, Ferraris è aperto alla sperimentazione).

Ferraris infila le mani nei boxer del ragazzo, lungo i fianchi, e sfila quell’inutile pezzo di stoffa. È a una spanna dal ragazzo, ma l’asciugamano che indossa intorno alla vita tocca la pelle del ragazzo, perché c’è uno strano rigonfio, minaccioso – o promettente – a quell’altezza.

Il teppistello abbassa l’asciugamano e poi si mette in ginocchio. Servizio completo, oggi? A Ferraris l’idea non dispiace.

  

  19

     

Giovedì mattina. È giunto il momento di sentire dalla signora Burzio che cosa ha da dire sui suoi rapporti con il marito.

Il commissario non sarà contento, ma oggi Ferraris non darà prova di finezza. L’unica delicatezza, ma Ferraris giura che sarà l’ultima volta, è quella di recarsi a casa di madama. Ormai la macchina ci va da sola e Volturno sarebbe in grado di arrivarci di notte a fari spenti, ma non ce n’è bisogno. Non c’è neppure nebbia, il cielo è sereno, il sole splende: un bel sole novembrino.

La vedova Burzio non è contenta di rivedere Ferraris (come darle torto?) e neppure Ferraris è contento di rivedere la signora, così sono pari.    

Ferraris fa due convenevoli (quattro parole), poi passa al sodo:

- Signora, lei ci ha detto di non avere mai avuto screzi con suo marito. Ci risulta invece che in diverse occasioni ci sono stati litigi e che suo marito aveva anche minacciato di chiedere il divorzio.

La signora si irrigidisce. Appare chiaramente indignata.

- Le sembra il momento di…

- Sì, visto quanto è successo, mi sembra il momento.

Probabilmente se Ferraris fosse uno scarafaggio, la signora avrebbe un’aria meno schifata. Ma l’ispettore non può essere schiacciato con una scarpa (ci vuole qualche cosa di più pesante: qualcuno ci proverà, ma più tardi), quindi madama Burzio si trova costretta a rispondere.

- Non ho mai litigato con mio marito. Lui in questo periodo era più nervoso, si arrabbiava facilmente.

- Quando le ho chiesto se aveva notato qualche cambiamento in suo marito, negli ultimi tempi, lei mi ha detto che non ce n’erano.

Che cosa pensa la signora di Ferraris, è abbastanza evidente e non è necessario essere fini psicologi per capirlo. È quasi peggio di ciò che Ferraris pensa della signora.

- Si trattava di problemi del tutto personali, che non riguardano la polizia…

- Mi spiace, signora, ma in un caso di omicidio decidiamo noi che cosa ci riguarda.

La signora non replica.

- Gradirei che rispondesse in modo preciso alle mie domande. Dobbiamo sapere la verità per riuscire a far luce su questo caso.

La signora non dice nulla e il suo viso è inespressivo.

- Sospettava che suo marito avesse una relazione?

La signora riflette un attimo, poi dice:

- Non lo so, è possibile, ma non ho nessun elemento certo. A volte l’ho pensato. Ma è sempre stata solo una sensazione.

- Basata su che cosa?

- Un modo di fare più freddo, una certa insofferenza per gli impegni comuni, certe volte bastava un niente per irritarlo…

- Niente di più concreto?

- Per una donna è più che sufficiente.

“Per la polizia no”, pensa Ferraris, ma è inutile dirlo.

- Mi parli di queste minacce di divorziare.

La signora Burzio scuote la testa.

- Anche questo le hanno raccontato! Com’è meschina la gente… Nessuna minaccia di divorzio. Quando si arrabbiava Enea parlava, diceva cose che non aveva nessuna intenzione di fare. Non abbiamo mai, le dico: mai, parlato seriamente di divorzio. Erano parole. Credo che Enea…

La signora si interrompe.

- Prosegua, signora.

La signora lo guarda, come chiedendosi se davvero l’ispettore può capire. Ferraris capisce, non ciò che la signora intende dirgli, ma ciò che la signora pensa, ed è di nuovo incazzato.

- Sentiva gli anni che passavano, aveva la sensazione di invecchiare, di non avere più molto tempo davanti a sé…

Si ferma. Si deve essere resa conto che Enea Burzio era davvero vicino al capolinea.

Non c’è più molto da dire, Ferraris se ne rende conto. Il colloquio è stato inutile. Se la signora sa qualche cosa di più, non intende dirlo. Tutto ciò non contribuisce a migliorare l’umore dell’ispettore.

 

Mentre tornano in commissariato, riflette un po’, poi chiede a Volturno, a bruciapelo.

- Tu che ne pensi, di quella?

Volturno risponde senza esitare:

- Secondo me è un’attrice consumata. Del marito non gliene fregava niente.

- Come fai a dirlo?

- A pelle. Non mi convince. Era molto più attaccata la sorella. O forse è solo perché… non so, ispettore, è un’impressione.

Ferraris è d’accordo con l’agente, ma tutto ciò non li aiuta nell’indagine.

Continuano a parlare mentre scendono dalla collina. Ferraris osserva:

- Se vogliamo trovare chi ha ucciso Burzio, dobbiamo scoprire dove andava il mercoledì pomeriggio.

- Senz’altro. Forse aveva un amante, donna o uomo. Oppure andava da qualche escort. Se avessimo il cellulare, sarebbe facile scoprirlo.

- Dai siti su cui girava, direi che non aveva più nessun interesse per le donne. Escort, massaggiatori, locali, saune, erano tutti per gay.

- A quanto pare era molto abitudinario e aveva riservato il mercoledì pomeriggio per andare da un escort o in qualche locale.

Probabilmente è così, ma questo non è di nessuna utilità. L’umore di Ferraris non migliora.

 

  20

 

Il fine settimana non porta nulla di nuovo. Ferraris ha la sensazione sempre più forte di essere in un vicolo cieco.

Questo non impedisce ai giornalisti di dedicare spazio alla vicenda ogni giorno. In mancanza di elementi nuovi, gli articoli raccontano le vicende dei Burzio, dal fondatore della fabbrica, il bisnonno di Enea, ai suoi successori: la saga dei Burzio presenta diversi aspetti interessanti, da uno zio del morto che si era distinto nella guerra d’Abissinia a un cugino che a trent’anni si era schiantato con l’auto contro un muro alle quattro di notte, forse deliberatamente, per una delusione amorosa. Insomma, tutto va bene per riempire le pagine. C’è persino un settimanale che esce con un articolo su “La maledizione dei Burzio”, mettendo nel calderone morti accidentali, un (sospetto) suicidio e un (sicuro) omicidio, quello di Enea, con cui si chiude la saga. Se l’opinione che Ferraris ha dei giornalisti non peggiora è solo perché da tempo ha già raggiunto il livello più basso possibile.

Altri articoli sono dedicati al morto e ne raccontano la storia d’amore con una giovane borghese, che sposò nonostante l’opposizione della famiglia, oppure i traguardi raggiunti dalla sua industria.

Naturalmente si parla anche delle indagini e si dice che esaminando i contenuti del computer di Burzio sono emersi alcuni elementi importanti. Non è detto quali: probabilmente i giornalisti hanno saputo che il computer che Burzio usava in fabbrica è stato sequestrato, ma per il momento nessuno ha passato loro informazioni su che cosa conteneva. Prima o poi qualcuno dal commissariato lo farà, Ferraris ne è sicuro: succede sempre così.     

Le indagini non procedono, ma il lunedì è giorno di novità e infatti questa mattina arriva un pacco per l’ispettore Ferraris. Il mittente è un nome sconosciuto, probabilmente fasullo.

Quando il pacco viene passato ai raggi X, Russo, il tecnico, sbianca.

- Che c’è, una bomba?

Ferraris non si aspetta ordigni esplosivi, non conduce inchieste di mafia e a Torino poliziotti che saltano in aria per le loro inchieste non sono frequenti.

E infatti la risposta di Russo conferma:

- No, non c’è nessuna bomba.

La smorfia sul viso di Russo e il suo pallore sono inequivocabili: preferirebbe un bell’ordigno.

Ferraris e gli altri guardano attraverso lo schermo e anche loro si dicono che tutto sommato una bomba sarebbe stata preferibile.

Dopo le foto di prammatica, prese le impronte (sicuramente le uniche sono quelle dell’impiegato alle poste e dell’addetto alla consegna, ma comunque vanno prese) e fatto tutto il necessario, il pacco viene aperto e il contenuto estratto.

Non è una bella vista. Una testa staccata dal corpo non è mai una bella vista. Come quella di Burzio, la testa è stata tagliata di netto, probabilmente con una sega elettrica. È la testa di un uomo molto giovane, venti-venticinque anni, non di più, un ragazzo.

Tutti guardano con raccapriccio, ma quello più pallido è Ferraris. Non perché la testa è stata inviata a lui, non è quello a fargli mancare il fiato. Il problema è un altro. La testa che l’agente Matteis tiene con i guanti, non è la testa di un ragazzo qualunque. Anche se ha perso l’aria da teppistello strafottente, Ferraris sa benissimo a chi appartiene quella testa: al ragazzo con cui ha scopato mercoledì in sauna.

     

La scientifica farà la sua parte. Adesso tutti si riuniscono dal capo. Il commissario si rivolge a Ferraris:

- Ferraris, che ne pensa? Il pacco era destinato a lei.

L’ispettore pensa, pensa un sacco di cose e soprattutto pensa che forse è meglio non dirle, tutte quelle cose.       

Espone la conclusione del suo pensiero, trascurando di fornire le informazioni in suo possesso.

- Credo che sia una sfida. L’assassino di Burzio mi manda a dire che non ha paura di me, che lui continuerà a colpire senza che io riesca a stanarlo.

Interviene Orsini:

- Siamo di fronte a un serial killer?

Ferraris si dice che Orsini vede troppi telefilm americani, un serial killer per lui è il massimo, magari adesso Orsini si aspetta che un giorno arrivi un pacco con la testa di Ferraris, perché no?

Perché no? Potrebbe davvero succedere, anche se Ferraris non lo sa.

Ferraris deve aggiungere qualche cosa, anche se gli fa girare i coglioni. Deve dirlo, perché è troppo importante.

- Non so chi fosse quel ragazzo, come si chiamasse, ma so che era gay. Dato che anche Burzio frequentava locali gay, ci può essere un legame tra i due fatti.

C’è un momento di imbarazzo. Tutti sanno che il terreno è minato e nessuno vuole fare il primo passo e saltare in aria.

Ci pensa Orsini:

- Un serial killer dei gay, certo, perché no? Un vendicatore della morale e della Chiesa, di fronte ai matrimoni gay e cose del genere.

Ferraris guarda Orsini e non dice nulla. Come spesso gli succede, si chiede come ha fatto Orsini a diventare ispettore, ma se il suo capo è commissario, perché Orsini non può essere ispettore?

La domanda che gli fa Volturno lo spiazza:

- Ispettore, crede che l’assassino possa aver visto il ragazzo insieme a lei?

Ferraris guarda Volturno, maledicendolo mentalmente. È un’ottima domanda, è maledettamente intelligente, Volturno, è andato subito al sodo e ha fatto la domanda giusta. Ma avrebbe preferito evitare quella domanda.

- Potrebbe.

- Dopo l’assassinio di Burzio?

- Sì.

Ferraris vorrebbe strangolare Volturno, il quale sta facendo benissimo il suo lavoro e pone le domande giuste, ma sono le domande a cui l’ispettore non ha voglia di rispondere. Se Ferraris non fosse Ferraris, qualcuno avrebbe chiesto ulteriori informazioni, ma nessuno sembra avere la vocazione del kamikaze e c’è un momento di fastidioso silenzio.

Il quel mentre bussa Diotallevi e Ferraris lo benedice. Diotallevi ha fatto il suo lavoro, bene come sempre, e ha informazioni da dare: il ragazzo ha un nome, la sua scomparsa è stata denunciata dai genitori tre giorni fa, mercoledì sera. Si chiamava Matteo Nela. Ventiquattro anni, aveva mollato gli studi quando ne aveva sedici e vivacchiava con lavoretti saltuari, call center, distribuzione delle guide telefoniche e così via. Era uscito di casa nel pomeriggio di mercoledì, senza dire dove andava. I suoi lo aspettavano per cena, ma non era tornato.

La discussione riprende. Orsini è sicuro che si tratti di un serial killer dei gay.

Matteis espone un’idea diversa:

- Non è invece un tentativo di depistaggio? Qualcuno voleva eliminare il Nela, per cui l’ha ucciso, gli ha tagliato la testa e l’ha spedita all’ispettore Ferraris per far credere che è lo stesso assassino di Burzio, mentre non c’entra niente.

Volturno suggerisce:

- Potrebbe essere un tentativo di depistaggio anche in un altro modo: l’assassino di Burzio ha ucciso il ragazzo solo per far credere a un maniaco, ma in realtà ha ucciso Burzio per altri motivi.

Ferraris approva, l’idea di Volturno gli sembra buona, migliore di quella di Matteis (e di quella di Orsini, ma questo va da sé).

- Oppure qualcuno che ha letto di Burzio ha deciso di imitare l’assassino: qualche folle ansioso di rimanere al passo con i tempi.

- O una sfida alla polizia. Non avete risolto il caso Burzio, non risolverete neanche questo.

Dentro di sé Ferraris sa benissimo che è una sfida, perché non può essere un caso se proprio quel ragazzo è stato ucciso e la testa è stata mandata a lui. Ma che la sfida parta dall’assassino di Burzio, questo in effetti non è detto.

Certo, potrebbe essere uno dei tanti froci repressi che sfogano il loro odio per se stessi ammazzando gli altri: ce ne sono tante versioni. Può darsi che Orsini abbia ragione (è dura ammetterlo). Alla fine sbotta:

- Per il culo di Satana, non è stando seduti qui che risolveremo il problema.

- Che cosa conta di fare, ispettore?

Bella domanda. Il capo è bravo a chiedere. Ferraris vorrebbe essere altrettanto bravo a rispondere, ma non è così.

- Andare a sentire dalla famiglia Nela se salta fuori qualche cosa. Intanto verifichiamo da dove è partito il pacco e controlliamo se qualcuno si ricorda chi l’ha portato.

Effettivamente è inutile starsene ancora lì a parlare. La riunione non è stata produttiva, ma non è che ci si potesse aspettare molto. Il capo conclude:

- Va bene, Ferraris, anche questa inchiesta le tocca, almeno finché non emergono elementi diversi. Va da sé che tutto il commissariato si mobilita.

Per il momento brancolano nel buio e qualcuno in più non serve a molto. L’unico risultato sarà quello di pestarsi i piedi a vicenda.

     

  21

 

I Nela vivono a Santa Rita, al settimo piano di uno dei grandi edifici di questo quartiere popolare. Piccola borghesia. Tre figli, ora solo due.

Sono passate alcune ore da quando sono stati informati della morte di Matteo.

Ferraris è a disagio, come al solito in queste occasioni. Conta su Volturno, che ha capito benissimo la situazione e la dirige con tatto, facendo fronte a una disperazione che pesa sull’ispettore. Per un quarto d’ora Volturno parla con i genitori e Marta, la sorella di Matteo, poi, quando ritiene che sia arrivato il momento giusto, lancia la sua solita frase:

- L’ispettore vorrebbe porre qualche domanda. Ci rendiamo conto che non è il momento, ma anche noi vogliamo trovare quell’assassino, prima che colpisca ancora.

Il padre annuisce, la madre si asciuga le lacrime.

Ferraris fa poche domande.

- Vostro figlio è stato quasi sicuramente ucciso mercoledì pomeriggio. Avete un’idea di dove possa essere andato?

L’idea ce l’ha Ferraris e non è solo un’idea: sa benissimo che Matteo era alla sauna. Ma vuole capire se i genitori sospettavano che il figlio frequentasse locali gay. A rispondere è la madre, asciugandosi le lacrime.

- No, no… lui era grande, non ci diceva dove andava.

- Capitava che non rientrasse per la notte, senza avvisare?

- No, mai. Magari faceva tardi, ma se si fermava fuori a dormire ci telefonava. Non era mica…

La madre riprende a piangere, senza completare la frase.

- Matteo aveva dei nemici? Aveva litigato con qualcuno, che voi sapeste?

- Nemici no. Perché mai? Aveva gli amici, magari ogni tanto ci litigava, ma poi facevano la pace. È… era un ragazzo come tanti, magari un po’ svogliato, sognatore, ma di buon carattere.

- Aveva una ragazza?

- No… non ce ne ha mai parlato. Magari qualche simpatia…

Evidentemente dell’orientamento sessuale del figlio i coniugi Nela non sanno niente. Non capiscono dove voglia andare a parare Ferraris, che non insiste più di tanto. Con quel ragazzo ha scopato lui e in quel modo ha firmato la sua condanna a morte.

In quel momento arriva l’altro fratello, che era fuori città ed è stato avvisato. La scena è straziante e Ferraris è ben felice di andarsene via. Lo blocca Volturno, sussurrandogli all’orecchio: - Interroghi la sorella, lei sa che Matteo era gay.

Ferraris annuisce, anche se vorrebbe scappare via. Volturno deve aver osservato la ragazza mentre lui interrogava i genitori. Volturno è il poliziotto più in gamba che gli sia mai capitato di incontrare e di agenti in gamba qualcuno ne ha trovato, uno o due, forse solo uno: Diotallevi.

Ferraris chiede alla ragazza se può parlare con lei un attimo. Passano nella stanza di Marta.

Ferraris non ci gira intorno:

- Lei conosceva i gusti di suo fratello?

Marta non fa finta di non aver capito.

- Sì, gli piacevano gli uomini.

- Aveva un rapporto fisso?

- No, non gli interessava, gli piaceva… diceva che gli piaceva esplorare, non cercava una relazione stabile.

- Dove incontrava gli uomini con cui aveva rapporti?

- Conosceva alcuni posti in cui si incontrano gli uomini… alla ricerca. So che qualche volta andava in una sauna. A volte gli capitava che qualcuno lo abbordasse per strada. Era un bel ragazzo.

- Le risulta che avesse respinto qualcuno, qualcuno che avrebbe potuto decidere di vendicarsi?

- No, non mi ha mai parlato di qualcuno respinto.

Ferraris si dice che doveva essere uno che non rifiutava. Le risposte di Marta gli confermano quello che ha in testa: la chiave di questo omicidio non è lì.

Salutano, escono e scendono.

Ferraris guarda Volturno che mette in moto. È stato bravissimo. Adesso è molto pensieroso. La situazione deve averlo colpito, non poco.

Ferraris decide di intervenire:

- Volturno, un buon poliziotto non deve farsi coinvolgere. La morte fa parte del nostro lavoro.

Nel tono di voce di Volturno c’è una tristezza infinita.

- Un buon poliziotto non deve essere umano? Deve avere una corazza?    

A Volturno una corazza servirà (ma per sua sfortuna non ce l’avrà, al momento giusto).

Ferraris non sa bene che dire. Vorrebbe non aver affrontato l’argomento.

- Non è questo, ma devi abituarti al fatto che ti scontri con il dolore degli altri.

- Lo so, ma so anche che cosa vuol dire perdere di colpo qualcuno che si ama.

Ferraris non replica, si dà del coglione per aver affrontato l’argomento. Non dire nulla a questo punto non sarebbe gentile. Ferraris abitualmente se ne fotte alla grande della gentilezza, ma la situazione è un po’ diversa, fare di nuovo il cafone con Volturno gli scoccia. C’è già andato giù pesante, due volte.

- Che cosa ti è successo?

Sono fermi a un semaforo. Volturno dice:

- I miei morirono in un incidente d’auto, quando avevo dieci anni. Vivevamo a Napoli. Lo venni a sapere guardando la televisione. Avevo passato la giornata dai cugini, i miei erano andati a Salerno e dovevano passarmi a prendere al ritorno, come altre volte. Eravamo un po’ un’unica grande famiglia. Loro tardavano, ma io non ero preoccupato, capitava ogni tanto. Guardavamo la televisione e fecero vedere un grave incidente avvenuto sull’autostrada, tra Salerno e Napoli. Ricordo che dissi “È la macchina di papà, quella!” Non capii subito. Fu l’urlo di mia zia a farmi capire.

Volturno tace, qualcuno suona, il semaforo è diventato verde, Volturno mette la marcia. Ferraris ha mal di stomaco. Non sa che cosa dire e si sente particolarmente imbecille. Poi gli viene in mente di chiedere:

- È allora che sei venuto a Torino?

- Sì, fu allora, mi prese una zia che aveva sposato un piemontese.

Volturno si morde il labbro inferiore e non dice altro. Anche l’ispettore tace: non è mai stato bravo a consolare, a esprimere solidarietà. E, conoscendosi, ha paura di peggiorare la situazione parlando.

Ferraris è contento quando arriva al commissariato: in auto si è sentito a disagio.

Gli comunicano i risultati del controllo effettuato presso l’ufficio da cui è stato spedito il pacco. L’impiegata si ricorda chi è stato, perché il fatto che il pacco fosse indirizzato alla polizia l’aveva colpita: l’ha portato un ragazzino extracomunitario, sui quattordici-quindici anni. Difficile che fosse l’omicida. Probabilmente l’assassino gli ha dato il pacco e i soldi, con una mancia, inventando qualche scusa (magari che non aveva il tempo di fare la coda). Difficile rintracciare il ragazzino, l’impiegata non lo aveva mai visto prima. E probabilmente, anche se verrà a sapere che la polizia lo cerca, l’interessato non sarà così ansioso di presentarsi. L’assassino ha scelto bene.

 

C’è ancora il tempo di fare un salto in sauna. Come ispettore, questa volta. A Ferraris rompe, ma non può mandare qualcun altro, perché non ha detto a nessuno che lui il ragazzo l’ha visto in sauna.

Non si aspetta molto, per non dire niente. Una sauna gay esiste solo se i gestori sono la discrezione fatta persona. Peggio delle tre scimmiette che non vedono, non sentono, non parlano. E poi, bisogna riconoscerlo, ricordarsi di chi è uscito con chi è davvero un’impresa.

È probabile che il gestore si ricordi di Ferraris, ma non dice una parola quando lui si presenta come ispettore. Ferraris non ci gira intorno. Fa vedere la foto di Matteo Nela, dice che il ragazzo è stato adescato nella sauna mercoledì pomeriggio e ammazzato. Il gestore ricorda vagamente di averlo visto altre volte, ma non saprebbe certo dire se è uscito con qualcuno mercoledì e tanto meno con chi.

Solito pugno di mosche per Ferraris, che non si aspettava altro.

C’è ancora una cosa da chiedere. Tira fuori la foto di Enea Burzio e la fa vedere al gestore. Costui alza le spalle. Può darsi, non ricorda, non sa. Magari è passato. Ne passano tanti.

Ferraris ormai sta fumando. Si dice che lui lì non ci passerà più.

In questo si sbaglia.

Esce furibondo, ripensando a chi ha visto in sauna mercoledì scorso. Il tizio con la pelle sul verdastro. Aveva un’aria innocua. Il tipo con la barba grigia, che gli era piaciuto. No, neanche quello, esclude che possa essere l’assassino. Ma domani proverà a fare l’identikit di tutti e due. Sono gli unici che ricorda.

 

  22

 

Ferraris torna a casa di cattivo umore, fenomeno notoriamente insolito. Gira un po’ su Internet per distrarsi. Si legge qualche racconto, si guarda due filmini (non proprio di tipo artistico, su uno dei siti che frequentava anche Enea Burzio, per intenderci). Il risultato è scontato e perfettamente visibile anche se Ferraris è vestito. Ma quando uno ce l’ha grosso, si creano sporgenze inequivocabili.

In altre occasioni andrebbe in sauna, ma in quella in cui è appena stato non intende tornare, per ovvi motivi, e, a parte il fatto che Torino all’alba del nuovo secolo non offre molto, non vuole andare neppure in un’altra: non ha nessuna intenzione di vedersi arrivare un secondo pacco con la testa dell’ultimo uomo con cui ha scopato. Non è piacevole e adesso gli sembrerebbe davvero di mettere a rischio qualcuno, anche se è difficile che l’assassino passi le sue giornate nelle saune aspettando che Ferraris arrivi.

No, in sauna non intende tornare. Farà da solo. Non gli capita spesso, ma Ferraris non ha nessun preconcetto nei confronti di una bella sega. In fondo, come si dice, è avere un rapporto con qualcuno che ti piace molto.

No, non da solo, farà con il bel Volturno. Il pensiero lo fa sorridere.

Ogni tanto lo fa, immagina di vivere una scena in cui entra qualcuno che ha visto e gli piace. Ha già inculato Johnny Depp, si è fatto fottere dal commissario Montalbano (un mezzo collega, ma sta da un’altra parte, nessun rapporto di lavoro), Brad Pitt gli ha fatto un pompino e svariati altri hanno dato il loro contributo. Non si nega nulla, Ferraris.

Si spoglia completamente e si stende sul letto.

Questa volta è uno sceriffo. Ferraris sa benissimo che nella sua decisione di entrare nella polizia i fumetti di Tex Willer (la collezione di suo padre) e quelli di Blueberry hanno avuto un certo peso. Si è sempre immaginato dalla parte della legge, in lotta contro i malfattori.

Adesso è a cavallo e insegue un ladro di bestiame, un certo Michael, diciamo. Michael Goodarse. Difficile per i fuorilegge del West sfuggire allo sceriffo Robert Pherr, detto Ironcock.

Fa caldo, il solito caldo fottuto di queste terre assolate, ma Ironcock non ci bada, anche se suda abbondantemente. Osserva con attenzione le tracce del cavallo di Michael, che portano verso una sorgente: quel povero coglione conta di dissetarsi e far bere il cavallo. Non sospetta che lo sceriffo gli è alle costole. Le segue per un po’, ma quando è quasi arrivato, smonta e lega il cavallo a un albero. Sa che cosa lo aspetta.

Poco dopo ha una conferma di quanto ha pensato: anche Michael ha lasciato il cavallo, un bel baio coperto di sudore, e adesso di certo starà bevendo alla sorgente. Quando arriva però Ironcock vede che Michael non sta bevendo: si è spogliato e sta bagnandosi. Lo sceriffo si dice che è bellissimo. Mai visto un culo così. E mica solo il culo: è tutto bello, un magnifico maschio. Esce allo scoperto con le pistole puntate. Michael lo vede e si guarda intorno, ma non c’è via di fuga: non farebbe in tempo a nascondersi dietro le rocce, perché Ironcock lo fredderebbe.

- Esci, stronzo!

Il fuorilegge esce, gocciolante d’acqua, e lo sceriffo si dice che è proprio bello. Peccato che abbia scelto la strada sbagliata. E da quella strada non si ritorna.

- Stenditi su quella roccia, pancia in giù.

Michael lo fissa spaventato. Conosce la fama di Ironcock e ha paura. Scuote la testa.

- Preferisci due pallottole in pancia, stronzo? Tanto poi finisce allo stesso modo.

Michael deglutisce, poi fa quello che Ironcock gli ha detto.

- Mani dietro la schiena. 

Quando Michael gli ha ubbidito, Ironcock rimette le pistole nel cinturone e passa le manette ai polsi del fuorilegge.

Non sta a spogliarsi, non ne vale la pena. Si limita ad aprire i pantaloni e a tirare fuori, pronto per un uso immediato, ciò a cui deve il suo soprannome. Lo guarda un attimo e sorride. È orgoglioso della sua dotazione – Ferraris è ben dotato, ma si immagina un vero e proprio toro.

Appoggia le mani sul culo di Michael, uno splendido culo, sente la consistenza e il calore della carne, osserva la leggera peluria nera. Poi avvicina la cappella all’apertura. Il contatto accende in lui una vampata che dai coglioni sale fino alla testa.

Spinge con forza, mentre Michael urla di dolore. Ironcock se ne fotte dell’urlo di Michael, dei gemiti che si susseguono. Sono un buon accompagnamento musicale per le sue spinte portentose, che ogni volta fanno affondare lo spiedo nella carne, fino a che i coglioni battono contro il culo.

Avanti, indietro, avanti, indietro. Michael geme e a ogni spinta il gemito diventa più forte, ma Ironcock non saprebbe più dire se il giovane geme di dolore o di piacere. Anche Ferraris ogni tanto emette una specie di grugnito, mentre la tensione sale. Infine il piacere esplode, il seme si sparge in quell’antro caldo. L’urlo strozzato di Michael dice a Ironcock che anche il ladro è venuto.

Ferraris ha finito. Immagina ancora di accarezzare la testa di Michael. Allora si chiede che cazzo sta pensando, tira fuori la pistola e lo fa secco con un colpo alla nuca. Ecco, così va meglio. Gli stavano venendo strane idee.

Ferraris si pulisce, poi si fa una bella doccia, soddisfatto. È stata una bella scopata, peccato aver dovuto far secco il ladro di bestiame, lo avrebbe fottuto volentieri una seconda volta. E magari anche una terza. Ma uno sceriffo non può avere debolezze.

 

  23

 

Martedì. La signora Burzio ha letto il giornale o forse ha visto la televisione ieri sera. Telefona e chiede di parlare con Ferraris. Quando glielo passano, gli dice:

- Ispettore, ho bisogno di parlarle.

- Certo, signora, sono a sua disposizione. Venga pure.

La signora non si aspettava che lui le dicesse di andare in commissariato, ma Ferraris ne ha abbastanza di girare come una trottola perché la signora Burzio non alza il culo dalla poltrona. Di finezza ha dato prova in misura assai superiore alla media (almeno alla propria media, che, riconosciamolo, è alquanto bassa), ora basta.

Madama Burzio rimane interdetta, poi dice:

- Passo in mattinata.

- Perfetto. L’aspetto.

Ferraris si chiede che cosa voglia dirgli la signora. Non ci tiene a vederla, ma se ha qualche elemento utile da fornire, ben venga.

 

La signora si presenta in tarda mattinata. Ferraris convoca anche Volturno. Ha piacere che assista, perché è un ottimo osservatore, è intelligente ed è sempre utile.

La signora appare imbarazzata, poi incomincia.

- Ho sentito in televisione, poi ho letto sui giornali… si insinua che mio marito avesse tendenze… che frequentasse altri uomini…

In effetti la notizia è circolata ed è arrivata ai giornali. Ferraris non è stupito: finisce sempre così dopo le riunioni collettive. Non ha ancora capito se è qualcuno che integra lo stipendio fornendo notizie ai giornalisti o se è qualcuno tanto coglione da lasciarsi scappare informazioni riservate, senza nemmeno farsi pagare. In questo secondo caso Ferraris si dice che con ogni probabilità è Orsini.

- Non so come questa notizia sia circolata, noi avremmo preferito che non si sapesse. Comunque, effettivamente corrisponde a verità.

- Ma, agente, – l’ispettore Ferraris sta già fumando – non è possibile. Come fate a dire una cosa del genere?

Ferraris vorrebbe dire che di solito è la polizia che fa le domande e che lui, anche se vota a sinistra, in fondo è un conservatore. Ma il commissario ha l’ufficio a fianco e Ferraris cerca di ricordarsi che con la signora deve essere fine. Risponde:

- È bastato dare un’occhiata al computer di suo marito per scoprire che passava ore intere a girare sui siti gay, signora.

La signora rimane un buon momento in silenzio. Poi dice:

- Quindi si pensa a un omicidio maturato… in quell’ambiente?

Ferraris la fissa un momento senza parlare, poi replica:

- Non escludiamo questa possibilità.

La signora riflette un attimo, poi dice:

- Prima mio marito, poi quel ragazzo. Ma lei pensa davvero che l’assassino sia… sia lo stesso?

Ferraris sta aprendo la bocca per rispondere che non hanno nessun elemento sicuro per stabilirlo, quando Volturno parla:

- Ne siamo assolutamente certi. Non ci sono dubbi in proposito.

Ferraris rimane a bocca aperta come un deficiente. Per la merda di Satana, che cazzo dice questo stronzo? E come si è permesso di intervenire senza che lui gli abbia nemmeno fatto un cenno? E…

E non fa in tempo a pensare altro, perché la reazione della signora Burzio cattura completamente la sua attenzione. La donna ha incominciato a tremare e a balbettare:

- No… n-no, n-no, n-non è po-po-possibile.

Poi si alza in piedi e a guardarla si direbbe che se l’assassino sia lì, pronto a ghermirla. Stringe la borsetta come uno scudo.

Ferraris lancia un’occhiata a Volturno, ma l’agente ha fatto la sua parte e non ha altro da dire. Ora tocca a lui.

- Signora, è meglio che si sieda.

La donna scuote la testa, tre volte. Poi respira a fondo e dice:

- No, ora vado. È inutile che vi faccia perdere tempo. Non mi aspettavo…

Ferraris insiste:

- Signora, si sieda. Ho due domande da farle.

La signora Burzio lo guarda, ma non accoglie l’invito (in realtà era un ordine, ma la signora fa finta di non essersene accorta). Ferraris ripete, con un tono secco, senza più traccia di finezza:

- Signora, si sieda.

Madama Burzio porta una mano alla fronte, in un gesto da diva del cinema muto.

- Non mi sento bene, ho bisogno di un po’ d’aria.

Ferraris sorride e risponde:

- Le apriamo la finestra, signora.

Ferraris fa un cenno a Volturno, che si alza per eseguire, ma fa appena in tempo a raccogliere tra le braccia la signora, che barcolla e quasi sviene.

Ferraris è sicuro che sia tutta una scena per evitare le domande, ma in quel momento entra il commissario. Ha saputo che la signora Burzio è da Ferraris e vuole salutarla. Probabilmente intende dirle che stanno facendo tutto il possibile per scoprire l’assassino e altre menate del genere.

- Che cosa succede?

- La signora si è sentita male, signor commissario.

Ha risposto Volturno e ha fatto bene, perché Ferraris non è dell’umore giusto.

Il commissario è nervoso, la donna continua a dire che non sta bene ed è chiaro che l’interrogatorio è finito. Madama Burzio viene affidata a Emma, che si prende cura di lei.

Il commissario si rivolge a Ferraris:

- Spero che lei non abbia maltrattato la signora!

Non è una domanda e Ferraris non risponde.

Il capo esce, irritato. L’ispettore è ancora più irritato di lui.

C’è un momento di silenzio, poi Volturno dice:

- Mi scusi, ispettore, se prima sono intervenuto così, ma ho pensato che se la signora non c’entrava niente con la scomparsa del marito, la notizia non le faceva né caldo né freddo. Altrimenti…

Ferraris annuisce. Volturno ha ragione. E anche quello che dice dopo può essere vero:

- È venuta qui solo per sapere se l’assassino è lo stesso. Secondo me, l’assassino lo conosce bene, ma non si aspettava che ammazzasse qualcun altro.

Se è così, non c’è altro da fare che convincere il commissario della necessità di interrogare la signora Burzio, sul serio.

Ci vuole un po’ a persuaderlo, ma alla fine ce la fanno. La signora Burzio avrà diritto a un interrogatorio in piena regola. Non oggi, visto che è stata male, ma domani. E questa volta, niente finezza.

Ferraris è convinto di essere arrivato vicino alla soluzione, ma su un punto fondamentale si sbaglia: non ci sarà nessun interrogatorio per la signora Burzio.

 

  24

 

La telefonata arriva nel primo pomeriggio. La signora Burzio non è rientrata a casa, anche se aveva detto che sarebbe tornata per pranzo. In commissariato ne sanno qualche cosa?

Ferraris, a cui viene passata la comunicazione, cade dalle nuvole. Parlando con il domestico, scopre che quando è uscita dal commissariato, la signora ha detto all’autista di aspettare una sua chiamata e si è allontanata a piedi. A casa non è arrivata, l’autista non ha ricevuto nessuna telefonata e ha contattato villa Burzio, per sapere se avevano notizie. Il poveretto è ancora parcheggiato vicino al commissariato.

La signora Burzio non ha lasciato detto dove andava, ovviamente, e dove sia, Ferraris non lo sa, anche se gli piacerebbe molto saperlo. Sa solo che se non fosse per quel coglione del suo capo, la madama non sarebbe scomparsa. Perché la signora Burzio, che scema non è, ha capito benissimo che aria tira e non ci pensa neanche a farsi ritrovare.

È un bel casino, adesso. Una volta che il pesce è scivolato via dalla rete, ripescarlo non è facile.

La signora è davvero scomparsa, non torna a casa nemmeno la sera, i domestici non ne sanno nulla, i genitori neppure, le amiche neanche. Sembra che nessuno l’abbia più vista.

Ferraris guarda Volturno e chiede:

- Che ne pensi?

- Voleva andare dall’assassino, ma ovviamente non voleva farsi accompagnare dall’autista. Temeva che noi l’avremmo interrogato. Probabilmente ha preso un taxi, magari anche due.   

 

Il giorno dopo Ferraris e Volturno lo passano di nuovo a girare in tondo, cercando di raccogliere qualche indizio che permetta di scoprire che fine ha fatto la signora Burzio. I tassisti dei vicini parcheggi vengono interrogati, ma nessuno ricorda di aver caricato la signora.

Ferraris è nero, la notizia è trapelata, è arrivata sui giornali, sono già apparse le solite accuse alla polizia. Il caso è troppo ghiotto per non essere al centro dell’attenzione: dopo due belle teste tagliate, adesso la vedova della prima vittima scompare nel nulla.

La giornata è stata tanto massacrante quanto priva di risultati. Ferraris ha girato tutto il giorno con l’impressione di non ottenere nulla. Non è solo un’impressione. Forse avrebbe fatto meglio a starsene a casa.

A un certo punto quasi si scontrano con il solito automobilista deficiente che ha deciso, per risparmiare un giro dell’isolato, di prendere una via contromano. Cose che a Torino succedono.

Volturno sbotta con un epiteto che Ferraris non capisce, ma che lo fa ridere.

- In casa parlate napoletano?

Il rapido mutare dell’espressione di Volturno fa capire a Ferraris che ha toccato un tasto delicato.

- Vivo da solo, me ne sono andato di casa a diciott’anni. Il giorno del mio compleanno.

- Non stavi bene con i tuoi zii?

Volturno sorride, ma è un sorriso amaro.

- Questi zii di Torino li conoscevo appena, ma quelli di Napoli, a cui ero molto legato, non potevano tenermi. Così arrivai a Torino con mia zia, che mi disse subito di non parlare mai in napoletano, perché mio zio non ne voleva sapere. E io che in casa avevo sempre parlato solo dialetto!

- Ma l’italiano lo parlavi, no?

- Sì, certo. Ma se mi sfuggiva una parola in napoletano, mio zio si incazzava e giù una sberla. Una volta mi scottai prendendo una padella e mi sfuggì un’imprecazione, niente di particolare, non era una bestemmia: avevo un dolore atroce alla mano, mi venne poi una vescica. Lui prese la cinghia e incominciò a frustarmi.

- Era così violento?

Volturno alza le spalle.

- Non so perché aveva accettato di prendermi con sé, se per salvarmi dal lerciume di Napoli, come diceva lui, o per avere qualcuno su cui sfogare…

La frase rimane in sospeso.

- È per questo che te ne sei andato di casa?

Volturno rimane un attimo senza rispondere, poi inizia a raccontare:

- Un pomeriggio, avevo quindici anni, al Carignano diedero Filumena Marturano, uno spettacolo per le scuole. Ottenni il permesso di andare, ma non dissi che davano De Filippo, temevo che mio zio me lo vietasse. Era la prima volta che andavo a teatro, non avevo mai messo piede in un teatro in vita mia. Entrai e rimasi senza fiato: tutti quegli ori e i velluti, mi sembrava di essere in un palazzo delle Mille e una notte! E poi lo spettacolo… assaporare di nuovo un po’ di parlata napoletana... che festa per le mie orecchie! E sentimenti, sentimenti veri, forti, era davvero un altro mondo, in cui avrei voluto vivere anch’io. Avrei voluto essere uno dei figli di Filumena, avere una madre, ritrovare un padre. Mi veniva da piangere, a tratti. Ritornai a casa commosso e felice. Era il compleanno di mio zio e la sera, a cena, io, per festeggiarlo, ripetei una battuta della commedia: Cient’anne he’ ’a campa’. Non avevo nessuna intenzione di offenderlo o prenderlo in giro, ma lui lo prese come una provocazione e mi mollò una sberla tale che finii per terra. Si sfilò la cintura e incominciò a darmi tante di quelle cinghiate, che portai i lividi per mesi. Quella notte piansi, piansi per ore intere…

Ferraris sbadiglia rumorosamente, mettendosi una mano davanti alla bocca con ampio ritardo, a sbadiglio quasi concluso. Volturno si interrompe.

- Mi scusi, non ho pensato che a lei non gliene frega niente.

Ferraris cerca di rendere la sua voce il più possibile indifferente.

- No, no, continua pure...

- La porto a casa?

- Sì, va bene.

Il silenzio nell’auto è pesante, ora, ma Ferraris ha ben altro per la testa. Ferraris è in tensione.

Ha dovuto interromperlo, era necessario farlo e nel modo più brutale possibile, per chiudere definitivamente.

Sta succedendo qualche cosa che non deve succedere. Ferraris non vuole che succeda, è già successo, otto anni fa, non deve ripetersi. È stato uno stronzo a dire al commissario che voleva continuare a lavorare con Volturno. Ha agito per ripicca e ora ne paga lo scotto. E paga caro.

Bofonchia appena un arrivederci e scende dall’auto.

 

E ora, in piedi nell’ingresso, Ferraris fa il punto della situazione. È presto detto. Non se n’è reso conto prima, anche se in fondo gli indizi erano sufficienti. L’ha capito solo ora, mentre Volturno parlava della sua sofferenza.

È davvero presto detto, anche se Ferraris non vorrebbe dirselo. Semplicemente, si sta impantanando nell’emerita cazzata dell’amore. Ormai c’è dentro fino alle ginocchia, fa fatica a muoversi. Fino alle ginocchia, se non oltre. Oltre, almeno fino agli attributi, perché al solo pensiero di Michele, gli viene duro, ma forse quello gli succederebbe anche senza che il cuore si mettesse di mezzo.

Ma come ha fatto a non capirlo prima?

        

 

 

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Una falsa partenza

 

 

 

 

                  

                                              

                           

 

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