La casa di Muenzaka

 

 

 

 

 

L’ispettore Mori Ogai è nell’ufficio del commissario Kato, che gli sta affidando un incarico.

- Ogni due o tre giorni, Kamei Rintaro si reca in una casa di Muenzaka, di sua proprietà. Ci va di pomeriggio o di sera e si ferma un’ora o due. Un’unica volta vi è rimasto a dormire. Nella casa vive un uomo, di cui non sappiamo nulla. Alcuni dicono che sia un europeo, ma più probabilmente è di sangue misto.

Ogai non dice nulla. Sa che Kamei è un criminale, che è stato in prigione sette anni e ne è uscito solo da pochi mesi, ma deve aver ripreso subito le sue attività. Affari loschi, ovviamente. La polizia sta cercando di incastrarlo, ma è un altro ispettore a seguire il caso.

- Vada a parlare con lui. Vogliamo sapere chi è e perché si trova lì, in una casa di proprietà di Kamei. Prima di andarci, raccolga qualche informazione nei negozi del quartiere.

Il commissario conclude dando le indicazioni per trovare la casa:

- È la seconda dopo il laboratorio di cucito. Il laboratorio lo riconosce subito: ci lavorano parecchie ragazze e si vedono vicino alla finestra.

Il commissario sorride e aggiunge:

- Si vedono e soprattutto si sentono. La casa ha una porta a graticcio, come quella accanto al laboratorio. Ha cortine di bambù e sembra ben tenuta.

 - Va bene, commissario. Vado subito.

Ogai si alza, passa nello stanzone dove lavorano gli agenti, li saluta ed esce. Muenzaka è a venti minuti di cammino e l’ispettore decide di andare a piedi: gli piace camminare e la giornata è ancora fresca, anche se siamo ormai a fine giugno. Lungo la strada scruta i passanti: gli piace guardarli, immaginare le loro storie. A volte, quando vede un uomo dall’apparenza molto virile, la sua fantasia glielo fa immaginare in un bagno pubblico. Ogai sa perché con la mente spoglia volentieri gli uomini e non le donne. Ma i suoi rimangono sogni a occhi aperti: non ha mai combinato nulla con altri maschi. Il desiderio è frenato dalla paura e c’è un altro elemento fondamentale: è un ispettore di polizia, deve fare molta attenzione a come si comporta. E quando va alle terme o a un bagno pubblico, evita di guardare troppo gli altri uomini, per evitare imbarazzanti erezioni.

 

Arrivato nella zona, incomincia a chiedere dell’uomo. Molti non ne sanno niente. Qualche informazione viene dalle ragazze del laboratorio di sartoria, che lo vedono passare, il mattino o il pomeriggio sul presto. Due che abitano nella zona dicono che a volte lo vedono passeggiare dopo cena.

I negozianti non ne sanno molto, tranne la pescivendola, che sembra in grado di fornire qualche informazione in più:

- L’europeo? Non viene quasi mai a fare la spesa. Viene la serva per lui, il lunedì, il mercoledì e il venerdì.

- Sempre in quei giorni?

- Sì, va da lui tre volte la settimana e vi rimane dal mattino fino a metà pomeriggio.

La donna, ormai piuttosto avanti negli anni, ma ancora energica, sembra bene informata. Probabilmente è curiosa e sa far chiacchierare i clienti.

- Lei dice che è un europeo?

- L’ho visto poche volte, ma non sembra proprio giapponese. È molto alto, ben piantato e peloso come una scimmia.

- Parla giapponese?

- Sì, certo, con l’accento di quelli di Nagasaki.

- Riceve molta gente?

La donna ride.

- Solo un uomo va da lui, nel tardo pomeriggio. Non sappiamo chi sia. Nessun altro va a casa sua.

Ogai è soddisfatto delle informazioni avute. Fa per congedarsi, ma la pescivendola chiede:

- Ha combinato qualche cosa? Uno che vive così ritirato, senza lavorare…

La vecchia ha detto quello che sapeva e adesso vorrebbe scoprire qualche cosa di nuovo da dare in pasto ai suoi clienti, ma Ogai sa benissimo che non deve dare informazioni.

- No, vogliamo solo sapere chi è.

La donna non è soddisfatta, ma non dice nulla. Comunque potrà raccontare ai clienti che è venuto un poliziotto a raccogliere notizie sull’europeo.

Ogai saluta ed esce. Passa ancora in altri due negozi, senza ricavarne nulla che già non sappia e, concluso il giro, raggiunge la casa.

Ci è già passato davanti due volte, ma non si è fermato a osservarla, per non dare nell’occhio: l’uomo potrebbe essere dietro una finestra a guardare in strada. Adesso non occorre più non farsi notare, perché tra poco entrerà.

La casa sembra ben tenuta, c’è un piccolo spazio verde davanti, ma da quello che hanno detto le ragazze del laboratorio, sul retro il giardino è ampio. Cortine di bambù riparano dal caldo estivo. La porta a graticcio è tirata a lucido e l’ingresso in granito è stato annaffiato da poco.

 

L’uomo che gli apre la porta è un colosso. Tutti gli hanno detto che è alto e molto ben piantato, ma l’ispettore non si aspettava che fosse così alto. Ogai non è certo basso, ma di fronte a questo gigante si sente piccolo. Il viso ha tratti somatici europei, ma il taglio degli occhi è orientale. Dev’essere senz’altro un sangue misto. La barba, fittissima e nera, copre buona parte delle guance, oltre al mento. Ogai si dice che sembra un orco delle fiabe.

L’uomo indossa solo una vestaglia, chiusa con la cintura. L’indumento lascia vedere un triangolo di pelle sul petto, ricoperto da peli neri.

- Ispettore di polizia Mori Ogai.

- Prego, si accomodi. La aspettavo.

Ogai aggrotta la fronte.

- Mi aspettava?

- È un po’ che gira qui intorno. E quando ha incominciato a osservare la casa, mi sono detto che avrei presto avuto la sua visita.

Senza dire altro, l’uomo si volta e conduce Ogai in una stanza, dove lo invita ad accomodarsi.

Ogai incomincia subito a interrogarlo:

- Mi dia le sue generalità.

- Mi chiamo Yagi Soseki.

- Dov’è nato?

- A Omura, vicino a Nagasaki.

Ogai si dice che la pescivendola ha azzeccato. Non si stupisce. La donna sembrava molto ben informata.

- Chi sono i suoi genitori?

- Ho conosciuto solo mia madre, Yagi Nami. Mio padre era un marinaio statunitense che la stuprò, quando lavorava a Nagasaki, ma non si seppe mai il suo nome.

- Mi racconti la sua vita.

- Quando rimase incinta, mia madre tornò nella casa dei suoi genitori a Omura, ma doveva lavorare per vivere, per cui dopo la mia nascita riprese il suo lavoro di cameriera a Nagasaki. Io rimasi con i miei nonni. Lasciai la scuola presto.

- Come mai?

Non è una domanda significativa, probabilmente, ma Ogai preferisce raccogliere il maggior numero possibile di informazioni, pur sapendo che alcune risulteranno inutili. Inoltre sa che più un uomo parla di sé, più facilmente cadrà in contraddizioni, se mente.

- Non legavo con gli altri ragazzini, gli insegnanti mi giudicavano uno stupido. Può darsi che avessero ragione.

C’è un mezzo sorriso sul volto di Soseki.

- E poi?

- Feci molti lavoretti. Ero molto forte e mi facevano fare lavori pesanti, ma quando non ero più indispensabile, si sbarazzavano di me. Anche loro non amavano i bastardi mezzosangue.

- E poi?

- Mi misi in un giro di compagnie sbagliate. Contrabbando di prodotti europei, essenzialmente. Finché venni preso.

Ogai si stupisce di ascoltare una confessione non richiesta.

- E che cosa successe?

- Finii in carcere, naturalmente. Non potevo mica pagare un buon avvocato, io.

- Quanto tempo hai passato in carcere?

Ogai è passato al tu senza quasi accorgersene. Soseki è un criminale e non ha senso trattarlo come un onesto cittadino. Soseki non sembra rilevarlo. O forse è abituato.

- Tre anni. 

- Quando sei uscito dal carcere?

- Tre mesi fa.

- E come mai sei venuto a stare qui?

- Un amico mi ha offerto questa casa, di sua proprietà.

- Come si chiama?

- Kamei Rintaro.

- E perché mai ti ha offerto questa casa?

- Perché in carcere siamo diventati amici.

- Come ti guadagni da vivere?

Soseki guarda Ogai, senza rispondere subito: è la prima volta che succede. Poi sorride e dice:

- Non mi guadagno da vivere. Il signor Kamei paga tutte le spese.

- Viene spesso a trovarti?

- Due o tre volte a settimana.

- Quando?

- Nel tardo pomeriggio o verso sera.

- Si ferma mai a dormire?

- No, credo che l’abbia fatto un’unica volta. Avevamo bevuto un po’ troppo e, non avendo nessuno ad aspettarlo a casa, ha preferito rimanere qui a dormire.

Ciò che Soseki gli sta dicendo corrisponde perfettamente alle informazioni che Ogai già possiede. L’ispettore è un po’ stupito dalla disponibilità di Soseki.

- Come passi le giornate?

- Esco a passeggiare di mattino. Curo il giardino. Faccio alcune cose in casa. Leggo: una buona occasione per recuperare gli anni in cui non sono andato a scuola.

- Non frequenti nessuno?

- No. Non ho amici a Tokyo. Né da nessuna altra parte.

- Come mai?

- Ne ho sempre avuti pochi. Il mio essere un bastardo e il mio aspetto hanno sempre reso più difficili i rapporti con gli altri: non venivo preso in giro, perché gli altri avevano paura di me, ma mi evitavano come la peste. Dei due o tre amici che avevo, uno è morto e gli altri li ho persi di vista quando sono entrato nel giro della criminalità. Era meglio che mi tenessi lontano da loro, non volevo che si dicesse che frequentavano un delinquente.

Nuovamente Ogai è sorpreso dalle parole di Soseki: non è abituale che un criminale possa preoccuparsi del buon nome dei suoi amici e per proteggerli sia disposto a rinunciare a vederli.

C’è un momento di silenzio. Soseki si alza e dice:

- Le preparo del tè.

- No, non è il caso.

- Lo prendo volentieri anch’io. E ho anche dei dolci.

Soseki scompare, lasciando Ogai da solo. L’ispettore si chiede se ci sono altre cose da scoprire, oltre al punto essenziale: che cosa viene a fare Kamei nella casa.

Soseki ritorna. Ha una scatola di latta in mano. Ne estrae alcuni dolci di riso all’uovo, che depone in una ciotola.

- Li fanno nel negozio dietro la spezieria di Hotan. Sono buoni. Ne assaggi uno.

Soseki è in piedi davanti a Ogai, che lo guarda, un po’ intimidito da questa figura massiccia. La vestaglia che indossa è lunga, ma lascia scoperta la parte inferiore delle gambe e delle braccia: il sarto non ha fatto un buon lavoro, oppure l’indumento è stato comprato già pronto e per un uomo così alto non devono esistere vestaglie della lunghezza giusta. La parte visibile della braccia e delle gambe è davvero molto pelosa, come il torace. E mentre lo guarda, Ogai si rende conto che la vestaglia si è un po’ allargata e che la parte centrale del petto è visibile fin quasi all’ombelico.

Ogai si sente confuso, come se avesse bevuto troppo. Non sa bene che cosa dire o fare. Prende un dolce e lo mette in bocca.

- È buono, sì, grazie.

Ogai si chiede che cosa sta facendo. Se ha finito con le altre domande, è ora che ponga quella essenziale e poi vada, ma Soseki è uscito dalla stanza e torna con un vassoio su cui ci sono la teiera e due tazze.

- Anche il tè è buono. Lo porta il signor Kamei.

Rimangono in silenzio, fino a che Soseki versa il tè.

- Ecco.

Soseki guarda le grosse mani pelose che gli offrono la tazza. Gli sembra di avere la gola secca. Deglutisce e dice:

- Che cosa viene a fare qui Kamei?

Soseki, vedendo che Ogai non prende la tazza, la posa davanti a lui, poi risponde:

- A chiacchierare e distrarsi un po’. È spesso teso e affaticato e qui può riposarsi, senza dover pensare alle sue attività.

- Quali sarebbero le sue attività?

- Non lo so proprio. Lui non mi parla mai del suo lavoro.

Ogai prende la tazza e la porta alle labbra. Il tè ha un buon profumo e anche il gusto è buono. Dopo aver bevuto, fissa Soseki. Quest’uomo lo turba.

- Sei sicuro di non saperne niente?

- Sì. Credo che venga qui per dimenticarsi di tutto.

- È un criminale, non saranno certamente affari leciti.

- Può darsi. Ma con me non ne parla.

- Non sei suo complice in qualche affare sporco?

Soseki sorride:

- Vivo relegato qui, faccio qualche passeggiata il mattino o nel primo pomeriggio, più di rado la sera. Che cosa vuole che faccia?

- Se facessi perquisire la casa…

- Faccia pure. Vuole perquisirla ora? Non ci mette molto tempo.

- Perché no?

Ogai non intende fare una vera perquisizione, ma dare un’occhiata gli permetterà di raccogliere qualche informazione in più, magari di porre qualche altra domanda.

La casa non è molto grande ed è arredata in modo semplice. Soseki guarda in giro, apre le casse, ma poi si sente in imbarazzo. Che cosa sta facendo?

Dietro la casa c’è il giardino, che scende fino al canale. È grande e ben tenuto.

- È davvero un bel posto.

Ogai si chiede perché l’ha detto. Che senso ha?

- Sì, il giardino è bello. E la casa anche, per una persona sola è perfetta. Attento!

L’esclamazione è dovuta al fatto che Ogai non ha guardato dove metteva il piede ed è inciampato su un sasso ai margini del sentiero. Cadrebbe a terra, se Soseki non si facesse avanti e non lo sostenesse con il braccio, mentre Ogai si aggrappa a lui, afferrando la vestaglia. Nel breve momento necessario perché l’ispettore riprenda l’equilibrio, l’indumento si apre completamente.

Soseki aiuta Ogai a raddrizzarsi, senza badare al fatto di essersi scoperto interamente. L'ispettore può vedere il corpo robusto dell’uomo, che sotto la vestaglia non indossa nulla. Lo sguardo scende fino al grosso cazzo e Ogai chiude gli occhi. Barcolla.

- Non sta bene? Che è successo?

Soseki non capisce e Ogai si dice che è meglio così, molto meglio. Riapre gli occhi.

- Niente, niente. Rientriamo.

Soseki sembra temere che l’ispettore possa cadere a terra. Ogai si sente debole e si appoggia al braccio che Soseki gli porge. Solo quando entrano in casa, si riscuote e lascia il braccio. Fissa Soseki, che ha sempre la vestaglia completamente aperta. Il suo sguardo scende nuovamente al vigoroso membro dell’uomo. Ogai ha visto molti maschi nudi, ai bagni o alle terme, ma nessuno mai così virile. E la fitta peluria che ricopre il corpo lo turba. Non saprebbe dire se lo attrae o lo disgusta.

Soseki lo guarda, poi, con un movimento lento, fa scivolare a terra la vestaglia. Ogai ha l’impressione di non riuscire a reggere. Non reagisce quando Soseki lo prende tra le braccia e lentamente incomincia a spogliarlo.

Ogai si ritrova nella camera da letto, disteso sul futon. Guarda Soseki che incombe su di lui, il grande cazzo ormai eretto. Ha la sensazione di essere perduto.

Soseki si stende su di lui. Il suo peso schiaccia Ogai, ma la sensazione è piacevole. E sono piacevoli anche le carezze e i baci e i piccoli morsi: mai, in tutta la sua vita, Ogai è stato accarezzato, baciato, mordicchiato. Ha avuto qualche rapporto con prostitute, ma non c’era spazio per la tenerezza. E da quei rapporti Ogai è uscito deluso, tanto che non ha mai più provato.

Le mani di Ogai si infilano dappertutto, accarezzano, stuzzicano, pizzicano. Ogai si trova a mordere un dito, mentre un altro dito lavora più in basso, lungo il solco, e preme contro l’apertura. L’ispettore si sente perduto, sa di non avere nessuno scampo. Forse, se intimasse a Soseki di fermarsi, l’uomo obbedirebbe. Forse. Ma proprio perché forse lo farebbe, Ogai tace. Si limita a gemere, a tratti a singhiozzare. Non sa neppure lui come si ritrova a pancia in giù. Sente la saliva di Soseki sul culo, un dito la distribuisce. L’operazione viene ripetuta più volte, il dito si infila, prima delicatamente, poi più deciso. Poi Ogai sente una pressione più forte. Capisce quello che sta per succedere. Gli sfugge un:

- No!

Soseki gli accarezza il capo, dolcemente, gli mordicchia il lobo di un orecchio, poi assesta un morso deciso alla spalla, che fa sussultare Ogai. E mentre lo morde, spinge ed entra dentro di lui. Il dolore è forte. A Ogai manca il fiato. Soseki lo accarezza, gli passa la lingua dietro l’orecchio, lo mordicchia ancora, poi, dopo un buon momento, avanza, lentamente, fino a che il suo cazzo è tutto dentro il culo di Ogai. Senza fermarsi le sue mani accarezzano, le labbra baciano, i denti mordono, la lingua lecca. Ogai affonda in un mare di sensazioni, in cui è difficile distinguere il piacere dal dolore.

Soseki incomincia a spingere e i movimenti provocano una sofferenza che cresce man mano che le spinte diventano più forti. Ma a questa sofferenza si mescola un godimento, che diventa anch’esso più forte. È una cavalcata che sembra non finire mai. L’ispettore assapora le sensazioni che gli trasmette il cazzo dentro di lui, questo cazzo formidabile che gli dilata le viscere, che lo riempie. Si sente la preda di un animale selvaggio.

Infine, dopo un lungo tempo, Soseki emette un verso animale, prolungato, e Ogai sente per la prima volta il seme di un uomo spandersi nelle sue viscere.

Il cazzo di Soseki perde consistenza e volume. Ora è meno doloroso averlo dentro.

Soseki afferra Ogai e si volta con lui: Ogai si ritrova disteso su Soseki. Malgrado il violento dolore al culo, è una bella sensazione poggiare su questo corpo caldo, sentire ancora dentro di sé il cazzo che ha preso possesso di lui. Soseki gli afferra con la destra l’uccello e muove la mano lentamente. Ogai sente il piacere dilatarsi e infine esplodere. Chiude gli occhi. Soseki lo tiene tra le braccia. Ogai vorrebbe rimanere così.

Ogai sprofonda nel sonno, senza rendersene conto. Quando si desta è ancora disteso su Soseki, ma in culo non sente più la presenza del cazzo che lo ha penetrato.

- Come stai?

Ogai respira a fondo, poi dice:

- Il culo mi fa un male cane.

- Mi spiace. Purtroppo la prima volta è inevitabile.

Ogai non chiede come Soseki fa a sapere che era la prima volta. Si limita a rispondere:

- Sì, credo di sì, soprattutto quando si prende in culo un cazzo da toro come il tuo.

Soseki ride.

- Spero che passi presto.

- Lo spero anch’io.

Poi aggiunge:

- Ora devo andare.

Soseki scioglie l’abbraccio. Ogai si alza, ma gli sfugge un gemito.

- Ti aiuto a lavarti.

Camminare è doloroso. Soseki aiuta Ogai a lavarsi, poi si rimette la vestaglia. Ogai si veste, con movimenti lenti: ci sono momenti in cui il dolore è violento.

- Vuole che le chiami un risciò, ispettore? Forse è meglio.

Ogai guarda Soseki, stupito dal ritorno al “lei”. E di colpo, senza capire il perché, prova un’avversione profonda per lui.

- È questo che fai con Kamei, vero? Sei il suo mantenuto.

Nelle parole vibra un disprezzo che in realtà non prova.

- Il signor Kamei mi mantiene, ispettore. È vero. Gliel’ho detto.

Ogai si volta, dando le spalle a Soseki.

- Va’ a cercarmi un risciò.

I risciò sono ancora una novità, ma si stanno diffondendo in fretta.

Soseki esce. Ogai lo guarda scomparire oltre la soglia. Gli pare di odiarlo.

Soseki torna poco dopo. Con lui c’è il conducente del risciò.

Ogai non saluta neppure. Si sforza di camminare normalmente fino al risciò, ma quando sale, la fitta al culo è tanto forte che fa fatica a soffocare un gemito.

Si fa portare al commissariato. Entra cercando di controllare il movimento, ma zoppica leggermente e non riesce a nascondere il dolore. Il commissario lo riceve subito.

- Allora, mi dica, Mori. Ma… zoppica?

Ogai annuisce:

- Sono caduto malamente e zoppico un po’. Devo fare attenzione a come cammino, perché mi fa male.

- Sarà meglio che poi si faccia vedere da un medico. Ma mi dica qual è la situazione.

Ogai riferisce i risultati del giro nel quartiere e poi tutta la conversazione con Soseki, fino al momento della caduta. Qui il racconto si allontana dalla realtà:

- Sono inciampato in quella maledetta pietra e credo che mi sarei rotto la testa, se Yagi non mi avesse sostenuto. Però ho messo male la gamba e sono dovuto tornare in risciò.

Scambiano ancora due parole, poi il commissario dice:

- Chiederò a quelli di Nagasaki di mandarmi le informazioni su Yagi. Il suo racconto mi sembra plausibile: Kamei è stato in prigione nel carcere di Fukuoka e se Yagi ha commesso qualche crimine a Nagasaki, sarà anche lui finito lì.

Ogai esce zoppicando. Il commissario lo guarda e scuote la testa. Potrebbe dirgli di andare a casa, ma è ancora mattina. L’ispettore Mori può lavorare alla sua scrivania.

 

Kamei Rintaro raggiunge la casa di Soseki nel tardo pomeriggio, come fa spesso. Ogai gli apre la porta. Mentre lascia le calzature, Rintaro chiede:

- Come stai, Ogai? Novità?

- Tutto bene. Ieri ho ricevuto una visita.

- Una visita? Di chi?

- Di un ispettore di polizia. Voleva sapere chi sono, che cosa faccio qui e perché vivo in una casa di tua proprietà.

- E tu che cosa gli hai detto?

- La verità, senza entrare nei dettagli. Ma credo che abbia capito anche quello che non gli ho detto.

Rintaro annuisce.

- Sì, mi sono accorto che la polizia mi sta dietro. Hanno capito che ho ripreso con i miei giri. Spero che non ti diano fastidio.

- Nessun fastidio. L’ispettore era simpatico. Rispetto a certi cani che ho conosciuto…

- Simpatico? Non credo di aver mai incontrato uno sbirro simpatico.

Poi Rintaro aggrotta la fronte e aggiunge, sorridendo:

- Simpatico… quanto?

Soseki ride.

- A me è piaciuto.

- Spero non troppo. Ma basta con gli sbirri. Andiamo di là.

 

Nei giorni seguenti Ogai ripensa spesso a quello che è successo. Per la prima volta ha avuto un rapporto con un uomo, è stato posseduto. Non gli è dispiaciuto. O, meglio: gli è piaciuto, nonostante il dolore. Soseki gli sembra un uomo onesto, anche se è assurdo dirlo di uno che si è fatto tre anni di galera. Gli spiace averlo trattato male, quando se n’è andato. Ha avuto un momento di malumore. Probabilmente era turbato da quello che era successo. E anche il male al culo ha fatto la sua parte. Non avrebbe dovuto rivolgersi a lui con un tono aspro e parole offensive.

Con il passare dei giorni il dolore al culo si va attenuando. A tratti Ogai si dice che gli piacerebbe rivedere Soseki, ma è davvero assurdo.

Il rapporto della polizia di Nagasaki arriva dopo pochi giorni. I reati commessi da Soseki sono cose da poco, essenzialmente piccolo contrabbando di prodotti europei e statunitensi. Certamente se non si fosse trattato di un bastardo mezzosangue e povero, avrebbe ricevuto una condanna minima. È stato messo in cella con Kamei e vi è rimasto per quasi tutti i tre anni che ha scontato. Kamei è stato scarcerato due mesi prima di lui.

Ogai ha voglia di rivedere Soseki, ma non intende recarsi da lui. Non saprebbe come giustificare una sua visita. Il commissario non sembra intenzionato a occuparsi ancora di Soseki.

Ogai si dice che potrebbe provare a passare per la via la sera. Gli piace passeggiare e la zona di Muenzaka è abbastanza piacevole. Soseki va anche lui a spasso la sera, qualche volta. Magari lo incontrerà.

La prima sera in cui passeggia in zona, Ogai passa due volte davanti alla casa, ma non si vede nessuno alla finestra. Al ritorno è ormai buio e c’è una luce dentro. Due giorni dopo riprova, ugualmente senza risultato. O forse un risultato c’è: è più che mai determinato a rivedere Soseki. Rivedere e poi? Ogai non si dà una risposta, anche se sospetta quale sarebbe.

Al terzo tentativo, quasi due settimane dopo il loro primo incontro, Ogai incrocia Soseki, poco dopo essere passato davanti a casa sua. Ogai sta salendo e Soseki sta scendendo, probabilmente sta rientrando. Ogai si ferma.

- Buonasera.

- Buonasera, ispettore.

- Sono contento di vederti.

Ogai ha esitato un attimo, chiedendosi se fosse meglio usare il tu o il lei. Prosegue:

- Volevo scusarmi.

- E perché mai?

- Perché la settimana scorsa sono stato piuttosto villano, lo so. Quando stavo per andarmene. Avevo male, ero turbato.

- Nessun problema, ispettore, non si preoccupi.

Ogai non sa come continuare. Sa che dovrebbe salutare e andarsene, ma non è quello che vuole. C’è un attimo di silenzio, poi Soseki sorride e dice:

- Vuole venire da me?

Ogai non risponde subito. Sa di essere venuto a Muenzaka per questo, anche se ora ha paura.

Annuisce.

Soseki sorride.

- Allora, se permette, passi dal giardino: nessuno la vedrà e nessuno sparlerà. Continui a salire per la strada, fino all’angolo del tempio. Volti a sinistra e costeggi il muro del tempio, passi il ponte, poi scenda dalla prima via che incontra sulla sinistra. Arriverà quasi subito a un altro ponte che riattraversa il canale. Lo prenda e poi, subito dopo, scenda per il sentiero. Nessuno potrà vederla e arriverà al mio giardino. Io le aprirò la porta sul retro.

- Va bene.

Ogai segue le istruzioni. Ci mette pochi minuti ad arrivare al tempio e poi scende lungo una stradina che costeggia il retro di alcune case, nascoste dietro palizzate e siepi di bambù. Trova il ponte e di lì un sentiero che passa tra la vegetazione. In effetti nessuno può vederlo.

Soseki è sulla porta del suo giardino. Si fa da parte per lasciar passare Ogai, poi chiude e si dirige verso casa. L’ispettore lo segue. Ora ha paura, ma non ha intenzione di tornare indietro.

Entrano in casa. Lasciano le calzature all’ingresso e passano nella camera: a terra sono già stati posati due futon. Si infilano nella grande zanzariera. Soseki sorride.

- Mi spogli tu? O ti spoglio io?

Ogai sorride. Scioglie la fascia che chiude il kimono estivo di Soseki e lo lascia cadere in un angolo. Sotto Soseki indossa solo il fundoshi. Ogai guarda questo corpo possente che si offre alla sua vista. Una mano scorre tra la fitta peluria che ricopre il petto e il ventre. Poi si ferma. Soseki prende l’iniziativa. In breve anche Ogai è quasi nudo. Si sorridono. Soseki dice:

- Mi piaci molto, Ogai.

È la prima volta che Soseki lo chiama per nome.

Soseki gli prende il viso tra le mani e lo bacia. È la prima volta che Ogai viene baciato sulla bocca. Soseki lo bacia due volte e alla terza infila la sua lingua tra le labbra di Ogai che, disorientato, apre la bocca. Sentire la lingua di Soseki entrargli in bocca è strano. Ogai non saprebbe dire se gli piace o lo disgusta. Forse entrambe le cose. Ma non si sottrae e quando la lingua si ritira, gli spiace.

Soseki gli scioglie il fundoshi. Lo fa con movimenti lenti, senza fretta. Quando ha concluso, Ogai ha il cazzo mezzo duro. Ora è il suo turno di sciogliere il fundoshi di Soseki. Sono entrambi nudi, uno di fronte all’altro.

Soseki guida Ogai a stendersi sul futon. L’ispettore si aspetta che Soseki lo prenda, ma questi posa delicatamente la destra sul suo petto. La mano accarezza, stringe un capezzolo, poi l’altro. Ora la sinistra si unisce alla destra e le due mani continuano a percorrere il torace, alternando carezze e strette. Una risale al viso, accarezza la fronte, gli occhi, le guance, poi scivola sulle labbra. Due dita si infilano. Ogai schiude i denti, lascia che le dita tocchino la lingua, poi morde leggermente. Soseki sorride, ritira la mano e dà un buffetto sulla guancia di Ogai, ma poi stuzzica ancora le labbra, si infila in bocca e le dita vengono di nuovo morse. E mentre una mano percorre il viso, l’altra sta scendendo sul ventre, ne percorre la parte inferiore, sfiora appena il cazzo, non ancora teso, ma non più a riposo, si impadronisce di uno dei coglioni e stringe. Ogai emette un gemito.

Soseki non ha fretta. Le mani percorrono il corpo di Ogai, scendono fino ai piedi, risalgono lungo i fianchi, accarezzano le braccia, il collo, il viso. Soseki si china e mordicchia un capezzolo dell’ispettore, prima delicatamente, poi con maggiore decisione. Ogai ricambia il buffetto che ha ricevuto prima, ma sorride. La lingua di Soseki percorre il torace di Ogai, scende fino all’ombelico, vi si infila, lecca, poi scende ancora, sfiora appena il cazzo, che sta guadagnando volume e consistenza, e si ferma sui coglioni. Li lecca, poi la bocca li avvolge, uno per volta. La bocca indugia a lungo e Ogai sente che la tensione cresce di nuovo.

Solo a questo punto la lingua ritorna al cazzo, i denti mordicchiano con delicatezza l’asta tesa, poi la bocca avvolge la cappella e incomincia a succhiare. Ogai sente il calore e l’umidità della lingua e del palato e quella carezza morbida lo fa impazzire. Soseki lavora con sicurezza e il desiderio si dilata, riempie di sangue il cazzo, stringe i coglioni e proietta il seme nella bocca che lo accoglie. Soseki non si ritrae.

Ogai è esausto. Ha goduto intensamente.

Gli ci vuole un buon momento prima che riesca a dire:

- Non pensavo… credevo che… come l’altra volta…

- Pensavi che te lo mettessi in culo? Non voglio farti male. La volta scorsa sei uscito zoppicando.

- È vero, ma…

Ogai non sa bene che cosa dire. Si vergogna a confessare che desidera di nuovo sentire il grosso cazzo di Soseki farsi strada dentro di lui. Sposta il discorso:

- Tu non sei venuto.

- No, ma non ha importanza.

Si stupisce che Soseki non si preoccupi del proprio piacere. Lo guarda, sorride e dice:

- Baciami ancora.

Soseki si stende su di lui e lo bacia, più volte, sul viso e sulla bocca, spinge la lingua tra i denti, gli mordicchia un orecchio. Ogai sente contro il ventre il cazzo di Soseki che cresce e si indurisce.

- Voglio farti venire, Soseki.

- Volentieri. Come?

- Con la bocca.

- Va bene. Come mi metto? In piedi o disteso?

- In piedi.

Soseki si alza, Ogai si inginocchia davanti a lui

Davanti a sé può vedere lo splendido cazzo di Soseki, ormai teso. Lo guarda. Desidera accostare le mani, toccare ciò che ha sentito dentro di sé, su di sé, sentirne la durezza e la forza, ma è incerto, non osa. Esita un buon momento, poi le sue mani si sollevano fino a posarsi sui fianchi di Soseki e scivolano davanti, fino al cazzo, che le dita la sfiorano appena. Poi ritornano, più sicure, e la destra accarezza la magnifica preda, rigida e tesa. La sinistra scende un po’ più in basso, a stuzzicare i coglioni.

Ogai ha la gola secca ed è nuovamente eccitato. Guarda il grande cazzo che ha sentito dentro di sé, pieno di sangue, con la cappella rosea. Gli sembra di non aver mai visto niente di più bello.

Ogai chiude gli occhi, poi li riapre, le sue mani affondano nel vello fitto che ricopre il ventre di Soseki e le dita percorrono il cazzo dalla base alla punta, mentre Soseki gli accarezza i capelli, con delicatezza.

E infine il desiderio è più forte delle paure e Ogai avvicina la bocca alla cappella. Ne sente l’odore, intenso. Inghiotte il boccone di carne, mentre le sue mani ritornano sul corpo di Soseki, si perdono da qualche parte tra le cosce vigorose e il culo. Ogai cerca i movimenti giusti, accarezza con le labbra, prova ad inghiottire, muove la lingua ad assaporare.

Va avanti a lungo, mentre ogni remora si dissolve e rimane solo il desiderio, finché Soseki dice:

- Sto per venire, Ogai.        

Ogai non lascia la sua preda. Poco dopo il getto prorompe. Ne sente il calore, il gusto nuovo. Inghiotte. Beve fino in fondo. Rimarrebbe così, ma Soseki lo guida ad alzarsi, lo gira, lo stringe tra le braccia, così che il suo sesso, ancora gonfio, ma meno turgido, riposi tra le natiche di Ogai e poi prende ad accarezzarlo. La destra si impadronisce del cazzo e lentamente lo porta al piacere. Per la seconda volta nella serata Ogai viene. Non riesce più a reggersi in piedi e Soseki lo stende sul futon, lo bacia sugli occhi e lascia che scivoli nel sonno.

Quando Ogai si risveglia è ormai notte. Soseki è steso accanto a lui. Lo guarda e lo bacia. Poi si alza.

- È meglio che vada.

Vorrebbe rimanere a dormire, ma non osa chiederlo.

- Come preferisci.

Ogai passa in bagno e si lava, poi si riveste. Bacia ancora Soseki e chiede:

- Posso tornare?

- Quando vuoi, purché non ci sia il signor Kamei.

- Come faccio a sapere se c’è? E a entrare senza farmi vedere?

Soseki prende una chiave:

- È quella della porta del giardino, per entrare. Conosci la strada. Il signor Kamei viene nel tardo pomeriggio, non si ferma mai la notte. L’ha fatto una volta sola, ma avevamo bevuto troppo, come ti ho detto. Quello che posso fare è lasciare un tessuto rosso sulla porta del giardino, quando è andato via e sono sicuro che non verrà.

Ogai esce dal giardino. Torna a casa per le vie ormai deserte, una grande confusione in testa e un senso di benessere in corpo.

Torna da Soseki due giorni dopo. Si vergogna di aver lasciato passare così poco tempo, ma le quarant’otto ore sono state un’eternità.

 

A Ogai sembra di essere entrato in un’altra realtà, in cui ogni giorno scopre nuove cose. Soseki è un maestro esperto e sempre attento a lui, disponibile a guidarlo nelle sue esplorazioni, a soddisfare le sue curiosità, ad aiutarlo a superare le sue remore. Ogai si affida completamente a lui. Sente che può fidarsi ciecamente di quest’uomo che ha passato tre anni in galera. Sotto la sua guida impara a non vergognarsi dei suoi desideri. Tutto quello che fanno insieme gli piace. Più di tutto ama offrirsi a Soseki, anche se questo significa avere spesso male al culo, per quanto il suo compagno sia cauto e cerchi di non fargli male. Sa che con il tempo si abituerà. Si sente felice, come non è mai stato nella sua vita. Non si pone domande sul futuro, non sa se ce ne sarà uno. Si rende conto di essersi innamorato di Soseki, ma preferisce non dirselo.

 

Sono passati quattro mesi da quando hanno avuto il primo rapporto. L’estate è finita e l’autunno è in arrivo. Ogai arriva in commissariato direttamente dalla casa di Soseki. Lo fa qualche volta, perché non c’è nulla di più bello al mondo che trascorrere la notte tra le braccia dell’uomo che ama.

L’agente alla porta gli dice che il commissario ha dato ordine che vada subito da lui al suo arrivo. Ogai si chiede che cosa possa volergli dire, ma sa che lo scoprirà presto.

Dal commissario ci sono già altri due ispettori e quattro agenti.

- Si accomodi, Mori. Aspettavamo lei.

Ogai sa di non essere in ritardo: è arrivato un po’ in anticipo, come fa sempre e come fanno tutti. Il commissario prosegue:

- Come ho già detto ai suoi colleghi, hanno ucciso Kamei questa notte. L’omicidio deve essere avvenuto verso le undici, il cadavere è stato ritrovato poco dopo in un vicolo di Kabukicho.

Ogai si limita ad annuire. Non pensa all’omicidio. La sua mente va alle conseguenze: che cosa significa questa morte per Soseki e per loro due? Infinite domande si affollano nella sua testa e fa fatica a seguire il discorso del commissario.

Questi riferisce le informazioni in suo possesso.

- Kamei è entrato in conflitto con i gruppi che controllano alcuni giri di prostituzione nel quartiere. Questo già lo sapevamo. Qualcuno non ha gradito le sue manovre e ieri sera gli ha fatto pagare il conto. Ventiquattro coltellate, molte vibrate dopo che era già morto, come sfregio.

Dopo aver assegnato l’inchiesta ai due ispettori presenti, il commissario si rivolge a Ogai.

- Non so se Yagi possa entrarci qualche cosa. Vada a parlare con lui e cerchi di capire che cosa sa. Poi riferirà ai suoi colleghi, che seguono l’inchiesta.

- Va bene.

Ogai ritorna alla casa di Soseki, una grande confusione in testa.

Gli apre la porta la donna delle pulizie. Già, è mercoledì, uno dei giorni della domestica. La signora non ha mai visto Ogai e chiede:

- Che cosa desidera?

- Dica al signor Yagi che sono l’ispettore Mori e ho bisogno di parlargli.

Soseki compare dietro la donna. È chiaramente molto sorpreso di vedere Ogai, che è uscito da poco più di un’ora.

- Si accomodi, ispettore.

Passano nella stanza che serve come salotto. Soseki chiude lo scorrevole e si siede, guardando Ogai perplesso.

Ogai sa che gli scorrevoli non sono sufficienti a isolare completamente la stanza, per cui, pur parlando a voce bassa, si rivolge a Soseki in tono formale. Usa il lei, perché non vuole che la domestica abbia l’impressione che la polizia tratti con eccessiva familiarità il suo padrone.

- Signor Yagi, lei sa che cosa è successo ieri sera?

Ogai aggrotta la fronte. Anche lui risponde mantenendo un tono di voce molto basso.

- Ieri sera? Non ne ho la più pallida idea.

- Il signor Kamei è stato ucciso.

C’è una contrazione sul viso di Soseki. Di certo non lo sapeva. E come avrebbe potuto saperlo?

- Ucciso…

- A Kabukicho, verso le undici. Lei dov’era a quell’ora?

La domanda è assurda, visto che erano insieme nella casa, e a Ogai sfugge un mezzo sorriso, ma deve porla, nel caso che la cameriera stia origliando.

- Qui, a casa.

Ogai non chiede se qualcuno può confermare che Soseki era a casa: sarebbe davvero ridicolo.

- Ha un’idea di chi può aver ucciso il signor Kamei e perché?

- No. Nell’ultimo periodo era molto teso, ma non voleva mai parlarmi dei suoi affari.

- Si aspettava di essere ucciso?

- Sì, ne era conscio. Una settimana fa me lo disse chiaramente: “Prima o poi mi faranno fuori.”

- Ma non le disse chi.

- No.

- Ha altre informazioni che può darmi?

- No, direi di no.

Soseki fa un cenno con la testa verso la parete scorrevole. Ci sono cose che non vuole dire quando la cameriera potrebbe sentire.

Ogai si alza.

- Ripasserò in serata, dopo che i colleghi avranno raccolto un po’ di informazioni. È probabile che abbia altre domande da porle.

- Va bene.

Ogai allunga una mano e stringe quella di Soseki, in un gesto furtivo di affetto, poi esce.

 

Torna appena ha concluso in ufficio. La cameriera è andata via. Soseki gli apre la porta. Ogai lo guarda.

- Come ti senti, Soseki?

- Turbato. Ho condiviso la cella con Rintaro per più di due anni e mezzo e l’ho visto tre volte a settimana da quando sono uscito dal carcere.

Ogai si rende conto che le parole di Soseki lo fanno soffrire. Non gli ha detto niente di nuovo, ma in questi mesi ha sempre evitato di pensare a Kamei. Non ha mai voluto chiedersi quali erano i rapporti tra l’uomo che ama e il criminale che lo manteneva.

- Hai voglia di raccontarmi?

- Certo. Non so perché fui messo in cella con lui, probabilmente fu casuale. I primi giorni rimanemmo a distanza, ma poi facemmo amicizia. Mi resi conto che era attratto da me, sessualmente intendo, e non mi tirai indietro. Quello che non mi aspettavo è che diventasse totalmente dipendente da me. Non era mai stato penetrato, ma voleva farsi prendere quasi tutti i giorni. Io lo accontentavo. Non mi dispiaceva. In carcere non avevo molto da fare e un po’ di sesso era piacevole.

Ogai annuisce. Ha chiesto un po’ per desiderio di sapere e un po’ perché ha pensato che Soseki potesse aver voglia di raccontare, ma ciò che sente non gli piace. Soseki prosegue:

- Doveva uscire di prigione qualche mese prima di me. Lui non intendeva rinunciare a me: voleva che io venissi a Tokyo.

- Era innamorato di te?

- Credo di sì, anche se penso che non l’avrebbe mai ammesso, neanche a se stesso.

- E tu?

Soseki lo guarda.

- Che cosa intendi, Ogai?

- Eri innamorato di lui?

- No, non ho mai amato Rintaro. Mi trovavo bene con lui, ma non era certo amore.

- Ma hai accettato questa sistemazione.

- Avevo appena compiuto ventinove anni. Ero finito in un giro di delinquenti perché nessuno voleva darmi un lavoro, per quanto fossi forte e onesto. Dopo tre anni di galera le mie possibilità di trovare lavoro erano nulle e io dovevo pensare a mia madre. Ha sessant’anni, ha problemi di artrite e io non volevo che vivesse in miseria.

- E Kamei che c’entrava in questo?

- Facemmo un patto. Lui avrebbe provveduto a mia madre, fornendole i mezzi per vivere anche se per qualche motivo ci fossimo separati o uno dei due fosse morto. Io sarei venuto a Tokyo e vissuto in questa casa, a sua disposizione, finché lui avesse voluto. Comprò una casetta al villaggio per mia madre e le procurò una rendita. E io venni a stabilirmi qui.

- Che garanzie gli desti che non te ne saresti andato, che avresti mantenuto fede ai patti?

- Nessuna. Mi conosceva abbastanza per sapere che avrei mantenuto la mia parola.

- Non ti pesava ?

- No. Non era la vita che avrei scelto, ma non era un incubo: avevo una bella casa, il denaro necessario per vivere dignitosamente e scopavo regolarmente. Vivevo molto meglio di come sarei potuto vivere senza l’aiuto di nessuno. Meglio di come ero mai vissuto.

- Ti andava bene, quindi.

- Fino a quattro mesi fa, sì.

Ogai fissa Soseki. Sono quattro mesi che si sono conosciuti. Crede di sapere che cosa intenda l’uomo che ama, ma vorrebbe sentirselo dire.

- E poi?

Soseki sorride.

- E poi arrivò un ispettore di polizia, che rimase impressionato da me e aveva voglia di perdere la verginità. Gli diedi una mano, perché mi era simpatico. Fu un errore, perché tornò e molto in fretta mi trovai intrappolato in una rete da cui non volevo e non potevo uscire.

- Una rete?

- Sì, una rete, che ti blocca completamente. Che cos’altro è l’amore? Quello che fino al giorno prima mi andava benissimo, divenne un fardello. Mi sono impantanato ogni giorno di più in un sentimento più forte di tutto il resto. Mantenere la mia parola con Rintaro mi pesava sempre di più, ma dovevo farlo.

- Perché?

- Perché se mi prendo un impegno, se stringo un patto, mantengo ciò che ho promesso.

Ogai annuisce. Negli occhi di Soseki legge una domanda e risponde:

- Anch’io mi sono innamorato di te, ma credo che tu lo abbia capito.

Soseki annuisce, sorride, si avvicina a Ogai e lo bacia sulla bocca. Poi si stacca e dice:

- Rintaro sapeva benissimo che sarebbe stato ucciso. Una settimana fa venne qui e mi lasciò una cassetta piena di soldi. Mi disse che se fosse morto, voleva che io tenessi quel denaro. E aggiunse che avrebbe provveduto a me. Io gli risposi che avrei tenuto i soldi in custodia, ma che contavo che non gli succedesse niente e che intendevo renderglieli passato il pericolo. Non è stato così.

- Che cosa farai, Soseki?

- Non lo so, Ogai.

Fa per aggiungere qualche cosa, ma ci ripensa e tace. È Ogai a dire:

- Sì, è presto. Ne parleremo.

- Ora è meglio che tu vada, Ogai. Sei entrato dalla porta principale e devi uscire da quella. Non voglio chiacchiere su di te.

Ogai annuisce. Sa che Soseki ha ragione. Lo abbraccia, lo bacia e lascia la casa.

 

Le indagini non portano a grandi risultati. Il commissario è irritato, perché i giornali pubblicano quasi ogni giorno articoli sul caso. Di Yagi Soseki nessuno scrive: la gente della zona di Muenzaka non sa che l’uomo che veniva a trovare Soseki è il criminale ammazzato a coltellate e nessuno collega il vicino di casa molto riservato alla vittima del feroce omicidio.

È il commissario a parlarne a Ogai.

- Yagi potrebbe aver ucciso Kamei, per sbarazzarsi di lui. Kamei gli ha lasciato la casa. Probabilmente Yagi l’ha scoperto e ha deciso che uccidendo il suo protettore, se così possiamo chiamarlo, avrebbe ereditato la casa.

- Commissario, escludo che Yagi possa avere a che fare con la morte di Kamei. Non ci sono precedenti di violenza. È finito in carcere per piccolo contrabbando. Se non fosse stato un poveraccio senza padre e mezzosangue, non si sarebbe fatto tre anni di carcere. Non me lo vedo proprio uccidere Kamei. Nella casa comunque ci viveva e Kamei lo manteneva. Che guadagno avrebbe avuto dalla morte di Kamei? Avrà ereditato la casa, ma non ha un lavoro che gli permetta di mantenersi.

- Non so perché l’abbia fatto, Mori, ma abbiamo bisogno di un colpevole. 

Ogai sente che gli manca il fiato. Sa benissimo che cosa significano le parole del commissario: se non si troverà il colpevole, Soseki diverrà il capro espiatorio: pregiudicato, bastardo, mezzosangue, mantenuto… chi mai crederebbe alla sua parola? È l’assassino perfetto.

Il commissario aggiunge:

- Lasciamo passare qualche giorno, poi se non salta fuori niente di nuovo, arresteremo Yagi.

Ogai è sconvolto. Appena esce dall’ufficio raggiunge Soseki. Gli riferisce quello che ha detto il commissario. Soseki non appare stupito.

- Sì, pensavo che potesse finire così. Non ho mai fatto male a nessuno, ma sono un colpevole nato.

Ogai fissa Soseki e gli dice:

- Se decidono di arrestarti rivelerò che ho passato quella notte con te.

Soseki reagisce con violenza.

- No! No! Non dire nulla. Perderesti il lavoro.

È vero, Ogai lo sa benissimo.

- Soseki, potrebbero condannarti a morte.

- Non è un problema.

- Non è un problema? Tu sei pazzo! Venire ucciso o passare tutta la vita in prigione per un delitto che non hai commesso! È mio dovere dire la verità.

- No, Ogai, no! Promettimi che non dirai nulla.

- No! Non prometto nulla del genere.

- Almeno promettimi che non dirai nulla fino a quando non mi avranno arrestato. Quando mi avranno portato in prigione, potrai parlare. Questo puoi promettermelo.

Ogai è perplesso. Può aspettare che Soseki sia in prigione, certamente, ma che cosa cambierebbe? Dirlo prima o dopo l’arresto, è lo stesso. Non capisce ed è diffidente. Ormai ha capito che tipo è Ogai e sa che sarebbe disposto a sacrificarsi per lui, senza esitare.

Di colpo la verità si fa strada nella sua testa.

- Soseki… Intenderesti ucciderti se ti arrestano?

Soseki abbassa il capo e non dice nulla.

- Ucciderti perché io non perda il mio lavoro. Soseki!

Non c’è una risposta. Ogai guarda l’uomo che ama, che tiene lo sguardo fisso al pavimento.

- Soseki, io ti amo. Tu sei più importante del mio lavoro. Se ti ucciderai, mi ucciderò anch’io.

Soseki alza la testa di scatto. Prende la testa di Ogai tra le mani e lo bacia.

Si rotolano sul pavimento, si abbracciano, si baciano, si mordono. L’amore ha il sapore della disperazione e tutta l’irruenza della passione. Forse è l’ultima volta. Il desiderio li travolge e ogni cautela è dimenticata.

Infine riemergono dal vortice che li ha inghiottiti, nudi, storditi, sudati. Ogai si alza, con una smorfia di dolore, e dice:

- Mi hai chiesto una promessa, Soseki, e una promessa te la faccio: prometto che se ti ucciderai, mi ucciderò anch’io.

Soseki scuote la testa.

- Ti prego.  Non dirmi che ho rovinato la vita dell’unico uomo che ho amato.

- In nessun caso mi avrai rovinato la vita. Mi hai dato più gioia tu di quanto ne ho avuta in tutta la mia vita, Soseki.

Ogai se ne va. Vorrebbe camminare a lungo, lasciando vagare i suoi pensieri, ma il culo gli fa troppo male: Soseki è stato irruente e il loro amarsi è stata una lotta più che un reciproco donarsi. A casa Ogai si stende, ma non riesce a prendere sonno. Si sente sprofondare nell’angoscia. L’incubo che lo tiene sveglio non è un sogno, è realtà.

 

L’incubo finisce due giorni dopo. Nel primo pomeriggio Ogai è convocato nell’ufficio del commissario, che gli comunica:

- Abbiamo beccato l’assassino di Kamei. Un sicario mandato da alcuni rivali. Ha confessato.

- Ottimo.

Ogai non dice nulla di Soseki, ma vuole parlargli il prima possibile. Non può aspettare fino a sera. Perciò chiede:

- Scusi se mi permetto, ma avrei bisogno di uscire prima, oggi. Volevo venire a chiederglielo. Recupererò nei prossimi giorni.

Il commissario è un po’ stupito, ma Ogai è scrupoloso, sempre puntuale, disponibile a fermarsi in ufficio dopo l’orario se necessario. Non c’è motivo per negargli un permesso.

- Vada pure, Mori. Nessun problema.

Ogai raggiunge la casa di Soseki. Per fortuna non è uno dei giorni della domestica. Ha bisogno di parlargli, di stringerlo, di amarlo, di farsi prendere da lui.

Soseki non risponde subito quando Ogai bussa, ma al secondo tentativo arriva.

- Temevo che non ci fossi!

- Ero in giardino. Hai dovuto bussare due volte?

- Sì.

Ogai è entrato, ha lasciato le calzature e mentre bacia Soseki sulla bocca, gli dice:

- Hanno trovato l’assassino, un sicario pagato dai rivali.

Soseki tira un sospiro di sollievo.

- Ne sono felice. Mi hai fatto stare malissimo.

- Io?

- Non potevo sopportare l’idea di averti rovinato la vita. E quella fottuta promessa che mi hai fatto… ti avrei ammazzato!

- Perché tu, come pensi che mi sia sentito io, all’idea che tu ti ammazzassi perché io non perdessi il lavoro?

Soseki scuote la testa e ride.

Ogai lo guarda e dice:

- Prendimi, Soseki. Fottimi.

Soseki lo stringe tra le braccia e lo bacia.

 

Distesi sui futon, abbracciati, parlano del futuro.

- Che cosa pensi di fare?

- Con i soldi di Rintaro mi cercherò una casa…

Ogai lo interrompe:

- La casa è tua.

- Mia?

- Kamei te l’ha lasciata. Aveva fatto un testamento. Non te l’hanno detto?

- No, nessuno mi ha contattato.

- Probabilmente è un’informazione riservata, che la polizia ha ottenuto in anteprima. Per l’apertura ufficiale del testamento hanno voluto aspettare gli sviluppi delle indagini.

Soseki riflette un attimo.

- Ecco quello che intendeva dicendo che avrebbe provveduto a me. La casa, i soldi. È stato molto generoso.

Ogai non dice nulla. Soseki riprende:

- Conto di aprire un negozio di prodotti europei e americani. Negli anni in cui mi sono dedicato al contrabbando ho imparato un po’ di cose. E credo che sia un’attività in cui alla gente non darebbe fastidio vedere un mezzosangue.

- Bella idea. E…

Ogai si interrompe un momento, poi conclude con una domanda:

- E io che ho posto ho in tutto questo?

Soseki stringe ancora più Ogai e dice:

- Sei al centro. Al centro della mia vita.

 

 

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