Tra le Langhe e il Nevada S’è
alzato un vento forte, che spinge i nuvoloni neri dalla pianura verso le
colline. Lo sceriffo di Grandridge, Mike McLean, guarda il cielo, scuote la testa e dice,
sottovoce: -
Merda! Ci
mancherebbe solo un bel temporale estivo, come se non bastasse la fatica di
questa caccia, le troppe ore trascorse a cavallo, il riposo breve e
continuamente interrotto delle notti all’aperto. Merda! Mike
è di pessimo umore. Si è messo a caccia di Douglas Bearhunter
tre giorni fa, dopo aver ricevuto il telegramma di Jason Craig, il collega di
Redpool. Craig ce l’ha a morte con Bearhunter, che ha ammazzato un suo amico. Ha saputo che
il tizio si è diretto in Nevada e dovrebbe essere nelle Grover
Hills. Così ha avvisato Mike, anche se le Grover
Hills non rientrano nella sua zona di competenza: sa che lo sceriffo conosce
Douglas Bearhunter e può identificarlo facilmente.
Non che sia difficile riconoscere il fuggitivo: è un uomo molto più alto
della media; ha un fisico massiccio, da vero Ercole; è calvo, pur avendo solo
quarant’anni, e ha una lunga barba scura. Non è certo uno che passa
inosservato. Mike potrebbe aggiungere che è anche peloso come una scimmia e
ha un cazzo da cavallo, ma questi dettagli se li tiene per sé quando chiede
informazioni a chi incontra. Lo sceriffo ha avuto modo di conoscere a fondo
Douglas e lo giudica il migliore stallone che abbia mai incontrato. Non
pensava che potesse diventare un assassino e gli scoccia doverlo inseguire
per farlo impiccare. Ma è suo compito far rispettare la legge e assicurare
alla giustizia chi la viola. Così è partito alla ricerca di Douglas. Da
tre giorni cavalca in queste terre desolate, dove non vive quasi nessuno: il
terreno è spesso pietroso e la vegetazione scarsa. Ci sono alcune fattorie
solo nelle valli, dove la presenza di un corso d’acqua permette di irrigare.
I pascoli sono scarsi e i pastori preferiscono portare le pecore sulle Green
Mountains, meno aride e perciò più fertili. Mike
è passato per le fattorie, chiedendo se qualcuno ha visto un uomo
corrispondente alla descrizione. Nessuno sembrava averlo visto. D’altronde in
queste aree poco popolate non è difficile non farsi vedere: basta tenersi
lontano dalle poche abitazioni sparse. Infine nell’ultima fattoria che ha
visitato, quando ormai era sul punto di rinunciare, gli hanno detto di sì:
Douglas Bearhunter era passato sul crinale della
collina vicina poche ore prima dell’arrivo di Mike. Lo sceriffo si è messo a
seguire le tracce. Le ha perse e ritrovate più volte: sul terreno roccioso è
difficile trovare i segni del passaggio di un cavallo. Mike
è stanco: tre giorni a cavallo, poche soste, poco riposo. E la possibilità di
essere fatto secco da un assassino. Craig lo ha messo in guardia: quell’uomo
è un serpente, da uccidere subito, prima che sia lui a uccidere. Mike fa
fatica a far combaciare questa immagine di Douglas con i suoi ricordi di lui. Il
cielo si è coperto completamente sopra le colline. Pioverà? La pioggia
cancellerebbe le poche tracce! A Mike non resterebbe altro da fare che
tornare indietro, bagnato fradicio e a mani vuote. Merda! Sta
diventando sempre più buio. Il sole ormai sta tramontando e la nuvolaglia
riduce la già scarsa luce. Inutile continuare di notte: non riuscirebbe a
vedere le impronte del cavallo di Douglas. Tanto vale cercarsi un posto
riparato, mangiare un boccone e mettersi a dormire. Mike
si ferma sotto una roccia sporgente. Non offre una grande protezione da una
pioggia violenta, ma non c’è niente di meglio. Mangia un po’ del cibo che ha
portato con sé, poi si corica. È estate e non fa freddo. Nonostante
la stanchezza, Mike non si addormenta subito. Pensa a Douglas, con cui ha
scopato più volte, quando stavano entrambi a Redpool.
Douglas gli piaceva molto e Mike aveva l’impressione che tra di loro ci fosse
qualche cosa di più di una semplice attrazione fisica. Forse sarebbe nata una
storia, ma Mike aveva dovuto tornare a Grandridge,
per i problemi della fattoria di suo padre. Da allora sono successe tante
cose e a Redpool Mike non ha più messo piede. Douglas
Bearhunter è rimasto un ricordo, che nei primi
tempi faceva un po’ male. E ora deve trovarlo per consegnarlo al boia. Merda! Il
pensiero poi va agli ultimi mesi, quelli successivi alla partenza di Peter.
La loro storia è durata un anno e a Mike ha lasciato un grande amaro in
bocca. Ora è solo. Mike vorrebbe scacciare i pensieri neri, come ora il vento
sta spazzando via le nuvole. In cielo appare la luna: piena, splendente,
illumina a giorno il paesaggio. Mike pensa che per lui non c’è nessuna luna,
solo la notte. Bestemmia e dopo un po’ si addormenta. A
svegliarlo è il corpo che preme sul suo: qualcuno si è seduto su di lui e lo
schiaccia con il suo peso. Mike apre gli occhi e guarda l’uomo che lo
sovrasta. Alla luce della luna può vedere la faccia di Douglas Bearhunter, deformata in un ghigno sinistro. -
Hai finito di starmi dietro al culo, sceriffo dei miei coglioni! Il
primo pugno che lo prende in faccia è una pietra. Il dolore è violento, il
sangue cola abbondante dal labbro spaccato. Mike non può difendersi: Douglas
gli blocca le braccia con le gambe ed è troppo pesante per riuscire a
scrollarselo di dosso Il
secondo pugno gli rompe il naso. Ne seguono altri. Mike perde i sensi. Le
mani di Douglas stringono il collo. Mike geme. Cerca di liberarsi, senza
riuscirci. Douglas stringe più forte. Mike perde i sensi e rapidamente passa
dall’incoscienza alla morte. Douglas
toglie le mani. Ansima. Guarda il cadavere dello sceriffo. Sul suo viso
compare nuovamente un ghigno. Si alza. Slaccia la fibbia dei pantaloni di
Mike e glieli cala. Gli sfila gli stivali e gli toglie anche le mutande. Poi
lo volta sulla pancia. Douglas
osserva il culo dello sceriffo: lo conosce bene, lo ha gustato più volte e
ora lo gusterà di nuovo. Gli piace uccidere, gli viene sempre duro. Adesso ha
bisogno di fottere. Questo bel culo, che la luna illumina, accoglierà il suo
cazzo. Douglas
allarga un po’ le gambe del cadavere, poi si abbassa i pantaloni, si stende
sul morto e lo infilza con un movimento deciso. Il culo è ancora caldo ed è
un piacere fotterlo. Prima gli ha fottuto la vita e ora il culo. Douglas ride
e continua, finché viene. Si ritrae, si alza e si pulisce con la camicia
dello sceriffo. Prima di tirarsi su i pantaloni, piscia sulla testa del
morto. Ammazzarlo è stata una bella soddisfazione. Avrebbe potuto farlo con
un colpo di pistola, ma a mani nude è molto meglio. Douglas
risale a cavallo e se ne va. Il cadavere di Mike rimane dove il suo assassino
l’ha lasciato. Il mattino dopo gli avvoltoi incominciano a spolparlo. A sera
ne rimangono pochi resti. * Ferdinando rilegge la
pagina che ha scritto. Può funzionare. Non è un capolavoro, ma lui non ha
grandi ambizioni letterarie. Il lettore si immaginerà che lo sceriffo sia il
protagonista del racconto e che sia destinato a trovare l’amore: qualcuno
supporrà che Mike incontri l’uomo della sua vita durante la caccia; qualcun
altro magari immaginerà che si rimetta con Douglas e che questi non sia
davvero un assassino. Le due possibilità appaiono verosimili. Così il lettore
rimarrà spiazzato vedendo il supposto protagonista morire all’inizio.
Ferdinando ha già usato questo meccanismo in Cadaveri non più freschi, ma non gli spiace riprendere le idee e
svilupparle in modo un po’ diverso. Il vero protagonista non è neppure il
bandito, che è un personaggio troppo negativo: nella testa di Ferdinando al
centro del racconto ci sono un pastore, che non ha mai ucciso nessuno ed è un
uomo pacifico, e un cacciatore di taglie. La scena della morte è un
po’ forte, ma in un western la violenza è un ingrediente necessario.
Piuttosto la scena dello stupro del cadavere… a qualcuno potrebbe dare
fastidio. Ma dà un’idea della ferocia del bandito e dei rischi corsi dai due
protagonisti, che nel racconto compariranno più avanti. Per oggi basta. In
mattinata Ferdinando ha riletto l’ultimo racconto scritto, La casa di Muenzaka,
poi ha gettato giù la prima scena di questo nuovo testo. Si è meritato un po’
di riposo. Ferdinando si alza. Ha
voglia di fare due passi. Affittare per un mese la casa nelle Langhe è stata
una buona idea: gli basta uscire per poter camminare nel verde, rilassandosi. A una curva del sentiero
vede venirgli incontro un uomo. Lo colpisce l’abbigliamento: è quello tipico
di un cow-boy di fine Ottocento. Ma… ha pure la stella da sceriffo!
Ferdinando ride. Davvero buffa: sta scrivendo una storia in cui compare uno
sceriffo e si trova davanti uno travestito da sceriffo. Ha pure le pistole!
Ed è proprio come se l’è immaginato guardando Stephen Dorff
in Old Henry. Ora che è più vicino si
direbbe proprio l’attore, ma non può essere. Sarà qualcuno che si è vestito e
truccato come lui. Ci sarà qualche festa in costume, oggi? Il tizio si dirige verso
di lui. Non saluta e sembra avere un atteggiamento chiaramente ostile. Gli si
ferma davanti e sbotta: - Senti, stronzo, io non
ho nessuna intenzione di farmi ammazzare da Douglas Bearhunter
o da chiunque altro. Hai capito? Douglas lo ammazzo io. Ferdinando guarda l’uomo,
allibito. È uscito di casa dieci minuti fa, del racconto non ha parlato con
nessuno. Anche se qualcuno fosse entrato a casa sua, avesse acceso il
computer e avesse letto le pagine che ha scritto, non avrebbe fatto in tempo
a trovare un abito da cow-boy e tutto il resto. Ferdinando non ha detto
niente. Il tizio mette una mano sul calcio di una pistola e dice: - Hai capito, stronzo? Ferdinando non ha capito.
Non ha capito proprio niente. Ma di fronte a un tizio con due pistole, non è
il caso di palesare la mancata comprensione. Annuisce. Il tizio ghigna e dice: - Adesso torni a casa e
cambi quella fottuta storia del cazzo, altrimenti il prossimo morto è qualcun
altro. Ferdinando annuisce. Poi,
con un certo sforzo, riesce a dire: - Sì, certo. Il tizio ghigna di nuovo. - Bene. Allora muoviti. Ferdinando rimane un
attimo immobile, poi dice: - Vado. Si volta e ritorna verso
casa. Dopo aver fatto alcuni passi si gira, dicendosi che senz’altro ha avuto
un’allucinazione. Il tizio è ancora lì, che lo fissa torvo. Ferdinando fa un
cenno con la testa, a indicare che sta andando, che provvederà subito, e
accelera il passo. A casa Ferdinando si
chiede se sta impazzendo. A pranzo ha bevuto solo un bicchiere di bianco, non
può aver fatto questo effetto. Di allucinazioni non ha mai sofferto, ma
questa era senza dubbio un’allucinazione. Dovrebbe riderci sopra e
dimenticarsene. Forse dovrebbe rivolgersi a uno psichiatra. Lo farà al
ritorno a Torino, se dovesse avere altre allucinazioni. Ad ogni buon conto, meglio
non correre rischi. Riprende il racconto.
Elimina la parte in cui Douglas uccide Mike e incomincia a scrivere uno
sviluppo diverso. * Mike
pensa che per lui non c’è nessuna luna, solo la notte. Bestemmia e dopo un
po’ si addormenta. Mike
si risveglia ai primi raggi del mattino. Il cielo è tutto sereno: i nuvoloni
sono stati trascinati lontano dal vento. Mike
si alza, si prepara e dopo aver mangiato un boccone risale a cavallo.
Riprende a seguire le tracce. Douglas Bearhunter si
è diretto verso un’area boscosa. Ora è più facile seguire la pista, perché il
terreno non è roccioso e le impronte sono più visibili. Dopo
due ore, Mike trova il punto in cui il bandito si è steso a dormire la sera
precedente. Buono. Se è partito all’alba, come ha fatto lui, ha due ore di
vantaggio. È in fuga da parecchi giorni e di certo il suo cavallo dev’essere
alquanto affaticato. Non può muoversi molto rapidamente. Presto lo
raggiungerà. E mentre se lo dice, Mike si rende conto che non ha nessuna
voglia di arrestare Douglas e di consegnarlo a Craig. Ma deve farlo. Seguendo
le impronte lasciate dal cavallo, Mike sale in cima a una collina. Superata
la cresta si vede il Moose Pond,
una pozza d’acqua piuttosto ampia. È probabile che Douglas si sia diretto
verso il laghetto: avrà bisogno di acqua e magari di far riposare il cavallo. Mike
procede seguendo le tracce, che scendono verso l’acqua. Prima di raggiungere
il Moose Pond, Mike si
ferma in una piccola radura e smonta: se quell’assassino è ancora alla pozza,
è meglio avvicinarsi con cautela, per non farsi beccare. Lascia il cavallo
nella radura: l’animale non si allontanerà. Mike
si dirige verso la pozza, tenendo la pistola in mano e guardandosi sempre
intorno. Poco
dopo vede un cavallo tra gli alberi vicino al lago: Douglas l’ha lasciato lì.
Arrivato
alla pozza, Mike osserva, nascosto dai cespugli, la superficie del lago. Sì,
c’è un uomo, che nuota con bracciate energiche. Gli si vede solo la testa,
calva e barbuta, e a tratti le braccia, molto villose, ma è certamente lui.
Mike annuisce. Douglas Bearhunter è un uomo morto:
ormai non ha scampo. La caccia è conclusa, ma Mike non è soddisfatto come
dovrebbe essere. Sulla
riva ci sono i vestiti e le pistole. Rimanendo al coperto, Mike si avvicina:
vuole essere sicuro che Douglas non possa recuperare le armi quando uscirà
dal lago. Rimane
in silenzio a osservare. Dopo un po’ Douglas si avvicina a riva con bracciate
energiche: quell’uomo è davvero una forza della natura. Emerge dall’acqua,
gocciolante. Alto, massiccio, molto muscoloso, con un ventre prominente, come
Mike se lo ricorda: un vero Ercole. È proprio un gran bel maschio. Quando è
ancora immerso fino alle cosce, Douglas si guarda intorno. Si è accorto di
Mike? No, sembra solo un generico controllo. In ogni caso è troppo tardi per
lui Esce
e Mike può vederlo per intero, compreso il cazzo da cavallo, che a Mike fa
venire l’acquolina in bocca: da troppo tempo non scopa, da quando Peter se
n’è andato. Mike si accorge che gli sta venendo duro. Ignora la propria erezione
ed esce allo scoperto. Avanza verso Douglas, tenendolo sotto tiro. -
Sei in arresto, Douglas Bearhunter. Douglas
lo guarda. Lancia un’occhiata alle sue pistole, ma sa benissimo che non
riuscirebbe a prenderle: Mike è troppo vicino. Douglas
guarda lo sceriffo e gli dice: -
Sparami, figlio di puttana. Mike
lo guarda, stupito. Di solito un fuorilegge catturato non chiede di farsi
ammazzare: spera di riuscire a fuggire, di salvarsi in qualche modo. -
Non intendo ammazzarti, se non fai cazzate. Ti porterò a Grandridge. -
Per impiccarmi? Sparami adesso. Non ci tengo a finire impiccato per il
divertimento di qualche coglione. -
Il processo te lo faranno a Redpool. Ti consegnerò
allo sceriffo Craig. -
Sei d’accordo con quell’altro figlio di puttana, vero? -
È lui lo sceriffo ed è là che ti giudicheranno per l’omicidio. -
Non ho ammazzato quel tizio, io. L’ha fatto uno mandato da Craig, che è
riuscito a far ricadere la colpa su di me. Per consegnarmi ai suoi uomini,
tanto vale che mi ammazzi. Mike
ha l’impressione che Douglas non menta, ma questo non cambia nulla: non può
certo lasciarlo libero. -
Muoviti a spararmi! Mike
scuote la testa, senza dire nulla. -
Tanto non riuscirai a portarmi a Redpool! Mike
raggiunge i vestiti di Douglas, prende il cinturone con le pistole e
controlla che non ci siano altre armi. Poi dice: -
Rivestiti. Douglas
ride e si dirige verso Mike. Lo sceriffo fa due passi indietro, ma il bandito
continua ad avanzare. -
Fermati o sparo. -
Spara. Mike
ha la gola secca. Non vuole ucciderlo, non è neppure sicuro che sia
colpevole. Ma ora Douglas è molto vicino e Mike sa che deve sparare o sarà
troppo tardi. Douglas aspetta, poi vedendo che Mike non si muove, balza in
avanti. Riesce ad afferrare il polso di Mike, ma non a impedirgli di sparare.
Il colpo prende il bandito al ventre, poco sotto l’ombelico. Douglas non
molla la presa e colpisce Mike con un pugno. Lo sceriffo riesce a mantenere
la canna della pistola diretta contro il ventre del bandito e spara ancora.
Un secondo foro si apre più in basso, tra i peli del pube. -
Merda! Douglas
ha ancora la forza di lottare, anche se Mike si rende conto che non reggerà a
lungo. Spara ancora un colpo: tanto ormai non potrà portare Douglas vivo da
nessuna parte. Il terzo colpo arriva alla base del cazzo e quasi lo stacca.
Il bandito ha una smorfia di dolore. Lascia la presa, barcolla e guarda Mike
negli occhi. -
Ora ti decidi a finirmi, stronzo? Mika
annuisce e mira al cuore. Due colpi. Il colosso si abbatte a terra. Mike
guarda il cadavere. Si
dice che è meglio così: cercare di portarlo in città sarebbe stato troppo
pericoloso. Ma in bocca ha un sapore amaro. * I colpi alla porta fanno
sussultare Ferdinando. Chi è? E perché bussa invece di suonare il campanello?
Ferdinando si alza e in quel momento sente nuovi colpi. E che cazzo!? Un
momento di pazienza! Vuole sfondare la porta, ‘sto stronzo? Ferdinando apre la porta.
Davanti a lui c’è un uomo, sui quaranta, molto alto, massiccio, muscoloso, un
ventre prominente, calvo, con una fitta barba scura. È vestito da cow-boy e
in mano ha una pistola, che ora preme contro il ventre di Ferdinando. - Douglas… - Douglas Bearhunter, esattamente. Hai capito benissimo, coglione. - Io… io… - Tu cambi quella storia o
ti riempio di piombo. Hai capito? - Sì… sì… io… Ferdinando vorrebbe dire:
“È stato Mike!”, ma anche nello stato di confusione mentale in cui si trova,
si rende conto che non funzionerebbe. - Muoviti. Se non sistemi
‘sta storia, torno e ci sarà un altro cadavere. - Vado. Vado subito. Douglas grugnisce qualche
cosa, si volta e se ne va. Ferdinando chiude la porta e ci si appoggia: le
gambe non lo reggono. Sta impazzendo? Ma quella pistola era maledettamente
reale. Deve cambiare la storia, deve farlo subito. Arriva alla scrivania, alquanto
malfermo sulle gambe. Si siede. Guarda la pagina al computer. Cancella subito
la parte in cui Mike ammazza Douglas. Si chiede se non
cancellare tutto. Forse sarebbe la cosa migliore. Ma se a quei due non
andasse bene? Con quelli non si può ragionare. No, deve cambiare la storia,
non eliminarla. Come? Non può far morire né Mike, né Douglas. Merda! Come
uscire da questa situazione? Se i due si incontrano e uno non ammazza
l’altro… possono fare qualche cosa di diverso, ovviamente. Ferdinando è o non
è un autore di racconti (anche) erotici? Può prendere qualche brano da quel
racconto nero che ha scritto tempo fa e modificare il finale. Sì, sì, si può
fare. Riprende dal punto in cui
Douglas si avvicina a Mike. Mike
ha la gola secca. Non vuole ucciderlo, non è neppure realmente convinto che
sia colpevole. Ma ora Douglas è molto vicino e Mike sa che deve sparare o
sarà troppo tardi. Douglas sorride. Mike gli dice; -
Stai per crepare, Douglas! Douglas
alza le spalle: non ha paura di crepare. Se è arrivata la sua ora, pazienza.
Non ha voglia di vivere da bandito, sempre braccato. Quel figlio di puttana
dello sceriffo Craig lo ha incastrato, addossandogli un omicidio che lui non
ha commesso. In ogni caso non intende lasciarsi impiccare. Questo stronzo
dovrà sparargli. Douglas
guarda lo sceriffo. Nota che Mike gli sta fissando il cazzo. Già, a Mike
piacciono i cazzi. Forse… Douglas si ferma. Incomincia ad accarezzarsi i
coglioni e il cazzo, tranquillo, come se non avesse davanti un uomo armato
pronto a sparargli. -
Va bene, sceriffo. Sparami. Sorride,
mentre il cazzo gli si tende in fretta. Mike lo fissa. Non riesce a
distogliere lo sguardo da quel formidabile arnese che sta crescendo e
irrigidendosi. Douglas continua ad accarezzarsi. Ora il cazzo è duro e teso
come la canna di un fucile. Douglas lo stringe con la sinistra, mentre con la
destra si gratta i coglioni. Mike
ha abbassato il braccio con l’arma, senza nemmeno rendersene conto. Non
smette di fissare come incantato il cazzo di Douglas, che svetta grande e
rigido. Douglas continua a stuzzicarsi. -
Ti piace, eh? Hai voglia di gustarlo, come ai vecchi tempi! Mike
si tende. -
Pezzo di merda! Ti riempio di piombo. -
Sì, sì, lo so. Va bene anche a me, te l’ho detto. Meglio il piombo che la corda.
Ma adesso hai voglia di gustare questo cazzo. Douglas
si mette le mani sul basso ventre, i pollici uniti sopra il cazzo, gli indici
che si toccano dietro i coglioni. Mike
non dice nulla. Douglas sorride. -
Ce li hai i coglioni per fare quello che desideri? -
Quello che desidero è ammazzarti, pezzo di merda! -
Non eri così impaziente di ammazzarmi cinque minuti fa, sceriffo. Comunque
puoi farlo, ma dopo. Prima vuoi assaggiare questo. O non ce li hai proprio i
coglioni per farlo? Mike
è sicuro che Douglas ne approfitterebbe per ammazzarlo. Scuote la testa. -
Pensi che io sia proprio un coglione, Douglas? Disposto a farmi ammazzare per
gustare il tuo cazzo? Sarai tu a prendertelo in culo, quando ti avrò riempito
di piombo, e poi ti lascerò agli avvoltoi: è quello che meriti. Douglas
scuote la testa. -
Come vuoi, sceriffo. Per me finire in una bara o essere spolpato dagli
avvoltoi, fa poca differenza. Ma tu sei senza coglioni, sceriffo. Poi,
fingendo di ignorare del tutto Mike, riprende a stuzzicarsi il cazzo e i
coglioni. Mike lo fissa. Ha la gola secca. Deglutisce. Il desiderio è una
morsa che gli strizza i coglioni. Douglas
sceglie il momento in cui lo vede di nuovo abbassare un po’ la pistola. In un
attimo gli è addosso e lo colpisce con un pugno al ventre, mentre con l’altra
mano gli blocca il polso. Mike spara, ma ormai la pistola non è più puntata
su Douglas. Douglas
colpisce Mike tre volte. Ogni pugno è un macigno. Mike si piega su stesso,
non riesce più a stare in piedi. Mike
è a terra, incapace di rialzarsi. Douglas gli ha preso la pistola e la getta
lontano. -
Adesso ti faccio assaggiare quello che vuoi, sceriffo. Mike
annuisce. La sua vita è alla fine e gli va bene che Douglas lo fotta. È un
buon modo di finire. Douglas
lo spoglia, con movimenti decisi. Mike non oppone resistenza: non ha ancora
ripreso le forze. Dopo avergli tolto stivali, pantaloni e mutande, Douglas lo
volta sulla pancia. Gli afferra il culo e divarica le natiche, sorridendo.
Sputa sul buco e sparge la saliva, due volta. Poi si inumidisce bene la
cappella. Mike si tende. -
Ora, sceriffo, ora. Mike
si aspetta che entri con violenza, ma Douglas spinge in avanti il cazzo con
grande lentezza. Forza l’anello di carne, si ferma un momento, per dare a
Mike il tempo di abituarsi, e poi affonda il cazzo, piano, fino a che i
coglioni toccano il culo dello sceriffo. È
doloroso, lo è sempre stato, perché Douglas ce l’ha troppo grosso, ma è anche
bellissimo. Mike sente che il cazzo gli si tende. C’è un lungo momento in cui
rimangono entrambi immobili, poi Douglas incomincia a fottere Mike. È bravo a
fottere, Douglas. Il suo cazzo entra fino in fondo e poi quasi esce, in un
movimento interminabile. Mike sente il piacere crescere. È bellissimo. Mike è
sicuro che Douglas lo ammazzerà, ma prima di morire il bandito gli regala la
migliore scopata della sua vita. Douglas
scopa a lungo: è sempre stato un ottimo stallone. Questo culo che sta
fottendo gli piace un casino, Mike gli è sempre piaciuto, ma questo stronzo
se n’è andato da Redpool e ora lo voleva far
impiccare. Non ha importanza, Douglas vorrebbe fotterlo per sempre. Infine
Douglas viene, con un grugnito, e anche Mike viene, con una serie di gemiti. Rimangono
immobili a lungo, Poi Douglas mette le braccia intorno a Mike e,
stringendolo, si volta sulla schiena, in modo che Mike sia sopra di lui. Lo
accarezza. Mike
non capisce: tutto si aspettava, fuorché le carezze. -
Potrei ammazzarti ora, sceriffo, ma non intendo farlo. Non è colpa tua se
quel bastardo di Craig ti ha fatto credere che fossi un assassino. So che di
te ci si può fidare. Promettimi che non cercherai di fermarmi e ti lascio
libero. Mike
sta benissimo così: il corpo di Douglas sotto il suo, le braccia che lo
stringono, il cazzo ancora in culo. In questo momento non gli interessa la
libertà, preferisce questa prigionia. Sorride
e dice: -
Te lo prometto. Non credo che tu abbia ucciso quel tizio. È
vero, Mike è sicuro dell’innocenza di Douglas. -
E fai bene a non crederci. Rimangono
distesi. Mike si addormenta. Douglas lo lascia dormire. Dopo un po’ anche lui
scivola nel sonno. * Ferdinando rilegge quanto
ha scritto. Quei due dovrebbero essere soddisfatti. Una bella scopata non si
nega a nessuno. Si sono promessi di non farsi del male e la storia finisce
così. Ovviamente Ferdinando non pubblicherà il racconto sul suo sito: non
dice niente. Ma almeno quei due lo lasceranno in pace. Il giorno dopo Ferdinando
decide di incominciare a scrivere un altro racconto, di ambientazione
contemporanea. L’idea gli è venuta vedendo le immagini di Nick Pulos, a cui ha dedicato una galleria. Ha pensato a un
personaggio molto forte (e alquanto dotato, come succede spesso nei racconti
erotici), con una faccia da stupido, ma in realtà intelligente e sensibile.
Ha già scelto il titolo: Faccia da
coglione. Un titolo insolito, perché di solito non usa parole troppo
forti nel titolo, ma quella frase è la chiave di volta del racconto. Sono passati tre giorni,
in cui Ferdinando ha lavorato al nuovo racconto. È soddisfatto perché la
storia sta sviluppandosi bene. Nel pomeriggio esce per la
sua solita passeggiata. Se li trova davanti a una
svolta del sentiero. Gli sfugge un: - Cazzo! Ancora loro. L’ha detto sottovoce. I
due sono alquanto vicini. Non hanno l’aria truce di quando li ha incontrati
la prima volta, non sembrano minacciosi, ma Ferdinando preferirebbe essere da
un’altra parte. O, per essere più esatti, preferirebbe che loro fossero da
un’altra parte. Peccato che siano proprio lì. È Mike a parlare per primo: - Senti, sono tre giorni
che non lavori alla storia. Ferdinando non sa bene che
cosa dire. Lui non ha nessuna intenzione di “lavorare alla storia”. Non è una
storia, quella, e per lui è finita lì. Ha fatto quello che gli hanno chiesto
ed è più che sufficiente. Ha però l’impressione che sia meglio non dirlo, per
cui si limita a un generico: - Ho avuto molto da fare. Douglas interviene,
piuttosto brusco: - Non intenderai mica
lasciarci così, vicino alla pozza? La scopata ci è piaciuta, va benissimo, ma
la storia è rimasta in sospeso. Mike sorride e dice: - Perciò adesso vai a casa
e riprendi la storia. Che succede dopo? - Ecco, io… non ci ho
ancora pensato. Douglas risponde, - Allora è il caso che tu
vada a casa a pensarci, invece di andare a spasso e non fare un cazzo.
Muoviti! Ferdinando vorrebbe
replicare che avrà pure il diritto di riposarsi ogni tanto, ma ci sono sempre
quegli argomenti appesi alle cinture di questi due tizi. Quattro argomenti,
visto che sono in due e hanno due pistole a testa. Argomenti di un certo
peso. Ferdinando ritorna a casa,
di pessimo umore. Scriverebbe volentieri un seguito in cui arriva lo sceriffo
Craig con il suo complice e fanno fuori i due alla pozza, magari in modo
alquanto efferato: quando vuole sa essere particolarmente sadico. Ma
Ferdinando preferisce non correre rischi: non ha argomenti da contrapporre a
quelli dei due. Si mette a scrivere.
Questa volta almeno non deve cancellare niente. * Mike
riemerge dal sonno. -
Ti sei svegliato, dormiglione? -
Uhm, più o meno. -
Sei pesante. È ora che tu ti alzi. -
Pesante, io? Senti chi parla! Douglas
ride. -
Brutto stronzo! Si
alza, facendo scivolare Mike a terra. Anche lo sceriffo si alza, ridendo. Douglas
si dirige alla pozza ed entra in acqua. Mike lo imita. Sguazzano un po’, si
spruzzano l’acqua addosso, poi escono. Mike
guarda Douglas, sul cui corpo l’acqua scorre a rivoli. Fissa il grosso cazzo.
Il desiderio lo prende. Douglas lo guarda e capisce. Sorride. Poi dice, senza
più sorridere: -
In ginocchio! Mike
si mette in ginocchio davanti a Douglas. Guarda il magnifico cazzo e i
coglioni. Davvero un’attrezzatura fantastica. E il fuorilegge sa come usarla,
questo Mike può garantirlo. Il culo gli fa ancora un po’ male, ma ne valeva
la pena, altroché. Vuole
assaggiare il cazzo di questo gran maschio che lo ha fottuto: se l’è preso in
culo, potrà almeno scoprire che gusto ha, no? Non è proprio una scoperta, l’ha
già fatto, ma sono passati quattro anni dall’ultima volta. Mike
poggia le mani sulle cosce di Douglas, poi incomincia a passargli la lingua
sul cazzo, che nuovamente si tende. Mike percorre con la lingua l’asta, da
sotto a sopra e poi al contrario. Dopo la lingua scende ai coglioni, grossi,
duri. Douglas è davvero un toro da monta. Mike avvolge con le labbra la
cappella e incomincia a succhiare. Douglas
sorride e gli accarezza la testa con la mano. Mike
si rende conto di essere sul punto di venire. Si avvicina ancora a Douglas,
in modo che il suo cazzo strusci contro la gamba e i peli gli solletichino la
cappella. Douglas
si tende e con un mugolio viene. Mike inghiotte. E dai suoi coglioni sente
che il piacere sale. Un po’ di sborro schizza verso l’alto e ricade sulla
gamba di Douglas. Rimangono un momento così, poi Douglas si stacca e si
sciacqua la gamba. Si rivestono, in silenzio. Ogni tanto si guardano,
smarriti. Quando
sono pronti, Mike dice: -
Dovrei arrestarti, Douglas. -
E io dovrei spararti. Ma ci siamo detti che nessuno dei due ha intenzione di
fare quello che dovrebbe fare. O mi sbaglio? Mike
sospira e risponde: -
Non ti sbagli. Poi
aggiunge: -
Telegraferò a Craig che hai lasciato la zona e ti hanno visto dirigerti in
Messico. -
Grazie, sceriffo. Douglas
sorride e si corregge: -
Grazie, Mike. Douglas
sale a cavallo, lo sprona e si allontana. Non si volta. Mike lo guarda
diventare sempre più piccolo e poi sparire. China il capo. * Ferdinando rilegge quello
che ha scritto. Non è un brutto finale. Non è neanche un capolavoro, però non
è male. Hanno scopato ancora e si sono lasciati tranquilli. Ognuno può
riprendere la sua vita. Il giorno dopo Ferdinando
esce per la sua solita passeggiata. Spera di non incontrare i due, ma non si
stupisce quando li vede seduti vicino al lavatoio. È Mike a sbottare, quando
lui si avvicina: - Senti, ma lo fai
apposta? Douglas rincara: - O invece sei proprio
tanto coglione da non capire? Ferdinando davvero non
capisce. Preferisce, per motivi noti, non prendere nota dell’insulto. - Ma… che cosa c’è?
Un’altra bella scopata e ognuno per la sua strada. Non va bene? - Vogliamo un bel lieto
fine. Scrivi sempre racconti con un lieto fine, e vissero felici e contenti e
tutte quelle cazzate lì, proprio a noi due tocca separarci? Ferdinando vorrebbe
obiettare che ha scritto anche racconti senza lieto fine, ma è vero che sono
pochi e poi ha l’impressione che con Mike e Douglas sia inutile discutere: è
la solita faccenda degli argomenti molto convincenti che quei due portano al
cinturone. - Va bene. Ferdinando torna a casa.
Nell’ultima settimana alcune delle sue passeggiate settimanali sono state
alquanto brevi: e dire che aveva scelto la campagna per fare lunghe
passeggiate. Merda! Cancella la parte in cui
Douglas sprona il cavallo e si allontana. * Douglas
sale a cavallo. Mike si sente sommergere da una tristezza sconfinata. Gli
spiace perderlo di nuovo. Il nome gli sfugge: -
Douglas! Douglas
gira la testa. Si guardano. -
Non te ne andare, Douglas. Douglas
sorride. Scende da cavallo e guarda Mike. -
Non ho molti motivi per andarmene, se tu fai credere a Craig che sono in
Messico. -
Potrei fargli credere che sei morto, che ti ho ucciso da queste parti: così
siamo sicuri che nessuno ti cercherà. -
Mi sembra una bellissima idea. Si
guardano, senza dire nulla. È
Mike a parlare: -
Vieni con me a Grandridge? -
Mi ospiti tu? Mike
si gratta la testa. -
Troveremo una sistemazione, in modo che tu possa venire da me facilmente, senza
che la gente sparli. -
Avrei un’idea. -
Quale? -
Non hai bisogno di un vice? A un vice devi offrire un alloggio. Mike
sorride, ma il cuore gli batte più forte. -
Se ti prendo come vicesceriffo, mi sa che avrò difficoltà a cavalcare: avrò
sempre male al culo. -
Ti abituerai. E quando il culo ti fa troppo male, vado io al tuo posto. Mike
annuisce. Douglas chiede: -
Allora, qual è la tua risposta? Mike
si avvicina a Douglas, gli prende la faccia tra le mani e lo bacia. Quando si
staccano Douglas chiede: -
È un sì? -
È un sì. * Va bene. Con questa è
chiusa e non se ne parla più. Hanno avuto ciò che volevano, adesso basta. Qualcuno bussa. Ferdinando
guarda la porta. Vorrebbe gridare che non è in casa, ma si alza. Esita un
attimo, si dice che sarà un vicino di casa (che non ha visto il campanello?),
poi raggiunge la porta e la apre. Sulla soglia ci sono
Douglas e Mike. Oh, no! Ancora?! Che cazzo
vogliono, adesso, questi due? Ancora altre pretese? Mike sorride. - Siamo venuti a
ringraziarti. Il finale ci è piaciuto molto. - Sono contento. - Davvero un bel finale. E
allora ti ringraziamo. Ferdinando annuisce. Che
deve dire? Grazie del ringraziamento? Quello che vorrebbe dire è “Levatevi
dai coglioni”, ma evita, per motivi ben noti. Douglas si sta guardando
in giro. - Dov’è la camera da
letto? Mike ride: - Come sei impaziente! - Sai che vado per le
spicce. Mike si rivolge a
Ferdinando: - Va per le spicce, ma a
letto fa faville. Questo lo sai, comunque: l’hai fatto tu così. Douglas ha aperto la porta
della camera da letto. - Ecco qui. Si abbassa le
bretelle e incomincia a sbottonarsi la camicia. Compare una vera foresta di
peli Mike mette una mano sulla
spalla di Ferdinando e lo spinge verso la camera. Gli ospiti se ne vanno
dopo due ore. Due ore molto intense e molto calde. Ferdinando è soddisfatto
della scopata, ma soprattutto è felice di essersi sbarazzato di quei due
rompicoglioni. Gli lascia il tempo di allontanarsi, poi esce di casa
fischiettando. Il suo buon umore dura
dieci minuti, il tempo di arrivare al grande noce ai margini del sentiero. Ci
sono due tizi vestiti da cowboy, uno con le pistole, l’altro senza armi. Uno è un uomo sui
trentacinque anni, biondo, con gli occhi azzurri, un sorriso dolce e un po’
triste. Ferdinando sa chi è: il pastore che doveva salvare il cacciatore di
taglie, uccidendo Douglas. L’altro ha pochi anni in più, è magro, capelli
neri e grigi, lineamenti duri. Ha un cazzo molto grosso: non si vede, ma
Ferdinando lo sa, perché l’ha immaginato così (nelle sue storie c’è spesso
qualcuno di molto dotato, in questa ce n’erano due: Douglas e il cacciatore
di taglie). È lui che porta le pistole, ovviamente: un cacciatore di taglie
ha sempre le pistole. Ferdinando li guarda.
Vorrebbe voltarsi e andarsene, ma la faccenda delle pistole lo preoccupa. Quando è di fronte ai due,
Abraham gli parla. Abraham è il pastore, quello buono. Non c’è aggressività
nella sua voce. - E noi due? Sono solo da
quando avevo sedici anni. Sai che cosa ho passato nella mia infanzia, l’hai
pensata tu. E adesso che potevo finalmente incontrare l’uomo con cui
condividere la mia vita… cancellato. Cancellato io, cancellato lui, come se
non fossimo mai esistiti? Ferdinando potrebbe
obiettare che loro non sono mai esistiti, in effetti: erano soltanto nella
sua testa, ma lui non ha mai scritto niente su di loro. Li ha pensati, ma non
creati. Il problema è che Steve, il cacciatore di taglie si chiame Steve, ha
un’aria assai meno angelica di Abraham e ha le pistole. D’altronde in un
western chi non ha le pistole? Giusto uno come Abraham. Steve è di poche parole: - Quello da ammazzare può
essere qualcun altro, no? Lo sceriffo Craig è stato scoperto ed è in fuga.
Oppure lo hanno linciato ed è il suo complice a scappare. C’è una taglia su
di lui e io voglio la taglia. Qualche cosa del genere, vedi tu, sei tu lo
scrittore. Che ne dici? Ferdinando ha
l’impressione che in quel “Che ne dici?” ci sia una nota vagamente
minacciosa. Forse il “vagamente” è superfluo. Sorride e dice: - Certo, certo, vado
subito a casa a scrivere. Rientra. Beve un po’ di
succo di frutta e mangia due biscotti. Poi accende il computer e dopo aver
giurato che questo è l’ultimo racconto western che scrive nella sua vita,
dovesse pure campare fino a cent’anni, incomincia. * Lo
sceriffo Craig è a terra. Il sangue gli cola dal naso spaccato e dal labbro
inferiore. Gli
uomini lo prendono a calci e lo insultano. Sono furibondi. Hanno scoperto che
il loro sceriffo è complice di un assassino che ha già ucciso tre persone.
Jason Craig ha fatto ricadere la colpa del primo omicidio su Douglas Bearhunter, che è dovuto scappare e poi a quanto pare è
stato ammazzato da un altro sceriffo. Ha cercato di coprire anche gli altri
due omicidi, ma l’assassino è stato smascherato e ora è in fuga. Craig non ha
fatto in tempo a scappare, ha capito troppo tardi di essere stato scoperto e
adesso per lui è finita. Sarà processato e impiccato. Gli
uomini però vogliono vendetta subito. Non intendono aspettare il processo:
sulla colpevolezza dello sceriffo non esistono dubbi. Si incitano a vicenda e
Craig viene legato. Poi lo trascinano alla grande quercia che viene
utilizzata per i linciaggi, quando non si perde tempo a costruire una forca. Craig
si ribella: non vuole morire. Ma ha le mani legate dietro la schiena e non
può lottare. Uno degli uomini lo mena ancora, assestandogli due pugni al
ventre. Craig cadrebbe a terra, se non lo sostenessero. Il cappio è pronto e
viene passato sulla testa dello
sceriffo, che ancora si dibatte. Altri due pugni spengono ogni volontà di
resistenza. Il cappio viene stretto intorno al collo. L’uomo che lo ha
colpito lo fa salire su una cassa di legno e un altro fissa la corda. Poi
l’uomo molla un calcio alla cassa, che viene spinta via. Craig
cade: un piccolo salto che non è sufficiente a spezzargli il collo e a
regalargli una fine immediata. Si dibatte a lungo, mentre gli uomini
tutt’intorno lo deridono e lo insultano. A un certo punto incomincia a
pisciarsi addosso, mentre la folla sghignazza. Dopo pochi minuti i movimenti
rallentano e infine il cadavere dello sceriffo Craig penzola immobile dal
ramo dell’albero. Alcuni degli uomini estraggono le pistole e sparano.
L’impatto dei proiettili fa oscillare il corpo senza vita. -
Ha avuto quello che si meritava. -
Adesso bisogna beccare quell’altro figlio di puttana. L’altro
figlio di puttana è Patrick O’Connor, l’irlandese
che ha ammazzato tre uomini. -
Potremmo rivolgerci a Johnson. Steve
Johnson è tornato a Redpool da due anni, dopo un
lungo periodo in cui è stato lontano: prima ha combattuto nella guerra di
Secessione, poi ha trascorso dodici anni nelle terre di frontiera, dove si è
trovato ad affrontare gli indiani e numerosi banditi. È un ottimo tiratore e
ha ucciso alcuni banditi che imperversavano nella zona, dimostrandosi più
efficiente dello sceriffo. Lo considerano un cacciatore di taglie, perché ne
ha incassate alcune uccidendo quei banditi. In realtà Steve è sempre
intervenuto su richiesta di mandriani e fattori che venivano attaccati dai
fuorilegge. La ricompensa gli interessa poco. Steve
ha assistito anche lui al linciaggio, senza partecipare attivamente. Quando
gli fanno la proposta, esita un momento, poi accetta. Se non fosse che uno
dei tre uomini uccisi era un suo amico, uno dei pochi che aveva a Redpool, rifiuterebbe. O’Connor
è fuggito da poche ore, ma ormai è notte ed è inutile mettersi al suo
inseguimento: per seguirne le tracce serve la luce del giorno. Steve
parte il mattino dopo, prestissimo. Non gli è difficile trovare le tracce
dell’assassino, che si è diretto verso ovest: spera in quelle terre selvagge
di far perdere meglio le sue tracce. Forse mira ad arrivare in California. Steve
cavalca tutto il giorno, con brevi soste per far riposare il cavallo. Si
ferma solo quando cala la notte. * Ferdinando si ferma. È
soddisfatto. Si è vendicato sullo sceriffo di tutti i guai che gli ha fatto
passare questa fottuta storia. Certo, adesso deve proseguirla. Ha incominciato il lavoro,
ma ora si prende una pausa. Al momento di uscire però è preso da un dubbio.
Non è che incontrerà lo sceriffo? Ferdinando esita. È sul
punto di ritornare indietro, ma poi si dice che non intende passare l’estate
chiuso in casa per paura di fare brutti incontri. E in ogni caso, se davvero
lo sceriffo si concretizza, verrà a cercarlo. Douglas è venuto a bussargli a
casa, accidenti a lui: non l’ha mica aspettato lungo qualche sentiero. Ferdinando esce.
Inizialmente si muove un po’ guardingo, timoroso di veder spuntare lo
sceriffo Craig a qualche angolo di strada, ma non c’è nessuno. Nessuno
vestito da cow-boy della seconda metà del XIX secolo. Ferdinando è sollevato.
A un certo punto si mette a fischiettare allegramente. Torna a casa e il giorno
dopo riprende il racconto. Sarà una cosa breve: non intende perdere altro
tempo. Steve fa quel che deve, quei due si mettono insieme e via. ‘Sto cazzo di racconto non intende pubblicarlo. * Il
terzo giorno Steve raggiunge la catena delle Green Mountains. Sono montagne
non molto elevate, fertili e ricche d’acqua; a sud degradano a formare
colline, le Grover Hills, più aride. Le
tracce gli dicono che O’Connor non è più lontano.
Ora Steve deve muoversi con grande prudenza: basta poco perché il cacciatore
diventi preda. E intanto c’è un altro problema: nuvole scure stanno coprendo
il cielo e presto incomincerà a piovere. La pioggia rischia di cancellare le
impronte lasciate dal cavallo dell’assassino. Steve
prosegue nella sua ricerca delle tracce, mentre il cielo diventa sempre più
scuro. Qualche goccia incomincia a scendere. Steve non se ne preoccupa, ma in
breve la pioggerella si trasforma in un diluvio: a Steve vengono in mente
certi passi della Bibbia, quando si parla delle cateratte del cielo che si
aprono. Un lampo illumina la notte e subito dopo un tuono esplode
vicinissimo, spaventando il cavallo. Solo con uno sforzo Steve riesce a
controllare l’animale. Deve
trovare un riparo. Dove può andare? Nel bosco, sotto gli alberi, per il
momento la pioggia è meno intensa, perché le foglie rallentano la discesa
dell’acqua, ma continuando così, presto anche lì pioverà a dirotto. Una
grotta potrebbe offrire un buon rifugio, ma dove trovarne una? Steve
dirige il cavallo verso un prato sul pendio: di lì dovrebbe poter vedere
l’area intorno e capire se c’è qualche possibilità di ripararsi. In
realtà non si vede niente: ormai è sera e tra i nuvoloni e la pioggia sembra
che sia notte. Ma un altro lampo squarcia le tenebre e dal prato Steve può
vedere, non lontano, una fattoria. Decide di provare. Purché lo facciano
entrare. In
pochi minuti raggiunge l’edificio. C’è un grande recinto, in parte coperto da
una tettoia. Le pecore rinchiuse si sono rifugiate al riparo: come dar loro
torto? Steve spera di poter fare altrettanto. Sta
per avanzare ancora, ma due cani si avvicinano abbaiando e ringhiando. Steve
si blocca. Intanto
la porta della casa si è aperta ed è apparso un uomo. Steve non può vederlo
bene, perché la luce proviene dall’interno, per cui è solo una sagoma scura
su uno sfondo luminoso. L’uomo
chiama i cani, che smettono subito di abbaiare. -
Chi sei? Steve
non scende da cavallo: preferisce non irritare i cani, che lo guatano
minacciosi. -
Mi chiamo Steve Johnson. Sono stato sorpreso dal temporale mentre cavalcavo.
Cerco un rifugio per me e per il cavallo. -
Porta il cavallo nella stalla. Tra
il recinto per le pecore e la casa c’è un edificio basso, che dev’essere una
piccola stalla. L’uomo rientra a prendere una lampada, poi raggiunge la porta
della costruzione bassa, rimanendo al riparo del tetto sporgente. Steve si
avvicina, smonta e guida il cavallo all’interno. Lo spazio è diviso in due
parti: a sinistra un’area per i cavalli, dove ci sono già un sauro e un bel
baio; a destra la stalla vera e propria, con una sola mucca e un
vitellino. Steve
sistema il cavallo vicino agli altri due. L’uomo
dice. -
È tutto bagnato. È meglio asciugarlo un po’. Ti do una mano. Mentre
si danno da fare con il cavallo, Steve ogni tanto lancia un’occhiata al
tizio. È un uomo sui trentacinque anni, biondo, con gli occhi azzurri; la
barba gli incornicia il viso: ha un bel sorriso, dolce e un po’ triste. È un
bell’uomo. Quando
hanno finito con il cavallo, l’uomo fa entrare i cani nel recinto delle
pecore, poi guida Steve nella casa. Quando sono dentro, dice: -
Mi chiamo Abraham. Abraham Sunder. -
Io sono Steve Johnson. Steve
sa che dovrebbe spiegare perché si trova lì, ma preferisce rimanere sul
generico: -
Sto cercando una persona, ma il temporale mi ha sorpreso e non sapevo dove
ripararmi. Abraham
lo guarda: -
Anche tu sei tutto bagnato. Togliti la giacca e asciugati vicino al fuoco. Steve
lo fa molto volentieri. Si siede davanti al camino. Sta bene al calore delle
fiamme. -
Stavo preparando la cena. Credo che anche tu abbia fame. -
Sì, certo, ma non voglio approfittare… -
Non è un problema. Abraham
sorride e aggiunge: -
E poi mi sentirei in imbarazzo a mangiare mentre qualcuno mi fissa affamato. Steve
ride. Abraham gli sembra simpatico. -
Ho un po’ di carne secca e altre provviste, per cui non soffrirei la fame. Ma
confesso che preferisco un piatto caldo, qualunque sia. -
Perfetto. Abraham
finisce di preparare, senza dire altro. Non chiede a Steve chi sta cercando e
perché. Meglio così. Si
mettono a tavola. Dopo tre giorni Steve può finalmente fare un pasto decente:
non è un banchetto, ma è buono e sostanzioso. Steve è soddisfatto. Al termine
della cena dice solo: -
Grazie. Steve
dovrebbe andarsene ora che hanno finito di mangiare, ma continua a piovere. I
fulmini illuminano il cielo e i tuoni sono assordanti. Il temporale è davvero
violento e non sembra voler diminuire d’intensità. Chiede: -
So che sto approfittando della tua ospitalità, ma posso chiederti di farmi
dormire nella stalla? Preferirei evitare di andare in giro con questo tempo. Abraham
ride -
Certo, ormai è notte e non credo che smetterà di piovere tanto presto. Ma non
ti faccio dormire nella stalla. C’è una seconda camera. Puoi dormire lì. L’idea
di dormire in un letto non spiace per niente a Steve: è abituato a stendersi
all’aperto, ma apprezza la comodità di un letto. Dopo
cena si siedono davanti al fuoco. Steve
non è molto loquace, ma dopo tre giorni di completo isolamento gli fa piacere
scambiare qualche parola. -
Vivi qui da solo? -
Sì, sono abituato a stare da solo. Ho un piccolo gregge, una mucca, due
cavalli, un orto e tre campi coltivati, che mi danno il necessario per
vivere. -
Hai dei vicini, qualcuno che vedi? -
Ci sono altre fattorie nella zona e ci si vede. Magari passa qualcuno da
queste parti o io passo da loro. Qualche volta ci sono piccole riunioni tra vicini.
Per certi grossi lavori ci si dà tutti una mano. -
Vai ogni tanto al saloon, a Black River? Non è lontano. -
Ci vuole mezza giornata ad andare e mezza a tornare. Non ne vale la pena, se
non ho acquisti da fare. Ci vado di rado. -
Io non sono particolarmente socievole, ma vivere così da solo quasi tutto il
tempo… non credo che mi piacerebbe. Abraham
fissa il fuoco, ma il suo sguardo sembra perdersi in lontananza. -
Quando sono venuto qui avevo bisogno di stare da solo, di rimettere insieme i
pezzi. Abraham
incuriosisce Steve, che chiede, pur sapendo di essere invadente: -
Posso chiederti come mai? Abraham
fissa Steve, poi abbassa lo sguardo. Del suo passato non parla mai. Agli
altri ha sempre raccontato che i suoi genitori sono morti e non ha più fratelli
o sorelle: è la verità. Ma quello che sta dietro a questa verità, non l’ha
mai detto a nessuno. Ora quest’uomo che non conosce gliel’ha chiesto. Abraham
si rende conto di aver voglia di parlare. Forse è più facile confidarsi con
uno sconosciuto, che non si vedrà più. Steve gli ispira fiducia, ma ancora
esita, per cui non risponde subito. Continua a fissare il fuoco. Steve
si dice che avrebbe fatto meglio a stare zitto. Si chiede se cercare un altro
argomento di conversazione o tacere. Prima che si sia dato una risposta,
Abraham parla: -
Non ho avuto un’infanzia felice. Mio padre era violento, beveva troppo e
quando beveva diventava ancora più brutale. Ci picchiava tutti: mia madre,
mio fratello maggiore, la mia sorellina. E me, naturalmente. La piccola Amy morì a sei anni. Mio padre l’aveva buttata a terra
con un ceffone e lei aveva battuto la testa. Morì dopo due giorni di agonia.
Le cose andarono sempre peggio. Mia madre pensava di fuggire con i due figli
che le erano rimasti, ma quando stava per farlo, mio padre lo scoprì. Uccise
mia madre e mio fratello che cercava di difenderla. Quando li vidi cadere,
scappai via. Mio padre mi sparò, ma mi mancò. Mi cercò per due ore, ma non mi
trovò. Allora tornò a casa e si uccise. Io avevo sedici anni. Steve
non sa bene che cosa dire. Che cosa si può dire davanti a una tragedia del
genere? -
Dev’essere stato terribile. -
Lo fu. Abraham
scuote la testa. -
Prima di quel momento mi piaceva sparare, andavo a caccia e mi esercitavo con
le pistole… dopo… non ho più toccato un’arma, non ne voglio sapere. -
Ma vivendo qui, isolato… Un’arma è necessaria. Come puoi farne a meno? Anche
solo per proteggere il bestiame. Non ci sono orsi, lupi? -
Non si vedono orsi da queste parti, stanno parecchio più a Nord. I lupi ci
vengono ogni tanto, ma di solito i cani li tengono lontano. -
Capisco. Io… Steve
scuote la testa. -
Che cosa? -
Io mi sentirei nudo senza un’arma. Steve
riflette un momento, poi dice: -
La persona che sto cercando è un assassino, che si trova da queste parti. Ha
ucciso tre persone. Si
è sentito tenuto a dirlo: tacendo gli sembra di tradire la fiducia di
Abraham. -
Sei un cacciatore di taglie? -
No, ma ho già ucciso banditi. Non mi diverto a uccidere, ma non è un problema
per me. Abraham
annuisce. -
E se adesso preferisci che me ne vada, dimmelo pure senza problemi. -
No, Steve. Ognuno vive come sa e come può. Parlano
ancora a lungo. Steve sta bene, seduto accanto al fuoco del camino, vicino ad
Abraham. È bello a parlare con lui. Gli piace il suo sorriso dolce, gli
piacciono quegli occhi chiari. Steve
non è stupido: capisce di essere attratto da Abraham. Ma non è proprio il
caso di provarci. Si
alza e dice: -
È ora che vada a dormire. Domani dovrò mettermi in caccia presto. Spero di
riuscire a trovare qualche traccia, ma con questa pioggia… -
È meno forte. Tra un po’ smetterà. -
Speriamo. Grazie, Abraham. Buona notte. -
Buona notte. * Ferdinando si ferma. La
scena funziona abbastanza. I due fanno conoscenza, Steve è attratto da
Abraham. In realtà è già qualche cosa di più di una semplice attrazione, ma
Steve non se ne rende conto. Che cosa prova Abraham, non viene detto, si dice
solo che Steve gli ispira fiducia. Anche per lui, non c’è solo quello che
viene espresso, ma per il momento è meglio rimanere sulle generali. Ferdinando esce per la sua
passeggiata. È allegro. Scambia qualche parola con un vicino che incontra,
fischietta. Si siede in riva al torrente e guarda l’acqua che scorre. Domani o al massimo
dopodomani conclude il racconto e non se ne parla più. Potrà godersi le
vacanze. * Steve
ha dormito bene. Ha sognato Abraham e ci è mancato poco che venisse nel
sogno. Buffo. Ma Abraham gli è piaciuto molto. Abraham
è già in piedi. Ha preparato la colazione. Steve mangia, ringrazia e va a
prendere il cavallo. Monta in sella, saluta Abraham, che è rimasto sulla
porta, e se ne va. Mentre si allontana, si dice che è stato bene da Abraham e
che si fermerebbe volentieri ancora, ma ha un compito da svolgere. Passa
la giornata cercando le tracce di O’Connor.
L’assassino è stato visto passare da due mandriani in una valle e da una
donna che sta in una delle fattorie. Steve raccoglie tutte le informazioni,
ma non riesce a capire dove è diretto O’Connor:
sembra quasi che giri in tondo. Ha deciso di fermarsi sulle Green Mountains?
Potrebbe essere un’idea, visto che non sono densamente popolate. Potrebbe
uccidere gli abitanti di una fattoria isolata e fermarsi lì. A
ogni buon conto Steve passa nelle diverse fattorie e avvisa tutti quelli che
incontra: devono stare in guardia, perché O’Connor
è un pericoloso assassino e ha già ucciso tre uomini. Conta che diffondano la
voce. Ad Abraham lo ha già detto, ma come può difendersi uno disarmato? Steve
si rende conto che il pensiero va spesso al bel pastore. Si dice che è buffo
che si preoccupi di uno che ha conosciuto il giorno prima. Ritrova
un’altra volta le tracce dell’assassino, che confermano quello che Steve ha
pensato: O’Connor deve davvero aver deciso di
rimanere in zona. Steve si muove con prudenza: quel bastardo potrebbe essersi
accorto che qualcuno lo segue e in questo caso cercherà sicuramente di
eliminare il suo inseguitore. Quando
scende la notte, Steve decide di fermarsi in una zona rocciosa, dove il
terreno è meno bagnato. Mentre smonta da cavallo, pensa ad Abraham. E se O’Connor decidesse di attaccare la fattoria? Abraham
abita da solo, è il bersaglio ideale. Steve
esita un momento, poi risale a cavallo. In un’ora raggiunge la fattoria.
Un’ora in cui prova una strana agitazione. Gli
apre Abraham e Steve si sente sollevato. -
Senti, Abraham, quell’assassino è in zona. Secondo me prima o poi attaccherà
qualche fattoria isolata, dove si rintanerà per un po’. Potrebbe essere
questa. Ho pensato di chiederti ospitalità per un’altra notte, tanto dovrò
rimanere in zona. Così ti tengo d’occhio. Abraham
sorride. È bello il suo sorriso. -
Molto volentieri. Poi
si rabbuia. -
Allora siamo tutti in pericolo. Bisogna avvisare le altre fattorie. -
L’ho già detto a parecchi. Ho passato la giornata girando da una fattoria
all’altra per chiedere se l’avevano visto e avvisarli del pericolo. Ho
trovato e perso le sue tracce alcune volte. Sembra girare in tondo. Deve
avere qualche idea in testa. Mangiano
insieme, Steve aiuta Abraham a sparecchiare e lavare i piatti e insieme
rifanno il letto per l’ospite. Poi si siedono di nuovo vicino al fuoco. Si
guardano ed entrambi tacciono. È un silenzio innaturale, che si prolunga,
senza che nessuno dei due osi spezzarlo. È
Steve a romperlo, cedendo a un impulso. -
Potremmo andare in camera tua. Che ne dici? Non
ha detto che cosa vorrebbe fare: gli è sembrato superfluo. Abraham annuisce,
senza dire nulla. Steve sorride. -
Allora andiamo in camera tua. Abraham
si alza. Sembra un po’ spaventato. Steve lo accarezza, poi lo stringe a sé,
in un abbraccio. In
camera Abraham lascia che le mani forti di Steve gli sfilino la giacca e la
camicia, gli calino i pantaloni e le mutande, lasciandolo nudo. Non dice
nulla, non si muove, se non quanto è necessario per assecondare i gesti di
Steve. Ha paura, ma il desiderio è più forte. Quando
Abraham è nudo, Steve lo guarda. Sorride e dice: -
Sei bellissimo. Poi
incomincia a spogliarsi. Abraham guarda il corpo che ora si svela, snello e
forte, i muscoli che guizzano sotto la pelle, le cicatrici, la leggera
peluria nera, il ventre, dove il pelame diventa una selva rigogliosa, contro
cui batte il cazzo, grosso e ormai rigido. Steve
ricambia lo sguardo, in silenzio, senza sorridere. Poi spegne la lampada. Ora
nella stanza entra solo la luce lunare. Steve
guida Abraham a stendersi sul letto, poi sale anche lui e si inginocchia.
Solleva le gambe di Abraham e se le mette sulle spalle. Inumidisce la
cappella con la saliva. Due dita umide si infilano tra le cosce di Abraham,
premono contro l’apertura, inumidendola. E poi è il cazzo a premere ed
entrare, mentre Steve si china e bacia sulla bocca Abraham. L’ingresso
è lento e le mani di Steve percorrono il corpo di Abraham in leggere carezze,
che a tratti diventano strette vigorose, mentre il cazzo affonda, fino a che
i coglioni battono contro il culo del pastore. La sensazione del cazzo che
gli scava nel culo è dolorosa, ma Abraham non vorrebbe che fosse diverso.
Vuole che Steve lo prenda e tutto il resto non ha importanza. Desidera questo
dolore e questo piacere, che dal suo culo si diffonde in tutto il corpo.
Steve si interrompe e la sua mano afferra il cazzo di Abraham e lo stringe,
muovendosi ritmicamente, prima piano, poi più rapida. Quando il pastore grida
e il seme schizza fuori, Steve riprende a spingere vigorosamente, travolto da
un desiderio che non lascia spazio ad altro. L’orgasmo
è un lampo accecante, che schianta Steve. Gli sembra di non riuscire a
reggersi. Esce, abbassa le gambe di Abraham e si abbandona sul suo corpo. Lentamente
i battiti del cuore rallentano, il respiro ritorna regolare. Abraham
abbraccia Steve. A trentasei anni, per la prima volta, un altro maschio lo ha
preso. -
È stata la prima volta, Steve. Grazie. Le
parole di Abraham sono un’ondata che investe Steve e lo travolge. Bacia
Abraham, poi scivola di fianco a lui. Lo guarda. Vorrebbe dirgli che lo ama,
ma prova vergogna. Chiede invece: -
Ti ho fatto male, Abraham? -
Va bene così, Steve. Va bene così. L’abbaiare
dei cani li scuote. Il pensiero di Steve va subito a O’Connor.
Si infila i pantaloni e gli stivali e impugna la pistola. -
Rimani qui, Abraham. -
No, vengo con te. Abraham
si è già infilato i pantaloni. Steve vorrebbe insistere, ma non vuole perdere
tempo. -
Stammi dietro, non sei armato. Guardano
dalla finestra: il paesaggio è illuminato dalla luna, ma non si vede nulla di
anomalo. I cani però continuano ad abbaiare furiosamente. Si dirigono verso
la porta d’ingresso, senza accendere la luce. La porta rimane in una zona
d’ombra e se c’è qualcuno fuori non potrà vederli. Aprono ed escono. Non
lontano dal recinto delle pecore possono distinguere le sagome di due lupi,
che si allontanano. -
I cani li hanno disturbati. -
Torneranno, ma non cercheranno di entrare nel recinto: i cani li tengono
lontani. Rientrano
e si coricano. Dormono nel letto di Abraham, abbracciati, e mai nessuno dei
due ha dormito così bene, anche se più volte i cani abbaiano furiosi. Si
alzano presto il mattino. Steve vorrebbe fare il bis della sera prima, ma
deve andare. Abraham prepara la colazione. Tutti e due vorrebbero dire
qualche cosa, ma non trovano le parole. Sono impacciati, quasi timorosi. Infine,
dopo aver mangiato, Steve dice: -
Cercherò quell’assassino e conto di trovarlo, ma poi tornerò qui, Abraham, se
lo vuoi. Abraham
sorride. -
È quello che desidero. Ma fa’ attenzione, Steve. Abraham
abbassa lo sguardo, poi aggiunge: -
Ho paura, Steve. Paura che ti succeda qualche cosa. -
Tornerò, Abraham. Steve
esce dalla casa. È una bella giornata e la facciata della casa è inondata dai
raggi del sole. Raggiunge la stalla. È appena entrato quando vede sul
pavimento l’ombra di qualcuno che si muove alle sue spalle, qualcuno che era
nascosto dietro la porta e ora si è mosso. Si getta a terra e il proiettile
passa sopra la sua testa. Prima che O’Connor spari
di nuovo, Steve gli salta addosso. Rotolano a terra. Il bandito è più grosso
e forte di Steve e gli assesta due pugni in faccia. Steve cerca di prendere
la pistola, ma O’Connor lo forza a lasciarla e la
spinge via con un piede. Il
bandito lo ha bloccato a terra. Steve sa di essere fottuto. O’Connor lo ha preso di sorpresa ed è più forte. Spera
che non uccida anche Abraham, ma sa che lo farà. -
Bene. Adesso crepi, bastardo. O’Connor
gli punta la pistola alla fronte. Lo sparo risuona in quel momento. O’Connor barcolla e cade addosso a Steve. Abraham
è in piedi sulla porta della stalla, la pistola di Steve in mano. -
Abraham! Abraham
trema. -
Non potevo lasciare che ti uccidesse. Steve
si libera del cadavere che pesa su di lui, spingendolo a terra. Si alza e
abbraccia Abraham. -
Non volevo… non potevo fare altrimenti. Steve
accarezza Abraham e lo guida a casa. Lo bacia, lo stringe e infine lo stende
sul letto. Abraham lo abbraccia e rimangono così, senza pensare all’uomo
ucciso. Poi
Steve si alza e Abraham lo imita. -
Tu rimani in casa. Penso io a tutto. -
Prima ti do una mano a lavarti la faccia. Steve
ha del sangue sulla faccia, ma non se n’è neanche accorto. Abraham lo pulisce
con uno straccio umido. -
Fa male? -
Solo un po’, il naso. Quando
Abraham ha finito, Steve lo bacia, poi esce, cerca il cavallo del bandito,
che non è lontano, legato a un albero. Lo porta alla stalla e ci carica il
cadavere, legandolo in modo che non cada durante il trasporto. Quando
ha finito ed è pronto per partire, rientra in casa. Abbraccia Abraham e gli
dice: -
Adesso torno a Redpool e consegno il corpo. Posso
tornare qui, dopo? Mi vuoi, Abraham? Abraham
sorride. -
Te l’ho già detto, sì. -
Volevo sentirtelo ripetere. * Ottimo. Il racconto è
quasi concluso. Il finale ricorda un po’ Mezzogiorno
di fuoco, con Abraham nella parte di Amy/Grace
Kelly. Non è un’idea originale, ma va bene così. Ferdinando si sente
euforico. Rimane proprio solo la conclusione, ma adesso ci vuole una
passeggiata. Almeno due ore a camminare tra campi e boschi. Le due ore si riducono a
meno di dieci minuti. A poche centinaia di metri dalla casa c’è un tizio,
vestito da cow-boy, con due pistole. Ferdinando lo riconosce subito,
d’altronde lo ha inventato lui. Ha la faccia di Bruno Bond, del periodo in
cui ha girato i primi film porno. Un maschio superlativo, ma in questo
momento Ferdinando non è nelle condizioni per apprezzarlo. Alla possibilità
di incontrare O’ Connor non aveva minimamente
pensato. O’Connor lo aspetta a braccia conserte.
Ferdinando vorrebbe tornare indietro, ma sa che è inutile. - Senti, pezzo di merda,
tu non mi fai morire ammazzato o io ti ammazzo. È chiaro? Ferdinando annuisce. È
chiaro, chiarissimo. È quello che si aspettava di sentirsi dire, l’avrebbe
potuto dire lui, poteva scriverla lui quella battuta. Poco originale,
comunque, già usata troppe volte, ma efficace. - Ora torni subito a casa
e cambi quel cazzo di finale. - Certo. Vado subito… era
solo un’idea. - Un’idea di merda. Ferdinando sorride (un
sorriso un po’ ebete, se ne rende perfettamente conto), annuisce e torna a
casa. Si siede alla scrivania. Non sa più che cosa fare. Come salvare O’Connor senza far morire Steve? O’Connor
è un assassino, quei tre non possono fare un terzetto amoroso. Oh, merda!
Merda! Mentre è seduto, alquanto
in crisi, gli sembra di sentire uno sparo in lontananza. Poco dopo bussano
alla porta (ma perché nessuno suona mai? Il campanello c’è). Ferdinando
sussulta. Dev’essere O’Connor. Ma lui è rientrato
da pochi minuti, quel farabutto non gli ha lascia il tempo di pensare che
cosa scrivere! Ferdinando apre. Non è O’Connor. È Steve Johnson, che sorride e dice: - Non ti preoccupare,
Ferdinando. Ho sistemato la faccenda. Finisci pure la storia. Quel bastardo
non ti darà più fastidio. Ferdinando si chiede qual
è il senso delle parole di Steve. C’entra lo sparo che ha sentito poco fa?
Preferisce non pensarci. - Sei sicuro? - Assolutamente sicuro.
Non sbaglio mai un tiro. Ferdinando si dice che
avrebbe fatto meglio a non chiedere. Steve se ne va. Ferdinando
non ha più voglia di uscire. Si siede al tavolo su cui ha sistemato il
computer. È ora di completare la storia. * Abraham
è seduto davanti alla sua casa. Ha sempre amato guardare il tramonto del sole
e, se non è impegnato in qualche lavoro, la sera si siede davanti a casa e
assiste allo spettacolo del sole che scompare dietro la cresta montuosa. Da
qualche tempo però la visione del tramonto non gli trasmette un senso di pace
e benessere, ma una tristezza infinita. Steve non è tornato. È passato un
mese ormai. Non
c’è stata nessuna comunicazione da parte sua e Abraham non ha chiesto
notizie. Non sa se gli sia successo qualche cosa o se abbia scelto di non
tornare. Preferisce pensare che sia stata una sua libera decisione. L’idea
che possa essere stato ucciso è troppo angosciosa. Abraham sente un vuoto
immenso dentro. Rientra.
Si prepara la cena e mangia. Dopo cena fa un giro fuori, per controllare che
sia tutto a posto, poi ritorna in casa. Accende il fuoco nel camino: ormai le
notti sono fredde. I
colpi alla porta lo fanno sussultare: non ha sentito arrivare nessuno. Il
cuore gli batte forte mentre va ad aprire. Sulla
porta c’è Steve, che fa un passo avanti e lo abbraccia, stretto. Abraham
si abbandona a quella stretta e lascia che le lacrime scorrano. L’abbraccio
accende il desiderio di entrambi. Steve guida Abraham nella sua camera. Dopo,
quando il desiderio è stato soddisfatto e sono stesi sul letto, sotto una
coperta, Steve spiega: -
Mi hanno messo in prigione, Abraham. -
In prigione? -
Sì. Sono tornato con il corpo di O’Connor, convinto
di ricevere una ricompensa, e invece mi hanno arrestato. -
Ma perché? -
Il linciaggio di Craig aveva messo in allarme il governatore, che ha fatto
intervenire l’esercito. Hanno arrestato tutti quelli che avevano partecipato,
beh, non tutti, quelli che hanno beccato. E hanno incominciato a indagare.
Appena ho messo piede in città, ovviamente hanno arrestato anche me: arrivo
con un cadavere. -
Non avrei mai pensato… -
C’è voluto un po’ prima che il maggiore si convincesse che Craig e O’Connor erano responsabili di tre omicidi. E che io
avevo svolto il mio compito e non ero un assassino. -
In prigione. Non mi era proprio venuta in mente questa possibilità. Non deve
essere stato piacevole. -
Di stare prigione non mi fotteva un cazzo, Abraham. Nella mia vita ho vissuto
mesi in posti molto peggiori di una cella. Fremevo perché non potevo tornare
da te, né avvisarti: preferivo non scriverti, perché non volevo che tu fossi
coinvolto. Abraham
annuisce. In effetti è stato lui a uccidere O’Connor.
Avrebbero potuto venire ad arrestare anche lui. -
Ma adesso è finita. E io sono qui. -
Per restarci? -
Sì, per restarci. * Sì, va bene. Prima un
momento di sconforto che fa pensare a un finale triste e poi il solito “E
vissero felici e contenti”. La scena finale somiglia molto alla conclusione
di “Il bastardo e il bandito”, ma va bene, tanto questo racconto non lo
pubblica mica. È solo perché non gli rompano i coglioni (sarebbe più esatto
dire: perché non gli sparino). Suonano alla porta. Non è
possibile. Se è O’Connor… Steve gli ha assicurato
che la faccenda è sistemata. Se è lui… gli dirà che non ha ancora avuto il
tempo di mettersi a lavorare alla storia… Oh, merda! Ma perché si è
impegolato in questa fottuta storia del cazzo? (Ferdinando di solito non è
così volgare, ma ci sono limiti a quanto uno è disponibile a sopportare). Ferdinando va ad aprire. Non è O’Connor.
Sono due agenti di polizia. Ferdinando li guarda stupito. - Buongiorno. - Buongiorno. Come si
chiama? - Mi chiamo Ferdinando
Neri. - Abita qui? - No, cioè… sì, ma solo
per un mese. Ho affittato la casa per tutto agosto. L’agente che ha parlato
annuisce. - C’è stato un omicidio.
Abbiamo trovato uno, vestito da cow-boy, ucciso con un colpo alla schiena,
qui vicino. Lei non ne sa niente? Ferdinando è sicuro di
sapere un sacco di cose: chi è la vittima, chi è l’assassino, qual è il
movente, l’ora del delitto. Persino l’arma del delitto conosce: una Colt SA Civilian. Non l’ha scritto nel racconto, ma ce l’ha bene
in mente. Sa tutto, ma ha la netta impressione di non poter dire nulla. - No, no… Io... due o tre
ore fa ho sentito uno sparo. Pensavo un cacciatore… La stagione della caccia è
chiusa, ma non è così rilevante. - Dov’era? - Come, dov’era? Lo sparo?
Non… Il poliziotto interrompe
Ferdinando. - Dov’era lei quando ha
sentito lo sparo? - Ah, io. Io ero in casa. - Sicuro? - Sì, certo, ero al
computer. - Non ha visto aggirarsi
un tizio vestito da cow-boy oggi o nei giorni scorsi? Ferdinando si dice che è
meglio rimanere fuori da tutta questa faccenda. La verità sarà anche la
strada migliore da percorrere quando c’è di mezzo qualche reato, ma se
raccontasse che un pistolero inventato da lui ha ucciso un bandito inventato
da lui perché non interferisse con il lieto fine della storia inventata da
lui… I manicomi non ci sono più, ma il reparto psichiatrico di qualche
ospedale non glielo toglie nessuno. - No… no… non ne so nulla. L’agente si gratta un
orecchio. - Eppure due testimoni
l’’hanno vista parlare con il morto, qui, sulla porta di casa, qualche ora
fa. Ferdinando si sente
gelare. Già avrebbe dovuto pensarci. Non è nel deserto o nelle Green
Mountains o nelle Grover Hills. La campagna qui è
popolata, La sua casa è visibile da diverse altre, ci sono sentieri e una
strada sterrata nelle vicinanze. Qualche ficcanaso c’è sempre. - Ah, sì, un tizio… ha
bussato. Mi ha chiesto la strada per Cortemilia. L’avevo dimenticato. Sì, era
vestito in modo buffo. Da cow-boy, lei dice? Non ci avevo badato. È lui il
morto? L’agente non risponde, ma
pone un’altra domanda. - E non ne ha visti altri? - Altri? - Altri vestiti da
cow-boy. C’è una nota di impazienza
nella voce dell’agente. - No… ecco, non mi pare… - L’hanno vista parlare
con due tizi vestiti così l’altro giorno. Qualcuno l’ha visto
parlare con Abraham e Steve o magari con Douglas e Mike. Porca puttana,
perché ha inventato tutti quei personaggi?! L’agente ha aggrottato la
fronte. Ferdinando sorride. È sicuro di avere un sorriso ebete in questo
momento (di nuovo). - Ah! Sì, ecco, forse… non
ricordavo. In effetti nei giorni scorsi… ho visto qualcuno. Pensavo che ci
fosse qualche festa in costume. Il secondo agente si
rivolge a quello che ha parlato e dice: - Deve soffrire di vuoti
di memoria, ‘sto tipo. Poi si gira verso
Ferdinando e gli dice: - Ma te la facciamo
tornare noi, la memoria. Ferdinando annaspa, non sa
bene che cosa dire. - Sono… stati giorni…
agitati…avevo sempre altri pensieri nella testa. - E adesso li abbiamo
eliminati i pensieri, eh? Prima che Ferdinando abbia
risposto all’agente, l’altro dice: - È meglio che lei venga
in commissariato. - Ma io… io non c’entro. Ferdinando vorrebbe dire
che è stato Steve Johnson, che possono trovarlo nel suo computer, ma teme che
questo non migliorerebbe la sua situazione. L’agente che ha parlato
per ultimo dice: - Venga con noi. Mi sa che
le conviene trovarsi un avvocato, signor Neri. 2023 |