Saga di Gullbjorn, figlio di Olaf Olaf, figlio di Ketil, figlio di Torolf, era un
nobile e uno dei maggiori proprietari terrieri della Norvegia. Quando re Harald Bellachioma s’impadronì
del potere e impose di versargli tributi, Olaf rifiutò di sottomettersi: egli
era un uomo libero, non un suddito. Egli consultò il dio Tor, cui
era devoto, e questi gli parlò attraverso un pastore, un ragazzo che Olaf non
aveva mai visto. Il giovane, che quel giorno pascolava le pecore non lontano
dal tempio, si rivolse a lui e gli disse: - La tua terra è
l’Islanda: lì potrai vivere libero, finché non sarai ucciso. E lì tuo figlio
ti vendicherà e compirà grandi imprese. Olaf aveva due figlie
femmine, ma nessun figlio maschio. Fu contento di sentire che avrebbe generato
un erede e che questi sarebbe stato un grande guerriero. Seguendo quella che
considerava la parola del dio, decise di lasciare le sue terre e allestì sei
navi, su cui presero posto la sua famiglia, i suoi servitori e molti amici
che scelsero di seguirlo. Egli caricò le sue mandrie, le sue greggi e gli
altri suoi beni. Fece smontare il tempio di Tor, di cui portò con sé le travi. Come gli era stato
prescritto, Olaf si diresse verso l’Islanda, una terra che altri avevano raggiunto
prima di lui. I venti furono favorevoli ed egli giunse senza difficoltà, con
tutte le sue navi intatte, alla grande isola dove aveva deciso di stabilirsi
per vivere da uomo libero. Costeggiò la costa fino a che arrivò a un fiordo molto
profondo, dove non si vedevano segni di presenza umana. Qui scese e prese
possesso della terra, dove allora non viveva nessuno: egli la chiamò perciò Fjordanfolks. Poco dopo l’arrivo la
moglie gli comunicò di essere incinta e nove mesi dopo la loro partenza dalla
Norvegia nacque un figlio maschio, Erik. In seguito le figlie di Olaf vennero
richieste in moglie da due potenti
signori dell’isola, che desideravano stringere un’alleanza con lui. Erik crebbe grande e
robusto come il padre. Per il suo pelame molto chiaro fu soprannominato Gullbjorn, l’Orso d’oro, e il nome che gli era stato dato
alla nascita finì per essere quasi completamente dimenticato. Presto divenne
il miglior guerriero dell’isola e nessuno poteva batterlo nell’uso delle
armi. Era un uomo generoso e leale, come il padre. Le grandi ricchezze di
Olaf destavano l’invidia dei suoi vicini, ma poiché egli era un uomo munifico,
sempre pronto ad aiutare chi ne aveva bisogno, era molto benvoluto. Non lontano dalle terre di
Olaf venne a stabilirsi Graugar, un uomo senza
scrupoli che aveva dovuto lasciare la Norvegia perché aveva ucciso suo
fratello. Aveva con sé nove uomini, compagni delle sue imprese, infidi e
spietati come lui. Graugar pensò che se Olaf fosse
morto, egli avrebbe potuto impadronirsi di una parte dei suoi animali e dei pascoli
di Fjordanfolks. Per questo era però necessario
uccidere anche Gullbjorn, che altrimenti avrebbe
vendicato il padre. Olaf, benché fosse
anziano, era ancora un grande guerriero e la fama di Gullbjorn
aveva raggiunto persino la Norvegia. Graugar non aveva
nessuna intenzione di sfidarli apertamente, sapendo che non sarebbe riuscito
a vincerli. Decise perciò di attaccarli in un momento in cui non fossero
armati e non avessero con sé i loro uomini. Graugar si rivolse a Hættu,
un potente incantatore, che viveva ai piedi del vulcano Eldfjall.
Egli era molto temuto in tutta la regione per la sua crudeltà. - Voglio uccidere Olaf e Gullbjorn. - Non è impresa da poco
quella che vuoi intraprendere. Sono entrambi molto più forti di te e sono in
grado di tenere testa a molti guerrieri. - Come posso fare per
ottenere la loro morte? - Devi attaccarli
separatamente: insieme non c’è modo di vincerli. - Lo farò. - Se saranno armati, non
riuscirai a vincere nessuno dei due. - E allora, che cosa posso
fare? - Olaf gira sempre armato,
ma io ti darò una rete invisibile: un tuo uomo la lancerà su di lui e così
potrai ucciderlo. - Benissimo. Posso usare
la stessa rete per Gullbjorn? - No, la rete si
dissolverà dopo che l’avrai usata una volta. Contro Gullbjorn
manda otto dei tuoi uomini, che lo trafiggano mentre tu uccidi Olaf.
Riusciranno nell’impresa, se sarà disarmato. Graugar rimase perplesso: aveva solo nove uomini
e mandarne otto contro Gullbjorn avrebbe
significato dover affrontare Olaf con uno solo. Temeva di non riuscire a
sopraffarlo, nonostante il potere della rete magica. Preferì però non dire
nulla, perché sapeva che Hættu non accettava di
essere contraddetto. - Ti ringrazio per i tuoi
consigli. Hættu rise. - Di certo non mi basta il
tuo grazie, Graugar. Graugar non si stupì: sapeva che Hættu era avido e d’altronde era d’uso pagare indovini e
veggenti. - Dimmi che cosa vuoi da
me. - Dovrai portarmi il grande
toro bianco della mandria di Olaf, dieci stalloni e l’anello che Olaf porta
al dito. - Lo farò. Hættu prese una rete e la porse a Graugar, che ringraziò ancora, poi salutò e si allontanò.
Mentre tornava verso casa, rifletteva sulle parole di Hættu.
Era un uomo coraggioso, ma l’idea di affrontare Olaf appoggiato da un solo
uomo gli sembrava assurda. Poteva farsi accompagnare da alcuni servitori, ma
essi non sapevano combattere. Giunto a casa preparò il
suo piano. Olaf si recava una volta a
settimana nella fattoria di Halendi: qui il terreno
era fertile e l’erba abbondante. Olaf vi teneva una mandria di cavalli, nella
parte più alta, e a valle i suoi servitori raccoglievano molto fieno. Quando si
recava a Halendi, Olaf non si faceva accompagnare
da nessuno. Graugar decise di attaccarlo lungo la strada e contemporaneamente
di attirare Gullbjorn fuori di casa con una scusa, facendolo
uccidere a tradimento. Poiché non se la sentiva di affrontare Olaf con un solo
servitore, mandò quattro uomini a uccidere Gullbjorn
e tese un agguato a Olaf con gli altri cinque. Quel mattino Olaf si
svegliò con un presentimento di morte. Aveva ormai sessanta anni, ma era un
uomo molto forte e prima di allora non aveva mai sentito la morte vicina. Al
momento di uscire però sentì che lasciava la sua casa per l’ultima volta, per
cui salutò il figlio dicendogli: - Io vado a Halendi. Non tornerò. - Che dici, padre? - Dico ciò che sento. La
morte mi attende. Gullbjorn sapeva che il padre non parlava a vuoto,
per cui disse: - Non andare, padre. - Se la mia ora è giunta,
non posso sottrarmi. - Lascia almeno che io ti
accompagni. - No, figlio. Il destino
che mi aspetta è solo mio. Tu rimani in casa. Gullbjorn insistette, ma Olaf fu irremovibile e
partì solo. Quando giunse in cima alla
scogliera di Storirstein, dove il sentiero
costeggia il precipizio, Graugar e i suoi uomini
gli sbarrarono la strada. - Graugar!
Perché sei sul mio cammino? Che cosa vuoi da me? Graugar rise e disse: - La tua vita e le tue
mandrie. Alzò la sinistra, che era
il segnale che aveva stabilito, e uno dei suoi uomini lanciò la rete
invisibile di Hættu, che avvolse Olaf, impedendogli
di difendersi. Graugar si avventò su di lui e gli immerse la
spada nel ventre, con tale violenza che la punta uscì dalla schiena del
guerriero. Olaf cadde a terra, le mani sulla ferita, da cui il sangue
sgorgava copioso. Guardò il suo assassino e
disse: - Sei vile e sleale, Graugar, ma non godrai delle mie ricchezze, infame. Gullbjorn mi vendicherà. - Tuo figlio morirà presto:
ho mandato quattro uomini a provvedere a lui. Olaf guardò il suo
assassino con odio e rispose: - Scoprirai presto che non
è così. Graugar sollevò la spada e la calò sul collo di
Olaf, decapitandolo. Gli prese dal dito l’anello che doveva dare a Hættu e cercò di infilarselo a un dito, ma era troppo
stretto. Non entrava neppure al mignolo. Graugar si
stupì, perché Olaf non aveva certo dita più piccole delle sue, ma non aveva
modo di metterselo. Perciò lo infilò nella borsa che aveva con sé. Poi si rivolse ai suoi
uomini e disse: - Gettate questa carogna
in mare. Essi presero il cadavere e
lo scagliarono dalla cima della scogliera. Graugar
prese la testa del morto con sé e, giunto davanti a casa, fece preparare due
pali acuminati. Conficcò su uno la testa di Olaf e annunciò: - Sull’altro metterò la
testa di Gullbjorn, così padre e figlio potranno
parlarsi. Detto questo, rise ed
entrò in casa. Gullbjorn era molto inquieto. Le parole di Olaf lo
avevano turbato e avrebbe voluto seguirlo, ma era abituato a obbedire sempre
al padre, per cui non si mosse. Mezz’ora dopo che Olaf era
uscito, giunse un uomo che Gullbjorn non conosceva. - Salute a te, Gullbjorn, figlio di Olaf. Svartor
il Nero mi manda da te per dirti che oggi non devi uscire da casa senza la
tua spada e il tuo coltello, per nessun motivo. La tua vita è minacciata da
traditori. Gullbjorn conosceva di fama Svartor
il Nero, il più potente dei maghi che vivevano nell’isola. - Ringrazia Svartor per l’avvertimento. Digli che seguirò il suo
consiglio. L’uomo salutò e si
allontanò. Poco dopo giunse un pastore che Gullbjorn
conosceva di vista. - Gullbjorn,
vieni, presto! Tuo padre si è sentito male e mi ha detto di portarti subito
da lui. Vuole parlarti prima di morire. Gullbjorn si alzò immediatamente, ma, ricordandosi
dell’avvertimento di Svartor il Nero, prese con sé
la spada e il coltello. Poche ore dopo alla
fattoria di Graugar giunse Finnbogi,
uno dei quattro uomini che avevano il compito di uccidere Gullbjorn.
Il braccio destro era troncato sotto il gomito e la fascia che copriva la
ferita era intrisa di sangue. Graugar lo guardò, rabbioso, e gli disse: - Perché torni solo e
senza la testa di colui che dovevate uccidere? - Gullbjorn
ha ucciso gli altri tre. Mi ha risparmiato solo perché io venissi ad
annunciarti che l’ora della tua morte è vicina. Graugar era furente. - Come osi riportarmi un
simile messaggio, infame? In quattro non siete stati in grado di uccidere un
solo uomo. Avete davvero meritato la morte. Mentre diceva queste parole,
si alzò e con la spada recise il collo di Finnbogi,
così che la testa cadde a terra, seguita poco dopo dal corpo. Gli altri
uomini non dissero nulla, ma in cuor loro disapprovarono il gesto di Graugar: Finnbogi aveva cercato
di fare quanto gli era stato ordinato e non meritava di morire. Quella sera stessa, mentre
sedeva con i suoi uomini intorno al fuoco, Graugar
vide avvicinarsi qualcuno. Nell’oscurità non era possibile capire di chi si
trattava, ma quando l’uomo fu abbastanza vicino perché la luce delle fiamme
lo illuminasse, si vide che era Olaf, che portava la sua testa sotto il
braccio. Gli uomini si alzarono
tutti, con un grido. Solo Graugar rimase seduto,
pallidissimo. La testa tagliata parlò: - I tuoi giorni sono
contati, Graugar. Non vedrai l’autunno. Poi la testa rise e questo
fu ancora più orribile di quando parlava. Infine Olaf parve svanire
nell’aria. Gli uomini rimasero in
piedi, a guardare là dove il corpo si era dissolto. Erano pallidi e nessuno
osava parlare. Infine Graugar
disse, guardandoli: - Mi sembrate tante pecore
che hanno visto il lupo. Sedetevi. Torod, va’ a
controllare che la testa sia ancora al suo posto. Il servitore si allontanò,
ma non tornò. Graugar allora inviò un secondo uomo,
ma anche lui non tornò. Allora andò egli stesso, accompagnato da tutti gli
uomini e dai servitori che stavano accanto al fuoco. Il palo era ancora al suo
posto, ma in cima non c’era la testa di Olaf. I due uomini che Graugar aveva mandato giacevano a terra, incoscienti. I
servitori cercarono di rianimarli, ma quando essi si risvegliarono, non
ricordavano nulla. Graugar era furente. Poiché Gullbjorn
era vivo, non poteva impadronirsi dei pascoli e degli animali che il giovane
aveva ereditato da Olaf. E sapeva che la sua vita era minacciata, perché il
guerriero non avrebbe certo rinunciato a vendicare il padre. Decise perciò di tornare
da Hættu, l’unico che avrebbe potuto salvarlo. Si mise
in cammino e giunse infine alla dimora dell’incantatore, alle pendici dell’Eldfjall. - Torino da te, Hættu. Ho ancora bisogno del tuo consiglio. - Non hai seguito le
indicazioni che ti ho dato e non hai pagato il prezzo pattuito. Che cosa
vuoi, stolto? - Gullbjorn
è ancora vivo e non ho potuto impadronirmi delle sue mandrie. - Non mi hai portato
neppure l’anello di Olaf, eppure di quello ti sei impadronito. Graugar non aveva proprio pensato all’anello. - Te lo porterò. E quando Gullbjorn sarà morto, ti darò tutto quello che mi hai
chiesto e ciò che ancora mi chiederai, ma devi dirmi come posso ucciderlo. Se
non lo uccido, non potrò darti quanto ti devo. Hættu rise. - Non riuscirai a vincere Gullbjorn, ora che sta in guardia. Ed io non ti aiuterò
certo. Pagherai con la vita il tuo errore. Graugar provò ancora a convincerlo, ma Hættu fu irremovibile. Gullbjorn intanto aveva preparato il suo piano.
Prese con sé venti guerrieri e altrettanti servitori e si diresse
all’abitazione di Graugar. Questi viveva nella
paura di un attacco e faceva sorvegliare il sentiero che portava alla sua
casa. Aveva cercato alleati, senza trovare nessuno: tutti lo consideravano un
uomo spregevole e adesso che aveva perso quattro dei suoi uomini e si era
messo contro Gullbjorn, sapevano che non aveva
nessuna speranza di salvarsi. La sentinella vide Gullbjorn e i suoi uomini avvicinarsi e corse ad avvisare
Graugar. Questi ordinò ai suoi uomini di disporsi
lungo la palizzata che cingeva l’abitazione e si preparò a combattere, pur sapendo
che non avrebbe potuto avere la meglio sul suo avversario. Giunti vicino alla casa di
Graugar, gli uomini si misero in posizione e
quattro arcieri incominciarono a lanciare frecce incendiarie, che raggiunsero
il tetto dell’abitazione. Subito il fuoco divampò. Invano i difensori
cercarono di spegnere le fiamme, che nuove frecce alimentavano. Poi le frecce
colpirono la palizzata e anch’essa prese fuoco. La casa crollò, mentre la
palizzata ardeva. Graugar e i suoi uomini si
trovarono tra i due fuochi, senza nessuna possibilità di salvezza. Uno degli
uomini aprì la porta e si lanciò fuori, seguito dagli altri. Graugar, furibondo per quello che considerava un
tradimento, scagliò la lancia, uccidendo uno dei fuggitivi, allora uno dei
servitori si gettò su di lui, facendolo cadere, gli prese la spada e fuggì
con essa. Graugar, rimasto senz’armi, fu catturato
da Gullbjorn mentre cercava di recuperare la lancia
con cui aveva ucciso uno dei propri uomini. I guerrieri volevano
uccidere tutti i servitori, che chiedevano pietà. Il più anziano di loro,
mentre già stavano per decapitarlo, si rivolse a Gullbjorn
e gli disse: - Gullbjorn,
sei conosciuto come un uomo giusto e generoso. Ferma i tuoi uomini: noi non
abbiamo colpe. Non abbiamo partecipato all’agguato in cui fu ucciso tuo
padre. Gullbjorn annuì: era sicuro che l’uomo dicesse la
verità. Con un gesto intimò ai guerrieri di fermarsi e rispose: - Non verrete uccisi. Vi
faccio grazia della vita. Allora il servitore che
aveva parlato disse: - Ti ringraziamo per la
tua generosità, Gullbjorn. E ti dirò una cosa, che
forse ti sarà utile sapere: l’anello che tuo padre portava al dito è nella
borsa di Graugar. So che per te è importante e che Hættu lo aveva richiesto. - Hættu?
Che cosa c’entra lui? - Fu lui a fabbricare la
rete magica con cui tuo padre fu immobilizzato, così che Graugar
potesse ucciderlo. Gullbjorn non sapeva che Graugar
si fosse rivolto a Hættu e che si fosse impadronito
dell’anello. - Grazie per le
informazioni che mi hai dato. Voi potete andare. I servitori si
prosternarono per ringraziare, poi si allontanarono, contenti di essere
ancora vivi. Gullbjorn passò allora a occuparsi di Graugar e dei suoi guerrieri. Voleva recuperare l’anello,
che suo padre aveva donato a sua madre il giorno delle nozze e che si era
rimesso al dito quando lei era morta. Graugar teneva
sempre alla cintura la borsa, per avere con sé un po’ di denaro e d’oro. Gullbjorn la prese, ne estrasse l’anello, che senza
fatica mise a un dito della mano sinistra, e poi ne distribuì il contenuto ai
suoi uomini. I guerrieri che avevano
accompagnato Graugar nell’agguato teso a Olaf
furono decapitati: i loro corpi furono gettati nelle fiamme che ancora
ardevano e le loro teste vennero infilzate su quattro pali acuminati, issati
davanti alle rovine fumanti della casa. La sorte di Graugar fu la peggiore, perché era stato lui l’ideatore e
l’esecutore del delitto: gli uomini di Gullbjorn lo
privarono della virilità, gli misero in bocca i genitali e poi gli infilarono
la sua stessa spada attraverso l’ano. Quando infine la sua agonia si
concluse, Gullbjorn lo decapitò. Lasciò il corpo
agli animali selvatici e infilò il capo su un quinto palo. Tutti gli uomini
fecero acqua sulle teste, poi Gullbjorn tornò alla
sua abitazione con i guerrieri. Qui i servitori gli
comunicarono di aver trovato ai piedi della scogliera il corpo e la testa di
suo padre. Gullbjorn poté così svolgere i riti
funebri e dargli sepoltura. Prima di seppellirlo, cercò di togliersi dal dito
l’anello che Graugar aveva rubato, per infilarlo al
dito a cui il padre lo aveva sempre portato. Per quanto cercasse di sfilarlo,
non riusciva a smuoverlo, per cui fu costretto a rinunciare. Gullbjorn aveva ucciso l’assassino di suo padre,
ma la sua vendetta non era completa, perché Hættu
viveva ancora. L’incantatore aveva grandi poteri e Gullbjorn
non sapeva come affrontarlo. Decise allora di rivolgersi a Svartor, il Nero, da cui aveva intenzione comunque di
recarsi, perché voleva ringraziarlo per il suo avvertimento. Gullbjorn si diresse verso il promontorio di Tofrandines, dove viveva Svartor.
L’unico sentiero che portava alla sua dimora correva su un fianco della
parete, a picco sul mare. Era un passaggio stretto e un attimo di distrazione
poteva significare la morte. Gullbjorn lo percorse senza esitare. Dopo un lungo
tratto a strapiombo, la parete diventava meno ripida e il sentiero
incominciava a salire con curve fino alla sommità. Infine, all’ultima svolta
del sentiero, Gullbjorn vide Svartor.
Il grande incantatore era nudo, in piedi davanti a un fuoco. Gli dava le
spalle e teneva le braccia allargate, mentre intonava un canto di cui a Gullbjorn arrivava solo qualche parola. Il corpo di Svartor era in gran parte coperto da una fitta peluria
nera, come quello di Gullbjorn lo era di un pelame
biondo. Vedere il corpo del mago lo turbò, senza che Gullbjorn
fosse in grado di capire i motivi del proprio turbamento. Fece ancora alcuni passi,
lentamente, poi si fermò, non volendo disturbare la cerimonia. Quando Svartor
terminò il canto, disse, senza voltarsi. - Vieni, Erik, figlio di
Olaf, detto Gullbjorn. Ti aspettavo. Gullbjorn non si stupì che il mago avesse previsto
il suo arrivo e avvertito la sua presenza. Si avvicinò, ma si rese conto di
non riuscire a procedere, come se non potesse più muovere le sue gambe.
Allora Svartor disse: - Prima di entrare nel
cerchio devi toglierti tutti gli abiti e ogni ornamento. Solo allora Gullbjorn si accorse che intorno a Svartor
c’era un cerchio di piccoli ciottoli neri. Obbedendo all’ordine, si tolse
tutto ciò che indossava, ma non riuscì a sfilarsi l’anello. Nuovamente Svartor parlò, sempre senza voltarsi: - È inutile che tu cerchi
di toglierti l’anello. Potrai togliertelo solo per donarlo alla persona che
il destino ti ha assegnato. Oppure te lo toglierà chi ti ucciderà. Entra nel
cerchio e mettiti davanti a me. Gullbjorn mise un piede nel cerchio e
immediatamente sentì una forza che sembrava crescere dentro di luì, salendo
dalla gamba. Quando anche il secondo piede fu all’interno del cerchio, la
sensazione divenne molto più forte e il membro gli si tese. - Mettiti davanti a me. Gullbjorn obbedì, celando l’imbarazzo che provava
nel mostrare la propria erezione, ma vide che anche il membro di Svartor era eretto e gli batteva sul ventre. Gullbjorn era molto virile, ma il mago lo era di più: mai
il guerriero aveva visto un simile maschio. Erano uno di fronte
all’altro, all’interno del cerchio. Gullbjorn
parlò: - Prima di tutto, vorrei
ringraziarti per avermi avvisato del pericolo che correvo. Se tu non l’avessi
fatto, sarei stato assassinato come mio padre. - Avrei voluto salvare
anche il grande Olaf, ma la sua ora era giunta e il destino è più forte di
noi. - Dimmi come posso
ringraziarti per avermi salvato la vita. - Le parole sono
sufficienti. Non occorre altro. - Nuovamente ti ringrazio. Ci fu un momento di
silenzio, poi Svartor disse: - So che cosa vuoi
chiedermi, Gullbjorn. - Non ne dubito, perché
grandi sono i tuoi poteri ed è proprio fidando in loro che ho deciso di
rivolgermi a te. - Tu vuoi vendicare tuo
padre, togliendo la vita a colui che ha permesso a Graugar
di ucciderlo. È un proposito lodevole, perché libereresti questa terra da una
minaccia. Ma Hættu è molto potente. - Non è possibile fargli
pagare il suo crimine? - Lo è. Ma per farlo
occorrono forza, saggezza, coraggio e fermezza. - Spero di possedere
queste doti nella misura necessaria e se così non è, non ho paura di morire
nell’impresa. - Hai forza, saggezza e
coraggio. Ma la tua fermezza sarà messa alla prova. - Dimmi che cosa devo
fare. - Devi avvicinarti a Hættu senza che lui si accorga del tuo arrivo, altrimenti
porrà tra te e lui ostacoli tali che non potrai superarli e morrai senza
vendicare tuo padre. - Come posso impedire che
si accorga del mio arrivo? - Indosserai un mantello
incantato che cambierà le tue fattezze. Gli chiederai un consulto ed egli non
potrà riconoscerti, né avvertire la tua presenza. - Mi darai tu il mantello? - Sì. Quando però sarai
nella sua dimora, dovrai toglierti il mantello e rimarrai nudo. Egli allora
evocherà i demoni della notte, che ti attaccheranno. - Come potrò difendermi da
loro? - Non ti difenderai,
perché essi non possono farti male, ma sono orribili a vedersi e molti uomini
sono morti per il terrore che essi suscitano. Vedendo che non hanno effetto
su di te, essi svaniranno. Allora Hættu ti
attaccherà con la sua spada incantata. - Quali sono i poteri di
quella spada? - Nessuno può sfuggire ai
suoi colpi. - Essa quindi mi colpirà. - Sì, Hættu
ti ucciderà con quella spada. Gullbjorn è perplesso: se Hættu
lo ucciderà, suo padre non sarà vendicato. Non dice nulla e rimane in attesa
di una spiegazione, che Svartor gli fornisce: - Hættu
sarà convinto di non correre nessun pericolo. Egli vorrà prendere l’anello
che fu di tuo padre e che tu giustamente porti al dito, prima di chiamare i
suoi servitori e ordinare di gettare il tuo cadavere in mare. Ma quando ti prenderà
la mano, tu ti desterai, afferrerai la sua spada e con quella lo ucciderai - Questo è tutto? - No, non è tutto. Devi portare
il cadavere in cima al monte Eilidauda e lì privarlo
della sua virilità, recidendo il suo membro e i suoi testicoli, e porli nella
sua bocca. Poi seppellirai il corpo, ricoprendolo con una grande pietra. Non
lasciarlo ai piedi del monte di fuoco, dove vive. Gullbjorn annuì. - Farò quanto tu mi dici. Grazie. - Sorveglia il corpo fino
a che non l’avrai sepolto e non permettere a nessuno di avvicinarsi. - Così sarà. Svartor uscì dal cerchio e disse: - Seguimi. Gullbjorn annuì. Appena fu fuori dal cerchio, la forza
che lo possedeva svanì, ma il suo membro rimase eretto. Svartor entrò in una costruzione e ne uscì poco
dopo portando in mano un mantello. - Lo dovrai portare sul
corpo nudo, senza ornamenti. Solo l’anello terrai, perché non ti è possibile
togliertelo. Una volta che ti sarai tolto il mantello, non potrai più
indossarlo. - Grazie di tutto, Svartor. Ma non mi hai detto che cosa richiedi come
compenso. Svartor scosse il capo. - Se libererai questa
terra da Hættu, sarà un bene per tutti. Non chiedo
un compenso. Ma ricordati: dopo che l’avrai ucciso, dovrai privarlo della sua
virilità. - Ma davvero non posso
sdebitarmi con te per il tuo consiglio? - No, non vi è un prezzo
da pagare, ma bada di fare ciò che ti ho detto. Due giorni dopo Gullbjorn si mise in viaggio per il vulcano Eldfjall, dove viveva Hættu.
Giunse alla fattoria di un uomo che conosceva suo padre, dormì da lui. Il
mattino depose tutti gli abiti e si mise addosso il mantello. Mentre si dirigeva verso
la montagna di fuoco, Gullbjorn fu assalito da
dubbi: non aveva armi con cui difendersi, per cui se qualcuno l’avesse
attaccato, sarebbe stato ucciso. E se qualcuno avesse avvisato l’incantatore?
Questi lo avrebbe fatto uccidere dai suoi servi. A un certo momento, quando
ormai la dimora di Hættu era molto vicina, si
chiese perfino se Svartor non lo avesse
deliberatamente mandato a morire, indifeso, da Hættu.
Si stupì di avere questi dubbi, perché Svartor era
da tutti considerato un uomo leale. Poi capì che era la vicinanza della casa
di Hættu a far nascere pensieri di tradimento: la
malvagità dell’incantatore impregnava l’aria come un miasma mortale.
Proseguì, senza rallentare il passo, e quando un servitore gli sbarrò la
strada, chiedendogli che cosa volesse, rispose che intendeva chiedere un
consiglio all’incantatore. Il servitore avvisò il suo
padrone, che diede ordine di farlo passare. Gullbjorn
fu introdotto in una grande stanza, al cui centro ardeva un fuoco. Appena entrato, prima che Hættu potesse parlare, Gullbjorn
lasciò cadere il mantello e disse: - La tua ora è giunta.
Vendicherò mio padre. L’incantatore rimase
sbalordito vedendo Gullbjorn, ma il suo stupore
durò solo un attimo. Rise e disse: - Troverai la morte ed io
avrò l’anello che porti al dito. Alzò il braccio in un
ampio gesto e dal fuoco uscirono mostri che si lanciarono su Gullbjorn: un gigante, molto più alto della stanza in cui
si trovavano, alzò il suo piede per schiacciare il guerriero come se fosse un
insetto; un uccello con il becco acuminato, grandi artigli di ferro e ali di
fuoco piombò su di lui per staccargli gli occhi; un mostro che strisciava a
terra spalancò la sua grande bocca per inghiottirlo. Gullbjorn rimase fermo al suo posto, benché le
orribili visioni si succedessero l’una all’altra. Molti demoni apparvero, ma
invano. Infine tutti svanirono. - Non hai avuto paura dei
demoni della notte, Gullbjorn, ma la mia spada è
reale. Con queste parole Hættu balzò su Gullbjorn e lo
trafisse, immergendogli la spada nel petto. Il guerriero sentì il violento
dolore al petto e cadde morto. Hættu rise nuovamente, certo del suo trionfo.
Si avvicinò al cadavere e gli afferrò la mano sinistra. - Ora avrò l’anello che Graugar mi aveva promesso! In quel momento la spada
infilata nel petto di Gullbjorn si staccò e cadde a
terra, il guerriero tornò in vita, afferrò la spada e trafisse Hættu, senza che questi avesse il tempo di dire una
parola. Si udì allora il rumore
terribile di una grande esplosione: la cima del vulcano era esplosa e cenere
e lava ne uscivano. I servitori fuggirono terrorizzati. Gullbjorn
prese due cavalli. Su uno caricò il corpo di Hættu,
poi salì sull’altro e li spronò per sfuggire alla lava che scendeva a valle,
distruggendo tutto ciò che incontrava nel suo percorso. Intanto si scatenò
una violenta tempesta: la pioggia scendeva violenta, sferzando il corpo nudo
di Gullbjorn e i fulmini cadevano vicino a lui. I
due cavalli sembravano pazzi di terrore e correvano disperatamente. Solo quando Gullbjorn giunse alla casa dove aveva trascorso la notte
precedente, la tempesta si placò. Gullbjorn non entrò nella casa. Si fermò accanto
al corpo e rimase tutta la notte di guardia. Il mattino si fece portare i
suoi abiti, si rivestì e riprese il suo viaggio, dirigendosi verso il monte Eilidauda. Qui ingaggiò alcuni uomini
perché lo accompagnassero in cima al monte e scavassero la fossa. Gullbjorn ricordava le parole di Svartor
e sapeva che avrebbe dovuto privare il morto della sua virilità, come i suoi
uomini avevano fatto con Graugar: gli ripugnava
mutilare il corpo di un uomo che aveva già pagato con la vita il male
commesso, ma intendeva seguire le istruzioni ricevute. Perciò quando il corpo
fu calato nella tomba, vi scese anch’egli e afferrò i genitali con la mano.
Allora uno degli uomini che aveva ingaggiato disse: - Perché vuoi infierire
sul corpo di un morto? È una vergogna. Gullbjorn esitò, poi si disse che l’uomo aveva
ragione e uscì dalla fossa senza fare ciò che Svartor
gli aveva ordinato. La fossa fu ricoperta con una grande lastra di pietra e Gullbjorn ritornò a casa, contento di aver vendicato il
padre. Per alcuni giorni non
successe nulla. Una settimana dopo la morte di Hættu,
questi comparve in una fattoria del Sudurland e prese
posto vicino al fuoco. Gli uomini e le donne che sedevano tutt’intorno lo
riconobbero e lo guardarono sbigottiti. Hættu se ne
andò a mezzanotte, ma il mattino seguente tre degli uomini non si destarono
dal sonno: erano morti nella notte. Ogni sera Hættu
appariva in qualche casa e gli abitanti si ammalavano e morivano. In tutta la regione molti
cavalli si allontanarono dai loro pascoli abituali. Alcuni precipitavano nei
dirupi o in mare, altri si smarrivano tra i ghiacci. Le mandrie si
disperdevano e la vita diventava impossibile. Le devastazioni colpivano tutto
il Sudurland, ma non le proprietà di Gullbjorn: era evidente che il fantasma di Hættu non poteva o non voleva avvicinarsi alle terre di
colui che l’aveva ucciso. Per questo motivo molti si rifugiarono da Gullbjorn, che accolse tutti nei suoi domini, poiché era
un uomo molto generoso. Anche se non era
direttamente toccato, Gullbjorn si sentiva
responsabile di quanto accadeva, poiché aveva ucciso lui Hættu.
Perciò decise di intervenire. Non voleva però ritornare da Svartor, perché sapeva di non aver fatto tutto ciò che
l’incantatore gli aveva ordinato. Si rivolse perciò a un altro
mago, Hvitiorn, che viveva in una desolata regione
dell’interno. Hvitiorn ascoltò la sua richiesta e poi gli
disse: - Posso fermare lo spirito
di Hættu, ma tu dovrai darmi tutti i tuoi beni. Gullbjorn non si aspettava una simile richiesta,
ma, sentendosi responsabile di quanto avveniva, decise di accettare. Per
vivere si sarebbe messo al servizio di qualche nobile. - Va bene, lo farò. - Bada! Anche l’anello che
porti al dito devi darmi. - Non riesco a toglierlo. - Ti taglierai il dito. - Va bene, lo farò. - Questa notte spegnerò lo
spirito di Hættu. Torna da me domani. Scese la notte e si
scatenò una tempesta come mai si era vista: le onde del mare sembravano voler
scalare le montagne, la pioggia scendeva come una cascata, i tuoni
assordavano e i lampi illuminavano un cielo pieno di nuvole. Uomini e donne
tremavano per il terrore, certi che per l’intera isola fosse giunto l’ultimo
giorno. Il mattino dopo Gullbjorn raggiunse la dimora di Hvitiorn.
Non sembrava esserci nessuno, perciò entrò nella sala dove l’incantatore lo
aveva accolto. Al centro giaceva il corpo di Hvitiorn,
il capo nero come la pece, il membro e i testicoli recisi e posati sul suo
petto. Gullbjorn
rabbrividì. Fece seppellire il cadavere e si allontanò. Le apparizioni di Hættu proseguivano e la situazione diventava sempre più
difficile, per cui Gullbjorn si rivolse a un altro
indovino, Andhafsin, che viveva in una caverna in
riva al mare. Andhafsin ascoltò Gullbjorn
e rise della sua richiesta. - Hættu
è molto potente e ha ucciso Hvitiorn. Se lo sfido,
rischio anch’io la vita. Che cosa puoi offrirmi per cui valga la pena
rischiare di morire? - Tutto quello che vuoi, Andhafsin. - Dovrai darmi tutti tuoi
beni e la tua vita. Gullbjorn chinò la testa. - Sia come tu vuoi. Avrai
i miei beni e la mia vita. - Questa notte affronterò Hættu. Torna domani da me. Fu nuovamente una notte di
tempesta. Uomini e donne erano pietrificati dal terrore. Il mattino Gullbjorn raggiunse la grotta dove viveva Andhafsin, ma essa non esisteva più: l’intero fianco
della montagna era precipitato in acqua. Vicino alla riva galleggiava il
corpo dell’incantatore, la testa bluastra e i genitali recisi. Gullbjorn non perse altro tempo: decise di tornare
da Svartor. Lo trovò in cima al
promontorio, entro il cerchio magico. - Vieni avanti, Gullbjorn. Gullbjorn avanzò nel cerchio e come la volta
scorsa sentì l’energia del luogo riempire il suo corpo e il membro tendersi. - Sei venuto a chiedermi di
rimediare al tuo errore, Gullbjorn. - Intendi dire… - Che non hai seguito le
mie istruzioni. Non hai privato il corpo della sua virilità e lo spirito di Hættu non è stato spento. Gullbjorn chinò il capo. Le parole di Svartor non lo stupivano: aveva sospettato che il non
aver seguito le istruzioni potesse essere la causa del flagello che si era
abbattuto sulla regione. - È vero, Svartor. Ho sbagliato, lo riconosco e so che dovrò pagare
per questo. - Il prezzo è molto alto. - Qualunque esso sia,
anche se fossero tutte le mie proprietà o la mia vita, lo pagherò: sono
responsabile di quanto sta accadendo nelle terre del Sudurland. Svartor annuì. - Prendi quattro dei tuoi
servitori e aspettami domani all’alba alla cascata di Storstok. L’indomani Svartor incontrò Gullbjorn e i
suoi uomini alla cascata e insieme si diressero alla tomba di Hættu, sul monte Elidauda. Giunti vicino alla tomba, Svartor ordinò a Gullbjorn: - Voltati e non guardare. Gullbjorn obbedì. Svartor
bendò i quattro servitori in modo che non potessero vedere nulla e poi li
guidò a sollevare la lastra tombale. Quando la tomba fu scoperchiata, apparve
il corpo di Hættu. Svartor
avvolse la testa del morto in un fazzoletto nero. Poi disse: - Ora potete guardare. Gullbjorn si voltò e i servitori si tolsero la
benda. Osservarono il corpo nella tomba. Era perfettamente conservato e si
sarebbe detto che Hættu dormisse. Il membro era
teso e sembrava pulsare. Svartor prese in falcetto che portava alla
cintola e fece passare la lama dietro i testicoli di Hættu,
poi incominciò a tirare verso di sé. Mentre la lama recideva, si sentì un
urlo atroce provenire dal capo del morto. Gli uomini rabbrividirono. Videro
che il fazzoletto che copriva la testa si muoveva, di certo perché la bocca
era spalancata nell’urlo. Svartor proseguì con la sua opera, finché i
genitali non furono completamente recisi. Allora li afferrò con la mano
sinistra, posò il falcetto che teneva nella destra e sollevò il fazzoletto
quel tanto che bastava per scoprire la bocca. Gli uomini videro che era davvero
spalancata. L’urlo, che ancora usciva, era ormai diventato più simile a un
lamento che al grido rabbioso di poco prima. Svartor infilò il membro nella bocca del morto e
premette. L’urlo fu soffocato. Agli uomini parve che il corpo avesse un
sussulto. Svartor tolse il fazzoletto dal capo di Hættu. Gli occhi del morto erano spalancati e il suo viso
deformato in una smorfia di rabbia e dolore. Gli uomini videro che il
corpo incominciava a decomporsi: sotto i loro occhi la carne cambiava colore,
si sfaldava, brulicante di vermi e larve, mentre un fetore intollerabile si
diffondeva nell’aria. In breve tempo del corpo rimasero solo le ossa e poi
anche quelle si sfaldarono. Quando del morto rimase
solo un cumulo di polvere, Svartor urinò su di
esso. - Fate anche voi lo
stesso, così lo spirito non potrà ritornare, anche se qualcuno spargerà il
suo sangue o il suo seme sui resti. Gullbjorn ubbidì e subito anche gli altri lo
imitarono. - Ora non avete più nulla
da temere. Il suo spirito non potrà ridestarsi. Questa terra è stata liberata
dalla sua presenza. Possiamo tornare. Scesero in silenzio dal monte Elidauda. Quando furono vicino alla
cascata dove si erano incontrati, Gullbjorn mandò
avanti i suoi uomini e si rivolse a Svartor: - So che devo pagare un
prezzo molto alto. Dimmi qual è. - Te lo dirò a casa tua. Domani
notte dormirò da te. Gullbjorn si stupì che Svartor
volesse dormire nella sua casa: sapeva che lo stregone di rado accettava
l’ospitalità di altri. Non disse nulla. Quella notte dormirono
all’aperto e il giorno successivo raggiunsero la casa di Gullbjorn.
Appena arrivato, Gullbjorn ordinò di preparare una
camera per Svartor, ma questi disse: - Dormirò nella tua
camera. Il tuo letto è grande. Gullbjorn si chiese se Svartor
non intendesse prendere il suo posto, insediandosi nella sua casa, ma aveva
accettato di pagare il prezzo, qualunque esso fosse. Quando furono infine in
camera, Gullbjorn disse: - Dimmi qual è il prezzo
che devo pagare. - L’anello che porti al
dito. Gullbjorn rimase stupito. Non gli sembrava un
prezzo così alto. Sapendo che non sarebbe riuscito a toglierlo, prese un
coltello per tagliarsi il dito. Svartor rise e disse: - Che cosa fai? Gullbjorn lo guardò: - Non sono mai riuscito a
toglierlo. Poiché tu lo vuoi, mi taglierò il dito. - Sfilalo. Gullbjorn guardò Svartor,
poi prese l’anello e lo sfilò, senza nessuna fatica. Gullbjorn
lo porse a Svartor, ma questi scosse la testa. - Mettimelo tu al dito. Gullbjorn obbedì. L’anello scivolò facilmente sul
dito. Allora Svartor
prese la testa di Gullbjorn tra le mani e lo baciò
sulla bocca. Gullbjorn non cercò di resistere. Il desiderio lo
prese e quella notte offrì il suo corpo a Svartor
il Nero. Poche ore durava la notte, poiché era ancora estate, ma furono tutte
spese nei giochi del piacere. Il mattino Gullbjorn si destò tardi. Svartor
era steso accanto a lui. Gullbjorn provò vergogna
per aver offerto il suo corpo a un altro maschio: il piacere che aveva
conosciuto nella notte era fonte di vergogna. Svartor non dormiva. Disse: - Non riesci ad
accettarlo, Gullbjorn? - Un uomo non si offre a
un altro. Svartor rise e scosse il capo. - Questo è il tuo destino.
L’anello è entrato al mio dito. Ma se non puoi accettarlo, non voglio
importelo. Ci separiamo qui. Svartor si alzò, si rivestì e se ne andò. Gullbjorn avrebbe voluto fermarlo, ma lo lasciò andare
via senza dire nulla. Lo guardò scomparire in lontananza e una tristezza
profonda scese su di lui. Lo aveva allontanato, ma la sua vita gli sembrava
priva di senso. Nei tre anni che seguirono
Gullbjorn non rivide mai Svartor,
ma pensò a lui ogni giorno e ogni notte. Il desiderio ardeva, ma egli non
ebbe mai rapporti con altri. Spesso sognava l’incantatore e in quei sogni
veniva. In quegli anni egli partecipò
a molte imprese, che resero il suo nome famoso e che furono narrate in
diverse saghe. Affrontò pericoli di ogni genere, senza mai vacillare, ma di
rado fu visto sorridere. Con il passare dei mesi, il suo umore divenne sempre
più cupo e divenne chiaro a tutti che non desiderava vivere. La morte però
non sembrava intenzionata a prenderlo. Un giorno infine,
affrontando i banditi che razziavano le terre del Frisiomlond,
riuscì a ucciderne il capo, ma fu colpito al ventre da una lancia, che lo
trapassò. I suoi uomini lo portarono
a casa. Chiamarono un guaritore, ma quando questi vide la ferita, scosse la
testa. - Non c’è più nulla da
fare. Morirà nella notte. I guerrieri al suo servizio,
gli amici e i servitori erano tutti ugualmente disperati: Gullbjorn
era molto amato per la sua generosità, il suo coraggio, la sua rettitudine. E
stava per morire nel giorno del suo trentesimo compleanno. Nel pomeriggio Gullbjorn incominciò a delirare e in quei momenti
chiamava Svartor. Uno degli uomini propose: - Andiamo a chiamare Svartor: forse egli può salvarlo. - È troppo lontano. Prima
che uno di noi lo abbia raggiunto e lui sia arrivato qua, saranno passati tre
giorni. E di certo Gullbjorn sarà già morto. Alcuni volevano ugualmente
fare il tentativo, perché non potevano rassegnarsi all’idea di veder morire Gullbjorn. Mentre stavano discutendo,
videro in lontananza un uomo che si dirigeva verso la casa. Tacquero e
fissarono la figura che si avvicinava. Presto fu chiaro a tutti che si
trattava proprio di Svartor il Nero. Uno degli uomini di Gullbjorn gli andò incontro. - Benvenuto, Svartor. Gullbjorn sta morendo
e chiede di te. - Lo so. Per questo sono
venuto, L’uomo non si stupì che Svartor fosse a conoscenza della ferita subita dal suo
padrone: a parte il fatto che nei dintorni non si parlava d’altro, i poteri
del Nero erano ben noti. - Pensi di poterlo
salvare? - Vedremo. Svartor fu accompagnato nella camera di Gullbjorn. Quando entrò, congedò con un gesto tutti
coloro che assistevano il ferito. Uscirono senza dire una parola. Gullbjorn era lucido. - Perché sei qui, Svartor? - Perché tu mi hai
chiamato. - Io non ti ho chiamato. - L’hai fatto molte volte,
quando non eri abbastanza lucido da impedirti di farlo. Gullbjorn scosse il capo. - La morte mi attende. - La morte può attendere. Svartor si tolse la tunica che indossava e
rimase nudo, il membro vigoroso teso. Voltò Gullbjorn
sul ventre e lo penetrò. Il dolore fu violento e il guerriero trattenne a
fatica un grido. Gullbjorn sentì le mani di Svartor
stringergli il collo mentre lo prendeva. Non riusciva più a respirare, un
fuoco ardeva nel suo petto e il mondo svanì. A sera Gullbjorn
aprì gli occhi. Era lucido e non sentiva più dolore. Svartor
era in piedi davanti al letto, immobile, e lo fissava. Gullbjorn lo guardò, poi si mise a sedere e
osservò il ventre: la ferita si era richiusa e rimaneva appena una cicatrice. - Mi hai guarito… mi hai
ucciso. Svartor annuì: - Ti ho ucciso perché così
facendo il mio seme poteva ridarti la vita. Se tu fossi morto per la ferita
riportata, non avrei potuto riportarti in vita. - Svartor… - Per tre anni hai cercato
di sfuggire al tuo destino e ai tuoi desideri. Non so se la tua sofferenza ti
ha reso più saggio. Gullbjorn taceva. Svartor
sorrise e proseguì: - Gullbjorn,
è ora di scegliere. Porto ancora al dito l’anello che mi donasti. Ora però
devi decidere: se vuoi che io rimanga, vivremo insieme, come è scritto. Se
invece vuoi che io me ne vada, ti renderò l’anello e non ci vedremo mai più.
Non ci sarà un’altra possibilità di scelta. La sofferenza dei tre anni
trascorsi aveva aperto gli occhi di Gullbjorn e ora
che aveva di fronte a sé l’uomo che amava e desiderava, non intendeva
rinunciarvi. - Questa è la tua casa, Svartor. Questo è il tuo letto. E anche questo mio corpo ti
appartiene. - E il mio appartiene a
te. Da allora Gullbjorn e Svartor vissero
insieme. 2023 |