Josquin Josquin scende dal cavallo e lo lascia libero
di brucare lungo la riva del torrente. Guarda l’acqua che scorre rapida, poi
il bosco di faggi sull’altra riva. Le foglie degli alberi stanno cambiando
colore, l’autunno è giunto, ma la giornata è tiepida. Josquin sbadiglia. Si sta annoiando. Sono tre
giorni che è giunto qui per accompagnare il principe Henry in una battuta di
caccia e non ha niente da fare. Josquin è stato alquanto perplesso quando il
principe gli ha ordinato di partire con lui, portando con sé una quarantina
di soldati. L’erede al trono va spesso a caccia con altri nobili e si fa
accompagnare da alcuni dei suoi uomini, ma è la prima volta che richiede una
schiera di armati. Una partita di caccia non è una spedizione militare. E
perché poi il principe si è rivolto proprio a lui? La famiglia di Josquin fa parte della piccola nobiltà di campagna e il
principe frequenta solo i membri delle grandi famiglie del regno. Josquin è diventato comandante grazie al grande valore
dimostrato in battaglia, ma è un uomo di guerra: viene invitato ai grandi
banchetti, come tutti i militari di alto grado, ma non partecipa certo alla
vita di corte. Il
principe è venuto con pochissimi dei suoi amici fidati, una compagnia assai
meno numerosa di quella che lo accompagna di solito. Giunti al castello di Bellechasse, Henry ha ordinato a Josquin
di tenersi a distanza, ma pronto a intervenire. Il principe non era venuto
per una battuta di caccia, questo è sicuro. Il
primo giorno al castello è giunto anche qualcun altro, che non fa parte del
seguito del principe. È arrivato con pochi uomini. A quel punto il principe
ha fatto avvertire Josquin che la presenza dei suoi
uomini non era più necessaria e che dovevano pattugliare la frontiera, senza
avvicinarsi al castello e senza farsi vedere. E ora Josquin
è in riva al torrente che segna il confine con il ducato di Cléry. La
battuta di caccia è un pretesto per un incontro segreto. Josquin
e i suoi uomini dovevano servire nel caso che l’invitato segreto si fosse
presentato in forze, ma questo non è avvenuto. La loro presenza ora è inutile
e potrebbe invece destare sospetti nell’ospite, per cui devono tenersi alla
larga. Il
pattugliamento del confine è solo un pretesto o davvero il duca Gilles di Cléry potrebbe attaccare di sorpresa il castello, perché
è a conoscenza dell’incontro segreto? Il principe progetta una guerra contro
il duca? Potrebbe succedere, anche se il duca è molto potente. Ma il principe
non è saggio e, una volta morto il re, potrebbe lanciarsi in imprese avventate.
Josquin ha poca stima del principe, ma gli deve
ubbidienza. Di
che cosa discutano il principe e il suo ospite, Josquin
non può saperlo, ma sospetta che si tratti della successione al regno. Re
Jean è anziano e non vivrà più a lungo. Non ha figli. Henry, nipote del
sovrano, è l’erede designato, ma un altro nipote, Roland, non nasconde la sua
ambizione e vorrebbe salire al trono. Anche Gilles di Cléry
è nipote del re per parte di madre. Henry cerca aiuto contro i cugini? Si è
rivolto a qualcuno dei potenti signori vicini? Josquin sente un rumore alle sue spalle. Si
volta, ma non vede nessuno. Qualche animale? Josquin
guarda nella direzione da cui proveniva il rumore. Poi, senza perdere di
vista l’area, si sposta di lato. Dietro il tronco di uno dei faggi sporge un
piede. C’è qualcuno che si nasconde. Perché? Un contadino che caccia di frodo
e vedendo un uomo del principe si è nascosto? Un bandito? Josquin sguaina la spada e si avvicina
rapidamente all’albero, evitando di farsi vedere. Solo quando è vicino
all’albero, si sposta di lato. Si trova di fronte un uomo che ha pochi anni
in meno di lui, disarmato e con la spalla e il braccio destro sanguinanti. L’uomo
lo guarda diritto negli occhi, poi ha un sorriso amaro. -
Puoi finire ciò che il tuo signore ha incominciato. Avrai una ricompensa. È
stato il principe a ferire quest’uomo? Perché? Josquin
non sa che cosa fare. Non intende ucciderlo: non ha mai ucciso a sangue
freddo, solo in battaglia. E non ucciderebbe mai un uomo disarmato. Josquin risponde. La sua voce è aspra: -
Non sono un sicario, ma un soldato. -
Esegui gli ordini del tuo signore. Josquin non ha ricevuto nessun ordine. E,
anche se le parole dell’uomo gli hanno detto chiaramente che il principe lo
vuole morto, non si sente tenuto a ubbidire. Josquin
ripone la spada. -
Non ho ordini, se non quello di tenermi lontano dalla tenuta di Bellechasse e pattugliare il confine. Fammi vedere la tua
ferita. L’uomo
lo guarda, stupito, senza dire nulla. Josquin si
avvicina. La camicia è strappata. Josquin la lacera
completamente per scoprire la ferita: è evidente che l’uomo non può muovere
il braccio e sfilarsi la camicia e in ogni caso il braccio dovrà essere
bendato. La
ferita non è molto profonda, ma l’uomo deve aver perso parecchio sangue. -
Vieni con me. Josquin si muove verso il torrente e l’uomo lo
segue, ma dopo due passi crolla a terra. Josquin lo
solleva e lo porta in riva al fiume. Lava con cura la ferita. Nella bisaccia
che pende dalla sella del cavallo Josquin ha un’ampolla
che porta sempre con sé: viaggia con l’occorrente per curare una ferita. Josquin combatte da vent’anni e di ferite ha ampia
esperienza. Josquin prende l’ampolla e versa un po’
di liquido sul taglio. Dopo aver medicato, Josquin
fascia la spalla e il braccio con lembi della camicia strappata. L’uomo
è quasi svenuto mentre Josquin lo assisteva. Ora si
sta riprendendo. -
Se mi trovano con te, ti ammazzano. Devi portarmi dal tuo signore. -
Ti ho già detto che non ho ricevuto ordini. E se trovo un uomo ferito, lo
curo come posso, senza preoccuparmi delle cose che dice vaneggiando per il
dolore. L’uomo
sorride. Ha un bel sorriso. E un bel viso, non segnato dalle cicatrici come
quello di Josquin. Josquin sa benissimo che si sta mettendo nei
guai. Se quest’uomo avesse cercato di ingannarlo, lo avrebbe consegnato al
principe Henry. Ma l’uomo è coraggioso e leale e Josquin
non ha nessuna intenzione di provocarne la morte. -
Loro ti stanno cercando, vero? Sguinzaglieranno i cani, se non l’hanno già
fatto. -
Ho camminato a lungo nel fiume. Credo di aver fatto perdere le mie tracce. Ma
non so per quanto. -
Allora bisogna che ci allontaniamo in fretta. Devo portarti lontano, poi
tornerò al mio posto. Non
può allontanarsi troppo: la sua assenza sarebbe notata e desterebbe sospetti:
invece di salvare l’uomo rischierebbe di provocare la sua morte. Josquin va a prendere il suo cavallo. Solleva l’uomo, che
a fatica si mette sulla sella, poi sale anche lui e dirige il cavallo nel
torrente. Cavalca un lungo tratto nell’acqua, che arriva appena a metà zampa
del cavallo, poi passa sull’altra riva e sprona il cavallo. Mentre
cavalca, Josquin pensa al da farsi. Portare l’uomo
lontano dal castello e dall’accampamento è il primo passo. E poi? È
l’uomo a dare una risposta alla domanda che Josquin
si sta ponendo: -
Verso est, a pochi minuti da qui, ci sono i ruderi di un’antica torre
abbandonata. Puoi portarmi là e poi tornare indietro. -
Potrebbero trovarti. -
No, so dove nascondermi. Seguendo
le indicazioni dell’uomo, Josquin raggiunge i resti
della torre. Aiuta l’uomo a scendere. Questi lo guida tra i ruderi fino a un
passaggio nascosto. -
Mi fermerò qui. -
Ma riuscirai a trovare aiuto? Non puoi camminare a lungo in queste
condizioni. -
Non preoccuparti per me. Torna al tuo posto prima che scoprano la tua
assenza. Josquin annuisce. Dalla bisaccia prende un po’
di cibo e una fiasca di acqua. -
Se posso, tornerò questa notte per portati qualche cosa in più. -
Non mettere a rischio la tua vita. -
Non ti preoccupare per me. Josquin lascia le rovine e ritorna rapidamente
al torrente che segna il confine. Controlla che non ci sia nessuno in vista,
poi si dirige verso l’accampamento senza sforzare il cavallo, come se stesse effettuando
un normale giro di perlustrazione. Dopo
pochi minuti incontra due uomini del seguito del principe. -
Comandante, cercavamo voi. Il principe vuole parlarvi. -
Fatemi strada, vi seguo. Il
principe è all’accampamento. -
Comandante, un uomo ha cercato di uccidermi ed è fuggito. I miei uomini lo
hanno ferito, ma dobbiamo trovarlo e ucciderlo. Sicuramente cercherà di
fuggire verso le terre del duca di Cléry. Dobbiamo
fermarlo prima che le raggiunga. -
Abbiamo tenuto questo tratto della frontiera sotto controllo, seguendo i
vostri ordini, ma di certo per un uomo solo non è difficile sfuggire alla
sorveglianza: il torrente può essere attraversato in qualsiasi punto. Se è
ferito non può essere andato lontano. Lo troveremo. Per
tutto il pomeriggio e la notte gli uomini di Josquin
percorrono il territorio lungo la frontiera, spingendosi anche oltre il
torrente. I cani trovano le tracce del fuggitivo, nel luogo dove Josquin lo ha raccolto, ma le perdono nuovamente. Le orme
lasciate dal cavallo di Josquin non possono tradirlo:
nel pattugliamento e poi nella ricerca, molti uomini sono passati in tutta
l’area. Josquin incita i suoi uomini e sembra mettere
tutto il suo impegno nella caccia all’uomo. Ma dopo mezzanotte, sincerandosi
che nessuno lo veda, oltrepassa il torrente e si dirige verso i ruderi dove
ha lasciato il ferito. Non è facile ritrovare la strada al buio, ma Josquin ha studiato con attenzione il percorso, il cielo
è sereno e la luce lunare permette di muoversi con una certa sicurezza, anche
se una leggera nebbia avvolge il bosco. Josquin arriva nei pressi della torre. Ferma
il cavallo e rimane a lungo immobile, in ascolto. Nessun rumore. Quando è
sicuro che nessuno lo abbia seguito, Josquin entra
nel passaggio nascosto. L’oscurità
è completa. Josquin procede con cautela, poi,
quando è abbastanza all’interno che la luce non si veda da fuori, accende una
candela. Avanza ancora, ma il locale dove ha lasciato l’uomo ferito è vuoto.
Se n’è andato? Qualcuno lo ha trovato? Josquin dice, a voce alta: -
Sono io. Sei qui? Un
momento di silenzio, poi una pietra scivola su un cardine nascosto e una voce
risponde: -
Sono qui. Josquin si avvicina. Ha con sé da mangiare, da
bere e una coperta. Porge il tutto all’uomo. -
Grazie. Sei sicuro che nessuno ti abbia seguito? -
Sì. Un
momento di silenzio. La luce della candela illumina appena i loro visi
vicini. Josquin si dice nuovamente che quest’uomo è
bello. Si rende conto di desiderarlo, ma non ascolta il proprio desiderio. Chiede: -
Come farai a raggiungere un luogo sicuro? Sei debole. -
Mi sento già molto meglio. Oggi ero stanco per la fuga, la ferita mi faceva
male, avevo perso sangue. Ma adesso va molto meglio. Grazie a te. L’uomo
è pallido, ma deve essere forte. -
Sai dove andare? -
Sì, non temere per me. Domani raggiungerò un luogo sicuro, dove potrò
procurarmi un cavallo. Josquin annuisce. Ha fatto quanto poteva, ora
dovrebbe andarsene. Ma fissa l’uomo, il suo viso ancora pallido, il suo sorriso.
Anche l’uomo lo osserva, senza dire nulla. Poi avvicina il suo viso, senza
distogliere lo sguardo dagli occhi di Josquin, si
ferma un attimo e infine lo bacia sulla bocca. Il
primo bacio è appena uno sfiorarsi delle labbra. Il secondo è più ardente, le
braccia dell’uomo cingono il corpo di Josquin che
ricambia l’abbraccio. L’uomo
è debole, è stato ferito questa mattina, dovrebbe riposare. Ma ora sono
scivolati entrambi a terra, stretti l’uno all’altro, accecati da un desiderio
che guida i loro gesti: carezze, strette e poi baci, abbracci. Josquin cerca di non premere sulla spalla e sul braccio
feriti, sa che dovrebbe staccarsi, ma il suo corpo rifiuta di obbedire e
l’uomo che sta baciando arde dello stesso fuoco che sta consumando Josquin. Le mani di Josquin
accarezzano e stringono. L’uomo usa solo la sinistra, ma il vigore con cui
stringe Josquin non lascia dubbi sul desiderio che
lo divora. Le
mani di Josquin si infilano nei pantaloni
dell’uomo, stringono con forza il culo, mentre la bocca di Josquin cerca le labbra dell’altro e le sue mani lo
spogliano. Ora
hanno i pantaloni abbassati e lo stesso desiderio si manifesta in entrambi.
L’uccello vigoroso di Josquin preme contro quello
dell’uomo, che dice, con un sospiro: -
Prendimi. Josquin lo guarda, sorride e finisce di
spogliarsi e di spogliare l’uomo. Lo bacia ancora, poi si inginocchia davanti
a lui, si pone le gambe sulle spalle e, mentre le sue mani accarezzano il
ventre e l’uccello dell’uomo, avvicina la cappella all’apertura. Dopo aver
inumidito con un po’ di saliva spinge in avanti la sua arma, facendola
affondare nella carne. L’uomo
geme, un gemito di piacere, in cui c’è anche una sfumatura di sofferenza. Josquin si ritrae e poi avanza nuovamente, con
delicatezza. Non vuole fare male a quest’uomo che ora gli sorride. Josquin passa delicatamente le sue mani sul corpo
dell’uomo che sta possedendo, gli sfiora il viso, poi prende a muoversi con
vigore. Guarda
il volto dell’uomo, su cui legge il piacere. L’uomo passa la sinistra sul
viso di Josquin, poi la mano scende lungo il
corpo. Josquin procede nella sua cavalcata a un ritmo
costante e sente che il piacere cresce in entrambi. E quando infine sente che
il momento è vicino, con la destra stringe l’uccello dell’uomo, già gonfio di
sangue e rigido, e lo guida a venire insieme a lui. Gemono entrambi, mentre
il seme dell’uomo si sparge sul suo ventre, quello di Josquin
nelle sue viscere. Josquin si ritrae, ma si stende a fianco
dell’uomo. I loro corpi aderiscono. -
Come ti chiami? -
Josquin di Brétèche. E tu? -
Yvain di Loireau. Loireau è un castello nei domini del duca di Cléry, di cui l’uomo dev’essere
un vassallo. Forse è infedele al suo signore, forse invece è stato il duca a
inviarlo per trattare con il principe Henry. O forse la verità è un’altra. A
malincuore Josquin si stacca. Bacia ancora l’uomo,
si riveste, guardando il ferito che gli sorride. Ancora un bacio, poi Josquin scivola via, mentre l’uomo gli dice: -
Grazie, Josquin. Josquin sorride. -
Grazie a te, Yvain. Josquin esce con grande cautela. Rimane in
ascolto. Nessun rumore sospetto. La nebbia è diventata più fitta e la luce
lunare crea un’atmosfera irreale. Josquin fa un ampio
giro per raggiungere il cavallo. Prima di salire attende ancora in silenzio.
Poi si allontana rapidamente. Attraversa
il torrente. Prosegue come se stesse perlustrando. Incontra alcuni dei suoi
soldati. Gli riferiscono che nessuno ha trovato nulla, come Josquin sa benissimo. All’accampamento
ci sono pochi soldati: i più stanno continuando le ricerche, ben sapendo che
nella notte sono del tutto inutili. Ma il principe è furibondo e appare
alquanto preoccupato. Il
giorno dopo ci sono ancora ricerche inutili, finché verso mezzogiorno il
principe non ordina di tornare alla capitale. Josquin ha passato la notte insonne, come
tutti i soldati, ma è abituato alle fatiche della guerra. Tornando cerca di
riflettere su ciò che è successo. Ha
tradito, questa è la verità. Ha salvato Yvain, pur
sapendo che il principe lo voleva morto. Gli ha ancora portato ciò di cui
poteva avere bisogno, nonostante avesse ricevuto l’ordine di trovare l’uomo e
ucciderlo. Ma non è pentito di ciò che ha fatto. E non crede che Yvain abbia cercato di uccidere il principe. È assai più
probabile che sia successo il contrario. * Stanno
per raggiungere la cittadina di Saint-Brentan,
quando vedono arrivare un cavaliere al galoppo. Josquin
lo conosce: è Marcel Dufay, uno degli uomini del
principe. L’uomo e il cavallo appaiono stravolti dalla fatica. Giunto
davanti al principe, Marcel dice: -
Re Jean è morto, sicuramente assassinato, e il principe Roland si è
impadronito del trono. Un esercito vi attende alle porte di Saint-Bertran per uccidervi. Il principe Roland ha
inviato trecento uomini, al comando di suo figlio Ganelon. Henry
è impallidito. Marcel
prosegue: -
Fuggite. Potete raggiungere le terre di Gilles di Cléry
e trovare rifugio presso di lui. Roland non oserà attaccarlo. Il
principe scuote la testa. -
Non è possibile, Marcel. L’uomo
appare angosciato. -
Non c’è altra via di fuga. E Roland sta richiamando altri uomini. Il duca vi
ospiterà. Henry
scuote la testa e rimane muto. Josquin si fa
avanti. -
Sire, se voi mi date l’ordine, organizzeremo la difesa. Lo
ha chiamato Sire, perché ormai il principe è il re legittimo, anche se un
altro si è impadronito del trono. Il
principe lo guarda. Sul suo viso appare una smorfia amara. -
Non siamo nemmeno cinquanta e loro sono trecento. Marcel
interviene: -
Il principe vuole la vostra testa. Se non fuggite o non vi difendete, verrete
ucciso oggi stesso. Josquin insiste: -
Datemi l’ordine e farò tutto il possibile. La rupe del Vent-aux-Diables
è un’ottima posizione per difenderci. -
E sia. Mi affido a te. Josquin porta i suoi uomini in cima al rilievo
detto del Vent-aux-Diables. È una rupe molto
scoscesa verso nord e verso sud, dove è praticamente impossibile inerpicarsi.
A occidente e a oriente il terreno è in forte pendenza, ma si può raggiungere
la parte alta, abbastanza ampia e boscosa. Josquin dispone i suoi uomini. Una trentina,
tra cui tutti gli arcieri, difenderanno il lato occidentale, quello rivolto
verso Saint-Brentan: l’esercito arriverà da quella
parte. Gli altri uomini, ben nascosti, si apposteranno lungo il pendio
orientale, perché di certo, dopo aver assalito frontalmente la rupe, gli
uomini di Ganelon cercheranno di aggirare la
postazione. L’esercito
nemico giunge nel primo pomeriggio. Ganelon è giovane
e irruente ed è conscio della grande sproporzione di forze. Si lancia
all’attacco senza tener conto della posizione molto sfavorevole. Non gli
importa di perdere diversi uomini: vuole poter portare al padre la testa del
principe, l’erede legittimo, l’unico ostacolo che potrebbe impedirgli un
giorno di ereditare il trono che Roland ha preso con la forza. Gli
uomini si lanciano lungo il pendio in gran numero, ma sono del tutto allo
scoperto e la forte pendenza del terreno rallenta la loro corsa. Gli arcieri
di Josquin fanno strage degli assalitori, che
finiscono per ritirarsi dopo che i cavalieri che li guidavano sono stati
abbattuti. Ganelon, furente, ordina un nuovo attacco. I
soldati si muovono con maggiore cautela, ma la loro posizione svantaggiosa trasforma
anche la seconda avanzata in una carneficina. Il pendio è coperto di cadaveri
di soldati trafitti dalle frecce. Quei pochi che riescono a salire più in
alto, fin quasi alle postazioni nemiche, vengono colpiti dalle lance. Ganelon vuole concludere a tutti i costi: deve
avere la testa del principe Henry prima di sera. Ha perso forse un terzo dei
suoi uomini, ma il suo vantaggio numerico è ancora enorme. Ganelon si consiglia con i cavalieri che lo
accompagnano. René, che conosce la collina, propone di lanciare un nuovo
attacco, mentre un gruppo di una trentina di uomini cercherà di sorprendere
gli assalitori ed espugnare la collina salendo dall’altra parte, lungo il
versante orientale, muovendosi di nascosto. L’attacco frontale, sul versante
occidentale, servirà a distrarre l’attenzione degli assediati e poi a
stringerli in una morsa quando saranno stati sorpresi alle spalle. Ganelon stesso guiderà il gruppo che cercherà
di attaccare sul versante orientale: vuole uccidere Henry e portarne la testa
al padre. Il
nuovo ordine di attacco suscita diversi mugugni, ma non è possibile disobbedire.
Arnaud di Blanchecouleur
guiderà gli uomini che attaccano frontalmente, Ganelon
il gruppo che prenderà gli assalitori alle spalle. Stretti in una tenaglia,
gli uomini del principe Henry saranno massacrati. Ganelon e i suoi uomini si muovono con prudenza,
cercando di rimanere nascosti, ma il fianco orientale della rupe appare completamente
sguarnito: probabilmente gli assediati non si aspettano una manovra di
aggiramento. Ganelon è giovane e inesperto e il desiderio
di ottenere una rapida vittoria lo porta a sottovalutare l’avversario. Non
sospetta che, ben nascosti tra le rocce e gli alberi, gli uomini di Josquin sono pronti al combattimento e Josquin stesso, che ha previsto la manovra, è tra loro,
insieme ad alcuni arcieri che ha spostato dall’altro versante. Il
doppio attacco parte: un’avanzata allo scoperto degli uomini condotti da Arnaud, una lenta manovra di quelli guidati da Ganelon. Arnaud è tra i primi a morire: Josquin ha dato ordine di colpire i cavalieri, ben
sapendo che i fanti saranno più restii ad avanzare dopo che i loro capi saranno
stati abbattuti. Intanto
Ganelon e i suoi uomini procedono, senza che si
scorga nessun nemico. C’è un tratto allo scoperto, ma non si vedono
sentinelle. Silenziosamente Ganelon e gli altri si
lanciano in avanti, certi della vittoria. Un
nugolo di frecce e lance abbatte diversi uomini, mentre i soldati di Josquin si lanciano su di loro. Josquin
stesso li guida e affronta Ganelon. È un uomo forte
e coraggioso, Ganelon, nonostante la giovane età, ma
Josquin gli è superiore per forza ed esperienza. Il
combattimento ha presto fine: con una finta Josquin
porta Ganelon a scoprirsi e immerge la sua spada
nel ventre dell’avversario, che crolla in ginocchio. Josquin
solleva la spada e la cala, recidendo il capo di Ganelon. La
morte del loro comandante semina il panico tra gli uomini di Ganelon: i pochi superstiti cercano di fuggire, ma
diversi vengono colpiti nella fuga. Josquin infila la testa di Ganelon
su una picca e rapidamente raggiunge l’altro versante della collina, dove gli
uomini di Ganelon ancora cercano di avanzare. Josquin issa la picca e gli assalitori possono
vedere il capo del loro comandante infilzato. La manovra di aggiramento è fallita,
i cavalieri sono morti e rimane solo più una massa di fanti impauriti che
fuggono abbandonando il campo. La
battaglia è stata vinta, gli uomini di Josquin
hanno subito pochissime perdite. Per gli altri è stata una strage. Ma la
situazione è tutt’altro che facile: il principe Roland si è impadronito del
potere e se i nobili del regno non sosterranno Henry, non sono certo i
neppure quaranta uomini al comando di Josquin e gli
altri dieci della scorta del principe che potranno proteggere il principe. Henry
tiene consiglio con gli altri nobili e con Josquin.
Esclude di rifugiarsi dal duca di Cléry, come
Marcel lo invita a fare: è sicuro che sarebbe consegnato a Roland. Infine
l’unica via da percorrere appare una manovra che porti le sparute truppe a
nord, dove si trovano alcuni vassalli che forse potrebbero essere disponibili
a sostenere Henry, come erede legittimo, opponendosi all’usurpazione del
trono da parte di Roland. La
disfatta dell’esercito guidato da Ganelon è stata
inattesa e Roland non ha ancora allestito altre truppe in grado di
intervenire con prontezza. Se non si dovranno affrontare scontri, tre giorni
di marcia permetteranno a Henry e ai suoi uomini di raggiungere il maniero dell’anziano conte di Fortbras, vassallo del re. Si tratta di un’impresa non
facile: Roland è di certo disposto a tutto pur di catturare Henry. Josquin dirige le operazioni e Henry si affida
interamente a lui, ben sapendo che il comandante è un uomo esperto e fedele. Josquin si reca nella vicina Saint-Bertran per requisire il cibo necessario al
viaggio, poi le truppe lasciano la città fingendo di dirigersi verso est e
solo dopo due ore di marcia piegano a nord, in direzione delle terre di Fortbras. Spostamenti notturni e percorsi non prevedibili
permettono alle truppe di raggiungere la meta senza che nessuno abbia la
possibilità di intercettarli. Josquin osserva il castello di Fortbras, che è uno dei più grandi del regno ed è ben
munito. Potrebbe resistere a lungo a un assedio, ma se altri nobili non si
schiereranno a favore di Henry, Roland lo espugnerà. Il
conte di Fortbras accoglie calorosamente il giovane
principe, ma non nasconde i suoi dubbi: -
Gran parte dei signori ha già giurato fedeltà al nuovo re e credo che ben pochi
sarebbero disponibili a una rivolta aperta. -
Ma re Jean aveva designato me come erede. -
Sì, ma in questi anni ci sono state molte vessazioni nei confronti dei
vassalli. Re Jean era odiato e la sua morte è stata accolta da molti come una
liberazione. Scusate se ve lo dico, ma l’essere l’erede designato da lui non
gioca a vostro favore, tanto più che Roland, in quanto figlio di un fratello
maggiore di vostro padre, è l’erede per diritto dinastico. Henry
frena a stento la collera. -
E che cosa dovrei fare? Consegnarmi a mio cugino perché mi faccia uccidere
come ha fatto con re Jean? Fuggire in esilio rinunciando al trono? -
Posso solo consigliarvi di intavolare trattative. Se volete, mi recherò nella
capitale per parlare con il nuovo re. Al
sentire chiamare Roland re, Henry freme. Pensava di trovare un appoggio, di
dare l’avvio a una rivolta, e si scopre isolato. E ora che cosa può fare per
difendere i suoi diritti? Non può certo pensare di riconquistare il regno con
una cinquantina di uomini. La
sera Henry tiene consiglio con i suoi uomini. -
Fortbras è un vile. Le
parole del principe irritano Josquin, che interviene,
ma non lascia trapelare il fastidio che prova: -
Il conte rischia la vita accogliendovi nel suo castello e recandosi a corte.
Il principe Roland potrebbe farlo arrestare e privarlo dei suoi possedimenti,
potrebbe anche farlo giustiziare, come monito per chiunque altro pensasse di
appoggiarvi o anche solo ospitarvi. Il conte lo sa benissimo. La
riflessione di Josquin sembra solo accrescere la
rabbia di Henry. -
E allora? È il suo dovere di suddito. Io sono il re, non mio cugino Roland. È
solo un usurpatore. Farà la stessa fine di suo figlio. Josquin non dice nulla. Un accordo è l’unica
via percorribile, sempre che Roland sia disponibile a trattare. Roland
potrebbe non farlo: Henry non ha un proprio esercito, non ha il sostegno dei
nobili. Perché Roland dovrebbe trattare con lui? Che cosa può offrire Henry in
una trattativa? Quasi nulla. L’unica carta che può giocare è la legittimità
che gli dà l’essere l’erede designato. Henry potrebbe rivolgersi a qualche
vicino, come il cugino, il potente duca di Cléry,
fornendogli un pretesto per intervenire. Ma se qualche altro sovrano
conquistasse il regno, di certo non lo renderebbe a Henry. Tutti
si rendono perfettamente conto della situazione, anche lo stesso Henry,
nonostante la rabbia che gli impedisce di riconoscerlo. Una trattativa è
l’unica strada percorribile: ottenere qualche compensazione in cambio di una
rinuncia formale al trono che renderebbe Roland l’erede legittimo. Marcel
ricorda che con la morte di Ganelon, Roland non ha più
eredi maschi legittimi. Ha un’unica figlia e si potrebbe pensare a un
matrimonio tra Henry e la giovane donna. In questo modo Henry potrebbe
riavere, alla morte di Roland, il regno che gli spetta. La
soluzione potrebbe essere molto vantaggiosa per Henry, la cui ascesa al trono
sarebbe soltanto rimandata. Non è detto che per Roland la proposta abbia
molto interesse, visto che Henry non costituisce una seria minaccia. Josquin ha lasciato che la discussione
procedesse senza dire nulla: è un valoroso comandante, ma non è tra gli
intimi del principe e tutti lo ignorano. Si limita a dire, quando ormai tutti
concordano sul tentare di percorrere la strada indicata da Marcel: -
Badate a non mettervi nelle sue mani senza nessuna garanzia, Sire. Il
principe Roland ha fatto assassinare re Jean. Non avrebbe scrupoli a far
assassinare anche voi. Ha perso il figlio in battaglia e di certo desidera
vendetta. Henry
osserva: -
Una volta che avrò sposato sua figlia, non tenterà nulla contro di me. Josquin non è altrettanto convinto, ma è
inutile insistere: ha dato l’avvertimento che riteneva necessario. Il
principe deciderà il da farsi. Josquin non è chiamato ad assistere al
colloquio tra il conte di Fortbras e Henry, ma dai
commenti che ascolta più tardi, scopre che anche Fortbras
sembrava alquanto perplesso. Nonostante questo il conte ha accettato di farsi
carico del tentativo di mediazione. Il
conte parte per la capitale con un piccolo seguito. Henry e i suoi amici si
dedicano alla caccia. Josquin e i soldati tengono
sotto controllo le strade: il rischio che Roland invii un esercito non appena
scopre che Henry si trova nei domini di Fortbras non
è da trascurare. Il
conte ritorna dopo otto giorni. Riferisce a Henry, senza la presenza di
nessun altro, le condizioni poste dal nuovo re. Henry ne discute con due dei
suoi uomini più fidati, ma non dice nulla agli altri. Josquin
è tenuto all’oscuro di tutto, ma rispetta le scelte di quello che ritiene il
suo re: solo quando Henry riconoscerà ufficialmente il cugino Roland come
sovrano, anche per Josquin sarà così. A
quanto pare, Roland ha accettato la proposta di Henry e gli darà la figlia in
sposa. Il matrimonio avverrà il giorno stesso in cui Henry giurerà fedeltà a
Roland come re. Josquin si chiede che ne sarà di lui. Ha
sconfitto gli uomini inviati da Roland e ha ucciso personalmente Ganelon, l’unico figlio maschio del nuovo re. Certamente
Roland non lo prenderà al suo servizio. È invece possibile che voglia
vendicare la morte del figlio. Josquin sa che
sarebbe più saggio lasciare il paese e rivolgersi a qualche altro signore,
mettendosi al suo servizio. Ma abbandonare ora il principe Henry gli
sembrerebbe un tradimento. Anche se Josquin ha poca
stima di lui, Henry è pur sempre il suo sovrano. Una
settimana dopo Josquin e i suoi uomini accompagnano
il principe Henry all’incontro con il sovrano. Henry dovrà inginocchiarsi
davanti a lui, avallando l’usurpazione, poi sarà celebrato il matrimonio. Josquin e i suoi uomini costituiranno la scorta armata del
principe Henry. La
capitale è bardata a festa per la riconciliazione tra i cugini e il
matrimonio della giovane Berthe, la figlia di
Roland. Henry
entra nel castello, accompagnato da quattro uomini del suo seguito. Dice a Josquin di seguirlo. Josquin è
stupito di questo onore e si chiede se Henry non tema un agguato: non ci
sarebbe niente di strano, Josquin stesso non è
convinto della sincerità di Roland. Ma se davvero verranno assaliti, il
valore di Josquin non sarà certo sufficiente a
salvare Henry. Quando
sono nella grande sala dove si trova Roland, Henry avanza verso di lui, si
inginocchia ai piedi del trono e pronuncia la formula richiesta dal sovrano: -
Roland d’Abergy, io, Henry di Roudre
ti riconosco come unico legittimo sovrano e ti chiedo perdono per non aver
prestato prima il giuramento di obbedienza. Josquin sa benissimo che le parole di Henry
non sono certo sincere. Non si stupirebbe che in futuro Henry cercasse di
affrettare la fine di Roland per salire infine sul trono. Ma quanto di
sincero c’è nel perdono che ora Roland, magnanimo, concede? Ora
il re è sceso dal trono e abbraccia il cugino. I due scambiano poche parole
sommesse. Roland
si stacca e, indicando Josquin con un cenno del
mento, dice: -
Guardie, arrestate quest’uomo. Josquin viene bloccato e legato da otto
armigeri. Non cerca di difendersi: Henry non ha detto niente, Roland è il re.
A lui Josquin deve obbedienza. Henry
si rivolge a lui, sorridendo: -
Il re nostro cugino ha chiesto la vostra testa come condizione irrinunciabile
per l’accordo. Josquin guarda il principe senza dire nulla. Il
principe Henry lo manda al macello come un bue senza averglielo neppure
detto. Se Henry lo avesse avvertito della condizione posta dal re, Josquin non si sarebbe opposto: la lealtà al suo signore
viene prima di ogni altra cosa, la sua vita è al servizio . Ma Henry, a cui
lui ha salvato la vita, per cui lui ha ucciso Ganelon
in leale combattimento, non ha nemmeno ritenuto necessario avvisarlo. Aveva forse
paura che cercasse di fuggire? Josquin tace. Per quest’uomo che ha davanti
prova solo un disprezzo infinito. Lo
trascinano via, senza che egli opponga resistenza. Josquin viene condotto negli alloggiamenti dei
soldati e di lì nei sotterranei, dove si trovano le prigioni. Josquin sa che non ne uscirà vivo. Quando sono giunti al
fondo della scala, un soldato gli mette un cappuccio. Josquin
non vede più niente. Sente
il rumore di una serratura che viene aperta. Poi gli uomini lo spogliano. Non
gli lasciano nessuno degli abiti. Lo fanno avanzare. Lo costringono ad
allargare le gambe e gli legano le caviglie a due pali. Poi lo forzano a
piegarsi in avanti. Si trova con il petto appoggiato su un tavolo: i due pali
sono le zampe del tavolo. Poi gli uomini gli afferrano i polsi e li legano
con corde alle zampe anteriori. Gli
uomini scambiano qualche battuta. Osservano che ha un bel culo, che tra poco
avrà un po’ di segni rossi. Intendono frustarlo. Josquin
sa che è solo l’inizio. Gli
uomini escono. Dalle loro parole Josquin capisce
che torneranno tra poco. Qualcuno è rimasto nella cella. Un sibilo e poi un
colpo violento che si abbatte sul culo. Una seconda frustata e poi una terza
colpiscono ancora il culo, le successive si distribuiscono su tutto il corpo
di Josquin, dalla schiena alle cosce. Le staffilate
si susseguono, interminabili, e il dolore cresce. Josquin
stringe i denti per non urlare. Quante
frustate ha ricevuto? Trenta? Quaranta? Cinquanta? Due
mani si posano sul suo culo, martoriando la carne ferita. Poi Josquin sente contro l’apertura una pressione decisa. Con
un colpo secco, l’uomo che lo ha frustato lo incula. Josquin sussulta. Mai nessuno lo ha posseduto.
E il dolore che prova non è maggiore dell’umiliazione. L’uomo spinge con
forza e la sofferenza cresce dalle viscere martoriate. Josquin
tira le corde che lo stringono, ma sono legate saldamente e non c’è
possibilità di sfuggire. L’uomo continua a penetrarlo per poi ritrarsi,
finché viene ed esce. Poco
dopo si sentono voci e risate. Altri uomini entrano nella cella. Una
voce dice: -
Io ho aperto la strada. Potete accomodarvi voi, adesso. Josquin intuisce quanto l’attende e l’angoscia
lo inghiotte. Un
secondo cazzo preme contro il culo di Josquin ed
entra. L’uomo va avanti a lungo e a Josquin pare
che il mondo oscilli paurosamente. Dopo di lui ne viene un altro e poi un
altro ancora. Quando
il quarto uomo lo sta inculando, un getto umido prende in pieno il cappuccio
che copre il capo di Josquin. L’odore non lascia
dubbi: gli stanno pisciando sulla testa. Altri seguono l’esempio del primo.
Il cappuccio è intriso di piscio e Josquin respira
a fatica. Quando
hanno finito, lo lasciano legato, con il cappuccio grondante di piscio, e se
ne vanno, chiudendo la porta. Quel po’ di luce che filtrava attraverso il
cappuccio scompare. Josquin è solo nel buio della
cella, saldamente legato. Dal culo gli cola sborro in abbondanza, misto a un
po’ di sangue. Lentamente
il dolore si attenua e a un certo punto Josquin
sprofonda in un sonno inquieto, popolato di incubi. Quando
Josquin si sveglia, è ancora buio. È notte o è
giorno? Si trova nei sotterranei, nella cella non c’è una finestra, potrebbe
essere qualsiasi ora. Il culo gli fa ancora male e i piccoli movimenti che le
corde non impediscono completamente riaccendono il dolore della fustigazione.
Josquin ha sete, una sete terribile. Ha la gola
riarsa. Rumore
di passi. Una serratura che si apre. Una luce. Una
voce forte: -
Il principe Henry è morto la sera stessa del suo matrimonio, senza poter neppure
consumare le nozze. Non è stato fortunato come te che hai potuto farti
fottere finché volevi. L’uomo
ride. Josquin rimane in silenzio. Che cosa potrebbe
dire? Il principe non ha ascoltato il suo avvertimento ed è stato
assassinato. Ha avuto quello che si meritava. Josquin
ha fatto solo il suo dovere, ma pagherà un prezzo alto per questo. -
Tu verrai impiccato, ma prima di allora soggiornerai un po’ in queste celle.
Il carceriere ti terrà compagnia. Sono sicuro che apprezzerai. L’uomo
ride nuovamente. Poi aggiunge: -
Prima di impiccarti, ti castreremo. Non
hanno nessun diritto di impiccarlo: è una pena per gli uomini del popolo, non
per i nobili. Non ha commesso nessun reato per cui possa essere castrato. Ma
lo faranno: il re può fare ciò che vuole di lui. E lo farà: vuole vendicare
il figlio morto. Josquin sa che la sua fine sarà
uno spettacolo per divertire la folla e umiliarlo ancora. La
cella ripiomba nel buio. Più tardi il carceriere torna e nuovamente frusta Josquin. Poi lo incula e gli piscia sul cappuccio. Non
gli porta né da mangiare, né da bere e lo lascia legato al tavolo. Solo
più tardi, forse il giorno dopo, due uomini sciolgono le corde che legano Josquin e gli tolgono il cappuccio. Dopo tante ore di
forzata immobilità in una posizione innaturale, Josquin
fa fatica a stare in piedi. Gli uomini ridono mentre gli legano nuovamente le
mani, questa volta dietro la schiena, e le caviglie, poi se ne vanno. Josquin si siede al suolo. Al contatto con il pavimento
della cella, le ferite delle frustate fanno male, ma Josquin
non riesce a stare in piedi: è troppo debole. Più tardi il carceriere depone
una scodella con dell’acqua e un po’ di pane. Li mette a terra e chiude la
porta. Muovendosi con cautela, per non rovesciare l’acqua, Josquin cerca nell’oscurità assoluta la scodella e beve.
Quel po’ d’acqua non è sufficiente a estinguere la sua sete, ma almeno la
calma un po’. Poi Josquin cerca il pane e lo morde.
Non è facile mangiare con le mani legate dietro la schiena, ma alla fine Josquin riesce a cibarsi. Torna
a sedersi, esausto. Il carceriere viene altre due volte. Una per incularlo,
un’altra per pisciargli in faccia. I
giorni successivi trascorrono uguali: poco da mangiare e da bere e la violenza
da parte del carceriere, che più volte gli piscia addosso. Quando le ferite
delle frustate incominciano a cicatrizzare, Josquin
viene nuovamente fustigato. La cella è un inferno di piscio e sangue, sborro
e merda, da cui non c’è modo di uscire. Il carceriere gli ha detto che è
fortunato: il re è partito per combattere e la sua esecuzione è rinviata. Josquin si sente mancare. Decide
di non mangiare e non bere più, per affrettare la fine. Quando
il carceriere gli porta l’acqua e il pane, Josquin
non si avvicina. Ma a un certo punto la sete ha il sopravvento e Josquin cerca la scodella. Quando la trova, con uno
sforzo di volontà, la colpisce con il capo e la rovescia. Il
primo giorno il carceriere pensa che Josquin abbia
bevuto, anche se non capisce perché non ha mangiato. Poi comprende. -
Il re ti vuole vivo, stronzo. Ti faccio bere io. Il
carceriere gli afferra la gola e la stringe, costringendolo ad aprire la
bocca, poi gli versa un po’ d’acqua. Josquin
tossisce e sputa. Ne inghiotte pochissima. Il
carceriere è furente. Lo colpisce più volte, lo incula selvaggiamente, piscia
su di lui. Josquin lascia che il mondo svanisca
lentamente. Sprofonda in un torpore da cui le sevizie lo scuotono appena. Un
giorno il carceriere, esasperato, gli stringe la gola e lo fotte in bocca. Josquin non ha la forza per opporsi, per mordere. Josquin sta morendo. Nel
buio della cella, mentre il carceriere abusa di lui ancora una volta, Josquin perde coscienza. Riapre
gli occhi e la luce lo acceca. Abbassa le palpebre. È debolissimo e i suoi
pensieri oscillano senza riuscire a fissarsi. Non è più nella cella. Non è
legato. È in un letto. Qualcuno lo aiuta a bere, da solo Josquin
non riuscirebbe. Ci
vogliono alcuni giorni perché Josquin riesca a
recuperare un po’ di lucidità. Quando si sveglia, di notte o di giorno, c’è
sempre qualcuno accanto a lui. Viene lavato e nutrito regolarmente. Nei primi
giorni non cerca di parlare con chi lo assiste: è ancora troppo debole. Gli
sembra che il mondo sia lontano e che non gli importi di nulla. Lentamente
Josquin recupera le forze. Dopo cinque giorni, al
risveglio Josquin è perfettamente lucido e si sente
abbastanza bene, anche se è ancora molto debole. Al suo fianco c’è un uomo
che ha visto altre volte e che ora gli chiede se vuole bere. Josquin beve e poi gli chiede come mai è qui. -
Vado a chiamare chi può rispondere alle vostre domande. Poco
dopo entra un uomo sui cinquant’anni, che Josquin
non conosce. L’abbigliamento rivela una condizione sociale superiore. -
Come state, comandante? Josquin è stupito nel sentirsi dare del voi e
chiamare comandante. -
Meglio. Sono debole, ma sto molto meglio. -
Mi fa piacere. La vostra vita è preziosa. Josquin non nasconde il suo stupore. -
A che cosa è dovuto questo cambiamento? -
Nel vostro trattamento? Sono cambiate molte cose nel regno. E prima di tutto
è cambiato il re. Josquin è rimasto senza parole. L’uomo sorride
e prosegue: -
Mentre voi eravate in cella, il duca di Cléry ha attaccato
re Roland e lo ha messo in fuga. La capitale è stata conquistata. Il duca è
diventato re, ma ancora combatte contro Roland e le poche truppe a lui
fedeli. Per questo voi siete stato liberato e assistito. Il re è stato
informato della vostra condanna e ha ritenuto ingiusto un simile trattamento
per un comandante valoroso che ha svolto il suo dovere. Penso che vi voglia
al suo servizio. Josquin ha sempre saputo che la ruota della
fortuna gira in fretta, ma non si aspettava un cambiamento così repentino,
del tutto insperato. Riteneva che per lui ci fosse solo più una morte
infamante. -
Vi ringrazio per le notizie che mi date. -
Adesso pensate a guarire. Quando siete stato liberato, abbiamo pensato che
non sareste sopravvissuto. Il
viso dell’uomo si rabbuia mentre dice: -
Il carceriere è stato impiccato in piazza. I
giorni passano lentamente. Josquin incomincia ad
alzarsi dal letto. Progressivamente recupera le forze. L’uomo che gli ha
parlato, che è uno dei consiglieri del re, lo informa che quando si sentirà,
potrà passeggiare nel giardino accompagnato da due soldati: fino a che non
avrà parlato con il re, Josquin non avrà piena
libertà. Due
giorni dopo Josquin è in grado di camminare
all’aperto e i progressi diventano più rapidi. Quindici giorni dopo il suo risveglio
nella stanza, Josquin si è ripreso completamente e
si annoia nella stanza che è la sua prigione: è abituato a una vita molto
attiva all’aria aperta, non a quest’ozio forzato. Seduto nella sua stanza, Josquin pensa alla sua vita. Più volte gli torna in mente
Yvain di Loireau, l’uomo
che ha salvato e che ha amato una notte. Quel loro breve incontro gli è
rimasto impresso. Se, come Josquin sospetta, Yvain era al servizio del duca di Cléry,
che ora è re, forse Josquin potrà rivederlo. Gli farebbe
molto piacere ritrovarlo. Il
giorno seguente lo informano che il re
è tornato: Roland è stato sconfitto e catturato. Verrà giustiziato per aver
assassinato re Jean e il principe Henry. Presto Josquin
sarà convocato dal re. Un
mattino il consigliere del re gli dice che nel pomeriggio potrà incontrare
sua maestà. Intanto un prigioniero, che verrà giustiziato domani, vorrebbe
parlare a Josquin. Josquin non capisce chi possa essere. -
Chi è quest’uomo che desidera vedermi? -
Si chiama Yvain di Loireau. Josquin sente una fitta. Il pensiero che Yvain stia per morire lo angoscia. Lo voleva ritrovare,
ma non così. Il
consigliere chiede: -
Accettate di vederlo? -
Certo. Il
consigliere accompagna Josquin lungo un corridoio,
fino a una porta guardata da due soldati. A un suo cenno, uno dei soldati
apre la porta. Il consigliere si congeda dicendo: -
Quando avrete concluso il colloquio, bussate. Sarete riaccompagnato nella
vostra stanza. Josquin annuisce ed entra. Dietro di lui la
porta viene rinchiusa. Yvain è in piedi in mezzo alla stanza. Josquin fa due passi verso di lui. Avverte che il cuore
gli batte più in fretta. -
Yvain! -
Josquin! C’è
un attimo di esitazione, poi si abbracciano di slancio. Si baciano, un bacio
appassionato. Poi si staccano, si guardano negli occhi e si baciano di nuovo. Josquin vorrebbe rimanere stretto a Yvain, amarlo di nuovo. Ma il pensiero della condanna di Yvain lo angoscia: -
Yvain, mi dicono che sei stato condannato. Perché? -
Il re non mi ha perdonato il fallimento della missione che mi aveva affidato
a Bellechasse, quando tu mi salvasti la vita. -
Ma non fu colpa tua. Ti aggredirono, no? Il principe Henry voleva ucciderti. -
Cercò di uccidermi perché voleva l’appoggio del duca per uccidere re Jean, ma
quando seppe che il duca non sarebbe stato d’accordo, pensò di mettermi a
tacere per sempre. Così non avrei potuto riferire al duca le sue intenzioni. -
E allora, che colpa hai tu? -
Non seppi gestire bene la situazione, avrei dovuto fingere di accettare per
tornare a riferire al duca. A
Josquin sembra incredibile che il duca possa
mandare a morte un suo suddito fedele per questo. Re Jean era noto per la sua
ferocia, ma il duca di Cléry aveva una fama di gran
lunga migliore. Ora che è diventato re si sta dimostrando assai diverso da
come lo dipingevano. Josquin scuote la testa. Si avvicina a Yvain e lo bacia ancora. Gli mormora: -
Non voglio perderti. Josquin ricambia il bacio, poi gli dice: -
Anche tu, allora… Ho spesso pensato a te in questo
periodo. Al nostro abbraccio quella notte. Josquin…
lo vuoi? -
È quello che desidero di più al mondo. Le
mani di Yvain si infilano sotto la camicia di Josquin, in una carezza. È bello sentirle scorrere sulla
pelle, mentre sfilano la camicia, e poi si insinuano nei pantaloni. Josquin non rimane inoperoso e presto si ritrovano
entrambi quasi nudi. Si stringono con forza, le loro mani accarezzano e
afferrano, le loro bocche si uniscono. Le
dita di Yvain scorrono lungo i segni delle
frustate. -
Quei bastardi… -
Non ha importanza, Yvain, è passato. E
dopo un altro bacio ardente, quando ormai i loro uccelli sono entrambi pieni
di sangue e tesi, Yvain mormora: -
Prendimi, Josquin. Josquin annuisce. Yvain
si stacca, finisce di spogliarsi e si stende sul letto, a gambe larghe. Josquin si stende su di lui e gli bacia il collo, la
nuca, una spalla. Poi gli morde l’orecchio e infine si solleva un po’ e, in
ginocchio, gli morde vigorosamente il culo. Yvain
sussulta. Josquin morde ancora, più volte, poi
passa la lingua sul solco, mentre le sue mani stringono i fianchi. Yvain geme e Josquin
si stende nuovamente su di lui. Inumidisce la cappella e, lentamente, infilza
il culo che gli si offre. L’uccello affonda fino a scomparire completamente
tra le natiche. Josquin bacia ancora Yvain e gli accarezza i capelli, poi incomincia la sua
cavalcata. È
un piacere intensissimo, che lo avvolge completamente. Stringere questo
corpo, possederlo, gli trasmette sensazioni fortissime. Alle labbra di Josquin vengono parole d’amore, ma le ricaccia indietro,
vergognandosi. Lascia che siano le sue dita, le sue mani, le sue labbra a
dire quello che prova. E
poi la cavalcata diventa sempre più intensa, finché il piacere non è più
contenibile ed esplode. Josquin sente che anche il
corpo di Yvain è percorso da un identico brivido di
piacere e non riesce più a trattenere le parole che premono dentro: -
Yvain, amore mio. Non
è abituato a esprimere sentimenti, ma quello che prova è più forte di lui. Yvain sorride, felice. -
Anch’io ti amo, Josquin. Non so come sia possibile,
ci siamo visti solo allora, ma ho pensato a te ogni giorno. Rimangono
a lungo abbracciati. Poi Yvain dice: -
Devi andare, Josquin. Si
staccano. Incominciano a rivestirsi. Josquin bacia
ancora Yvain. Quando sono pronti, Josquin chiede: -
Yvain, non c’è modo di salvarti? -
No, Josquin. Dimenticami. -
No. Oggi dovrei vedere il re. Gli chiederò la tua grazia. Forse non servirà a
niente, ma voglio provare tutte le strade. -
Ti ringrazio, Josquin, ma è inutile. Yvain sorride. Sembra sereno. Josquin è angosciato. Lo stringe con forza tra le
braccia. Yvain mormora: -
Questo è tutto quello che conta. Ora vai. Josquin annuisce. Dà un colpo contro la porta.
Gli viene aperto. Josquin guarda ancora Yvain. Pensa che probabilmente non lo rivedrà più. China
il capo. La guardia lo accompagna nella sua stanza. Josquin si stende sul letto. Ciò che prova per
Yvain lo spaventa. Deve salvarlo, a tutti i costi. È
passata solo mezz’ora quando il consigliere del re viene a chiamare Josquin. -
Il re vuole parlarvi. -
Sono pronto. Il
consigliere accompagna Josquin lungo un corridoio e
poi una scala, finché giungono davanti alla porta che immette nella sala
delle udienze, sorvegliata da due guardie. -
Il re vi attende. Entrate. Josquin annuisce. Pensa che deve salvare Yvain, a costo di perdere la vita. Ma come? Josquin entra e il consigliere richiude la
porta dietro di lui. Josquin non se ne accorge
neanche. Rimane impietrito, guardando il seggio reale, su cui siede Yvain. -
Vieni avanti, Josquin. Josquin non si muove. Mormora: -
Tu… voi… sire… Yvain sorride, scuotendo la testa. -
Poco fa mi davi del tu. Devi continuare a farlo. Vieni avanti. Josquin avanza, confuso, senza parole. Infine
riesce a dire: -
Ma… perché? -
Perché quel giorno al confine, successe qualche cosa che non mi aspettavo. Mi
salvasti la vita, ma mi prendesti l’anima, Josquin.
Se ho deciso di attaccare il regno non è stato solo per punire l’infamia di
Roland o per estendere i miei domini. Volevo salvarti. Josquin è completamente sbalestrato. Non è in
grado di pensare. Si limita a dire, con un mezzo inchino di cui non coglie
l’assurdità: -
Vi ringrazio di questo, maestà. -
Sono Yvain, Josquin. Anche
se il mio primo nome è Gilles, mia madre mi ha sempre chiamato Yvain, il mio secondo nome. Per te sono Yvain e quando non c’è nessun altro voglio sentire il mio
nome pronunciato da te. -
Sì, Yvain, sì, lo farò, ma… Josquin è ancora confuso. Vuole capire. -
…perché farmi credere che ti avrebbero giustiziato? -
Volevo sapere se tu provavi davvero qualche cosa per me. Una volta che avessi
scoperto che io ero il re, sarebbe stato tutto diverso. Come prigioniero
condannato a morte mi sarebbe stato più facile capire i tuoi veri sentimenti.
Sapere se anche tu conservavi del nostro incontro un ricordo simile a quello
che avevo io. Tu avevi rischiato la vita per salvarmi, io non avevo fatto
nulla per te, ti avevo messo in pericolo. Forse tu ti ricordavi appena di me. Josquin sorride. -
Sai che non è così, Yvain. -
Sì, l’ho capito e non aveva più senso farti credere che ero un prigioniero. Ora
sarai sempre al mio fianco, come capo della mia guardia personale. Josquin sorride. -
Mi sembra impossibile che tu mi voglia. Yvain scuote il capo: -
Impossibile? Ho scatenato una guerra per te, Josquin. 2015 |