Il falcone di Federigo

 

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In  Firenze vi furono  un tempo due grandi amici, uno chiamato Federigo di messer Filippo Alberighi, e l'altro chiamato messer Giovanni dei Negroponti, di dieci anni maggiore di Federigo. Entrambi erano uomini forti e virili e talmente belli d’aspetto, che molti uomini e donne li desideravano grandemente.

Sapevano usare con maestria la spada e la lancia, erano abilissimi nel cavalcare, e spesso si dilettavano assieme con i piaceri della carne, abbandonandosi a libagioni, feste e innumerevoli avventure galanti. Erano stati entrambi provvisti in modo generoso dalla natura del corno con cui cozzano gli uomini, e lo sapevano usare in modo sapiente e duraturo. Come spesso succede poi agli uomini particolarmente dotati dalla natura, preferivano sentirsi stringere il possente ariete nella fortezza posteriore piuttosto che immergerlo nell'umida fessura da cui si nasce.  Non disdegnavano perciò i piaceri che due belle mele poste nelle terga dei giovinetti potevano dar loro. Anzi, trovati i fanciulli che si facevano montare per pochi scudi, facevano a gara per durare di più nell'atto amoroso o nel procurare il maggior numero di dolcezze negli amasi in una notte.

Come però spesso succede, Federigo si innamorò di Giovanni, impressionato dalla sua forza e dalla bellezza del membro che spesso vedeva esibito nelle loro sessioni amorose con i giovinetti della città. Quest'ultimo però non solo respinse tutte le profferte amorose di Federico, ma derise l'amico che per attirare la sua attenzione e ottenere il suo amore, cercava ogni occasione di mostrare il suo valore nei tornei, spendendo nella loro organizzazione fino all'ultimo dei suoi denari.  Infine Giovanni prese moglie, e apparentemente abbandonò le attenzioni verso gli  uomini e i giovinetti per dedicarsi alla famiglia, che si era arricchita nel frattempo di un nuovo nato, battezzato con il nome di Maso. Federigo però, amandolo moltissimo, sperava che egli potesse tornare agli antichi amori e continuava a  offrire feste e banchetti, a cui invitava Giovanni, e si mostrava molto munifico, a tal punto che dissipò tutti i suoi averi, finendo in povertà. Ma Giovanni, pur conoscendo la passione che Federigo nutriva per lui, non sembrava curarsi né di tutto ciò che veniva fatto in onor suo, né di Federigo stesso.

Le cose cambiarono quando nel 1347 Firenze fu sopraffatta dalla terribile peste nera: Federigo, ormai ridotto in rovina e sempre più innamorato di Giovanni, si rifugiò a vivere in un piccolo podere che aveva a Campi e che poteva fornire appena di che vivere in grande ristrettezza. La peste tuttavia colpì duramente anche Giovanni, che perse la moglie e che dovette fuggire da Firenze col figlioletto, rifugiandosi proprio a Campi, dove, non lontano dal piccolo podere di Federigo, possedeva un vasta tenuta. 

Federigo nel frattempo sopportava pazientemente la sua povertà continuando a soffrire per l'amore non corrisposto verso Giovanni e avendo come unica consolazione un bellissimo falcone, che era da tutti gli esperti considerato il migliore per la caccia.

Nell’estate successiva, il ragazzo, ormai sedicenne, andando in giro per la campagna, ebbe spesso modo di incontrare Federigo, di cui a Firenze aveva sentito molto parlare: tutti in città ne lodavano la cortesia e la forza e si dispiacevano che si fosse dovuto ritirare in quel podere sperduto. Ma a Maso, che stava conoscendo i primi assalti del desiderio maschile,  fece soprattutto effetto la bellezza virile di  Federigo. L'uomo con pazienza e cortesia, insegnò al ragazzo a cacciare con il falcone spiegandogli come tenerlo e  come usarlo nella caccia. Con il passare dei giorni, Federigo e Maso divennero sempre più legati. L'uomo gli spiegò che il falcone veniva dalla lontana Germania, dove questi rapaci venivano allevati e addestrati, e gli disse che aveva per lui un valore inestimabile.

Federigo faceva accarezzare volentieri il volatile al ragazzo, che sembrava trarre sempre più piacere nel toccare le morbide piume del petto dell'animale e stringerlo in modo da sentirne il cuore che batteva forte. Ma nel frattempo guardava il braccio vigoroso e peloso dell'uomo e cercava di accostarsi sempre di più al suo corpo sodo e muscoloso, in modo da sentirne il distinto afrore di maschio, un profumo che gli faceva girare la testa.

 Una volta  apparve una lepre al bordo del bosco e Federigo senza indugi liberò il falcone, che con la rapidità di un fulmine si buttò a capofitto sull'animale saltellante e con mossa precisa lo artigliò alla gola provocandone un grido disperato. Subito l'uomo e il ragazzo spronarono i cavalli e in poco tempo raggiunsero la scena della caccia, con la lepre che si contorceva negli ultimi spasimi dell'agonia e il falcone che la teneva ferma con i suoi artigli sanguinanti, conficcati in profondità nelle carni.  Maso fissava a bocca aperta il crudele rito della morte, mentre Federigo con poche, ma abili mosse liberava la lepre dagli artigli prima che il falco iniziasse a scorticarla, per poi porre di nuovo l'uccello sul guanto. Lo accarezzò dicendogli alcune parole affettuose e, preso un coltello che portava alla cinta, staccò una coscia alla lepre per darla come premio al falcone, che subito, affamato, si mise a scarnificarla. Maso guardò anche al grande bozzo che tendeva le brache attillate di Federigo, e gli sembrò che fosse ancora di più cresciuto in grandezza.

- A questo punto ci vuole una bella pisciata, disse Federigo, che allargando le gambe si aprì la brachetta e ne fece uscire un grosso membro carnoso, che, ancorché non turgido, mostrava le premesse di diventare un maestoso corno, una volta opportunamente lavorato.  Maso lo guardò, e immediatamente sentì un forte turbamento tra le cosce, che per vergogna gli impedì di seguire l'esempio dell'uomo. Questi invece, fece zampillare un arco perfetto di piscio caldo e giallo e  mentre si scrollava il grosso membro, guardò sorridendo il ragazzo dicendo:

-Ma come, tu non pisci?-

Al che Maso, vergognoso, balbettò come scusa che non ne aveva bisogno.

Nei giorni di gran calura, dopo aver cacciato, spesso si bagnavano in un laghetto non lontano dal podere di Federigo. Maso aspettava con ansia il momento in cui il  valoroso cavaliere si liberava dei vestiti per mostrarsi nudo in tutta la sua virile bellezza e immergersi nell’acqua. Maso non vedeva l'ora di poter ammirare le larghe spalle, i grossi bicipiti, il folto vello che gli ricopriva i pettorali in rilievo e che si assottigliava sul ventre per poi esplodere in una selva di peli nella parte che lo faceva uomo e da cui spuntavano i magnifici gioielli che il ragazzo si mangiava con gli occhi. Quando poi con un tuffo Federigo si buttava in acqua, poteva vedere lo splendido culo peloso, con le natiche sode che si annerivano nel vello del solco che separava le due mele.  Maso, che invece era ai primi peli, era affascinato dallo spettacolo prorompente di tanta mascolinità e sentiva la forza del desiderio crescere dentro di lui. Avrebbe voluto giacere con Federigo, ma non osava chiederglielo e, celando il suo desiderio impossibile, si struggeva sempre di più.

E il desiderio non soddisfatto lo macerò a tal punto che a metà dell’estate Maso si ammalò. Il padre, vedendolo deperire velocemente, era sempre più preoccupato. Il medico non sapeva che dire e si raccomandò solo di non contrariare il ragazzo.

Giovanni, sedendo al capezzale del figlio,  cercava di capire le cause del malessere che faceva deperire il figlio così rapidamente, e le spiegazioni che gli dava il dottore non lo convincevano. Con la scusa di cambiare i teli di lino su cui il figlio cui giaceva, Giovanni li esaminò con cura, trovandovi in gran quantità le tracce di seme versato. Doveva perciò scoprire qual era la causa di tanta eccitazione per il suo fanciullo.

Una sera a Giovanni sembrò di udire alcuni lamenti che venivano dalla stanza di Maso e si  appostò accanto alla porta socchiusa. In breve ebbe chiaro il motivo di quei gemiti, ma la cosa che più lo scosse furono le parole che udì proferire al figlio durante quella seduta di piacere solitario.

Ansimando, il ragazzo, al culmine del piacere, mormorava delle parole che il padre ben conosceva, ma che non aveva mai udito proferire al figlio.

<Il cazzo, diceva Maso, il tuo bel cazzo, Federigo. Non posso più resistere senza di lui, senza il tuo cazzo morirò di sicuro,  voglio sentirlo in fondo alle mie viscere, colmami del dolce seme che ti gonfia i coglioni. Il tuo cazzo..aaaahhhh>

Giovanni rimase molto turbato da quelle parole, ma anche sollevato, in quanto pensò che procurando al figlio l'organo desiderato l'avrebbe potuto salvare. Ma.. come chiedere a Federico un piacere del genere?

I fatti evolsero in modo fortunato per lui, quando arrivò l’unico servo di Federigo a chiedere notizie del ragazzo. Alla vista del servo di Federigo Alberighi, Maso sentì il cuore battere più forte e il padre, che da quella sera non faceva che rimuginare, avuta una conferma dei suoi pensieri dal mutamento del giovane, dopo aver dato al servitore le notizie richieste, si pose accanto al letto del figlio, con le gambe ben divaricate in modo che si vedesse bene l'enorme bozzo che gli tendeva il davanti delle rosse brache attillate. Ormai era sicuro del tipo di desiderio che scuoteva il cuore del figlio e tanto valeva affrontare l'argomento in modo esplicito, per cui gli si rivolse con queste parole:

- Figlio mio, siamo tra uomini e conosco bene a cosa possono portare le pene d'amore, se non vengono corrisposte. Sono tuo padre e anch’io alla tua età ho avuto molti desideri inconfessabili che in quel periodo della vita sono naturali. Dimmi, sinceramente, che cosa desideri, perché farò tutto per fartelo ottenere.

Maso arrossì profondamente,  ma taceva, vergognandosi di confessare al padre il suo desiderio recondito. Giovanni allora si pose la grossa mano pelosa sull'inguine, dandosi una vigorosa palpata all'organo che sapeva essere tanto desiderato dal figlio.

- È questo in fondo che desideri, ma di un altro uomo? È naturale che alla tua età si desideri lo scettro del piacere di un uomo nel pieno della sua virilità. E il possessore di quell’oggetto è forse il bel Federigo?

Maso continuava a tacere, a capo chino, ma Giovanni vide che di sottecchi il figlio non staccava lo sguardo dalla sua mano che continuava a palparsi l'inguine; ora  il padre era sicuro di avere centrato il problema.

- Dunque se è veramente questo che desideri da parte di Federigo - e intanto continuava ad accarezzarsi - non avere vergogna, ma voglio che lo nomini tu. Se me lo dici glielo andrò a chiedere io di persona. Dimmi, cosa devo chiedergli per te?

-Il cazzo-  sussurrò il ragazzo.

Giovanni si finse sorpreso, ma gli disse che avrebbe fatto di tutto per farglielo avere. In realtà si sentiva morire di vergogna nel dover fare una simile domanda a Federigo, non solo per l'oggetto della richiesta, ma soprattutto per il fatto che in passato aveva sdegnosamente rifiutato le sue profferte amorose.   

Ma di fronte alle condizioni di Maso che sembrava peggiorare, disperato, il padre si decise ad andare da Federigo e dopo aver rassicurato il figlio con un bacio sulla fronte e promessogli che gli avrebbe chiesto l'oggetto del suo desiderio, partì alla volta del podere del cavaliere.

Mentre si avvicinava al modesto casolare in cui viveva Federigo, pensava alle parole che avrebbe dovuto dirgli per fargli la inusitata richiesta e si sentiva veramente avvampare di vergogna. Per di più doveva chiedere il gioiello dell'uomo proprio a colui aveva rifiutato sdegnosamente in gioventù. Solo la preoccupazione per la salute del figlio gli impedì di volgere indietro i suoi passi.

Giovanni incontrò Federigo mentre questi usciva per la caccia e gli chiese se poteva accompagnarlo per un tratto nel bosco.  

Strada facendo, Federigo gli chiese subito notizie del figlio, giacché le notizie che gli aveva riferito il servo , dopo la sua visita a casa di Giovanni, non lo rassicuravano affatto.

 

- Proprio per lui vengo a trovarvi, rispose Giovanni. Le sue condizioni mi preoccupano alquanto.

Federigo parve molto turbato.

- Ciò che dite mi addolora profondamente. Che cosa ne dice il dottore?

- Non sa spiegarsi questa malattia. Solo ha saputo dirmi di non contrariarlo.

Giovanni avrebbe dovuto parlare, ma esitava ancora. Pure non era possibile sottrarsi. Federigo gli disse:

- Se c’è qualche cosa che posso fare, non esitate a dirmelo, messer Giovanni.

Giovanni annuì e riuscì a dire:

- Sì, c’è qualche cosa che Maso desidera da voi, ma, messer Federigo, vi prego di credere che solo l’amore che provo per lui e la paura di vederlo morire mi inducono a portarvi la sua richiesta. Non ho altre speranze.

Giovanni non sapeva più come continuare.

- Messere Giovanni, sono a vostra disposizione. Ditemi ciò che volete.

Giovanni taceva, colto da vergogna. Allora Federigo gli disse:

- Forse Maso desidera il mio falcone? Spesso l’ha ammirato e in cuor suo desiderato, anche se non osava chiederlo. Se di questo si tratta, sono ben lieto di donarglielo.

Giovanni ammirò la generosità di Federigo, disposto a privarsi di quello splendido animale, ma altro oggetto desiderava il figliolo. E quindi disse, con voce rotta dall'emozione:

- Messer Federigo mio figlio desidera da voi un altro uccello, e credo che morirà senza averlo.

- Messer Giovanni - disse Federigo con un sospiro - sapete bene che le condizioni di estrema povertà in cui vivo non mi consentono di tenere altri uccelli per la caccia. Vorrei infatti far riposare ogni tanto il mio bel falcone sostituendolo con un altro, ma davvero non posso.

- Messer Federigo, ciò che vengo a chiedervi è altro e non mi è facile, vi assicuro, formularlo con parole.

- Messer Giovanni, qualunque cosa voi mi chiediate, foss’anche la mia vita, è a vostra disposizione solo che io possa, senza commettere infamia, darvela.

L’estrema cortesia di Federigo non rese più facile il compito di Giovanni, che pensò di rinunciare alla sua richiesta, ma il pensiero del figliolo gli impedì di tornare indietro. Perciò, facendosi forza e sentendosi sopraffare dalla vergogna, gli disse:

- Messer Federigo, dovrò usare un termine che conoscete bene e che usiamo di solito noi uomini per indicare il membro che ci ha generato. Mio figlio desidera ardentemente il vostro cazzo.

Dette queste parole, Giovanni si sentì avvampare. Federigo tacque un momento, e un 'espressione prima di stupore e poi quasi di sollievo si dipinse sul suo bel volto maschio. Poi disse:

- Messer Giovanni, è veramente - Federigo esitò - il... cazzo che voi mi chiedete di… fornirgli?

Giovanni chinò il capo e disse:

- Provo vergogna a chiedervi questo e vi assicuro che se non fosse perché temo per la sua vita…

Federigo lo interruppe:

- Non dovete provare vergogna, messer Giovanni. La vostra richiesta mi ha sorpreso, ma ne capisco il motivo. Di certo non vi dirò di no. Maso è un ragazzo adorabile e nessun uomo saprebbe resistere alla vista delle sue tonde mele lisce che più volte ho ammirato e desiderato quando ci bagnavamo insieme nel laghetto. Non appena vostro figlio sarà guarito, cercherò di soddisfare il suo desiderio, perché a voi non posso dire di no e potete già riferirgli che il mio duro cazzo sarà a sua disposizione per quanto tempo e dove lo vorrà... nel suo dolce corpicino... voi mi intendete. E, come pegno della mia promessa, vi do il falcone che Maso tanto ama, in attesa che lui possa riportarmelo.

Detto questo, Federigo gli porse lo splendido uccello, che teneva sul braccio, e il guanto su cui riposava il falcone.

- Messer Federigo, non posso accettare.

- È solo un pegno per vostro figlio. Me lo renderà. Ma c'è solo una cosa che mi preme chiedervi: voi sapete quanto la natura sia stata generosa con noi due con l'organo del piacere, e non volendo alcun modo ferire vostro figlio, vi pregherei di preparare in modo adeguato l'ingresso del mio... focoso ariete nella sua fortezza, che immagino sia ancora inespugnata. E se questa è la verità, anche voi sapete quanto i fanciulli, nella loro ritrosia, tendono a chiudere istintivamente l'ingresso alla fortezza rendendo più difficile per noi uomini, ma soprattutto più doloroso per loro, l'ingresso della torre che li renderà uomini. Per questo  vi chiedo, non appena Maso si sarà riavuto, di iniziarlo gradualmente a rendere più piacevole per lui e per me l'atto che desidera tanto.

Giovanni, che non aveva mai pensato di toccare il figliolo nelle sue parti più segrete, si rese conto che non aveva scelta e promise di farlo, pensando  che quegli atti necessari avrebbero accelerato la sua guarigione e si risolse ad accettare. Ringraziato Federigo, tornò a casa contento del successo della sua missione, ma in cuor suo pieno di vergogna, ripensando alla generosità di Federigo e a come lo avesse sempre rifiutato.

 

Giunto a casa, Giovanni entrò nella stanza di Maso, che lo attendeva impaziente.

- Che mi dite, padre mio?

- Federigo è uomo generoso oltre ogni dire. Egli è lieto di assecondare il tuo desiderio. In pegno della sua promessa, ti affida il suo falcone. Glielo renderai quando andrai da lui, guarito, e avrai ciò che desideri.

A Maso parve di svenire per l’emozione che gli diedero le parole del padre. Sbiancò in volto e Giovanni si preoccupò.

- Figlio mio, che ti accade? Pensavo di darti una gioia e pare che invece tu sia turbato.

- È una gioia immensa, padre mio. Più di quanto io riesca a esprimere. Vi ringrazio per quanto avete fatto per me.

 

Nei giorni seguenti Maso, vuoi per il naturale decorso della malattia, vuoi perché la notizia datagli dal padre affrettava la guarigione, migliorò rapidamente e in capo a una settimana poté uscire dal letto.

Di giorno dava da mangiare al falcone, accarezzandolo, affascinato dai grandi occhioni neri circondati dall'aureola gialla, e il contatto con il nobile uccello lo portava con l'immaginazione al grosso e turgido membro di Federigo, quel membro agognato che di lì a poco avrebbe potuto accarezzare e possedere.

Ogni sera invece il padre, spogliatolo, ispezionava con cura la parte che avrebbe accolto lo strumento virile di Federigo, e cercava in ogni modo di renderlo più accogliente con ispezioni compiute con le dita, la lingua e con l'aiuto di ortaggi di sempre maggiori dimensioni, che Giovanni sceglieva con cura nell'orto e che ungeva con uno speciale preparato d'erbe dei monaci benedettini. Inoltre cercava di insegnare al figlio i movimenti giusti da impartire alla parte, in modo da non soffrire troppo la prima volta e di godere appieno delle gioie dell'amplesso.

Infine Maso guarì, sembrava rifiorito, con una carnagione fresca e un colorito rosato che ricordava gli antichi affreschi greci di Ganimede, quando viene rapito dal padre Giove. Egli era impaziente di recarsi da Federigo, per quanto si vergognasse. Il padre nel frattempo, provava grande gioia nel vederlo guarito, ma anche un certo senso di invidia nei confronti di Federigo che per primo avrebbe colto la verginità del figlio. E quando il dottore disse che Maso non correva più alcun pericolo, permise al figlio di uscire.

Maso prese con sé il falcone e, con il cuore in tumulto, si recò da Federigo. Approssimandosi alla casa del cavaliere, Maso si sentì smarrito e quando vide il cavaliere, non riuscì a dire nulla. Fu Federigo a parlare:

- Maso, sono ben lieto di vederti guarito.

Maso chinò il capo e porse il falcone, che teneva sul braccio.

- Vi rendo il vostro falcone, messer Federigo, e vi ringrazio.

Federigo sorrise:

- Questo falcone lo diedi in pegno e ora lo riprendo. Maso, vuoi che andiamo a bagnarci al laghetto?

Maso provava vergogna, ma il desiderio era più forte del turbamento, per cui disse:

- Ben volentieri.

Federigo ripose il falcone, poi entrambi raggiunsero il laghetto dove si erano bagnati molte volte. Qui essi si spogliarono, come sempre facevano.

Maso però esitava, perché il suo corpo tradiva il desiderio che ardeva dentro di lui. Se ne avvide Federigo e, avvicinatosi al fanciullo, lo prese tra le braccia e lo baciò sulla bocca. Parve a Maso che gli angeli del paradiso fossero scesi su di lui.

Federigo finì di spogliare Maso, poi, toltisi gli ultimi indumenti, lo fece inginocchiare davanti a lui mostrandogli la grossa verga che nel frattempo aveva raggiunto delle dimensioni incredibili, proprio quelle che Maso aveva sempre sognato nelle sue sedute di piacere solitario. Agitandolo con la mano davanti al viso di Maso, Federigo disse:

- Eccoti il cazzo che desideri tanto, adesso te lo puoi godere tranquillamente, - e porgendoglielo, continuò - toccalo, senti com'è grosso e duro, tutto per te. Tra poco lo riceverei in corpo e griderai di piacere, come hanno fatto tanti ragazzi prima di te.

Maso fissava affascinato la grande torre che si ergeva davanti al suo viso, piena di grosse vene pulsanti e con una enorme testa vermiglia da cui uscivano già le prime gocce di un liquido cristallino. Siccome Maso non si decideva, Federigo gli prese la mano e la avvolse sul duro cazzo pulsante. A Maso, la cui manina non riusciva a  chiudere le dita attorno al cilindro carnoso, sembrò di raggiungere il paradiso: il tocco del cazzo dell'amato era il vero balsamo dell'anima che lo avrebbe guarito per sempre.  Federigo allora fece sdraiare il ragazzo sull’erba e si stese su di lui, facendogli sentire la grossa verga sul ventre e muovendola avanti e indietro in una anticipazione di quello che sarebbe avvenuto di lì a poco, ma nelle viscere del fanciullo. Nel frattempo incominciò a baciarlo facendo entrare in profondità la lingua rasposa nella gola del ragazzo, e con una mano raggiunse il duro membro eretto del giovane, e con pochi, ma esperti movimenti gli diede un piacere tale, che Maso non poté resistere oltre e, gemendo di piacere, spandé il suo seme.

Federigo continuò a baciare ed abbracciare il giovane, che, fattosi coraggio, ricambiò gli abbracci e le strette, provando sempre più forte il desiderio sentire il grande cazzo di Federigo dentro di sé. Non osando formulare il suo desiderio, si volse e si stese sull’erba offrendo al cavaliere i suoi fianchi, che mai uomo aveva posseduto.

- Sei sicuro di desiderarlo, Maso?, disse Federigo continuando a palparsi il grosso uccello davanti allo sguardo rapito del ragazzo

Maso annuì, poi soggiunse:

- Con tutto me stesso. 

Messer Federigo ispezionò allora con cura l'ingresso e sorrise compiaciuto, vedendo che Giovanni gli aveva preparato bene la strada, seguendo le sue istruzioni. Poi si accinse a lavorare bene con la lingua la rosea ciliegina che si apriva e chiudeva palpitando, e con un gesto deciso, puntata la grande testa dell'ariete conquistò la fortezza, che senza opporre resistenza alcuna lo accolse. Grande fu il piacere del giovane Maso, nel sentire il gran cazzo venoso dell'uomo che si faceva strada con decisione nelle sue viscere, fino a raggiungere profondità mai esplorate, a tal punto che per la seconda volta venne, ma questa volta senza neanche toccarsi il membro. E dopo che Federigo, con una serie di vigorose spinte, ebbe gridato a sua volta di piacere, inondando le profondità del ragazzo di abbondante e denso seme, si bagnarono nel laghetto e poi ognuno tornò alla sua casa.

Giovanni osservò il figlio e non ebbe bisogno di chiedere nulla per sapere che Federigo aveva mantenuto la sua promessa e che il giovane era felice, anche se spesso si toccava la parte da poco esplorata e sembrava camminare un po' a fatica.

Da allora per venti giorni Maso si recò tutti i giorni da Federigo. Camminavano, cavalcavano o cacciavano insieme e poi ogni giorno Federigo possedeva il ragazzo e gli insegnava alcuni dei segreti dell’amore. A Maso pareva di essere follemente innamorato e le notti gli parevano interminabili, perché solo desiderava che giungesse il mattino per raggiungere il suo amato.

Un giorno, morendo dalla curiosità, e sapendo che gli incontri amorosi si svolgevano vicino al laghetto, Giovanni si nascose dietro un'annosa quercia e aspettò che i due arrivassero dopo una lunga cavalcata. Non passò molto tempo che vide i due cavalli arrivare al galoppo e l'uomo e il ragazzo scendere, sorridenti ed eccitati dalla bella corsa. Vide allora che l'uomo faceva inginocchiare suo figlio davanti a lui, e, allargate le gambe, gli chiedeva di baciarglielo, cosa che Maso fece subito e con grande gusto. Giovanni guardava allibito, ma anche eccitato, il figlio che mostrava i riccioli dorati mentre il viso rimaneva affondato nel grosso bozzo che tendeva le brache attillate di Federigo, per l'occasione una gialla e l'altra verde. Dopo un po' l'uomo intimò al ragazzo di tiraglielo fuori e Maso, ormai abituato a quel gesto, non perse tempo per mettere a nudo il magnifico oggetto del suo desiderio. Ma Federigo, da uomo esperto qual'era, non voleva che il fanciullo arrivasse subito a conclusione, per cui spogliatosi completamente e tenendo il grosso cazzo con una mano e facendolo aderire al ventre piatto, porse i grandi coglioni pelosi a Maso, chiedendogli di leccarli.

Il ragazzo sembrava rapito dalla bellezza di quelle parti che sono alla radice del piacere virile, e muoveva con rapidità e sapienza la lingua attorno alle palle della dimensione di due melograni, mentre Federigo si accarezzava lentamente il cazzo che superava di molto in lunghezza  l'ombelico. Passato un tempo che a Giovanni sembrò interminabile, Federigo ingiunse al ragazzo di aprire la bocca,  e senza troppi preambolo gli infilò la grande testa del membro fino in gola, tenendogli ferma la testa e incominciando a fotterlo con grande vigore, mentre il ragazzino colava saliva dalla bocca che andava a bagnare il folto vello del torace dell'uomo. Federigo accompagnava ogni affondo con lascive oscenità, che stupivano Giovani, che dietro l'albero si era dovuto tirare fuori il membro per provare qualche sollievo. Infine, dopo un grande numero di colpi, vide l'uomo che si irrigidiva e lanciava un ruggito, mentre teneva ben ferma con le mani la testa del ragazzo, che cercava inutilmente di divincolarsi e che dovette bere fino all'ultima goccia il prezioso seme di Federigo. Dopo questi atti sconci, i due si portarono vicino alla sorgente che alimentava il laghetto, per ripulirsi e riposarsi un po', prima di riprendere gli atti amorosi.

Una volta riacquistato il vigore necessario, Federigo pose Maso nella posizione della pecora e si accinse a montarlo a dovere e Giovanni, sempre nascosto,  doveva assistere suo malgrado allo scempio che veniva fatto delle terga del figliolo.  Gli ultimi colpi furono particolarmente violenti e Maso urlò le sue sensazioni fatte di dolore e di piacere. Giovanni era indeciso se continuare a guardare lo spettacolo che gli veniva offerto, perché provava un forte senso di invidia nei confronti di Federigo, ma anche di desiderio nei confronti del figlio. Quando vide che l'uomo si accasciava sul dorso del figlio, esausto dalla lunga cavalcata, si meravigliò che l'uomo non si distaccasse subito dal ragazzo, ma continuasse a stringergli le anche in una ferrea morsa con le grosse cosce pelose.

Sentì allora Maso che piagnucolava dicendo: - No, messer Federigo non mi fate questo, mi brucia tanto - e intanto cercava di divincolarsi dalla presa senza alcuna possibilità di riuscirvi. Udì allora Federigo che diceva: - Il cazzo hai voluto e tutto quello che esce dal cazzo dovrai prendere! - e Giovanni capì che Federigo, non contento di aver goduto quel bel culo, vi aveva anche versato il contenuto della sua vescica.  A questo punto sentì irrigidirsi il membro in modo tale che dovette scioglierlo nel dolce piacere che solo la sua mano gli poteva dare in quel momento.

 In seguito, Giovanni, che era ancora uomo nel pieno delle energie e delle voglie virili, cominciò a fare dei pensieri sempre più sconci e a trovarsi sempre più eccitato quando cercava di ispezionare e ungere il culo del figlio di ritorno dalle sessioni d'amore con Federigo. E tra sé rimuginava: in fondo un cazzo è un cazzo, e il mio non sfigura certo a confronto di quello di Federigo. Perché Maso non potrebbe prendere il mio, anche solo per una notte? l'unica cosa che lo frenava era la paternità e che, se il fatto si fosse risaputo, sarebbe stato bruciato sulla pubblica piazza di Firenze, come era successo due giorni addietro a un sodomita che era stato accusato dalla moglie di sodomizzare regolarmente i due figlioletti di 11 e 13 anni. Maso aveva già compiuto i 16, un'età in cui i giovani venivano arruolati e che già veniva considerata non più propria della fanciullezza, ma sembrava avere occhi solo per il bel Federigo. Giovanni decise allora che avrebbe aspettato con pazienza, sperando che il figlio si accorgesse di lui e del suo desiderio. 

Finì l'estate e avendo udito anche che la morsa della peste si stava allentando in città, Giovanni decise di tornare a Firenze dove abitava in una signorile dimora non lontano dalla Piazza della Signoria. Ma non poteva interrompere l'amore di Maso con Federigo, per cui pensò di invitare quest'ultimo a vivere con loro a Firenze. Sicuramente Federigo avrebbe opposto diniego, per il suo naturale orgoglio, ma Giovanni sapeva di poter far leva sull'amore nascosto che nutriva da sempre per lui, oltre che sul desiderio carnale che lo univa al figlio. Inoltre poteva approfittare delle doti di Federigo per fargli fare da tutore al ragazzo, in quanto lo sapeva versato nell'arte di far di conto e del latino. Ma, sopratutto, sperava che parlasse a suo figlio facendogli capire quanto suo padre lo desiderasse e quanto vigorosa fosse ancora la sua mazza. Per cui decise ancora una volta di andare a parlare con Federigo e lo trovò che stava uscendo per andare a caccia con il suo magnifico falcone. 

- Messer Federigo - esordì Giovanni - voi sapete quanto il mio figliolo arde di desiderio per voi e non posso che ringraziarvi per averlo fatto rinascere. Ora però è ora di lasciare questa bella campagna per difenderci dal freddo che tra pochi giorni diventerà crudele. Ed è per questo che vi invito a stare nella mia dimora fiorentina, dove potrete riempire il grande vuoto lasciato da mia moglie e nello stesso tempo continuare ad accudire Maso come un vero padre.

Federigo dapprima disse che non poteva approfittare di tanta generosità e respinse l'offerta, ma infine, all'idea di separarsi dal giovinetto che tanto godimento gli concedeva ogni giorno, e ancora con la segreta speranza di accedere al cuore insensibile di suo padre, accettò, giacché l’amore che provava per padre e figlio era troppo forte per accettare una separazione dettata dall’orgoglio.

- Ma c'è un'altra richiesta che ho da farvi, e questa mi costa veramente tanto farvi - disse Giovanni, abbassando il capo per la vergogna. - Voi sapete quanto il mio figliolo arde di desiderio per voi, e voi l'avete abituato a godere della vostra presenza con l'uso di quel membro che gli piace tanto. Ma voi capite che anch'io sono uomo come voi e costretto a vivere in castità per molti anni, da quando cioè la mia adorata moglie mi ha lasciato per miglior vita. Quello che vi chiedo è che qualche volta Maso si voglia concedere al suo padre naturale, per potere provare il sollazzo che anche la sua torre gli potrà dare.

Federigo rimase interdetto, ma poi intravide finalmente una via per accedere agli assalti amorosi di Giovanni.  Per cui rispose:

- Messer Giovanni, so bene quanto il desiderio carnale possa essere impellente in un uomo nel pieno delle forze come voi, e vi prometto di intercedere presso il vostro fanciullo acciocché possiate togliervi le soddisfazioni che vi meritate, dacché l'avete salvato da morte sicura. e sono certo che Maso, che pure adesso non ha occhi che per il mio cazzo, non disdegnerà quello grande,  virile e focoso del proprio padre e ne trarrà grande godimento.

A Firenze, mentre Giovanni riprendeva i suoi affari di mercante di seta, Federigo cominciò l'istruzione del ragazzo, insistendo soprattutto sulla traduzione di alcuni licenziosi testi greci e latini, come i carmi di Catullo, di Petronio e i proibiti poemetti detti Carmina Priapea. Durante i passaggi più licenziosi permetteva al ragazzo di raggiungere con la mano il duro membro eretto, che era stato liberato per l'occasione, e Federigo non perdeva occasione per lodare la magnanimità e la grande virilità del padre di Maso.

Di notte poi Giovanni doveva udire le grida del figlio che aveva raggiunto la stanza di Federigo, che lo possedeva con immutato vigore in mille varianti dell'atto amoroso. Maso, a furia di suggerimenti e allusioni del tutore, incominciò a vedere il padre sotto un altro aspetto e ne ammirava sempre di più le maschie fattezze quando cenava assieme a lui e Federigo. Ma la sola idea di essere posseduto dal padre gli sembrava ancora troppo indecente per poterla realizzare. Finché una sera, Federigo disse a Giovanni che i tempi erano maturi: il piano era che mentre Maso si dilettava con la bocca sul membro di Federigo, Giovanni sarebbe entrato di soppiatto nella stanza e avrebbe infilzato il ragazzino da dietro, prendendo del suo culo gran diletto. E così fu fatto: la fortezza di Maso era da tempo aperta e poté accogliere senza sforzo il gran cazzo del padre. E mentre i due uomini si dilettavano con i due orifizi naturali del fanciullo, si guardarono e la lascivia del momento li portò a congiungere le loro bocche sopra la schiena di Maso che non finiva di mugolare dal godimento. Fu un bacio lungo e appassionato, con le lingue dei due uomini che facevano a gara per raggiungere le parti più profonde della gola altrui. A Federigo sembrava di aver raggiunto il Paradiso, che proseguì tutta la notte: dopo che il ragazzo fu riempito di seme in culo e in bocca, i due uomini si dedicarono l'uno all'altro con gran diletto reciproco, mentre Maso era piombato in un profondo sonno ristoratore.

Il regime iniziato quella notte fu ripetuto innumerevoli volte, e gli uomini si alternavano nel soddisfare il ragazzo che sembrava non stancarsi mai di prendere le robuste mazze del padre e dell'amico, ormai diventato suo amante.

Finché un giorno le cose cambiarono, quando giunse nel palazzo  Francesco, un nipote di messer Giovanni, cugino di Maso. Era egli un giovane di ventidue anni, bello di viso e di corpo, e Giovanni chiese al figlio di tenergli compagnia per alcune ore ogni giorno.

Giovanni temeva che il figlio avrebbe accettato a malincuore questo incarico, ma Maso fu colpito dalla bellezza del giovane cugino e lo accompagnò volentieri. I due diventarono profondamente amici, finché una notte Federigo e Giovanni poterono sentire distintamente i suoni dell'amore che giungevano dalla stanza di Maso. Accostatisi alla porta videro che questa volta era Maso che inforcava il cugino, con gran diletto di entrambi e, abbracciandosi, risero felici del naturale divenire degli eventi.

Una mattina però si svegliarono con un acuto grido di Maso, e sciogliendosi dall'abbraccio che li aveva uniti per tutta la notte, i due uomini corsero a vedere la causa di tanto gridare. E videro che Maso, in lacrime, accarezzava il falcone di Federigo, che morto stecchito levava le gialle zampe artigliate verso il cielo.

Una fase della vita di Maso era finita, come tutte le cose belle della vita sono destinate a finire.

  

2016

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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