La mareggiata

 

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L'esercizio della castità non è il suo forte. L'astinenza non fa per lui, soprattutto d'estate, quando il sole sulla pelle gli provoca quel languore libidinoso che trasforma ogni bel ragazzo che incontra in una possibile preda. Anche oggi è così. Ha incrociato lo sguardo con questo bel tenebroso, lupo solitario dallo sguardo famelico, ed è subito comprensione, unità d'intenti, complicità scopereccia. Certo non si aspettava tanta spudorata e audace lascivia, ma il suo triviale amico ha fantasia da vendere e lo segue felice anche sulla strada del bondage. Lungi da lui il pensiero che possa trasformarsi in una strada senza uscita.

 

Attraverso le ampie vetrate della pizzeria Da Teresa, il maresciallo Tullio Menegatti osserva gli spruzzi che si rincorrono uno dopo l'altro lungo la banchina alta, dove di solito attraccano i traghetti, ma non oggi. Di mareggiate come questa, nella sua lunga vita, ne ha già viste parecchie. Lo affascina il mare infuriato con quelle onde che vanno a infrangersi oltre le barche e i moli. Il maresciallo non è solito venire da Teresa, anche se la sua pizza gode a ragione della miglior fama del paese. In realtà è qui per vedere la furia del mare, perché gli regala una sensazione di intima convergenza tra ciò che ha dentro e ciò che c'è fuori.  Più il mare è agitato, più lui si sente in sintonia col mondo, e lo colma di estasi il vento che ulula passando tra le funi, che sbatacchia i tendoni, che piega le palme nane nei grandi vasi panciuti e fa volare con foga le cartacce e i fogli di giornale.

Isidoro, il figlio più giovane di Teresa, gli serve la pizza dicendogli "buon appetito" e Tullio si distrae da quello spettacolo per ammirarne un altro: le mozzarelline di bufala distribuite generosamente tra fettine di melanzane fritte e foglie di basilico distese sul disco della pizza al pomodoro, un'opera d'arte che, senza rimorsi di coscienza, s'impegna a fare a pezzi subito.

 

Michele pensa che Sandro sia in vena di perder tempo.

– Hai visto il festival di Sanremo?

– No, mi vuoi morto? – risponde Michele, mettendo sul banco le sigarette che gli ha chiesto.

– Peccato, ti sei perso Conchita.

– Conchita? E chi sarebbe?

– Conchita Wurst. Ha vinto un festival della canzone internazionale, o europea, o una cosa del genere. Comunque chi se ne frega. Ieri ha cantato a Sanremo. Se ti trucchi e ti fai crescere un po' di più la barba, sei uguale preciso.

– Come uguale!?

– Sputato.

– Mi devo incazzare?

– Mah, fai tu. Ciao. Adesso devo proprio andare.

Era ora, pensa Michele. È proprio stufo di farsi prendere per i fondelli da Sandro.

Quando arriva il cugino Roberto a dargli il cambio, Michele si sta ancora chiedendo se deve allenarsi al sacco per prenderlo meglio a cazzotti, la prossima volta che Sandro viene a comprare le sigarette. Per fortuna Roberto oggi è in orario. È stufo di stare infognato in quel buco.

– Ciao, Michele, tutto bene?

– Tutto bene. Ho già rifornito gli scaffali. Guarda che le Multifilter rosse sono già finite. La prossima settimana ne dobbiamo ritirare di più.

– Va bene. Hai preso nota?

– No, te lo sto dicendo.

– E il resto?

– Il resto niente. Le chiusure te le fai tu.

Roberto sbuffa. Non gli piace l'ultimo turno. Dovrà contare tutti gli incassi, chiudere i conti delle ricariche telefoniche e della Sisal. Per fortuna tengono gli incassi separati, così non ci sono confusioni. Il capo ci tiene molto che i conti siano sempre in ordine. Non vuole sorprese con la Guardia di Finanza.

– Buona serata, Roberto.

– Anche a te.

Se in giro non c'è più nessuno, la tabaccheria chiude verso le undici, ma in piena estate tirano avanti anche fino all'una. La piazza è nel centro del passeggio estivo, circondata di bar e ristoranti, e c'è vita fino a tardi, ma ai primi di ottobre comincia davvero la noia.

Michele arriva a casa dopo una bella passeggiata. La serata di febbraio è splendida. Il cielo è limpido, luna e stelle brillano. Ma appena accesa la luce dell'ingresso, il suo unico pensiero è mettere qualcosa sotto i denti. Estrae dal frigo la pasta avanzata a pranzo e la introduce nel microonde. La tavola è già apparecchiata. Anzi, è sempre apparecchiata. Quando finisce la colazione, la prepara per il pranzo. Quando finisce il pranzo, la prepara per la cena. E dopo cena la prepara per la colazione. A lui piace così. Tenersi pronto per il futuro. Tanto il futuro arriva in fretta. Non te ne accorgi neppure.

Dopo cena ripensa a Sandro e a Conchita come diavolo si chiama. Accende il portatile e va a cercarselo su internet. Ah, sì, si chiama Wurst. E io sarei uguale sputato a questa qui? Quando lo becco, lo faccio nero. Beh, però non sarebbe tanto male, a parte il trucco da battona.

Michele osserva alcune foto reperite su Google, poi chiude e va a cercarsi le sue nel file dove le ha sistemate, per anno o per argomento. Viaggi, Mare, Montagna, Maurizio.

No, quelle di Maurizio non le vuole più vedere. Sposta la cartella nelle Varie, una specie di anticamera del cestino. Tiene lì le foto che non vuole vedere nemmeno per sbaglio, ma che non ha il coraggio di cancellare definitivamente.

D'accordo, quelle foto resteranno lì e probabilmente se le dimenticherà. Però Maurizio è sparito e non se lo dimentica.

 

Un altro che ce l'ha sempre davanti agli occhi è Sandro. Michele gliel'ha soffiato sotto il naso.  Per stare con Maurizio avrebbe fatto carte false, ma non c'era stato niente da fare. Del resto è brutto, orrendo, lo sa benissimo. Però aveva fatto lo sforzo d'iscriversi in palestra, di migliorare il suo modo di vestire, di sistemarsi i capelli come si deve. Insomma, si curava di più. Era arrivato quasi al punto di piacersi, quando ormai però era troppo tardi, perché Michele aveva adocchiato Maurizio una sera alla tabaccheria,  l'aveva invitato in discoteca e buonanotte. Così lui è rimasto con un pugno di mosche, gli addominali ben modellati, un bel taglio di capelli, un look magnifico e la solita faccia da scimmia. Da quando Maurizio è fuori gioco, punzecchiare Michele gli è rimasto come un vizio. Gli piace immensamente prenderlo in giro. Tanto lui è così tonto che nemmeno lo capisce. Non c'è quasi gusto. Resta il fatto, però, che sia davvero un bel ragazzo. Sì, lo invidia un po', soprattutto perché non fa nessuno sforzo per piacere. Non ne ha proprio bisogno, beato lui.

Di ritorno dal suo ultimo cliente, come ogni giorno, Sandro passa alla tabaccheria a prendere le sigarette. È di turno Michele. Quando lo vede, Sandro pensa a una buona battuta per prenderlo in giro, ma Michele gli si rivolge per primo, senza neanche farlo arrivare davanti al bancone.

– Ho una cosa per te, Sandro.

– Che cosa?

– Questo.

Sul bancone appare una specie di siluro metallico con una fascetta oro e rosso.

– Un cubano?

– Il miglior cubano che esista al mondo. Te lo regalo.

Sandro è stupito, non fuma sigari e non sa bene che cosa farsene, ma un'idea  gliela fornisce subito Michele.

– Ficcatelo in quel posto, tu e Conchita Wurst.

Sandro passa istantaneamente dallo stupore alla risata.

– E perché non mi aiuti tu?

– Con vero piacere.

In quel frangente, entra un'anziana signora equipaggiata con un vaporoso barboncino bianco con fiocchetto.

Sandro e Michele ammutoliscono. Poi, subito dopo, entrano altri tre clienti. Lo striminzito spazio si affolla. Michele decide di dare la precedenza a Sandro, nonostante tutto, e poi si rivolge alla signora. A quel punto Sandro batte in ritirata. Gli sembra di aver lanciato un amo a Michele, anche se le sue intenzioni non erano esattamente quelle, ma ormai non può più replicare, solo stare a vedere se alle parole seguiranno i fatti. A tutto pensava, tranne che a stuzzicare Michele in quel senso, dopo il fattaccio di Maurizio, ma in fondo è un bel ragazzo, e tutto sommato non gli dispiacerebbe. Ma mentre attraversa la piazza si dice che è stato solo un gioco di parole. Michele non passerebbe nemmeno un minuto con uno brutto come lui.

La sera s'incontrano di nuovo, questa volta sulla strada di casa. Sandro abita in fondo a via dei Glicini, all'imbocco del viale che conduce al porto, Michele invece all'inizio, dove comincia la zona pedonale. A Sandro sembra che Michele lo guardi quasi in cagnesco, ma è buio, le lanterne mandano una luce fioca, appena sufficiente per indovinare dove si mettono i piedi. Lo saluta senza ironia, con la dose massima di gentilezza di cui sia capace. Michele si ferma davanti a lui. La voglia di prenderlo a pugni non gli è passata, ma il tono di Sandro lo smonta. Non si sono mai frequentati, anche se in paese si conoscono tutti e qualche parola l'hanno scambiata sempre.

– Hai finito di prendermi per il culo?

Stranamente Sandro non vuole litigare.

– Pace, fratello. Scherzavo. Non mi ero reso conto che ti dava tanto fastidio. E poi, il mio, era solo un complimento.

– Adesso mi fai passare per quello permaloso.

– No, capisco che sei in un momento difficile, da quando è sparito Maurizio.

– Non me lo nominare, quello stronzo bastardo.

– Hai ragione, scusa. Non ne faccio una giusta. Per rimediare, vuoi venire da me? Ci facciamo due spaghetti e chiacchieriamo un po'.

Michele ci pensa più del dovuto.

– Va bene, capisco che hai di meglio da fare. Magari un'altra volta.

– No, stavo pensando a cosa ho preparato per cena e se ce n'è per tutti e due. Credo di sì, ci possiamo arrangiare. Vieni tu da me.

Sandro quasi non ci può credere.

Da Michele la tavola è già apparecchiata per uno. Il padrone di casa aggiunge un coperto per Sandro in tutta fretta. Sandro si guarda intorno. L'arredamento è spartano, di un gusto semplice e lineare. Invece le polpette al sugo di Michele hanno qualcosa di afrodisiaco, o sarà il vino che ha bevuto, a cui non è molto abituato. Fatto sta che alla fine del pasto, quel quid di afrodisiaco gli fa estrarre il sigaro cubano da una tasca. Michele osserva l'astuccio, poi guarda Sandro negli occhi. Si ricorda dove l'ha invitato a ficcarselo. Sandro sorride incerto, con il sorriso degli alticci non ancora ubriachi.

– Dicevi sul serio per questo? Un po' d'aiuto mi servirebbe.

Anche Michele sorride, col sorriso di un furetto che ha stanato la preda.

– Considerami un dessert – aggiunge ancora Sandro, che ha perso ogni freno nell'ultimo bicchiere di Sciascinoso.

Michele afferra il siluro di metallo e si alza da tavola.

Seguimi – gli ordina, deciso.

Sandro si solleva dalla sedia malfermo sulle gambe, ma dopo il primo slancio riprende l'equilibrio, inseguendo Michele per i pochi metri che lo separano dall'altra stanza. Lo guarda imbambolato mentre si sbottona la camicia, sgancia la cintura e cala la zip dei pantaloni.

– Non guasterebbe se ti spogliassi anche tu – gli dice Michele.

Sandro si riscuote dall'incantesimo e comincia a spogliarsi senza distogliere neppure per un attimo lo sguardo dallo spettacolo che ha davanti.

– Sei bellissimo, Michè.

– Anche tu fai la tua sporca figura.

– No, io sono brutto, lo so, ma basta che non mi guardi in faccia. È facile, mi metto di schiena.

E si butta di pancia sul letto, anche se così non può più guardare Michele. Però lo sente quando si distende su di lui. Sente il suo peso, il calore, la pelle sulla pelle, la corta barba ruvida che gli sfiora la nuca prima che arrivino le labbra. Un brivido di trionfo gli s'insinua nella mente, oltre a scorrergli per il corpo. E poi non capisce più niente, è solo un'onda dietro l'altra di sensazioni che lo eccitano fino alla punta dei capelli. Quando Michele lo penetra, avverte una sensazione di freddo. Sta davvero usando quel maledetto sigaro. Ma non può fare altro che provare a goderselo.

– Ti piace?

– Potevi riscaldarlo un po'.

– Rimedio subito – dice ridendo.

E a prendere il posto del sigaro arriva qualcosa di molto più caldo e anche più grosso, naturalmente. Ma la via spianata dal siluro facilita l'ingresso. Fa male, ma non tanto. E poi comincia a far bene, quando giunge in profondità. Un po' alla volta, Sandro si rende conto che non ha mai goduto così, nei pochi rapporti che è riuscito a strappare negli anni a uomini di passaggio. Vorrebbe incitare Michele ad andarci più pesante, vorrebbe aprirsi al massimo, arrivare al limite, vorrebbe continuare all'infinito, ma un'onda più alta, immensa, lo sommerge, facendolo esplodere di piacere. Michele accelera per pochi secondi, poi viene anche lui, ansimando più forte. Sandro ha affogato appena un mugolio nel cuscino.

Con calma Michele esce da lui e gli si stende di fianco. Lo fa girare e lo guarda un attimo negli occhi prima di baciarlo. Sandro ne rimane quasi sorpreso. Risponde al bacio con la passione folle che sta provando in questo momento.

– Devi smetterla di dire che sei brutto. Non fa una bella impressione. E poi non è vero – gli dice Michele.

Sandro non gli è mai sembrato brutto. È vero che ha lineamenti forti, un viso che sembra tagliato a colpi d'accetta, ma questo gli conferisce semmai un inquietante fascino tenebroso. E poi ha un corpo armonioso, i muscoli gonfi senza esagerare e un gran culo. Insomma, non può negarlo, Sandro gli piace.

– Se me lo dici tu, sarei quasi tentato di crederci. Per fortuna, non sono così cieco.

– Non mi piace fare sviolinate. Io ti trovo affascinante, ma non farmelo ripetere più.

– Stai dicendo sul serio. Non ci posso credere.

– Cazzi tuoi.

Sandro è al settimo cielo. Si sente diverso, gli sembra di aver raggiunto un traguardo che gli era sempre sfuggito. Finalmente, finalmente! E mai e poi mai avrebbe immaginato di raggiungerlo proprio con Michele. Questo è abbastanza spiazzante.

 

Il maresciallo Menegatti si allontana dalla grotta. Non gli è mai capitato di vedere un cadavere conciato in quel modo. Ha lo stomaco sottosopra. Maledizione, che mestiere di merda. E dire che poteva fare il pescatore e a quest'ora trovarsi in alto mare, non su quella pilotina, ma sulla paranza dei suoi fratelli, col vento marino a infilarsi tra i capelli. Aria pura, gabbiani all'inseguimento, Franco in cambusa a cucinare. Menegatti si riscuote. Sempre più spesso gli capita di distrarsi con quelle visioni edificanti. Al porticciolo rimette piede sulla terraferma e si avvia con passo deciso verso la vicina caserma. Sale la scalinata e va a rifugiarsi nel suo ufficio. Finché non saranno in grado di capire chi era quel povero disgraziato, non possono decidere come muoversi. Ma è sicuro che non ci vorrà troppo tempo. Forse sarà il suo ultimo caso. Ha deciso che è giunta l'ora di andarsene in pensione.

 

Michele ha appena aperto. Sta sistemando le stecche di sigarette nei cassettoni sotto gli scaffali. Svuota gli scatoloni, uno alla volta, poi li ripiega impilandoli uno sopra l'altro. È appena a metà del lavoro, quando entra il maresciallo. In tabaccheria si vede raramente e sempre per una ricarica telefonica. Michele gli allunga il solito foglietto dove scrivere il numero, ma il maresciallo lo blocca con un gesto. Michele si accorge ora che, entrando, l'uomo ha girato il cartello sui vetri dalla parte del chiuso.

– No, non sono qui per questo. Dovrei farti un paio di domande.

– Dica pure, maresciallo. Che c'è?

– Tu conosci Maurizio Ardito, vero?

– Maurizio, come no. Siamo amici, o dovrei dire eravamo. Si è trasferito all'improvviso senza neanche degnarsi di avvisarmi. Che ha combinato?

– Si è trasferito all'altro mondo. Forse per questo non è stato in grado di avvisarti.

Michele impallidisce visibilmente.

– Che... che sta dicendo? È morto? Quando, come, dove?

– Al tempo. Quando è stata l'ultima volta che l'hai visto?

– Ma, sarà stato verso la fine di agosto, i primi di settembre.

– Cerca di essere più preciso.

– Più preciso, sì, certo. E come faccio a ricordarmi? Un attimo.

– Fai con comodo. Capisco che non sia facile.

– No, non è facile per niente. Oltre tutto questa notizia mi ha mandato in tilt il cervello. Mi poteva preparare un po' alla volta. Mi scusi, ma ho proprio bisogno di sedermi.

Michele cala di botto sullo sgabello che tengono dietro il bancone. Gli tremano le gambe. Cerca di calmarsi e di concentrarsi, ma non è facile nessuna delle due cose. Maurizio morto. Non lo vedrà mai più. Si sente come se gli avessero detto che ha visto il sole sorgere per l'ultima volta.

– Fai uno sforzo, Michele – lo sollecita il maresciallo.

Michele si riscuote a fatica, ma a questo punto si allarma anche. Perché il maresciallo glielo sta chiedendo? Non è che l'hanno ammazzato? Non è che sospetta di lui?

– L'ultima volta che l'ho visto siamo andati a mangiare da Teresa al porto. Era un giovedì o un venerdì. Anzi, era di sicuro un venerdì, perché avevamo deciso di andare in discoteca la sera dopo. E noi ci andavamo solo di sabato.

Menegatti afferra un calendario da tavolo che è vicino alla cassa e si mette a sfogliarlo.

– Quindi può essere stato il 29 agosto, oppure il 5 settembre.

– Già, forse più il 29 agosto, perché adesso che ci penso, ai primi di settembre ha fatto qualche giornata di pioggia, invece mi ricordo che era una bella serata, decisamente estiva. E poi il capo, volevo dire mio nonno, fa il compleanno il 7 settembre e mi ricordo che quando l'abbiamo festeggiato io ero di pessimo umore perché Maurizio era sparito già da diversi giorni. Quindi, sì, era proprio il 29 agosto.

– Sei sicuro?

– Sì, sono sicuro, maresciallo.

– Lo vedi che non era poi così difficile?

– Beh, un po' di fatica l'ho fatta.

– Con voi venivano altri amici?

– No, di solito eravamo soli.

– E quella sera, quando siete usciti dalla pizzeria, che cosa avete fatto?

Michele si sente in imbarazzo. Che cosa gli deve raccontare? Se lo ricorda benissimo cos'hanno fatto, ma mica glielo può dire.

– L'ho accompagnato a casa e sono salito da lui. Abbiamo visto un film, abbiamo chiacchierato un po', e poi sul tardi sono tornato a casa.

– Che ora era?

– Oddio, maresciallo, chi se lo ricorda?

– Concentrati, Michele. È importante.

Michele si concentra.

– Saranno state le tre, le quattro.

– Un film bello lungo. Cos'era, Ben Hur?

– Come dice?

– Avete fatto le quattro a vedere un film?

– Ma no, dopo abbiamo chiacchierato molto.

– Ti ha visto qualcuno, quando sei tornato a casa?

A questo punto Michele è sicuro di essere nei guai.

– Non ricordo di aver incontrato nessuno. Non ci ho fatto caso.

– E il giorno dopo, a che ora dovevate vedervi?

Michele si sente sempre più strano.

– Veniva a prendermi qui al cambio turno, alle otto. Ma quella sera non si è visto. Ho provato a chiamarlo sul cellulare, ma non rispondeva. Allora sono andato a casa sua e ho suonato, ma non c'era. Il giorno dopo ho chiesto a tutti quelli che entravano se qualcuno l'aveva visto, ma nessuno ne sapeva niente. L'ho cercato sul cellulare per almeno due giorni, prima di sentire che il telefono era spento o irraggiungibile. Da allora il messaggio è rimasto sempre quello. E adesso capisco perché, povero Maurizio. Ma me lo dice come è morto?

– Strangolato.

Ecco, adesso Michele ha la certezza di essere davvero nei guai. Avrebbe bisogno di un alibi, ma non ce l'ha.

– Posso sapere dove l'avete trovato e come mai l'avete scoperto solo adesso?

– Adesso c'è stata la mareggiata che ha scavato la sabbia nella Grotta del Tritone.

– Era là? E come ci è finito? Ci si arriva solo in barca.

– Questo è certo.

– E l'assassino l'ha seppellito nella sabbia? Ma che genio! In una grotta che è sempre frequentata dai turisti, poi.

– Eppure, se non ci fosse stata questa mareggiata...

– Ma ce ne sono continuamente, figuriamoci.

– Questa ha fatto saltare delle reti, che sono andate a incagliarsi sugli scogli di fianco alla grotta. I pescatori che se le sono andate a riprendere hanno fatto questa bella scoperta.

– Lei pensa che senza quelle reti, nessuno l'avrebbe trovato? Prima o poi...

– Sì, un genio. Hai ragione tu.

– Bisogna perquisire tutte le barche, tutti i gommoni.

– Calma, Michele. Questo è il mestiere mio. Tu pensa a rispondere alle mie domande.

– Ce ne sono altre?

– Sì, certo. Hai litigato con Maurizio quella sera?

Michele lo guarda, stralunato.

– E mo' mi chieda pure se l'ho ammazzato io!

– Rispondi.

Michele sospira. Sa che gli conviene avere pazienza.

– No, non ho litigato con Maurizio. Andavamo perfettamente d'accordo. E non posseggo una barca.

– Sai se Maurizio ha avuto questioni con qualcuno, se qualcuno ce l'aveva con lui per qualsiasi motivo?

– No. Sono sicuro di no. Me l'avrebbe detto. Ci raccontavamo tutto, per questo ci sono rimasto così male quando è sparito. Qualcuno ha detto in giro che si era trasferito per lavoro, all'improvviso, ma a me sembrava assurdo che non me ne avesse parlato e non m'avesse avvertito quando è partito. Cioè, mi scusi, adesso lo so che non è mai partito. E adesso mi spiego perché alla biglietteria non se lo ricordava nessuno.

– Sei andato alla biglietteria?

– Sì. Volevo sapere se qualcuno si ricordava per dove aveva comprato il biglietto. Volevo ritrovarlo per cantargliene quattro.

– Ti sei dato da fare.

– Non è servito a niente. Proprio a niente.

– Credo che per ora possa bastare. Quando puoi, passa in caserma che ti devo prendere le impronte. E poi, mi raccomando, resta nei paraggi.

– Maresciallo, non per mancarle di rispetto, ma dove vuole che vada? Sto sempre infognato in questo buco.

– Sì, lo so, Michele, ma te lo dovevo dire. È la prassi.

– Quando esce, mi gira il cartello, per favore?

 

Anche Sandro rimane scosso dalla notizia. Solo che con la carnagione scura che si ritrova, a Michele più che pallido sembra verde.

– Non ci posso credere. Nella Grotta del Tritone?

– Già. Bisogna pensare che lo volessero far ritrovare in fretta.

– Perché dici in fretta?

– Come perché? Uno che non vuoi far trovare lo vai a seppellire nella sabbia? Per giunta in una grotta dove le mareggiate se la portano via, quella poca sabbia che c'è? Certo che volevano farlo ritrovare in fretta.

– Forse hai ragione. O magari è qualcuno che non conosce la zona e quindi non lo sa. Sì, dev'essere stato qualche turista.

– Sì, certo, uno venuto da fuori, hai ragione. E magari aveva anche un gommone. E adesso vallo a pescare. Chissà da dov'era venuto.

– Ma perché? Perché l'avranno ammazzato?

– Non riesco a immaginarmelo. E non riesco ancora a farmene una ragione. Quanti accidenti che gli ho mandato, povero Maurizio. E lui invece era là, sepolto sotto un palmo di sabbia.

– Ma no, sarà stato almeno mezzo metro.

– Un metro, un palmo, adesso ti metti a questionare sullo spessore della sepoltura? Ma ti rendi conto che l'ultimo a vederlo vivo sono stato io? Rischio grosso in questa storia, che il cielo lo fulmini, chiunque sia stato.

Roberto s'intromette.

– Che tu sia stato l'ultimo a vederlo non è esatto, l'ultimo a vederlo è stato chi l'ha ammazzato. Quindi, calma, cugino. E cerca piuttosto di ricordarti se ti ha parlato di qualcuno o di qualcosa che può aiutare le indagini.

– Mi sto sentendo male – dice Michele, stravolto.

– Che aspetti ad andartene? Qui ci penso io. Il tuo turno è finito.

Anche Sandro lo invita a uscire.

– Un po' d'aria fresca ti farà bene. E poi andiamo a mangiare.

– Sì, devo mangiare qualcosa. Mi sembra di avere lo stomaco incollato alla schiena.

– Allora, buona serata ragazzi – dice Roberto, spingendo Michele a uscire da dietro il bancone.

 

Il maresciallo Tullio Menegatti osserva le piccole barche e i gommoni nel porticciolo vecchio, il più vicino alla Grotta del Tritone. Giustamente non hanno i mezzi per passarle tutte ai raggi X. Ciononostante, hanno fatto una perquisizione a tappeto, ma non hanno trovato niente. E che dovevano trovare? si domanda. È come cercare un ago in un pagliaio. Alla grotta non hanno scovato nulla e del resto, dopo la mareggiata, qualunque traccia potesse esserci, il mare ha provveduto a cancellarla. La vede grigia. Questo è uno di quei casi che restano irrisolti novantanove volte su cento. L'unico di cui si potrebbe sospettare è Michele Mele, ma è difficile da credere. Lo conosce da quando era un ragazzino e gli ha sempre dato l'impressione di un bravo ragazzo, anche un po' ingenuo. Ha controllato tutto quello che gli ha raccontato e di testimoni che hanno visto e sentito ne ha trovati a quintali. Gli hanno detto che Michele faceva come un pazzo, a chiunque incontrasse chiedeva di Maurizio. Alla biglietteria se lo ricordavano benissimo, perché era stato molto insistente e c'era rimasto davvero male. Avevano fatto controllare i tabulati telefonici e anche quei tentativi di cui gli aveva parlato erano risultati veri. Se aveva montato una finzione per trovare il modo di scagionarsi, doveva fargli i complimenti. Quello era teatro puro. Però dalla perquisizione a casa di Maurizio è emersa una cosa che Michele gli ha taciuto. Un'altra chiacchierata con lui se la deve fare.

Quanto invidia quelli che escono verso il largo per andare a pescare. Il maresciallo sospira, distoglie lo sguardo dal mare e torna indietro a passo lento, rimuginando tra sé e sé.

 

– Mi dispiace, Sandro, ma tu e la cucina non andate d'accordo. Non prendertela, sai. Del resto, di qualità ne hai altre.

– Sì, quali?

– Altre, tante, ma lascia perdere la cucina. La prossima volta ce ne andiamo a mangiare la pizza da Teresa al porto.

– E pensa che questa non l'ho nemmeno fatta io. L'ho comprata surgelata.

Michele si mette a ridere.

– Comunque da Teresa no.

– Perché? – chiede Michele, stupito.

Sandro non sa come girarci intorno, quindi tanto vale che sia diretto.

– Perché ci andavi sempre con Maurizio.

– Se dovessi evitare tutto quello che mi ricorda Maurizio, dovrei trasferirmi altrove. No, Sandro, è meglio invece coprire i vecchi ricordi con altri nuovi, così quelli vecchi prima o poi spariscono nel fondo.

– Cos'è? La teoria della sedimentazione?

– Più o meno. Per il momento, il problema più grosso che ho con Maurizio è che sono l'unico su cui si concentrano i sospetti. E dopo tutto questo tempo, come faccio a difendermi? Chi si ricorda niente? Tu, se ti chiedessero a bruciapelo dove ti trovavi alle dieci di sera del 15 luglio, sapresti rispondere?

Sandro sorride.

– Io non mi ricordo nemmeno dov'ero una settimana fa.

– Appunto. Ed è così per tutti, credo. Poi i ricordi uno se li ricostruisce, ma inventandoseli il più delle volte. Bisognerebbe tenere un diario, e anche molto accurato, per seguire a ritroso la propria vita. Ma chi è che lo fa? E chi è che bada alle date? Non ti nascondo che sono molto preoccupato per questa storia. Se mi accusassero ufficialmente di aver ammazzato Maurizio, io non saprei come difendermi.

– Dimentichi che c'è Facebook. E' una specie di diario, no?

– Io non ci sono su Facebook. E nemmeno Maurizio c'era.

Sandro sorride di nuovo, comprensivo.

– Dai, non ti preoccupare. Piuttosto, visto che per il momento sei a piede libero, approfittane per usarmi ancora come dessert.

Anche Michele sorride.

– Sai sempre come sdrammatizzare, tu.

 

C'è di nuovo il maresciallo Tullio Menegatti in tabaccheria, quando Michele entra per il suo turno pomeridiano. E dire che ha appena pensato che fosse finalmente una bella giornata, con la primavera alle porte. Teme che quest'incubo non avrà mai fine.

– Buongiorno, maresciallo.

– Buongiorno, Michele. Roberto ha acconsentito a sostituirti per un po'. Facciamo due passi, ti dispiace? Ho bisogno di chiederti una cosa.

– Certo, maresciallo. Roberto, grazie. A buon rendere.

– Vai, vai – lo invita Roberto. E sembra che voglia aggiungere "e sbrigati!"

Una volta in piazza, il maresciallo si avvia con passo tranquillo in direzione del mare.

– Mi dica, maresciallo.

– Senti Michele, abbiamo verificato tutto quello che mi hai raccontato, ma c'è qualcosa che mi hai tenuto nascosto. Sai a che cosa mi riferisco, vero? Ti offro un'altra possibilità per parlarmene.

Michele si sente sciogliere le ossa. Che cosa ha scoperto il maresciallo?

– Di che cosa parla?

– E va bene, vuoi una domanda precisa? Te la faccio. Che rapporti c'erano davvero tra te e Maurizio?

Michele capisce che il maresciallo sa già tutto, quindi gli conviene parlare, anche se è ancora restio.

– Maurizio era il mio ragazzo.

– Ti rendi conto che questa informazione avresti dovuto darmela? Cosa devo pensare? Che l'hai tenuta per te in modo che non scoprissi il motivo per cui hai ammazzato Maurizio? Cos'è stato? Un momento di gelosia? Ti ha tradito con un altro? Che cosa è successo veramente? Se confessi, la pena da scontare sarà molto più leggera.

A Michele viene da piangere.

– Maresciallo, io e Maurizio ci amavamo, andavamo perfettamente d'accordo. Se abbiamo discusso, qualche volta, è stato solo su dove andare a mangiare o su dove andare a fare il bagno. Non sono stato io. Chi ha ammazzato Maurizio, ha ammazzato un po' anche me. Non gliel'ho detto, certo. Se prima lei aveva un po' di stima per me, adesso sono sicuro che ne ha molta di meno.

Tullio Menegatti si appoggia a un muretto, costringendo Michele a fermarsi di fronte a lui. L'ha afferrato per un braccio e non lo lascia. Lo guarda dritto negli occhi.

– È questo il motivo?

Michele sostiene il suo sguardo.

– Perché? Mi sbagliavo? Non è più facile per lei adesso pensare che sono il colpevole?

Il maresciallo sorride mestamente.

– Anche tu sei di quelli che danno tutto per scontato? Il punto è che sei l'unico sospettato e adesso posso anche immaginare un motivo per cui tu possa aver ucciso Maurizio. Per gelosia, per esempio.

– Però non sono stato io. E quindi bisogna cercare chi è stato. Secondo Sandro è probabile che fosse un turista, uno che non sapeva quello che combinano le mareggiate dentro la Grotta del Tritone. Magari uno di quelli che arrivano col gommone sopra il tettuccio della macchina e che adesso se ne sta tranquillamente a casa sua, mentre io subisco i suoi interrogatori.

– I miei li chiami interrogatori? Queste sono chiacchierate in amicizia, Michele. Tu non lo sai che cosa sono gli interrogatori, credimi. E comunque, anch'io ho pensato alla possibilità che sia stato uno di fuori. Il problema è che non ho nemmeno un piccolo indizio a cui attaccarmi. Aiutami tu Michele. Possibile che non ti ricordi niente?

– L'unica cosa che mi è tornata in mente è che quella notte, vicino a casa di Maurizio, ho incrociato Sandro. Ma non ci potrei mettere la mano sul fuoco e lui non se lo ricorda nemmeno. E siccome Sandro non ha visto niente o non se lo ricorda, non ci serve a nulla.

– Sandro e Maurizio erano amici?

– Non si conoscevano nemmeno.

– Molto bene, siamo al punto di partenza. Nessuno ha visto niente, nessuno si ricorda niente. È magnifico. Non abbiamo il cellulare di Maurizio, non aveva un computer, non frequentava quasi nessuno, oltre te.

– Maurizio un computer ce l'aveva eccome. Non l'avete trovato? Lo teneva sulla scrivania.

Il maresciallo Menegatti vede finalmente qualcosa a cui attaccarsi.

– Vieni con me.

– Dove andiamo?

– A casa di Maurizio. A proposito, tu avevi le chiavi?

– Per un certo periodo le ho avute, poi Maurizio ha perso le sue, in spiaggia. Così ho dovuto restituirgliele, perché non ne aveva altre. Pensavamo di farne delle copie, ma non abbiamo fatto in tempo.

– Questo è molto interessante. Perché non me l'hai detto prima?

– Non ci ho pensato.

– E che diamine, Michele, mi sembri lo smemorato di Collegno.

– Ha ragione, maresciallo, ma è che per mesi ho tentato di cancellare Maurizio dalla mia mente e adesso che devo ripescare i ricordi mi riesce difficile. Poi io sono distratto per natura. Non sono un buon osservatore.

– Vediamo se riesco lo stesso a cavare qualcosa da te. Questo smarrimento delle chiavi è avvenuto poco prima che Maurizio fosse ucciso?

– Qualche giorno prima, sì.

Il maresciallo accelera il passo.

Una volta arrivati a casa di Maurizio, Menegatti bussa alla porta dei vicini.

La signora Annunziata apre e si sporge.

– Buongiorno, Tullio. Che ti serve?

– Buongiorno, Annunziata. Ti dispiace darmi le chiavi, per favore?

Intanto il maresciallo scolla due strisce di nastro adesivo dal battente. Quando Annunziata gli porge le chiavi, la ringrazia, dicendole che quando hanno finito gliele restituirà.

– La proprietaria di questo appartamento è la signora Annunziata? – chiede Michele entrando dietro il maresciallo.

– Sì, non lo sapevi?

– No.

– Allora non è vero che sapevi proprio tutto di Maurizio.

– Questa è un'informazione banale. Magari sarà anche capitato che me l'abbia detto, ma io non l'ho memorizzata.

– E come questa, chissà quante altre. Mi sa che tu badavi ad altri particolari.

Michele ci riflette un attimo.

– Forse ha ragione, maresciallo.

– Beh, che t'ho portato qua a fare? Guardati intorno e cerca di dirmi se trovi differenze. Quella notte, quando te ne sei andato, la casa era come la vedi adesso?

– No. Su quella scrivania c'era il portatile e su quella mensola c'erano un sacco di Dvd.

– Non noti altro?

– Non mi pare.

– Andiamo a vedere in cucina.

– Così gli hanno rubato il portatile. C'erano sopra anche le mie foto.

– E che altro? Vi scrivevate mail?

– Ma no. Ci sentivamo al telefono o ci vedevamo, se dovevamo parlarci.

– E tu ne hai di foto?

– Certo, ce l'ho tutte. Pure quelle che aveva fatto lui.

– Poi me le fai vedere.

– Certo, maresciallo, ma non è che passassimo il tempo a fotografarci. Capitava di rado. Qui in cucina mi sembra tutto uguale.

– Fai ancora un giro.

Entrano in camera da letto.

– E il copriletto che fine ha fatto?

– C'era un copriletto?

– Sì, era leggero, con il fondo nero e una specie di gabbiano bianco in mezzo.

Il maresciallo comincia a rimuginare su queste sparizioni.

– Perché se l'è portato via? Forse c'erano tracce che potevano far smascherare il colpevole? – chiede Michele.

– È quello che mi domando anch'io.

Michele non vorrebbe pensarci, ma non riesce a farne a meno. Gli appare chiara un'immagine nella mente. Qualcun altro ha scopato con Maurizio, quella notte, dopo di lui. Lo sperma è finito sul copriletto. Poi quello stronzo ha ucciso Maurizio, ma perché? E se l'è caricato in spalla avvolto nel copriletto. L'ha ficcato in macchina e se l'è portato al molo, dove l'ha caricato in barca, o sul gommone, ed è andato a seppellirlo alla grotta. Assurdo. È tutto assurdo.

– Michele, sei proprio sicuro che Maurizio non frequentasse nessun altro? Non hai mai avuto nessun sospetto?

– Lo giuro, maresciallo, no.

– Potrebbe essersi trattato di una rapina. Le chiavi potrebbero essergli state sottratte proprio per entrargli in casa.

– E che gli dovevano rubare? Maurizio non aveva nemmeno un televisore, figurarsi qualcosa di valore. E comunque, se gli fossero entrati in casa, si poteva difendere. Maurizio era forte. Oppure quel delinquente era armato?

– Può darsi, però non gli ha sparato.

– Ma di impronte non ne avete trovate?

– Al contrario, ne abbiamo trovate diverse. Magari qualcuno che frequentava questa casa lo conoscevi anche tu.

– Mi faccia riflettere. Mi ricordo dell'idraulico, di un paio di ragazzini che prendevano ripetizioni, una volta è venuto Isidoro a portarci la pizza che avevamo ordinato da Teresa. E basta, credo. Ah no, c'è stato anche il tecnico dei computer, che è passato a verificare che il portatile che si era tenuto per un mese funzionasse a dovere. Si trovava a passare da queste parti, ha detto a Maurizio. Me lo ricordo perché l'ho preso un po' in giro. Per me era solo una scusa per rivedere lui. E in effetti Maurizio mi è sembrato in imbarazzo. Ma poi ha cambiato discorso e non ne abbiamo riparlato più. Secondo me il tecnico ci ha provato con lui. Ma è solo una mia supposizione.

– Come si chiamava questo tecnico?

– Non ne ho la più pallida idea.

– E l'idraulico?

– So che l'idraulico è uno che gli aveva consigliato Roberto. Più tardi glielo chiedo.

– Bene. Mi sembra che facciamo passi avanti. Del tecnico non ti ricordi proprio niente?

– No, mi dispiace.

– Sandro è un tecnico anche lui, vero?

– Sì, vuole che gli chieda dei suoi colleghi, se ne conosce qualcuno?

– No, no. A quello ci penso io. Anzi, per favore, non raccontare a nessuno quello che ci siamo detti. A nessuno, capito?

– Capito. Sarò muto come un pesce, maresciallo. Spero di esserle stato di qualche aiuto.

– Certamente, a farmi venire altri dubbi. Ti dispiace se stasera passo da te a vedere le foto?

Michele guarda l'orologio.

– No, non mi dispiace, però se adesso non mi lascia andare, domani mi toccherà fare un doppio turno. Roberto mi sta odiando, a quest'ora.

– Va bene. Non ti trattengo oltre. A stasera, allora.

 

Sandro ha un diavolo per capello. È vero che Michele è libero di prendere altri impegni, ma dava per scontato che continuassero a vedersi tutte le sere. Invece stasera gli tocca farne a meno. C'è abituato, in fondo, ma non è la stessa cosa. Guarda le foto di Michele e intanto vola con la fantasia. Immagina di legarlo a un palo e di prenderlo a frustate prima di incularlo. Immagina che Michele faccia lo stesso con lui, ma insieme a Maurizio. Michele è entrato da poco nei suoi sogni, prima c'era solo Maurizio. Ma adesso che sono insieme a infierire su di lui, è molto più eccitante. A volte ha immaginato che a guardare i loro giochi ci sia tutto il paese. Con la fantasia si può immaginare qualunque cosa. Michele ha detto che non è brutto, anzi, che è affascinante. Michele sostiene che lui ha molte qualità. Michele è la prima persona al mondo a dire di lui solo cose buone. Ride. Non se lo sarebbe mai aspettato. E mentre guarda la sua foto più riuscita, quella al mare senza costume, al tramonto, dove le ombre risultano più morbide sul suo corpo statuario, infila la mano negli slip e comincia a controllare lo stato della sua eccitazione. Sa che ormai non c'è più niente che gli basti. È diventato insaziabile. Per fortuna si è procurato quello che gli serve. Deve solo salire in solaio. Continuando ad accarezzarsi, sale le scale.

 

Mentre Tullio Menegatti osserva le foto, fa notare a Michele che, in ben tre occasioni, sullo sfondo appare anche Sandro.

– Non prendermi per il culo, Michele. Voi Sandro lo frequentavate, eccome.

– Giuro di no, maresciallo. Non ci avevo mai fatto caso, prima. Anzi, se non me lo faceva notare lei, io nemmeno l'avrei visto. Per me faceva parte del paesaggio.

– Beh, a quanto pare, questo paesaggio vi stava parecchio intorno.

– Veniva tutti i giorni alla tabaccheria, come tanti altri fumatori. Mica significa che li frequento tutti?

– Beh, questa foto è stata scattata in spiaggia, e quest'altra? Vicino al porto direi. E questa?

– Sotto casa di Maurizio.

– Che ne dici? Un caso?

– Sicuramente un caso.

– Il paese è piccolo e la gente mormora.

– Maresciallo, che cosa vorrebbe insinuare?

– Io non insinuo. Io guardo e dico quello che vedo. Tu, al contrario, purtroppo, non ti rendi conto di quello che ti circonda, mi pare.

– Sono un tipo distratto, lo so. Ma il mio mestiere è vendere sigarette. Il suo è quello di osservare e trovare la verità. Responsabilità diverse, competenze diverse.

Menegatti sospira.

– Non vi siete mai fotografati mentre...

Prima ancora che finisca, Michele crede di capire e ne rimane stupito.

– No, maresciallo – lo interrompe. E pensa all'improvviso che Menegatti sia una specie di guardone in cerca di eccitazione gratis. – Ma su internet ne può trovare quante ne vuole, se le interessa il genere.

– Non mi hai lasciato finire, Michele. Volevo dire: hai per caso qualche foto di Maurizio in costume? Potrebbe servire al medico legale.

– Ah, capisco, ma non ne ho.

– Aveva tatuaggi?

– No, non gli piacevano. Ma mi dica, non siete sicuri che quello ritrovato alla grotta sia il corpo di Maurizio?

– I documenti che erano nella tasca dei pantaloni che indossava erano i suoi, ma le condizioni del cadavere non erano tali da poter effettuare alcun tipo di riconoscimento.

– Maurizio portava un orecchino come il mio.

– Beh, Michele, non voglio descriverti quello che ho visto, ma una cosa è certa, non aveva orecchie.

– Però lei non è sicuro che fosse Maurizio.

– Non ho mai detto questo. Sto solo aspettando la conferma della scientifica.

– Maurizio è sicuramente morto, altrimenti si sarebbe fatto vivo con me.

– Tra poco ce lo dirà il suo dna. Purtroppo questa faccenda è passata in coda a tante altre. Gli esami saranno effettuati quando sarà possibile.

– Mancano i fondi anche per quello?

– I tagli ci stanno mettendo in ginocchio. Ma ce la faremo. Dobbiamo farcela.

 

Michele rimane solo davanti alle foto. Le scorre con negligenza, senza guardarle davvero. Quando arriva all'ultima, chiude la cartella e spegne il computer. Afferra il cellulare e va a scorrere le foto memorizzate, indietro, indietro, fino a quelle scattate in agosto. Si è ricordato all'improvviso di quel giorno e di quelle foto. Quel giorno avevano preso in prestito una barchetta e si erano spinti fino a una caletta nascosta dal paese. Ha la forma di un granchio, le chele costituite dagli scogli e in mezzo una piccola spiaggia. Distesi dietro gli scogli, nascosti ad occhi indiscreti, sia dal mare che da terra, avevano passato un pomeriggio splendido, rimanendo nudi tutto il tempo. E sì che un paio di foto se l'erano fatte, ma proprio non riesce a ritrovarle. È impossibile. Che fine hanno fatto? Michele scorre le immagini avanti e indietro. Non riesce a darsi pace. C'erano, ne è sicuro. Le ha guardate molte volte, le ha anche mandate a Maurizio, eppure adesso non ci sono più.

Chiama subito il maresciallo.

– Che c'è, Michele?

– Mi sono ricordato una cosa. La posso raggiungere? Dove si trova?

– Vengo io. Non ho fatto molta strada.

Il maresciallo ascolta il racconto di Michele, aggrottando la fronte.

– Non so che cosa pensarne. Forse hai cancellato le foto per sbaglio. Pensavi di inviarle a Maurizio e invece le hai cancellate.

– No. A Maurizio sono arrivate e io ci tenevo troppo per giocare con i comandi. Non sono stato io a cancellarle.

– Allora comincia a pensare a chi potrebbe essere stato e poi cerchiamo di capire che senso ha questa cosa.

– Che senso ha?

– A chi giova, Michele? Chi è che può guadagnarci da questa storia?

– Dice che qualcuno se l'è vendute?

– Non intendevo questo, anche perché qualcuno poteva copiarsele senza cancellarle. Dico che se non sei stato tu, chi l'ha fatto aveva uno scopo preciso, ma non ho idea di quale potrebbe essere.

Michele scuote la testa.

– Chi è che può avere avuto in mano il tuo cellulare? L'hai lasciato da qualche parte? Ti sei allontanato per qualche momento lasciandolo in vista, che so, in tabaccheria?

– Assolutamente no. Lo tengo sempre in tasca. Se qualcuno provasse a toccarlo, gli taglierei le mani. Si fa per dire.

Un momento, pensa Michele. Lo tengo sempre in tasca, ma non quando mi spoglio. Quindi l'unico che ne può aver avuto l'occasione è Sandro.

Menegatti osserva l'espressione di Michele.

– A chi stai pensando?

Michele non vorrebbe sputtanarsi ancora con il maresciallo, ma capisce che nella sua situazione è meglio dirgli tutto.

– A Sandro.

– Lui ne avrebbe avuto la possibilità? Sei sicuro?

– Sì.

– In che modo? In quale occasione?

Michele tentenna, imbarazzato. Menegatti fa due più due.

– È il tuo nuovo ragazzo?

– Non proprio. Però lo sto frequentando da qualche giorno.

– E guarda caso è sullo sfondo di alcune tue foto.

– È solo una coincidenza.

– Certo, Michele.

 

Salvatore è andato a lamentarsi diverse volte con il gestore del molo attrezzato. Il suo posto è rimasto occupato per tutto l'inverno da un piccolo motoscafo che non si capisce di chi sia. Adesso che vuole rimettere in mare il suo gommone, pretende quel posto libero entro domenica o almeno che gliene assegni un altro. La discussione tra Salvatore e il gestore si trasforma in lite. Il maresciallo, che sta passando da lì per caso, s'intromette. Una volta calmate le acque, si rivolge ai due.

– Di chi è quel motoscafo?

Nessuno dei due sa rispondere.

– E da quando è ormeggiato lì?

– Dai primi di settembre.

– Scusa ma non ti è venuto in mente di denunciarlo? - chiede al gestore.

– Certo che l'ho denunciato. La Guardia Costiera lo sa.

Tullio Menegatti si allontana a grandi passi, borbottando.

Mentre passa dalla piazza, incrocia Sandro sul marciapiede. Gli sembra un buon momento per porgli un paio di domande, quindi lo ferma. Sandro assume un'espressione seccata.

– Maresciallo, è una cosa breve? Perché io sono un po' di fretta.

– Solo un paio di domande. Ma se preferisci, puoi venire in caserma, più tardi.

– Ecco sì, facciamo così. Vengo più tardi.

 

Per recarsi in tabaccheria, Michele deve passare ogni giorno davanti al portone di Sandro. Strano quante poche volte si siano incontrati, nonostante questo. Ma del resto è lui quello che deve attenersi a orari precisi e metodici. Sandro è libero di lavorare quando vuole e il più delle volte lo fa in casa dei suoi clienti, eccetto nell'eventualità in cui il guasto sia davvero grosso e allora deve portarsi il lavoro a casa. Michele tuttavia non ne ha visto traccia quando è andato a cena da lui. Sandro gli ha detto che si è fatto un laboratorio in solaio, dove c'è anche più luce, perché la casa di fronte è a un solo piano. Gli ha raccontato ridendo che d'estate lavora nudo, tanto nessuno può vederlo. Mentre passa davanti al suo portone sente una canzone che lo riporta indietro nel tempo. Era quella che piaceva tanto a Maurizio. Aveva programmato il portatile in modo che all'apertura del sistema partisse automaticamente. Questo ricordo lo rattrista. A volte gli basta un odore, un sapore, o come in quel caso una melodia, perché Maurizio ritorni vivo dentro di lui. Quante gliene ha dette, nella sua mente, quante volte ha sognato di fare a cazzotti con lui, incontrandolo per caso in una città sconosciuta. Anche adesso che sa perché è sparito, non riesce a perdonargliela. Non doveva essere così stupido da farsi ammazzare. Non doveva lasciarlo in quel paese merdoso da solo.

Il nonno lo saluta con un sorriso soddisfatto. Gli è sempre piaciuta la puntualità di Michele.

– Oggi doppio turno, vero?

– Sì. Mi sono portato il pranzo e un libro.

– Mi raccomando.

– Non ti preoccupare, capo.

– Allora io vado. Devo passare in banca.

– Vai tranquillo.

Verso mezzogiorno passa Sandro. Michele gli tende le sigarette. Sandro si sporge sul bancone per dargli un bacio. Non c'è nessuno, ma Michele si preoccupa.

– Non farlo più, Sandro. Se qualcuno ci vede, dopo dieci minuti lo sa tutto il paese.

– E chi se ne frega? Diamo una svegliata a questo mortorio!

– Smettila, Sandro. Noi ci dobbiamo vivere in questo mortorio.

– Ma che palle. A volte sei proprio noioso, Michele.

– In quale altro caso sono stato noioso?

– Lo so io. Stasera a casa mia. E vedrai come ci divertiamo.

– Mi sembri strano oggi. Che cos'hai? Hai bevuto, per caso?

– Dici che l'aperitivo di poco fa sta facendo effetto?

– Vacci piano con gli aperitivi. Non li reggi.

– Va bene, ho capito, Mister Moralista. Me ne vado. Ti aspetto stasera.

– Ci sarò.

 

Sandro entra nell'ufficio del maresciallo. Dopo i primi convenevoli, Menegatti lo osserva con attenzione.

– Avrei qualche curiosità a proposito di Michele Mele. So che voi vi state frequentando da poco tempo, ma in paese ci si conosce tutti, si sa com'è. Che impressione ti fa, adesso che lo conosci meglio? Che tipo è?

– Un bel ragazzo, ma è uno che non si dà arie.

Non è esattamente quello che vuole sapere Menegatti, ma comunque va avanti.

– Ti sarà capitato di vederlo insieme a Maurizio, qualche volta.

– Sì, certo.

– Li hai mai visti litigare?

– No, non mi sembra.

– E Maurizio che tipo era?

– Molto posato. Uno senza tanti grilli per la testa. Secondo me, uno a posto.

– Lo conoscevi bene?

– No, solo superficialmente, purtroppo.

– Perché purtroppo?

– Perché mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio.

– Era un tuo cliente?

– Sì, gli ho riparato un portatile.

– E quante volte l'hai incontrato?

– Due.

– Capisco. Ti viene in mente qualche particolare che possa aiutarci a fare luce sul suo omicidio?

Sandro ci riflette sopra un momento.

– No, non mi viene in mente niente, mi dispiace.

– D'accordo. Allora puoi andare.

Sandro Farina è un bugiardo. Menegatti gioca con questo pensiero finché l'appuntato non gli consegna un rapporto su Aurelio Mantovani. Il maresciallo non l'ha mai sentito nominare. Il suo motoscafo è l'unica cosa che sia rimasta di lui. Per il resto, c'è una denuncia di scomparsa del primo settembre. Risale a due giorni dopo l'ultima volta che la sua famiglia ha potuto sentirlo al telefono. Era venuto per prenotare un appartamento per l'estate successiva. Doveva restare un solo giorno, ma non è più tornato a casa. Tullio Menegatti si domanda come mai non gli sia arrivato quel rapporto sulla scrivania. È vero che non si occupa di persone scomparse, ma di solito passa da lui una copia di ogni verbale, per conoscenza. Quel motoscafo abbandonato al molo non gli piace. Sospetta che abbiano ucciso anche lui. Ma allora si tratterebbe di due omicidi praticamente lo stesso giorno. Una coincidenza troppo strana per un paese dove non succede mai niente. Quindi non riesce ad escludere che siano collegati.

Quando riesce ad avere la descrizione di Aurelio Mantovani, è ormai sera. Gli sembra quasi di leggere quella di Maurizio Ardito. Entrambi bruni, stessa altezza, stesso peso, pressappoco la stessa età. Ci pensa per buona parte della notte. Il maresciallo ha l'allergia per le coincidenze. Gli fanno venire l'orticaria. Ma questa non ha alcun senso. Due uomini molto simili scompaiono praticamente lo stesso giorno, ma soltanto di uno si ritrova il cadavere. E l'altro che fine ha fatto? Se l'è portato il mare? Le correnti non l'hanno ancora restituito? È andato a incagliarsi da qualche parte? Perché di una cosa è sicuro, anche Mantovani è stato ucciso.

 

In mattinata il maresciallo passa in tabaccheria. È convinto di trovarci Michele, invece dietro il bancone ci trova Roberto.

– Vi siete scambiati il turno?

– No, mi ha mandato un messaggio stamattina presto. Dice che gli è venuta l'influenza. Secondo me gli è venuto mal di lavoro, dopo che ieri si è fatto un doppio turno.

– Lo fa spesso?

– Veramente, maresciallo, devo ammettere che è la prima volta. Michele è puntuale per natura.

Il maresciallo decide di passare a trovarlo, per parlargli. Non gli importa di rischiare un contagio. Ma Michele non apre la porta e neppure risponde al cellulare. La cosa strana è che non lo senta suonare attraverso la porta, dove ha appoggiato l'orecchio. Ma può darsi che abbia zittito la suoneria per stare tranquillo. Tullio Menegatti ritorna sui suoi passi, ma non desiste, continuando a chiamare il cellulare di Michele. A un tratto sente il suono di un cellulare provenire da una finestra aperta sopra di lui. Si ferma. Chiude la chiamata. Si guarda intorno. Qui abita Sandro. Torna a fare il numero, torna a sentire la suoneria. Comincia a pensare che l'influenza sia solo una scusa, che davvero Michele abbia deciso di prendersi un giorno di vacanza e adesso Michele è da Sandro. Il maresciallo suona il campanello, ma dopo più tentativi, nessuno gli apre. Allora prova la maniglia. Per fortuna il portone non è chiuso a chiave. Sale i quattro gradini e fa di nuovo suonare il cellulare di Michele. Adesso è sicuro che sia dietro quella porta. Ma nessuno risponde al campanello. Perché Michele non risponde al cellulare e non gli apre la porta? Michele e Sandro sono forse troppo impegnati a scopare per degnarsi di rispondergli? Dopo altri testardi tentativi, Menegatti s'incazza. Non è proprio un esperto in questo genere di cose, ma con un po' di fatica riesce a forzare la serratura. Entra e si guarda attorno. Fa il giro delle stanze. Non c'è nessuno. Eppure è sicuro di aver sentito la suoneria. Fa di nuovo partire la chiamata. Il suono ricomincia, forte. Lo segue. Arriva dalla direzione di una libreria con gli scaffali quasi vuoti, su cui il cellulare non c'è. È come se il suono arrivasse da dietro la parete di legno del mobile. Menegatti afferra il bordo della libreria per spostarla e non si aspetta quanto sia leggera. Probabilmente gira su ruote. Con sorpresa scopre che la libreria è una porta mimetizzata, che affaccia sulla scala che conduce al piano superiore. Sale lentamente, come se si aspettasse una trappola. Ma quando arriva al piano superiore la sua prudenza si trasforma in sorpresa.

– Michele!

Michele non può rispondere granché, con uno strofinaccio infilato in bocca e tenuto ben pressato con nastro adesivo robusto. Per prima cosa lo libera di quello, poi fa lo stesso con il suo compagno di prigionia, nudo come Michele. Entrambi si mettono a parlare contemporaneamente, ma il maresciallo non capisce quasi nulla. Intanto libera loro le mani, che hanno legate dietro la schiena. E infine li libera dalla grossa fune che li tiene legati a una colonna. Ma una volta tornati in libertà, i due smettono di parlare per abbracciarsi. Al maresciallo scappa un sorriso. Li capisce benissimo.

 

In caserma il loro racconto viene trasferito su un verbale. Tullio Menegatti ascolta per la seconda volta il confuso evolversi degli eventi, tentando di riportarli a una sequenza temporale più ordinata, in cui, tuttavia, non c'è posto per Aurelio Mantovani. Nessuno dei due l'ha mai visto, né sentito nominare.

– Ricapitolando, Maurizio, quella notte del 29 agosto, dopo che Michele se n'è andato, ti sei accorto che qualcun altro era in casa tua.

– Sì, ho sentito dei rumori in soggiorno. Ero nel dormiveglia e quei rumori mi hanno svegliato, ma non sapevo se c'erano stati davvero o se me li ero sognati. Sa come succede. Sono tornato vigile, aspettando di sentirli ancora, ma tutto era tranquillo. Quando stavo per addormentarmi ancora, ho sentito un fruscio vicino al letto. Ho aperto gli occhi e ho visto un'ombra. Poi ho sentito la sua voce. "Se stai buono, non ti accadrà nulla" mi ha detto.

– E hai riconosciuto la voce di Sandro, giusto?

– Sì. Lì per lì mi sono chiesto cosa ci facesse di nuovo a casa mia, per giunta alle quattro del mattino. Si era presentato qualche giorno prima per chiedermi se il computer funzionasse a dovere, dopo che me l'aveva riparato. Quindi mi è venuto spontaneo dirgli che il computer funzionava. Lui si è messo a ridere. "Non sono qui per il computer, sono venuto per te" mi ha detto. "E che vuoi?" Mi sembrava una situazione assurda. Non riuscivo a capire come fosse entrato. Per un momento ho pensato che Michele avesse lasciato la porta aperta e lui ne avesse approfittato. Ma erano le quattro del mattino! Insomma, ero confuso. Ma Sandro mi ha chiarito subito le idee. Mi ha detto che se non avessi fatto quello mi diceva, era pronto a spararmi.

– Aveva una pistola?

– Non lo so, era buio. Ma se uno ti dice così, pensi subito che abbia una pistola puntata su di te.

– E poi che ha fatto?

– Mi ha detto di stare zitto, di vestirmi e di andare con lui. Mentre mi vestivo, ha tirato via il copriletto e passando dal soggiorno ci ha messo sopra il mio computer e i dvd, poi l'ha chiuso come se fosse un sacco e se l'è messo in spalla. Quindi mi ha detto di uscire. Lui si teneva dietro di me e mi diceva dove andare, fino a che siamo arrivati a casa sua. Continuava a dirmi che se facevo anche solo un fiato, mi avrebbe sparato.

– Ma questa benedetta pistola l'hai vista o no?

– No. Non l'ho mai vista, né prima, né durante il percorso in strada, né dopo, una volta entrati a casa sua.

– E una volta lì, ti ha portato in solaio.

– Sì. Ma prima mi ha legato le mani dietro la schiena e mi ha messo uno straccio in bocca. Poi l'ha fermato con un giro di nastro adesivo intorno alla nuca. Pensavo che sarei morto. E non riuscivo a capire perché nessuno mi venisse a cercare. Sandro mi perseguitava da mesi. Con Michele non ne avevo mai parlato apertamente, ma pensavo che lui se ne fosse accorto. Ovunque andassimo, Sandro ci girava sempre intorno. Era ovvio che dovesse cercarmi da lui.

– Ovvio? Ovvio un cavolo! Io non me n'ero accorto, e perché diavolo non me l'hai mai detto?

– Non volevo che diventassi geloso.

– Al tempo! – dice Menegatti, interrompendoli – In questi sei mesi di prigionia non hai mai trovato il modo di scappare, di fare qualcosa?

– Ero sempre legato e imbavagliato. Non sono mai riuscito a liberarmi. Se tentavo un movimento, mi prendeva a botte.

– Sì, ho visto i lividi.

Menegatti rivede la scena che si è trovato davanti. Michele e Maurizio nudi, legati alla colonna in mezzo alla stanza, uno di fronte all'altro. Per un secondo il suo unico pensiero è stato "Come sono belli!". Gli hanno ricordato certi gruppi marmorei dell'antica Grecia, immagini epiche di dei e di uomini impresse nel marmo.

– Ma quando ti dava da mangiare, il bavaglio non l'avevi. Avresti potuto urlare.

– E infatti ci ho provato. Ho ancora i segni di quella volta. Non volevo lasciarci le penne. Speravo che prima o poi si sarebbe stancato di me, ma temevo anche quel momento. Temevo che mi avrebbe ucciso per evitare che lo denunciassi. Mi sono spinto fino a fargli credere che mi ero innamorato di lui. Speravo che ci cascasse, che si fidasse di me abbastanza da lasciarmi libere le mani. Ma non l'ha mai fatto. Mi sarebbe bastato un minuto e gliel'avrei fatta pagare cara, anche se ormai ero completamente anchilosato. Ero diventato il suo giocattolo. Ogni sera mi legava alla colonna e faceva i suoi comodi. Solo negli ultimi giorni mi lasciava in pace. A quanto pare aveva trovato un sostituto in Michele.

Menegatti guarda Michele, che commenta:

– Quel bastardo!

– Non mettere a verbale – dice Menegatti al suo collega.

– Sandro ti parlava? Ti raccontava qualcosa?

– Solo a volte. Per lo più blaterava di bellezza e bruttezza. Ma io non lo capivo. Forse ero troppo preoccupato del mio stato anche solo per riuscire a provarci. Mi sembrava un pazzo. Una volta ha detto che dovevo odiare la mia bellezza, perché quella mi aveva portato dov'ero. Un'altra volta mi ha detto che gli dovevo gratitudine perché si prodigava per darmi piacere.

– E tu provavi piacere? – chiede Michele.

– Le domande le faccio io, se non ti dispiace – dice il maresciallo – Ti è mai capitato di avere l'impressione che volesse ucciderti?

– Ero sicuro che prima o poi l'avrebbe fatto. Parlava di cancellare la mia bellezza. Era fissato. Prima di allora non avevo mai pensato di essere bello. Ma lui era fissato. Quando gli girava male diceva che l'avrebbe cancellata, che sapeva come fare. Mi avrebbe tagliato le orecchie e mi avrebbe ridotto la faccia a un ammasso informe, tanto che nessuno mi avrebbe più riconosciuto.

– Forse sapeva davvero come farlo. Aurelio Mantovani ha subito proprio questo trattamento – commenta Menegatti.

 

L'esame del dna consegna ufficialmente al maresciallo la certezza che lui ha ormai maturato: il cadavere ritrovato nella grotta del Tritone è quello di Aurelio Mantovani.  Sue tracce sono state ritrovate anche nel solaio di Sandro, il quale si rifiuta di ammettere di averlo conosciuto. Ma le prove sono inconfutabili. La scientifica si è data da fare, finalmente, appurando che i frammenti di fibre di canapa ritrovate attorno al collo della vittima sono compatibili con quelle della grossa fune con cui Maurizio veniva legato alla colonna. Menegatti pensa che Sandro volesse tenere segregato il Mantovani come ha poi fatto con Maurizio. Ma forse qualcosa è andato storto. Se solo Sandro si decidesse a parlare. Ma ormai non sono più affari suoi. Sandro è stato trasferito a Napoli da tempo. Ci penserà qualcun altro a sbrogliare la matassa. Lui se ne va in pensione.

 

L'estate non è più nel suo fulgore quando Tullio Menegatti riesce a mettere in mare la barchetta che ha comprato a un'asta per pochi soldi. Riconosce di essere finalmente felice, di quel genere di felicità senza oscillazioni, che non ha propriamente un nome, essendo un misto di soddisfazione, serenità, pace, buon umore, ma senza esagerare. Ha adottato un gatto, grasso e peloso, pezzato di rosso, bianco e nero, che lo segue come un cane, persino in barca, sfatando il suo pregiudizio che ai felini non piaccia l'acqua. Si alza prima dell'alba per andare a pescare con il fresco e all'ora di pranzo lui e il gatto si dividono il bottino. Si è fatto crescere i capelli, che sono grigi come la barba, e qualcuno gli ha detto che somiglia a Verdi, quello che stava sulle mille lire. Gli è sembrato curioso questo accostamento, perché per lui Verdi era quello della Traviata. Quand'era giovane e faceva servizio a Genova, era andato al teatro Carlo Felice a vederla. Era la prima volta. Si ricorda come fosse ieri. Si ricorda chi c'era seduto accanto a lui. La nostalgia non gli è mai passata. Non gli è passata la rabbia di non poter vivere apertamente il suo rapporto. Ma sarebbero stati espulsi entrambi, e lo sapevano fin troppo bene. Per questo tifa per Michele e Maurizio. Forse per loro sarà diverso, perché un po' alla volta anche la mentalità ristretta di quel piccolo paese sta cambiando. Ma devono essere i giovani a lottare. Per lui, ormai, è troppo tardi.

 

Michele esce dall'acqua dopo una bella nuotata. Si asciuga il viso, stende l'asciugamano sdraiandosi a pancia sotto, inforca gli occhiali da sole, quindi si volta a guardare Maurizio, che nel frattempo non si è mosso.

– Non lo fai il bagno?

– Per ora no.

Michele guarda il mare, spazza via un po' di sabbia dall'asciugamano passandoci il palmo, velocemente, poi guarda di nuovo Maurizio.

– Allora, è vero che ti piaceva?

È la prima volta che affronta l'argomento in modo diretto. Maurizio ha sviato finora ogni suo tentativo precedente. Ma deve farlo. A quanto pare, girarci intorno non li conduce al punto.

– Di che cosa stai parlando?

– Di quando eri legato alla colonna e Sandro t'inculava, sera dopo sera.

– Tu non sai quello che dici. Non è successo a te.

– E dai, un po' ti sarà piaciuto.

Vaffanculo, Michè.

Maurizio butta gli occhiali sulla stuoia, si alza e va a tuffarsi in mare.

– Peccato, potevamo giocarci insieme a quel gioco – mormora Michele.

E invece, da quando è stato liberato, Maurizio non vuole più fare niente. Dice che ha bisogno di riposo, che è troppo stressato. Michele pensa che sia anche depresso e paranoico. Ha l'impressione che lo accusi in parte della sua lunga prigionia. L'ha incolpato apertamente di non aver fatto nulla per ritrovarlo.  Maurizio trova assurdo che lui non abbia capito subito che Sandro potesse aver a che fare con la sua sparizione. Possibile non si fosse accorto che Sandro lo perseguitava? Ricorda quella conversazione.

– No, non me ne sono accorto. Che cosa posso farci? Mi vuoi crocifiggere?

– Tu vivi sempre con la testa tra le nuvole. Non vedi mai niente, non ti accorgi di niente. Tutto ti sfiora appena, sei indifferente e senza profondità.

Michele da allora se lo ripete spesso. Sono privo di profondità. Ma che diavolo vuol dire?

Dopo un quarto d'ora Maurizio ritorna sulla spiaggia, sgocciolando acqua di mare, che forma piccoli buchetti umidi nella sabbia asciutta.

– Ho visto un polpo enorme. Bellissimo.

– Scusami per prima.

Michele si scusa spesso, ultimamente.

– Fa niente.

– Tu però non mi parli più come prima.

– Hai ragione.

– Lo vedi? Ho ragione di che? Pensi che non possa capire, vero? Pensi che non valga la pena sprecare tempo a spiegare le cose a una testa di cazzo come me.

– Va bene, oggi ti gira male. Spostiamoci all'ombra, che si parla meglio.

– Sì, spostiamoci dove nessuno possa vederci o sentirci. È questo che conta per te. La bella facciata, le apparenze. E invece per me è più importante la sostanza. Chi se ne frega della bella immagine, se dentro ci restano solo le macerie?

Michele ha alzato la voce. Qualcuno in spiaggia si è voltato a guardarli. Maurizio inforca gli occhiali neri, si butta in spalla l'asciugamano, arrotola la stuoia.

– Andiamo – dice soltanto, senza rispondergli.

 

I pini marittimi spargono un'ombra scura, in netto contrasto con la luce accecante che brilla sull'acqua blu del mare in lontananza. Alle cicale in concerto ogni tanto si unisce il ronzio di un'ape in veloce volo radente. Maurizio si è predisposto a litigare con Michele, anche se non ne ha alcuna voglia. Si sono sistemati sulle stuoie, tra formiche che hanno perso la strada e lucertole che cercano un raggio di sole. E invece Michele è silenzioso. Maurizio si decide a parlare per primo.

– Tu non mi capisci più.

– Ti capirei benissimo, se tu tornassi a parlarmi come facevi prima.

Sanno benissimo entrambi che cosa indichi quel "prima".

– Forse ho dovuto stare in silenzio per troppo tempo e mi ci sono abituato.

– Senti, Maurizio, non mi dispiace il tuo silenzio, è che da me pretendi che ti legga nel pensiero e io non ne sono capace. Quindi, se vuoi comunicarmi qualcosa, devi fare lo sforzo di parlarmi. Ho i miei limiti, purtroppo.

Maurizio sospira.

– Va bene, lo capisco. Che cosa volevi sapere? Se mi è piaciuto essere il giocattolo di Sandro? No, non mi è piaciuto. Essere alla mercé di un pazzo che può prenderti a mazzate se si sveglia col piede sbagliato? No, non mi è piaciuto. Sperare ogni giorno che qualcuno venga a liberarti e la sera prendere atto che non è successo? No, non mi è piaciuto. Non mi è piaciuto che tu non ti sia reso conto che Sandro ci girava sempre intorno, che tu non abbia avuto l'intuito di venirmi a cercare da lui. Sì, lo so che era un'idea stupida, ma era l'unica che mi veniva in mente, mentre passavo le giornate in quella soffitta di merda. Vuoi sapere se mi è piaciuto quello che mi faceva Sandro? All'inizio no. L'avrei massacrato di botte, se solo mi avesse lasciato le mani libere. Ma poi in un certo senso sì. Sì, perché ci teneva a darmi piacere. Ci teneva davvero, anche se avrebbe potuto tranquillamente fregarsene. Ma io lo odiavo ugualmente, con tutto me stesso. E soprattutto odiavo il mio corpo che cedeva e godeva mentre la mia mente si opponeva con tutte le sue forze e i miei sentimenti erano di rancore e rabbia ogni volta che venivo. Il tradimento del proprio corpo è peggiore di qualunque altro. Ti senti sdoppiato. Senti che non hai il controllo. Ti senti come imprigionato dentro a un robot che fa quello che gli pare. Era questo che volevi sapere?

Michele accenna una conferma col capo.

– Mi dispiace. Non ho fatto caso a Sandro. Io vedevo solo te. Quando eravamo insieme, per me il resto del mondo non esisteva. Mi dispiace. Quando sei sparito non riuscivo a farmene una ragione. Mi sono rassegnato solo quando Menegatti mi ha detto ch'eri morto. Era l'unica spiegazione accettabile per me, perché io ci credevo veramente alla nostra storia. La vedevo proiettata nel futuro, per tutta la vita. È assurdo, vero? Nemmeno nelle favole da bambini... Eppure mi sembrava che sarebbe andata così. Per questo m'è cascato il mondo addosso, quando sei sparito. Poi ha cominciato a girare voce che ti fossi trasferito per lavoro e io ci sono rimasto di merda. Mi dicevo, quello stronzo non mi ha nemmeno salutato. Quello stronzo bastardo non mi ha detto niente, è sparito senza neanche dirmi ciao. Ti ho odiato tanto, Maurizio, te lo confesso. Tanto quanto ti amavo e ti amo, anche se non so più se tu mi vuoi ancora.

Maurizio si protende ad abbracciare forte Michele.

– Certo che ti amo ancora. Certo.

– Però non l'hai dimostrato molto in questi ultimi giorni.

– Devo purificarmi dalla sozzeria che Sandro mi ha lasciato addosso. Non so come spiegartelo. È come se fossi stato sei mesi a rotolarmi nel fango e nella merda. E molto di quel lerciume veniva da dentro di me. Non sapevo di essere un maiale.

– Oh, ma a me i maiali piacciono!

Maurizio resta interdetto per qualche istante, poi scoppia a ridere.

– Ti prego, non fare la fatica di far sparire il maiale che è dentro di te. Piuttosto, aiutami a snidare quello che è dentro di me.

 

Anche se Tullio Menegatti è ormai in pensione, il caso di Sandro continua a intrigarlo. Per quanto superficialmente lo conoscesse, era un ragazzo del paese, un ragazzo normale. Si chiede spesso come sia arrivato a uccidere, quale molla sia scattata nella sua testa. Sa che proviene da una buona famiglia, sa che non frequentava malavitosi. Per questo è ancora curioso di conoscere la verità. Forse per deformazione professionale, a volte ha pensato che l'educazione della famiglia e della scuola non siano sufficienti a fermare il lato oscuro che ognuno alberga dentro di sé. Ma come ci è arrivato Sandro? Per quali vie?

La sua curiosità lo spinge a contattare i colleghi che possono fornirgli le risposte.

 

Michele e Maurizio sono insieme e Tullio Menegatti li guarda con compiacimento. Sono una bella coppia. A quanto pare, saranno i primi a sfidare le convenzioni e i pregiudizi del paese. Gli hanno detto di aver deciso di vivere insieme senza nascondersi più. Quando i due ragazzi gli chiedono novità sulla vicenda di Sandro, Menegatti riassume gli eventi come è riuscito a ricostruirli dalle notizie che ha potuto procurarsi. Sandro, alla fine, ha confessato.

– Pare che tutto sia iniziato dall'incontro con Aurelio Mantovani. Si sono piaciuti e Sandro se l'è portato a casa, perché gli ricordava Maurizio. Ma quando Aurelio gli ha detto che il giorno dopo sarebbe partito, qualcosa gli è scattato nella testa. Nemmeno lui sa spiegarselo. Voleva che Aurelio rimanesse con lui, lo voleva talmente che fingendo un gioco erotico, l'ha legato e imbavagliato per impedirgli di andarsene. Quando Aurelio si è reso conto che la situazione stava trascendendo, ha tentato di ribellarsi e di opporsi, ma Sandro si è spaventato delle sue stesse azioni e ha voluto cancellare tutto stringendogli una corda al collo. Da lì è partita la sua follia. Ha pensato che al posto di quell'uomo avrebbe voluto Maurizio e ha deciso di prenderselo. Per evitare che qualcuno s'insospettisse della sua assenza, ha deciso di farlo credere morto, seppellendo Aurelio con i vestiti e i documenti di Maurizio, dopo averlo reso irriconoscibile deturpandone il cadavere. Quindi l'ha seppellito sotto venti centimetri di sabba. Non si aspettava che ci volesse tanto tempo a scoprirlo e non ha pensato che l'esame del dna l'avrebbe subito tradito. Nel frattempo dunque aveva rapito Maurizio, ma la sua intenzione era di far accusare Michele del suo finto omicidio, per vendicarsi di averglielo rubato. Così la vedeva lui. È stato Sandro a far circolare la voce che Maurizio era partito per lavoro. Per far ricadere la colpa della sparizione su Michele, stava trasformando delle foto sul computer di Maurizio, che poi aveva intenzione di nascondere a casa di Michele. Subito dopo lo avrebbe denunciato in maniera anonima. Ma quando con Michele è nata una storia, se n'è pentito. Stava progettando invece di tenervi entrambi in soffitta. Ma come ne sarebbe uscito poi, non lo sa. Non pensava più al futuro, come se non esistesse.

– Io sono convinto che ci avrebbe fatto fare la stessa fine di Aurelio Mantovani. Insomma, ci ha proprio salvato la vita, maresciallo – dice Maurizio.

– Spero che lo condannino all'ergastolo – aggiunge Michele.

– Scordatelo, ma comunque non si rivedrà da queste parti per un bel pezzo.

– E lei maresciallo? Si trova bene in pensione?

– Sì, adesso faccio solo quello mi piace: me ne vado a pescare. Quando volete, potete venire con me.

– Ci conti, maresciallo.

– E basta con sto maresciallo, chiamatemi Tullio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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