Aromi di Provenza A Ro’ e ai suoi sogni I Il
vocio si sente dall’anticamera: tutta la nobiltà della regione dev’essere venuta a rendere omaggio al nuovo conte, che
ci ha convocati. In effetti
quando il servitore apre la porta, possiamo vedere che la sala è piena di
uomini e donne, che fanno mostra di sé nei loro abiti migliori. A colpirmi
però è, come sempre in queste occasioni, l’odore intenso, di sudore e corpi
mal lavati. Qui la gente si lava di rado e molti non capiscono la mia
abitudine a bagnarmi regolarmente: la considerano una stranezza, dovuta a mia
madre, “la greca”, come la chiamano ancora. Infatti mia madre era una nobildonna di Costantinopoli.
Mio padre se ne innamorò durante la spedizione oltremare, tanto da rapirla e
portarla con sé in Terrasanta. Da là tornarono in Provenza quando lei era
ormai incinta di me. Mia madre era abituata a una realtà molto diversa e mal
tollerava la sporcizia che qui regna sovrana. Io ho ereditato da lei l’amore
per la pulizia e una sensibilità agli odori che i miei fratelli non
condividono, probabilmente perché hanno conosciuto poco la loro madre, morta
quando Pierre aveva solo due anni. Ci
facciamo avanti, cercando di avvicinarci ad Amaury di Rochenoire.
Seduto sul suo seggio il conte riceve l’omaggio dei suoi vassalli, che
studiano il loro nuovo signore. Circolano molte voci sul suo conto e non è
strano: Amaury è tornato appena due settimane fa dall’Oltremare, dove è
vissuto per vent’anni. In questi due decenni non è mai venuto nella contea,
ma la morte del fratello e del nipote lo ha spinto ad abbandonare la
Terrasanta e rientrare nel castello di famiglia, per raccogliere l’eredità
dei Rochenoire. Il
fratello di Amaury è stato il signore di queste terre per ventisei anni. La
sua morte e quella del figlio sono state improvvise, tanto da aver suscitato
non pochi dubbi. Si è parlato di una malattia fulminea, che però ha colpito
soltanto il conte e l’unico suo erede. Si sussurra
che i due nobili siano stati avvelenati. Da chi? Perché? Nessuno è in grado
di dare una risposta a queste domande, che non vengono formulate ad alta
voce. Di
Amaury, prima del suo arrivo, si diceva che era un grande guerriero, noto per
la sua bravura e la sua ferocia. Non so quale fondamento abbiano
queste voci: nel percorso da quelle lontane terre in cui si combatte per la
fede fino alla Provenza, le notizie tendono ad assumere proporzioni
gigantesche. Mio padre spesso rideva di ciò che si sentiva dire: lui che in
Terrasanta aveva combattuto tre anni, sapeva che buona parte di ciò che
veniva narrato non corrispondeva alla realtà. Adesso
che Amaury di Rochenoire è qui, sono circolate
altre voci: dicono che sia scuro come un africano, che vesta con uno sfarzo
inaudito, che indossi abiti pregiati e gioielli raffinati. Sono molto curioso
di vederlo. Finalmente
riusciamo a scorgerlo. Vedo che ha davvero un colorito molto scuro: vent’anni
sotto il sole cocente dell’Oltremare hanno lasciato il segno. Ha capelli
neri, lunghi, e una barba corta, in cui si vedono i primi fili grigi. Quanti
anni ha? Dovrebbero essere quarantadue, perché mi pare che abbia solo quattro
anni in più di me. Indossa una lunga veste nera con raffinati ricami d’oro.
Alle dita e al collo ha gioielli preziosi. Ci
sono alcuni vassalli che gli porgono omaggio. Vicino a lui c’è suo cugino, Thibault de Longpré.
Alcuni pensavano che la contea sarebbe andata a lui, ma se davvero Thibault
lo sperava, il ritorno di Amaury ha mandato in frantumi i suoi sogni. Non
ci potrebbe essere contrasto più forte tra i due cugini. Thibault ha i
capelli e la barba bianchi, non per l’età – deve avere un anno o due più di
Amaury – ma perché è nato così. La pelle ha un colorito chiarissimo. E, non
so perché, Thibault veste sempre di bianco, che accentua ancora il suo
pallore. Vedendoli uno accanto all’altro, sembrerebbero un angelo e un
diavolo. Non so se Amaury sia un diavolo, ma
Thibault non è certo un angelo e la sua purezza è tutta esteriore. È un uomo
che mi ispira un’istintiva diffidenza. Aspettiamo
un po’ in disparte il nostro turno, poi ci avviciniamo. Amaury ci guarda. Ha
due occhi di un verde intensissimo, lo stesso colore di quelli di sua madre,
e una cicatrice alla tempia. Ma a colpirmi, quando sono davanti a lui, è il
profumo che emana dal suo corpo. È un profumo molto carico, del tutto diverso
dagli odori a cui siamo abituati. Avevo sentito qualcuno parlare del fatto
che Amaury si profuma, alla maniera dei principi saraceni. Anche l’abito è di
un tessuto raffinato e in effetti la sua destra è
carica di anelli: un raggio di sole fa scintillare le pietre preziose. Gli
porgiamo omaggio, io e i miei due fratelli, poi lasciamo il posto ad altri.
Quando ci allontaniamo, Raymond sibila tra i denti: -
Profumato come una puttana. Pierre
gli risponde: -
Dicono che sia valoroso, ma a me sembra una femmina. Preferisco
evitare che continuino a commentare: Raymond e Pierre sono troppo pronti a
giudicare e poco prudenti. Non conosciamo ancora il nostro nuovo signore e lui
non ci conosce: non è proprio il caso di fare osservazioni malevole che
qualcuno potrebbe riferirgli. -
Tacete. Qui chiunque potrebbe sentirci. Raymond
scrolla le spalle, irritato, ma tace. Io guardo ancora Amaury. Non è
effeminato, questo è certo. Basta guardarlo in faccia per capire che è un
maschio forte e coraggioso. Ma l’abito, i gioielli e soprattutto quel
profumo... non sembrano gli attributi di un guerriero. Più
tardi, prima che ci sediamo per il banchetto, faccio in modo di avvicinarmi
ancora a lui. Sento nuovamente il suo profumo. Inspiro a fondo. Guy di Cahors se ne accorge e mi sussurra: -
Muschio, un’essenza rara e preziosa. C’è
parecchia gente intorno a noi e preferisco essere prudente, per cui mi limito
a dire: - So
che nell’Oltremare questi profumi sono molto in voga. -
Sì, i signori franchi hanno imparato a usarli dai saraceni. Il
banchetto è sontuoso: non è la prima volta che mangiamo nel castello dei
Rochenoire, ma non mi sembra di aver mai gustato cibi così deliziosi. Uno dei
miei vicini dice che Amaury ha portato con sé dalla Terrasanta numerosi
servitori, tra cui di certo almeno un cuoco. Dev’essere
senz’altro così. La
tavola a cui siedo non è lontana da quella di Amaury: non siamo i suoi
vassalli più importanti, ma occupiamo una buona posizione. Io lo guardo. È
davvero un uomo notevole. I nostri sguardi si incrociano ed io fingo di
guardare altrove. Poi però lo fisso di nuovo. Lui gira gli occhi nella mia
direzione e mi sorride. Rimango
confuso. Non so bene che cosa pensare. Amaury è un uomo affascinante, ma non
devo dimenticare che è il mio signore. Accanto
a noi c’è Jean di Trencavel. Grossolano e poco intelligente, va molto
d’accordo con i miei fratelli, soprattutto con Raymond. -
Quello lì secondo me si mette il profumo anche nel buco del culo. Raymond
scoppia a ridere, la sua risata roboante. C’è molta
animazione nella sala, ma diversi guardano nella nostra direzione. Io lancio
un’occhiataccia a Raymond, poi dico a Jean: -
Faresti meglio a stare zitto, Jean. Lui
coglie il tono di minaccia nella mia voce. Scrolla le spalle, irritato, ma
non dice più nulla sull’argomento. Io preferisco non guardare dalla parte di
Amaury per un po’, ma poi i miei occhi ritornano a posarsi sul tavolo del
conte e i nostri occhi si incrociano altre volte. Amaury mi sorride, un
sorriso appena accennato, tanto che mi chiedo se non sia solo una mia
impressione, ma so che non lo è. Il
vino circola abbondante e i miei fratelli sono un po’ alticci, come gran
parte dei commensali. Jean, ormai mezzo ubriaco, dice: -
Chissà come sono morti il conte Robert e il giovane Martin. Dicono che
oltremare sappiano usare veleni che non lasciano
tracce. -
Jean! Jean
abbassa il viso, a nascondere un ghigno. L’idea di Jean è assurda: Amaury era
oltremare. Come avrebbe potuto far avvelenare il fratello e il nipote? Qui
non poteva contare su nessuno, dopo tutti questi anni di assenza. Jean
riprende la coppa. Se fosse uno dei miei fratelli, gli ordinerei di non bere
più, ma non posso farlo. Spero che almeno i miei fratelli non ripetano quello
che lui va dicendo. Se qualcuno riferisse al conte queste voci…
non oso pensare alla sua reazione. Non
so quanto abbia bevuto Amaury, ma appare perfettamente lucido e padrone di
sé. Suo fratello beveva senza freni e quando si ubriacava perdeva il
controllo. Una volta offese la figlia del conte di Agen
e poco mancò che il padre non sguainasse la spada: fui io a bloccarlo appena
in tempo. Dopo
il banchetto si conversa ancora. Thibault di Longpré
e François D’Ambon giocano
a scacchi, questo nuovo gioco che hanno portato alcuni cavalieri provenienti
proprio dall’Oltremare. Thibault è un ottimo giocatore, che sa calcolare ogni
mossa. A volte sembra che si sia distratto e abbia commesso un errore, ma poi
si scopre sempre che ha previsto tutto e ogni volta è lui a vincere. È un
gioco che mi affascina, ma in cui non sono molto bravo. Mentre
seguo la partita, mi si avvicina Amaury. Me ne accorgo dal profumo di
muschio, penetrante, che mi stordisce. Mi volto verso di lui, la bocca
socchiusa, intontito come se avessi ricevuto un colpo. - E
voi, conte, sapete giocare a scacchi? -
Certo, ho imparato a Gerusalemme. È un gioco molto interessante. -
Vostro cugino è bravissimo. È il miglior giocatore che io conosca in
Provenza. Amaury
sorride, senza dire nulla. Dopo un attimo di pausa, mi dice: -
Cavaliere, dopodomani intendo cacciare nella foresta di Gorgedenfer. Se
voleste venire con me, ne sarei lieto. Sempre che non abbiate fretta di
tornare a Casteldhaut. L’invito
mi sorprende, ma mi fa piacere. -
Molto volentieri, conte. Vi ringrazio dell’onore. Non ho fretta di tornare.
Se ci sarà qualche cosa da fare a Casteldhaut, ci penseranno i miei fratelli. L’ho
detto subito, perché preferisco che Pierre e Raymond non ci siano. Sono
troppo rozzi: nati dieci e dodici anni dopo di me, hanno perso la madre
presto e sono stati allevati da mio padre, che la vedovanza aveva
incattivito. Io non sono certo elegante: sono più a mio agio in battaglia o a
caccia che in una danza, ma credo di sapermi comportare
in società. Amaury
sorride: -
Benissimo. Vi fermerete qui e domani pomeriggio partiremo per la casa di
caccia di Gorgedenfer. Non
ha detto che l'invito valeva anche per i miei fratelli. Probabilmente ha
capito che tipi sono e non ci tiene ad averli tra i piedi. La
partita si è conclusa mentre parlavamo. E Thibault, che come sempre ha vinto,
chiede ad Amaury: -
Conte, vi ho sentito parlare di caccia. È vero quanto dicono, che per
divertirsi alcuni signori franchi oltremare organizzano grandi battute di
caccia in cui la preda è un uomo? Amaury
scuote la testa. -
Uno dei signori del regno lo ha fatto alcune volte, ma di certo non è un uso
comune. -
Dicono che l’uomo venga liberato nudo e venga poi
inseguito dai cani. Quando i cacciatori lo raggiungono, lo uccidono e lo
lasciano sbranare dalla muta. - Vi
dico che conosco solo un signore che ha organizzato cacce del genere. C’è ben
altro da fare, in Terrasanta. Amaury
mi sembra un po’ infastidito dalla curiosità di Thibault, che però non
demorde: -
Avete mai partecipato a una di queste cacce, conte? Amaury
sorride e dice: - Se
desiderate provare l’ebbrezza di queste cacce, ne organizzeremo una qui e voi
potrete fare da preda, cugino. Tutti
ridono. Qualcuno, che non ha seguito il dialogo, chiede che cosa ha provocato
l’ilarità. In realtà Amaury ha eluso la domanda. Thibault sorride e non dice
più nulla. C’è qualche cosa di inquietante nel suo sorriso. Dormiamo
nel castello e il mattino i miei fratelli sono tra i primi a ripartire.
Pierre è un po’ irritato perché non è stato invitato. A Raymond non importa. In mattinata lasciano il castello tutti gli altri ospiti.
Mi rendo conto che sono l’unico cavaliere a essere stato invitato e questo mi
fa piacere, ma mi turba anche. Ripenso allo scambio
di sguardi di ieri e mi chiedo perché sono l’unico ospite. Sono uno dei tanti
signori che hanno giurato fedeltà ad Amaury di Rochenoire,
ma non primeggio né per titolo, né per età o per valore. Che cosa ha spinto
il conte a concedermi questo onore? Quando
gli ultimi ospiti sono partiti, Amaury mi si avvicina, sorridente. Risento il
profumo di muschio, intenso e penetrante, che lo avvolge. E come ieri questo
aroma mi stordisce. - Prenderemo un pasto leggero e poi partiremo subito per
Gorgedenfer. Ci vogliono alcune ore. Voglio arrivare presto, perché domani ci
alzeremo prima dell'alba per la caccia. Mi
sorride e si allontana. Io sono confuso. Il suo discorso era sensato, ma mi è
sembrato di leggere in ogni sua parola sottintesi che forse non c'erano. Perché?
Credo di conoscere la risposta: quest'uomo mi incuriosisce e mi turba. Dovrei
dire che mi attrae. Non lo conosco per nulla, abbiamo scambiato appena poche
parole in mezzo agli altri. Eppure mi rendo conto che mi attrae molto. E se
davvero in questo invito c'è quello che sospetto? Lui è il mio signore. Mi
troverei a camminare su sabbie mobili, che potrebbero inghiottirmi in
qualsiasi momento. Eppure lo desidero. Ho conosciuto carnalmente alcuni
uomini, ma sono sempre stati incontri fugaci, in cui
a contare era il bisogno più che il desiderio. Forse
non succederà nulla. Dovrei augurarmelo, ma so che in questo caso rimarrei
deluso. A
pranzo mi fa sedere accanto a sé. I suoi funzionari mangiano a un altro
tavolo. Risento il suo profumo, più forte degli aromi delle vivande che
vengono servite. E mentre mangiamo, mi chiede di me e della mia famiglia.
Rispondo alle sue domande, cercando di dirgli ciò che desidera sapere, senza
dilungarmi: non voglio che mi giudichi né scostante, né troppo loquace.
Anch'io gli chiedo dell'Oltremare e dei baroni di cui ho sentito parlare,
come il grande Denis di Rougegarde, che Amaury
ammira incondizionatamente. Dopo
il pasto partiamo per Gorgedenfer, inoltrandoci tra le colline. Il calore è
opprimente, ma quando infine raggiungiamo i contrafforti delle Alpi, mentre
il sole si abbassa, l'aria è più fresca. La
residenza di caccia dei conti di Rochenoire è una casa-torre di tre piani.
Tutto è pronto per accogliere il conte. Dopo una cena leggera, Amaury dice
che è meglio coricarsi, anche se il sole è appena tramontato: è la fine di
maggio e i giorni sono lunghi. Un servitore ci accompagna alla camera
padronale, al primo piano, dove è pronto un grande letto. Il cielo non è
ancora completamente buio e dalla finestra entra abbastanza luce perché non
sia necessario accendere una candela o una lampada. -
Riposeremo qui questa notte. Ci alzeremo molto presto domani. Osservo
il letto. Non è insolito che il conte faccia dormire il suo vassallo accanto
a sé in una casa di caccia: l'alternativa sarebbe farlo dormire tra la
servitù. Ma io vedo in questo letto una conferma dei miei presentimenti. Il
conte congeda il domestico. Sorride e mi dice: -
Spero che la sistemazione sia di vostro gradimento. Lo
guardo in faccia e dico, senza sorridere: - Lo
è, conte. Pienamente. Lui
mi osserva un momento. Sembra cercare di leggermi in volto che cosa penso.
Annuisce. -
Volete che faccia chiamare il vostro servitore per aiutarvi a spogliarvi? Abitualmente
nessuno mi aiuta a svestirmi, mi sembrerebbe assurdo. So che i re e alcuni
grandi signori si fanno assistere dai servitori, ma io sono abituato a fare
da me. Ho portato con me Boson, ma non certo perché
mi aiuti a spogliarmi. - Mi
svesto sempre da solo. -
Anch'io. E
con queste parole Amaury incomincia a spogliarsi, senza dire più nulla. Si toglie gli abiti e li appende a un'estremità della grande
sbarra. Io lo imito, mettendo i miei all'altra estremità. Amaury si toglie le
brache, dandomi le spalle, e rimane nudo. Io sto per fare altrettanto, ma mi
blocco a guardare il suo culo, snello e muscoloso. E di colpo mi rendo conto
che il sangue sta affluendo all’uccello. Mi
mordo il labbro. Non so che fare. Non posso finire di spogliarmi e farmi
vedere così, il cazzo in tiro. Ma non posso neppure tenere le brache per
dormire. Amaury
si volta e mi sorride. -
Non finite di spogliarvi, cavaliere? Mi
sembra che ci sia una nota di canzonatura nel tono della sua voce. Mi
riscuoto e, come faccio in battaglia, decido di affrontare direttamente la
difficoltà. Con un gesto deciso mi calo le brache e le appoggio sulla sbarra.
Lo sguardo di Amaury si posa sul mio ventre. Forse c'è un leggero sorriso sul
suo viso. -
Corichiamoci. Amaury
si stende ed io mi sdraio di fianco a lui. Posso sentire il suo profumo,
l'essenza di muschio mescolata a un leggero odore di sudore. Per un momento
rimango immobile, ma poi tendo il braccio e la mia mano sfiora il petto di
Amaury, scivola tra i peli del torace. Amaury non si sottrae. E allora la
mano scende, con una carezza più decisa, fino al ventre, dove il pelame è più
folto. Indugio un attimo e poi poso le dita sul suo cazzo, che si tende.
Allora mi giro su un fianco e osservo Amaury. È bello, il mio signore, di una
bellezza maschia. Amaury
mi attira a sé e le nostre bocche si incontrano. Sento, ancora più forte, il
suo profumo, mentre la mia lingua si spinge nella sua bocca e le mie mani lo
accarezzano e lo stringono con forza. Mi dico che sto scopando con il mio
signore. Mi piace il mio signore. Mi piace il suo corpo vigoroso ed elegante.
Mi piace il suo viso. Mi piace lui. E poi il desiderio cancella ogni
pensiero. Amaury
lascia che io lo volti, mettendolo prono sul letto. Io mi stendo su di lui,
gli stringo il culo, gli accarezzo i fianchi e le spalle, gli
passo la mano tra i capelli. Poi mi sollevo e lo guardo. È davvero bello il
mio signore, maschio e forte, ma snello e aggraziato. È bello il suo culo. E
mentre lo penso le mie mani stringono con forza la carne, afferrano le
natiche, le divaricano, mostrando l’apertura. Il desiderio che brucia dentro
di me mi spinge a proseguire, senza chiedermi se mi perderò. Sputo con
delicatezza sul buco, spargo la saliva con due dita. Sputo ancora sul palmo
della mia mano, inumidisco la cappella. Il mio corpo freme di un desiderio
che non tollera indugi. Accosto la cappella al buco e, lentamente, spingo in
avanti, forzando l’anello di carne. La sensazione del mio cazzo che affonda
nel suo culo mi strappa un gemito di puro piacere. Chiudo gli occhi e avanzo
ancora, finché non sono tutto dentro e i miei coglioni battono contro il suo
culo. Assaporo il momento e poi, spinto dal desiderio che mi incalza,
incomincio a muovermi avanti e indietro, affondando il cazzo dentro il culo
di Amaury e poi ritraendomi. Le mie mani scivolano sulle natiche, passano
davanti, la sinistra gli stringe i coglioni, la destra gli accarezza il
cazzo, che si tende. Non sono delicato: il desiderio è troppo violento e mi
trascina, le mie carezze sono brutali, eppure mi sembra di sapere che questo
è ciò che vuole Amaury. Sento la tensione diventare intollerabile e infine
sciogliersi in una serie di spinte selvagge, mentre le mie mani stringono con
violenza. Amaury geme due volte e il suo fiotto prorompe. Rimaniamo così,
abbracciati, le mie mani che gli stringono il cazzo e i coglioni, la mia arma
piantata nel suo culo, il mio capo sulla sua nuca, da cui emana l’odore di
muschio. II -
Cavaliere, è ora che ci alziamo. Le
parole di Amaury mi destano dal sonno in cui sono sprofondato dopo i nostri amplessi:
ieri sera l’ho preso due volte ed è stato un piacere intensissimo, che mi ha
lasciato appagato ed esausto; quando la nostra stretta si è sciolta, il sonno
mi ha avvolto immediatamente. Mi stupisce che mi chiami cavaliere, che si
alzi e si rivesta per la caccia, senza un cenno a quanto è successo tra di
noi. In qualche modo mi aspettavo che avremmo ripreso i giochi di ieri sera,
pensavo che la caccia fosse soltanto un pretesto per poter
rimanere da soli. Mi chiedo se invece non sia tutto concluso. Forse ieri sera
sono stato maldestro, troppo violento: il desiderio incalzante mi ha reso
poco attento a lui. O forse è stato solo un incontro dei corpi da dimenticare
al più presto: il signore si è fatto possedere da un uomo inferiore per
rango, un suo vassallo. E ora quanto è avvenuto va
cancellato. È naturale che sia così: non ci conosciamo. Amaury ha capito che
sono attratto da lui, ha intuito la mia disponibilità, ha colto l'occasione e
adesso mi ricorda che siamo qui per la caccia e che io sono solo un suo
vassallo. Mi
alzo. Amaury sta svuotando la vescica. Io guardo il suo corpo nudo. Lo
desidero, ma se per lui è tutto concluso, allora non
mi resta che adeguarmi. Mi porge il recipiente e anch'io piscio. Poi lui si
avvicina e mi bacia sulla bocca. La sua lingua scivola tra le mie labbra che
si schiudono per accoglierla. Io sorrido, di colpo mi sento felice. Amaury
si stacca e incomincia a vestirsi. Io lo guardo, mentre il desiderio si
drizza. Lui si volta e sorride. -
Dopo, Eudes. È la
prima volta che mi chiama per nome. Fuori
si sentono le voci dei servitori e i latrati dei cani. Tutto dev'essere pronto per la caccia. Il
mattino è fresco: le montagne sono vicine. Saliamo
sui nostri cavalli. Boson mi porge la lancia e mi
chiede se ho bisogno di qualche cosa. No, sono a posto, sto bene così. Sto
bene come non sono mai stato. La
foresta si inerpica lungo il fianco della montagna e noi procediamo, seguendo
i cani. Presto essi fiutano la preda e si slanciano in una corsa frenetica.
Noi gli andiamo dietro a cavallo, ma il bosco diviene troppo fitto e la
parete impervia, per cui dobbiamo smontare. Affidiamo i cavalli ai servitori.
Amaury intima ai suoi di attenderlo e ci slanciamo dietro la muta. I cani
corrono veloci e noi cerchiamo di non lasciarci distanziare. Ora latrano
ferocemente. Quando li raggiungiamo, li vediamo intorno a un maestoso
cinghiale, addossato contro una parete verticale. L'animale assediato scatta,
cercando di colpire con le zanne i suoi tormentatori, ma essi si ritraggono,
senza smettere di abbaiare minacciosi. Amaury
si avvicina ed io lo seguo. Vedendoci, il cinghiale si appresta a caricare,
ma quando scatta Amaury trafigge con la lancia il petto dell'animale. Il
cinghiale grugnisce di dolore e si abbatte al suolo. Con fatica si rialza, ma
lo colpisco alla gola. Cade di nuovo e scivola ai nostri piedi. Amaury
mi guarda, sorridendo. E il desiderio si accende in me. Mi avvicino. Ora il
suo viso è a una spanna dal mio, posso vedere la pelle umida di sudore, le
goccioline sulla fronte. Abbiamo corso come dannati inseguiti dai diavoli e
siamo tutti e due gocciolanti. Mi piace questo forte odore di sudore, in cui
si sente appena una traccia del profumo di muschio. -
Lascio la preda ai cani... e poi ti prendi la tua, di preda. Annuisco,
senza dire nulla. Sono io a essere preda di un desiderio che mi toglie il
fiato e mi impedisce di parlare, un desiderio tanto forte da spaventarmi. Amaury
fischia e i cani si avventano sul cinghiale, incominciando a sbranarlo. Io mi
spoglio con gesti bruschi, quasi rabbiosi. Se Amaury si sottraesse ora, credo
che lo prenderei con la forza, rischiando di farmi sbranare dai cani, come il
cinghiale. Mentre
lo guardo, mi chiedo se non sono vittima di un sortilegio: dicono che in
Oriente vi siano incantatori capaci di ogni stregoneria. Non ho mai dato peso
a queste dicerie, più adatte a vecchie contadine che a un guerriero,
ma ora la violenza del desiderio che provo mi disorienta. Amaury
sta guardando il pasto dei cani. Io mi avvicino, lo afferro, gli sollevo la
tunica e gli calo le brache, lo schiaccio contro una roccia, senza che lui
opponga resistenza. Mi stendo su di lui, aspirando l'odore intenso di sudore,
il suo odore di maschio. E, quasi immergessi una
lancia nel corpo di un cinghiale o di un nemico, spingo il cazzo contro
l'apertura e penetro dentro di lui, con forza, quasi con ferocia. Amaury
sussulta, ma non mi dice di ritrarmi. Spingo vigorosamente, avanzando e
ritraendomi, come se affondassi una spada nel corpo di un nemico che odio.
Spingo e il piacere mi invade tutto, un piacere che
sa del suo sudore, dei suoi gemiti, del calore della sua pelle. Il
desiderio mi travolge. Mi rendo conto che lo sto prendendo
come un animale. Non riesco a controllarmi. Aspiro questo aroma di maschio e
spingo con violenza. Le mie mani percorrono il suo corpo in carezze che sono
feroci, in cui non c’è tenerezza, ma solo un desiderio di possesso. Non sono
padrone di me, sono solo una bestia in calore che soddisfa il suo bisogno.
Con un’ultima serie di spinte brutali vengo dentro di
lui, con un grido, perché il piacere è troppo intenso per riuscire a non
gridarlo. Rimango su di lui, sento ancora l’odore del suo sudore e, mentre
riemergo dai flutti che mi hanno trascinato lontano, penso che l'ho preso come un animale, lasciandomi guidare solo dal
mio desiderio, del tutto indifferente a lui. Mi
sollevo, uscendo da lui. Lui
si alza. Si volta verso di me e mi dice: -
Siete alquanto irruente, cavaliere. Chino
la testa. Mi vergogno di non essermi saputo controllare. Ma lui mi prende il viso
tra le mani e lo solleva. Avvicina la sua bocca alla mia e ci baciamo. Poi
lui mi dice: - È
stato bello anche così, Eudes. Poi
mi mette le mani sulle spalle e mi forza a inginocchiarmi. Ho davanti a me il
suo cazzo, che non è rigido, ma è già gonfio di sangue. Avverto ancora il
penetrante odore del suo sudore. So che cosa vuole. Non ho mai succhiato un
cazzo, ma prendo in bocca il suo senza esitare. Gli metto le mani sui
fianchi. Incomincio a succhiare e leccare. Sento il suo cazzo crescere e
acquistare consistenza. Amaury
mi mette una mano sui capelli, in una carezza che diventa una stretta
vigorosa quando la mia bocca lo avvicina al piacere. E infine sento la
scarica del suo seme, che inghiotto. Rimango fermo, in bocca il suo cazzo che
perde consistenza, nelle nari l’aroma del suo sudore. III Dopo
aver raggiunto i battitori, ci dirigiamo verso Rochenoire. Amaury parla
appena e io rispetto il suo silenzio. Mi vergogno
della mia irruenza e nuovamente ho paura che mi allontani da sé. Arriviamo
al castello nel pomeriggio. Mi chiedo se non sia meglio che io mi congedi
subito, ma è ormai tardi e non voglio apparire impaziente di partire. Amaury
mi dice: - Ci
vedremo a cena, cavaliere. Mi
inchino e ritorno nella stanza che è stata messa a mia disposizione. Mi lavo
e poi mi stendo sul letto. Penso a quanto è successo questa mattina e a ieri
sera. Ieri sera? Era soltanto ieri sera? Mi è difficile crederlo. Il pensiero
del corpo di Amaury incendia il mio di un desiderio violento. Risento il suo
profumo di muschio, il suo odore di sudore. Di nuovo la sensazione di essere
vittima di un sortilegio. Ripenso che ho succhiato il suo cazzo, ho bevuto il
suo seme. Come è possibile? Ma è una domanda priva di senso. Lo rifarei, ora.
Quell’uomo mi ha catturato in una rete da cui non posso uscire. Da cui non
voglio uscire. Non desidero altro che essere sua preda. Ceniamo
con alcuni dei suoi uomini di fiducia. Dopo il pasto, un trovatore canta
alcune canzoni. Una di esse parla del passaggio oltremare, un’altra d’amore. Non posso, neanche a volerlo, lasciare la mia dolcissima amica; così mi duole, quando non vuole amarmi, né le mie pene ricompensare. Ahimè! Non posso vivere senza di lei… Mi
sembra di non poter vivere senza di lui, senza quest’uomo che due giorni fa
non avevo mai visto. Sono impazzito? Sono davvero preda di un sortilegio?
Come è possibile? Mi
chiedo che cosa farà il mio signore. Mi congederà? Amaury
sembra quasi aver colto i miei dubbi, perché dopo cena, quando abbandoniamo
la tavola, mi sorride e mi dice: -
Avete fretta di tornare a Casteldhaut, cavaliere? Di
solito non rimango a lungo lontano da Casteldhaut, ma non ho nessuna ragione
per rientrare subito e in questo momento una cosa sola mi preme: Amaury di Rochenoire, il mio signore. - No,
conte. Non ho impegni urgenti. - Se
è così, vi sarei grato se vi fermaste da me alcuni giorni. Ho piacere di
conoscere meglio i miei vassalli. Sul
suo volto aleggia un sorriso, forse ironico. Poi Amaury aggiunge, senza più
sorridere: - E
ho bisogno della loro esperienza per conoscere meglio questa terra, da cui
manco da vent’anni. -
Sarò lieto di fermarmi. Sorrido
e aggiungo: - E
di conoscere meglio il mio signore. Amaury
mi guarda. Non sorride con la bocca, ma negli occhi c’è una scintilla
ironica. - Benissimo.
Passiamo
in una saletta. Amaury mi fa cenno di sedermi e mi dice: -
Parlatemi della vostra famiglia. Racconto
ad Amaury un po’ di storia dei signori di Casteldhaut e gli parlo brevemente
dei miei fratelli, dicendo che sono entrambi sposati e che Raymond ha due figli maschi. - E
voi non siete sposato, cavaliere. È
un’affermazione, non una domanda. -
No, conte. - Se
vi proponessi io una moglie? Rimango
disorientato e non lo nascondo. Lo guardo, ma non c’è traccia di ironia sul
suo viso. Rispondo: -
Valuterei la vostra proposta, conte. Amaury
annuisce, un vago sorriso sul viso, forse beffardo. Poi cambi argomento: -
Che ne dite invece di mio cugino, Thibault di Longpré? La
domanda mi sorprende. Istintivamente mi metto sulla difensiva. È il suo
parente più prossimo, perché chiede a me? - È
un uomo molto intelligente e abile, capace di ottenere sempre ciò che vuole.
Un uomo che è meglio avere come alleato che come nemico. Amaury
annuisce, come se si fosse aspettato una risposta di
questo tipo. Poi mi dice: - Un
uomo pericoloso, quindi. -
Per coloro che intralciano i suoi progetti, senz’altro. Amaury
chiede altre informazioni sulla situazione della contea ed io mi sforzo di
rispondere nel modo più completo possibile, anche se c’è un’unica domanda che
vorrei sentire, una richiesta o un invito o un ordine. Quella domanda non
viene e man mano che il tempo passa e si avvicina l’ora di andare a dormire,
mi sento sempre più impaziente. Mi ha trattenuto al castello solo per questo?
Quando
infine è ora di coricarsi, scopro che Amaury mi ha fatto preparare la camera
vicino alla sua. Mi sembra un segno favorevole, ma
Amaury mi augura la buonanotte e scompare nella sua stanza. Mi siedo sul
letto, di colpo svuotato di ogni energia. Ripenso a questa mattina, alla
furia con cui l’ho posseduto. Sono stato una bestia. Il desiderio mi ha
accecato. Amaury ne ha avuto abbastanza. Ma allora perché mi ha trattenuto al
castello? Solo perché gli dessi qualche
informazione? Mi
stendo, nervoso e irritato con me stesso. Il sonno mi avvolge in fretta:
questa mattina ci siamo alzati presto e la giornata è stata intensa. A
svegliarmi è una voce che mi chiama. -
Cavaliere! Mi
metto a sedere di colpo. Dalla finestra filtra un po’ di luce e posso vedere
Amaury davanti a me, nudo. Mi sorride. -
Volete riprendere i nostri giochi, cavaliere? - E
me lo chiedete, conte? Sì, più di ogni altra cosa al
mondo. La
mia irruenza lo fa sorridere. -
Oggi però guiderò io la cavalcata. Mi
chiedo se non voglia prendermi. Nessun uomo l’ha mai fatto. Ma mi rendo conto
che non gli direi di no e questa consapevolezza provoca in me una sensazione
di smarrimento. Amaury
mi dice: -
Stendetevi di nuovo, sulla schiena. Io
mi stendo come lui mi ha indicato. Amaury sale sul letto e si siede sul mio
ventre. Il cazzo mi si irrigidisce subito. Amaury mi accarezza il petto e il
viso, le sue dita giocano con la mia barba e i miei capelli. Mi sorride, si
china su di me e mi bacia sulla bocca. Io spingo la lingua tra le sue labbra. Amaury
muove il culo, strisciandolo avanti e indietro sul mio ventre, e il sangue
affluisce impetuoso: sento di essere sul punto di venire. Ma Amaury
interrompe il suo movimento, si solleva un po’, si sputa nella mano, mi
inumidisce la cappella, poi mi afferra il cazzo e lo tiene in verticale,
mentre si abbassa, impalandosi. Quando sento il mio cazzo entrargli in culo,
quasi urlo. Amaury
continua ad abbassarsi, finché il mio cazzo non è per intero dentro di lui.
Rimane un momento così, guardandomi e sorridendo. Le sue mani scivolano
ancora sul mio corpo, tormentano i peli sul petto, strizzano i capezzoli. Poi
una scivola indietro e scende dietro il suo culo, fino ad afferrarmi i
coglioni, in una stretta energica. Gemo, ma è puro piacere. Amaury
stringe ancora un po’, poi lascia la sua preda e si solleva, lentamente. Le
sue mani mi scorrono sul ventre e sul torace, stringono con più forza i
capezzoli. Amaury si china su di me e ci guardiamo negli occhi. Io non so
leggere nei suoi: quest’uomo, che desidero con tutto me stesso, mi appare
impenetrabile. Non so che cosa lui legga nei miei, ma sorride. Poi si solleva
e riprende il suo movimento. Va avanti a lungo, molto a lungo, fermandosi a
tratti, quando avverte che sono sul punto di venire: non so come faccia a
coglierlo, ma ci riesce. Io vorrei gridargli di non smettere, perché il
desiderio mi brucia nel ventre, ma mi mordo il labbro e taccio. Le mie mani
accarezzano il suo culo, poi passano sotto i coglioni e stringono il cazzo,
ormai duro. Proseguiamo
così, io in preda a una tensione che mi fa impazzire, lui apparentemente
tranquillo, nel suo movimento che ogni tanto si interrompe, rinviando il
momento che tutto il mio corpo attende. Infine
il moto diventa più veloce. Io sento che dai miei coglioni il seme sgorga
copioso e si scaglia dentro Amaury. Il conte emette un gemito sordo e il suo
seme schizza in alto, ricadendo sul mio torace. Uno schizzo raggiunge il mio
viso. Lo sento sulle labbra e sul mento. Mi
passo una mano sul torace, raccolgo il seme e lo porto alle narici. L’ho
gustato, ieri mattina. Oggi ne sento l’odore. Non
mi sembra di essere mai stato così bene come in questo momento. Passano
alcuni giorni. La notte, al momento di coricarsi, o all’alba, i nostri corpi
si incontrano. Di giorno spesso l’accompagno quando esce dal castello, ma
parliamo quasi solo della contea. Nessun accenno a ciò che accade nella sua
camera o nella mia. È
una settimana che sono arrivato qui. Non voglio essere un ospite invadente. A Casteldhaut c’è
certamente da fare e sui miei fratelli posso contare solo fino a un certo
punto. Ma devo farmi forza per chiedere ad Amaury: -
Conte, avete ancora bisogno di me? Amaury
mi guarda. -
Avete piacere di tornare a Casteldhaut? - Se
non vi dispiace, sì, perché vorrei controllare come vanno le cose. -
Capisco. Spero che questa lontananza da casa non vi
sia pesata. Lo
guardo, perplesso. -
Sono stato benissimo qui. Spero di avere ancora il piacere di tornare. Amaury
annuisce. - Se
lo desiderate, senza dubbio. - Lo
desidero, conte... Non
so bene come continuare. Le mie parole suonano false. Forse avrei dovuto
parlargliene questa notte, dopo che ci siamo amati. In quei momenti la
distanza che esiste tra di noi si riduce. Adesso, anche se non ci sono altre
persone nella stanza, siamo il conte e un suo vassallo. Le
parole di Amaury sciolgono il mio imbarazzo. - Eudes, se ascoltassi il mio desiderio, ti ordinerei di
rimanere, ma capisco che tu abbia da fare. -
Conte, null’altro vorrei che rimanere qui per
sempre. Mi
vergogno di queste parole, avventate, eccessive. Ma sono sincere. -
Allora tornerete tra una settimana. Va bene? Il
mattino, prima di partire, ci amiamo ancora. La mia
mano sinistra guida Amaury al piacere. Non mi lavo quando mi alzo: voglio
conservare l’aroma del suo seme. Poco
dopo essere uscito dal castello, incrocio Thibault di Longpré. -
Buongiorno, cavaliere. Siete stato ospite di mio
cugino il conte? Vorrei
negare, vorrei che quest’uomo non avesse niente a
che fare con il rapporto tra me e Amaury, ma non posso certo mentire: è
evidente che vengo dal castello e, data l’ora, che vi ho trascorso la notte. -
Sì, cavaliere. Voi lo sarete oggi, suppongo. -
Vengo per una breve visita. Ripartirò quanto prima. Ci
scambiamo un saluto e ognuno prosegue per la sua strada, ma l’incontro mi ha
creato un forte senso di disagio, senza che io sappia spiegarmi il perché.
Solo cavalcando nel bosco il pensiero di Thibault svanisce. La mente ritorna
ad Amaury. Tengo le briglie con la destra e ogni tanto annuso le dita della
mia mano sinistra. Hanno l’odore del suo seme. IV Sono
tornato una settimana fa a Rochenoire. Amaury ed io abbiamo dormito nello
stesso letto e ci siamo amati ogni notte. A
svegliarmi è lo scroscio del getto di piscio di Amaury, che si è destato
prima di me. Mi alzo e svuoto anch’io la vescica. Penso che in mattinata partirò per Casteldhaut e il pensiero mi
provoca una fitta, ma so che devo farlo: è necessario che mi occupi delle mie
terre e soprattutto dell’amministrazione della giustizia, perché è un compito
per cui non posso fidarmi dei miei fratelli. E non voglio imporre la mia
presenza ad Amaury: lui stesso, quando mi ha invitato, ha parlato di una
settimana. Amaury
mi sorride. - Prima
che tu parta, ti insegnerò un uso che ho appreso oltremare. -
Ditemi. -
Stenditi sul letto. Mi
sdraio supino. -
No, sulla pancia. Amaury
prende una boccetta di un liquido che sembra olio e se lo versa sulle mani,
poi incomincia a farle scorrere lungo il mio corpo. Le sento accarezzare
vigorosamente le mie gambe, risalire fino al culo, poi ancora lungo la
schiena. Raggiungono il collo, scivolano sulle spalle e ridiscendono lungo le
braccia. Sento un odore che non conosco, intenso e piacevole. Amaury si accorge
che sto annusando questo aroma e mi dice: -
Cannella. Una spezia orientale, rara e pregiata. Un olio alla cannella è
ideale per un buon mass. - Mass? -
Così gli arabi chiamano queste pratiche, in cui sono abilissimi. Le
mani di Amaury continuano a muoversi sulla mia pelle. Ora premono di più.
Amaury prosegue: -
C’era un negro che sapeva fare dei mass
splendidi. Non
so come fossero i mass di quel negro, ma Amaury, le cui mani aperte ora battono contro la
mia pelle, mi sembra abilissimo. Sono sensazioni molto piacevoli. Ora le mani
si muovono con movimenti circolari, poi ritornano a scorrere in lunghe
carezze. Ogni tanto Amaury sparge un po’ di olio sul mio corpo e l’odore di
cannella diviene più forte. Le dita di Amaury scivolano lungo il solco, indugiano
sull’apertura, esercitando una leggera pressione. Mi chiedo se non voglia
prendermi. Anche se nessun uomo lo ha mai fatto, so che non mi negherei. E le
carezze delle sue mani hanno risvegliato il desiderio in me. Le sue dita
scorrono sulla mia pelle, risalgono e ridiscendono e nuovamente premono
contro l’apertura. Schiudo le labbra e trattengo un gemito. Mi attendo che
vada oltre, ma dopo aver nuovamente accarezzato e stimolato, Amaury mi dice: -
Ora voltatevi, cavaliere. Amaury
a volte mi chiama per nome, a volte si rivolge a me
in modo più formale, anche in situazioni come questa. Quando
mi giro, Amaury può vedere l’effetto del mass. Non si stupisce e
prosegue con la sua opera: le mani stringono i miei piedi, poi risalgono
lungo le gambe fino al ventre. Lo accarezzano più volte, provocando un
ulteriore irrigidirsi del cazzo. Poi scivolano sul torace, fino al collo, che
cingono. Amaury ripete più volte l’operazione, variando l’intensità e la
direzione dei movimenti, ma arriva il momento in cui il desiderio non può più
essere contenuto e quando le sue dita mi sfiorano in una carezza, spando il
mio seme. Amaury
mi porge un panno con cui mi pulisco e poi si stende al mio posto. -
Prendete la boccetta e versatevi un po’ di olio alla cannella sulle mani. Non
so come muovermi, ma Amaury mi guida. È bellissimo far scorrere le mie mani
sul suo corpo, sentire il calore della sua pelle e il profumo della cannella. Amaury
mi dice come muovermi e ogni tanto aggiunge qualche commento. -
Bisogna usare le sostanze giuste per un mass.
E bisogna essere ben sicuri di chi lo fa. -
Perché? Può provocare qualche danno? Non
vedo davvero come queste piacevoli carezze, per quanto a tratti
energiche, possano far male a qualcuno. - Ci
sono sostanze che, mescolate all’olio, possono penetrare attraverso la pelle
e dare la morte, cavaliere. Offrirei volentieri un mass di questo tipo a un bianco cavaliere… È a
Thibault che pensa, ne sono certo, ma non dico nulla. Amaury
ride e aggiunge: - Ma
voi non dovete temere: la cannella non è un veleno. Amaury
si volta e ora le mie mani percorrono il suo corpo, mentre i miei occhi lo
contemplano, affascinati. Le mie carezze hanno ottenuto lo stesso effetto
delle sue, ma anch’io sono nuovamente eccitato. E prima che io concluda,
Amaury mi ferma e si stende nuovamente sul ventre. -
Ora usate un altro attrezzo per un mass in profondità cavaliere. Rido,
mentre mi stendo su di lui. Affondo la mia arma, che entra senza fatica,
grazie all’olio sparso in abbondanza. E mentre cavalco questo splendido
destriero, sento l’odore di cannella avvolgermi. Le mie mani ancora
accarezzano e stringono, la mia bocca bacia la nuca di Amaury, i miei denti
gli mordono una spalla, la mia lingua scivola dietro l’orecchio. E
infine vengo dentro di lui. Il suo gemito mi dice
che anche lui è venuto. Mi abbandono sul suo corpo, respirando la fragranza
della cannella. V Dal
guado osservo il castello di Rochenoire, appollaiato in cima allo sperone
roccioso che domina la valle. Costruito nella stessa pietra scura, merita
davvero il suo nome. E Amaury, che avvolge in abiti neri il suo magnifico
corpo dalla carnagione scura, ne è il degno signore. Signore di Rochenoire e signore di me, della mia anima e del mio corpo. Mi ha
completamente soggiogato. Sono
già venuto diverse volte alla residenza del conte,
in questi ultimi due mesi. Abitualmente vi trascorro circa una settimana: di
fatto divido il mio tempo tra Casteldhaut e Rochenoire. Ormai in giro si dice
che sono il vassallo in cui ha più fiducia e il suo consigliere preferito. La
mia assiduità ha destato qualche mugugno in coloro che erano nelle grazie del
conte precedente, il fratello maggiore di Amaury, e parecchia invidia tra
tutti i vassalli. La
realtà è diversa. Di rado Amaury mi mette a parte dei suoi progetti. Mi
chiede spesso che cosa penso di alcuni notabili e di ciò che succede, ma gli
serve per formarsi un quadro più completo della situazione e sono certo che
pone le stesse domande anche ad altri. Da ognuno ricava informazioni che gli
permettono di conoscere meglio la contea di cui è signore e coloro che vi
abitano. Il
motivo per cui trascorro tanto tempo qui è un altro. Quello che cerchiamo
entrambi non sono i colloqui durante il giorno o le brevi missioni che Amaury
mi affida, quanto piuttosto le notti incandescenti che trascorriamo nella sua
camera. Quest’uomo mi ha preso completamente e il tempo che trascorro a
Casteldhaut, per quanto pieno di attività, mi appare vuoto di significato. Non
so se è stregoneria, ma appartengo ad Amaury, completamente. Mi sembra che la
mia vita non abbia senso senza di lui. Riprendo
la cavalcata, impaziente. Ma quando arrivo, mi dicono che il conte non può
ricevermi e mi fanno accomodare in una stanza, dove attendo. Amaury mi ha
sempre ricevuto subito. Un’unica volta era impegnato,
ma il domestico che mi ha accolto mi ha accompagnato nella mia camera. Mi
dico che Amaury mi fa aspettare qui perché è occupato, ma conta di liberarsi
presto. Tra poco lo vedrò. Ma
Amaury non arriva. Il tempo passa e nessuno si fa vivo. Incomincio a sentirmi
inquieto. Vengo lasciato in questa stanza, come un ospite indesiderato, a cui
si vuol far capire che avrebbe fatto meglio a non
presentarsi. Man
mano che trascorrono le ore, sono sempre più
angosciato. A tratti mi dico che si è trovato di fronte a un impegno
imprevisto, forse ha dovuto allontanarsi dal castello e non ha pensato che io
lo stavo aspettando. A tratti invece mi assale la certezza che Amaury si è
stancato di me, che è inutile cercare un’altra spiegazione. Ma perché non
dirmelo? Perché questa umiliazione? Provo l’impulso di andarmene, ma non
posso farlo, non posso lasciare questo castello
senza averlo visto, senza aver sentito dalla sua bocca la mia condanna. Altre
ore passano. Non mi portano neppure da mangiare o da bere. Nessuno si occupa
di me. Mi sembra di sprofondare in un pozzo senza fondo. Non è possibile che
Amaury non sappia della mia presenza, che i servitori si siano dimenticati di
me: obbediscono a un ordine preciso. Amaury mi sta umiliando, deliberatamente.
Dovrei lasciare questo castello, per sempre. Il
buio sta calando. Sono qui da questa mattina, nessuno si è preoccupato di me.
È possibile che sia successo qualche cosa e che io
sia stato davvero dimenticato? Quando
infine la porta si apre, mi aspetto di vedere Amaury, ma è un servitore che
mi dice, con un tono in cui non leggo rispetto, che mi accompagnerà in
camera. Infine! Amaury mi spiegherà. Di certo c’è qualche motivazione che io
non riesco a immaginare. Il servo
però non mi conduce in quella che è stata fino a ora la mia camera al
castello, di fianco all’appartamento del conte: si dirige al piano alto, e mi
mostra una cameretta più adatta a un servitore che a un cavaliere, senza
neppure un camino. Gli chiedo, senza celare la mia irritazione: -
Questa è la camera che mi ha assegnato il conte? -
Sì, cavaliere. Ha detto di condurvi qui. Sono
sul punto di andarmene, anche se ormai è buio: meglio cercarmi qualche
locanda che subire questa umiliazione. Ma voglio vedere Amaury, chiedergli
spiegazioni, gridargli la mia rabbia, a costo di farmi sbattere fuori dal
castello e privare delle mie terre. Il
servitore si inchina ed esce, lasciando una candela accesa. C’è
una brocca di acqua e un po’ di pane: questa è la sontuosa cena che il conte
offre a uno dei suoi vassalli, all’uomo con cui ha condiviso il letto! Sono
furibondo. Cammino avanti e indietro nella minuscola stanza, come un
prigioniero in una cella. La rabbia mi soffoca. Mi
fermo infine davanti al piccolo tavolo e bevo l’acqua per calmare la sete: il
conte non mi offre neppure un bicchiere di vino! Mi siedo sul letto e di
colpo l’ira lascia il posto a una sorda disperazione. Mi sembra che la mia
vita non abbia più senso, che solo la morte possa mettere fine al tormento
che mi dilania. Non desidero nemmeno più una spiegazione. Voglio solo farla
finita. Mi
spoglio, appendo gli abiti alla sbarra, spengo la candela e mi corico.
Sprofondo in una sofferenza tanto forte che mi sembra di soffocare. Non
riesco a rimanere a letto. Mi alzo. Rimango in piedi, nudo e ansimante nel
buio della stanza, immobile, senza curarmi del freddo pungente. Infine
mi corico, senza riuscire a prendere sonno. Il castello è immerso nel
silenzio. Idee folli mi attraversano la mente: prendere
la spada, raggiungere la camera di Amaury e ucciderlo; infilarmi la spada nel
petto, qui, ora. La
porta si apre ed io mi metto a sedere di colpo. Amaury è davanti a me, una
candela in mano e un dito sulla bocca per dirmi di tacere. Volevo urlargli in
faccia la mia rabbia, ma adesso che lo vedo davanti a me, provo solo una
tristezza senza fine. - Scusami, Eudes, ma era
necessario. Lo
guardo, senza capire. -
Non devi più venire al castello, Eudes. E tutti
devono pensare che ti ho umiliato e allontanato. Le
sue parole sono una mazza che mi colpisce in testa e mi annichilisce. Non
parlo, mi sembra di non essere più in grado di articolare parole. Aspetto la
sua spiegazione, la morte nel cuore. Amaury posa la candela sul tavolo. Si
siede di fianco a me sul letto. Avvicina il suo viso al mio e mi bacia. E la
mia angoscia si dissolve. Lo
abbraccio e stringo il suo corpo, freneticamente. Le mie mani incominciano a
spogliarlo, con movimenti bruschi che tradiscono la mia impazienza: non è il
desiderio a rendermi irruente, come dopo la caccia al cinghiale; è la paura
di perderlo, sono le sue parole che suonano come una condanna a morte. “Non
devi venire più al castello”: ci vedremo altrove, non posso rinunciare a vederlo, a stringerlo, ad amarlo. E
ora voglio farlo mio, per calmare l’angoscia che mi divora. Amaury
non si ribella, mi bacia appassionatamente. Anche lui mi desidera, mi vuole.
Gli tolgo gli abiti e mi stacco per contemplare il suo corpo, poi lo afferro
e lo stendo sul letto. Mi corico su di lui e lo bacio freneticamente, sulla
bocca, sugli occhi, sul petto, sul ventre, sul cazzo. Mi fermo per
contemplarlo, poi mi sollevo, lo volto sulla pancia e avvicino la mia bocca
al suo culo. Passo la lingua, più volte, poi avvicino la cappella e, con
molta delicatezza, spingo in avanti. Sento il mio cazzo che affonda nel suo
culo. Procedo fino in fondo, poi mi fermo. Lo stringo, lo accarezzo e solo
allora incomincio a muovermi avanti e indietro. La fiamma della candela
proietta le nostre ombre sulla parete: un unico animale a quattro zampe, che
si muove a un ritmo sempre più rapido. Quando infine vengo dentro di lui, penso che, se dobbiamo separarci, preferisco
morire ora, così. Amaury
si riveste e intanto mi parla, pianissimo. -
Ora ascoltami bene, Eudes.
Io torno in camera. Domani mattina verrò qui con
alcuni uomini e ti umilierò: tu cercherai di reagire, ma i miei uomini ti
terranno fermo. Di quello che farò domani si parlerà molto. È necessario. Per
salvarti. Non mi chiedere spiegazioni. Guardati solo da Thibault di Longpré. E non tornare più qui. Non
so che cosa intenda fare domani. Non mi importa nulla. Altro è quello che mi
preme. -
Non posso rinunciare a vederti. - Ti
metterei in pericolo. -
Amaury! Preferisco morire che rinunciare a vederti. Amaury
riflette un momento: -
Farò in modo che ci possiamo vedere una volta ancora, prima…
Non
completa la frase. Vorrei chiedere, ma Amaury si mette un dito sulla bocca,
spegne la candela ed esce. Io
trascorro la notte quasi completamente insonne. Poco
dopo l’alba mi alzo e mi rivesto. Amaury arriva poco dopo, con quattro dei
suoi uomini. -
Prendetelo! -
Che cosa significa? Gli
uomini mi afferrano e mi forzano a inginocchiarmi. -
Cavaliere, avete avuto l’impudenza di venire al mio castello. Vi avevo detto
di non rimetterci piede, se non per prestare omaggio quando avessi convocato
tutti i miei vassalli. Adesso farò in modo che non ve ne dimentichiate. Gli
uomini mi tengono stretto. Amaury si slaccia le brache e tira fuori il cazzo.
Non capisco, se non nel momento in cui il getto di piscio mi prende in pieno.
Per un momento sono sbalordito, anche se Amaury mi aveva detto che mi avrebbe
umiliato. Poi ricordo che devo reagire e mi dibatto, senz’altro risultato che
farmi bagnare ancora di più. Quando
Amaury ha concluso, gli dico, sibilando: - La
pagherete. Amaury
ride, una risata carica di disprezzo, e se ne va. Gli
uomini mi trascinano per il corridoio e le scale, poi attraverso il cortile,
fino all’esterno del castello. Lì c’è già il mio cavallo. Un servitore getta
la mia spada a terra e gli uomini ritornano indietro. Impugno
la spada e mi volto verso l’ingresso della fortezza, come se volessi
slanciarmi dentro. Quattro armigeri mi sbarrano la strada. Rimango
fermo un momento, poi ripongo la spada e salgo a cavallo, fremente. Mi
allontano in fretta, ma quando sono nel bosco rallento l’andatura. Rifletto
su quello che è successo. Amaury ha fatto in modo di umiliarmi e
allontanarmi. Per salvarmi, ha detto. Lo credo. Ma quale pericolo lo minaccia, per cui deve allontanarmi per salvarmi?
Questa è l’unica cosa che conta. Ha a che fare con Thibault, questo è
evidente, il bianco angelo del male. Non
so quando lo rivedrò. Non so come farò senza di lui. Mi passo la mano tra i
capelli, ancora bagnati del suo piscio. Avvicino la mano al naso. Inspiro.
Avverto che il cazzo mi si irrigidisce mentre sento l’odore intenso del suo
piscio. VI Disteso
sul mio letto, nel buio della camera, penso ad Amaury. Il pensiero di Amaury
è diventato la mia ossessione, ho sempre la sua immagine davanti ai miei
occhi: gli occhi verdi, le labbra carnose, il naso
forte, la cicatrice alla tempia, i capelli neri, la barba che gli incornicia
il mento, il suo corpo forte, la peluria sul torace e sul ventre, il suo
cazzo vigoroso, i coglioni, il suo culo, quel culo perfetto il cui ricordo
incendia il mio corpo. La
mia mano stringe il mio cazzo, teso come una mazza di ferro. In questi giorni
il desiderio mi fa impazzire. Amaury torna spesso nei miei sogni e allora io
sborro, in un’estasi di piacere. Sono perfino tornato a farmi le seghe, come
un ragazzino. Penso a lui in continuazione. Se non lo vedo, finirò davvero
per perdere la ragione. Sono
tre settimane che abbiamo interrotto ogni contatto ed io non riesco a capire
quale minaccia incomba su di lui. Tutti
hanno saputo che sono stato umiliato e scacciato. Io non faccio mai
riferimento all’accaduto, ma chi parla con me si ritiene libero di criticare
Amaury. Io mi limito ad ascoltare. Le voci sul presunto avvelenamento di suo
fratello e suo nipote si sono diffuse e molti le
ritengono vere. Sono convinto che sia stato Thibault a farle circolare. Se
Amaury venisse dichiarato colpevole di veneficio, per lui sarebbe la morte. Esco
a cavallo. Poco oltre il ponte, un uomo mi ferma per presentarmi una
richiesta, mi dice qualche cosa su una lite con un vicino che lascia
sconfinare le sue pecore. Di solito chi vuole chiedere qualche cosa viene al
castello. Probabilmente l’uomo mi ha visto uscire e ha deciso di aspettarmi
vicino al ponte. Gli dico di presentarsi domani, che è uno dei giorni in cui
amministro la giustizia. Lui
annuisce e, al momento in cui si congeda da me, mi porge di nascosto un
biglietto, sincerandosi che nessuno lo stia
guardando. - Da
parte del conte. Leggetelo quando sarete solo. Annuisco
e faccio scomparire il messaggio. Ho
bisogno di leggerlo al più presto, mi sembra di non poter attendere, ma non
voglio che qualcuno mi veda. Mi allontano dal villaggio e mi inoltro in un bosco. Mi guardo intorno e, sinceratomi che
non ci sia nessuno, apro il biglietto. Sono tanto impaziente che le dita mi
tremano. Il
testo è di poche righe: Recatevi il giorno di San Bartolomeo
all’abbazia di Senhanca. Distruggete questo
biglietto e non dite a nessuno che contate di vedermi. Amaury
sarà all’abbazia quel giorno. Finalmente ci ritroveremo. Sono
stato solo due volte a Senhanca, anche se non è
lontana da Casteldhaut: la posso raggiungere in tre ore a cavallo. È una
comunità di monaci, fondata da ecclesiastici provenienti da Mazan. È cresciuta molto in questi anni e oggi è il
principale centro religioso della regione. La chiesa è stata consacrata pochi
anni or sono e stanno costruendo nuovi edifici per ospitare i monaci, sempre
più numerosi. Arrivo
a Senhanca in tarda mattinata. L’abbazia è in una
valle fertile e nei campi vedo i monaci al lavoro. L’abate
mi accoglie ossequioso e mi accompagna a visitare i nuovi edifici. Fingo un
interesse che non provo, mentre con l’orecchio cerco di captare ogni rumore
esterno che possa segnalare l’arrivo di Amaury. Il tempo passa e faccio
sempre più fatica a nascondere la mia inquietudine. Incomincio a chiedermi se
Amaury verrà. Potrebbe aver rinunciato, per tanti motivi diversi. Mentre lo
penso, in lontananza una nuvola di polvere annuncia l’arrivo di diversi
cavalieri. Riconosco lo stendardo dei Rochenoire e poco dopo vedo Amaury alla
testa del gruppo di cavalieri. Rimango
a distanza, fingendo di controllarmi a fatica. Amaury
mi vede e appare irritato dalla mia presenza. Scende da cavallo e,
ignorandomi completamente, entra nell’abbazia con il suo seguito. Poco dopo
un monaco si avvicina a me. -
Cavaliere, scusatemi, ma il conte mi ha ordinato di accompagnarvi nell’orto.
Vuole che rimaniate lì per tutto il tempo della sua visita. Fisso
il monaco come se mi trattenessi a stento dall’insultarlo. Poi sibilo: - Vi
seguirò. - Perdonatemi, cavaliere. Eseguo gli ordini ricevuti. Il
monaco mi accompagna in uno spazio cintato che serve da orto. La porta viene
chiusa alle mie spalle. Sono di fatto prigioniero, ma so che Amaury mi ha
fatto rinchiudere qui perché potremo vederci senza testimoni. So che verrà. In
effetti, dopo un’attesa che a me pare interminabile, una porta si apre ed appare Amaury. Entra e richiude la porta con la chiave. Io
mi avvicino, lo prendo tra le braccia e lo bacio,
appassionatamente. Gli infilo la lingua tra i denti. Amaury ricambia il
bacio, ma si stacca. -
Quando vi ho chiesto di allontanarvi perché temevo di mettervi in pericolo,
non sapevo ancora quale forma avrebbe assunto la minaccia che gravava su di
me. Ora lo so. -
Ditemi. -
Guillaume d'Orange intende farmi arrestare. I
conti di Rochenoire sono vassalli del principe di Orange, che ha
giurisdizione su di loro. Ma
perché? -
Thibault di Longpré lo ha convinto che ho fatto
avvelenare mio fratello e mio nipote per ereditare Rochenoire. Non mi
stupirebbe se avesse insinuato anche che miro a uccidere lo stesso principe
per prendere il suo posto. Ma questo non ha
importanza. L’accusa di veneficio è più che sufficiente. Non
mi ha detto se è una menzogna inventata da Thibault per perderlo o se è vero.
Ma non mi importa. Lo seguirei comunque, anche
contro il principe o contro lo stesso imperatore, anche sul patibolo. Amaury
prosegue: -
Guillaume è giovane, non ha esperienza. È avventato e crudele. E la contea di
Rochenoire fa gola a molti. A Thibault più che a tutti. -
Spera forse di ottenerla in cambio di questa delazione? -
Credo di sì. Se io morissi, sarebbe l’erede naturale. Il principe potrebbe
assegnargliela. In ogni caso Thibault mi odia ed è felice di perdermi. - Ma
non ci sono prove. Non si può accusare un nobile senza testimonianze. - Ci
saranno. Thibault è molto abile: è un ottimo giocatore di scacchi, non
dimenticatelo. Pochi giorni fa è scomparso Colin, un servitore del castello,
nessuno sa che fine abbia fatto. Pensavamo fosse stato ucciso da qualche
brigante o che si fosse allontanato con una contadina. Ma ora ho motivo di
credere che sia stato catturato, senza che nessuno lo sapesse, e
imprigionato. Di certo lo tortureranno e prima o poi cederà. Confesserà di
aver avvelenato i suoi padroni perché io l’ho pagato. - Ma
finirà lui stesso sul patibolo. -
Per lui sarà l’unico modo per scampare a torture che lo porterebbero comunque
alla morte. Non appena avrà confessato, mi arresteranno. Chino
il capo. Poi alzo gli occhi e dico: -
Dovete fuggire, conte, il più presto possibile. L’idea
che si allontani mi angoscia, ma lo seguirò: non lascerò che se ne vada senza
di me. - È
quello che avrei già fatto, se solo avessi potuto. Non è facile: so con
certezza che alcuni uomini del mio seguito hanno ricevuto dal principe
l’ordine di sorvegliarmi proprio per evitare che io fugga. Ogni mia mossa è
controllata. Oggi, prima che voi ve ne andiate, un uomo vi consegnerà una
bisaccia: ci sono monete d’oro e alcuni oggetti di valore, che mi serviranno
quando mi allontanerò. Vi farò sapere quando e come li ritirerò. Posso
contare su di voi? -
Amaury! C’è
rabbia nel mio grido. Come può dubitare di me? -
Cavaliere, se trovassero quegli oggetti nelle vostre mani, sareste
condannato a morte, come mio complice. -
Credete che m’importi? Amaury, verrò con voi. - È
follia, sarò un uomo braccato… -
Verrò con voi! Amaury
scuote la testa. - Ne
riparleremo, Eudes, se riuscirò a fuggire. Il cerchio si sta stringendo
intorno a me. Se mi imprigionassero, giura che non farai nulla che metta a
rischio la tua vita. -
Farò tutto quanto possibile per salvarvi. -
Non potrai fare nulla. Giura. Mi
rifiuto di giurare. Amaury mi si avvicina. Mi bacia. I nostri corpi
aderiscono. - Giura, Eudes. Le
sue mani si appoggiano sulle guance, ci baciamo ancora. Poi mi accarezza le
spalle, i fianchi. - Giura, Eudes. -
Giuro che sarò prudente. Non chiedetemi di più. Amaury
scuote la testa, sorridendo. Io lo bacio di nuovo,
ma il desiderio è troppo violento. Incomincio a spogliarlo, con mani che
tremano leggermente. Lui mi lascia fare e poi, quando ormai è nudo davanti a
me, mi toglie gli abiti. Ci guardiamo. So che non posso fare a meno di questo
corpo, di lui. Lo bacio ancora. - Stenditi, Eudes. Oggi ti prenderò. Nessuno
lo ha mai fatto, ma senza esitare mi stendo ai margini dell’orto. Davanti al
mio viso ci sono alcune piante di lavanda e ne sento il profumo intenso. Amaury
si bagna le dita e le passa lungo il solco, inumidisce bene l’apertura, poi
si stende su di me. Sento il suo cazzo premere e poi entrarmi in culo. Per la
prima volta un uomo mi possiede, per la prima volta vengo penetrato. Fa male, un dolore forte, che mi fa stringere i denti. Ma non
importa, voglio questo dolore intenso, che è più forte del piacere, voglio
sentire il suo cazzo che mi scava dentro, voglio essere suo, voglio che
imprima dentro il mio corpo il suo marchio, perché
io sono suo. Amaury procede e il dolore mi fa chiudere gli occhi; mi sembra
che mi manchi il respiro. Solo quando Amaury si ferma, il dolore si attenua e
riesco a riprendere fiato. Amaury mi accarezza, lasciandomi il tempo di
abituarmi a questa spada calda che mi trafigge il culo. Poi
incomincia a muovere il culo avanti e indietro, affondando il suo cazzo
dentro di me. Sento ondate di dolore investirmi e travolgermi, sempre più
forti. Gemo. Ma Amaury non si ferma e accanto al dolore che martella nel mio
culo, sento un piacere nuovo, che dal culo si diffonde in tutto il corpo, che
mi tende allo spasimo il cazzo. Gemo ancora, di piacere e dolore. Amaury
imprime un ritmo più intenso alle sue spinte. Il dolore diventa
intollerabile, ma il piacere esplode, per entrambi: Amaury rovescia il suo
seme dentro di me e io sul suolo. Ho
le lacrime agli occhi quando Amaury si ritira. Rimango un attimo disteso,
cercando di riprendere fiato. Guardo le spighe fiorite davanti a me e sento
il profumo della lavanda. Ne colgo una spiga. Amaury
si è già rivestito. Io faccio altrettanto. Amaury mi bacia sulla bocca, esce
e chiude la porta. Rimango fermo, mentre il dolore al culo si attenua. Per
un po’ tutto è tranquillo, poi sento un clamore, voci forti. Mi sembra che il
sangue si geli nelle mie vene. Cerco di aprire la porta dell’orto, ma è
chiusa dall’esterno. Mi sforzo di controllarmi. In ogni caso non posso fare
niente, lo so. Quando,
dopo un tempo che mi sembra infinito, vengono ad aprirmi, l’abate mi informa
che Thibault di Longpré è venuto con gli uomini del
principe d’Orange e ha arrestato il conte di Rochenoire. Mi sembra di aver
ricevuto una mazzata in testa, anche se, dopo il colloquio con Amaury, non
ero certo impreparato. Faccio
fatica a non lasciar trapelare la mia angoscia. Chiedo spiegazioni, che
nessuno è in grado di darmi. Amaury non ha fatto in tempo a organizzare la
sua fuga. Perché non ha cercato di allontanarsi ieri? Saremmo potuti fuggire
insieme. La mia mente immagina la fuga, attraverso le valli alpine che
portano verso la Lombardia, ma è un modo ozioso per sottrarmi all’angoscia
che provo. Ormai è troppo tardi: Amaury verrà chiuso in una prigione. Amaury
è in pericolo di vita. Mi
preparo ad andare via, quando un uomo mi si avvicina. Lo riconosco: è il
messaggero che mi aveva inviato Amaury proprio per farmi venire a Senhanca. Ha in mano una bisaccia e solo vedendola mi
ricordo dell’incarico che mi è stato affidato. Non so se Amaury potrà
servirsi del contenuto di questa sacca che ora attacco alla sella. Salgo sul
cavallo, reprimendo a fatica un gemito per la violenta fitta al culo. Un
ricordo del mio incontro con Amaury. Forse del mio ultimo incontro con lui.
Al pensiero provo un senso di vertigine. Porto la mano alla testa e chiudo
gli occhi. Un monaco mi chiede se non sto bene. Scuoto il capo. Cavalco
lentamente verso Casteldhaut. In mano stringo la spiga che ho raccolto.
L’avvicino al naso e sento il profumo di lavanda. VII Guy di Cahors è arrivato in visita. Dopo i
saluti, mi chiede: -
Sapete che ieri il principe ha fatto arrestare il conte Amaury di Rochenoire? Annuisco. - Lo
so, non si parla d’altro. Non
gli dico che ero a Senhanca ieri, che ho parlato
con Amaury. Mi sembra più prudente tacere. La notizia è davvero sulla bocca
di tutti: questa mattina i miei fratelli mi hanno riferito della cattura e
delle voci che circolavano con sempre maggiore insistenza. Da alcuni giorni
si parlava di un prossimo arresto del conte per aver avvelenato il fratello e
il nipote. Ben
nascosta nella mia stanza è la bisaccia che mi ha affidato Amaury. Gli
servirà ancora? O la sua vita è finita? Se è così, lo è anche la mia. Chiedo
a Guy: -
Con quale accusa? Lo
so già, ma voglio sentirla ancora, voglio
confutarla, come se servisse a qualche cosa, mentre so che è del tutto
inutile. - Di
aver fatto avvelenare il fratello e il nipote. -
Davvero ritenete verosimile questa accusa, Guy di
Cahors? Sapete che il conte mi ha allontanato, ma non per questo sono
disposto a credere a tutto ciò che si dice. Dopo vent’anni di assenza da
queste terre, su chi avrebbe potuto contare il conte per compiere questa
impresa? Sapete bene che era oltremare quando il conte Robert e il figlio
morirono. -
Oltremare, sì, ma era in Sicilia. Aveva lasciato Gerusalemme per non essere
arrestato. -
Che cosa? Sono
sbalordito. -
Circolavano voci che avesse fatto uccidere il barone d’Arbert.
Guy di Cahors fa una pausa e aggiunge: -
Con il veleno. Il barone è morto improvvisamente. Dicono un veleno sparso sul
suo corpo, non so come, non ho capito, qualche pratica orientale. Mi
sento mancare la terra sotto i piedi. Ho bisogno di sedermi. Mi appoggio allo
schienale di una sedia, cercando di nascondere il mio turbamento. -
Che dite? Guy ripete: - Vi
dico che Amaury di Rochenoire era a Palermo. Vi rimase due mesi. -
Palermo, Gerusalemme… non cambia molto. Non metteva
più piede qui da vent’anni. -
Uno dei suoi uomini venne a Rochenoire in quel periodo. È il fratello di
Colin, un servitore del conte Robert. Tutto
sembra confermare i sospetti. Mi rifiuto di crederlo. Penso a Thibault.
Thibault è un ottimo giocatore di scacchi. -
Tutto sembra collimare. Fin troppo. Mi chiedo se non ci sia un’altra spiegazione… -
Quale? -
Qualcuno può aver saputo che Amaury di Rochenoire era a Palermo e che era
stato accusato di veneficio. Quando Amaury ha inviato qui un servitore,
probabilmente per prendere contatti con il fratello, questo qualcuno ha fatto
avvelenare il conte Robert e suo figlio, che non avevano motivi per
diffidare. In questo modo ha potuto disfarsi del conte e del figlio, con l’idea
di eliminare successivamente il nuovo conte proprio con l’accusa di
veneficio. - E
chi mai avrebbe dovuto farlo? E perché? Cavaliere, ciò che dite non mi sembra
probabile. -
Sono sempre diffidente quando tutto appare chiaro. Questa mi sembra una
partita a scacchi condotta da un giocatore molto abile. Guy scuote la testa. -
Non avete risposto alle mie domande, cavaliere. Chi e perché? -
Qualcuno che sperava di impadronirsi della contea di Rochenoire. Guy mi guarda. Gli leggo in viso che ha
capito. Per prudenza preferisce non formulare il nome che abbiamo entrambi in
mente. -
Tutto è possibile, cavaliere. Quando
Guy se ne va, mi chiedo se davvero crede a quello
che ho detto. E anche se vi crede, che cosa cambia? Non
sarà lui a giudicare Amaury, ma il principe Guillaume. E come potrei
sostenere un’accusa di fronte al principe? Non ho prove. Perché ne ho parlato
a Guy? Spero forse che metta in giro la voce, che
questa voce giunga alle orecchie del principe? Guy è un uomo prudente, non credo che dirà nulla. E se
questa voce circolasse, l’unico effetto sarebbe trasformare Thibault in un
nemico mortale. Ho agito scioccamente. Non è certamente così che potrò
aiutare Amaury. Ma esiste un modo per salvarlo? Un
mese. Un mese di un’attesa snervante. Un mese in cui ogni notizia è una
pugnalata. Amaury è prigioniero a Orange. Il principe ha decretato la sua
colpevolezza. Amaury è stato privato del suo titolo. Amaury verrà
giustiziato. Vorrei
liberarlo, ma come? Passo le notti a ideare piani irrealizzabili. Alla
fine di settembre mi arriva la convocazione. Devo presentarmi da Guillaume,
principe di Orange. Perché questa chiamata? Guillaume sospetta che io sia
complice di Amaury? O Thibault ha saputo ciò che ho insinuato sul suo conto
parlando con Guy e ha deciso di mettermi a tacere
inventando qualche accusa contro di me? Poco m’importa: se Amaury morirà,
voglio morire anch’io. Se non posso salvarlo, una sola cosa mi interessa:
riuscire a vederlo ancora una volta prima di morire. Porto
con me molto oro: se ci sarà la possibilità di corrompere qualcuno per far
fuggire Amaury o anche solo per poterlo vedere, lo farò. Mi
inchino di fronte a Guillaume, principe di Orange. Vicino a lui è Thibault,
come sempre vestito di bianco. Mi mostro un suddito fedele e rispettoso,
celando il desiderio di sguainare la spada e immergergliela nel fegato. Lo
odio, anche se probabilmente l’unica sua colpa è la
fiducia accordata all’uomo che gli è a fianco. -
Cavaliere, vi ho fatto chiamare perché ho bisogno di voi. So che un tempo
avete goduto della fiducia di Amaury di Rochenoire e, anche se vi allontanò,
forse potete ancora ottenere da lui ciò che desidero. La
richiesta mi prende di sorpresa. Il cuore prende a battere più rapido. È un
tranello? Vuole verificare la mia fedeltà? Quell’infame di Thibault potrebbe
avergli detto che io ero molto legato ad Amaury, forse ha insinuato che ero
suo complice. Se è così, non è un problema: se non posso salvarlo, desidero
solo morire con lui. -
Sono ai vostri ordini, principe. Ma il conte mi aveva allontanato e non so
davvero se posso servirvi come desiderate. - Lo
so, lo so, ma siete l’unico uomo che, per alcuni
mesi, ha davvero goduto della sua fiducia. Dovete riuscire a farvi dire dov’è
la reliquia che ha portato da Gerusalemme, il chiodo della croce di Cristo,
che mi aveva promesso. Voglio averla, per poterla donare alla cattedrale. Non
è nel suo castello e anche sotto tortura Amaury si è rifiutato di rivelare
dove l’ha nascosta. L’idea
che Amaury sia stato torturato mi fa gelare il sangue, ma nascondo il mio
turbamento. - Se
me lo chiedete, farò tutto il possibile, principe. -
Due guardie vi porteranno il prigioniero e potrete avere un colloquio con
lui. Cercate di convincerlo che il suo rifiuto non ha senso: quella reliquia
è un tesoro della Cristianità. -
Cercherò di farmi dire dove l’ha nascosta. Non so se ci riuscirò, ma posso
provare. Guillaume
aggiunge: - Se
me la consegnerà, gli risparmieremo il supplizio. Intravedo
un barlume di speranza: -
Quindi posso dirgli che avrà salva la vita? -
No, no, non intendo questo. Amaury ha fatto uccidere il fratello e verrà
giustiziato. Se però mi darà la reliquia, sarà impiccato nel cortile del
castello e non squartato in piazza. Rabbrividisco
all’idea che Amaury possa essere squartato. Intanto cerco di ragionare
rapidamente. Ho un'occasione di parlare con Amaury, ma di certo ci sarà
qualche soldato insieme a me. Come posso fare per non avere testimoni? L'idea
mi viene in un lampo. -
Principe... forse... non so se approvate, ma potrei fingere di essere io
stesso prigioniero. Potreste farmi accompagnare da un soldato che mi
rinchiuda qualche ora con lui. Forse mi sarebbe più facile ottenere la sua
fiducia e farmi dire ciò che desiderate. Dopo
un momento di riflessione, Guillaume fa un cenno d’assenso. - Mi
sembra una buona idea. Finora non ha ceduto né alla tortura, né alle minacce,
né alla promessa di una fine meno infamante. Forse…
sì, è una buona idea. Guillaume
mi congeda. Io cerco di ragionare. L’idea di rivolgersi a me è stata
certamente di Thibault: Guillaume sa appena chi sono e in ogni caso non può
sospettare i rapporti che avevo con Amaury. Perché Thibault ha fatto questa
proposta? Vuole perdermi, perché sospetta che io sia ancora legato ad Amaury
o perché gli è stato riferito ciò che ho detto a Guy
di Cahors? O forse lo ha fatto solo perché spera davvero che io ottenga la
reliquia? Un
ufficiale mi guida. Scendiamo nei sotterranei del castello. Lungo un corridoio
si aprono le porte delle celle, ma noi percorriamo tutto il passaggio fino a
raggiungere una scala a chiocciola scavata nella roccia. Scendiamo ancora,
accompagnati da una guardia che porta alla cintura un grande mazzo di chiavi.
Al termine della scala ci troviamo in un piccolo locale, con due porte su un
lato. L'ufficiale si rivolge a me: -
Richiuderò la porta alle vostre spalle. Fate attenzione. Il prigioniero si
regge a fatica in piedi, ma se dovesse capire che lo state ingannando,
potrebbe cercare di aggredirvi. Annuisco.
L'uomo aggiunge: - Se
volete essere più convincente, vi conviene lasciare i vostri abiti qui. Anche
Amaury di Rochenoire è stato spogliato degli abiti. E la cella è lurida.
Almeno eviterete di lordarvi i vestiti. Farò portare qualche straccio perché
possiate pulirvi quando uscite. -
Credo che abbiate ragione. Mi
spoglio in fretta. Il soldato apre la porta. Mi assale un tanfo di merda che
mi toglie il respiro. A un cenno dell'ufficiale, il soldato mi spinge
rudemente nella cella, come farebbe se io fossi davvero un prigioniero. Poco
manca che io non cada addosso ad Amaury, seduto al suolo. Alla luce della
torcia ho fatto in tempo a vedere il minuscolo locale, in cui possono stare a stento due uomini stesi a terra. Il
carceriere ha richiuso la porta e ora sono in piedi, nel buio più assoluto,
nell'aria fetida di questa cella. Mi manca il respiro. -
Conte... - Sei prigioniero, Eudes? Perché? Di che cosa ti hanno
accusato? Nell’incalzare
delle domande avverto la sua ansia. -
No, conte. Devo fingere di essere prigioniero per farmi raccontare da voi
dove avete celato la reliquia che avete portato da Gerusalemme, il chiodo
della croce. Ho accettato questo incarico dal principe per potervi vedere. Amaury
ride, una risata cupa. -
Vedere, qui? Potete sentire il fetore della mia merda, cavaliere. Sono tre
settimane che mi hanno rinchiuso qui dentro e non ne sono più uscito. Vedo un
po’ di luce solo quando mi portano il cibo. Mi
accovaccio vicino a lui. -
Stare vicino a voi è tutto quello che chiedo, conte. Anche sul patibolo. -
Potete fare a meno di chiamarmi conte, cavaliere. Il principe mi ha tolto il
titolo di nobiltà. E potete anche fare a meno di darmi del voi, sempre che
non lo facciate per chiarire che non avete nulla a che fare con me. La
rabbia mi assale. -
Amaury! C’è
un momento di silenzio. - Scusami, Eudes. -
Ucciderò Thibault. -
Non ora, Eudes. Ho
bisogno di toccarlo. Tendo una mano e trovo il suo viso. Amaury si sottrae. -
Sono sporco, Eudes. -
Non importa. - Chi
è rinchiuso qui dentro, ne esce solo per morire sul patibolo. O già morto, se
vengono a strangolarlo nella cella o crepa per qualche malattia. Questa cella
è il buco del culo del diavolo. - Amaury… io ti desidero. -
Così? Se solo ti toccassi… Mangio cercando di non toccare il cibo con le mani, per non lordarlo. -
Non m’importa. - Eudes, io… - Ti
voglio. Mi
vergogno di averlo detto così. Abbiamo appena parlato, non gli ho neanche
ancora chiesto come sta e che cosa posso fare per lui. Ma il desiderio è troppo
forte, anche nel puzzo di questa cella immonda. Davvero quest’uomo mi ha
gettato un incantesimo. C’è
un lungo momento di silenzio. - Scusami, Amaury. È che… Non
trovo le parole. -
Tanto forte è il tuo desiderio, anche ora? -
Sì, più della morte. - Va
bene. Mi metto contro la parete. Protendo
le mani e nel buio della cella trovo il suo corpo. Lo posso toccare e, malgrado il fetore, l’aria irrespirabile, il buio, mi
sembra di essere in paradiso. Le mie mani percorrono il suo corpo, incuranti della sporcizia, e il desiderio divampa, tanto
violento che il fiato mi manca. Mi appoggio contro di lui, gli stringo le
natiche con le mani, forte. -
Amaury, amore mio. Lui
tace. Io avanzo il cazzo, indifferente a tutto, finché non sento l’apertura
cedere. Ora sono dentro di lui. -
Amaury. La
sua voce è un sussurro: -
Eudes. -
Amaury. Assaporo
questo momento magico in cui io sono dentro di lui e i nostri corpi
aderiscono. E poi lascio che il desiderio mi guidi, in una cavalcata in cui
tutto scompare. Sprofondo in un pozzo nero, felice di perdermi. Quando
vengo dentro di lui, passo una mano davanti, gli
stringo il cazzo teso e incomincio ad accarezzarlo, finché anche lui viene. - Ti
amo, Amaury. Amaury
tace un momento, poi mormora. -
Anch’io, Eudes. Ce lo siamo detti, infine. E non m’importa
di nulla. Amaury morirà e io morirò, perché non
posso continuare a vivere senza di lui: ucciderò Thibault e poi mi darò la
morte. Ma non ha importanza, ora non ha davvero importanza. Rimaniamo
così, il mio corpo contro il suo, il mio cazzo ancora dentro il suo culo. Solo ora parlo. -
Che cosa devo fare, Amaury? Che cosa devo dire al
principe? Ha detto che se gli darai la reliquia, non ti farà squartare. -
Già, la reliquia. Guillaume trascorre le sue notti in orge sfrenate, ma poi
invoca il perdono divino. Per lui quel pezzo di ferro arrugginito è un
talismano. - Un
pezzo di ferro? Non è vera? Non è un chiodo della croce, intendo? -
Eudes! Pensi davvero che qualcuna di queste miracolose reliquie sia vera? Se
tutti i chiodi della croce fossero autentici, il corpo di Cristo sarebbe
stato trafitto da centinaia di chiodi! Taccio.
Non ho mai dato molta importanza alle reliquie e non mi ero posto il problema
della loro autenticità. -
Che cosa è meglio che dica. Amaury? - La
reliquia che il principe cerca è nella bisaccia che ti ho dato. Inventa
qualche cosa per recuperarla e dagliela. Questo
forse aprirà uno spiraglio. Sussulto. -
Davvero, Amaury? Guillaume non vuole sentire parlare di grazia. -
No, lui mi vuole morto, lo so. E Thibault non gli permetterebbe certo di
cambiare idea. Ascoltami, Eudes. Di’ che ho
accettato di consegnarti la sacra reliquia, dietro la tua promessa che non verrò squartato. In questo caso, Thibault di certo
proporrà una bella caccia all’uomo, per finirmi. Mi
tendo. Sibilo: -
Thibault è un uomo morto. Questo te lo posso giurare. Vorrei
poter uccidere Thibault con le mie mani, qui, ora. E poi penso che lui
potrebbe divenire il nuovo signore di Rochenoire ed io mi troverei a essere
il suo vassallo. Le
parole di Amaury interrompono i miei pensieri. -
Non fare nulla, finché io sarò vivo. Giuralo. Mi
costa fatica impegnarmi a non scannare quel figlio di puttana, ma giuro ciò
che Amaury mi chiede. Amaury continua: - E
quando sarò morto, uccidilo solo se sei sicuro di non farti scoprire. Ma non
è questo che conta ora. Ascoltami. -
Dimmi. -
Quando lui proporrà la caccia, non opporti. Osserva solo che, quasi cieco per
la lunga permanenza al buio e appena in grado di muovermi, sarò una preda fin
troppo facile. Nient’altro. -
Che cosa conti di fare, Amaury? - È
meglio che tu non lo sappia. Fa’ quello che ti ho detto. È l’unica
possibilità che mi rimane. Altrimenti mi farà strangolare in questa lurida
cella o impiccare come un contadino, anche se ha avuto la reliquia. - Farò
quello che mi chiedi, anche se… Non
finisco la frase. Stringo il corpo di Amaury tra le mie braccia e lentamente
sento che il desiderio si fa nuovamente strada.
Probabilmente è l’ultima volta che Amaury sarà mio. Presto saremo entrambi
morti. Riprendo
il lento movimento del mio culo, assaporo nuovamente il calore del suo, le
mie mani percorrono questo corpo. Lo amo, come non ho mai amato. E
quando il desiderio trabocca, mi abbandono contro di lui. Parliamo
ancora, finché aprono la cella e il carceriere mi fa uscire. L’uomo mi porge
alcuni stracci e mi dice che l’ufficiale mi aspetta al piano di sopra. Mi
pulisco con cura. Quando però passo lo straccio sul cazzo, pulisco solo la
cappella. Lascio che un po’ di merda rimanga sull’asta. Mi laverò dopo. Quando
sono di nuovo di fronte a Guillaume, gli dico che la reliquia è a Senhanca e che credo di sapere come trovarla. Gli chiedo
di farmi accompagnare da alcuni suoi uomini, per evitare che sospetti. Spero
di poter tornare entro due giorni con ciò che mi ha chiesto. - Vi
sono grato di quanto avete fatto. Se davvero troverete la reliquia, non mi
scorderò di voi. Se desiderate qualche cosa... Non
avevo pensato a una ricompensa, ma mentre mi inchino vedo Thibault. A
testa china dico: -
Una cosa vorrei, se troverò la reliquia. Se posso chiedere… - Ditemi, cavaliere. - Vorrei essere vostro vassallo, che Casteldhaut dipendesse
direttamente dal principe d’Orange. È
una richiesta che in questo momento non crea problemi a nessuno: l’unico che
potrebbe opporsi è il conte di Rochenoire, ma da quando Amaury è stato
privato del titolo, non esiste un conte di Rochenoire. La contea verrà
assegnata a Thibault, quasi sicuramente, ma questi non può protestare: anche
se spera di ottenerla, la contea non è ancora sua. -
Sarò lieto di avervi tra i miei vassalli, cavaliere. Thibault
si rivolge al principe: -
Che farete dell’avvelenatore, principe? - Lo
farò impiccare, come un uomo del popolo. Gli ho tolto il titolo, non è più un
nobile: non si merita la decapitazione. Thibault
sorride. -
Dicono che oltremare i nobili franchi organizzino grandi cacce all’uomo.
Amaury di Rochenoire vi ha certo partecipato come cacciatore. Ora potrebbe
prendervi parte come preda. Thibault
ride. Guillaume lo guarda, perplesso, ma sorride: l’idea lo stuzzica. Io
sento di odiarlo con un’intensità che mi spaventa. Eppure è ancora nulla in
confronto a ciò che provo per Thibault, che ora prosegue: - Si
libera il prigioniero in una vallata, gli si lascia un certo margine di
vantaggio e poi lo si insegue con i cani. Che ne dite? -
Non conoscevo questo divertimento dei baroni franchi in Terrasanta. E voi
dite che Amaury di Rochenoire ha partecipato a queste cacce? -
Più volte, l’ho sentito da fonti sicure. Era il conte Ferdinando a
organizzarle e Amaury non mancava mai. Il
principe si rivolge a me: -
Che ne dite voi, cavaliere di Casteldhaut? Io sorrido. - Mi sembra una gran bella
idea. Ma temo che sarà una povera caccia: il prigioniero si regge appena in piedi
e dopo qualche settimana al buio nella cella, di certo è quasi cieco. Thibault non si scoraggia: - Potremmo dargli un buon
vantaggio. E se lo mettiamo in una cella con una finestra, in questi giorni
in cui si organizza la caccia, i suoi occhi potranno riabituarsi alla luce. Il principe sorride: - Si potrebbe fare. Una
bella caccia è quello che ci vuole. Quando tornerete con la reliquia,
organizzeremo la caccia. E oggi stesso farò sistemare il prigioniero in
un’altra cella. Partirò domani mattina per
Casteldhaut dove prenderò la reliquia che fingerò di ritrovare a Senhanca. Nella camera che il principe mi ha assegnato mi
hanno preparato un bagno caldo, come ho chiesto. Il servitore ha riempito la
tinozza. Rimane in attesa dei miei ordini. Lo congedo. Entro nella tinozza.
Rimango in piedi. Ripenso ad Amaury. L’ho posseduto,
due volte, poche ore fa. Ma in realtà è lui che mi possiede: gli appartengo,
completamente. Mi guardo il cazzo, ancora
sporco. Lo afferro con la destra. Muovo la mano in su
e in giù, mentre ripenso ad Amaury, a quella cella immonda dove l’ho preso.
Chiudo gli occhi e riprendo la mia opera. Sento infine il piacere
esplodere e travolgermi. Allora mi siedo nella tinozza per lavarmi, ma prima
di farlo, porto la mano al viso, sento l’odore di merda, la sua merda. VIII Sono tornato a Orange con
la reliquia che ho “ritrovato” a Senhanca.
Guillaume è raggiante. Mi comunica che fra tre giorni ci sarà la grande
caccia, a cui sono invitato come ospite d’onore. La domenica una solenne
processione porta la reliquia nella cattedrale, piena all’inverosimile. Il
vescovo benedice Guillaume e gli dà la comunione. So che Guillaume ha
trascorso la notte in un’orgia con serve e puttane, ma ora sembra un santo in
ginocchio davanti al vescovo. Pare che la sua fede sia sincera, ma a me il
suo comportamento sembra assurdo. Vicino a lui si erge Thibault di Longpré, il bianco angelo del male, consigliere del
principe in procinto di diventare conte di Rochenoire. I tre giorni di attesa
sono un incubo. Sapere che Amaury è prigioniero in questo castello e che io
non posso vederlo è un tormento. Lo vedrò solo il giorno della caccia. Che
cosa succederà, allora? Perché Amaury ha voluto assecondare l’idea di
Thibault? Spera di riuscire a fuggire? Perché non mi sono fatto
dire qualche cosa di più? Perché non l’ho costretto a dirmi come posso
aiutarlo? Il mattino della caccia,
il prigioniero viene messo in una gabbia con le sbarre di legno, che viene caricata su un carro. Thibault osserva Amaury e
mi dice: - Mi piacerebbe prendere la spada e infilargliela in corpo attraverso le
sbarre. L’odio che avverto nella
sua voce è fortissimo. - Come mai lo odiate
tanto, cavaliere? Thibault mi guarda. - Me lo chiedete,
cavaliere? È un traditore e un assassino. Ha fatto uccidere i miei cugini.
Ero molto legato a loro. È falso. O almeno credo
che lo sia. Non ho certezze. Non so davvero che cosa sia successo. È stato
Thibault a uccidere il conte Robert con il figlio e poi a montare tutta
questa macchinazione per perdere Amaury e prendere
il suo posto? Da lui non mi stupirebbe: quando gioca a scacchi dimostra una
grande capacità di elaborare piani complessi e portarli a compimento. Ma può anche darsi che
Thibault non abbia fatto altro che cogliere un’occasione che gli si presentava
per perdere Amaury. Forse Thibault lo crede davvero colpevole. O può darsi
che invece lo ritenga innocente e che lo odi perché gli ha impedito di
diventare il signore di Rochenoire. E se Amaury fosse
colpevole? Se avesse davvero fatto uccidere il fratello e il nipote? Non lo
so. E in realtà non m’importa davvero. In breve tempo
raggiungiamo la radura dove Amaury verrà liberato. Quando aprono la gabbia,
Amaury non si muove. A un cenno del principe, uno degli uomini lo pungola con
un frustino. Amaury allora si scuote dal suo torpore, ma con grande lentezza.
Esce dalla gabbia, incespica e cade. Si alza, a fatica. Guardo il suo corpo, che
anche in questo momento accende il mio desiderio. Il cazzo si rizza mentre
osservo il culo di Amaury. A un cenno di Guillaume,
Thibault si rivolge ad Amaury: - Avete un’ora di tempo,
Amaury. Poi la caccia avrà inizio. Amaury rimane fermo. A un
cenno di Guillaume, un servitore colpisce il culo di Amaury con un frustino.
Amaury sobbalza e incomincia a camminare, lentamente. I movimenti sono
impacciati, sembra che faccia fatica a reggersi in piedi e
in effetti cade due volte. Si muove piano, pare non avere fretta. Forse perché sa di non poter
sfuggire ai suoi inseguitori. Forse perché davvero non riesce a muoversi più
rapidamente. Io vorrei prenderlo sul mio cavallo e portarlo lontano, ma non
potremmo certo sfuggire al principe e ai suoi uomini. Amaury scompare tra gli
alberi. Noi rimaniamo in attesa.
Parliamo della reliquia che Guillaume è felice di avere ottenuto e del passaggio
oltremare. Thibault racconta ciò che ha sentito delle cacce all’uomo
organizzate dal conte Ferdinando. Quando l’ora di lanciarsi
all’inseguimento si avvicina, cerco di ritardare la partenza chiedendo ancora
a Guillaume della reliquia che ha ottenuto e di altre che già possiede. Mi
stupisce che un uomo così incline ai peccati della lussuria e della gola
possa essere tanto religioso. L’argomento gli sta a cuore e guadagno qualche
momento prezioso. Infine ci avviamo. Ho la
morte nell’anima. Lo troveremo tra poco, non può aver fatto
molta strada. Lo vedrò uccidere sotto i miei occhi? No! Dovranno uccidere
prima me. I cani si slanciano,
fiutando la traccia, e noi li seguiamo. A ogni momento mi aspetto di vedere
Amaury camminare incerto poco lontano, ma percorriamo un buon tratto senza
che appaia. Cerco di ragionare. Amaury
si è allontanato molto più del previsto. Eppure riusciva appena a muoversi.
Qualcuno lo ha aiutato? O forse… forse la
spiegazione è un’altra: ha soltanto finto di essere debolissimo. Probabilmente
la prigionia non lo ha indebolito quanto sembrava. In questi ultimi giorni
nella nuova cella ha ripreso a muoversi. O più probabilmente ha fatto
esercizio anche nella cella sotterranea, in quello spazio minuscolo: non mi
stupirebbe, conosco la lucidità della sua mente, di certo non si è arreso
neppure quando tutto sembrava perduto. La traccia porta al
torrente e qui i cani non riescono più a ritrovarla. Percorrono le rive, fino
a che, un po’ a valle, fiutano qualche cosa, ma
sembrano nuovamente perdersi poco dopo. Cerco di riflettere su ciò
che può aver fatto Amaury. La logica vuole che sia
sceso lungo il torrente, verso il confine. Ma proprio per questo è più
probabile che sia invece risalito. Noi tutti lo cerchiamo
qui e intanto lui si allontana nell’altra direzione. Va bene così. Ma se
avesse bisogno di qualche cosa? Potrei cercare di raggiungerlo, dargli almeno
di che coprirsi e un coltello: ho portato con me alcune cose che potrebbero
servirgli, nascoste in una sacca. Un uomo nudo, disarmato, come può
cavarsela? Ma come posso allontanarmi senza destare sospetti? Inaspettatamente, è
Thibault stesso a darmi l’occasione che cerco. Uno degli uomini osserva: - Non sarà fuggito
nell’altra direzione, risalendo il fiume? Mi manca il fiato, ma Thibault risponde: - Impossibile, è più
facile che abbia scelto di lasciarsi trascinare dalla corrente e morire nelle
rapide, per non essere raggiunto. Risalire significa ripassare vicino al
castello. Una follia. Sempre che non ci fosse qualcuno ad aspettarlo, qui dove
le tracce scompaiono. L’uomo non appare
convinto. - Sarebbe meglio
controllare. Thibault si volge verso di
me: - Cavaliere, volete andare
voi a controllare? Tanto per non avere dubbi. Mi fingo perplesso, ma
annuisco. - D’accordo, in effetti è meglio controllare. L’area a monte del
castello è piuttosto spoglia e se davvero fosse fuggito in quella direzione
non mi sarà difficile avvistarlo. Ma non mi sembra probabile. - Neppure a me, ma è
meglio essere sicuri. Saluto i miei compagni di
caccia e sprono il cavallo. Boson mi segue. È un
uomo in cui ho assoluta fiducia e che non mi tradirebbe mai, ma preferisco
non coinvolgerlo, per cui, superato il castello, gli ordino di attendermi,
con la scusa che Amaury, se davvero è risalito nell’acqua del torrente per
depistare i cani, potrebbe ridiscendere più tardi per la stessa via per
raggiungere il confine. È una scusa inconsistente, ma
Boson è abituato a obbedire senza discutere. Sprono il cavallo e
raggiungo rapidamente l’altopiano. Qui il terreno è piuttosto spoglio. Non
vedo traccia di Amaury. Percorro il pianoro, spingendomi ai margini e
scrutando con attenzione tutt’intorno. Non trovo Amaury, finché non è lui
stesso a farsi vedere, emergendo da un avvallamento del terreno in cui si era
nascosto. Mi avvicino, esultante. Amaury mi sorride. - Sapevo che non sarei
riuscito a ingannare anche te, Eudes. - Fortunatamente Thibault
ha pensato di inviare proprio me a cercarti, nel
caso tu ti fossi allontanato in questa direzione. - Thibault ha
sottovalutato il suo avversario in questa partita a scacchi. Non è detto che
non riesca a vincere, ma questa mossa è stata un errore. Prendo la sacca e scendo
da cavallo. - Qui c’è di che coprirti, una borsa con del denaro e un pugnale. Amaury sorride. Io mi
avvicino e sento l’aroma che emana da lui. - Amaury, odori di
assenzio. - Sì, dopo essermi lavato
al fiume, mi sono sparso addosso l’assenzio, per
mutare il più possibile il mio odore. Non sufficiente per depistare i cani,
ma sapevo che mi avrebbero cercato a valle. - Le tue tracce portavano
in quella direzione. - Sì, poi sono risalito
nell’acqua. - Ripassando vicino al
castello! - Un rischio da correre. Gli do la sacca e lo
stringo tra le braccia. Lo bacio appassionatamente. So che deve fuggire
rapidamente, ma il desiderio è troppo forte, per me come per lui: il suo
corpo nudo lo tradisce. - Appoggiati al masso,
Eudes. Annuisco ed eseguo. Mi cala le braghe, sparge
appena un po’ di saliva e mi prende con forza. Come la prima volta, il dolore
è violento, più del piacere, eppure il mio cazzo rimane teso. Amaury indugia
un momento dentro di me, poi prende a spingere. Mi mordo un labbro per non
urlare, ma vorrei che queste fitte non avessero mai fine. È tutto molto rapido e,
nonostante il desiderio che brucia in me, non cerco
di prolungarlo: Amaury deve fuggire, questo indugio è follia, sta perdendo un
tempo prezioso. Eppure vorrei che rimanesse dentro di me per sempre, che un
unico colpo togliesse la vita a entrambi, per non separarci più. Ma Amaury prosegue il suo
movimento intenso e
anche questa volta io vengo insieme a lui. Amaury si stacca e indossa
i panni che gli ho portato. - Addio, Eudes. - Voglio venire con te,
Amaury. - Ci rivedremo, Eudes, te
lo prometto, ma ora non è possibile. Tu non fare nulla. Devi
essere un vassallo fedele. - E Thibault? Lui che prenderà il tuo posto, dopo averti tradito… Amaury mi interrompe: - Non credo che Thibault
diventerà conte di Rochenoire. La caccia è stata un’idea sua e Guillaume
d’Orange non glielo perdonerà facilmente. Il nuovo principe è rancoroso. Per
avere Rochenoire dovrà catturarmi. Fa’ attenzione, Eudes, Thibault ha
sbagliato mossa, ma la partita non è chiusa e tu sei a rischio. - Quando ci vedremo, Amaury? Dove? - Non te lo so dire. Abbi
fiducia. E ora sali a cavallo e continua la tua perlustrazione. Lo guardo allontanarsi.
Chiudo gli occhi. Quando li riapro è svanito. Risalgo a cavallo e riprendo a
vagare, scrutando l’orizzonte. Quando infine ritorno dove
si trovano gli altri, è ormai chiaro che Amaury è riuscito a fuggire. Mi
rivolgo a Thibault, dicendogli: - Cavaliere, non pensate
che, come avete detto, abbia preferito farsi trascinare dalla corrente e
morire affogato piuttosto che cadere nelle nostre mani ed essere sgozzato
come un cinghiale? - Se è così, troveremo il
corpo. Guillaume interviene. È
chiaramente furibondo. - La vostra idea della
caccia è stata una follia, cavaliere. Thibault si inchina. - Vi prometto che se è
vivo lo ritroverò e ve lo consegnerò, insieme ai complici. E mentre parla Thibault mi
lancia un’occhiata. Sospetta di me, questo è certo, forse è pentito di avermi
mandato sull’altopiano. Io fingo di riflettere e
dico: - Tutti sapevano della
caccia ed era chiaro che il prigioniero non aveva altra scelta che scendere
lungo il torrente. Forse qualcuno lo ha atteso nel punto in cui scompaiono le
tracce. - Non ci sono impronte di
cavalli o altri animali, cavaliere. Ma la partita non è chiusa. È solo un’impressione o
c’è una nota di minaccia nella sua voce? Rientriamo al castello.
Nella mia camera, infine solo, porto le mani al viso per sentire ancora una
volta l’aroma di Amaury. Odorano di assenzio. IX Nessuna notizia di Amaury.
È scomparso da un mese. È ancora vivo? È ancora in Provenza? Mi ha detto che
ci rivedremo e mi aggrappo a questa speranza, perché senza di lui non ha
senso continuare a vivere. Esco spesso a cavallo da
solo, percorrendo il territorio in direzioni diverse. Spero che Amaury sia
nelle vicinanze e che un giorno mi appaia. Guardo ogni viandante, spio ogni sentiero,
ma non c’è traccia di Amaury. Nei pressi del castello,
un uomo chiede di me per una contesa tra vicini. Il problema è l’uso
dell’acqua di un canale, ma il suo viso e la sua voce non mi
sono nuovi: è l’uomo che mi ha dato il biglietto con cui Amaury mi convocava
a Senhanca. Capisce dal mio sguardo che l’ho
riconosciuto. Al momento di andarsene, l’uomo mi porge di nuovo un biglietto,
con fare guardingo. Il pensiero corre ad Amaury e le mani mi tremano mentre
afferro il foglio. C’è scritta un’unica frase:
Bosco del Lupo nero, domani mattina. Non c’è una firma, ma sono
sicuro che l’autore è Amaury. Vorrei poter
confrontare la scrittura con quella del biglietto che mi aveva mandato, ma
l’ho distrutto. È lui, sono sicuro che è lui. E se
invece l’avesse scritto Thibault, per perdermi? No, non avrebbe senso, il
biglietto non porta il nome di Amaury, potrebbe essere di chiunque, se
l’avesse scritto Thibault avrebbe messo il nome di Amaury. Così, senza un
nome, questo biglietto non significa nulla, potrei andare a vedere solo per
la curiosità di capire chi mi ha inviato il messaggio. Dormo poco nella notte. Mi
sveglio più volte e mi sembra che le ore non passino mai. Io che ho sempre
dormito come un ghiro! Quante notti insonni mi ha regalato Amaury, notti di piacere e notti di angoscia. Mi devo fare forza per non
uscire prima del solito. Deve apparire un giorno come un altro. Infine viene l’ora in cui
esco per i miei giri a cavallo e mi dirigo verso il bosco del Lupo nero. È un
bosco fitto, dove scorrazzano lupi dal mantello molto scuro. In inverno non è
raro che si spingano fino ai villaggi e i contadini li temono. Nessuno
attraversa il bosco senza portare con sé un’arma: qualche viandante è stato
sbranato in passato. Una figura si stacca
dall’ombra degli alberi e si ferma in mezzo al sentiero. Il cuore mi balza in
petto: ha riconosciuto subito il suo padrone. Scendo da cavallo. Amaury
non dice nulla, ma si dirige verso il fitto del bosco. Io lo seguo, tenendo
la mia cavalcatura per la briglia. Vicino a una radura, Amaury si ferma e io lascio il cavallo pascolare. Mi avvicino ad Amaury e
lo bacio sulla bocca. Ne sento l’odore. È un odore intenso, diverso da quello
di un tempo, un odore di animale selvatico: in questo mese deve essere sempre
vissuto nei boschi, cibandosi di ciò che trovava, e anche l’odore del suo
corpo è cambiato. Odore di cacciagione, ma ormai Amaury è davvero selvaggina,
una preda che molti ricercano. I nostri corpi si
stringono, si avvinghiano, poi le nostre mani incominciano a lavorare, guidate
dal desiderio impaziente, che non tollera indugi. Ci troviamo nudi, ai
margini della radura. Ci baciamo, ci accarezziamo, finché finiamo a terra.
Amaury si stende sull’erba, sul ventre, allargando le gambe, e lascia che io
lo prenda. Il desiderio è tanto forte da stordirmi e non riesco a
controllarmi, anche se so che gli farò male. Entro dentro di lui e spingo a
fondo, senza pietà. Lo posseggo con tutta la furia del mio amore, del
desiderio che ho invano cercato di tenere a freno. Quando infine, dopo una
rapida cavalcata selvaggia, vengo dentro di lui e mi
ritraggo, mi stendo anch’io a gambe larghe e lascio che sia lui a possedermi.
L’ingresso è violento, ma il dolore è meno forte delle volte precedenti ed io
sono felice di appartenergli. Vorrei che durasse per sempre, ma è tutto
maledettamente breve: sappiamo bene di non avere tempo. In futuro, quando
saremo lontano da qui, potremo amarci senza fretta. E mentre lo penso, mi
chiedo se ci sarà davvero un’altra volta, se ci sarà un futuro per noi due. Questo
amplesso frettoloso potrebbe essere l’ultimo. Mentre ci rivestiamo, Amaury mi dice: - Me ne andrò dalla
Provenza, Eudes. Qui non posso rimanere. - Verrò con te. Vorrei aggiungere che se
non mi vuole, mi ammazzerò. Ma non voglio
ricattarlo. Amaury mi fissa: - Venire con me significa
rinunciare a tutto e rischiare la vita. Lo sai,
Eudes? - Lo so. Ma senza di te… Vorrei dirgli che senza di
lui, la mia non è vita. Amaury dice: - Io conto di partire e
superare le Alpi. Poi vedrò: mi arruolerò al servizio di qualche sovrano
oppure dell’imperatore, raggiungendo Costantinopoli. Oltre le montagne sarò
nuovamente un uomo libero, che nessuno bracca. - Lasciami venire con te. - Lo vuoi davvero? Tu non
hai motivi per rinunciare alle tue terre e rischiare la vita ogni giorno in
un mondo ostile. - Non ho motivi? Amaury!
Non conto proprio niente per te? Amaury sorride. - Per me conti più di
tutto. Si avvicina, mi abbraccia,
mi bacia. - Ora vai. Ci vedremo tra
dodici giorni nella radura a cui si sale dalla croce di Meizouns,
lasciando la strada per Nostra Signora del Vento. Metterò un fazzoletto rosso
alla croce. Se non lo vedrai, non salire fino alla radura. Sarebbe inutile. Annuisco. E poi chiedo: - Non vuoi nasconderti
nelle mie terre? Potrei trovarti un posto sicuro… Amaury alza la mano e mi
impedisce di continuare. - No, Eudes. Non voglio in
nessun modo mettere a rischio la tua vita. Non mi sarà difficile continuare a
nascondermi. Me la caverò come me la sono cavata
fino a ora. E voglio chiudere la partita con Thibault, senza coinvolgerti. - Che cosa intendi fare? Amaury scuote la testa. - È meglio che tu non lo
sappia. - Amaury, voglio aiutarti. Amaury rimane un momento
pensieroso, poi mi dice: - Aiutarmi è pericoloso.
La partita tra me e Thibault è una partita mortale. Non voglio sacrificarti. - Se sacrificarmi ti
permette di salvarti, fallo. Ne sarei felice. Amaury mi guarda. Esita un
momento, poi mi dice: - Tra una settimana ti
manderò un messaggero. Tu prendi il biglietto che ti darà, poi raggiungi i
pascoli di Ayran. Rimani là un po’ di tempo, come
se cercassi qualche cosa, poi torna al castello. Il giorno dopo,
ritorna lassù. E poi non tornarci più. Se tutto andrà bene, ci rivedremo il
giorno dell’appuntamento. Annuisco. - Ricordati il fazzoletto
rosso alla croce, tra dodici giorni. Se non lo vedi, tira diritto per Nostra
Signora del Vento. Di nuovo faccio un cenno
con il capo. - Verrai a prendermi con
due cavalli e ciò che ho lasciato in custodia da te. Se sarò ancora vivo, ti
aspetterò là. Ma se non vedrai il fazzoletto, non venire. E fa’ attenzione a
Thibault. Lo guardo e annuisco. - Amaury, un giuramento.
Voglio un giuramento. Amaury mi guarda. Attende
che io parli, ma io non aggiungo altro. Allora lui scuote la testa. - Che cosa devo giurare? - Giura che farai quello
che ti dico. Amaury fa un cenno di
diniego. - Devo sapere che cosa
giuro, Eudes. - Se dovessero catturarti, Amaury… Lui aspetta. Io concludo: - …giurami
che dirai che sono tuo complice. Amaury mi guarda. Non dice
nulla. - Giuralo,
Amaury. - Significherebbe
perderti. Impiccato come un contadino o strangolato in una cella fetida. - Se ti importa di me,
Amaury, giuralo. Lui mi guarda, esita. - Amaury! Scuote la testa. - No, Eudes,
io… - Amaury, se mi ami. Non capisci, Amaury? Se non capisci, allora vuole dire che non
t’importa davvero di me. - Fino a questo punto,
Eudes? - Sì, fino a questo punto. Mi fissa negli occhi. - Va bene, Eudes, lo farò. Sorrido. Amaury si allontana.
Lentamente svanisce l’odore di selvaggina. X Tutto si svolge come previsto:
un uomo, che non è il solito messaggero, mi consegna un biglietto, con fare circospetto, ma maldestro. Se qualcuno mi spia, di certo
lo ha visto. Nei due giorni seguenti mi reco ai pascoli di Ayran e mi accorgo di essere seguito, ma fingo di non rendermene
conto. Intanto mi preparo a
partire. Ho espresso la mia intenzione di andare in pellegrinaggio a Roma. Ho
detto che viaggerò senza scorta, in segno di umiltà: partirò come un semplice
soldato. È quello che diventerò, un soldato al servizio di altri, ma non ha
importanza: mi basta rimanere con Amaury. Affido Casteldhaut a
Raymond. Lui non sa che è per sempre e non solo per alcuni mesi. Percorro il fondovalle,
fino al bivio da cui il sentiero sale verso la cappella. Come concordato, ho
due cavalli e gli oggetti di valore che mi ha affidato Amaury, oltre ad
alcuni beni di mia proprietà. Salgo verso Nostra Signora
del Vento. Giungo alla croce da cui si diparte il sentiero che devo seguire
per raggiungere Amaury. Guardo la croce. C’è il fazzoletto. Il cuore si
dilata dalla gioia. Sprono il cavallo verso il
bosco. Quando arrivo vicino alla
radura, il vento mi porta un odore intenso, odore di
morte. La carogna di qualche animale. O il cadavere di un uomo. Fermo il cavallo.
Il luogo dove ci dobbiamo incontrare è vicinissimo. Certamente è di lì che
viene questo fetore. Sento un brivido lungo la schiena. Non può essere. Non
può essere. Sprono il cavallo e
raggiungo la radura. Dal ramo di un albero pende il cadavere di un uomo, un
corpo nudo legato per i piedi. Riconosco immediatamente
quella pelle chiarissima e la capigliatura bianca, macchiate di sangue in più
punti. La partita si è conclusa e Thibault è stato sconfitto. Il suo corpo
ora penzola. Guardo Amaury, in piedi
vicino all’albero. Mi sorride. - Come…
come hai fatto? Amaury scrolla le spalle. - Mi sono servito di un
pedone. Seguendo un pedone per dare scacco matto, Thibault non si è reso
conto di essersi scoperto. Quando ha compreso, era
troppo tardi. - Un pedone? - È un pezzo degli
scacchi, che può risultare molto utile. Tu mi sei stato molto utile, Eudes.
Sei il pedone che ho usato per dare scacco matto. Thibault sospettava di te,
ti ha seguito, senza pensare che io l’avrei atteso al ritorno. Ho fatto in
modo da isolarlo dai suoi uomini e l’ho ucciso quattro giorni fa. Annuisco. Scendo da cavallo. Guardo
l’uomo che amo. Dovremmo partire subito, ma ancora una volta il desiderio mi
prende, violento. Mi avvicino, prendo la testa di Amaury tra le mani, lo
bacio. E poi, in questa radura dove si è conclusa la partita tra Amaury e
Thibault, incomincio a spogliarmi, lentamente. Amaury sorride e mi imita. Ci
guardiamo l’un l’altro, mentre i nostri corpi emergono dagli abiti. Quando
vediamo di essere entrambi eccitati, sorridiamo. Ci avviciniamo, ci baciamo e
ci stringiamo. Poi Amaury mi fa girare su me stesso e ora posso sentire il
suo cazzo teso contro il mio culo. Mi chino in avanti e mi appoggio
all’albero da cui penzola il cadavere di Thibault. Amaury passa due dita umide
sul solco e poi sento il suo cazzo forzare l’apertura ed entrare in me. Gemo,
questa volta di puro piacere, perché il dolore lo avverto appena. Amaury
appoggia le mani sui miei fianchi e affonda completamente il cazzo dentro di
me, poi lo ritrae fino a uscire. Poco dopo lo immerge nuovamente e dà inizio
alla cavalcata. Io chiudo gli occhi e mi abbandono del tutto alle sensazioni
che mi trasmettono il cazzo che scava dentro di me, le mani che mi stringono,
il contatto dei nostri corpi quando la sua arma affonda completamente nel mio
culo. Siamo io e lui. L’odore di morte che avverto mi dice che la minaccia
che pendeva su Amaury si è dissolta. Lasceremo questa terra, ma sarà insieme,
saremo sempre insieme. E insieme veniamo. Il mio
seme si sparge sull’albero a cui mi appoggio, quello di Amaury si rovescia
nelle mie viscere. Solo dopo un buon momento ci stacchiamo e ci rivestiamo. Saliamo a cavallo e ci lasciamo alle spalle l’odore di morte. 2015 |