Aromi di Provenza

 

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A Ro’ e ai suoi sogni

 

I

 

Il vocio si sente dall’anticamera: tutta la nobiltà della regione dev’essere venuta a rendere omaggio al nuovo conte, che ci ha convocati. In effetti quando il servitore apre la porta, possiamo vedere che la sala è piena di uomini e donne, che fanno mostra di sé nei loro abiti migliori. A colpirmi però è, come sempre in queste occasioni, l’odore intenso, di sudore e corpi mal lavati. Qui la gente si lava di rado e molti non capiscono la mia abitudine a bagnarmi regolarmente: la considerano una stranezza, dovuta a mia madre, “la greca”, come la chiamano ancora. Infatti mia madre era una nobildonna di Costantinopoli. Mio padre se ne innamorò durante la spedizione oltremare, tanto da rapirla e portarla con sé in Terrasanta. Da là tornarono in Provenza quando lei era ormai incinta di me. Mia madre era abituata a una realtà molto diversa e mal tollerava la sporcizia che qui regna sovrana. Io ho ereditato da lei l’amore per la pulizia e una sensibilità agli odori che i miei fratelli non condividono, probabilmente perché hanno conosciuto poco la loro madre, morta quando Pierre aveva solo due anni.

Ci facciamo avanti, cercando di avvicinarci ad Amaury di Rochenoire. Seduto sul suo seggio il conte riceve l’omaggio dei suoi vassalli, che studiano il loro nuovo signore. Circolano molte voci sul suo conto e non è strano: Amaury è tornato appena due settimane fa dall’Oltremare, dove è vissuto per vent’anni. In questi due decenni non è mai venuto nella contea, ma la morte del fratello e del nipote lo ha spinto ad abbandonare la Terrasanta e rientrare nel castello di famiglia, per raccogliere l’eredità dei Rochenoire.

Il fratello di Amaury è stato il signore di queste terre per ventisei anni. La sua morte e quella del figlio sono state improvvise, tanto da aver suscitato non pochi dubbi. Si è parlato di una malattia fulminea, che però ha colpito soltanto il conte e l’unico suo erede. Si sussurra che i due nobili siano stati avvelenati. Da chi? Perché? Nessuno è in grado di dare una risposta a queste domande, che non vengono formulate ad alta voce.

Di Amaury, prima del suo arrivo, si diceva che era un grande guerriero, noto per la sua bravura e la sua ferocia. Non so quale fondamento abbiano queste voci: nel percorso da quelle lontane terre in cui si combatte per la fede fino alla Provenza, le notizie tendono ad assumere proporzioni gigantesche. Mio padre spesso rideva di ciò che si sentiva dire: lui che in Terrasanta aveva combattuto tre anni, sapeva che buona parte di ciò che veniva narrato non corrispondeva alla realtà.

Adesso che Amaury di Rochenoire è qui, sono circolate altre voci: dicono che sia scuro come un africano, che vesta con uno sfarzo inaudito, che indossi abiti pregiati e gioielli raffinati. Sono molto curioso di vederlo.

Finalmente riusciamo a scorgerlo. Vedo che ha davvero un colorito molto scuro: vent’anni sotto il sole cocente dell’Oltremare hanno lasciato il segno. Ha capelli neri, lunghi, e una barba corta, in cui si vedono i primi fili grigi. Quanti anni ha? Dovrebbero essere quarantadue, perché mi pare che abbia solo quattro anni in più di me. Indossa una lunga veste nera con raffinati ricami d’oro. Alle dita e al collo ha gioielli preziosi.

Ci sono alcuni vassalli che gli porgono omaggio. Vicino a lui c’è suo cugino, Thibault de Longpré. Alcuni pensavano che la contea sarebbe andata a lui, ma se davvero Thibault lo sperava, il ritorno di Amaury ha mandato in frantumi i suoi sogni.

Non ci potrebbe essere contrasto più forte tra i due cugini. Thibault ha i capelli e la barba bianchi, non per l’età – deve avere un anno o due più di Amaury – ma perché è nato così. La pelle ha un colorito chiarissimo. E, non so perché, Thibault veste sempre di bianco, che accentua ancora il suo pallore. Vedendoli uno accanto all’altro, sembrerebbero un angelo e un diavolo. Non so se Amaury sia un diavolo, ma Thibault non è certo un angelo e la sua purezza è tutta esteriore. È un uomo che mi ispira un’istintiva diffidenza.

Aspettiamo un po’ in disparte il nostro turno, poi ci avviciniamo. Amaury ci guarda. Ha due occhi di un verde intensissimo, lo stesso colore di quelli di sua madre, e una cicatrice alla tempia. Ma a colpirmi, quando sono davanti a lui, è il profumo che emana dal suo corpo. È un profumo molto carico, del tutto diverso dagli odori a cui siamo abituati. Avevo sentito qualcuno parlare del fatto che Amaury si profuma, alla maniera dei principi saraceni. Anche l’abito è di un tessuto raffinato e in effetti la sua destra è carica di anelli: un raggio di sole fa scintillare le pietre preziose.

Gli porgiamo omaggio, io e i miei due fratelli, poi lasciamo il posto ad altri. Quando ci allontaniamo, Raymond sibila tra i denti:

- Profumato come una puttana.

Pierre gli risponde:

- Dicono che sia valoroso, ma a me sembra una femmina.

Preferisco evitare che continuino a commentare: Raymond e Pierre sono troppo pronti a giudicare e poco prudenti. Non conosciamo ancora il nostro nuovo signore e lui non ci conosce: non è proprio il caso di fare osservazioni malevole che qualcuno potrebbe riferirgli.

- Tacete. Qui chiunque potrebbe sentirci.

Raymond scrolla le spalle, irritato, ma tace. Io guardo ancora Amaury. Non è effeminato, questo è certo. Basta guardarlo in faccia per capire che è un maschio forte e coraggioso. Ma l’abito, i gioielli e soprattutto quel profumo... non sembrano gli attributi di un guerriero.

Più tardi, prima che ci sediamo per il banchetto, faccio in modo di avvicinarmi ancora a lui. Sento nuovamente il suo profumo. Inspiro a fondo. Guy di Cahors se ne accorge e mi sussurra:

- Muschio, un’essenza rara e preziosa.

C’è parecchia gente intorno a noi e preferisco essere prudente, per cui mi limito a dire:

- So che nell’Oltremare questi profumi sono molto in voga.

- Sì, i signori franchi hanno imparato a usarli dai saraceni.

 

Il banchetto è sontuoso: non è la prima volta che mangiamo nel castello dei Rochenoire, ma non mi sembra di aver mai gustato cibi così deliziosi. Uno dei miei vicini dice che Amaury ha portato con sé dalla Terrasanta numerosi servitori, tra cui di certo almeno un cuoco. Dev’essere senz’altro così.

La tavola a cui siedo non è lontana da quella di Amaury: non siamo i suoi vassalli più importanti, ma occupiamo una buona posizione. Io lo guardo. È davvero un uomo notevole. I nostri sguardi si incrociano ed io fingo di guardare altrove. Poi però lo fisso di nuovo. Lui gira gli occhi nella mia direzione e mi sorride.

Rimango confuso. Non so bene che cosa pensare. Amaury è un uomo affascinante, ma non devo dimenticare che è il mio signore.

Accanto a noi c’è Jean di Trencavel. Grossolano e poco intelligente, va molto d’accordo con i miei fratelli, soprattutto con Raymond.

- Quello lì secondo me si mette il profumo anche nel buco del culo.

Raymond scoppia a ridere, la sua risata roboante. C’è molta animazione nella sala, ma diversi guardano nella nostra direzione. Io lancio un’occhiataccia a Raymond, poi dico a Jean:

- Faresti meglio a stare zitto, Jean.

Lui coglie il tono di minaccia nella mia voce. Scrolla le spalle, irritato, ma non dice più nulla sull’argomento. Io preferisco non guardare dalla parte di Amaury per un po’, ma poi i miei occhi ritornano a posarsi sul tavolo del conte e i nostri occhi si incrociano altre volte. Amaury mi sorride, un sorriso appena accennato, tanto che mi chiedo se non sia solo una mia impressione, ma so che non lo è.

Il vino circola abbondante e i miei fratelli sono un po’ alticci, come gran parte dei commensali. Jean, ormai mezzo ubriaco, dice:

- Chissà come sono morti il conte Robert e il giovane Martin. Dicono che oltremare sappiano usare veleni che non lasciano tracce.

- Jean!

Jean abbassa il viso, a nascondere un ghigno. L’idea di Jean è assurda: Amaury era oltremare. Come avrebbe potuto far avvelenare il fratello e il nipote? Qui non poteva contare su nessuno, dopo tutti questi anni di assenza.

Jean riprende la coppa. Se fosse uno dei miei fratelli, gli ordinerei di non bere più, ma non posso farlo. Spero che almeno i miei fratelli non ripetano quello che lui va dicendo. Se qualcuno riferisse al conte queste voci… non oso pensare alla sua reazione.

Non so quanto abbia bevuto Amaury, ma appare perfettamente lucido e padrone di sé. Suo fratello beveva senza freni e quando si ubriacava perdeva il controllo. Una volta offese la figlia del conte di Agen e poco mancò che il padre non sguainasse la spada: fui io a bloccarlo appena in tempo.

Dopo il banchetto si conversa ancora. Thibault di Longpré e François D’Ambon giocano a scacchi, questo nuovo gioco che hanno portato alcuni cavalieri provenienti proprio dall’Oltremare. Thibault è un ottimo giocatore, che sa calcolare ogni mossa. A volte sembra che si sia distratto e abbia commesso un errore, ma poi si scopre sempre che ha previsto tutto e ogni volta è lui a vincere. È un gioco che mi affascina, ma in cui non sono molto bravo.

Mentre seguo la partita, mi si avvicina Amaury. Me ne accorgo dal profumo di muschio, penetrante, che mi stordisce. Mi volto verso di lui, la bocca socchiusa, intontito come se avessi ricevuto un colpo.

- E voi, conte, sapete giocare a scacchi?

- Certo, ho imparato a Gerusalemme. È un gioco molto interessante.

- Vostro cugino è bravissimo. È il miglior giocatore che io conosca in Provenza.

Amaury sorride, senza dire nulla. Dopo un attimo di pausa, mi dice:

- Cavaliere, dopodomani intendo cacciare nella foresta di Gorgedenfer. Se voleste venire con me, ne sarei lieto. Sempre che non abbiate fretta di tornare a Casteldhaut.

L’invito mi sorprende, ma mi fa piacere.

- Molto volentieri, conte. Vi ringrazio dell’onore. Non ho fretta di tornare. Se ci sarà qualche cosa da fare a Casteldhaut, ci penseranno i miei fratelli.

L’ho detto subito, perché preferisco che Pierre e Raymond non ci siano. Sono troppo rozzi: nati dieci e dodici anni dopo di me, hanno perso la madre presto e sono stati allevati da mio padre, che la vedovanza aveva incattivito. Io non sono certo elegante: sono più a mio agio in battaglia o a caccia che in una danza, ma credo di sapermi comportare in società.

Amaury sorride:

- Benissimo. Vi fermerete qui e domani pomeriggio partiremo per la casa di caccia di Gorgedenfer.

Non ha detto che l'invito valeva anche per i miei fratelli. Probabilmente ha capito che tipi sono e non ci tiene ad averli tra i piedi.

La partita si è conclusa mentre parlavamo. E Thibault, che come sempre ha vinto, chiede ad Amaury:

- Conte, vi ho sentito parlare di caccia. È vero quanto dicono, che per divertirsi alcuni signori franchi oltremare organizzano grandi battute di caccia in cui la preda è un uomo?

Amaury scuote la testa.

- Uno dei signori del regno lo ha fatto alcune volte, ma di certo non è un uso comune.

- Dicono che l’uomo venga liberato nudo e venga poi inseguito dai cani. Quando i cacciatori lo raggiungono, lo uccidono e lo lasciano sbranare dalla muta.

- Vi dico che conosco solo un signore che ha organizzato cacce del genere. C’è ben altro da fare, in Terrasanta.

Amaury mi sembra un po’ infastidito dalla curiosità di Thibault, che però non demorde:

- Avete mai partecipato a una di queste cacce, conte?

Amaury sorride e dice:

- Se desiderate provare l’ebbrezza di queste cacce, ne organizzeremo una qui e voi potrete fare da preda, cugino.

Tutti ridono. Qualcuno, che non ha seguito il dialogo, chiede che cosa ha provocato l’ilarità. In realtà Amaury ha eluso la domanda. Thibault sorride e non dice più nulla. C’è qualche cosa di inquietante nel suo sorriso.

 

Dormiamo nel castello e il mattino i miei fratelli sono tra i primi a ripartire. Pierre è un po’ irritato perché non è stato invitato. A Raymond non importa. In mattinata lasciano il castello tutti gli altri ospiti. Mi rendo conto che sono l’unico cavaliere a essere stato invitato e questo mi fa piacere, ma mi turba anche. Ripenso allo scambio di sguardi di ieri e mi chiedo perché sono l’unico ospite. Sono uno dei tanti signori che hanno giurato fedeltà ad Amaury di Rochenoire, ma non primeggio né per titolo, né per età o per valore. Che cosa ha spinto il conte a concedermi questo onore?

Quando gli ultimi ospiti sono partiti, Amaury mi si avvicina, sorridente. Risento il profumo di muschio, intenso e penetrante, che lo avvolge. E come ieri questo aroma mi stordisce.

- Prenderemo un pasto leggero e poi partiremo subito per Gorgedenfer. Ci vogliono alcune ore. Voglio arrivare presto, perché domani ci alzeremo prima dell'alba per la caccia.

Mi sorride e si allontana. Io sono confuso. Il suo discorso era sensato, ma mi è sembrato di leggere in ogni sua parola sottintesi che forse non c'erano. Perché? Credo di conoscere la risposta: quest'uomo mi incuriosisce e mi turba. Dovrei dire che mi attrae. Non lo conosco per nulla, abbiamo scambiato appena poche parole in mezzo agli altri. Eppure mi rendo conto che mi attrae molto.

E se davvero in questo invito c'è quello che sospetto? Lui è il mio signore. Mi troverei a camminare su sabbie mobili, che potrebbero inghiottirmi in qualsiasi momento. Eppure lo desidero. Ho conosciuto carnalmente alcuni uomini, ma sono sempre stati incontri fugaci, in cui a contare era il bisogno più che il desiderio.

Forse non succederà nulla. Dovrei augurarmelo, ma so che in questo caso rimarrei deluso.

A pranzo mi fa sedere accanto a sé. I suoi funzionari mangiano a un altro tavolo. Risento il suo profumo, più forte degli aromi delle vivande che vengono servite. E mentre mangiamo, mi chiede di me e della mia famiglia. Rispondo alle sue domande, cercando di dirgli ciò che desidera sapere, senza dilungarmi: non voglio che mi giudichi né scostante, né troppo loquace. Anch'io gli chiedo dell'Oltremare e dei baroni di cui ho sentito parlare, come il grande Denis di Rougegarde, che Amaury ammira incondizionatamente.

Dopo il pasto partiamo per Gorgedenfer, inoltrandoci tra le colline. Il calore è opprimente, ma quando infine raggiungiamo i contrafforti delle Alpi, mentre il sole si abbassa, l'aria è più fresca.

La residenza di caccia dei conti di Rochenoire è una casa-torre di tre piani. Tutto è pronto per accogliere il conte. Dopo una cena leggera, Amaury dice che è meglio coricarsi, anche se il sole è appena tramontato: è la fine di maggio e i giorni sono lunghi. Un servitore ci accompagna alla camera padronale, al primo piano, dove è pronto un grande letto. Il cielo non è ancora completamente buio e dalla finestra entra abbastanza luce perché non sia necessario accendere una candela o una lampada.

- Riposeremo qui questa notte. Ci alzeremo molto presto domani.

Osservo il letto. Non è insolito che il conte faccia dormire il suo vassallo accanto a sé in una casa di caccia: l'alternativa sarebbe farlo dormire tra la servitù. Ma io vedo in questo letto una conferma dei miei presentimenti.

Il conte congeda il domestico. Sorride e mi dice:

- Spero che la sistemazione sia di vostro gradimento.

Lo guardo in faccia e dico, senza sorridere:

- Lo è, conte. Pienamente.

Lui mi osserva un momento. Sembra cercare di leggermi in volto che cosa penso. Annuisce.

- Volete che faccia chiamare il vostro servitore per aiutarvi a spogliarvi?

Abitualmente nessuno mi aiuta a svestirmi, mi sembrerebbe assurdo. So che i re e alcuni grandi signori si fanno assistere dai servitori, ma io sono abituato a fare da me. Ho portato con me Boson, ma non certo perché mi aiuti a spogliarmi.

- Mi svesto sempre da solo.

- Anch'io.

E con queste parole Amaury incomincia a spogliarsi, senza dire più nulla. Si toglie gli abiti e li appende a un'estremità della grande sbarra. Io lo imito, mettendo i miei all'altra estremità. Amaury si toglie le brache, dandomi le spalle, e rimane nudo. Io sto per fare altrettanto, ma mi blocco a guardare il suo culo, snello e muscoloso. E di colpo mi rendo conto che il sangue sta affluendo all’uccello.

Mi mordo il labbro. Non so che fare. Non posso finire di spogliarmi e farmi vedere così, il cazzo in tiro. Ma non posso neppure tenere le brache per dormire.

Amaury si volta e mi sorride.

- Non finite di spogliarvi, cavaliere?

Mi sembra che ci sia una nota di canzonatura nel tono della sua voce. Mi riscuoto e, come faccio in battaglia, decido di affrontare direttamente la difficoltà. Con un gesto deciso mi calo le brache e le appoggio sulla sbarra. Lo sguardo di Amaury si posa sul mio ventre. Forse c'è un leggero sorriso sul suo viso.

- Corichiamoci.

Amaury si stende ed io mi sdraio di fianco a lui. Posso sentire il suo profumo, l'essenza di muschio mescolata a un leggero odore di sudore. Per un momento rimango immobile, ma poi tendo il braccio e la mia mano sfiora il petto di Amaury, scivola tra i peli del torace. Amaury non si sottrae. E allora la mano scende, con una carezza più decisa, fino al ventre, dove il pelame è più folto. Indugio un attimo e poi poso le dita sul suo cazzo, che si tende. Allora mi giro su un fianco e osservo Amaury. È bello, il mio signore, di una bellezza maschia.

Amaury mi attira a sé e le nostre bocche si incontrano. Sento, ancora più forte, il suo profumo, mentre la mia lingua si spinge nella sua bocca e le mie mani lo accarezzano e lo stringono con forza. Mi dico che sto scopando con il mio signore. Mi piace il mio signore. Mi piace il suo corpo vigoroso ed elegante. Mi piace il suo viso. Mi piace lui. E poi il desiderio cancella ogni pensiero.

Amaury lascia che io lo volti, mettendolo prono sul letto. Io mi stendo su di lui, gli stringo il culo, gli accarezzo i fianchi e le spalle, gli passo la mano tra i capelli. Poi mi sollevo e lo guardo. È davvero bello il mio signore, maschio e forte, ma snello e aggraziato. È bello il suo culo. E mentre lo penso le mie mani stringono con forza la carne, afferrano le natiche, le divaricano, mostrando l’apertura. Il desiderio che brucia dentro di me mi spinge a proseguire, senza chiedermi se mi perderò. Sputo con delicatezza sul buco, spargo la saliva con due dita. Sputo ancora sul palmo della mia mano, inumidisco la cappella. Il mio corpo freme di un desiderio che non tollera indugi. Accosto la cappella al buco e, lentamente, spingo in avanti, forzando l’anello di carne. La sensazione del mio cazzo che affonda nel suo culo mi strappa un gemito di puro piacere. Chiudo gli occhi e avanzo ancora, finché non sono tutto dentro e i miei coglioni battono contro il suo culo. Assaporo il momento e poi, spinto dal desiderio che mi incalza, incomincio a muovermi avanti e indietro, affondando il cazzo dentro il culo di Amaury e poi ritraendomi. Le mie mani scivolano sulle natiche, passano davanti, la sinistra gli stringe i coglioni, la destra gli accarezza il cazzo, che si tende. Non sono delicato: il desiderio è troppo violento e mi trascina, le mie carezze sono brutali, eppure mi sembra di sapere che questo è ciò che vuole Amaury. Sento la tensione diventare intollerabile e infine sciogliersi in una serie di spinte selvagge, mentre le mie mani stringono con violenza. Amaury geme due volte e il suo fiotto prorompe. Rimaniamo così, abbracciati, le mie mani che gli stringono il cazzo e i coglioni, la mia arma piantata nel suo culo, il mio capo sulla sua nuca, da cui emana l’odore di muschio.

 

 

II

 

- Cavaliere, è ora che ci alziamo.

Le parole di Amaury mi destano dal sonno in cui sono sprofondato dopo i nostri amplessi: ieri sera l’ho preso due volte ed è stato un piacere intensissimo, che mi ha lasciato appagato ed esausto; quando la nostra stretta si è sciolta, il sonno mi ha avvolto immediatamente. Mi stupisce che mi chiami cavaliere, che si alzi e si rivesta per la caccia, senza un cenno a quanto è successo tra di noi. In qualche modo mi aspettavo che avremmo ripreso i giochi di ieri sera, pensavo che la caccia fosse soltanto un pretesto per poter rimanere da soli. Mi chiedo se invece non sia tutto concluso. Forse ieri sera sono stato maldestro, troppo violento: il desiderio incalzante mi ha reso poco attento a lui. O forse è stato solo un incontro dei corpi da dimenticare al più presto: il signore si è fatto possedere da un uomo inferiore per rango, un suo vassallo. E ora quanto è avvenuto va cancellato. È naturale che sia così: non ci conosciamo. Amaury ha capito che sono attratto da lui, ha intuito la mia disponibilità, ha colto l'occasione e adesso mi ricorda che siamo qui per la caccia e che io sono solo un suo vassallo.

Mi alzo. Amaury sta svuotando la vescica. Io guardo il suo corpo nudo. Lo desidero, ma se per lui è tutto concluso, allora non mi resta che adeguarmi. Mi porge il recipiente e anch'io piscio. Poi lui si avvicina e mi bacia sulla bocca. La sua lingua scivola tra le mie labbra che si schiudono per accoglierla. Io sorrido, di colpo mi sento felice.

Amaury si stacca e incomincia a vestirsi. Io lo guardo, mentre il desiderio si drizza. Lui si volta e sorride.

- Dopo, Eudes.

È la prima volta che mi chiama per nome.

Fuori si sentono le voci dei servitori e i latrati dei cani. Tutto dev'essere pronto per la caccia.

Il mattino è fresco: le montagne sono vicine.

Saliamo sui nostri cavalli. Boson mi porge la lancia e mi chiede se ho bisogno di qualche cosa. No, sono a posto, sto bene così. Sto bene come non sono mai stato.

La foresta si inerpica lungo il fianco della montagna e noi procediamo, seguendo i cani. Presto essi fiutano la preda e si slanciano in una corsa frenetica. Noi gli andiamo dietro a cavallo, ma il bosco diviene troppo fitto e la parete impervia, per cui dobbiamo smontare. Affidiamo i cavalli ai servitori. Amaury intima ai suoi di attenderlo e ci slanciamo dietro la muta. I cani corrono veloci e noi cerchiamo di non lasciarci distanziare. Ora latrano ferocemente. Quando li raggiungiamo, li vediamo intorno a un maestoso cinghiale, addossato contro una parete verticale. L'animale assediato scatta, cercando di colpire con le zanne i suoi tormentatori, ma essi si ritraggono, senza smettere di abbaiare minacciosi.

Amaury si avvicina ed io lo seguo. Vedendoci, il cinghiale si appresta a caricare, ma quando scatta Amaury trafigge con la lancia il petto dell'animale. Il cinghiale grugnisce di dolore e si abbatte al suolo. Con fatica si rialza, ma lo colpisco alla gola. Cade di nuovo e scivola ai nostri piedi.

Amaury mi guarda, sorridendo. E il desiderio si accende in me. Mi avvicino. Ora il suo viso è a una spanna dal mio, posso vedere la pelle umida di sudore, le goccioline sulla fronte. Abbiamo corso come dannati inseguiti dai diavoli e siamo tutti e due gocciolanti. Mi piace questo forte odore di sudore, in cui si sente appena una traccia del profumo di muschio.

- Lascio la preda ai cani... e poi ti prendi la tua, di preda.

Annuisco, senza dire nulla. Sono io a essere preda di un desiderio che mi toglie il fiato e mi impedisce di parlare, un desiderio tanto forte da spaventarmi.

Amaury fischia e i cani si avventano sul cinghiale, incominciando a sbranarlo. Io mi spoglio con gesti bruschi, quasi rabbiosi. Se Amaury si sottraesse ora, credo che lo prenderei con la forza, rischiando di farmi sbranare dai cani, come il cinghiale.

Mentre lo guardo, mi chiedo se non sono vittima di un sortilegio: dicono che in Oriente vi siano incantatori capaci di ogni stregoneria. Non ho mai dato peso a queste dicerie, più adatte a vecchie contadine che a un guerriero, ma ora la violenza del desiderio che provo mi disorienta.

Amaury sta guardando il pasto dei cani. Io mi avvicino, lo afferro, gli sollevo la tunica e gli calo le brache, lo schiaccio contro una roccia, senza che lui opponga resistenza. Mi stendo su di lui, aspirando l'odore intenso di sudore, il suo odore di maschio. E, quasi immergessi una lancia nel corpo di un cinghiale o di un nemico, spingo il cazzo contro l'apertura e penetro dentro di lui, con forza, quasi con ferocia. Amaury sussulta, ma non mi dice di ritrarmi. Spingo vigorosamente, avanzando e ritraendomi, come se affondassi una spada nel corpo di un nemico che odio. Spingo e il piacere mi invade tutto, un piacere che sa del suo sudore, dei suoi gemiti, del calore della sua pelle.

Il desiderio mi travolge. Mi rendo conto che lo sto prendendo come un animale. Non riesco a controllarmi. Aspiro questo aroma di maschio e spingo con violenza. Le mie mani percorrono il suo corpo in carezze che sono feroci, in cui non c’è tenerezza, ma solo un desiderio di possesso. Non sono padrone di me, sono solo una bestia in calore che soddisfa il suo bisogno. Con un’ultima serie di spinte brutali vengo dentro di lui, con un grido, perché il piacere è troppo intenso per riuscire a non gridarlo. Rimango su di lui, sento ancora l’odore del suo sudore e, mentre riemergo dai flutti che mi hanno trascinato lontano, penso che l'ho preso come un animale, lasciandomi guidare solo dal mio desiderio, del tutto indifferente a lui.

Mi sollevo, uscendo da lui.

Lui si alza. Si volta verso di me e mi dice:

- Siete alquanto irruente, cavaliere.

Chino la testa. Mi vergogno di non essermi saputo controllare. Ma lui mi prende il viso tra le mani e lo solleva. Avvicina la sua bocca alla mia e ci baciamo. Poi lui mi dice:

- È stato bello anche così, Eudes.

Poi mi mette le mani sulle spalle e mi forza a inginocchiarmi. Ho davanti a me il suo cazzo, che non è rigido, ma è già gonfio di sangue. Avverto ancora il penetrante odore del suo sudore. So che cosa vuole. Non ho mai succhiato un cazzo, ma prendo in bocca il suo senza esitare. Gli metto le mani sui fianchi. Incomincio a succhiare e leccare. Sento il suo cazzo crescere e acquistare consistenza.

Amaury mi mette una mano sui capelli, in una carezza che diventa una stretta vigorosa quando la mia bocca lo avvicina al piacere. E infine sento la scarica del suo seme, che inghiotto. Rimango fermo, in bocca il suo cazzo che perde consistenza, nelle nari l’aroma del suo sudore.

 

III

 

Dopo aver raggiunto i battitori, ci dirigiamo verso Rochenoire. Amaury parla appena e io rispetto il suo silenzio. Mi vergogno della mia irruenza e nuovamente ho paura che mi allontani da sé.

Arriviamo al castello nel pomeriggio. Mi chiedo se non sia meglio che io mi congedi subito, ma è ormai tardi e non voglio apparire impaziente di partire.

Amaury mi dice:

- Ci vedremo a cena, cavaliere.

Mi inchino e ritorno nella stanza che è stata messa a mia disposizione. Mi lavo e poi mi stendo sul letto. Penso a quanto è successo questa mattina e a ieri sera. Ieri sera? Era soltanto ieri sera? Mi è difficile crederlo. Il pensiero del corpo di Amaury incendia il mio di un desiderio violento. Risento il suo profumo di muschio, il suo odore di sudore. Di nuovo la sensazione di essere vittima di un sortilegio. Ripenso che ho succhiato il suo cazzo, ho bevuto il suo seme. Come è possibile? Ma è una domanda priva di senso. Lo rifarei, ora. Quell’uomo mi ha catturato in una rete da cui non posso uscire. Da cui non voglio uscire. Non desidero altro che essere sua preda.

Ceniamo con alcuni dei suoi uomini di fiducia. Dopo il pasto, un trovatore canta alcune canzoni. Una di esse parla del passaggio oltremare, un’altra d’amore.

Non posso, neanche a volerlo,

lasciare la mia dolcissima amica;

così mi duole,

quando non vuole amarmi,

né le mie pene ricompensare.

Ahimè! Non posso vivere senza di lei…

Mi sembra di non poter vivere senza di lui, senza quest’uomo che due giorni fa non avevo mai visto. Sono impazzito? Sono davvero preda di un sortilegio? Come è possibile?

Mi chiedo che cosa farà il mio signore. Mi congederà?

Amaury sembra quasi aver colto i miei dubbi, perché dopo cena, quando abbandoniamo la tavola, mi sorride e mi dice:

- Avete fretta di tornare a Casteldhaut, cavaliere?

Di solito non rimango a lungo lontano da Casteldhaut, ma non ho nessuna ragione per rientrare subito e in questo momento una cosa sola mi preme: Amaury di Rochenoire, il mio signore.

- No, conte. Non ho impegni urgenti.

- Se è così, vi sarei grato se vi fermaste da me alcuni giorni. Ho piacere di conoscere meglio i miei vassalli.

Sul suo volto aleggia un sorriso, forse ironico. Poi Amaury aggiunge, senza più sorridere:

- E ho bisogno della loro esperienza per conoscere meglio questa terra, da cui manco da vent’anni.

- Sarò lieto di fermarmi.

Sorrido e aggiungo:

- E di conoscere meglio il mio signore.

Amaury mi guarda. Non sorride con la bocca, ma negli occhi c’è una scintilla ironica.

- Benissimo.

Passiamo in una saletta. Amaury mi fa cenno di sedermi e mi dice:

- Parlatemi della vostra famiglia.

Racconto ad Amaury un po’ di storia dei signori di Casteldhaut e gli parlo brevemente dei miei fratelli, dicendo che sono entrambi sposati e che Raymond ha due figli maschi.

- E voi non siete sposato, cavaliere.

È un’affermazione, non una domanda.

- No, conte.

- Se vi proponessi io una moglie?

Rimango disorientato e non lo nascondo. Lo guardo, ma non c’è traccia di ironia sul suo viso. Rispondo:

- Valuterei la vostra proposta, conte.

Amaury annuisce, un vago sorriso sul viso, forse beffardo. Poi cambi argomento:

- Che ne dite invece di mio cugino, Thibault di Longpré?

La domanda mi sorprende. Istintivamente mi metto sulla difensiva. È il suo parente più prossimo, perché chiede a me?

- È un uomo molto intelligente e abile, capace di ottenere sempre ciò che vuole. Un uomo che è meglio avere come alleato che come nemico.

Amaury annuisce, come se si fosse aspettato una risposta di questo tipo. Poi mi dice:

- Un uomo pericoloso, quindi.

- Per coloro che intralciano i suoi progetti, senz’altro.

Amaury chiede altre informazioni sulla situazione della contea ed io mi sforzo di rispondere nel modo più completo possibile, anche se c’è un’unica domanda che vorrei sentire, una richiesta o un invito o un ordine. Quella domanda non viene e man mano che il tempo passa e si avvicina l’ora di andare a dormire, mi sento sempre più impaziente. Mi ha trattenuto al castello solo per questo?

Quando infine è ora di coricarsi, scopro che Amaury mi ha fatto preparare la camera vicino alla sua. Mi sembra un segno favorevole, ma Amaury mi augura la buonanotte e scompare nella sua stanza. Mi siedo sul letto, di colpo svuotato di ogni energia. Ripenso a questa mattina, alla furia con cui l’ho posseduto. Sono stato una bestia. Il desiderio mi ha accecato. Amaury ne ha avuto abbastanza. Ma allora perché mi ha trattenuto al castello? Solo perché gli dessi qualche informazione?

Mi stendo, nervoso e irritato con me stesso. Il sonno mi avvolge in fretta: questa mattina ci siamo alzati presto e la giornata è stata intensa.

 

A svegliarmi è una voce che mi chiama.

- Cavaliere!

Mi metto a sedere di colpo. Dalla finestra filtra un po’ di luce e posso vedere Amaury davanti a me, nudo. Mi sorride.

- Volete riprendere i nostri giochi, cavaliere?

- E me lo chiedete, conte? Sì, più di ogni altra cosa al mondo.

La mia irruenza lo fa sorridere.

- Oggi però guiderò io la cavalcata.

Mi chiedo se non voglia prendermi. Nessun uomo l’ha mai fatto. Ma mi rendo conto che non gli direi di no e questa consapevolezza provoca in me una sensazione di smarrimento.

Amaury mi dice:

- Stendetevi di nuovo, sulla schiena.

Io mi stendo come lui mi ha indicato. Amaury sale sul letto e si siede sul mio ventre. Il cazzo mi si irrigidisce subito. Amaury mi accarezza il petto e il viso, le sue dita giocano con la mia barba e i miei capelli. Mi sorride, si china su di me e mi bacia sulla bocca. Io spingo la lingua tra le sue labbra.

Amaury muove il culo, strisciandolo avanti e indietro sul mio ventre, e il sangue affluisce impetuoso: sento di essere sul punto di venire. Ma Amaury interrompe il suo movimento, si solleva un po’, si sputa nella mano, mi inumidisce la cappella, poi mi afferra il cazzo e lo tiene in verticale, mentre si abbassa, impalandosi. Quando sento il mio cazzo entrargli in culo, quasi urlo.

Amaury continua ad abbassarsi, finché il mio cazzo non è per intero dentro di lui. Rimane un momento così, guardandomi e sorridendo. Le sue mani scivolano ancora sul mio corpo, tormentano i peli sul petto, strizzano i capezzoli. Poi una scivola indietro e scende dietro il suo culo, fino ad afferrarmi i coglioni, in una stretta energica. Gemo, ma è puro piacere.

Amaury stringe ancora un po’, poi lascia la sua preda e si solleva, lentamente. Le sue mani mi scorrono sul ventre e sul torace, stringono con più forza i capezzoli. Amaury si china su di me e ci guardiamo negli occhi. Io non so leggere nei suoi: quest’uomo, che desidero con tutto me stesso, mi appare impenetrabile. Non so che cosa lui legga nei miei, ma sorride. Poi si solleva e riprende il suo movimento. Va avanti a lungo, molto a lungo, fermandosi a tratti, quando avverte che sono sul punto di venire: non so come faccia a coglierlo, ma ci riesce. Io vorrei gridargli di non smettere, perché il desiderio mi brucia nel ventre, ma mi mordo il labbro e taccio. Le mie mani accarezzano il suo culo, poi passano sotto i coglioni e stringono il cazzo, ormai duro.

Proseguiamo così, io in preda a una tensione che mi fa impazzire, lui apparentemente tranquillo, nel suo movimento che ogni tanto si interrompe, rinviando il momento che tutto il mio corpo attende.

Infine il moto diventa più veloce. Io sento che dai miei coglioni il seme sgorga copioso e si scaglia dentro Amaury. Il conte emette un gemito sordo e il suo seme schizza in alto, ricadendo sul mio torace. Uno schizzo raggiunge il mio viso. Lo sento sulle labbra e sul mento.

Mi passo una mano sul torace, raccolgo il seme e lo porto alle narici. L’ho gustato, ieri mattina. Oggi ne sento l’odore.

Non mi sembra di essere mai stato così bene come in questo momento.

 

Passano alcuni giorni. La notte, al momento di coricarsi, o all’alba, i nostri corpi si incontrano. Di giorno spesso l’accompagno quando esce dal castello, ma parliamo quasi solo della contea. Nessun accenno a ciò che accade nella sua camera o nella mia.

 

È una settimana che sono arrivato qui. Non voglio essere un ospite invadente. A Casteldhaut c’è certamente da fare e sui miei fratelli posso contare solo fino a un certo punto. Ma devo farmi forza per chiedere ad Amaury:

- Conte, avete ancora bisogno di me?

Amaury mi guarda.

- Avete piacere di tornare a Casteldhaut?

- Se non vi dispiace, sì, perché vorrei controllare come vanno le cose.

- Capisco. Spero che questa lontananza da casa non vi sia pesata.

Lo guardo, perplesso.

- Sono stato benissimo qui. Spero di avere ancora il piacere di tornare.

Amaury annuisce.

- Se lo desiderate, senza dubbio.

- Lo desidero, conte...

Non so bene come continuare. Le mie parole suonano false. Forse avrei dovuto parlargliene questa notte, dopo che ci siamo amati. In quei momenti la distanza che esiste tra di noi si riduce. Adesso, anche se non ci sono altre persone nella stanza, siamo il conte e un suo vassallo.

Le parole di Amaury sciolgono il mio imbarazzo.

- Eudes, se ascoltassi il mio desiderio, ti ordinerei di rimanere, ma capisco che tu abbia da fare.

- Conte, null’altro vorrei che rimanere qui per sempre.

Mi vergogno di queste parole, avventate, eccessive. Ma sono sincere.

- Allora tornerete tra una settimana. Va bene?

 

Il mattino, prima di partire, ci amiamo ancora. La mia mano sinistra guida Amaury al piacere. Non mi lavo quando mi alzo: voglio conservare l’aroma del suo seme.

Poco dopo essere uscito dal castello, incrocio Thibault di Longpré.

- Buongiorno, cavaliere. Siete stato ospite di mio cugino il conte?

Vorrei negare, vorrei che quest’uomo non avesse niente a che fare con il rapporto tra me e Amaury, ma non posso certo mentire: è evidente che vengo dal castello e, data l’ora, che vi ho trascorso la notte.

- Sì, cavaliere. Voi lo sarete oggi, suppongo.

- Vengo per una breve visita. Ripartirò quanto prima.

Ci scambiamo un saluto e ognuno prosegue per la sua strada, ma l’incontro mi ha creato un forte senso di disagio, senza che io sappia spiegarmi il perché. Solo cavalcando nel bosco il pensiero di Thibault svanisce. La mente ritorna ad Amaury. Tengo le briglie con la destra e ogni tanto annuso le dita della mia mano sinistra. Hanno l’odore del suo seme.  

 

IV

 

Sono tornato una settimana fa a Rochenoire. Amaury ed io abbiamo dormito nello stesso letto e ci siamo amati ogni notte.

A svegliarmi è lo scroscio del getto di piscio di Amaury, che si è destato prima di me. Mi alzo e svuoto anch’io la vescica. Penso che in mattinata partirò per Casteldhaut e il pensiero mi provoca una fitta, ma so che devo farlo: è necessario che mi occupi delle mie terre e soprattutto dell’amministrazione della giustizia, perché è un compito per cui non posso fidarmi dei miei fratelli. E non voglio imporre la mia presenza ad Amaury: lui stesso, quando mi ha invitato, ha parlato di una settimana.

Amaury mi sorride.

- Prima che tu parta, ti insegnerò un uso che ho appreso oltremare.

- Ditemi.

- Stenditi sul letto.

Mi sdraio supino.

- No, sulla pancia.

Amaury prende una boccetta di un liquido che sembra olio e se lo versa sulle mani, poi incomincia a farle scorrere lungo il mio corpo. Le sento accarezzare vigorosamente le mie gambe, risalire fino al culo, poi ancora lungo la schiena. Raggiungono il collo, scivolano sulle spalle e ridiscendono lungo le braccia. Sento un odore che non conosco, intenso e piacevole. Amaury si accorge che sto annusando questo aroma e mi dice:

- Cannella. Una spezia orientale, rara e pregiata. Un olio alla cannella è ideale per un buon mass.

- Mass?

- Così gli arabi chiamano queste pratiche, in cui sono abilissimi.

Le mani di Amaury continuano a muoversi sulla mia pelle. Ora premono di più. Amaury prosegue:

- C’era un negro che sapeva fare dei mass splendidi.

Non so come fossero i mass di quel negro, ma Amaury, le cui mani aperte ora battono contro la mia pelle, mi sembra abilissimo. Sono sensazioni molto piacevoli. Ora le mani si muovono con movimenti circolari, poi ritornano a scorrere in lunghe carezze. Ogni tanto Amaury sparge un po’ di olio sul mio corpo e l’odore di cannella diviene più forte. Le dita di Amaury scivolano lungo il solco, indugiano sull’apertura, esercitando una leggera pressione. Mi chiedo se non voglia prendermi. Anche se nessun uomo lo ha mai fatto, so che non mi negherei. E le carezze delle sue mani hanno risvegliato il desiderio in me. Le sue dita scorrono sulla mia pelle, risalgono e ridiscendono e nuovamente premono contro l’apertura. Schiudo le labbra e trattengo un gemito. Mi attendo che vada oltre, ma dopo aver nuovamente accarezzato e stimolato, Amaury mi dice:

- Ora voltatevi, cavaliere.

Amaury a volte mi chiama per nome, a volte si rivolge a me in modo più formale, anche in situazioni come questa.

Quando mi giro, Amaury può vedere l’effetto del mass. Non si stupisce e prosegue con la sua opera: le mani stringono i miei piedi, poi risalgono lungo le gambe fino al ventre. Lo accarezzano più volte, provocando un ulteriore irrigidirsi del cazzo. Poi scivolano sul torace, fino al collo, che cingono. Amaury ripete più volte l’operazione, variando l’intensità e la direzione dei movimenti, ma arriva il momento in cui il desiderio non può più essere contenuto e quando le sue dita mi sfiorano in una carezza, spando il mio seme.

Amaury mi porge un panno con cui mi pulisco e poi si stende al mio posto.

- Prendete la boccetta e versatevi un po’ di olio alla cannella sulle mani.

Non so come muovermi, ma Amaury mi guida. È bellissimo far scorrere le mie mani sul suo corpo, sentire il calore della sua pelle e il profumo della cannella.

Amaury mi dice come muovermi e ogni tanto aggiunge qualche commento.

- Bisogna usare le sostanze giuste per un mass. E bisogna essere ben sicuri di chi lo fa.

- Perché? Può provocare qualche danno?

Non vedo davvero come queste piacevoli carezze, per quanto a tratti energiche, possano far male a qualcuno.

- Ci sono sostanze che, mescolate all’olio, possono penetrare attraverso la pelle e dare la morte, cavaliere. Offrirei volentieri un mass di questo tipo a un bianco cavaliere…

È a Thibault che pensa, ne sono certo, ma non dico nulla.

Amaury ride e aggiunge:

- Ma voi non dovete temere: la cannella non è un veleno.

Amaury si volta e ora le mie mani percorrono il suo corpo, mentre i miei occhi lo contemplano, affascinati. Le mie carezze hanno ottenuto lo stesso effetto delle sue, ma anch’io sono nuovamente eccitato. E prima che io concluda, Amaury mi ferma e si stende nuovamente sul ventre.

- Ora usate un altro attrezzo per un mass in profondità cavaliere.

Rido, mentre mi stendo su di lui. Affondo la mia arma, che entra senza fatica, grazie all’olio sparso in abbondanza. E mentre cavalco questo splendido destriero, sento l’odore di cannella avvolgermi. Le mie mani ancora accarezzano e stringono, la mia bocca bacia la nuca di Amaury, i miei denti gli mordono una spalla, la mia lingua scivola dietro l’orecchio.

E infine vengo dentro di lui. Il suo gemito mi dice che anche lui è venuto. Mi abbandono sul suo corpo, respirando la fragranza della cannella.

 

V

 

Dal guado osservo il castello di Rochenoire, appollaiato in cima allo sperone roccioso che domina la valle. Costruito nella stessa pietra scura, merita davvero il suo nome. E Amaury, che avvolge in abiti neri il suo magnifico corpo dalla carnagione scura, ne è il degno signore. Signore di Rochenoire e signore di me, della mia anima e del mio corpo. Mi ha completamente soggiogato.

Sono già venuto diverse volte alla residenza del conte, in questi ultimi due mesi. Abitualmente vi trascorro circa una settimana: di fatto divido il mio tempo tra Casteldhaut e Rochenoire. Ormai in giro si dice che sono il vassallo in cui ha più fiducia e il suo consigliere preferito. La mia assiduità ha destato qualche mugugno in coloro che erano nelle grazie del conte precedente, il fratello maggiore di Amaury, e parecchia invidia tra tutti i vassalli.

La realtà è diversa. Di rado Amaury mi mette a parte dei suoi progetti. Mi chiede spesso che cosa penso di alcuni notabili e di ciò che succede, ma gli serve per formarsi un quadro più completo della situazione e sono certo che pone le stesse domande anche ad altri. Da ognuno ricava informazioni che gli permettono di conoscere meglio la contea di cui è signore e coloro che vi abitano.

Il motivo per cui trascorro tanto tempo qui è un altro. Quello che cerchiamo entrambi non sono i colloqui durante il giorno o le brevi missioni che Amaury mi affida, quanto piuttosto le notti incandescenti che trascorriamo nella sua camera. Quest’uomo mi ha preso completamente e il tempo che trascorro a Casteldhaut, per quanto pieno di attività, mi appare vuoto di significato.

Non so se è stregoneria, ma appartengo ad Amaury, completamente. Mi sembra che la mia vita non abbia senso senza di lui.

Riprendo la cavalcata, impaziente. Ma quando arrivo, mi dicono che il conte non può ricevermi e mi fanno accomodare in una stanza, dove attendo. Amaury mi ha sempre ricevuto subito. Un’unica volta era impegnato, ma il domestico che mi ha accolto mi ha accompagnato nella mia camera. Mi dico che Amaury mi fa aspettare qui perché è occupato, ma conta di liberarsi presto. Tra poco lo vedrò.

Ma Amaury non arriva. Il tempo passa e nessuno si fa vivo. Incomincio a sentirmi inquieto. Vengo lasciato in questa stanza, come un ospite indesiderato, a cui si vuol far capire che avrebbe fatto meglio a non presentarsi.

Man mano che trascorrono le ore, sono sempre più angosciato. A tratti mi dico che si è trovato di fronte a un impegno imprevisto, forse ha dovuto allontanarsi dal castello e non ha pensato che io lo stavo aspettando. A tratti invece mi assale la certezza che Amaury si è stancato di me, che è inutile cercare un’altra spiegazione. Ma perché non dirmelo? Perché questa umiliazione? Provo l’impulso di andarmene, ma non posso farlo, non posso lasciare questo castello senza averlo visto, senza aver sentito dalla sua bocca la mia condanna.

Altre ore passano. Non mi portano neppure da mangiare o da bere. Nessuno si occupa di me. Mi sembra di sprofondare in un pozzo senza fondo. Non è possibile che Amaury non sappia della mia presenza, che i servitori si siano dimenticati di me: obbediscono a un ordine preciso. Amaury mi sta umiliando, deliberatamente. Dovrei lasciare questo castello, per sempre.

Il buio sta calando. Sono qui da questa mattina, nessuno si è preoccupato di me. È possibile che sia successo qualche cosa e che io sia stato davvero dimenticato?

Quando infine la porta si apre, mi aspetto di vedere Amaury, ma è un servitore che mi dice, con un tono in cui non leggo rispetto, che mi accompagnerà in camera. Infine! Amaury mi spiegherà. Di certo c’è qualche motivazione che io non riesco a immaginare.

Il servo però non mi conduce in quella che è stata fino a ora la mia camera al castello, di fianco all’appartamento del conte: si dirige al piano alto, e mi mostra una cameretta più adatta a un servitore che a un cavaliere, senza neppure un camino. Gli chiedo, senza celare la mia irritazione:

- Questa è la camera che mi ha assegnato il conte?

- Sì, cavaliere. Ha detto di condurvi qui.

Sono sul punto di andarmene, anche se ormai è buio: meglio cercarmi qualche locanda che subire questa umiliazione. Ma voglio vedere Amaury, chiedergli spiegazioni, gridargli la mia rabbia, a costo di farmi sbattere fuori dal castello e privare delle mie terre.

Il servitore si inchina ed esce, lasciando una candela accesa.

C’è una brocca di acqua e un po’ di pane: questa è la sontuosa cena che il conte offre a uno dei suoi vassalli, all’uomo con cui ha condiviso il letto! Sono furibondo. Cammino avanti e indietro nella minuscola stanza, come un prigioniero in una cella. La rabbia mi soffoca.

Mi fermo infine davanti al piccolo tavolo e bevo l’acqua per calmare la sete: il conte non mi offre neppure un bicchiere di vino! Mi siedo sul letto e di colpo l’ira lascia il posto a una sorda disperazione. Mi sembra che la mia vita non abbia più senso, che solo la morte possa mettere fine al tormento che mi dilania. Non desidero nemmeno più una spiegazione. Voglio solo farla finita.

Mi spoglio, appendo gli abiti alla sbarra, spengo la candela e mi corico. Sprofondo in una sofferenza tanto forte che mi sembra di soffocare. Non riesco a rimanere a letto. Mi alzo. Rimango in piedi, nudo e ansimante nel buio della stanza, immobile, senza curarmi del freddo pungente.

Infine mi corico, senza riuscire a prendere sonno. Il castello è immerso nel silenzio. Idee folli mi attraversano la mente: prendere la spada, raggiungere la camera di Amaury e ucciderlo; infilarmi la spada nel petto, qui, ora.

La porta si apre ed io mi metto a sedere di colpo. Amaury è davanti a me, una candela in mano e un dito sulla bocca per dirmi di tacere. Volevo urlargli in faccia la mia rabbia, ma adesso che lo vedo davanti a me, provo solo una tristezza senza fine.

- Scusami, Eudes, ma era necessario.

Lo guardo, senza capire.

- Non devi più venire al castello, Eudes. E tutti devono pensare che ti ho umiliato e allontanato.

Le sue parole sono una mazza che mi colpisce in testa e mi annichilisce. Non parlo, mi sembra di non essere più in grado di articolare parole. Aspetto la sua spiegazione, la morte nel cuore. Amaury posa la candela sul tavolo. Si siede di fianco a me sul letto. Avvicina il suo viso al mio e mi bacia. E la mia angoscia si dissolve.

Lo abbraccio e stringo il suo corpo, freneticamente. Le mie mani incominciano a spogliarlo, con movimenti bruschi che tradiscono la mia impazienza: non è il desiderio a rendermi irruente, come dopo la caccia al cinghiale; è la paura di perderlo, sono le sue parole che suonano come una condanna a morte. “Non devi venire più al castello”: ci vedremo altrove, non posso rinunciare a vederlo, a stringerlo, ad amarlo.

E ora voglio farlo mio, per calmare l’angoscia che mi divora.

Amaury non si ribella, mi bacia appassionatamente. Anche lui mi desidera, mi vuole. Gli tolgo gli abiti e mi stacco per contemplare il suo corpo, poi lo afferro e lo stendo sul letto. Mi corico su di lui e lo bacio freneticamente, sulla bocca, sugli occhi, sul petto, sul ventre, sul cazzo. Mi fermo per contemplarlo, poi mi sollevo, lo volto sulla pancia e avvicino la mia bocca al suo culo. Passo la lingua, più volte, poi avvicino la cappella e, con molta delicatezza, spingo in avanti. Sento il mio cazzo che affonda nel suo culo. Procedo fino in fondo, poi mi fermo. Lo stringo, lo accarezzo e solo allora incomincio a muovermi avanti e indietro. La fiamma della candela proietta le nostre ombre sulla parete: un unico animale a quattro zampe, che si muove a un ritmo sempre più rapido. Quando infine vengo dentro di lui, penso che, se dobbiamo separarci, preferisco morire ora, così.

Amaury si riveste e intanto mi parla, pianissimo.

- Ora ascoltami bene, Eudes. Io torno in camera. Domani mattina verrò qui con alcuni uomini e ti umilierò: tu cercherai di reagire, ma i miei uomini ti terranno fermo. Di quello che farò domani si parlerà molto. È necessario. Per salvarti. Non mi chiedere spiegazioni. Guardati solo da Thibault di Longpré. E non tornare più qui.

Non so che cosa intenda fare domani. Non mi importa nulla. Altro è quello che mi preme.

- Non posso rinunciare a vederti.

- Ti metterei in pericolo.

- Amaury! Preferisco morire che rinunciare a vederti.

Amaury riflette un momento:

- Farò in modo che ci possiamo vedere una volta ancora, prima…

Non completa la frase. Vorrei chiedere, ma Amaury si mette un dito sulla bocca, spegne la candela ed esce.

 

Io trascorro la notte quasi completamente insonne.

Poco dopo l’alba mi alzo e mi rivesto. Amaury arriva poco dopo, con quattro dei suoi uomini.

- Prendetelo!

- Che cosa significa?

Gli uomini mi afferrano e mi forzano a inginocchiarmi.

- Cavaliere, avete avuto l’impudenza di venire al mio castello. Vi avevo detto di non rimetterci piede, se non per prestare omaggio quando avessi convocato tutti i miei vassalli. Adesso farò in modo che non ve ne dimentichiate.

Gli uomini mi tengono stretto. Amaury si slaccia le brache e tira fuori il cazzo. Non capisco, se non nel momento in cui il getto di piscio mi prende in pieno. Per un momento sono sbalordito, anche se Amaury mi aveva detto che mi avrebbe umiliato. Poi ricordo che devo reagire e mi dibatto, senz’altro risultato che farmi bagnare ancora di più.

Quando Amaury ha concluso, gli dico, sibilando:

- La pagherete.

Amaury ride, una risata carica di disprezzo, e se ne va.

Gli uomini mi trascinano per il corridoio e le scale, poi attraverso il cortile, fino all’esterno del castello. Lì c’è già il mio cavallo. Un servitore getta la mia spada a terra e gli uomini ritornano indietro.

Impugno la spada e mi volto verso l’ingresso della fortezza, come se volessi slanciarmi dentro. Quattro armigeri mi sbarrano la strada.

Rimango fermo un momento, poi ripongo la spada e salgo a cavallo, fremente.

Mi allontano in fretta, ma quando sono nel bosco rallento l’andatura. Rifletto su quello che è successo. Amaury ha fatto in modo di umiliarmi e allontanarmi. Per salvarmi, ha detto. Lo credo. Ma quale pericolo lo minaccia, per cui deve allontanarmi per salvarmi? Questa è l’unica cosa che conta. Ha a che fare con Thibault, questo è evidente, il bianco angelo del male.

Non so quando lo rivedrò. Non so come farò senza di lui. Mi passo la mano tra i capelli, ancora bagnati del suo piscio. Avvicino la mano al naso. Inspiro. Avverto che il cazzo mi si irrigidisce mentre sento l’odore intenso del suo piscio.

 

VI

 

Disteso sul mio letto, nel buio della camera, penso ad Amaury. Il pensiero di Amaury è diventato la mia ossessione, ho sempre la sua immagine davanti ai miei occhi: gli occhi verdi, le labbra carnose, il naso forte, la cicatrice alla tempia, i capelli neri, la barba che gli incornicia il mento, il suo corpo forte, la peluria sul torace e sul ventre, il suo cazzo vigoroso, i coglioni, il suo culo, quel culo perfetto il cui ricordo incendia il mio corpo.

La mia mano stringe il mio cazzo, teso come una mazza di ferro. In questi giorni il desiderio mi fa impazzire. Amaury torna spesso nei miei sogni e allora io sborro, in un’estasi di piacere. Sono perfino tornato a farmi le seghe, come un ragazzino. Penso a lui in continuazione. Se non lo vedo, finirò davvero per perdere la ragione.

Sono tre settimane che abbiamo interrotto ogni contatto ed io non riesco a capire quale minaccia incomba su di lui.

Tutti hanno saputo che sono stato umiliato e scacciato. Io non faccio mai riferimento all’accaduto, ma chi parla con me si ritiene libero di criticare Amaury. Io mi limito ad ascoltare. Le voci sul presunto avvelenamento di suo fratello e suo nipote si sono diffuse e molti le ritengono vere. Sono convinto che sia stato Thibault a farle circolare. Se Amaury venisse dichiarato colpevole di veneficio, per lui sarebbe la morte.

 

Esco a cavallo. Poco oltre il ponte, un uomo mi ferma per presentarmi una richiesta, mi dice qualche cosa su una lite con un vicino che lascia sconfinare le sue pecore. Di solito chi vuole chiedere qualche cosa viene al castello. Probabilmente l’uomo mi ha visto uscire e ha deciso di aspettarmi vicino al ponte. Gli dico di presentarsi domani, che è uno dei giorni in cui amministro la giustizia.

Lui annuisce e, al momento in cui si congeda da me, mi porge di nascosto un biglietto, sincerandosi che nessuno lo stia guardando.

- Da parte del conte. Leggetelo quando sarete solo.

Annuisco e faccio scomparire il messaggio.

Ho bisogno di leggerlo al più presto, mi sembra di non poter attendere, ma non voglio che qualcuno mi veda. Mi allontano dal villaggio e mi inoltro in un bosco. Mi guardo intorno e, sinceratomi che non ci sia nessuno, apro il biglietto. Sono tanto impaziente che le dita mi tremano.

Il testo è di poche righe:

Recatevi il giorno di San Bartolomeo all’abbazia di Senhanca. Distruggete questo biglietto e non dite a nessuno che contate di vedermi.

Amaury sarà all’abbazia quel giorno. Finalmente ci ritroveremo.

 

Sono stato solo due volte a Senhanca, anche se non è lontana da Casteldhaut: la posso raggiungere in tre ore a cavallo. È una comunità di monaci, fondata da ecclesiastici provenienti da Mazan. È cresciuta molto in questi anni e oggi è il principale centro religioso della regione. La chiesa è stata consacrata pochi anni or sono e stanno costruendo nuovi edifici per ospitare i monaci, sempre più numerosi.

Arrivo a Senhanca in tarda mattinata. L’abbazia è in una valle fertile e nei campi vedo i monaci al lavoro.

L’abate mi accoglie ossequioso e mi accompagna a visitare i nuovi edifici. Fingo un interesse che non provo, mentre con l’orecchio cerco di captare ogni rumore esterno che possa segnalare l’arrivo di Amaury. Il tempo passa e faccio sempre più fatica a nascondere la mia inquietudine. Incomincio a chiedermi se Amaury verrà. Potrebbe aver rinunciato, per tanti motivi diversi. Mentre lo penso, in lontananza una nuvola di polvere annuncia l’arrivo di diversi cavalieri. Riconosco lo stendardo dei Rochenoire e poco dopo vedo Amaury alla testa del gruppo di cavalieri.

Rimango a distanza, fingendo di controllarmi a fatica.

Amaury mi vede e appare irritato dalla mia presenza. Scende da cavallo e, ignorandomi completamente, entra nell’abbazia con il suo seguito. Poco dopo un monaco si avvicina a me.

- Cavaliere, scusatemi, ma il conte mi ha ordinato di accompagnarvi nell’orto. Vuole che rimaniate lì per tutto il tempo della sua visita.

Fisso il monaco come se mi trattenessi a stento dall’insultarlo. Poi sibilo:

- Vi seguirò.

- Perdonatemi, cavaliere. Eseguo gli ordini ricevuti.

Il monaco mi accompagna in uno spazio cintato che serve da orto. La porta viene chiusa alle mie spalle. Sono di fatto prigioniero, ma so che Amaury mi ha fatto rinchiudere qui perché potremo vederci senza testimoni. So che verrà.

In effetti, dopo un’attesa che a me pare interminabile, una porta si apre ed appare Amaury. Entra e richiude la porta con la chiave.

Io mi avvicino, lo prendo tra le braccia e lo bacio, appassionatamente. Gli infilo la lingua tra i denti. Amaury ricambia il bacio, ma si stacca.

- Quando vi ho chiesto di allontanarvi perché temevo di mettervi in pericolo, non sapevo ancora quale forma avrebbe assunto la minaccia che gravava su di me. Ora lo so.

- Ditemi.

- Guillaume d'Orange intende farmi arrestare.

I conti di Rochenoire sono vassalli del principe di Orange, che ha giurisdizione su di loro.

Ma perché?

- Thibault di Longpré lo ha convinto che ho fatto avvelenare mio fratello e mio nipote per ereditare Rochenoire. Non mi stupirebbe se avesse insinuato anche che miro a uccidere lo stesso principe per prendere il suo posto. Ma questo non ha importanza. L’accusa di veneficio è più che sufficiente.

Non mi ha detto se è una menzogna inventata da Thibault per perderlo o se è vero. Ma non mi importa. Lo seguirei comunque, anche contro il principe o contro lo stesso imperatore, anche sul patibolo. Amaury prosegue:

- Guillaume è giovane, non ha esperienza. È avventato e crudele. E la contea di Rochenoire fa gola a molti. A Thibault più che a tutti.

- Spera forse di ottenerla in cambio di questa delazione?

- Credo di sì. Se io morissi, sarebbe l’erede naturale. Il principe potrebbe assegnargliela. In ogni caso Thibault mi odia ed è felice di perdermi.

- Ma non ci sono prove. Non si può accusare un nobile senza testimonianze.

- Ci saranno. Thibault è molto abile: è un ottimo giocatore di scacchi, non dimenticatelo. Pochi giorni fa è scomparso Colin, un servitore del castello, nessuno sa che fine abbia fatto. Pensavamo fosse stato ucciso da qualche brigante o che si fosse allontanato con una contadina. Ma ora ho motivo di credere che sia stato catturato, senza che nessuno lo sapesse, e imprigionato. Di certo lo tortureranno e prima o poi cederà. Confesserà di aver avvelenato i suoi padroni perché io l’ho pagato.

- Ma finirà lui stesso sul patibolo.

- Per lui sarà l’unico modo per scampare a torture che lo porterebbero comunque alla morte. Non appena avrà confessato, mi arresteranno.

Chino il capo. Poi alzo gli occhi e dico:

- Dovete fuggire, conte, il più presto possibile.

L’idea che si allontani mi angoscia, ma lo seguirò: non lascerò che se ne vada senza di me.

- È quello che avrei già fatto, se solo avessi potuto. Non è facile: so con certezza che alcuni uomini del mio seguito hanno ricevuto dal principe l’ordine di sorvegliarmi proprio per evitare che io fugga. Ogni mia mossa è controllata. Oggi, prima che voi ve ne andiate, un uomo vi consegnerà una bisaccia: ci sono monete d’oro e alcuni oggetti di valore, che mi serviranno quando mi allontanerò. Vi farò sapere quando e come li ritirerò. Posso contare su di voi?

- Amaury!

C’è rabbia nel mio grido. Come può dubitare di me?

- Cavaliere, se trovassero quegli oggetti nelle vostre mani, sareste condannato a morte, come mio complice.

- Credete che m’importi? Amaury, verrò con voi.

- È follia, sarò un uomo braccato…

- Verrò con voi!

Amaury scuote la testa.

- Ne riparleremo, Eudes, se riuscirò a fuggire. Il cerchio si sta stringendo intorno a me. Se mi imprigionassero, giura che non farai nulla che metta a rischio la tua vita.

- Farò tutto quanto possibile per salvarvi.

- Non potrai fare nulla. Giura.

Mi rifiuto di giurare. Amaury mi si avvicina. Mi bacia. I nostri corpi aderiscono.

- Giura, Eudes.

Le sue mani si appoggiano sulle guance, ci baciamo ancora. Poi mi accarezza le spalle, i fianchi.

- Giura, Eudes.

- Giuro che sarò prudente. Non chiedetemi di più.

Amaury scuote la testa, sorridendo. Io lo bacio di nuovo, ma il desiderio è troppo violento. Incomincio a spogliarlo, con mani che tremano leggermente. Lui mi lascia fare e poi, quando ormai è nudo davanti a me, mi toglie gli abiti. Ci guardiamo. So che non posso fare a meno di questo corpo, di lui. Lo bacio ancora.

- Stenditi, Eudes. Oggi ti prenderò.

Nessuno lo ha mai fatto, ma senza esitare mi stendo ai margini dell’orto. Davanti al mio viso ci sono alcune piante di lavanda e ne sento il profumo intenso.

Amaury si bagna le dita e le passa lungo il solco, inumidisce bene l’apertura, poi si stende su di me. Sento il suo cazzo premere e poi entrarmi in culo. Per la prima volta un uomo mi possiede, per la prima volta vengo penetrato. Fa male, un dolore forte, che mi fa stringere i denti. Ma non importa, voglio questo dolore intenso, che è più forte del piacere, voglio sentire il suo cazzo che mi scava dentro, voglio essere suo, voglio che imprima dentro il mio corpo il suo marchio, perché io sono suo. Amaury procede e il dolore mi fa chiudere gli occhi; mi sembra che mi manchi il respiro. Solo quando Amaury si ferma, il dolore si attenua e riesco a riprendere fiato. Amaury mi accarezza, lasciandomi il tempo di abituarmi a questa spada calda che mi trafigge il culo.

Poi incomincia a muovere il culo avanti e indietro, affondando il suo cazzo dentro di me. Sento ondate di dolore investirmi e travolgermi, sempre più forti. Gemo. Ma Amaury non si ferma e accanto al dolore che martella nel mio culo, sento un piacere nuovo, che dal culo si diffonde in tutto il corpo, che mi tende allo spasimo il cazzo. Gemo ancora, di piacere e dolore. Amaury imprime un ritmo più intenso alle sue spinte. Il dolore diventa intollerabile, ma il piacere esplode, per entrambi: Amaury rovescia il suo seme dentro di me e io sul suolo.

Ho le lacrime agli occhi quando Amaury si ritira. Rimango un attimo disteso, cercando di riprendere fiato. Guardo le spighe fiorite davanti a me e sento il profumo della lavanda. Ne colgo una spiga.

Amaury si è già rivestito. Io faccio altrettanto. Amaury mi bacia sulla bocca, esce e chiude la porta. Rimango fermo, mentre il dolore al culo si attenua.

Per un po’ tutto è tranquillo, poi sento un clamore, voci forti. Mi sembra che il sangue si geli nelle mie vene. Cerco di aprire la porta dell’orto, ma è chiusa dall’esterno. Mi sforzo di controllarmi. In ogni caso non posso fare niente, lo so.

Quando, dopo un tempo che mi sembra infinito, vengono ad aprirmi, l’abate mi informa che Thibault di Longpré è venuto con gli uomini del principe d’Orange e ha arrestato il conte di Rochenoire. Mi sembra di aver ricevuto una mazzata in testa, anche se, dopo il colloquio con Amaury, non ero certo impreparato.

Faccio fatica a non lasciar trapelare la mia angoscia. Chiedo spiegazioni, che nessuno è in grado di darmi. Amaury non ha fatto in tempo a organizzare la sua fuga. Perché non ha cercato di allontanarsi ieri? Saremmo potuti fuggire insieme. La mia mente immagina la fuga, attraverso le valli alpine che portano verso la Lombardia, ma è un modo ozioso per sottrarmi all’angoscia che provo. Ormai è troppo tardi: Amaury verrà chiuso in una prigione. Amaury è in pericolo di vita.

Mi preparo ad andare via, quando un uomo mi si avvicina. Lo riconosco: è il messaggero che mi aveva inviato Amaury proprio per farmi venire a Senhanca. Ha in mano una bisaccia e solo vedendola mi ricordo dell’incarico che mi è stato affidato. Non so se Amaury potrà servirsi del contenuto di questa sacca che ora attacco alla sella. Salgo sul cavallo, reprimendo a fatica un gemito per la violenta fitta al culo. Un ricordo del mio incontro con Amaury. Forse del mio ultimo incontro con lui. Al pensiero provo un senso di vertigine. Porto la mano alla testa e chiudo gli occhi. Un monaco mi chiede se non sto bene. Scuoto il capo.

Cavalco lentamente verso Casteldhaut. In mano stringo la spiga che ho raccolto. L’avvicino al naso e sento il profumo di lavanda.

 

VII

 

Guy di Cahors è arrivato in visita. Dopo i saluti, mi chiede:

- Sapete che ieri il principe ha fatto arrestare il conte Amaury di Rochenoire?

Annuisco.

- Lo so, non si parla d’altro.

Non gli dico che ero a Senhanca ieri, che ho parlato con Amaury. Mi sembra più prudente tacere. La notizia è davvero sulla bocca di tutti: questa mattina i miei fratelli mi hanno riferito della cattura e delle voci che circolavano con sempre maggiore insistenza. Da alcuni giorni si parlava di un prossimo arresto del conte per aver avvelenato il fratello e il nipote.

Ben nascosta nella mia stanza è la bisaccia che mi ha affidato Amaury. Gli servirà ancora? O la sua vita è finita? Se è così, lo è anche la mia.

Chiedo a Guy:

- Con quale accusa?

Lo so già, ma voglio sentirla ancora, voglio confutarla, come se servisse a qualche cosa, mentre so che è del tutto inutile.

- Di aver fatto avvelenare il fratello e il nipote.

- Davvero ritenete verosimile questa accusa, Guy di Cahors? Sapete che il conte mi ha allontanato, ma non per questo sono disposto a credere a tutto ciò che si dice. Dopo vent’anni di assenza da queste terre, su chi avrebbe potuto contare il conte per compiere questa impresa? Sapete bene che era oltremare quando il conte Robert e il figlio morirono.

- Oltremare, sì, ma era in Sicilia. Aveva lasciato Gerusalemme per non essere arrestato.

- Che cosa?

Sono sbalordito.

- Circolavano voci che avesse fatto uccidere il barone d’Arbert.

Guy di Cahors fa una pausa e aggiunge:

- Con il veleno. Il barone è morto improvvisamente. Dicono un veleno sparso sul suo corpo, non so come, non ho capito, qualche pratica orientale.

Mi sento mancare la terra sotto i piedi. Ho bisogno di sedermi. Mi appoggio allo schienale di una sedia, cercando di nascondere il mio turbamento.

- Che dite?

Guy ripete:

- Vi dico che Amaury di Rochenoire era a Palermo. Vi rimase due mesi.

- Palermo, Gerusalemme… non cambia molto. Non metteva più piede qui da vent’anni.

- Uno dei suoi uomini venne a Rochenoire in quel periodo. È il fratello di Colin, un servitore del conte Robert.

Tutto sembra confermare i sospetti. Mi rifiuto di crederlo. Penso a Thibault. Thibault è un ottimo giocatore di scacchi.

- Tutto sembra collimare. Fin troppo. Mi chiedo se non ci sia un’altra spiegazione…

- Quale?

- Qualcuno può aver saputo che Amaury di Rochenoire era a Palermo e che era stato accusato di veneficio. Quando Amaury ha inviato qui un servitore, probabilmente per prendere contatti con il fratello, questo qualcuno ha fatto avvelenare il conte Robert e suo figlio, che non avevano motivi per diffidare. In questo modo ha potuto disfarsi del conte e del figlio, con l’idea di eliminare successivamente il nuovo conte proprio con l’accusa di veneficio.

- E chi mai avrebbe dovuto farlo? E perché? Cavaliere, ciò che dite non mi sembra probabile.

- Sono sempre diffidente quando tutto appare chiaro. Questa mi sembra una partita a scacchi condotta da un giocatore molto abile.

Guy scuote la testa.

- Non avete risposto alle mie domande, cavaliere. Chi e perché?

- Qualcuno che sperava di impadronirsi della contea di Rochenoire.

Guy mi guarda. Gli leggo in viso che ha capito. Per prudenza preferisce non formulare il nome che abbiamo entrambi in mente.

- Tutto è possibile, cavaliere.

Quando Guy se ne va, mi chiedo se davvero crede a quello che ho detto. E anche se vi crede, che cosa cambia? Non sarà lui a giudicare Amaury, ma il principe Guillaume. E come potrei sostenere un’accusa di fronte al principe? Non ho prove. Perché ne ho parlato a Guy? Spero forse che metta in giro la voce, che questa voce giunga alle orecchie del principe? Guy è un uomo prudente, non credo che dirà nulla. E se questa voce circolasse, l’unico effetto sarebbe trasformare Thibault in un nemico mortale. Ho agito scioccamente. Non è certamente così che potrò aiutare Amaury. Ma esiste un modo per salvarlo?

 

Un mese. Un mese di un’attesa snervante. Un mese in cui ogni notizia è una pugnalata. Amaury è prigioniero a Orange. Il principe ha decretato la sua colpevolezza. Amaury è stato privato del suo titolo. Amaury verrà giustiziato.

Vorrei liberarlo, ma come? Passo le notti a ideare piani irrealizzabili.

Alla fine di settembre mi arriva la convocazione. Devo presentarmi da Guillaume, principe di Orange. Perché questa chiamata? Guillaume sospetta che io sia complice di Amaury? O Thibault ha saputo ciò che ho insinuato sul suo conto parlando con Guy e ha deciso di mettermi a tacere inventando qualche accusa contro di me? Poco m’importa: se Amaury morirà, voglio morire anch’io. Se non posso salvarlo, una sola cosa mi interessa: riuscire a vederlo ancora una volta prima di morire.

Porto con me molto oro: se ci sarà la possibilità di corrompere qualcuno per far fuggire Amaury o anche solo per poterlo vedere, lo farò.

 

Mi inchino di fronte a Guillaume, principe di Orange. Vicino a lui è Thibault, come sempre vestito di bianco. Mi mostro un suddito fedele e rispettoso, celando il desiderio di sguainare la spada e immergergliela nel fegato. Lo odio, anche se probabilmente l’unica sua colpa è la fiducia accordata all’uomo che gli è a fianco.  

- Cavaliere, vi ho fatto chiamare perché ho bisogno di voi. So che un tempo avete goduto della fiducia di Amaury di Rochenoire e, anche se vi allontanò, forse potete ancora ottenere da lui ciò che desidero.

La richiesta mi prende di sorpresa. Il cuore prende a battere più rapido. È un tranello? Vuole verificare la mia fedeltà? Quell’infame di Thibault potrebbe avergli detto che io ero molto legato ad Amaury, forse ha insinuato che ero suo complice. Se è così, non è un problema: se non posso salvarlo, desidero solo morire con lui.

- Sono ai vostri ordini, principe. Ma il conte mi aveva allontanato e non so davvero se posso servirvi come desiderate.

- Lo so, lo so, ma siete l’unico uomo che, per alcuni mesi, ha davvero goduto della sua fiducia. Dovete riuscire a farvi dire dov’è la reliquia che ha portato da Gerusalemme, il chiodo della croce di Cristo, che mi aveva promesso. Voglio averla, per poterla donare alla cattedrale. Non è nel suo castello e anche sotto tortura Amaury si è rifiutato di rivelare dove l’ha nascosta.

L’idea che Amaury sia stato torturato mi fa gelare il sangue, ma nascondo il mio turbamento.

- Se me lo chiedete, farò tutto il possibile, principe.

- Due guardie vi porteranno il prigioniero e potrete avere un colloquio con lui. Cercate di convincerlo che il suo rifiuto non ha senso: quella reliquia è un tesoro della Cristianità.

- Cercherò di farmi dire dove l’ha nascosta. Non so se ci riuscirò, ma posso provare.

Guillaume aggiunge:

- Se me la consegnerà, gli risparmieremo il supplizio.

Intravedo un barlume di speranza:

- Quindi posso dirgli che avrà salva la vita?

- No, no, non intendo questo. Amaury ha fatto uccidere il fratello e verrà giustiziato. Se però mi darà la reliquia, sarà impiccato nel cortile del castello e non squartato in piazza.

Rabbrividisco all’idea che Amaury possa essere squartato. Intanto cerco di ragionare rapidamente. Ho un'occasione di parlare con Amaury, ma di certo ci sarà qualche soldato insieme a me. Come posso fare per non avere testimoni? L'idea mi viene in un lampo.

- Principe... forse... non so se approvate, ma potrei fingere di essere io stesso prigioniero. Potreste farmi accompagnare da un soldato che mi rinchiuda qualche ora con lui. Forse mi sarebbe più facile ottenere la sua fiducia e farmi dire ciò che desiderate.

Dopo un momento di riflessione, Guillaume fa un cenno d’assenso.

- Mi sembra una buona idea. Finora non ha ceduto né alla tortura, né alle minacce, né alla promessa di una fine meno infamante. Forse… sì, è una buona idea.

Guillaume mi congeda. Io cerco di ragionare. L’idea di rivolgersi a me è stata certamente di Thibault: Guillaume sa appena chi sono e in ogni caso non può sospettare i rapporti che avevo con Amaury. Perché Thibault ha fatto questa proposta? Vuole perdermi, perché sospetta che io sia ancora legato ad Amaury o perché gli è stato riferito ciò che ho detto a Guy di Cahors? O forse lo ha fatto solo perché spera davvero che io ottenga la reliquia?

 

Un ufficiale mi guida. Scendiamo nei sotterranei del castello. Lungo un corridoio si aprono le porte delle celle, ma noi percorriamo tutto il passaggio fino a raggiungere una scala a chiocciola scavata nella roccia. Scendiamo ancora, accompagnati da una guardia che porta alla cintura un grande mazzo di chiavi. Al termine della scala ci troviamo in un piccolo locale, con due porte su un lato. L'ufficiale si rivolge a me:

- Richiuderò la porta alle vostre spalle. Fate attenzione. Il prigioniero si regge a fatica in piedi, ma se dovesse capire che lo state ingannando, potrebbe cercare di aggredirvi.

Annuisco. L'uomo aggiunge:

- Se volete essere più convincente, vi conviene lasciare i vostri abiti qui. Anche Amaury di Rochenoire è stato spogliato degli abiti. E la cella è lurida. Almeno eviterete di lordarvi i vestiti. Farò portare qualche straccio perché possiate pulirvi quando uscite.

- Credo che abbiate ragione.

Mi spoglio in fretta. Il soldato apre la porta. Mi assale un tanfo di merda che mi toglie il respiro. A un cenno dell'ufficiale, il soldato mi spinge rudemente nella cella, come farebbe se io fossi davvero un prigioniero. Poco manca che io non cada addosso ad Amaury, seduto al suolo. Alla luce della torcia ho fatto in tempo a vedere il minuscolo locale, in cui possono stare a stento due uomini stesi a terra.

Il carceriere ha richiuso la porta e ora sono in piedi, nel buio più assoluto, nell'aria fetida di questa cella. Mi manca il respiro.

- Conte...

- Sei prigioniero, Eudes? Perché? Di che cosa ti hanno accusato?

Nell’incalzare delle domande avverto la sua ansia.

- No, conte. Devo fingere di essere prigioniero per farmi raccontare da voi dove avete celato la reliquia che avete portato da Gerusalemme, il chiodo della croce. Ho accettato questo incarico dal principe per potervi vedere.

Amaury ride, una risata cupa.

- Vedere, qui? Potete sentire il fetore della mia merda, cavaliere. Sono tre settimane che mi hanno rinchiuso qui dentro e non ne sono più uscito. Vedo un po’ di luce solo quando mi portano il cibo.

Mi accovaccio vicino a lui.

- Stare vicino a voi è tutto quello che chiedo, conte. Anche sul patibolo.

- Potete fare a meno di chiamarmi conte, cavaliere. Il principe mi ha tolto il titolo di nobiltà. E potete anche fare a meno di darmi del voi, sempre che non lo facciate per chiarire che non avete nulla a che fare con me.

La rabbia mi assale.

- Amaury!

C’è un momento di silenzio.

- Scusami, Eudes.

- Ucciderò Thibault.

- Non ora, Eudes.

Ho bisogno di toccarlo. Tendo una mano e trovo il suo viso. Amaury si sottrae.

- Sono sporco, Eudes.

- Non importa.

- Chi è rinchiuso qui dentro, ne esce solo per morire sul patibolo. O già morto, se vengono a strangolarlo nella cella o crepa per qualche malattia. Questa cella è il buco del culo del diavolo.

- Amaury… io ti desidero.

- Così? Se solo ti toccassi… Mangio cercando di non toccare il cibo con le mani, per non lordarlo.

- Non m’importa.

- Eudes, io…

- Ti voglio.

Mi vergogno di averlo detto così. Abbiamo appena parlato, non gli ho neanche ancora chiesto come sta e che cosa posso fare per lui. Ma il desiderio è troppo forte, anche nel puzzo di questa cella immonda. Davvero quest’uomo mi ha gettato un incantesimo.

C’è un lungo momento di silenzio.

- Scusami, Amaury. È che…

Non trovo le parole.

- Tanto forte è il tuo desiderio, anche ora?

- Sì, più della morte.

- Va bene. Mi metto contro la parete.

Protendo le mani e nel buio della cella trovo il suo corpo. Lo posso toccare e, malgrado il fetore, l’aria irrespirabile, il buio, mi sembra di essere in paradiso. Le mie mani percorrono il suo corpo, incuranti della sporcizia, e il desiderio divampa, tanto violento che il fiato mi manca. Mi appoggio contro di lui, gli stringo le natiche con le mani, forte.

- Amaury, amore mio.

Lui tace. Io avanzo il cazzo, indifferente a tutto, finché non sento l’apertura cedere. Ora sono dentro di lui.

- Amaury.

La sua voce è un sussurro:

- Eudes.

- Amaury.

Assaporo questo momento magico in cui io sono dentro di lui e i nostri corpi aderiscono. E poi lascio che il desiderio mi guidi, in una cavalcata in cui tutto scompare. Sprofondo in un pozzo nero, felice di perdermi.

Quando vengo dentro di lui, passo una mano davanti, gli stringo il cazzo teso e incomincio ad accarezzarlo, finché anche lui viene.

- Ti amo, Amaury.

Amaury tace un momento, poi mormora.

- Anch’io, Eudes.

Ce lo siamo detti, infine. E non m’importa di nulla. Amaury morirà e io morirò, perché non posso continuare a vivere senza di lui: ucciderò Thibault e poi mi darò la morte. Ma non ha importanza, ora non ha davvero importanza.

Rimaniamo così, il mio corpo contro il suo, il mio cazzo ancora dentro il suo culo. Solo ora parlo.

- Che cosa devo fare, Amaury? Che cosa devo dire al principe? Ha detto che se gli darai la reliquia, non ti farà squartare.

- Già, la reliquia. Guillaume trascorre le sue notti in orge sfrenate, ma poi invoca il perdono divino. Per lui quel pezzo di ferro arrugginito è un talismano.

- Un pezzo di ferro? Non è vera? Non è un chiodo della croce, intendo?

- Eudes! Pensi davvero che qualcuna di queste miracolose reliquie sia vera? Se tutti i chiodi della croce fossero autentici, il corpo di Cristo sarebbe stato trafitto da centinaia di chiodi!

Taccio. Non ho mai dato molta importanza alle reliquie e non mi ero posto il problema della loro autenticità.

- Che cosa è meglio che dica. Amaury?

- La reliquia che il principe cerca è nella bisaccia che ti ho dato. Inventa qualche cosa per recuperarla e dagliela. Questo forse aprirà uno spiraglio.

Sussulto.

- Davvero, Amaury? Guillaume non vuole sentire parlare di grazia.

- No, lui mi vuole morto, lo so. E Thibault non gli permetterebbe certo di cambiare idea. Ascoltami, Eudes. Di’ che ho accettato di consegnarti la sacra reliquia, dietro la tua promessa che non verrò squartato. In questo caso, Thibault di certo proporrà una bella caccia all’uomo, per finirmi.

Mi tendo. Sibilo:

- Thibault è un uomo morto. Questo te lo posso giurare.

Vorrei poter uccidere Thibault con le mie mani, qui, ora. E poi penso che lui potrebbe divenire il nuovo signore di Rochenoire ed io mi troverei a essere il suo vassallo.

Le parole di Amaury interrompono i miei pensieri.

- Non fare nulla, finché io sarò vivo. Giuralo.

Mi costa fatica impegnarmi a non scannare quel figlio di puttana, ma giuro ciò che Amaury mi chiede. Amaury continua:

- E quando sarò morto, uccidilo solo se sei sicuro di non farti scoprire. Ma non è questo che conta ora. Ascoltami.

- Dimmi.

- Quando lui proporrà la caccia, non opporti. Osserva solo che, quasi cieco per la lunga permanenza al buio e appena in grado di muovermi, sarò una preda fin troppo facile. Nient’altro.

- Che cosa conti di fare, Amaury?

- È meglio che tu non lo sappia. Fa’ quello che ti ho detto. È l’unica possibilità che mi rimane. Altrimenti mi farà strangolare in questa lurida cella o impiccare come un contadino, anche se ha avuto la reliquia.

- Farò quello che mi chiedi, anche se…

Non finisco la frase. Stringo il corpo di Amaury tra le mie braccia e lentamente sento che il desiderio si fa nuovamente strada. Probabilmente è l’ultima volta che Amaury sarà mio. Presto saremo entrambi morti.

Riprendo il lento movimento del mio culo, assaporo nuovamente il calore del suo, le mie mani percorrono questo corpo. Lo amo, come non ho mai amato.

E quando il desiderio trabocca, mi abbandono contro di lui.

 

Parliamo ancora, finché aprono la cella e il carceriere mi fa uscire. L’uomo mi porge alcuni stracci e mi dice che l’ufficiale mi aspetta al piano di sopra. Mi pulisco con cura. Quando però passo lo straccio sul cazzo, pulisco solo la cappella. Lascio che un po’ di merda rimanga sull’asta. Mi laverò dopo.

Quando sono di nuovo di fronte a Guillaume, gli dico che la reliquia è a Senhanca e che credo di sapere come trovarla. Gli chiedo di farmi accompagnare da alcuni suoi uomini, per evitare che sospetti. Spero di poter tornare entro due giorni con ciò che mi ha chiesto.

- Vi sono grato di quanto avete fatto. Se davvero troverete la reliquia, non mi scorderò di voi. Se desiderate qualche cosa...

Non avevo pensato a una ricompensa, ma mentre mi inchino vedo Thibault.

A testa china dico:

- Una cosa vorrei, se troverò la reliquia. Se posso chiedere…

- Ditemi, cavaliere.

- Vorrei essere vostro vassallo, che Casteldhaut dipendesse direttamente dal principe d’Orange.

È una richiesta che in questo momento non crea problemi a nessuno: l’unico che potrebbe opporsi è il conte di Rochenoire, ma da quando Amaury è stato privato del titolo, non esiste un conte di Rochenoire. La contea verrà assegnata a Thibault, quasi sicuramente, ma questi non può protestare: anche se spera di ottenerla, la contea non è ancora sua.

- Sarò lieto di avervi tra i miei vassalli, cavaliere.

Thibault si rivolge al principe:

- Che farete dell’avvelenatore, principe?

- Lo farò impiccare, come un uomo del popolo. Gli ho tolto il titolo, non è più un nobile: non si merita la decapitazione.

Thibault sorride.

- Dicono che oltremare i nobili franchi organizzino grandi cacce all’uomo. Amaury di Rochenoire vi ha certo partecipato come cacciatore. Ora potrebbe prendervi parte come preda.

Thibault ride. Guillaume lo guarda, perplesso, ma sorride: l’idea lo stuzzica. Io sento di odiarlo con un’intensità che mi spaventa. Eppure è ancora nulla in confronto a ciò che provo per Thibault, che ora prosegue:

- Si libera il prigioniero in una vallata, gli si lascia un certo margine di vantaggio e poi lo si insegue con i cani. Che ne dite?

- Non conoscevo questo divertimento dei baroni franchi in Terrasanta. E voi dite che Amaury di Rochenoire ha partecipato a queste cacce?

- Più volte, l’ho sentito da fonti sicure. Era il conte Ferdinando a organizzarle e Amaury non mancava mai.

Il principe si rivolge a me:

- Che ne dite voi, cavaliere di Casteldhaut?

Io sorrido.

- Mi sembra una gran bella idea. Ma temo che sarà una povera caccia: il prigioniero si regge appena in piedi e dopo qualche settimana al buio nella cella, di certo è quasi cieco.

Thibault non si scoraggia:

- Potremmo dargli un buon vantaggio. E se lo mettiamo in una cella con una finestra, in questi giorni in cui si organizza la caccia, i suoi occhi potranno riabituarsi alla luce.

Il principe sorride:

- Si potrebbe fare. Una bella caccia è quello che ci vuole. Quando tornerete con la reliquia, organizzeremo la caccia. E oggi stesso farò sistemare il prigioniero in un’altra cella.

 

Partirò domani mattina per Casteldhaut dove prenderò la reliquia che fingerò di ritrovare a Senhanca. Nella camera che il principe mi ha assegnato mi hanno preparato un bagno caldo, come ho chiesto. Il servitore ha riempito la tinozza. Rimane in attesa dei miei ordini. Lo congedo.

Entro nella tinozza. Rimango in piedi. Ripenso ad Amaury. L’ho posseduto, due volte, poche ore fa. Ma in realtà è lui che mi possiede: gli appartengo, completamente.

Mi guardo il cazzo, ancora sporco. Lo afferro con la destra. Muovo la mano in su e in giù, mentre ripenso ad Amaury, a quella cella immonda dove l’ho preso. Chiudo gli occhi e riprendo la mia opera.

Sento infine il piacere esplodere e travolgermi. Allora mi siedo nella tinozza per lavarmi, ma prima di farlo, porto la mano al viso, sento l’odore di merda, la sua merda.

 

VIII

 

Sono tornato a Orange con la reliquia che ho “ritrovato” a Senhanca. Guillaume è raggiante. Mi comunica che fra tre giorni ci sarà la grande caccia, a cui sono invitato come ospite d’onore.

La domenica una solenne processione porta la reliquia nella cattedrale, piena all’inverosimile. Il vescovo benedice Guillaume e gli dà la comunione. So che Guillaume ha trascorso la notte in un’orgia con serve e puttane, ma ora sembra un santo in ginocchio davanti al vescovo. Pare che la sua fede sia sincera, ma a me il suo comportamento sembra assurdo. Vicino a lui si erge Thibault di Longpré, il bianco angelo del male, consigliere del principe in procinto di diventare conte di Rochenoire.

I tre giorni di attesa sono un incubo. Sapere che Amaury è prigioniero in questo castello e che io non posso vederlo è un tormento. Lo vedrò solo il giorno della caccia. Che cosa succederà, allora? Perché Amaury ha voluto assecondare l’idea di Thibault? Spera di riuscire a fuggire?

Perché non mi sono fatto dire qualche cosa di più? Perché non l’ho costretto a dirmi come posso aiutarlo?

 

Il mattino della caccia, il prigioniero viene messo in una gabbia con le sbarre di legno, che viene caricata su un carro.

Thibault osserva Amaury e mi dice:

- Mi piacerebbe prendere la spada e infilargliela in corpo attraverso le sbarre.

L’odio che avverto nella sua voce è fortissimo.

- Come mai lo odiate tanto, cavaliere?

Thibault mi guarda.

- Me lo chiedete, cavaliere? È un traditore e un assassino. Ha fatto uccidere i miei cugini. Ero molto legato a loro.

È falso. O almeno credo che lo sia. Non ho certezze. Non so davvero che cosa sia successo. È stato Thibault a uccidere il conte Robert con il figlio e poi a montare tutta questa macchinazione per perdere Amaury e prendere il suo posto? Da lui non mi stupirebbe: quando gioca a scacchi dimostra una grande capacità di elaborare piani complessi e portarli a compimento.

Ma può anche darsi che Thibault non abbia fatto altro che cogliere un’occasione che gli si presentava per perdere Amaury. Forse Thibault lo crede davvero colpevole. O può darsi che invece lo ritenga innocente e che lo odi perché gli ha impedito di diventare il signore di Rochenoire.

E se Amaury fosse colpevole? Se avesse davvero fatto uccidere il fratello e il nipote? Non lo so. E in realtà non m’importa davvero.

 

In breve tempo raggiungiamo la radura dove Amaury verrà liberato. Quando aprono la gabbia, Amaury non si muove. A un cenno del principe, uno degli uomini lo pungola con un frustino. Amaury allora si scuote dal suo torpore, ma con grande lentezza. Esce dalla gabbia, incespica e cade. Si alza, a fatica.

Guardo il suo corpo, che anche in questo momento accende il mio desiderio. Il cazzo si rizza mentre osservo il culo di Amaury.

A un cenno di Guillaume, Thibault si rivolge ad Amaury:

- Avete un’ora di tempo, Amaury. Poi la caccia avrà inizio.

Amaury rimane fermo. A un cenno di Guillaume, un servitore colpisce il culo di Amaury con un frustino. Amaury sobbalza e incomincia a camminare, lentamente. I movimenti sono impacciati, sembra che faccia fatica a reggersi in piedi e in effetti cade due volte.

Si muove piano, pare non avere fretta. Forse perché sa di non poter sfuggire ai suoi inseguitori. Forse perché davvero non riesce a muoversi più rapidamente. Io vorrei prenderlo sul mio cavallo e portarlo lontano, ma non potremmo certo sfuggire al principe e ai suoi uomini.

Amaury scompare tra gli alberi.

Noi rimaniamo in attesa. Parliamo della reliquia che Guillaume è felice di avere ottenuto e del passaggio oltremare. Thibault racconta ciò che ha sentito delle cacce all’uomo organizzate dal conte Ferdinando.

Quando l’ora di lanciarsi all’inseguimento si avvicina, cerco di ritardare la partenza chiedendo ancora a Guillaume della reliquia che ha ottenuto e di altre che già possiede. Mi stupisce che un uomo così incline ai peccati della lussuria e della gola possa essere tanto religioso. L’argomento gli sta a cuore e guadagno qualche momento prezioso.

Infine ci avviamo. Ho la morte nell’anima. Lo troveremo tra poco, non può aver fatto molta strada. Lo vedrò uccidere sotto i miei occhi? No! Dovranno uccidere prima me.

I cani si slanciano, fiutando la traccia, e noi li seguiamo. A ogni momento mi aspetto di vedere Amaury camminare incerto poco lontano, ma percorriamo un buon tratto senza che appaia.

Cerco di ragionare. Amaury si è allontanato molto più del previsto. Eppure riusciva appena a muoversi. Qualcuno lo ha aiutato? O forse… forse la spiegazione è un’altra: ha soltanto finto di essere debolissimo. Probabilmente la prigionia non lo ha indebolito quanto sembrava. In questi ultimi giorni nella nuova cella ha ripreso a muoversi. O più probabilmente ha fatto esercizio anche nella cella sotterranea, in quello spazio minuscolo: non mi stupirebbe, conosco la lucidità della sua mente, di certo non si è arreso neppure quando tutto sembrava perduto.

La traccia porta al torrente e qui i cani non riescono più a ritrovarla. Percorrono le rive, fino a che, un po’ a valle, fiutano qualche cosa, ma sembrano nuovamente perdersi poco dopo.

Cerco di riflettere su ciò che può aver fatto Amaury.

La logica vuole che sia sceso lungo il torrente, verso il confine. Ma proprio per questo è più probabile che sia invece risalito. Noi tutti lo cerchiamo qui e intanto lui si allontana nell’altra direzione. Va bene così. Ma se avesse bisogno di qualche cosa? Potrei cercare di raggiungerlo, dargli almeno di che coprirsi e un coltello: ho portato con me alcune cose che potrebbero servirgli, nascoste in una sacca. Un uomo nudo, disarmato, come può cavarsela? Ma come posso allontanarmi senza destare sospetti?

Inaspettatamente, è Thibault stesso a darmi l’occasione che cerco. Uno degli uomini osserva:

- Non sarà fuggito nell’altra direzione, risalendo il fiume?

Mi manca il fiato, ma Thibault risponde:

- Impossibile, è più facile che abbia scelto di lasciarsi trascinare dalla corrente e morire nelle rapide, per non essere raggiunto. Risalire significa ripassare vicino al castello. Una follia. Sempre che non ci fosse qualcuno ad aspettarlo, qui dove le tracce scompaiono.

L’uomo non appare convinto.

- Sarebbe meglio controllare.

Thibault si volge verso di me:

- Cavaliere, volete andare voi a controllare? Tanto per non avere dubbi.

Mi fingo perplesso, ma annuisco.

- D’accordo, in effetti è meglio controllare. L’area a monte del castello è piuttosto spoglia e se davvero fosse fuggito in quella direzione non mi sarà difficile avvistarlo. Ma non mi sembra probabile.

- Neppure a me, ma è meglio essere sicuri.

Saluto i miei compagni di caccia e sprono il cavallo. Boson mi segue. È un uomo in cui ho assoluta fiducia e che non mi tradirebbe mai, ma preferisco non coinvolgerlo, per cui, superato il castello, gli ordino di attendermi, con la scusa che Amaury, se davvero è risalito nell’acqua del torrente per depistare i cani, potrebbe ridiscendere più tardi per la stessa via per raggiungere il confine. È una scusa inconsistente, ma Boson è abituato a obbedire senza discutere.

Sprono il cavallo e raggiungo rapidamente l’altopiano. Qui il terreno è piuttosto spoglio. Non vedo traccia di Amaury. Percorro il pianoro, spingendomi ai margini e scrutando con attenzione tutt’intorno. Non trovo Amaury, finché non è lui stesso a farsi vedere, emergendo da un avvallamento del terreno in cui si era nascosto.

Mi avvicino, esultante.

Amaury mi sorride.

- Sapevo che non sarei riuscito a ingannare anche te, Eudes.

- Fortunatamente Thibault ha pensato di inviare proprio me a cercarti, nel caso tu ti fossi allontanato in questa direzione.

- Thibault ha sottovalutato il suo avversario in questa partita a scacchi. Non è detto che non riesca a vincere, ma questa mossa è stata un errore.

Prendo la sacca e scendo da cavallo.

- Qui c’è di che coprirti, una borsa con del denaro e un pugnale.

Amaury sorride. Io mi avvicino e sento l’aroma che emana da lui.

- Amaury, odori di assenzio.

- Sì, dopo essermi lavato al fiume, mi sono sparso addosso l’assenzio, per mutare il più possibile il mio odore. Non sufficiente per depistare i cani, ma sapevo che mi avrebbero cercato a valle.

- Le tue tracce portavano in quella direzione.

- Sì, poi sono risalito nell’acqua.

- Ripassando vicino al castello!

- Un rischio da correre.

Gli do la sacca e lo stringo tra le braccia. Lo bacio appassionatamente. So che deve fuggire rapidamente, ma il desiderio è troppo forte, per me come per lui: il suo corpo nudo lo tradisce.

- Appoggiati al masso, Eudes.

Annuisco ed eseguo.

Mi cala le braghe, sparge appena un po’ di saliva e mi prende con forza. Come la prima volta, il dolore è violento, più del piacere, eppure il mio cazzo rimane teso. Amaury indugia un momento dentro di me, poi prende a spingere. Mi mordo un labbro per non urlare, ma vorrei che queste fitte non avessero mai fine.

È tutto molto rapido e, nonostante il desiderio che brucia in me, non cerco di prolungarlo: Amaury deve fuggire, questo indugio è follia, sta perdendo un tempo prezioso. Eppure vorrei che rimanesse dentro di me per sempre, che un unico colpo togliesse la vita a entrambi, per non separarci più.

Ma Amaury prosegue il suo movimento intenso  e anche questa volta io vengo insieme a lui.

Amaury si stacca e indossa i panni che gli ho portato.

- Addio, Eudes.

- Voglio venire con te, Amaury.

- Ci rivedremo, Eudes, te lo prometto, ma ora non è possibile. Tu non fare nulla. Devi essere un vassallo fedele.

- E Thibault? Lui che prenderà il tuo posto, dopo averti tradito…

Amaury mi interrompe:

- Non credo che Thibault diventerà conte di Rochenoire. La caccia è stata un’idea sua e Guillaume d’Orange non glielo perdonerà facilmente. Il nuovo principe è rancoroso. Per avere Rochenoire dovrà catturarmi. Fa’ attenzione, Eudes, Thibault ha sbagliato mossa, ma la partita non è chiusa e tu sei a rischio.

- Quando ci vedremo, Amaury? Dove?

- Non te lo so dire. Abbi fiducia. E ora sali a cavallo e continua la tua perlustrazione.

Lo guardo allontanarsi. Chiudo gli occhi. Quando li riapro è svanito. Risalgo a cavallo e riprendo a vagare, scrutando l’orizzonte.

Quando infine ritorno dove si trovano gli altri, è ormai chiaro che Amaury è riuscito a fuggire. Mi rivolgo a Thibault, dicendogli:

- Cavaliere, non pensate che, come avete detto, abbia preferito farsi trascinare dalla corrente e morire affogato piuttosto che cadere nelle nostre mani ed essere sgozzato come un cinghiale?

- Se è così, troveremo il corpo.

Guillaume interviene. È chiaramente furibondo.

- La vostra idea della caccia è stata una follia, cavaliere.

Thibault si inchina.

- Vi prometto che se è vivo lo ritroverò e ve lo consegnerò, insieme ai complici.

E mentre parla Thibault mi lancia un’occhiata. Sospetta di me, questo è certo, forse è pentito di avermi mandato sull’altopiano.

Io fingo di riflettere e dico:

- Tutti sapevano della caccia ed era chiaro che il prigioniero non aveva altra scelta che scendere lungo il torrente. Forse qualcuno lo ha atteso nel punto in cui scompaiono le tracce.

- Non ci sono impronte di cavalli o altri animali, cavaliere. Ma la partita non è chiusa.

È solo un’impressione o c’è una nota di minaccia nella sua voce?

Rientriamo al castello. Nella mia camera, infine solo, porto le mani al viso per sentire ancora una volta l’aroma di Amaury. Odorano di assenzio.

 

IX

 

Nessuna notizia di Amaury. È scomparso da un mese. È ancora vivo? È ancora in Provenza? Mi ha detto che ci rivedremo e mi aggrappo a questa speranza, perché senza di lui non ha senso continuare a vivere.

Esco spesso a cavallo da solo, percorrendo il territorio in direzioni diverse. Spero che Amaury sia nelle vicinanze e che un giorno mi appaia. Guardo ogni viandante, spio ogni sentiero, ma non c’è traccia di Amaury.

Nei pressi del castello, un uomo chiede di me per una contesa tra vicini. Il problema è l’uso dell’acqua di un canale, ma il suo viso e la sua voce non mi sono nuovi: è l’uomo che mi ha dato il biglietto con cui Amaury mi convocava a Senhanca. Capisce dal mio sguardo che l’ho riconosciuto. Al momento di andarsene, l’uomo mi porge di nuovo un biglietto, con fare guardingo. Il pensiero corre ad Amaury e le mani mi tremano mentre afferro il foglio.

C’è scritta un’unica frase: Bosco del Lupo nero, domani mattina.

Non c’è una firma, ma sono sicuro che l’autore è Amaury. Vorrei poter confrontare la scrittura con quella del biglietto che mi aveva mandato, ma l’ho distrutto. È lui, sono sicuro che è lui. E se invece l’avesse scritto Thibault, per perdermi? No, non avrebbe senso, il biglietto non porta il nome di Amaury, potrebbe essere di chiunque, se l’avesse scritto Thibault avrebbe messo il nome di Amaury. Così, senza un nome, questo biglietto non significa nulla, potrei andare a vedere solo per la curiosità di capire chi mi ha inviato il messaggio.

Dormo poco nella notte. Mi sveglio più volte e mi sembra che le ore non passino mai. Io che ho sempre dormito come un ghiro! Quante notti insonni mi ha regalato Amaury, notti di piacere e notti di angoscia. 

Mi devo fare forza per non uscire prima del solito. Deve apparire un giorno come un altro.

Infine viene l’ora in cui esco per i miei giri a cavallo e mi dirigo verso il bosco del Lupo nero. È un bosco fitto, dove scorrazzano lupi dal mantello molto scuro. In inverno non è raro che si spingano fino ai villaggi e i contadini li temono. Nessuno attraversa il bosco senza portare con sé un’arma: qualche viandante è stato sbranato in passato.

 

Una figura si stacca dall’ombra degli alberi e si ferma in mezzo al sentiero. Il cuore mi balza in petto: ha riconosciuto subito il suo padrone.

Scendo da cavallo. Amaury non dice nulla, ma si dirige verso il fitto del bosco. Io lo seguo, tenendo la mia cavalcatura per la briglia. Vicino a una radura, Amaury si ferma e io lascio il cavallo pascolare. Mi avvicino ad Amaury e lo bacio sulla bocca. Ne sento l’odore. È un odore intenso, diverso da quello di un tempo, un odore di animale selvatico: in questo mese deve essere sempre vissuto nei boschi, cibandosi di ciò che trovava, e anche l’odore del suo corpo è cambiato. Odore di cacciagione, ma ormai Amaury è davvero selvaggina, una preda che molti ricercano.

I nostri corpi si stringono, si avvinghiano, poi le nostre mani incominciano a lavorare, guidate dal desiderio impaziente, che non tollera indugi. Ci troviamo nudi, ai margini della radura. Ci baciamo, ci accarezziamo, finché finiamo a terra. Amaury si stende sull’erba, sul ventre, allargando le gambe, e lascia che io lo prenda. Il desiderio è tanto forte da stordirmi e non riesco a controllarmi, anche se so che gli farò male. Entro dentro di lui e spingo a fondo, senza pietà. Lo posseggo con tutta la furia del mio amore, del desiderio che ho invano cercato di tenere a freno.

Quando infine, dopo una rapida cavalcata selvaggia, vengo dentro di lui e mi ritraggo, mi stendo anch’io a gambe larghe e lascio che sia lui a possedermi. L’ingresso è violento, ma il dolore è meno forte delle volte precedenti ed io sono felice di appartenergli. Vorrei che durasse per sempre, ma è tutto maledettamente breve: sappiamo bene di non avere tempo. In futuro, quando saremo lontano da qui, potremo amarci senza fretta. E mentre lo penso, mi chiedo se ci sarà davvero un’altra volta, se ci sarà un futuro per noi due. Questo amplesso frettoloso potrebbe essere l’ultimo.

Mentre ci rivestiamo, Amaury mi dice:

- Me ne andrò dalla Provenza, Eudes. Qui non posso rimanere.

- Verrò con te.

Vorrei aggiungere che se non mi vuole, mi ammazzerò. Ma non voglio ricattarlo.

Amaury mi fissa:

- Venire con me significa rinunciare a tutto e rischiare la vita. Lo sai, Eudes?

- Lo so. Ma senza di te…

Vorrei dirgli che senza di lui, la mia non è vita.

Amaury dice:

- Io conto di partire e superare le Alpi. Poi vedrò: mi arruolerò al servizio di qualche sovrano oppure dell’imperatore, raggiungendo Costantinopoli. Oltre le montagne sarò nuovamente un uomo libero, che nessuno bracca.

- Lasciami venire con te.

- Lo vuoi davvero? Tu non hai motivi per rinunciare alle tue terre e rischiare la vita ogni giorno in un mondo ostile.

- Non ho motivi? Amaury! Non conto proprio niente per te?

Amaury sorride.

- Per me conti più di tutto.

Si avvicina, mi abbraccia, mi bacia.

- Ora vai. Ci vedremo tra dodici giorni nella radura a cui si sale dalla croce di Meizouns, lasciando la strada per Nostra Signora del Vento. Metterò un fazzoletto rosso alla croce. Se non lo vedrai, non salire fino alla radura. Sarebbe inutile.

Annuisco. E poi chiedo:

- Non vuoi nasconderti nelle mie terre? Potrei trovarti un posto sicuro…

Amaury alza la mano e mi impedisce di continuare.

- No, Eudes. Non voglio in nessun modo mettere a rischio la tua vita. Non mi sarà difficile continuare a nascondermi. Me la caverò come me la sono cavata fino a ora. E voglio chiudere la partita con Thibault, senza coinvolgerti.

- Che cosa intendi fare?

Amaury scuote la testa.

- È meglio che tu non lo sappia.

- Amaury, voglio aiutarti.

Amaury rimane un momento pensieroso, poi mi dice:

- Aiutarmi è pericoloso. La partita tra me e Thibault è una partita mortale. Non voglio sacrificarti.

- Se sacrificarmi ti permette di salvarti, fallo. Ne sarei felice.

Amaury mi guarda. Esita un momento, poi mi dice:

- Tra una settimana ti manderò un messaggero. Tu prendi il biglietto che ti darà, poi raggiungi i pascoli di Ayran. Rimani là un po’ di tempo, come se cercassi qualche cosa, poi torna al castello. Il giorno dopo, ritorna lassù. E poi non tornarci più. Se tutto andrà bene, ci rivedremo il giorno dell’appuntamento.

Annuisco.

- Ricordati il fazzoletto rosso alla croce, tra dodici giorni. Se non lo vedi, tira diritto per Nostra Signora del Vento.

Di nuovo faccio un cenno con il capo.

- Verrai a prendermi con due cavalli e ciò che ho lasciato in custodia da te. Se sarò ancora vivo, ti aspetterò là. Ma se non vedrai il fazzoletto, non venire. E fa’ attenzione a Thibault.

Lo guardo e annuisco.

- Amaury, un giuramento. Voglio un giuramento.

Amaury mi guarda. Attende che io parli, ma io non aggiungo altro. Allora lui scuote la testa.

- Che cosa devo giurare?

- Giura che farai quello che ti dico.

Amaury fa un cenno di diniego.

- Devo sapere che cosa giuro, Eudes.

- Se dovessero catturarti, Amaury…

Lui aspetta. Io concludo:

- …giurami che dirai che sono tuo complice.

Amaury mi guarda. Non dice nulla.

- Giuralo, Amaury.

- Significherebbe perderti. Impiccato come un contadino o strangolato in una cella fetida.

- Se ti importa di me, Amaury, giuralo.

Lui mi guarda, esita.

- Amaury!

Scuote la testa.

- No, Eudes, io…

- Amaury, se mi ami. Non capisci, Amaury? Se non capisci, allora vuole dire che non t’importa davvero di me.

- Fino a questo punto, Eudes?

- Sì, fino a questo punto.

Mi fissa negli occhi.

- Va bene, Eudes, lo farò.

Sorrido.

Amaury si allontana. Lentamente svanisce l’odore di selvaggina.

 

X

 

Tutto si svolge come previsto: un uomo, che non è il solito messaggero, mi consegna un biglietto, con fare circospetto, ma maldestro. Se qualcuno mi spia, di certo lo ha visto. Nei due giorni seguenti mi reco ai pascoli di Ayran e mi accorgo di essere seguito, ma fingo di non rendermene conto.

Intanto mi preparo a partire. Ho espresso la mia intenzione di andare in pellegrinaggio a Roma. Ho detto che viaggerò senza scorta, in segno di umiltà: partirò come un semplice soldato. È quello che diventerò, un soldato al servizio di altri, ma non ha importanza: mi basta rimanere con Amaury.

Affido Casteldhaut a Raymond. Lui non sa che è per sempre e non solo per alcuni mesi.

Percorro il fondovalle, fino al bivio da cui il sentiero sale verso la cappella. Come concordato, ho due cavalli e gli oggetti di valore che mi ha affidato Amaury, oltre ad alcuni beni di mia proprietà.

Salgo verso Nostra Signora del Vento. Giungo alla croce da cui si diparte il sentiero che devo seguire per raggiungere Amaury. Guardo la croce. C’è il fazzoletto. Il cuore si dilata dalla gioia.

Sprono il cavallo verso il bosco.

Quando arrivo vicino alla radura, il vento mi porta un odore intenso, odore di morte. La carogna di qualche animale. O il cadavere di un uomo. Fermo il cavallo. Il luogo dove ci dobbiamo incontrare è vicinissimo. Certamente è di lì che viene questo fetore. Sento un brivido lungo la schiena. Non può essere. Non può essere.

Sprono il cavallo e raggiungo la radura. Dal ramo di un albero pende il cadavere di un uomo, un corpo nudo legato per i piedi.

Riconosco immediatamente quella pelle chiarissima e la capigliatura bianca, macchiate di sangue in più punti. La partita si è conclusa e Thibault è stato sconfitto. Il suo corpo ora penzola.

Guardo Amaury, in piedi vicino all’albero. Mi sorride.

- Come… come hai fatto?

Amaury scrolla le spalle.

- Mi sono servito di un pedone. Seguendo un pedone per dare scacco matto, Thibault non si è reso conto di essersi scoperto. Quando ha compreso, era troppo tardi.

- Un pedone?

- È un pezzo degli scacchi, che può risultare molto utile. Tu mi sei stato molto utile, Eudes. Sei il pedone che ho usato per dare scacco matto. Thibault sospettava di te, ti ha seguito, senza pensare che io l’avrei atteso al ritorno. Ho fatto in modo da isolarlo dai suoi uomini e l’ho ucciso quattro giorni fa.

Annuisco.

Scendo da cavallo. Guardo l’uomo che amo. Dovremmo partire subito, ma ancora una volta il desiderio mi prende, violento. Mi avvicino, prendo la testa di Amaury tra le mani, lo bacio. E poi, in questa radura dove si è conclusa la partita tra Amaury e Thibault, incomincio a spogliarmi, lentamente. Amaury sorride e mi imita. Ci guardiamo l’un l’altro, mentre i nostri corpi emergono dagli abiti. Quando vediamo di essere entrambi eccitati, sorridiamo. Ci avviciniamo, ci baciamo e ci stringiamo. Poi Amaury mi fa girare su me stesso e ora posso sentire il suo cazzo teso contro il mio culo. Mi chino in avanti e mi appoggio all’albero da cui penzola il cadavere di Thibault. Amaury passa due dita umide sul solco e poi sento il suo cazzo forzare l’apertura ed entrare in me. Gemo, questa volta di puro piacere, perché il dolore lo avverto appena. Amaury appoggia le mani sui miei fianchi e affonda completamente il cazzo dentro di me, poi lo ritrae fino a uscire. Poco dopo lo immerge nuovamente e dà inizio alla cavalcata. Io chiudo gli occhi e mi abbandono del tutto alle sensazioni che mi trasmettono il cazzo che scava dentro di me, le mani che mi stringono, il contatto dei nostri corpi quando la sua arma affonda completamente nel mio culo. Siamo io e lui. L’odore di morte che avverto mi dice che la minaccia che pendeva su Amaury si è dissolta. Lasceremo questa terra, ma sarà insieme, saremo sempre insieme.

E insieme veniamo. Il mio seme si sparge sull’albero a cui mi appoggio, quello di Amaury si rovescia nelle mie viscere.

Solo dopo un buon momento ci stacchiamo e ci rivestiamo. Saliamo a cavallo e ci lasciamo alle spalle l’odore di morte.

 

2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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