La stagione dagli O’Hara Mio padre stava bevendo un
bicchiere con Joe quando si misero a parlare del mio ingaggio come bracciante
per la stagione dagli O’Hara. Joe lo disse
chiaramente: - Cazzo, Mackie, bracciante, da solo, un ragazzo di quell’età. Sai
benissimo come finirà: gli altri braccianti glielo metteranno in culo già la
prima sera. Sentii quella frase mentre
stavo per entrare nella stanza e mi fermai, nascosto dallo stipite. Mio padre replicò
tranquillo: - Cose che succedono, Joe.
Deve imparare com’è fatta la vita. Aveva solo da studiare, se voleva fare il
dottore o l’avvocato. Tra me e la scuola non
c’era mai stato molto amore, anche perché mio padre cambiava città ogni tre mesi
e a me giravano i coglioni a dovermi ogni volta abituare a nuovi compagni,
che regolarmente prendevano in giro l’ultimo arrivato, e a nuovi insegnanti.
Avevo imparato presto a farmi valere e finii per essere sbattuto fuori da
ogni nuova scuola dopo pochi giorni. A Saint Louis mi mandarono via a calci
in culo due ore dopo il mio arrivo. In ogni caso, mio padre non mi avrebbe
fatto studiare a lungo, anche se fossi stato il primo della classe: voleva
che mi mettessi a lavorare il prima possibile e a dieci anni non ci provò più
a mandarmi a scuola. Le parole di Joe mi
avevano disorientato. Lui intanto riprese: - Cazzo, che cosa vuol
dire “cose che succedono”? La prima volta quasi mi mandavano all’altro mondo.
Avevo sedici anni e mi infilzarono in venti o giù di lì. Sanguinavo e stetti
male per tre giorni. Cagavo merda e sangue. - Piantala, Joe. Ci siamo
passati tutti. Già, mio padre lo sapeva
benissimo quello che succedeva: era stato anche lui bracciante. Ma
evidentemente alla faccenda non dava nessuna importanza. Per lui era uno dei
tanti inconvenienti che possono capitare a chi deve guadagnarsi da vivere
faticando e sudando per conto di altri. Ne aveva viste ben altre, lui: quando
era arrivato nelle Devil Hills, c’erano ancora gli
indiani, che un giorno avevano assalito la fattoria e fatto strage della sua
famiglia. Se aveva alzato un po’ il gomito, cosa che faceva ogni volta che
poteva permetterselo, mio padre raccontava che al nonno gli indiani avevano
tagliato i coglioni, per fabbricarsi una borsa per il tabacco con lo scroto.
Da allora, orfano e ancora ragazzino, non aveva avuto una vita facile, anche
perché era una testa calda e attaccava briga con tutti. Si ritrovava a
cinquant’anni senza un lavoro fisso, costretto ad arrabattarsi per sbarcare
il lunario. - Sì, però… - Silas
deve imparare a guadagnarsi da vivere e a cavarsela da solo. Io mi allontanai. Dovevo
incominciare il giorno dopo, alle sei. Sapevo che mi aspettava un’estate di
fatica, ma c’ero abituato: avevo cominciato a spaccarmi la schiena quando non
avevo neanche dieci anni, aiutando mio padre nei vari lavori stagionali. E
mio padre di certo non mi risparmiava. Ma, lavorando con lui, non avevo mai
subito violenze. Avevo preso tante botte, questo sì, per ogni piccolo errore
o anche solo perché non ero stato abbastanza solerte. Conservo ancora oggi
due cicatrici che mi lasciò mio padre. Non avevo previsto che i
maschi adulti con cui avrei lavorato avrebbero potuto interessarsi a me.
Benché avessi sedici anni, non avevo mai scopato con un uomo. E poche volte
con donne, qualche puttana che me l’aveva data gratis. Non è che fosse stato
quella gran meraviglia. Mi facevo qualche sega, quando il bisogno era molto
forte. Quel giorno, pensai alla
faccenda. Non ci potevo fare niente. Un po’ mi spaventava, ma devo dire che
mi incuriosiva anche. Non mi sembrava un dramma: in fondo la pensavo come mio
padre. Poteva essere una scocciatura, soprattutto se mi avessero fatto male
davvero, ma non era la fine del mondo. Probabilmente meglio delle botte. In
ogni caso, era meglio che mi premunissi. Nel pomeriggio presi il coltello di
mio padre e lo nascosi fuori dalla casa, tra le rocce. Mio padre non se ne
accorse fino a sera. Mi chiese dov’era. Io finsi di cadere dalle nuvole. Due
ceffoni me li presi, ma lui, dopo aver messo a soqquadro le mie cose, si
convinse che l’aveva preso qualche ladruncolo. Non è che intendessi
ammazzare qualcuno, ma pensavo che il coltello sarebbe potuto tornare utile,
se mi fossi trovato in una situazione insostenibile. In realtà, se avessero
cercato di prendermi in tanti, non sarebbe stato certo un coltello a
fermarli. Incominciavamo il giorno
dopo, lunedì. Mi alzai che era ancora notte: dovevo trovarmi dagli O’Hara all’alba ed era un’ora di strada. Se avessi avuto un
cavallo, sarebbe stato uno scherzo. Per quello un cavallo era meglio della
fica. Presi le mie (pochissime)
cose, recuperai il coltello e mi avviai. Arrivai quando stava schiarendo.
C’erano già diversi braccianti. Guardandoli pensai che probabilmente qualcuno
di quelli me l’avrebbe messo in culo in serata. Pensai che tutto sommato
sarebbe stato meglio scegliere, invece di lasciare che fossero loro a
decidere. Li guardai tutti, ma nessuno mi sembrava offrire qualche garanzia.
C’erano anche altri due ragazzi, che avevano la mia età o un anno o due in
più. Per un momento pensai di aggregarmi a loro, ma se le cose stavano come
diceva Joe – e come mio padre non aveva negato – saremmo diventati il
bersaglio comune. Per ultimi arrivarono due
che si assomigliavano molto. Pensai che dovevano essere fratelli e non mi
sbagliavo. Erano sui quaranta, tutti e due alti e ben piantati, con una barba
scura e pochi capelli in testa. Avevano l’aria simpatica e mi piacque il modo
in cui tennero testa al sovrintendente che li rimproverava per essere giunti
tardi (in realtà tardi non era, perché il carro che doveva portarci non era
ancora arrivato, come gli fecero notare). Decisi che se proprio
doveva succedere, era meglio che fossero loro. Perciò mi avvicinai e, quando
infine arrivò il carro e salimmo tutti, feci in modo di finire “casualmente”
accanto a loro due. Il viaggio durava
mezz’ora, perché si incominciava dai terreni sulla collina, piuttosto
lontani. Il fratello seduto alla mia sinistra si rivolse a me: - Come ti chiami, ragazzo? - Silas.
E voi? Ero contento che lui
avesse attaccato bottone, così potevo ignorare il tizio alla mia destra, che
si stringeva un po’ troppo a me. - Io sono Eliah. Lui è Abraham. È più vecchio, ma è meno
intelligente. - Eliah,
quando sono passati a distribuire i cervelli, tu eri andato a cagare, così
non hai avuto la tua razione. Abraham lo disse ridendo e
anche Eliah sorrise, continuando: - Non ti ho detto che
Abraham ha un pessimo carattere, ma questo lo avrai capito da te. Io risi. - Ma litigate sempre? - No, figurati: lo
sopporto. Doveva chiamarmi Job, mio padre, non Eliah. Abraham non rimase zitto: - Doveva chiamarti Satan. Non so come faccio a sopportare questa zecca, Silas, ma almeno quando muoio avrò già scontato tutti i
miei peccati. - Tutti i tuoi peccati?
Per quelli brucerai all’inferno, Eliah, per un
milione di anni. I due sembravano davvero
simpatici ed ero contento della mia scelta. - Da dove venite? Non mi interessava
saperlo, ma volevo mantenere il contatto che si era creato. Continuammo a parlare
e scoprii che avevano avuto una vita alquanto avventurosa. Erano stati anche
cacciatori di pellicce nell’Ovest e poi dopo essere sopravvissuti
miracolosamente a un attacco indiano sul fiume Platte,
avevano deciso che era preferibile rinunciare ad arricchirsi e vivere un po’
più a lungo, per cui si erano spostati nel Tennessee. Erano intenzionati a
comprarsi una piccola fattoria, grazie a quello che avevano guadagnato con il
commercio di pellicce. Avevano già avviato le trattative e a settembre la fattoria
sarebbe stata loro. In attesa di concludere, avevano deciso di lavorare come
braccianti e mettere da parte qualche soldo in più, invece di spendere quello
che avevano rimanendo inoperosi. Rispondendo alle loro
domande, raccontai anch’io la mia vita, che non era certo stata avventurosa
come la loro, ma che comunque era stata abbastanza movimentata. Il breve
viaggio creò tra di noi un certo affiatamento e incominciammo a lavorare
vicini. Abraham ed Eliah erano due tipi tosti: ci
davano dentro nel lavoro, senza smettere. Anch’io avevo l’abitudine a
lavorare, ma non la loro forza. Ogni tanto mi davano una mano e procedemmo
molto spediti. Il sovrintendente non ci richiamò mai, anche se i due fratelli
gli avevano tenuto testa quel mattino: aveva capito che erano due gran
lavoratori e per lui era la cosa più importante. Ci fu una pausa nelle ore
centrali e mangiammo tutti insieme. Eravamo tutti stanchi, ma Eliah e Abraham scherzavano e si pigliavano per il culo
l’un l’altro senza pietà. Pensai che si dovevano volere davvero bene e provai
una fitta di invidia: i miei fratelli, tutti decisamente più grandi di me, se
n’erano andati di casa da anni e tra noi non c’era mai stato un grande
legame, anche per la differenza di età. A sera ci portarono al
fienile, dove avremmo dormito. Prima di entrare, Abraham
mi disse: - Noi ci cerchiamo un
angolino tranquillo. Se non vuoi correre rischi, puoi rimanere con noi. Eliah intervenne: - E non ti preoccupare di
Abraham, da lui ti difendo io. Abraham scosse la testa,
come per dire che non valeva neppure la pena di replicare. Io mi dissi che i
due erano simpatici e che se doveva proprio avvenire, era meglio che fosse
con loro, per cui risposi: - Volentieri. Abraham ed Eliah si presero un buon posto in alto, in cui stavamo
giusto in tre. Ci lavammo tutti alla
vasca. Qualcuno si lavò appena le mani e la faccia. Abraham ed Eliah fecero un lavaggio accurato, mettendosi in mutande.
Ebbi modo di osservarli bene. Erano molto muscolosi, ma avevano un po’ di
pancia. Il torace e il ventre era ricoperto da una peluria scura, molto fitta
nel caso di Eliah, meno in quello di Abraham. Anche
le braccia erano piuttosto pelose. Il rigonfio nelle mutande non lasciava
dubbi sul fatto che dovessero avere tutti e due una buona attrezzatura e
questo mi spaventò un po’. Erano gentili e io non mi sarei opposto, ma temevo
che mi facessero male. Cenammo intorno al fuoco.
Diversi braccianti parlavano con gli altri due ragazzi. Uno, che si chiamava
Paul, sembrava a suo agio e rideva spesso. Mi dissi che doveva già esserci
passato e che non gli era dispiaciuto. L’altro invece era chiaramente
intimidito e rispondeva a monosillabi, tenendo gli occhi bassi. A me non si
avvicinò nessuno, ma Eliah e Abraham si erano messi
uno da una parte e l’altro dall’altra. Qualcuno guardò verso di me, ma in
qualche modo dovevano ritenermi proprietà dei due fratelli. Ci coricammo presto: il
mattino ci saremmo alzati prima dell’alba, per essere al campo allo spuntare
del sole. Mi fecero mettere
nell’angolo, contro la parete, e loro due si misero di fianco a me. In questo
modo se qualcuno si fosse avvicinato, sarebbe dovuto passare su di loro. Mi
aspettavo che ci fosse qualche battuta e che poi incominciassero i fuochi
d’artificio, ma mi diedero la buona notte. Eliah
incominciò a russare poco dopo. Abraham, che era vicino a me, ci mise qualche
minuto in più ad addormentarsi, ma presto sentii anche lui russare. Rimasi un
po’ sorpreso, ma alquanto sollevato. Il russare dei due non era molto forte e
cercai di sentire se c’erano rumori nel fienile. C’erano, senz’altro. Dal
piano di sotto si sentiva un ansimare, accompagnato da gemiti e qualche
battuta. Dovevano essere in diversi. Dall’altra parte del
fienile, dove si era coricato il ragazzo che appariva spaventato, si udivano
pure voci sommesse. A un certo punto ci fu un mezzo grido, subito soffocato.
Rimasi in ascolto un buon momento, poi mi addormentai. Il martedì mattina
scendemmo tutti e uscimmo per la colazione. Era ancora buio e i volti si
vedevano appena. Paul sembrava soddisfatto: la serata era stata di suo
gradimento. L’altro ragazzo teneva la testa bassa. Intorno a lui stavano tre
dei braccianti, che ridevano. Uno gli mise un braccio sulle spalle, un altro
gli palpò il culo e fece un apprezzamento. Parecchi risero. Fu un’altra giornata di
lavoro molto intenso. Con Eliah e Abraham mi
trovavo benissimo e, nonostante la differenza di età, mi sembrava che fossimo
vecchi amici. La sera li osservai di
nuovo lavarsi con cura: erano senza dubbio i due più puliti e, dormendo accanto
a loro, questo non mi dispiaceva. Non che fossi molto sensibile agli odori
altrui, ma avere vicino un caprone puzzolente, come quello che chiamavano Stinky, non è mai piacevole. E mi piaceva vedere i loro
corpi seminudi, osservare l’acqua che gocciolava sul petto villoso. La serata si svolse come
la precedente. I miei due compagni si addormentarono quasi subito, mentre in
almeno due altri punti del fienile ferveva un’intensa attività. Mi dissi che
avevo scelto proprio bene. Con Abraham ed Eliah ero
al sicuro. Ma mentre ascoltavo gemiti e sospiri, provavo una certa curiosità. Il mattino dopo,
mercoledì, mi svegliai prima che ci chiamassero. Era completamente buio, ma
l’alba non doveva essere lontana. Qualcuno vicino a me ansimava leggermente:
doveva essere stato quel suono a destarmi dal sonno. Mi chiesi se uno dei due
fratelli non stesse sognando. Con cautela spostai la mano in direzione di
Abraham, ma non era steso accanto a me. Il respiro pesante arrivava da poco
oltre, dove dormiva Eliah. Ci fu un piccolo gemito,
molto leggero, e l’ansimare cessò. Poco dopo sentii qualcuno sussurrare
parole che non distinsi e Abraham tornò a stendersi accanto a me. Abraham ed Eliah scopavano insieme? Non avrei saputo dare un’altra
spiegazione. Ci chiamarono poco dopo. I
due fratelli non sembravano diversi dal solito. Notai solo che quando Eliah si appartò per i suoi bisogni, rimase più a lungo
del giorno prima. Ma questo non voleva dire niente. La giornata trascorse come
le precedenti fino a sera. Subito dopo cena però, in un momento in cui Eliah e Abraham non erano vicino a me, mi si avvicinò
Harry, uno dei braccianti, un vero ercole. - Silas,
questa sera vieni a dormire con noi, che ci divertiamo un po’. Alcuni dei braccianti
risero. Uno aggiunse: - Sì, dai. Harry rincarò la dose: - Non è mica giusto che il
tuo bel culo se lo gustino solo i due fratelli. Lo vogliamo assaggiare anche
noi. Abraham ritornò in quel
momento. Harry si rivolse a lui: - Vero che ce lo prestate,
il vostro protetto? Abraham lo squadrò: - Silas
fa quel che cazzo gli pare. Non decidiamo noi per lui. - Allora questa sera viene
da noi. Così impara qualche cosa di nuovo. - Solo se lo vuole lui. Sul viso di Harry apparve
una smorfia. - Lui viene con noi. Io scossi la testa. Dissi,
con decisione: - No. Dormo con loro. Harry fece un passo avanti
e fece per afferrarmi il braccio, ma Abraham si mise in mezzo. Harry sibilò: - Togliti di mezzo,
stronzo, o ti spacco la faccia. Abraham non si spostò.
Harry incuteva paura e non era abituato a trovare qualcuno con i coglioni che
osasse opporsi a lui. Ebbe una smorfia di disprezzo, si voltò come per
andarsene, ma con un movimento brusco si rigirò e mollò un pugno tremendo in
pancia ad Abraham. Non lo prese impreparato: in qualche modo Abraham, più
esperto del mondo di quanto non fossi io, se l’aspettava, per cui saltò
all’indietro e il pugno lo sfiorò appena. In quel momento qualcuno
si avventò su Harry e i due finirono a terra: era Eliah,
che era tornato e aveva assistito all’ultima parte della scena. Harry cadde
malamente ed Eliah ne approfittò per prendergli la
testa e sbatterla contro il suolo. Il sovrintendente arrivò
in quel momento e intimò a Eliah di lasciare la
preda, cosa che lui fece subito, rialzandosi. Harry aveva il viso sporco
di polvere e sangue. Si rivolse a Eliah: - Uno di questi giorni ti
ammazzo, bastardo. Poi guardò Abraham e
aggiunse: - Ce ne sarà anche per te. Se ne andò, voltando le
spalle al sovrintendente, nonostante questi lo chiamasse. Dopo che ci coricammo, Eliah mi disse: - Di sicuro l’hai già
capito, ma è meglio che tu giri al largo da Harry. Fu Abraham a rispondere: - Questo vale anche per
te, Eliah. Vale per tutti e tre. Potevo solo confermare. Lo
scontro mi aveva turbato e tardai a prendere sonno. I miei due compagni non
fecero fatica ad addormentarsi. Da altri punti del fienile sentivo provenire
i soliti rumori. Ero molto curioso e di certo mi sarei sporto per vedere, ma
nel fienile si riusciva a scorgere a malapena un’ombra quando qualcuno
passava nello spazio libero davanti alla porta: le aree in cui dormivamo
erano immerse nel buio. Non mi sembrava proprio il caso di avvicinarmi per
verificare se riuscivo a vedere qualche cosa. L’ansimare e i gemiti
destavano la mia curiosità e il bisogno premeva. Pensai di farmi una sega,
poi ci rinunciai. Sentivo il respiro pesante di Eliah
(si era messo lui di fianco a me) e mi chiedevo se avevo fatto un buon affare
a mettermi con i due fratelli. Certo, non avevo nessun voglia di farmi
fottere da Harry. Ma avevo voglia di provare e i miei due angeli custodi non
sembravano intenzionati a prendere l’iniziativa. Il giovedì non successe
nulla di notevole. Harry ogni tanto ci guardava. Quando fissava me, aveva una
luce maligna negli occhi. Quando il suo sguardo si posava su Eliah o Abraham, vi si leggeva l’odio. Però non si
avvicinò e non fece nulla. Aspettava il momento giusto, certo che prima o poi
sarebbe arrivato. Il venerdì mattina mi
svegliai nuovamente un po’ prima dell’ora a cui ci chiamavano e mi resi conto
che a destarmi non era stato il leggero ansimare (che sentivo anche questa
volta), ma la vibrazione delle assi di legno su cui dormivamo. Abraham ed Eliah scopavano, ormai ne ero certo. Il pensiero mi
provocò una violenta erezione. Volevo partecipare anch’io. La faccia tosta non mi
mancava: con Susy Ann, la seconda puttana che me
l’aveva data gratis, ero stato io a propormi, quando avevo visto che lei mi
fissava. Mi ero avvicinato e le avevo detto: “Non ho un centesimo, ma questo
non ci impedisce di divertirci tutti e due.” Susy Ann
aveva riso e c’era stata. Avrei potuto farmi avanti
con Eliah e Abraham, ma in qualche modo mi
intimidivano, senza che fossi in grado di capire il perché. Perciò, per
quanto fossi sempre più infoiato, non mi decidevo ad agire. Stavo troppo bene
con i miei angeli custodi: con loro avevo una confidenza che non avevo mai
avuto con nessuno, né con i miei fratelli maggiori, che non avevo fatto in
tempo a conoscere bene, né con mio padre, a cui importava ben poco di me. Con
Eliah e Abraham parlavamo di tutto, dei miei
problemi con la scuola e delle loro avventure nell’Ovest, degli indiani e dei
negri, di quella che sarebbe diventata la loro fattoria e dei miei vaghi
progetti per il futuro: su quest’ultimo punto avevo poco da dire, non sapevo
che cosa avrei fatto. Erano loro a stimolarmi, a dirmi che era ora che io
incominciassi a pensarci, a fare progetti e a rimboccarmi le maniche per
realizzarli. Stavo troppo bene con
loro. Avevo paura di rovinare tutto rivelando i miei desideri. Avrebbero potuto dire di
no e mi sarei sentito umiliato. Avrebbero potuto togliermi la loro protezione
e sarei rimasto indifeso davanti a Harry e agli altri. Avrebbero potuto
guardarmi con disprezzo e anche solo questo mi avrebbe fatto male. Semplicemente, mi stavo
innamorando di loro, ma questo non lo sapevo. Non avevo mai amato, non ero in
grado di riconoscere l’amore. Andammo avanti così anche
le notti seguenti. Durante il giorno Eliah e Abraham mi davano una mano per tutto e vegliavano
su di me. Harry girava alla larga, anche se continuava a guardarci torvo. Nelle pause dei pasti e la
sera chiacchieravamo. Scoprii che Eliah e Abraham
erano rimasti separati sette anni: i tre fratelli maggiori erano partiti per
l’Ovest con Abraham, quando lui aveva dodici anni e Eliah
dieci. Sarebbero dovuti rimanere lontano uno o due anni, ma tornarono dopo
sette. Da allora però i due fratelli non si erano mai più separati. Mi chiesi
se fossero diventati amanti allora, oltre vent’anni fa. Mi sembrava
probabile. La sera si sentivano i
soliti gemiti e sospiri nel fienile, ma né il sabato, né la domenica mattina Eliah e Abraham scoparono. La domenica avevamo la
giornata libera. Qualcuno, che abitava nella regione, era già partito il
sabato sera per tornare a casa: tra questi era Harry e ne fui contento. In
maggioranza però i braccianti erano rimasti alla fattoria, anche perché
potevano avere i pasti. Quando ci alzammo, più
tardi del solito, Eliah e Abraham mi dissero che a
loro sarebbe piaciuto andare al fiume a bagnarsi e mi chiesero se avevo
voglia di andare con loro. Non me lo feci ripetere. Partimmo abbastanza
presto e camminammo a lungo: come disse Eliah, non
volevano avere nessuno a rompere i coglioni. Costeggiando il fiume, trovammo
un affluente, poco più di un torrente, e lo risalimmo finché arrivammo a un
posto piacevole, circondato da una boscaglia fitta, con uno spiazzo sulla
riva che sembrava fatto apposta per stendersi. Eliah e Abraham si spogliarono, prendendosi
per il culo come al solito: - Vediamo un po’ se stai a
galla o affondi, pancione. - Tu galleggi di sicuro,
perché la testa è vuota e ti tiene a galla. - Tu invece affondi,
perché la testa ce l’hai piena di segatura. Non badavano a me. Io mi
sentivo teso, perché intuivo che si sarebbero spogliati completamente. Desideravo
vederli nudi e nello stesso tempo l’idea mi spaventava. Eliah
fu il primo a finire di spogliarsi e calando le mutande mise in mostra un
grosso cazzo e un formidabile paio di coglioni. Non era certo il primo uomo
che vedevo nudo, ma lo spettacolo mi tolse il fiato. Eliah
aveva davvero un’attrezzatura notevole e Abraham non era da meno. Non
riuscivo a distogliere lo sguardo, per quanto mi vergognassi. Eliah si gettò in acqua, in una pozza più profonda.
Invece Abraham camminò fino a che l’acqua gli arrivò all’altezza della vita. Eliah, arrivato alle sue spalle, gli spruzzò l’acqua
addosso. Abraham si gettò, ma quando riemerse, assalì Eliah.
Lottavano, ridendo. Infine Abraham mise la testa di Eliah
sotto l’acqua e la tenne un buon momento, prima di lasciarlo riemergere. Giocavano come due
bambini. Io avrei voluto unirmi ai loro giochi, ben sapendo che mi avrebbero
coinvolto volentieri, ma lo spettacolo me l’aveva fatto venire duro e mi
vergognavo a spogliarmi. Rimanevo a guardarli,
affascinato dalla loro maschia vitalità e dai loro corpi forti, segnati dal
tempo. In quel momento sentii un
rumore alle mie spalle, ma prima che potessi voltarmi, un braccio mi afferrò
e contro la gola sentii la lama di un coltello. - Adesso regoliamo i
conti, stronzi. Era Harry, che aveva solo
finto di partire la sera prima – o forse era davvero partito, ma adesso era
tornato. Vidi con la coda dell’occhio un altro uomo, anche lui alquanto
massiccio e armato di coltello. Eliah e Abraham si guardarono un attimo, poi
si avvicinarono. - Se fate ancora un passo,
lo sgozzo. Abraham replicò,
tranquillo: - Non dire cazzate, Harry.
Se lo fai, finisci con una corda al collo. - Ammazzo anche voi. Eliah e Abraham erano usciti dall’acqua ed
erano a pochi passi da noi, ma a una certa distanza l’uno dall’altro. - Harry, sei ancora più
coglione di quanto pensassi. Incredibile! Eliah rise all’osservazione del fratello. Poi
fecero ancora due passi avanti, avvicinandosi a noi e allontanandosi l’uno
dall’altro. C’era qualche cosa, nel modo in cui si muovevano, un po’ chini,
ma pronti a scattare, che rivelava la loro sicurezza e una lunga pratica di
combattimenti. Avevano dovuto affrontare spesso lotte corpo a corpo e tutti e
due ne portavano le cicatrici. Di certo non era un Harry a spaventarli. Eliah era molto vicino a Harry, che si sentiva
sempre più a disagio: lo avvertivo dalla presa, meno salda, e dai movimenti
impacciati. Infine allontanò il coltello e mi spinse a terra: per lui ero
ormai un ostacolo, voleva avere le mani libere per combattere. Fu come il
segnale della battaglia. In un attimo Abraham si chinò, raccolse della ghiaia
e la gettò in faccia al complice di Harry. L’uomo chiuse un attimo gli occhi
e questo fu più che sufficiente perché Abraham lo colpisse con un calcio ai
coglioni. Poi, mentre l’uomo si piegava in due per il dolore, Abraham gli
vibrò un colpo al collo che lo fece cadere a terra, boccheggiante. Un calcio
in faccia spense ogni velleità di resistenza e Abraham si impadronì del
coltello senza fatica. Harry arretrava, vibrando
fendenti per tenere lontano Eliah, che lo
incalzava. Poi, vedendo il suo compare a terra, giocò il tutto per tutto: si
lanciò su Eliah, cercando di colpirlo. Eliah saltò in alto, si aggrappò a un ramo e slanciando
le gambe in avanti, mandò Harry a terra. Abraham gli afferrò il polso della
mano che stringeva il coltello, mentre Eliah
atterrava a piè pari sul suo torace, strappandogli un urlo. In pochi minuti, i due
assalitori erano a terra, alquanto malconci e disarmati. Eliah
e Abraham si guardarono, poi presero a pisciare in faccia a Harry. Questi
cercò di alzarsi a sedere, ma un violento calcio lo mandò a terra. Quando i due fratelli
ebbero finito, Eliah si chinò e appoggiò la lama
del coltello sotto i coglioni di Harry. Fu Abraham a parlare: - Che ne diresti se ti
castrassimo, Harry, come un porco? Così forse ti si calmano i bollenti
spiriti. Lessi il terrore sul viso
di Harry. - No! No! Io… - Ascoltami bene, pezzo di
merda. Adesso tu e il tuo amico ve ne tornate da dove siete venuti. Non
rimettete più piede da queste parti finché ci siamo noi: la stagione te la
fai da un’altra parte, se ti prendono. Perché se ritorni qui, Harry, te li
taglio davvero. Hai capito? E dicendolo punse con la
lama la pelle. Harry spalancò gli occhi, ansimando. Poi annuì. A fatica si
alzò. Il suo complice era ancora a terra, boccheggiante. Harry fece per
andarsene, ma Eliah gli disse: - Portati via anche questo
stronzo. Harry aiutò il tizio a
sollevarsi e se ne andarono, barcollando. Abraham scosse la testa. Io chiesi: - Credete che torneranno? - No, Harry è un coglione,
ma ha capito che noi non scherziamo. Di oggi non torna. Ma non so se deciderà
di andarsene davvero. Poi Eliah
mi disse: - Spogliati, Silas. Ci mettiamo a lavare i panni. Abraham ed Eliah presero le loro camicie e le mutande e si misero a
lavarle energicamente. Io mi spogliai: lo scontro aveva cancellato
l’eccitazione e se la vista dei due fratelli l’avesse fatta tornare, avrei
potuto tuffarmi nell’acqua fresca. Abraham ed Eliah lavarono con cura, poi mi passarono il sapone e
anch’io mi lavai camicia e mutande. Stendemmo ad asciugare ai rami degli
alberi la nostra biancheria. Eliah si stese a pancia in giù. Abraham si
mise su un fianco, vicino al fratello, e incominciò ad accarezzargli la
schiena, dalla nuca fino al culo. Eliah sorrideva.
A me mancò il fiato. Le mani di Abraham risalirono lungo la schiena di Eliah, le sue dita indugiarono sulla nuca, poi la
strinsero un po’ e infine ridiscesero e questa volta strinsero con forza le
natiche. Poi Abraham mi guardò e disse: - Se ti dà fastidio, Silas, smettiamo. Io scossi la testa, senza
fiato. Eliah mi guardò, strizzò un occhio e disse: - Se invece ti piace, ti
toccherà pagare la tua parte. Cercai di controllare la
voce, per rispondere senza tradire la mia agitazione: - E come dovrei pagare? - Vedremo. La mano di Abraham scivolò
ancora una volta dalla nuca al culo, ma questa volta un dito cercò l’apertura
e si infilò, senza tante cerimonie, forzando l’apertura. Eliah
sussultò. - Oh, cazzo! Potresti
essere un po’ più delicato. - La mia povera verginella… Il dito premeva, poi
Abraham lo tolse e questa volte ne infilò due. Io però non guardavo più la
sua mano, ma il suo cazzo, che si stava tendendo. Era bellissimo, grande e
forte, con la cappella di un colore scuro, un rosso quasi violaceo. Il mio corpo reagì con
intensità. Eliah mi lanciò un’occhiata e mi
sorrise, strizzandomi di nuovo l’occhio. Il cazzo di Abraham cresceva ancora
di volume. Mi sembrava impossibile che potesse entrare dentro Eliah senza provocare lacerazioni. Mi tornavano in mente
le parole di Joe quando parlava con mio padre della sua esperienza. Eliah mi tese una mano e mi disse: - Vieni qui. Io mi alzai e mi avvicinai
finché lui mi prese la mano e mi fece stendere a terra sulla schiena, accanto
a lui. Poi avvicinò la sua bocca alla mia e mi baciò. Era la prima volta che
baciavo un uomo e mi parve bellissimo. Mi piacque sentire i peli della sua
barba contro il mio viso e gli accarezzai la guancia. Eliah
spinse la sua lingua dentro la mia bocca. L’aveva già fatto Susy Ann, ma questa volta la sensazione fu molto più intensa e
molto più piacevole. Ora una mano di Eliah mi
accarezzava il viso e poi scendeva sul collo. Eliah
ritirò la lingua, staccò il viso e mi guardò sorridendo. Intanto la sua mano
scivolava sul mio corpo, in una carezza delicata, fino al cazzo, ormai teso,
e ai coglioni. Eliah strinse e in quel momento
sussultò e disse: - Cazzo! Abraham! Abraham era entrato dentro
di lui e ora era steso sulla sua schiena. Abraham rise e si ritrasse. Guardai
il suo grosso cazzo uscire dal culo di Eliah. Eliah mi guardò: - Abraham non ci sa fare.
È un animale. D’altronde, che cosa pretendi da uno che ha il cervello di una
gallina? Per tutta risposta, Abrahm lo infilzò come un pollo con il suo potente spiedo.
Eliah sussultò di nuovo, ma doveva essere abituato
a quel tipo di gioco. Strinse i denti e mi disse: - Non prendere esempio da
lui, Silas. Non imparerà mai, ma non è neanche
colpa sua: proprio non ci arriva… La frase finì con un
gemito, perché Abraham aveva appioppato una forte spinta. Io guardavo,
affascinato, i due corpi che aderivano uno all’altro. Abraham incominciò a
spingere con forza, avanti e indietro. Il movimento deciso del suo grosso
culo peloso e i gemiti di Eliah mi stordirono. Ero
talmente eccitato che mi mancava il fiato. Pensai che sarei venuto soltanto
guardandoli. Eliah ogni tanto strizzava gli occhi e
il viso gli si era arrossato: ero certo che Abraham, che ci dava dentro senza
pietà, gli facesse alquanto male, ma Eliah non
sembra intenzionato a sottrarsi. Abraham afferrò le natiche
di Eliah e strinse con forza. Questa volta il
gemito di Eliah fu quasi un urlo. - Cazzo, bestia! Due spinte ancora più
vigorose parvero spegnere ogni velleità di resistenza di Eliah.
Per un buon momento Abraham continuò, senza che Eliah
dicesse più nulla. Poi il suo culo prese a muoversi a un ritmo più rapido e
violento. Eliah emise una serie di gemiti più
forti, bestemmiò due volte, poi lanciò un urlo strozzato, mentre Abraham
assestava le ultime spinte, ancora più forti, come se volesse trapassare Eliah. Abraham emise un grugnito e si afflosciò su Eliah. Sembravano tutti e due esausti. Poi Abraham uscì e si
distese sulla schiena; Eliah lo imitò. Potevo
guardare i loro grossi cazzi, ancora gonfi di sangue, ma non più rigidi, che
poggiavano sulla peluria fitta del ventre. Eliah
aveva una macchia umida: anche lui era venuto. Ci volle un momento prima
che Eliah parlasse e dicesse: - Cazzo, Abraham! Dopo
averti visto in azione in questo modo, Silas sta
solo aspettando il momento per scappare il più rapidamente possibile. Abraham si sollevò un po’,
per guardare nella mia direzione. - A giudicare dal cazzo
duro, secondo me non è a scappare che pensa. Poi si rivolse a me: - Quando abbiamo ripreso
fiato, facciamo un giochino a tre, se ne hai voglia. Eliah replicò: - Deve averne voglia come
di farsi impiccare. - In effetti agli
impiccati spesso viene duro. Lo scambio di battute mi
strappò un mezzo sorriso, ma io ero troppo eccitato. Eliah
lo capì, mi tese una mano, che io gli presi, e mi fece stendere su di lui.
Era splendido sentire sotto di me quel corpo caldo. Incominciai ad
accarezzare la peluria fitta. Le mie carezze,
inizialmente esitanti, si fecero via via più
decise. E a un certo punto sentii sulla mia schiena la mano calda e forte di
Abraham. Emisi un gemito. Mi resi conto che ormai ero sul punto di venire. Lo
intuì anche Abraham, che si stese su di me. Ora il mio corpo era stretto tra
i corpi vigorosi dei due fratelli. Contro il mio culo sentivo il cazzo di Abraham
e contro il ventre quello di Eliah. Mossi
leggermente il culo due volte e venni su Eliah. Eliah mi prese la faccia tra le mani e mi
baciò. Abraham scivolò di lato e mi accarezzò dolcemente, più volte, dalla
nuca al culo. Poi mi stesi di fianco a
loro. Stavo bene come non mi era mai capitato. Sentii che il sonno mi
prendeva e mi abbandonai. Mi svegliai un’oretta
dopo. Doveva essere intorno a mezzogiorno, perché il sole era molto alto in
cielo. Eliah e Abraham erano di nuovo in acqua.
Quando mi misi a sedere, raggiunsero la riva. - Che ne diresti di
mangiare, Silas? In effetti avevo fame,
anche se non solo di cibo. Mangiammo, poi ci
distendemmo, uno a fianco dell’altro, sull’erba. Io sentivo il desiderio
crescere, ma mi vergognavo di dirlo, anche se mi rendevo conto che non aveva
senso. Eliah mi strizzò l’occhio. - Direi che il nostro Silas ha ancora fame, anche se ha appena mangiato. - Mangiato? Ha fatto
appena uno spuntino, ma adesso può saziarsi, se vuole. Abraham mi passò una mano sotto
il collo e mi sollevò. Lasciai che mi guidasse fino al suo cazzo. Lo guardai,
ammaliato. Abraham esercitò una pressione leggera e mi trovai a sfiorare con
le labbra quel saporito boccone. Non l’avevo mai fatto, non sapevo come
farlo, ma lasciai che mi guidasse il desiderio. Presi in bocca la cappella,
incominciai a leccare e succhiare e sentii che dentro la mia bocca il cazzo
acquistava volume e consistenza. Eliah si era messo
dietro di me e le sue mani mi accarezzavano la schiena e il culo, scivolando
poi davanti, fino a stringermi il cazzo. Io continuavo a succhiare, leccare e
mordicchiare, mentre le mie mani stringevano i coglioni di Abraham o
risalivano lungo il ventre, fino al torace. Ora il corpo di Eliah aderiva al mio e le sue mani mi percorrevano, dai
capezzoli, che stringeva con forza, al culo. Due dita scivolarono lungo il
solco, raggiunsero l’apertura e la stuzzicarono. Si staccarono e ritornarono,
umide. Questa volta non si fermarono sulla soglia, ma entrarono e io
sussultai: era la prima volta che questo mi capitava. Eliah mi sussurrò: - Vuoi provare qualche
cosa di più consistente? Avevo paura, ma lo
desideravo. Staccai la bocca e riuscii ad articolare un “Sì” appena
percettibile. - Vuoi provare la mazza di
Abraham o la mia? Guardai la formidabile
mazza che avevo appena mollato per rispondere. Ripensai a quando Abraham era
entrato dentro Eliah. Non me la sentivo. - La tua, Eliah. E mentre lo dicevo guardai
in viso Abraham. Sorrideva e avrei giurato che era contento della mia scelta.
Non capii. Non potevo capire che Abraham, pur desiderando essere il primo a
gustare il mio culo, preferiva che lo fosse Eliah,
perché sapeva che anche il fratello lo desiderava. Non conoscevo le scelte
dell’amore. Eliah mi accarezzò a lungo e io ripresi la mia
opera con Abraham, ma ero teso, in attesa di ciò che sarebbe avvenuto. Eliah mi fece stendere, mettendomi in modo che potessi
continuare la mia opera e contemporaneamente offrirgli il culo. Poi
incominciò a mordicchiarmi le natiche. Anche questo era per me del tutto
nuovo. Non mi era mai passato per la testa che si potesse fare. Eliah mordeva ora molto delicatamente, ora assestando
morsi decisi, che mi facevano sussultare. Io intanto cercavo di tenere in
bocca il più possibile il cazzo di Abraham, che aveva ormai raggiungo le sue
dimensioni massime. La lingua di Eliah lungo il solco e poi contro il buco mi fece gemere
e chiusi gli occhi, preso da una vertigine. Eliah
ripeté l’operazione due volte, poi si stese su di me. Potevo sentire il suo
cazzo premere contro il solco. Eliah mi baciò sul
collo, passò la lingua dietro l’orecchio, poi dentro, mi morse una spalla e,
prima che avessi il tempo di realizzare, forzò l’apertura. Si fermò subito,
dandomi un momento per riprendermi e abituarmi. Avevo smesso di succhiare il
cazzo di Abraham, troppo assorto dalle nuove sensazioni che mi trasmettevano
la bocca e il cazzo di Eliah. Solo la cappella era
dentro di me. Avrei voluto dirgli di uscire, perché questa presenza nuova e
ingombrante mi sgomentava. Ma avrei anche voluto dirgli di entrare ancora di
più dentro di me, perché la sensazione di pienezza che mi trasmetteva era
inebriante. Non dissi nulla. Abraham mi accarezzò la testa, con molta
delicatezza. Dopo un attimo Eliah avanzò ancora. Mi tesi e si fermò, ma quando mi
rilassai nuovamente, spinse più a fondo. Ora era dentro di me, forte, grande,
caldo. Era bellissimo, anche se era un po’ doloroso. Era bello sentire la sua
forza dentro di me, sentirlo dilatare le mie viscere, riempirle
completamente. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a questa sensazione
splendida, dimenticando tutto il resto. Era perfetto. Eliah mi lasciò tutto il tempo di abituarmi,
mentre le sue mani e la sua lingua mi accarezzavano e mi stuzzicavano. Poi
incominciò lentamente a muoversi avanti e indietro, spingendo a fondo, fino a
che il suo sperone era tutto dentro di me, e poi ritraendosi. Due volte uscì,
mi diede il tempo di tirare il fiato, poi rientrò, sempre con lentezza. Io avevo lasciato il
boccone di carne che avevo gustato: adesso tutto il mio corpo vibrava per la
mazza che mi scavava dentro, trasmettendomi sensazioni intensissime. Eliah uscì ancora una volta, ma io gemetti: lo volevo
dentro di me, avrei voluto averlo dentro per sempre. Eliah
rientrò e riprese le sue spinte, che andarono lentamente intensificandosi.
Poi il ritmo della cavalcata divenne intensissimo. Il piacere si dilatò
ancora, ma ora era misto a un dolore che cresceva e che era impossibile
ignorare. Gemetti ed ebbi la sensazione che dentro di me qualche cosa
esplodesse. Il seme sgorgò violento e il piacere mi accecò. Poco dopo sentii
dentro di me il seme di Eliah che si riversava
nelle mie viscere. Abraham mi accarezzò la testa. Quando Eliah
uscì da me, ci sdraiammo tutti e tre sulla schiena. Eliah,
che era tra me e Abraham, mise la mano sul cazzo del fratello e incominciò ad
accarezzarlo, poi lo strinse e si mise a fargli una sega. Abraham sorrideva,
tranquillo. Lo vidi solo socchiudere la bocca in un sospiro appena udibile
quando venne. Si girò verso il fratello e lo baciò sulla bocca, poi ritornò
nella posizione di prima. In quel che rimaneva del
pomeriggio, ci baciammo e ci accarezzammo ancora. Credo che avrei volentieri
scopato ancora, ma loro non presero nessuna iniziativa e io non dissi nulla. La sera tornammo al
fienile. Harry non c’era, ma arrivò il mattino dopo. Guardò i due fratelli
con un’aria di sfida, come a dire: “Sono qui e ora provate a mandarmi via.”
Abraham ed Eliah non dissero nulla. Lo ignorarono
completamente, ma Eliah mi disse: - Non ti allontanare da
solo o con qualcuno che non sia uno di noi due. Harry si vuole vendicare
dell’umiliazione e tu sei il bersaglio più facile. Qualcuno degli altri può
essere disposto a dargli una mano, per gustare il tuo culo. Annuii. - Va bene, Eliah. Durante il giorno non
successe niente e neppure la sera, ma nella notte fui svegliato di
soprassalto dalla voce di Abraham, che diceva, forte: - Che cazzo vuoi, Harry?
Non è qui che dormi. Mi tirai su a sedere.
C’era qualcuno vicino, che si allontanò, senza dire nulla. Al buio era impossibile
capire chi era, ma ero sicuro che Abraham non si fosse sbagliato. Mi sentivo
inquieto, ma Eliah mi sussurrò: - Dormi tranquillo, Silas. Abbiamo il sonno molto leggero: nell’Ovest chi ha
il sonno duro non campa a lungo. Non ci prenderà di sorpresa. Qualcuno bisbigliava in un
angolo del fienile. Ci fu una risata, poi ancora un mormorio e infine tornò
il silenzio. Mi riaddormentai, inquieto, ma sentendomi protetto dai miei due
angeli custodi. Nei giorni seguenti non successe
niente di notevole. Harry non si avvicinava, ma intuivo benissimo che
attendeva un’occasione favorevole per vendicarsi. Facevo molta attenzione a
non allontanarmi da Eliah e Abraham e anche loro
erano vigili, ma non per questo tesi: li vedevo molto più tranquilli di me.
Erano abituati a ogni sorta di pericoli, avevano affrontato indiani, orsi,
lupi, banditi, il gelo delle montagne in inverno, perfino un puma. Due volte in settimana ci
amammo nel buio del fienile e mi sembrò di essere in paradiso. La domenica successiva ci
scegliemmo un altro posto isolato, controllando che Harry non ci vedesse, e
ci dedicammo ai nostri giochi. Quel giorno mi prese anche Abraham, con grande
delicatezza. Fu doloroso, ma splendido. Tornando alla fattoria,
scoprii che mio padre era passato a ritirare la mia paga per i quindici
giorni di lavoro. In realtà aveva chiesto l’intero mese, ma il responsabile
si era rifiutato di pagare in anticipo. Aveva anche lasciato detto che
partiva per Phoenix. Tipico di lui. Per qualche motivo aveva deciso di
spostarsi. Di me non gliene fotteva un cazzo, come dei miei fratelli. Aveva
pensato a me solo perché sperava di poter avere i soldi che stavo
guadagnando. Non aveva lasciato un indirizzo, niente. Phoenix. Se volevo,
potevo cercarlo là, alla fine dei lavori estivi. Sempre che lui non avesse
già lasciato Phoenix o magari non avesse cambiato idea strada facendo. Se non ci fossero stati
Abraham ed Eliah, la faccenda mi avrebbe
angosciato. Ma sapevo di poter contare su di loro e questo mi aiutò a
incassare il colpo, che non era del tutto inatteso: sapevo che tipo era mio
padre. Un mese passò senza
particolari problemi. Gli ultimi quindici giorni li avremmo trascorsi in
un’altra fattoria. Io ero un po’ inquieto, perché non sapevo dove ci saremmo
sistemati per la notte. L’angolo del fienile in cui eravamo stati fino ad
allora, in alto, era un’ottima posizione, isolata e raggiungibile solo da una
direzione o con la scala. Non era detto che avessimo una sistemazione
altrettanto comoda. I miei timori si
rivelarono fondati. Dormivamo tutti in un edificio basso e lungo, sul cui
pavimento erano stati stesi pagliericci. Abraham ed Eliah
si assicurarono un angolo, ma questo non significava molto: niente ci
separava dagli altri e fummo costretti a diventare molto più cauti nei nostri
giochi notturni. Harry dormiva poco più in là, con alcuni dei suoi amici. Ero
sicuro che prima o poi avrebbe cercato di vendicarsi, anche se sapeva di
avere due avversari formidabili. I giorni però passavano
senza che succedesse niente. E man mano che si avvicinava la fine della
stagione, un altro problema mi assillava: che cosa avrei fatto? Non avevo più
una casa a cui tornare, se casa si poteva chiamare quella specie di baracca
in cui vivevamo. Potevo cercare mio padre a Phoenix, era quello che avrei
dovuto fare, anche se non era detto che lo trovassi. Oppure avrei potuto
cercare lavoro da qualche parte. Ma in quel momento erano due possibilità che
non mi interessavano per niente. Desideravo una sola cosa: andare a stare con
Abraham ed Eliah. L’idea di non vederli più ogni
giorno mi faceva stare male, tanto male che non riuscivo a nascondere la mia
sofferenza. L’ultima domenica della
stagione, cercammo come al solito un posto isolato. Eliah
si allontanò subito. Abraham allora mi chiese che cosa avessi. - Sono diversi giorni che
sei di umore nero, Silas. Qual è il problema? Abraham mi sorrideva, ma
io non sapevo da che parte incominciare. Poi mi feci coraggio e dissi: - Penso a dopo, a domenica
prossima, quando ce ne andremo. Sai che mio padre è andato via, a Phoenix.
Non so bene che cosa fare. Abraham parve stupito. - Ma che cazzo dici, Silas? Non vuoi venire con noi? E perché? Io mi ponevo tanti
problemi e lui dava per scontato che io andassi con loro. - A me piacerebbe, ma… non so… - Non sai che cosa, Silas? Il nostro ranch è un bel posto. Non c’è da vivere
nel lusso, ma quello che serve non manca. Che cos’è che ti fa esitare? Abraham non capiva. Per
lui era ovvio che io andassi con loro. Io ne ero ben felice, ma non sapevo
più che cosa dire. Allora provai a chiedere: - Sei sicuro che Eliah sia d’accordo? - Eliah?
Ma Eliah è sicuro che tu venga con noi. Figurati se
non è d’accordo. E… Si sentì il verso di un
uccello e Abraham si interruppe di colpo. Si mise un dito davanti alla bocca.
Poi prese dalla bisaccia una pistola. Non sapevo che ne avesse una. Abraham si guardò intorno
e mi sussurrò: - Stenditi dietro quel
sasso e non ti muovere. Obbedii. Pancia a terra,
mi guardai intorno, sporgendo la testa di lato. Abraham si spostò dietro un
albero, con la pistola in pugno. Non sapevo quale pericolo
ci minacciasse, ma ero sicuro che si trattasse di Harry, deciso a regolare i
conti una volta per tutte. Non mi sbagliavo. Lo vidi
arrivare, con altri quattro, tutti armati. Due lavoravano con noi alla
fattoria, gli altri non li conoscevo, dalla carnagione scura li avrei detti
messicani, ma erano i classici pendagli da forca, probabilmente due
pistoleri. Harry si guardava intorno,
quando risuonò la voce di Eliah: - Siete sotto tiro. Buttate
le pistole. Eliah doveva essere appostato da qualche
parte: per quello si era allontanato subito. Lui e Abraham erano sicuri che
Harry avrebbe agito oggi. I due pistoleri si
girarono, buttandosi a terra e spararono. Subito dopo risuonarono altri quattro
spari e anche Harry e gli altri due uomini si gettarono a terra. Sentii un
grido e una bestemmia, in spagnolo. Vidi Abraham scattare di corsa e sparare
due volte. Sentii ancora un urlo. Poi ci fu silenzio. Non
osavo muovermi. Non avevo una pistola, che comunque mi sarebbe servita a
poco: non ero un buon tiratore. Mi venne in mente il coltello, che avevo
nella bisaccia. La sacca era a pochi passi e mi sporsi per prenderla, ma una
pallottola fischiò a due dita dalla mia testa. Mi ritrassi dietro il masso. Non sapevo dove fossero,
ma erano in una posizione da cui potevano controllarmi. Ed Eliah? E Abraham? Abraham non era stato colpito: non
c’erano più stati spari da quando lo avevo visto muoversi. Ma Eliah? E i cinque? Quanti erano feriti o morti, quanti
erano appostati in attesa di poterci colpire? L’idea di non poter far
nulla mi rodeva. Loro erano in cinque, cinque contro due. Ci fu un altro sparo. Poi
due colpi. Un nuovo sparo e un urlo. Non avrei saputo dire di chi era la
voce. Mi dissi che dovevo prendere
la bisaccia. Dovevo procurarmi un’arma. Il coltello lo sapevo usare bene. Mi
tolsi la camicia, staccai da un cespuglio un ramo e la sporsi oltre il masso,
ritirandola subito. Non successe nulla. Riprovai. Anche questa
volta non ci furono spari. Poi sentii due colpi, allora scattai fuori,
raggiunsi la bisaccia, la presi e mi gettai di nuovo a terra. Ci furono altri
colpi, ma non ero io il bersaglio. Strisciai verso la roccia
e mi misi nuovamente al riparo. Non sapevo però se la roccia era davvero un riparo:
gli spari provenivano da punti diversi e gli assalitori potevano essersi
spostati. Me lo ritrovai addosso di
colpo: saltò su di me e mi puntò la pistola addosso. Sentivo la canna alla
tempia. Era uno dei due messicani. - Non ti muovere. Poi mi afferrò per i
capelli, forzandomi ad alzarmi. Mi stringeva con un braccio e con l’altra
mano mi puntava la pistola alla tempia. Io avevo la bisaccia in mano e non la
mollai, ma non cercai di tirar fuori il coltello: prima che potessi
servirmene mi avrebbe colpito. - Vieni fuori, bastardo, o
ammazzo il ragazzo. Ci fu un momento di
silenzio. Io rimanevo muto. Con un movimento molto lento, presi la bisaccia
con la sinistra e ci infilai dentro la destra, finché non impugnai il
coltello. L’uomo ripeté: - Vieni fuori o lo
ammazzo. Ci fu un movimento tra i
cespugli e lui puntò la pistola in quella direzione, allentando la presa.
Allora lasciai cadere la bisaccia e mi voltai di scatto, infilandogli il
coltello nel fegato. Emise un grido strozzato e mi guardò, incredulo.
Barcollò. - Giù, Silas! Al grido di Eliah mi buttai a terra: appena in tempo. Risuonarono due
spari. Un proiettile, destinato a me, colpì il messicano, facendolo cadere a
terra. Ci fu un urlo. Eliah mi raggiunse. - Rimani lì, Silas. Controlliamo che sia finita. Eliah e Abraham tornarono dopo pochi minuti. Eliah mi disse: - I due messicani e
Charlie sono morti, Harry e Thomas sono feriti. Abraham osservò il
messicano. - Cazzo, Silas! Con te è meglio non litigare! Io sorrisi, contento di
aver fatto anch’io la mia parte. - Mi sa che anche con voi
due sia meglio non litigare. - Facciamo un bel
terzetto. E dopo aver detto questo,
Abraham si rivolse al fratello, aggiungendo: - Ma lo sai che questo
stronzo non voleva venire con noi al ranch? Eliah mi guardò stupito. - Ma perché, Silas? C’è qualche cosa che non va? Io scossi la testa. - No, no, non mi avevate
detto niente. Non sapevo se volevate. Abraham storse la bocca: - Mi sa che sai usare il
coltello meglio del cervello. Poi mi sorrise, si avvicinò
e mi baciò sulla bocca. - Adesso abbiamo altro da
fare. Che rabbia! Ma appena possiamo, recuperiamo! La settimana non ci offrì
molte occasioni di recuperare, tra il lavoro e il processo. Prima che noi finissimo l’ultima settimana
alla fattoria, Harry e Thomas vennero condannati per tentato omicidio e
impiccati. I due messicani risultarono essere banditi ricercati per una lunga
serie di delitti. Quando però lasciammo la
tenuta degli O’Hara, passammo una notte alla
locanda prima di raggiungere il ranch e devo dire che dormimmo davvero poco. 2015 |