La tomba etrusca Come tutti i sabati
pomeriggio, ci sono molti visitatori a Villa Dorio: è il giorno in cui le
padrone di casa ricevono. Il giardiniere diventa cameriere e accoglie gli ospiti
all’ingresso. Chi arriva può raggiungere Edith Wilson, una delle sorelle, nel
salone al primo piano o l’altra sorella, Katherine,
nel giardino. Nel salone ci sono poltrone e divani, oltre al tè, per cui chi
preferisce le comodità sale la scalinata. Nel giardino c’è il belvedere, da
cui si gode una splendida vista su Firenze: è la meta preferita dagli ospiti
più giovani e da chi desidera stare con i giovani. La compagnia che si
riunisce a Villa Dorio è molto eterogenea, per provenienza ed estrazione sociale:
una varietà che non si troverebbe se le padrone di casa e gli ospiti fossero
nei loro paesi d’origine. Ci sono parecchi inglesi, come le due sorelle,
alcuni statunitensi, diversi italiani e un certo numero di uomini e donne con
genitori provenienti da stati differenti. Patrimoni milionari si trovano a
fianco di modeste rendite, appena sufficienti per vivere dignitosamente, e
tra gli ospiti sono presenti alcuni che nel loro paese sarebbero oggetto di
ostracismo sociale, ma in apparenza nessuno ci bada. La villa affittata dalle
due sorelle è un territorio franco, dove non valgono molte delle regole
abituali: gli stranieri si sentono più liberi, perché non sono in patria e si
considerano solo provvisoriamente all’estero, anche se per molti di loro l’Italia
è diventata la residenza abituale e torneranno nella loro terra d’origine
solo per esservi sepolti; gli italiani si sentono più liberi perché sono
ospiti di due sorelle inglesi. Tra gli ospiti ci sono
lord Gerald Becker e William Bronson, due inglesi
che trascorrono gran parte dell’anno all’estero, soprattutto in Egitto, in
Grecia e in Italia. William ha avuto in passato problemi di salute, per cui i
dottori gli hanno consigliato di vivere in climi più caldi. Adesso sono
appena rientrati dall’Egitto, dove lord Becker, appassionato di studi
antiquari, finanzia una campagna di scavi. Ormai è aprile e la primavera
egiziana è troppo calda, per cui è il turno della Toscana, che entrambi
apprezzano. Becker possiede una villa, ereditata da uno zio, vicino a Firenze. Gerald e William hanno
raggiunto gli ospiti nel giardino: amano il panorama che si gode dal
belvedere. Si sono uniti al gruppo che attornia il barone di Montlevant: il nobile francese, che ha lasciato il suo
paese per insofferenza nei confronti di Napoleone III, sta parlando del suo
viaggio in Cina. Mentre ascoltano le
avventure del barone, vedono arrivare un loro amico. Si staccano dal gruppo e
gli vanno incontro: - Johan! Che bello
vederti! Johan Ruthven
è uno storico scozzese, studioso del Medioevo, con cui hanno fatto amicizia
durante il loro primo soggiorno a Firenze. Con lui si trovano molto bene ed è
una delle poche persone con cui possono parlare molto liberamente: anche
Johan è attratto dagli uomini, ma non ha un compagno. - Non sapevo che foste a
Firenze! - Siamo arrivati tre
giorni fa. È la nostra prima serata fuori. Sentivamo le avventure del barone
di Montlevant. Johan sorride: - Le ho già sentite tre
volte. E ogni volta erano un po’ diverse dalla precedente. Diventano più…
avventurose a ogni racconto. Secondo me al prossimo giro avrà sedotto la
regina delle Amazzoni e scoperto le rovine di Atlantide. William annuisce: ha già
avuto modo di notare che il barone tende ad arricchire la sua esperienza
personale con aneddoti presi da libri e racconti di viaggio. Non è raro tra i
viaggiatori che amano essere al centro dell’attenzione. Gerald ride. - Forse, più che il barone
di Monlevant, è il barone di Münchhausen. Ridono tutti e tre, poi
Johan chiede: - Ma raccontatemi un po’
di voi. Non siete sfuggiti per un pelo ai briganti, non avete salvato una
fanciulla che stava per essere rapita, non avete rischiato di essere
imprigionati? Gerald ride di nuovo.
William lo guarda ridere. Gli piace la risata del suo uomo. - No, le avventure si
tengono lontane da noi. - I tuoi scavi, Gerald? - Alcuni reperti
interessanti, ma nulla di eccezionale. Una tomba del Nuovo Regno, che i ladri
avevano già visitato, ma che ha restituito un discreto corredo: statuette,
amuleti, qualche ornamento, un libro dei morti. Ma tutto di livello
ordinario. - Comunque interessante. - Invece William ha
scovato qualche cosa di molto curioso. - Ah sì? Di che cosa si
tratta? È William a rispondere: - Alcune poesie di Ishaq ibn Husan,
un poeta siriano del XII secolo. - Non l’ho mai sentito
nominare. E dire che è proprio il periodo storico di cui mi occupo. - Non è conosciuto,
neanche in patria. Fu fatto crocifiggere dal Saladino: sosteneva ogni forma
di amore è bella, perché è stato Dio a darci l’amore. Il Saladino non poteva
accettare idee di questo genere. Le sue poesie furono distrutte e non si
sapeva che ne esistessero ancora delle copie. - E invece? - Invece è stato ritrovato
un manoscritto, una trascrizione più tarda, ma i testi sono chiaramente del
XII secolo. William ne ha trovato una copia da un antiquario del Cairo. - Interessante. E come
sono queste poesie? - A me piacciono molto.
Spostiamoci un po’ più in là e te ne recito una che William ha tradotto e io
ho imparato a memoria. Gerald sorride e dice,
abbassando la voce: - Non è il genere di
poesia che possiamo recitare davanti ad altri. I tre amici lasciano il
belvedere per un angolo più appartato del giardino. Ai piedi della statua di
una ninfa, Gerald recita, con un’intonazione accurata, ma senza eccessiva
enfasi: - Bevi ora, e ama, Iskandar. Non sempre berrai e non sempre andrai con gli uomini. Ci saranno sempre coppe di vino, ma non saranno più le tue labbra a berle. Ci saranno sempre membri vigorosi, ma non saranno più i tuoi fianchi ad accoglierli. Mettiamoci ghirlande e unguenti, prima che li portino sulle nostre tombe. Finché vivo, goda il corpo del vino e dei fianchi di giovani maschi; morto, che lo inondi anche il diluvio e sia pure cibo per i vermi.1 - Bella! William, pensi di
pubblicare la traduzione? - E finire in prigione per
incoraggiamento del vizio? Conosci le leggi inglesi. - No, pensavo a una
pubblicazione qui in Italia. Sai benissimo che alcune tipografie lavorano
volentieri per gli stranieri. Ne conosco almeno due che sono in grado di fare
un ottimo lavoro, senza porsi nessun problema relativo al contenuto. - Sì, ne ho sentito
parlare, ma… non ho proprio pensato a questa possibilità. - Non so se le altre
poesie sono belle come questa, ma in ogni caso credo che varrebbe la pena di
conservare i testi di un poeta del XII secolo. Soprattutto di un poeta…
diverso dagli altri. - Ne parleremo. Sono una
ventina di poesie in tutto. - Se hai voglia di farmele
leggere… - Certamente. Te ne porto
una copia. Voglio rivedere due traduzioni, che non mi convincono. Ma
incomincio a darti le altre. - Grazie. Gerald si rivolge a Johan: - E tu, di che cosa ti
stai occupando? Johan esita un momento. La
domanda lo turba, ma non avrebbe senso non rispondere: Gerald e William sono
due amici. Probabilmente sono gli unici con cui potrebbe parlare liberamente
di ciò che lo assilla, ma non è sicuro di volerlo fare. Eppure… forse confrontarsi
con loro potrebbe aiutarlo. Risponde, cercando di
sorridere: - Di un castello
medioevale, che appartenne ai Templari. - Qui in Toscana? - Sì. - Non sapevo che ci
fossero castelli dei Templari in Toscana. - Fu costruito all’inizio
del Duecento. E al suo interno c’è una tomba etrusca. - Una tomba etrusca in un
castello medioevale? Come è possibile? - Devono aver trovato la
tomba quando hanno costruito il castello e l’hanno inglobata, trasformandola
in una cripta. - Curioso. È una tomba
affrescata? - C’è solo una fascia di
motivi geometrici, quadrati rossi e bianchi. Nulla di particolare in sé. Gerald ha colto
l’imbarazzo di Johan e chiede: - Ma…? Perché c’è un “ma,
vero? Nuovamente Johan si sente a
disagio. Sì, deve cercarne di parlarne con loro. Confidarsi con qualcuno gli
farà bene. E Gerald e William sono le persone più adatte. Risponde: - Sì, ci sono delle
scritte. - Scritte etrusche? - No, medioevali. Sono
frasi incise, che non ti aspetteresti di trovare in un castello dei templari. - Di che cosa si tratta? Johan rimane un momento
pensieroso. Non ha senso che lui racconti, sarebbe meglio che William e
Gerald vedessero. Questo significa ritornare al castello. Gli pesa, ma
andarci con i due amici sarà più facile e a partire dalle scritte potrà
raccontare anche il resto. Sorride e dice: - Preferirei farvelo
vedere. Avete voglia di venire al castello? Non è molto lontano, in due ore
ci arriviamo. Possiamo combinare giovedì o venerdì, quando vi è comodo. - Per me giovedì va bene.
Per te, William? - Anche per me. Durante il viaggio, Johan
racconta la storia del castello. - Il castello fu
rimaneggiato più volte e ha completamente perso l’aspetto originario, a parte
due torri. Lord Peter Boswell, l’attuale
proprietario, è un mio compatriota. Un anno fa comprò il castello e decise di
rimodernarlo. Durante i lavori è stata scoperta una scala che conduceva a una
stanza sotterranea. Nel locale ci sono diverse scritte e lord Boswell si è rivolto a me, sapendo che sono un
medievalista. - Lord Boswell…
non l’ho mai sentito nominare. Ma non vuole dire. Ho sempre frequentato
pochissimo l’alta società britannica, preferendo viaggiare. Che tipo è? - Non lo conosco. - Come, non lo conosci? - No. C’è stato solo uno scambio
di lettere. Mi ha scritto poco dopo la scoperta, invitandomi a visitare il
castello e studiare le iscrizioni. Ma attualmente lui non è al castello,
perché è dovuto tornare in Scozia, poco prima del mio arrivo a Firenze. Ha
lasciato istruzioni al custode, che ha l’ordine di lasciarmi entrare in
qualsiasi momento. Posso anche fermarmi al castello per la notte, da solo o
con altri. Sono suo ospite, ma in sua assenza. Dovrebbe tornare tra non
molto. - E tu gli potrai
presentare i risultati del tuo lavoro. - Sì, certo, anche se…
sarà un po’ imbarazzante. - E perché mai? - Lo capirete quando vi
farò vedere. Gerald e William sono
curiosi, ma non chiedono: avranno modo di vedere direttamente. Giungono al castello dopo
due ore di viaggio. Il custode apre e Johan guida gli amici a un locale, a
fianco dell’antica cucina, da cui una scala conduce ai sotterranei. Qui
percorrono un corridoio e raggiungono una seconda scala, che scende a un
livello ancora inferiore. William si ferma sul primo gradino e dice: - Ecco, questa è la
scalinata che è stata scoperta in occasione dei lavori. Gerald osserva le pareti
del corridoio e quelle della scala. - Non vedo traccia di
lavori recenti. - Da quel che ho capito,
il passaggio era coperto da un armadio. Spostandolo per i lavori hanno
trovato il varco e la scala. Johan guarda i gradini,
immersi nell’oscurità, poi respira a fondo e si avvia, tenendo in mano la
lampada. È agitato e ha l’impressione di sudare, anche se l’aria nella scala
non è certo calda. Scendono una rampa che
conduce a un’apertura. Johan si ferma sull’ultimo gradino e illumina con la
lanterna lo spazio sopra l’ingresso. - Incominciamo di qui. La
scritta all’ingresso. È in un latino corrotto, come tutte le incisioni qui
presenti. Johan legge, indicando con
il dito: - H cripta frat Petri Ma, cioè Haec cripta fratris
Petri Magistri. Questa cripta appartiene al
Maestro frate Pietro.
I documenti che ho potuto consultare confermano
che ci fu un Pietro Maestro dell’ordine qui. Maestro del baliaggio, una
suddivisione delle province. In questo caso della provincia d’Italia. - L’Italia costituiva un’unica provincia? - No, all’epoca erano due. L’Italia
centro-settentrionale costituiva la provincia Lombarda o d’Italia.
Nell’Italia meridionale in origine c’erano le province di Puglia e di
Sicilia, ma all’epoca erano già state riunite. Gerald osserva: - Il Maestro considera la tomba, diventata
cripta, una sua proprietà. Niente di strano. - No, in effetti. Lo strano sono le scritte
all’interno. Johan guarda lo spazio buio oltre la soglia.
Vorrebbe tornare indietro. Guarda gli amici, sorride e rimane immobile un
momento. Legge nello sguardo di Gerald una domanda inespressa. Allora si
riscuote, si china per non battere la testa ed entra nella tomba. Gerald e
William lo seguono. La stanza non è molto grande ed è spoglia. Al suo
interno c’è solo un blocco di pietra di forma allungata, posto al centro. La
parte alta delle pareti è coperta da un motivo decorativo a quadrati bianchi
e rossi. Johan guarda un momento il blocco di pietra e rabbrividisce, poi
avvicina la lanterna alla parete sinistra, illuminando alcune scritte, incise
sotto la striscia decorata. - Ecco, sono dodici righe, scritte dalla stessa
mano. Ognuna riporta una data, poi Frat Mag Petr futuit frat
Johan. Dopo il nome ancora: sen viviat. Quindi: Il Maestro fratello Pietro ha fottuto fratello Johannes. Semen vivificat Il seme dà vita. Gerald scuote la testa. - Sei sicuro che sia questo il significato? Sono
abbreviazioni. Non potrebbero indicare altre parole? - Mi sembra improbabile. Futuit non lascia dubbi. La seconda parte potrebbe essere interpretata in
altro modo, questo è vero, ma la prima indica chiaramente un rapporto
sessuale tra il Maestro Pietro e un fratello di nome Johannes. - Alquanto strano. - Ah, ancora un dettaglio: le dodici date
corrispondono ai pleniluni di quell’anno. Un anno in cui ci furono tredici
pleniluni. - Quindi nelle notti di plenilunio in questa
cripta il Maestro dell’ordine possedeva uno dei fratelli… E lo scriveva pure.
Davvero strano. - La parte più strana deve ancora venire. Gerald e William guardano Johan stupiti. Questi
si sposta, illuminando con la lanterna la parete di fronte al varco da cui
sono entrati. - Ecco, anche qui ci sono dodici scritte, come
sull’altra parete. Ma credo che alcune differenze saltino subito agli occhi. William osserva: - La grafia è diversa. È un’altra persona ad
avere inciso queste scritte. Gerald aggiunge: - E la data è la stessa per tutte. - Esatto, è il tredicesimo plenilunio dell’anno.
E non solo la data è la stessa, anche i testi. È la stessa frase, Frat Johan futuit
frat Mag Petr, ripetuta dodici volte. - Cioè… vuoi dire che… questo Johannes avrebbe
preso il Maestro dodici volte? Prima è stato posseduto da lui una volta al
mese, poi lo ha posseduto, dodici volte. Gerald scoppia a ridere e aggiunge: - Non mi sembra verosimile. William osserva: - Davvero, dodici volte nella stessa notte… - Non è detto che sia di notte… ma non cambia
molto. - Non capisco il senso di tutto questo. Johan dice: - Penso che si tratti di un rito, ma il senso
sfugge anche a me. Comunque la parte più misteriosa non è questa. - Che cosa c’è ancora? - L’altra parete. Con queste parole Johan si sposta e la luce della
torcia illumina la parete di destra. C’è una grande croce e di fianco, un po’
più in basso, una serie di scritte. - La croce è una Croce Potenziata, che fu
concessa da Papa Eugenio III ai Templari. La parte finale dei bracci forma la T di Tempio. I Templari erano gli
unici a poterla usare. - Questo non mi sembra strano. - Certamente, non lo è, ma la scritta sotto forse
lo è: Frat Johan nect frat Mag Petr
hic corp post resurrec
venta fides. Lo traduco così:
il fratello Johannes uccise il fratello Maestro Pietro e depose qui il corpo,
fiducioso nella sua resurrezione futura. - Questa poi… sei sicuro dell’interpretazione? - Nect può essere solo necavit, corp è corpus e post dev’essere posit. Venta per me è ventura, cioè futura, e fides potrebbe essere fidens, ma anche se è da intendere come fides, fede, il significato non cambia. Alla fine dell’anno delle tredici
lune, il maestro del baliaggio viene ucciso dal fratello dopo essere stato
posseduto da lui dodici volte. - Riti sessuali che si concludono con un rito di
morte, un omicidio rituale. - L’anno è il 1278. Pietro fu Maestro del
baliaggio dal 1270 al 1290. - Quindi non può essere stato ucciso nel 1278. - No, nel 1290 partì per la Terrasanta. Fu catturato
durante l’assedio di Acri, nel 1291, e ucciso dai saraceni a Damasco. Johan scuote la testa. Dovrebbe dire molte cose,
ma non vuole farlo ora. Adesso i suoi amici devono vedere le scritte. Per il
resto, per quello che ossessiona Johan, c’è tempo. - L’ultima scritta… Si sposta verso l’ingresso. Sul lato interno,
subito sopra la porta, sono incise altre parole. Mentre le illumina con la
lanterna, Johan dice: - La data è quella del 1 gennaio 1279. La scritta
la potete leggere: Fra
Petrus Mag vivit. Il fratello Maestro Pietro
vive. C’è un momento di silenzio. William osserva: - Difficile trovare una spiegazione. Si tratta di
riti e le scritte probabilmente non sono da intendere in senso letterale. Johan si morde il labbro inferiore. Poi dice: - Forse. Scrolla le spalle e aggiunge: - Un’ultima cosa. Il Maestro Pietro non si recò
da solo in Terrasanta. Con lui partì un confratello. - Di nome Johannes? - Esatto. Furono uccisi insieme. Rimangono un momento in silenzio tutti e tre. Poi
William chiede: - Qui Johan è usato come forma abbreviata di
Johannes, ma non ti ha colpito ritrovare il tuo nome in queste scritte
misteriose? - Sì, molto. Ma confesso che fin dal primo
momento che ho visto l’ingresso, mentre scendevo la scala, mi sono sentito
turbato. E anche adesso. - Non era l’emozione della scoperta? - Forse… forse. - Non sembri molto convinto. Johan scuote la testa. - No, non lo sono. È un casino, Gerald. È un
fottuto casino. - C’è altro, vero, Johan? Altro che non ci hai
ancora detto. Johan annuisce. - Sì, c’è altro. Poi ne parliamo. Johan non se la sente di parlarne ora, anche se
ha portato gli amici al castello proprio perché vedessero, per potersi aprire
con loro. C’è un momento di silenzio. Gerald e William
hanno colto l’incertezza di Johan. Non vogliono metterlo sotto pressione.
William osserva: - Johan… non è un nome comune. - È il nome di un mio antenato. Mi sono sempre
chiamato così. William sorride. - Certo, non pensavo che tu avessi cambiato nome… Johan è in imbarazzo. - Non… non so perché l’ho detto. Lo sa, lo sa benissimo. Non osa dirlo, ma ha
chiesto a Gerald e William di venire al castello perché potessero vedere le
scritte, che sono reali, e poi confidarsi con loro. E allora è arrivato il momento
di farlo. Rimane ancora un momento in silenzio, poi dice: - A voi due posso dirlo. Da quando ho scoperto
questa tomba, mi capita di dire ogni tanto qualche cosa di strano, di cui io
stesso non capisco il senso. Come questa frase. Gerald aggrotta la fronte. - Che cosa intendi? - Ho detto: “Mi sono sempre chiamato così”. In
qualche modo ho pensato che mi chiamavo così anche… anche prima di nascere. - Intendi dire… come… spirito? O in altre vite? Johan scuote la testa. - Forse in altre vite… Mi chiedo davvero se non
sto impazzendo, - Forse questa scoperta ti ha turbato più di
quanto tu stesso immagini. - Sì. Non sono solo le cose che dico. Quando sono
entrato qui per la prima volta… mi sembrava di conoscere già questa tomba.
Sapevo dove erano le scritte, prima di illuminarle con la lanterna. E non è
solo quello… - Cos’altro c’è? - Ho incominciato a fare sogni che non avevo mai
fatto prima. - Che tipo di sogni? - Scene ambientate in epoche passate, in luoghi
diversi. Ci sono io e c’è sempre un altro uomo, che ha più o meno la mia età.
Io… sono sempre io e mi chiamo Johan e lui si chiama Peter. - Probabilmente queste scritte ti hanno
suggestionato. Non pensi? - Sì, è quello che mi dico anch’io. Non vedo
altre spiegazioni. Ma questi sogni sono così vividi, come ricordi reali.
Quattro notti fa eravamo due borghesi francesi ormai cinquantenni che
partecipavano alla rivoluzione del ‘48… Ridicolo, vero? Ma sembrava tutto
così reale… - Non c’è nulla di strano in un sogno di questo
genere. - No, forse no. E credo che tu abbia ragione,
William: sono le scritte che mi hanno suggestionato. Mentre lo dice, Johan si rende conto di stare
mentendo. Non è per niente convinto che siano state le scritte. Esse hanno
aperto una porta, ma ciò che c’è oltre la porta, esisteva già. Gerald osserva: - Rivoluzione del ’48. Tu sei nato nel ’50, no? - Sì. - Ci sarebbe allora un periodo in cui Johan, che
forse era Jean, viveva in Francia e tu intanto nascevi in Scozia. Johan scuote la testa: - No, Johan e Pierre sono morti sulle barricate,
nel ’48. Così è successo nel sogno, l’immagine è nitidissima, ma
probabilmente è soltanto la mia immaginazione. Johan continua a ripeterlo, ma non crede davvero
alle proprie parole. Si dice che sta soltanto cercando di convincersi. Non
pensa più che i sogni che ha da quando ha visitato la tomba siano solo sogni.
Esita un momento, poi guarda il blocco di pietra in mezzo alla tomba,
rabbrividisce e dice: - Risaliamo. Preferisco non rimanere oltre qui
sotto. I tre amici salgono le scale e raggiungono il
salotto del castello. Si siedono sulle poltrone e una cameriera chiede se
desiderano un tè. Mentre bevono, William osserva: - Certo che questo fatto che il padrone del
castello si chiami Peter e tu Johan, come nelle scritte… Sei sicuro che siano
medioevali? - Sì, direi di sì. I caratteri usati, le
abbreviazioni, tutto mi sembra confermare la loro autenticità. - Però è davvero una coincidenza notevole. - Sì… Johan non aggiunge altro. William, cogliendo la
sua esitazione, chiede: - Non sei convinto? Gerald osserva: - O pensi che non sia una coincidenza? Johan fissa Gerald. - È quello che mi chiedo. Anche se mi rendo conto
che è assurdo. William aggrotta la fronte: - In che senso potrebbe non essere una
coincidenza? - Non lo so, William. Vorrei potertelo spiegare.
A tratti mi chiedo se… no, è troppo assurdo. Gerald fissa Johan e dice: - Ti chiedi se quel Johan a cui si riferiscono le
scritte nelle tombe non potresti essere proprio tu? Johan si alza di scatto e va alla finestra.
Gerald ha capito, esattamente. Non è la prima volta che l’amico dà prova di
grande sensibilità. Rimane in silenzio un momento, fissando il
paesaggio oltre il vetro, poi si volta e dice: - Nei sogni che faccio, sono io. Ho ucciso il
Maestro su quel blocco di marmo, dopo averlo posseduto. Mi vedo chiaramente
incidere quelle frasi. C’è un momento di silenzio, poi William osserva: - Come diceva Gerald, probabilmente le scritte ti
hanno suggestionato. Gerald guarda William, poi dice: - Oppure la tomba ha risvegliato ricordi di
un’altra vita. Johan fissa Gerald. Annuisce. È quello che pensa. - O di più vite. Queste visioni notturne, che
tornano ogni notte e ogni notte si ampliano, sembrano far riferimento a
periodi diversi, in cui io e Peter siamo insieme, impegnati in qualche
impresa o lavoriamo o parliamo o… Gerald sorride e dice: - O scopate? Johan ricambia il sorriso e di nuovo annuisce. Le
immagini degli amplessi ritornano ogni notte e ogni notte Johan viene tra le
braccia di Peter, ma quando si desta non c’è nessuno nel letto. Rimane solo
il seme sul suo ventre o sul lenzuolo. William riflette un momento, poi osserva: - Bisognerebbe poter verificare se le cose che
ricordi, o sogni, sono davvero avvenute. Dopo un nuovo cenno affermativo del capo, Johan
riprende il discorso: - L’ho pensato anch’io, ma non saprei come fare.
C’è però una cosa… Ve la racconto, ma… probabilmente vi state chiedendo se
non sto impazzendo. Me lo chiedo anch’io… Sì, se lo chiede da diversi giorni, da quando è
incominciata questa storia. - Mi sembri perfettamente lucido, Johan.
Raccontaci. - Come vi ho detto, le scritte mi hanno turbato
molto, soprattutto il fatto che mi sembrava di conoscerle già. Quella stessa
notte ho sognato di uccidere il Maestro su quel blocco di pietra e due notti
dopo ho sognato di essere trascinato insieme al Maestro da alcuni soldati
arabi lungo una via. Eravamo entrambi a torso nudo, le mani legate dietro la
schiena. Io potevo vedere il segno delle frustate sulla schiena del Maestro.
Ci facevano uscire da una fortezza e camminare tra due ali di folla che
inveiva contro di noi, ci lanciava oggetti, cercava di ferirci, di sputarci
addosso. Poi venivamo fatti salire su una specie di palco. Petrus era costretto a inginocchiarsi e veniva
decapitato. Vedevo la sua testa rotolare sul palco. Poi facevano
inginocchiare anche me. Mi sono svegliato sentendo il dolore al collo. William e Gerald non dicono nulla. Johan
conclude: - Il giorno dopo ho incominciato a cercare
notizie del Maestro Petrus e ho scoperto che partì
per Acri con Johannes. In seguito ho trovato una cronaca in cui si dice che
furono catturati durante la sortita notturna dalla porta di Sant’Antonio,
tenuti in prigione e poi decapitati a Damasco dopo la caduta di Acri. Gerald annuisce. - Difficile che sia una coincidenza. Se non avevi
mai sentito parlare prima di questi due templari, non puoi esserti immaginato
per caso anche il modo in cui sono morti. - L’ho pensato anch’io. Ma… non so che cosa dire.
Non ho mai creduto nella reincarnazione. - Neanch’io, ma potremmo avere torto. Johan scuote la testa, poi dice: - Non mi sto inventando queste cose. Gerald risponde, con voce ferma: - Non mi è mai passato per la testa, Johan. E di
sicuro neanche William lo ha pensato. Ti conosciamo. Capisco il tuo
turbamento. Vorrei poter fare qualche cosa per aiutarti, ma non saprei che
cosa. - Neanch’io so che cosa fare. Credo che preparerò
una relazione per il proprietario e non rimetterò più piede qui. - Ma… lui vorrà che tu lo accompagni a vedere le
scritte e che gliene spieghi il significato, non pensi? - Preferirei evitarlo. - Perché? Johan guarda Gerald, sconcertato. La domanda lo
ha preso di sorpresa. - Non lo so, non lo so… Preferisco chiudere con
questa faccenda. È così? È questa la spiegazione? No. La verità è
che ha paura di incontrare il proprietario. Perché? Non lo sa. - Ti capisco. In serata ritornano a Firenze. Si congedano
davanti alla villa dove abitano Gerald e William. - Johan, di qualsiasi cosa tu abbia bisogno,
anche solo di parlare con qualcuno, in qualsiasi momento, noi siamo qui. Vieni
da noi o mandaci un biglietto e ti raggiungiamo. - Grazie a tutti e due. Domani scrivo la
relazione, la faccio portare al castello e conto di scordarmi di questa
storia. Quando sono in camera, William commenta: - Una storia davvero strana. Non so che cosa
pensare. - Neanch’io. Johan è una persona equilibrata e
lucida. Non so dare una spiegazione razionale a quello che ci ha raccontato,
ma forse non esiste una spiegazione razionale. Johan si corica, ma è teso e il sonno non viene.
Si ripete che domani scriverà la relazione e la invierà, chiudendo con questa
storia assurda. Mezzanotte è passata da un bel pezzo quando Johan
riesce infine ad addormentarsi. I sogni ritornano, più numerosi e vividi che
mai. Al risveglio Johan ricorda benissimo ciò che ha
sognato: mentre di solito solo pochi sogni rimangono nella sua memoria,
quelli in cui compaiono lui e Peter non svaniscono. Johan riflette un
momento, confrontando gli episodi che ha sognato. Sembrano riferirsi ad
almeno sette vite diverse, da quella in cui era un cavaliere templare alla
più recente, in cui loro due trovano la morte sulle barricate di Parigi. Vite
piuttosto avventurose, in Europa, nel Vicino Oriente, in America. In almeno
tre casi morti violente, ma sempre insieme. Johan fa colazione, poi si mette subito al
lavoro. La sua relazione contiene l’elenco completo delle scritte, la loro
interpretazione e alcune considerazioni tecniche sui caratteri usati e sulla
loro autenticità. Non fornisce ipotesi su che cosa può essere realmente
avvenuto nella cripta, perché sarebbero comunque soltanto supposizioni, senza
nessun riscontro oggettivo. I sogni gli dicono che è avvenuto esattamente
quanto è scritto, ma non è certo il caso di fare riferimento a ciò che gli
appare in sogno. Aggiunge le notizie in suo possesso sul Maestro Petrus e sul fratello Johannes, citando le fonti. Altro
non ha da dire. Completata la relazione, Johan la inserisce in
una busta e la spedisce al castello: lord Peter Boswell
la troverà al suo arrivo. Una settimana dopo Johan riceve una lettera di
lord Boswell che lo invita a recarsi da lui, per
discutere insieme i risultati del lavoro. Johan è combattuto tra due desideri
opposti: quello di chiudere la faccenda e dimenticare il tutto e quello di
vedere lord Boswell e parlare con lui. Passa una
mattinata incerto, ma alla fine decide che non intende tornare al castello.
Scrive una lettera in cui si scusa, dicendo di essere molto impegnato. Due sere dopo Johan è nuovamente a Villa Dorio.
Ha ritrovato Gerald e William e parla con loro. - Sì, ho risposto che adesso ho troppi impegni,
anche se è falso. Non me la sento di ritornare al castello. - Se non te la senti, hai fatto benissimo. William chiede: - E i tuoi sogni? - Più vividi che mai. Ogni notte mi sembra di
rivivere episodi di sette vite diverse. - Non pensi di cercare di scoprire se può
trattarsi di fatti reali? - No… in realtà me lo sono chiesto, ma poi ho
deciso di non occuparmene. Voglio chiudere con tutta questa faccenda. - Difficile chiudere, se ogni notte questi sogni
ritornano. Johan annuisce. Sa che i suoi amici hanno
ragione. Mentre guarda in lontananza, vede un uomo venire nella loro
direzione. Lo fissa, paralizzato. Gerald ho colto l’irrigidimento di Johan e gli
chiede: - Che c’è, Johan? Non riceve risposta. Allora segue la direzione
dello sguardo dell’amico. L’uomo che si sta avvicinando ha più o meno la
stessa età di Johan. È alto, bruno, con capelli un po’ lunghi e una barba
corta che incornicia un viso dai tratti molto regolari. Gran bel maschio,
pensa Gerald. L’uomo li ha raggiunti. Ignora Gerald e William e
si rivolge direttamente a Johan. - Contento di ritrovarti, Johan. Qui in Italia
c’è un modo di dire: “Se la montagna non viene a Maometto, Maometto va alla
montagna”. Visto che non sei venuto al castello, sono venuto qui, dove
contavo di trovarti. Johan annuisce, poi dice solo: - Peter… William e Gerald si scambiano un’occhiata e,
senza dire nulla, si allontanano. Johan e Peter non danno segno di
accorgersene. Quando sono a distanza, William osserva: - Fratello Johan ha ritrovato il Maestro Petrus. - Sì, direi proprio che è così. Spero che poi
Johan abbia voglia di raccontarci, perché confesso di essere alquanto
curioso. William sorrise: - Credo che adesso abbia altre priorità. - Sì, penso anch’io. Poco dopo vedono Johan e Peter lasciare il
giardino e dirigersi verso l’uscita. Gerald sorride e dice: - Per le spiegazioni mi sa che dovremo aspettare. - Direi di sì. Johan cammina a fianco di Peter, dell’uomo che
ama, che ha amato per sette vite e che ora ha ritrovato. I ricordi emergono,
nitidissimi. - Peter… Peter gli sorride. - È sempre così, Johan. Tu non ricordi nulla,
fino a quando, a trentadue anni, qualche elemento non incomincia a
risvegliare i tuoi ricordi. Ti ho invitato al castello per questo. Johan annuisce. Ora ricorda che in ognuna delle
vite precedenti ha ritrovato Peter a trentadue anni: la stessa età in cui si
sono conosciuti la prima volta, quando erano cavalieri del Tempio. - Perché non ti sei fatto trovare al castello? - Perché era meglio che tu avessi un po’ di tempo
per ricordare. - Tu ricordi tutto, vero? Intendo dire… già da
prima. Prima… Johan non sa bene come continuare. - Sì, Johan. I miei ricordi si destano
progressivamente già quando sono ragazzo e quando raggiungo l’età in cui il
nostro incontro sta per diventare possibile, incomincio a cercarti. - Come riesci a trovarmi? - Non sei mai troppo lontano, Johan. Moriamo
insieme e rinasciamo vicini. - Ma il castello… - Era in vendita e dato che tu vivevi in Italia,
ho deciso di utilizzarlo per… risvegliare i tuoi ricordi. Johan annuisce. Sì, è così. Non c’è dubbio. Sono arrivati all’appartamento di Johan. - Adesso però, Johan… avrei un’altra esigenza. - Un’altra esigenza? - È dal 1848 che non scopiamo… Johan ride. Entrano nell’appartamento. Peter
spinge Johan contro il muro e lo bacia. Johan ricambia il bacio. Poi dice,
ridendo: - Non mi ricordo com’eri a letto. Se ho
dimenticato significa che non doveva essere molto significativo… È una bugia: nei sogni diverse volte Johan si è
visto fare l’amore con Peter, in tanti posti diversi. Peter ride. - Stronzo! Adesso ti faccio vedere… 2023 [1]
Rielaborazione di una poesia di Stratone. Ishaq ibn Husan
è un personaggio del Ciclo d’Oltremare (racconto L’eretico) |